d'Urgenza
MEDICINA D'URGENZA
Programma:
2. SINCOPE
6. INTOSSICAZIONI
7. USTIONI
Serve la capacità di prendere decisioni rapidamente seguendo un ragionamento "non usuale" detto
euristico.
Generalmente infatti si applica il ragionamento analitico (es. si presenta un pz con cefalea e si
vanno a cercare con calma tutte le possibili eziologie che vanno in DD, chiedendo poi esami per
escluderle tutte: nei pz in medicina d'urgenza non c'è tempo per fare le cose in questo modo!).
Il ragionamento euristico appunto non segue i percorsi classici, si fonda sì sulle conoscenze ma
addirittura anche l'intuizione può avere un suo peso!
SHOCK
Lo shock è l'incapacità da parte del sistema cardiocircolatorio di generare un'adeguata pressione
arteriosa al fine di assicurare un'adeguata perfusione d'organo, garantendo così ai vari organi
l'ossigeno ed i nutrienti di cui necessitano per poter funzionare correttamente.
Per "shock" si intende dunque una malattia ad interessamento sistemico caratterizzata da (servono
entrambi gli elementi: magari ci sono donne che fisiologicamente hanno PAS di 82 mmHg per via
di basse resistenze periferiche ma non sono shockate perchè non hanno alcuna sintomatologia):
• Ipotensione arteriosa:
Per la PAM di solito si usa la "regola del 3": si prende ⅓ della PA Differenziale (Sistolica –
Diastolica) e lo si somma alla PA Diastolica.
In questi casi si possono attuare alcuni stratagemmi, uno dei quali è la palpazione del polso
distale: tenendo la mano del pz alla stessa altezza del braccio, si mette il bracciale
normalmente e si cerca il polso radiale. Si sgonfia lentamente il bracciale ed il primo battito
del polso radiale che si avvertirà corrisponderà alla PAS.
◦ Settico (le resistenze periferiche diminuiscono a causa dell'NO prodotto a causa del
lipopolisaccaride, citochine, ecc.)
Ovviamente i quadri possono coesistere: nulla vieta che un paziente sia shockato per 2 motivi.
SHOCK CARDIOGENO
Per parlare di shock cardiogeno bisogna riallacciarsi a tutta la terminologia della fisiologia cardiaca.
Il volume di sangue eiettato dal cuore ad ogni battito (cioè ad ogni sistole ventricolare) è definito
"Gittata pulsatoria" (o Stroke Volume), intesa quindi come la differenza tra Volume TeleDiastolico e
Volume TeleSistolico → Gp = Vtd – Vts
Il volume di sangue eiettato in un battito va poi moltiplicato per il numero di cicli cardiaci in un
minuto (cioè per la frequenza cardiaca), ottenendo così un valore chiamato Gittata cardiaca (o
Cardiac Output) → Gc = Gp x fc
Pertanto si può mantenere un certo livello di volume di sangue al minuto (cioè di gittata cardiaca) o
aumentando la Gp o la fc: spesso infatti avviene che nelle fasi iniziali dello shock si verifica un
aumento della fc per sopperire alla diminuzione della Gp.
Per confrontare la Gc tra le varie persone, e definire un punto oltre il quale si possa parlare di
patologia, bisogna normalizzarla per la superficie corporea, ottenendo così l'Indice Cardiaco (o
Cardiac Index CI), che farà quindi riferimento ad un Volume, un'unità di tempo ed una di superficie:
la sua unità di misura sarà infatti L/min/m2.
Oltre a conoscere la fc e la superficie corporea del soggetto, per ricavarne il CI si potrebbe usare un
ECOcardiogramma per valutare Vtd e Vts, così da calcolare la Gp.
Per parlare di shock cardiogeno deve esserci una riduzione dell'indice cardiaco:
- CI < 1,8 L/min/m2 oppure
- CI < 2 - 2,2 L/min/m2 se si stanno utilizzando IABP (presidi terapeutici meccanici come il
contropulsatore aortico) o farmaci inotropi
Altro elemento fondamentale dello shock cardiogeno è il riscontro di oliguria (< 500 mL/die
oppure < 0,5 mL/kg/h) oppure anuria (< 30mL/die), segno tangibile e più facilmente
documentabile di ipoperfusione a livello renale.
Un codice della disfunzione cardiaca è l'analisi (invasiva) delle pressioni intracardiache destre e
sinistre in telediastole: se tali pressioni aumentano vuol dire che c'è una quantità di sangue residuo a
livello del ventricolo che genera una certa pressione; non essendo stata adeguatamente espulsa, ce la
ritroveremo al battito successivo quando arriva il nuovo precarico.
La disfunzione cardiaca si ha per Ptdvs (LVEDP) > 18 mmHg e Ptdvd (RVEDP) > 10 – 15 mmHg.
Sintomatologia
I segni e sintomi dello shock cardiogeno da ricercare con prontezza e attenzione sono:
• Ipotensione arteriosa
• Polso periferico rapido (aumenta la fc come risposta compensatoria), debole (non c'è
adeguata pressione) e spesso irregolare
• Bassa PA differenziale
• Aumento del tempo di riempimento (refilling) capillare del letto ungueale, facilmente
documentabile ma non facilmente ripetibile perchè soggetto a molte variabili.
Si schiaccia l'unghia della mano per circa un minuto e poi si vede entro quanto tempo
avviene il refilling: se ciò avviene dopo oltre 2 secondi è un segno di ipoperfusione distale.
• Segno della marezzatura cutanea: è una specie di reticolo a livello cutaneo con maglie scure
e zone più bianche all'interno.
La marezzatura cutanea è un segno suggestivo e serio di ipoperfusione (il rischio di morte
nelle 24 ore successive è di circa il 60%).
Eziologia
Lo shock cardiogeno può essere conseguenza di varie condizioni patologiche, e spesso tali eziologie
sono complicanze l'una dell'altra.
➔ IMA (per avere deficit di pompa deve essere interessato > 40% della massa VS)
➔ IMA dx (essendoci a destra meno tessuto miocardico muscolare, il cuore destro è più debole
e più dipendente dal precarico per il corretto funzionamento)
➔ Tamponamento cardiaco
➔ Miocardite acuta
➔ Cardiomiopatia di Takotsubo
➔ Cardiomiopatia peripartum
➔ EP massiva
➔ Pneumotorace iperteso
Tornando alla fisiopatologia, nello shock cardiogeno si verifica una spirale di eventi tale che
l'insulto iniziale viene progressivamente amplificato.
Partendo dalla disfuzione sistolica, generabile per tutti i motivi appena esposti, si ottiene una
diminuzione dell'output cardiaco, quindi ipotensione e conseguente riduzione della perfusione agli
organi, compreso il cuore stesso.
Quindi il cuore genera il danno e al contempo risente del danno stesso: l'ischemia può pertanto
essere sia causa che conseguenza dello shock cardiogeno, in una spirale che si autoalimenta.
L'ipoperfusione attiva il meccanismo compensatorio di vasocostrizione periferica.
A lato di ciò, in alcuni casi di shock cardiogeno si verifica una Risposta Infiammatoria Sistemica
(SIRS) a volte legata anche ad ischemia di altri organi come l'ischemia intestinale.
Come risultato della SIRS si ha una massiva produzione sistemica di citochine proinfiammatorie
(IL6, TNF, e da ultimo NO).
Tali citochine iperprodotte vanno a peggiorare ed inibire la risposta compensatoria del SN
simpatico, ponendo così un grosso freno alle possibilità di recupero.
Gli alti livelli plasmatici di queste citochine hanno un alto valore predittivo di exitus nel paziente
con shock cardiogeno.
Addirittura per causa di queste molecole il paziente potrebbe presentarsi con febbricola (e quindi
potrebbe erroneamente indurre a pensare ad uno shock settico).
Come detto a monte del cuore si verifica un aumento delle pressioni venose polmonare e sistemica.
L'ipertensione polmonare induce edema polmonare, che va a ridurre la disponibilità di ossigeno nel
sangue, peggiorando così l'ischemia cardiaca.
Monitoraggio clinico
Nei pz con shock cardiogeno bisogna impiegare strumenti diagnostici rapidi e facilmente fruibili
nelle varie condizioni in cui si sta lavorando.
ECG: gran parte delle cause di shock cardiogeno sono riconoscibili all'ECG
ECOcardiogramma: (anche nella variante bed side) è un ottimo strumento diagnostico che,
con un livello di preparazione non difficilissimo consente a chi sa usarlo di ottenere tante
informazioni, come ad esempio: FE, disfunzioni sistoliche segmentarie, rottura SIV,
versamento pericardico, sovraccarico sezioni destre, stima non invasiva stroke volume sia
all'inizio che successivamente per monitorare l'andamento della terapia.
Ossimetria arteriosa
Strumenti invasivi:
Laddove c'è la necessità di arrivare ad una diagnosi con dati precisi e di misurare in tempo reale
l'efficacia dei trattamenti attuati, si deve ricorrere a strumenti invasivi.
● Pressione arteriosa invasiva (della linea centrale): si prende un'arteria, di solito la radiale, e
vi si mette un catetere connettendolo con un trasduttore di pressione, così da ottenere i valori
invasivi di PAS, PAD e PAM.
Il catetere di Swan Ganz è formato da 4 condotti principali, si inserisce a livello di una vena
sistemica (succlavia, basilica o omerale) e poi lo si fa avanzare fino alle sezioni destre
cardiache, per poi superarle posizionandolo a livello dell'arteria polmonare.
I condotti vengono usati innanzitutto per misurare le pressioni: man mano che avanziamo il
catetere possiamo ottenere una misurazione della:
- Pressione Venosa Centrale
- P atriale dx (pur tenendo conto delle fisiologiche variazioni tra sistole e diastole,
normalmente sta intorno ai 5 mmHg)
- P ventricolare dx (normalmente 20 mmHg in sistole e 5 mmHg in diastole)
- P Arteriosa Polmonare (ha un profilo d'onda simile a quello sistemico, normalmente la
sistolica è simile a quella del ventricolo dx, cioè 20 mmHg, mentre la diastolica dipende
dalle resistenze periferiche polmonari, sui 12 mmHg).
Quella che si misura dopo gonfiamento del palloncino è detta Wedge Pulmonary Pressure o
Pressione d'incuneamento capillare, corrispondente cioè alla Pressione Venosa Polmonare
(normalmente intorno ai 10 mmHg).
Ciò è molto importante perchè ci permette di capire se c'è o meno una disfunzione a sinistra:
questo è infatti l'unico modo per scoprire se c'è un aumento della P nelle sezioni sinistre
(non si può mica incannulare una vena polmonare!) [in realtà si potrebbe incannulare
un'arteria sistemica ed andare fino all'atrio sx ma è molto più complicato]
Il conduttore di temperatura, o termistore, si usa per misurare l'output cardiaco, potendo poi
così ricavare successivamente (conoscendo la superficie corporea) l'indice cardiaco.
Per misurare l'output cardiaco si sfrutta il principio fisico della termodiluizione: nel
momento in cui, in un sistema che normalmente è a 37°C, si inserisce un bolo di liquido
(soluzione fisiologica) ad una temperatura più bassa (di solito 18-20°C), la velocità con cui
la T di questo liquido tende a riequilibrarsi con la T dell'organismo (cioè la velocità con cui
passa da 18° a 37°) è direttamente proporzionale al volume di sangue che passa in quel tratto
in quel tempo.
Quindi iniettando il bolo dal condotto prossimale (atrio dx) e misurando la T nell'arteria
polmonare, si riesce a ricavare il volume di sangue pompato dal ventricolo dx nell'unità di
tempo, cioè la gittata cardiaca.
Un'altra utilità del catetere di Swan Ganz è la possibilità di misurare la saturazione (cioè la
pressione parziale di ossigeno) del sangue a livello delle sezioni destre, cioè permette di
prelevare un campione di sangue dalla parte destra del cuore (in genere è prelevato
dall'arteria polmonare), che poi sarà analizzato per valutarne la saturazione.
La differenza tra la saturazione del sangue arterioso sistemico (valutata con EGA) e quella
del sangue delle sezioni destre, è un importante indice del consumo di ossigeno.
Meglio ancora, è un indice di trasporto e consumo, cioè ci dice quanto sangue arriva in
periferia e quanto ossigeno viene consumato dagli organi.
Ovviamente non si potrebbe valutare la saturazione in una vena periferica, poichè solo nel
cuore destro si ha la somma di tutti i distretti venosi! (il consumo di ossigeno varia a
seconda degli organi).
(non letta)
Ecco una tabella riassuntiva che, considerando precarico, funzione di pompa, postcarico e
perfusione tissutale, mostra le differenze tra i vari tipi di shock.
Si è già detto che queste due condizioni sono sovente collegate, e che affinchè si verifichi uno shock
cardiogeno bisogna che non funzioni una consistente percentuale di miocardio.
Attualmente, di tutti gli infarti particolarmente gravi, classificati come ST (quindi STEMI), solo il
5-6% si presenta come shock cardiogeno.
Tali percentuali si sono ridotte negli ultimi anni grazie alla disponibilità del trattamento precoce
degli STEMI (cioè dell'angioplastica primaria o PCI).
Ciononostante gli STEMI, data l'elevata prevalenza, costituiscono quasi la metà dei casi di shock
cardiogeno.
Laddove uno STEMI si complica in shock cardiogeno, la prognosi è infausta nel 40% dei casi.
Ricordando che la vascolarizzazione coronarica è di tipo terminale, sarà molto difficile avere uno
shock cardiogeno a seguito dell'infarto conseguente ad ischemia di un tratto coronarico distale.
Per lo shock serve infatti un territorio piuttosto ampio di muscolo cardiaco interessato, quindi
l'infarto dev'essere prossimale (i 3 rami coronarici principali sono: arteria circonflessa sinistra,
arteria discendente interventricolare sx e arteria coronarica destra).
I casi più frequenti in cui l'ischemia cardiaca correla con shock cardiogeno sono:
- IMA anteriore: occlusione completa arteria interventricolare prossimale
- IMA inferiore o posteriore: rottura setto IV, rottura muscolo papillare, rottura parete libera
ventricolo sx
- Occlusione prossimale coronaria dx (ramo marginale dx): IMA dx
Infine il rischio di shock cardiogeno è molto elevato se si tratta di una recidiva di IMA (soprattutto
se precedentemente la FE frazione d'eiezione è < 50%), se si tratta di una malattia multivasale, e se
l'età del pz è molto avanzata.
Shock iatrogeno
Shock cardiogeno precipitato dall’uso di farmaci indicati nella terapia dell’IMA (e dell’edema
polmonare acuto).
Cardiac index
pH
Lattati
SvO2
Interessamento Ventricolo dx
PAM polmonare
SIRS
Infezioni concomitanti
Ischemia intestinale (nel 18% dei casi si associa a segni di sepsi)
Assenza o inefficacia del trattamento precoce dell'infarto (PCI – CABG)
La placca che ne consegue si organizza e determina un progressivo restringimento del lume: ciò che
clinicamente ne consegue è l'angina stabile, ovvero la normale perfusione a riposo e l'insufficiente
perfusione in presenza di un'aumentata richiesta.
A differenza dell'angina stabile (evento cronico) l'infarto è, come detto, un evento acuto, che
avviene a partire dalla malattia arteriosclerotica. Spesso ha a che fare con piccole fissurazioni della
placca, che determinano l'attivazione del fattore tissutale e la conseguente cascata piastrinica.
La positività degli enzimi miocardio specifici ci permette dunque di fare diagnosi di infarto del
miocardio, differenziandosi così dalle altre ischemie nell'ambito delle SCA.
L'infarto ST o STEMI (in passato definito infarto transmurale) è un tipo di infarto particolarmente
severo, che sottende la presenza di una placca ateromasica che oblitera l'arteria coronaria.
Lo STEMI necessita di trattamento tempestivo (si fa in unità emodinamica con angiografia) con
angioplastica primaria; generalmente tali pz non passano neanche dal pronto soccorso dato che la
diagnosi si fa spesso sul luogo, ad esempio grazie agli ECG sulle ambulanze.
Per parlare di diagnosi di STEMI (e non è così facile, ma è quantomeno importante porne il
sospetto) si deve riscontrare all'ECG:
✗ il tratto ST sopraslivellato di almeno 1 mm in almeno 2 derivazioni contigue
oppure
✗ la presenza di un blocco di branca sinistro di nuova insorgenza (nel dubbio, se ad esempio il
pz non sa o non è in grado di dirci che aveva già un blocco di branca sx, esso viene
considerato come nuovo e quindi come manifestazione elettrocardiografica di STEMI)
Come detto, quando una derivazione "guarda" la parte opposta rispetto al territorio interessato da
infarto, registrerà il contrario: queste depressioni si dicono "reciproche".
Ad esempio nello STEMI anteriore si avranno reciproche in D2, D3 e aVF.
Trovare le reciproche è un elemento che conferma la diagnosi di STEMI e devono essere sempre
presenti; se mancano le reciproche sorge il dubbio che il sovraslivellamento registrato nelle altre
derivazioni sia dovuto ad altre cause e non ad infarto.
• Blocco di branca sinistra (ovviamente non di nuova insorgenza sennò è STEMI): nonostante
un marcato sovraslivellamento ST, bisogna prestare attenzione alla durata del QRS, che si
mostra più largo.
Il QRS slargato è indice di un difetto di conduzione (nello specifico blocco branca sx).
• Sindrome di Brugada: alterazione genetica riguardante i canali del sodio che si accompagna
(specie il tipo 1) a sincope e morte improvvisa.
Spesso deve essere trattata con l'impianto di un defibrillatore.
ST è elevato specie in V1 e V2, ma in queste derivazioni si nota anche il complesso rSR'.
Enzimi miocardio-specifici
Come detto sono molto importanti e vengono richiesti per la diagnosi di infarto.
Va saputo che l'aumento degli enzimi nel siero dopo l'infarto avviene con una certa latenza,
dipendente anche dal tipo di enzimi che si vanno a dosare.
Quello più velocemente riscontrabile è la mioglobina, il cui incremento è già documentabile già nei
30 minuti successivi all'ostruzione coronarica completa.
La troponina (TnI) ed il CPK-MB (creatinfosfochinasi isoforma MB) hanno una latenza media di
almeno un paio d'ore, fermo restando la variabilità interindividuale.
L'enzima che aumenta più tardivamente è LDH, che però è anche quello che rimane elevato più a
lungo.
Per cercare di sopperire a questa falla nel sistema, si sta cercando di utilizzare delle troponine a più
elevata sensibilità (HsTnT).
La troponina classica (TnI) ha un limite inferiore, sotto il quale non si può differenziare l'infarto da
altre condizioni, che è di 0,03 ng/mL.
Usando reagenti appropriati, si cerca la HsTnT (già il nome stesso dice che la sua sensibilità è
maggiore) il cui cut-off inferiore è 15 ng/L (cioè per paragonarla con TnI, sarebbe 15000 ng/mL!).
Ciò consente di identificare con più sensibilità e quindi più precocemente l'inizio dell'aumento degli
enzimi di necrosi e quindi di porre più tempestivamente la diagnosi di IMA.
[CPK-MB invece deve essere > 13 U/L]
Va da sè che tanto più si sposta in basso il limite, tanto più si rischia di incorrere in dei falsi positivi.
Si è visto infatti che aumenti precoci di HsTnT non necessariamente si correlano sempre ad infarto
ma possono anche associarsi ad esempio a:
- altri episodi di ischemia cardiaca (quindi una semplice sofferenza delle cellule cardiache e non
necessariamente la loro necrosi)
- ipertrofia ventricolare sinistra
- ipertensione arteriosa
- insufficienza renale
Pertanto adesso il problema è che alcuni infarti possono "sfuggire" e quindi la latenza di diagnosi è
più lunga, ma bisogna stare attenti a non cadere nel problema opposto e cioè dei falsi positivi.
Per ovviare a questo problema non basta una singola misurazione, ma gli enzimi devono essere
ripetuti a 3h, a 6h, fino a 24h.
Quando c'è l'associazione di infarto (STEMI) e shock cardiogeno, il trattamento può modificarsi.
L'unica modalità per uscire dalla spirale autoalimentante dello shock cardiogeno è infatti quella di
restituire al cuore tanto più tessuto vitale possibile quanto prima: questo discorso è talmente valido
che va oltre le finestre classiche temporali di utilità della PCI.
A conferma di questo fatto, mentre nell'infarto semplice la PCI viene fatta solo a carico della
coronaria dalla cui obliterazione sono originate le alterazioni elettrocardiografiche e non si trattano
eventuali stenosi osservate nei territori collaterali, quando si associa lo shock cardiogeno si trattano
simultaneamente tutte le lesioni emodinamicamente significative.
Non c'è trattamento farmacologico che riesca a far recuperare tessuto vitale e regredire i sintomi
dello shock cardiogeno rispetto alla rivascolarizzazione in emergenza.
Ne è una riprova il fatto che la trombolisi, che nell'IMA semplice si può fare entro 12 ore con
risultati sovrapponibili alla PCI, nella complicazione con shock cardiogeno passa in secondo piano,
venendo utilizzata solo quando ci sono controindicazioni a PCI o CABG.
Dunque riassumendo il trattamento dello shock cardiogeno:
Trombolisi
Come detto la trombolisi nello shock cardiogeno ha un ruolo marginale data la necessità di
tempestività di rivascolarizzazione.
Più nello specifico, con la trombolisi si va ad attivare il plasminogeno in plasmina, rompendo i
cross-link di fibrina, ottenendo così la lisi del trombo ed i prodotti di degradazione della fibrina.
I trombolitici agiscono anche sulla fibrina tissutale, quella che è utile per evitare le emorragie.
Il rischio emorragico è infatti quello che si pone sull'altra parte della bilancia quando si utilizzano i
trombolitici: la finestra terapeutica nell'utilizzo dei trombolitici è quindi molto ristretta.
Ecco perchè ci sono farmaci con minore affinità per la fibrina.
Ci sono una serie di controindicazioni all'uso di questi farmaci che è opportuno conoscere.
Controindicazioni assolute
• Precedente emorragia intracranica o stroke di origine sconosciuta
• Stroke ischemico nei precedenti 6 mesi (perchè la fibrina sta ancora lavorando per riparare il
tessuto danneggiato durante l'ischemia)
• Qualsiasi tipo di danno al SNC, neoplasia o malformazione atrioventricolare
• Recente (1 mese) trauma maggiore o intervento chirurgico maggiore
• Sanguinamento gastrointestinale nel mese precedente
• Disordini noti della coagulazione (eccetto le mestruazioni)
• Dissezione aortica
• Puntura profonda nelle precedenti 24h in territorio non comprimibile (es. puntura lombare,
biopsia fegato)
Controindicazioni relative
• TIA (attacco ischemico transitorio) nei precedenti 6 mesi
• Terapia anticoagulante orale
• Gravidanza e prima settimana postpartum
• Ipertensione refrattaria (non risponde al trattamento acuto ed i valori pressori rimangono con
sistolica > 180 mmHg e/o diastolica > 110 mmHg)
• Malattia epatica avanzata
• Endocardite infettiva
• Ulcera peptica attiva
• Rianimazione prolungata
Il trattamento farmacologico nello shock cardiogeno (la trombolisi ne è un esempio ma appunto tutti
i farmaci in generale) ha un ruolo molto limitato, ciononostante ci sono farmaci che, usati
razionalmente, sono utili nel migliorare la situazione emodinamica, in attesa magari della
risoluzione completa del quadro clinico.
Utilizzando infusioni continue di questi farmaci noi possiamo quindi dosare la loro concentrazione,
modulandone la velocità di somministrazione per ottenere effetti diversi (ciò è utile anche in
ragione del fatto che hanno una finestra terapeutica ristretta).
➢ Inotropi (dobutamina)
➢ Calcio-sensibilizzanti (levosimendan)
➢ Inibitori fosfodiesterasi III (amrinone – milrinone – enoximone)
➢ Vasocostrittori (noradrenalina – dopamina)
Dobutamina
Può sorgere il dubbio, dato che nell'infarto il cuore dovrebbe essere messo a riposo e non stressato
ulteriormente: infatti nell'IMA semplice la dobutamina non si dà.
Quando invece l'IMA si complica in shock cardiogeno si opta per il male minore: è più importante
cercare di recuperare il quadro generale, e quindi si da la dobutamina per aumentare la contrattilità
cardiaca.
Complicanze:
• Aritmie ipercinetiche
Si consideri la vulnerabilità elettrica di un'area infartuata: la principale complicanza
dell'infarto è infatti la tachicardia e fibrillazione ventricolare, legata al fatto che l'area
infartuata genera di per sè dei circoli di rientro che sostengono un'aritmia ventricolare.
Dare dobutamina in questi casi sarebbe come buttare benzina sul fuoco, eppure rimane il
male minore, dato che è più importante recuperare l'indice cardiaco.
Così la titolabilità si rivela indispensabile per la gestione di questo farmaco.
• Extrasistolia
• Tachicardia ventricolare
Si tratta di un Ca2+ sensibilizzante ad azione piuttosto specifica: si lega infatti alla troponina C e ne
aumenta l’affinità per il Ca2+ senza modificare i livelli di Ca2+ intracellulare.
Ha anche un’azione vasodilatatrice periferica (compensata però dall'aumentato inotropismo che tale
farmaco induce a livello cardiaco).
La sua finestra terapeutica è molto ristretta (anche qui importante aggiustare bene la dose).
La complicanza principale è l'ipotensione arteriosa marcata (legata all'effetto vasodilatatore).
Controindicazioni:
- insufficienza renale
- insufficienza epatica
N.B. Trials randomizzati hanno mostrato una superiorità di levosimendan rispetto agli inibitori della
fosfodiesterasi III (quindi ad oggi si tende a non impiegarli), mentre c'è una sostanziale equivalenza
tra levosimendan e dobutamina.
Noradrenalina
Ora uno sguardo ai sistemi meccanici di supporto emodinamico, in particolar modo all'IABP.
Le variazioni emodinamiche che si verificano con l'IABP sono utili nello shock cardiogeno:
1. In diastole viene aumentata la P a livello dei tronchi sopraaortici e delle arterie coronarie,
migliorando così la perfusione di questi distretti (infatti cervello e cuore sono i più sensibili
all'ipoperfusione). [Spiazzamento di volume in aorta toracica in diastole]
Quello che si ottiene è un aumento della PA diastolica e riduzione della P telediastolica.
Il flusso coronarico aumenta del 15%.
2. A valle del contropulsatore gonfio (quindi ancora in diastole) si genera una caduta di
pressione, la quale genererà un effetto di suzione (per gradiente pressorio) nella sistole
successiva. [Creazione spazio morto per la successiva sistole]
Quindi il sangue verrà richiamato in periferia con maggior facilità: il gradiente pressorio
contro il quale il ventricolo sx deve lavorare è più favorevole.
Dunque si ottiene una riduzione del post-carico e conseguentemente della PA sistolica.
A dispetto di questi dati positivi, va comunque detto che l'efficacia di queste misure meccaniche è
piuttosto limitata.
La sopravvivenza legata all'uso dell'IABP è molto marginale (addirittura alcuni trial dicono che non
c'è alcun aumento della sopravvivenza).
Inoltre le complicanze all'uso dell'IABP sono molto serie: basti pensare a cosa succederebbe se il
pallone si dislocasse più distalmente andando a comprimere le arterie renali, o il tripode celiaco,
generando così territori ischemici di strutture molto importanti.
Senza contare il rischio di rottura dell'aorta.
Obiettivi del trattamento dello shock cardiogeno
Pertanto il trattamento sarà considerato efficace se determinerà (tra parentesi i dati non letti):
Clinica
Generalmente la comunicazione tra i ventricoli è costituita da uno o più piccoli canalicoli nello
spessore del setto IV: il sangue vi passerà con forte spinta pressoria generando moto turbolento.
Dunque al fonendoscopio si ausculterà un murmure olosistolico (spesso fremito) ad elevata
intensità, su tutti i focolai.
Trovare questo segno a pochi giorni da un infarto (laddove prima era assente) ci dà il forte sospetto
che si sia rotto il setto IV.
Diagnosi
• Differenza di gradiente di SvO2 tra atrio destro ed arteria polmonare (serve Swan Ganz)
Terapia
Oltre alla ricostruzione, vengono utilizzati IABP ed alcuni vasodilatatori: il tentativo è quello di
creare una riduzione della pressione a valle tale che questo valore diventi competitivo con quello
del ventricolo dx.
Cioè si cerca di fare in modo che per gradiente pressorio una parte di sangue pompato dal ventricolo
sx scelga di andare nel circolo sistemico (dove appunto si è indotta depressione) piuttosto che nel
ventricolo dx (dove ci sta andando per gradiente fisiologico tra le due camere).
Clinica
- soffio olosistolico irradiato all’ascella
- I tono abolito
- possibile III tono
- ritmo di galoppo
Diagnosi
- Ecocardiogramma (addirittura si potrebbe vedere il muscolo papillare ancora attaccato alle corde
tendinee che fluttua all'interno del ventricolo sx)
- Flebogramma (serve Swan Ganz) mostra onde V prominenti
Terapia
- Supporto inotropo
- Riduzione precarico
- Chirurgia in urgenza
TAMPONAMENTO CARDIACO
Evenienza relativamente più frequente delle precedenti.
Si tratta di una compressione ab extrinseco delle camere cardiache per accumulo di fluido (sangue o
siero) nello spazio pericardico.
• Elevata Pressione Venosa Giugulare (si ricordi che osservare le giugulari distese deve
subito farci pensare ad uno shock cardiogeno)
• Polso paradosso (differenza PA Sistolica > 10 mmHg nelle fasi della normale respirazione).
Si va al letto del pz e gli si chiede di fare un'inspirazione profonda e poi trattenere il respiro
per alcuni secondi durante i quali si misura la sistolica.
Dopo poco si fa il contrario: pz espira e rimane in apnea e si rimisura la sistolica.
La differenza che si riscontrerà nel pz con tamponamento cardiaco è dovuta al fatto che il
liquido determina una differenza di pressione transmurale a carico della parete cardiaca tale
che il riempimento ventricolare diventa molto più dipendente dalle variazioni di precarico
indotte dalle fasi respiratorie (normalmente la differenza è di 1-2 mmHg, ora è > 10).
[Ricorda: fisiologicamente in inspirazione il precarico ↑ / in espirazione il precarico ↓]
Ovviamente questo interessa più direttamente le sezioni di destra perchè hanno minore
pressione interna in grado di contrastare quella esterna, quindi basta che il tamponamento
generi una pressione esterna di 15 mmHg per determinare il collasse delle pareti destre.
Quelle di sinistra sono interessate di riflesso: se diminuisce lo stroke volume del ventricolo
di dx, diminuirà immancabilmente anche quello del ventricolo di sx.
• Tachicardia
• Dispnea
Diagnosi
➔ ECG mostra:
- Bassi voltaggi: il liquido attenua la trasmissione degli impulsi elettrici
- Alternanza elettrica: variazione dell'asse cardiaco ad ogni battito. Dal momento che il
cuore galleggia sul liquido pericardico, ad ogni battito esso cambia la propria posizione e
conseguentemente l'asse cardiaco varia ogni volta.
La clinica delle miocarditi è infatti quantomai variabile: ci sono forme asintomatiche, forme con
febbre, artralgie e dolore precordiale, e forme più gravi che portano a scompenso cardiaco
ingravescente oppure a shock cardiogeno.
Ne consegue grande variabilità anche nel decorso clinico: fulminante, acuta, cronica attiva, cronica
persistente.
La miocardite a cellule giganti ha purtroppo una elevata mortalità (86% a 1 anno).
[(non letto) Eziologia: idiopatica, virale, RAA, post-attinica, tossica, autoimmune, eosinofila,
sarcoidosi, altro.]
MIOCARDIOPATIA PERIPARTUM
Forma rara ma non rarissima (1:10.000) di miocardiopatia idiopatica (virale? infiammatoria?
autoimmune?) che si associa a scompenso cardiaco a bassa FE (fino ad esitare nello shock
cardiogeno) e che si presenta nelle fasi tardive della gestazione o nei primi mesi dopo il parto.
Tutti questi soggetti vanno incontro a coronarografia perchè trovando ipocinesie ci si deve
assicurare che le coronarie siano indenni.
- Risonanza magnetica può dare reperti specifici (in futuro potrebbe far evitare la coronarografia)
Prognosi: Buona (nel 95% dei casi risoluzione in 4-6 settimane), complicanze nel 20% dei casi.
Come si può notare, l'embolia polmonare (EP) è caratterizzata da un'ampia variabilità clinica,
potendosi avere ad un estremo forme completamente asintomatiche ed all'altro forme la cui
presentazione è direttamente la morte cardiaca improvvisa.
Il pz potrà avere una sintomatologia con varia associazione di: dispnea, cianosi, tosse, tachipnea,
dolore, edemi periferici, ecc.; ma si tratta di reperti molto aspecifici.
Per indirizzarci più specificatamente verso la diagnosi di EP si dovranno cercare elementi più
caratteristici: dato che nella stragrande maggioranza dei casi l'EP è una tromboembolia polmonare
(tranne rari casi in cui gli emboli sono di altra natura), l'elemento da ricercare sarà la presenza di
trombosi venosa profonda (TVP) e delle condizioni che la possono favorire (es. allettamento,
chirurgia maggiore, coagulopatie note, pregressa storia di TVP o EP, ecc.).
È importante fare subito questo tipo di ragionamento perchè ci permette di dare un giudizio di
probabilità sull'EP.
Successivamente ci sono tutta una serie di esami laboratoristici e strumentali che sono utili per
confermare o rafforzare il sospetto di EP.
L'ECG è molto importante: rapido, facilmente eseguibile e leggibile, economico.
Ci sono infatti reperti ECG piuttosto specifici di EP ma poco sensibili (non tutte le forme di EP li
presentano, ma quando si riscontrano allora sono abbastanza indicativi di EP).
• Il già citato sovraccarico del ventricolo dx lo si può trovare espresso anche in altre forme:
- presenza di blocco di branca destra
- T negativa e sottoslivellamento ST in V2 e V3
Il D-dimero è il dosaggio dei prodotti di degradazione della fibrina.
Di questo esame si cerca di sfruttare la sensibilità piuttosto che la specificità: cioè si va a cercare la
negatività del D-dimero come fattore che esclude la presenza di EP.
Trova quindi importanza nell'iter diagnostico nelle forme in cui la probabilità di EP è bassa.
Si cerchi di ricordare il cut-off assoluto < 500 ng/dL e quello, più specifico, aggiustato per l'età
(fisiologicamente il D-dimero aumenta con l'età) che è < 10 x età.
Anche l'ECOcardiogramma riveste un ruolo importante, per rapidità e diffusione, ma alcuni reperti
vanno saputi cogliere.
✗ Il sovraccarico del ventricolo dx si osserverà come una sua dilatazione acuta (essendo più
sottile è più suscettbile ad un incremento acuto della pressione a valle e quindi si dilata più
facilmente).
✗ Il "segno D" è semplicemente la dilatazione del ventricolo dx vista dal di sopra dello stesso.
L'ECOdoppler venoso degli arti inferiori è quello che ci fa eventualmente vedere la presenza di una
TVP, soprattutto nelle stazioni prossimali della vena femorale e poplitea.
L'angiografia polmonare può essere l'esame che conferma o meno la diagnosi di EP, ma
generalmente trova indicazioni solo in alcune forme (non acute) come il tromboembolismo cronico.
Sono degli score (Wells o Geneva), dei punteggi da attribuire per cercare di dare il giusto peso al
corteo di segni e sintomi.
Ad esempio nello score di Wells basta considerare solo 7 parametri e, dopo aver attribuito i giusti
punteggi, se il totale è superiore a 4 allora la diagnosi di EP sarà molto probabile.
Tali parametri sono:
1. Segni e sintomi suggestivi di TVP (edema arti inferiori, dolore alla palpazione dei muscoli
degli arti inferiori e alla mobilizzazione del piede sulla gamba, ecc.)
2. Non ci sono diagnosi alternative così probabili come l'EP (es. pz con BPCO che ha
ipertensione polmonare secondaria)
6. Emottisi
Infatti in presenza di ipotensione e di una diagnosi probabile di EP, il pz deve essere rapidamente
inviato ad un ECOcardiogramma per cercare i segni diretti ed indiretti di disfunzione ventricolare
destra.
Qualora l'ECO sia positiva (quindi ipotensione + probabilità clinica compatibile + ECO+) il valore
predittivo positivo di un'EP emodinamicamente significativa è del 97%.
In questi casi abbiamo finito, potrebbe non servire neanche la TC che, anzi, potrebbe far perdere
tempo prezioso.
Questo pz deve essere infatti rapidamente inviato al trattamento adeguato.
Se invece il paziente è emodinamicamente stabile (non c'è ipotensione) e la sua probabilità clinica è
bassa o intermedia, a questo punto ha senso il dosaggio del D-dimero (nel caso precedente non
aveva alcun senso perchè non aggiunge nulla a quanto già clinicamente manifesto).
Se il D-dimero è negativo, si può escludere l'EP: il pz può anche essere dimesso dal pronto
soccorso, infatti il rischio di EP a 3 mesi è solo dello 0,14%.
Con un D-dimero elevato, e più in generale in tutti i casi intermedi tra i due estremi presentati, la
TC ha un ruolo importante nel confermare od escludere l'EP.
Trattamento del soggetto con EP e shock cardiogeno
L'instabilità emodinamica (documentata da una PAS < 90 mmHg) determina poi indicazione alla
trombolisi (più frequentemente si usa l'alteplase).
[Ovviamente ciò non è possibile se ci sono controindicazioni alla trombolisi, che sono uguali a
quelle viste nello STEMI.]
In tutti gli altri casi, anche se si visualizza il trombo alla TC, anche se l'ECO mostra chiaramente il
sovraccarico del ventricolo destro, ma non abbiamo segni di ipoperfusione, non c'è indicazione alla
trombolisi.
Questo perchè la finestra terapeutica del trombolitico è molto ristretta: bisogna sempre soppesare il
beneficio del trattamento col rischio emorragico.
➢ Farmaci "tradizionali": Eparina a basso peso molecolare in acuto (la dose è "peso : 100" mL
2 volte al giorno) così da garantire una copertura completa, cui si sovrappone il warfarin
nella terapia in cronico che però appunto per entrare a pieno regime ha bisogno di tempo.
➢ Nuovi Anticoagulanti Orali (NOACs): alcuni di essi trovano indicazione, oltre che in
cronico, anche in acuto (es. Rivaroxaban).
Il warfarin agisce inibendo la vitamina K, cofattore importante nella produzione dei fattori della
coagulazione, in particolar modo i fattori II (trombina), VII e X.
Il suo effetto avviene non prima di 3-4 giorni.
Il suo funzionamento è valutato andando a calcolare l'INR.
Tuttavia ci sono adesso farmaci che possono intervenire a livelli diversi della cascata coagulativa.
Tra i NOACs si ricordano dunque:
✔ Inibitori del fattore II attivato (IIa), cioè della trombina attivata, come il Dabigatran
(finiscono tutti in -tran).
✔ Inibitori del fattore X attivato (Xa) che è un cofattore fondamentale per l'attivazione della
trombina (finiscono tutti in -aban) come Apixaban, Rivaroxaban, Edoxaban.
Vantaggi
• Non richiedono aggiustamento del dosaggio ("una pasticca va bene per tutti")
• Hanno emivita più breve (12-24h) (in presenza di complicanze, il fatto che il warfarin
rimanga attivo per più giorni può essere un problema)
Svantaggi
• Se c'è interessamento dell'origine delle coronarie si avrà IMA (15%) → shock cardiogeno
Clinica
Diagnosi
Si sta studiando l'impiego della TC in urgenza in presenza di dolore toracico, per escludere una
triade di malattie potenzialmente mortali.
Usando delle particolari cardioTC (ECG-gated angio-TC) si cerca di attuare il cosidetto "Triple rule
out", cioè l'esclusione con un solo esame di EP – IMA – Dissecazione aortica.
Clinica
Cause
- Idiopatico
- Barotrauma secondario all’utilizzo di elevate PEEP (pressioni positive di tele-espirazione)
- Post-traumatico
- Iatrogeno (broncoscopia, tracheostomia)
- Complicanza di pneumotorace spontaneo idiopatico
• ECOgrafia torace: applicata al letto del malato riduce i tempi della Rx.
Come noto, l'ECOgrafia non è in grado di studiare il parenchima polmonare perchè gli
ultrasuoni non vengono trasmessi nell'aria, tuttavia vengono riflessi dalla superficie pleurica.
Quello che vediamo normalmente appoggiando la sonda a livello di uno spazio intercostale
è quindi uno scorrimento pleurico consensuale agli atti del respiro: questo ci dice che il
polmone è a diretto contatto con la parete pleurica e quindi non c'è aria nel cavo pleurico.
Laddove vi sia pneumotorace osserveremo invece una fissità della pleura: siamo autorizzati
così a pensare che nel cavo pleurico vi sia aria e perciò il polmone non è a parete.
• TC
Terapia
Si tratteranno adesso una serie di condizioni in cui la struttura cardiaca e vascolare è assolutamente
integra, non ci sono aree necrotiche, infiammate, ostruite, ecc., ma c'è un problema di frequenza
cardiaca (uno degli elementi fondamentali dell'indice cardiaco).
La fc è importante perchè anomalie del ritmo cardiaco possono dare shock cardiogeno.
Si parla di "aritmie emodinamicamente instabili": anomalie del ritmo associate ad ipotensione e
segni di ipoperfusione sistemica (cioè associate a shock cardiogeno).
Le anomalie della fc possono aversi in ambo i sensi: ci saranno così bradiaritmie e tachiaritmie.
Nonostante siano fenomeni di natura opposta, entrambe possono dare, in maniera diversa, shock
cardiogeno.
In presenza di serie bradiaritmie (fc < 50 bpm), lo shock cardiogeno si può instaurare con un
meccanismo abbastanza semplice: la fc ridotta determina (la gittata pulsatoria è normale) una
ridotta gittata cardiaca, così da arrivare allo shock cardiogeno.
In presenza di serie tachiaritmie (fc > 150 bpm), lo shock cardiogeno è spiegato dal fatto che non vi
è adeguato tempo affinchè il ventricolo si possa riempire di sangue in diastole.
Pertanto, nonostante la fc aumentata, la gittata pulsatoria sarà molto ridotta, cosicchè la gittata
cardiaca risulti diminuita, per andare quindi incontro allo shock cardiogeno.
Anomalia non rarissima della generazione e trasmissione dell’impulso dal nodo del seno atriale.
Il nodo del seno è una struttura piuttosto vulnerabile, irrorata dall'arteria del nodo del seno (I ramo
della carotide destra): quindi una causa potrebbe essere l'ostruzione prossimale della carotide destra
che determina l'ischemia delle cellule pacemaker del seno.
Altre cause possono essere degenerazione con fibrosi e cicatrizzazione (specie negli anziani).
La disfunzione di queste cellule pacemaker non può essere compensata adeguatamente da altre
strutture: fisiologicamente infatti il nodo del seno è il segnapassi dominante, colui che determina la
fc basale.
La diagnosi è prettamente elettrocardiografica: quando il nodo del seno è disfunzionante non c'è
nulla che lo sostituisca, si osserva silenzio elettrico (ECG piatto).
Solo le forme più avanzate di BAV sono sintomatiche e si associano ad una prognosi sfavorevole.
Ci sono forme di BAV tali che la frequenza ventricolare è di circa 20-30 bpm: sono queste i casi che
vanno incontro a shock cardiogeno.
Un semplice rallentamento nella conduzione del nodo AV è piuttosto frequente e lo si vede poichè
aumenta la distanza tra P e QRS.
Questo è il BAV di I grado ed è del tutto asintomatico.
Fasi più avanzate di BAV possono portare ad un progressivo rallentamento di conduzione AV, fino a
che si assiste al blocco di un impulso: all'ECG si noterà che, dopo un progressivo allungamento
della distanza tra P e QRS, si perde una sistole ventricolare, ovvero una P non sarà seguita da nulla
fino alla P successiva. [la fc diminuirà]
Nel BAV di III grado, l'attività atriale si dissocia completamente da quella ventricolare.
Nel ventricolo prende il sopravvento un segnapassi locale (dopo il fascio di His) che ha una
frequenza intrinseca di scarica molto bassa (circa 20 bpm).
All'ECG si avranno onde P in successione ordinata che sono completamente slegate dai più rari
complessi QRS (a volte le onde cadono separate, a volte la P si sovrappone al QRS).
Questi ultimi due BAV presentano dunque le caratteristiche bradiaritmiche per manifestarsi come
shock cardiogeno.
Nella FA il ritmo che normalmente origina dal nodo del seno viene soppiantato da focus atriali che
normalmente non dovrebbero esistere, ma che per qualche motivo cominciano a generare
all'impazzata un elevato numero di scariche elettriche
Nella FA l'impulso irregolare generato dagli atri arriva al nodo AV ad una frequenza superiore a
300-350 bpm.
La maggior parte dei battiti generati dall'atrio fibrillante non viene condotta al ventricolo, in virtù
dell'esistenza del periodo refrattario.
Il numero complessivo dei battiti condotti al ventricolo (cioè la fc) dipende quindi dalla durata del
periodo refrattario delle cellule del nodo AV.
All'ECG la FA si mostra come tante piccole ondine asincrone (dette onde F) al posto dell'onda P.
Ogni tanto (c'è irregolarità del battito) si nota un battito ventricolare (QRS) che non è stato bloccato.
Trattamento bradiaritmie sintomatiche (cioè con shock)
1. Misure di supporto:
◦ Rianimazione cardiopolmonare o ACLS (advanced cardiovascular life support) se
incosciente, cioè fondamentalmente se c'è assenza di polso
◦ Clinostatismo per garantire adeguata perfusione cerebrale
◦ Ossigeno-terapia
◦ Incannulamento venoso laddove la pressione lo consenta
◦ Monitoraggio continuo elettrocardiografico e dei parametri vitali
L'atropina può quindi essere il primo approccio terapeutico nelle bradiaritmie sintomatiche:
non è un farmaco maneggevole, è facile andare in sovradosaggio.
Si fanno boli da 0,5 mg (corrispondenti a 1 fiala da 1 mL) diluiti in 10 cc di soluzione
fisiologica; ripetibile fino a 3 volte, ognuno a distanza di almeno 5 minuti.
N.B. L'atropina ha scarsa efficacia nel BAV di II grado Mobiz 2, nel BAV 2:1 e nel BAV di
III grado, perchè le cellule più sensibili alla sua azione sono appunto quelle in cui agisce
meglio il sistema parasimpatico, ovvero le cellule del nodo seno atriale e AV.
Nel ventricolo invece il parasimpatico agisce molto poco perchè non ci sono recettori: nel
BAV es. di III grado, dove una zona di ventricolo è diventata segnapassi, l'atropina sarà poco
efficace.
4. Se l'atropina è inefficace possono aver senso farmaci che aumentano il tono simpatico,
quindi farmaci simpatico-mimetici (effetto cronotropo positivo ed inotropo positivo).
➔ Dopamina
➔ Adrenalina
➔ Altri farmaci più specifici come Isoproterenolo e Orciprenalina
5. Se tutto ciò non è efficace, si ricorre al pacing.
Ci si sostituisce all'attività elettrica intrinseca del cuore, andando a fornire gli impulsi
elettrici che il cuore non è più in grado di generare.
Si usano delle piastre del tutto simili a quelle usate per la defibrillazione per far così passare
degli impulsi elettrici ritmicamente generati da un apparecchio (sanno anche cardiovertire).
TACHIARITMIE SINTOMATICHE
Qualora l'aumento della fc sia talmente elevato da non garantire più un adeguato riempimento
ventricolare, il pz andrà in shock cardiogeno.
Anche in questo caso si ricorrerà ad una corrente elettrica esterna per interrompere la tachiaritmia.
Si ponga il caso di un pz con FA che però ha una rapida scarica ventricolare (FA a rapida frequenza
ventricolare), cioè passano tantissimi battiti; questo si può realizzare in alcune condizioni.
Ecco allora che un pz con FA e sindrome di Wolff-Parkinson-White avrà un ventricolo che batte
all'impazzata: tutti gli impulsi dettati dalla FA (> 300 bpm) vanno al ventricolo.
In questo caso si avrà una tachiaritmia sintomatica che va interrotta elettricamente.
In questi casi in cui il quadro clinico è particolarmente grave è indicata la cardioversione elettrica
sincronizzata.
Laddove possibile occorre garantire un accesso venoso; il pz dovrebbe inoltre essere sedato perchè
la scarica è molto dolorosa.
Ci sono poi diversi trattamenti farmacologici associati alle varie tachiaritmie che possono evolvere
in shock cardiogeno.
In questi casi (la suddivisione tra complessi ventricolari larghi e stretti è specialistica) sono sì
presenti tachiaritmie, ma c'è ancora circolo: il pz presenta segni di shock cardiogeno, ma non quei
tre più gravi prima elencati.
Qui bisogna sì intervenire con prontezza ma non c'è l'urgenza di cardiovertire per ripristinare la
situazione emodinamica.
[Sono stati letti solo i nomi delle tachiaritmie, non quello dei farmaci]
Le caratteristiche della sincope ci aiutano nella DD, infatti per parlare di sincope:
- il pz deve perdere coscienza ("stavo per svenire" o "mi sono sentito male" non è sincope!)
- la perdita di coscienza è transitoria (secondi, minuti) ed autolimitante, cioè la causa che l'ha
generata si risolve spontaneamente; seguirà un recupero spontaneo
N.B. la sincope non è sinonimo di caduta a terra, ciò avviene solo se il pz stava in piedi
Presincope: condizione soggettiva che porta l'individuo ad avvertire la sincope come imminente
("stavo per svenire", "mi sono sentito svenire", ma poi il pz non ha perso coscienza).
È attualmente il termine che sostituisce le definizioni di lipotimia e prelipotimia.
Viene definita presincope severa quando la sua comparsa comporta l'arresto delle funzioni motorie e
la variazione della postura.
• Intossicazioni
• Cataplessia: perdita del tono muscolare parziale o completa, scatenata da emozioni spesso
spiacevoli.
Il paziente, pur apparentemente privo di coscienza, mantiene ricordo dell’accaduto.
• Drop attack: improvvisa ipostenia degli arti superiori con caduta a terra in assenza di perdita
di coscienza.
• Cadute
Tra le altre condizioni viste finora, quella meno facile da differenziare dalla sincope è l'epilessia.
Si ponga attenzione sul fatto che i movimenti tonico-clonici non sono prerogativa dell'epilessia ma
appunto anche alcune sincopi possono presentarli (però tipicamente non c'è rigidità degli arti).
➢ SINCOPE NEUROMEDIATA
◦ Vasovagale
◦ Situazionale
◦ Sincope del seno carotideo
➢ SINCOPE CARDIACA
◦ Aritmica
◦ Organica
SINCOPE NEUROMEDIATA
Il riflesso è un qualcosa che di per sè si autolimita, quindi alla fine del riflesso viene ripristinato il
normale tono vagale e simpatico, fc e PA tornano normali e finisce la sincope.
[(non letti) Prodromi: debolezza, sensazione spiacevole di testa vuota, diaforesi, offuscamento della
visione, mal di testa, improvvisa sensazione di caldo o freddo, nausea, pallore del viso, sopore,
dilatazione delle pupille, irritabilità.]
Eventi scatenanti
Vasovagale
- Prolungata postura eretta
- Ambiente caldo
- Paura
- Forti emozioni o dolori
- Iniezioni o prelievi
Seno carotideo
- Manipolazione accidentale del collo in soggetti con ipersensibilità del seno carotideo
Situazionale
- Accessi tussigeni; Strumenti a fiato; Deglutizione
- Defecazione, Dolore addominale; Post-prandiale
- Minzione; Post-minzione
- Post-esercizio fisico; Sollevamento pesi
Il seno carotideo è un recettore che si trova a livello della biforcazione della arteria carotide comune,
il cui compito è quello di rispondere con una aumento della scarica parasimpatica al suo aumentato
stiramento; lo scopo è quello di regolare il flusso ematico e la pressione arteriosa a livello dei vasi
cerebro afferenti.
In alcuni soggetti queste cellule sono ipersensibili (ipersensibilità del seno carotideo); questa
ipersensibilità può essere dovuta talvolta a nessuna causa apparente, oppure in alcuni casi a
fenomeni infiammatori o irritativi a livello del seno carotideo (es. malattia aterosclerotica) o alla
presenza di neoplasie.
Questa ipersensibilità fa si che questo gruppo di cellule non reagisca soltanto a stimoli interni, ma
anche a stimoli esterni (es. si stimola anche con un semplice massaggio; questa tra l'altro è una
manovra che viene usata in cardiologia per il trattamento delle tachicardie sopraventricolari
parossistiche in quanto è un modo per aumentare rapidamente la scarica parasimpatica (alla domanda di
pucci ne avete parlato a cardiologia Alex risponde si (?????), si vede che già all'epoca sapeva che avrebbe fatto la tesi co narcos) )
Quindi in questi soggetti anche un semplice massaggio o una pressione esterna (es.sincope quando si
stringe la cravatta, va a caccia, si fa la barba ecc.) provoca una sincope neuromediata (attivazione
parasimpatica con FC<40 e PS<90mmhg).
Diagnosi
Innanzitutto è importante l'anamensi, chiedendo al soggetto se cosa stava facendo prima di avere la
sincope, dopodichè si puo fare una manovra che ci permette di diagnosticare questa ipersensibilità
del seno carotideo: il massaggio del seno carotideo, che metterà in evidenza un progressivo
abbassamento della FC e della PA fino a determinare in alcuni casi una sincope.
Le controindicazioni all' esecuzione di questa manovra sono: un soffio carotideo (da stenosi
aterosclerotica, in quanto una compressione del seno può determinare una ipoperfusione in questo
caso), o un TIA recente.
Questa manovra deve essere ovviamente fatta in condizioni particolari e in un ambiente idoneo:
1. Porre il paziente in clinostatismo, con collo esteso e piegato dal lato controlaterale e con un
accesso venoso.
2. Monitoraggio continuo ECG.
3. Massaggiare longitudinalmente per 5-10’’; se non vi è risposta massaggiare per altri 30’’ in
maniera più energica.
4. Misurare e monitorare la PA.
5. Ripetere le manovre in ortostatismo.
La risposta che noi avremo in seguito alla manovra (e quindi anche durante una qualsiasi
stimolazione) potrà essere:
• Cardioinibitoria: evocazione di sincope in corso di bradicardia marcata, arresto sinusale o
blocco AV >3 s.
• Vasodepressoria: caduta della PAS > 50mmHg o > 30 mmHg associata a sintomi
• Mista
Terapia
È una questione molto importante e delicata, poichè molto spesso le cause di questa ipersensibilità
non sono rimovibili, quindi in questi casi l'unica terapia consiste nell'impianto di un pacemaker.
IPOTENSIONE ORTOSTATICA
E' un tipo di sincope diversa rispetto a quella neurogena, poichè in questo caso si ha il
coinvolgimento del sistema nervoso SIMPATICO, che controlla il tono vasocostrittore della
muscolatura vascolare. In seguito alla disfunzionde del SNS svremo infatti una mancata
vasocostrizione nel momento in cui il soggetto si alza in piedi, con conseguente crollo della pressione
arteriosa e riduzione della perfusione cerebrale, che determina la sincope (fisiologicamente nel
momento in cui ci alziamo in piedi abbiamo un abbiamo un abbassamento della pressione a causa
della forza idrostatica che viene compensato da una vasocostrizione soprattutto delle arterie degli
arti inferiori).
Cause
La vasocostrizione periferica è regolata dal SNS mediante una azione sui recettori alfa, quindi tutto
ciò che blocca il funzionamento di questi recettori porebbe potenzialmente provocare una
ipotensione ortostatica; oltre a questo meccanismo l'ipotensione ortostatica si può verificare in
soggetti con una neuropatia periferica, come ad esempio i soggetti con diabete mellito
scompensato. Più nello specifico le cause di ipotensione periferica sono:
• Disautonomopatia
➔ Primitiva (insufficienza autonomica pura, atrofia multisistemica).
➔ Secondaria (m. di Parkinson (è una delle prime manifestazioni), neuropatia diabetica,
amiloidosica)
• Indotta da farmaci:
➔ Anti-ipertensivi
➔ Tamsulosina – Doxazosin (anti alfa)
➔ Nitrati (TTS e OS)
➔ Alfa-metil-Dopa, clonidina, L-Dopa
➔ Sertralina, desipramina, amitriptilina
➔ Clopromazina, tioridazina, promazina
➔ Vincristina (neuropatia)
• Deplezione di volume
➔ emorragie marcate
➔ diarrea
➔ m. di Addison
• Grafico 1 (sx): in questo caso osserviamo che il soggetto sviluppa ipotensione nel momento
del passaggio dalla posizione di clinostatismo a quella di ortostatismo (PA crolla da 100mmhg
a 50 mmhg), avvertendo una sensazione di svenimento immediata, tuttavia la presenza di
una residua attività simpatica fa si che all'abbassamento della PS corrisponda un aumento
della FC tale per cui la pressione ritorna a valori normali. Questo fenotipo di ipot ortostatica è
quello meno grave, e in questo caso raramente avremo sincope.
• Grafico 2 (dx): questo caso rappresenta la forma più grave di ipotensione ortostatica, quella
associata costantemente a sincope; infatti osserviamo come in seguito all'abbassamento
pressorio non si verifica un aumento della FC compensatorio, conseguentemente la PA
rimarrà prolungatamente bassa, con la sintomatologia che comparrà a distanza di tempo.
Legata a una disfunzione completa del SNS.
Da un punto di vista clinico questi grafici implicano che noi dobbiamo valutare, ricercare la differenza
di pressione tra il clino e l'ortostatismo in un arco di tempo piuttosto prolungato (circa 2 minuti); se
noi osserviamo che l'abbassamento della pressione si protrae per un periodo di tempo superiore ai 2
minuti, possiamo fare diagnosi di ipotensione ortostatica e dobbiamo mettere in atto delle strategie
terapeutiche.
Si parla di ipotensione ortostatica se:
• la differenza tra PA sistolica in clino e ortostatismo è > di 20mmhg
• PA sistolica in ortostatismo è <90 mmhg
• se ci sono dei sintomi: lipotimia (sensazione di stare per svenire).
SINCOPE CARDIACA
E' la forma più pericolosa perchè alla base c'è una patologia cardiaca che può essere potenzialmente
fatale.
Ne esistono principalmete due forme:
• da ARITMIA CARDIACA (essendo la sincope una patologia transitoria e autolimitante anche
l'aritmia deve esserlo):
➔ Malattia del nodo del seno
✔ Sindrome bradicardia-tachicardia.
➔ Alterazioni della conduzione AV (blocco di 3 grado intermittente)
➔ Tachicardie parossistiche sopraventricolari e ventricolari (determinano una riduzione
della gittata)
➔ Cardiopatie aritmogene congenite
✔ S.di Brugada
✔ Sindrome del QT lungo
➔ Aritmie indotte da farmaci
➔ Malfunzionamento di PMK.
ITER DIAGNOSTICO
- Ecocardiogramma.
- ECG Holter.
- Tilt test
- Loop recorder (permettono di monitorare
l’attività elettrica cardiaca nel paziente nel
lungo periodo (a differenza dell’holter che
dura 24h), mediante degli elettrodi
sottocutanei)
Esterni
impiantabili
- Studio elettrofisiologico
- Test all’adenosina (20 mg in bolo; valuta
l’eventuale presenza di blocchi di
conduzione legati all’iperattività vagale)
- Test ergometrico
URGENZE ED EMERGENZE IPERTENSIVE
La pressione arteriosa deve essere misurata bene: vanno fatte almeno 3 misurazioni eseguite dopo
un periodo di riposo in posizione seduta di 5-10 minuti, e intervallate tra di loro di almeno 2 minuti
(penso che intenda che il paziente va fatto riposare 5-10 minuti dal momento che entra in
ambulatorio e dopo vanno fatte le rilevazioni intervallate da 2 minuti l'una dall'altra) e in seguito si fa
la media dei 3 valori riscontrati.
La crisi ipertensiva è una definizione arbitraria che indica un incremento acuto di PA con valori
superiori a 180/110 mmHg (severa se >220/120 mmHg).
Di fronte a un paziente che ha una crisi ipertensiva non dobbiamo pensare subito a abbassare la PA,
poichè potremmo arrecare un danno al paziente, ma è necessario prima inquadrare bene il paziente
da un punto di vista clinico, cioè valutare quali sono gli elementi clinici (segni e sintomi) che si
accompagnano alla crisi ipertensiva.
In particolare dobbiamo andare a ricercare l'evetuale presenza di danni d'organo associati alla crisi.
Si parla infatti di:
Nella maggior parte dei casi queste crisi ipertensive si verificano nell'ambito di due condizioni
patologiche (in realtà sarebbe una sola condizione patologica, poichè l'ipertensione accellerata è più
o meno un sinonimo di ipertensione maligna):
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Encefalopatia ipertensiva
• Fisiopatologia: edema vasogenico diffuso per perdita dell’integrità della barriera emato-
encefalica
• Clinica (aspecifica): CEFALEA (spesso frontale, continua), riduzione del livello di coscienza
(stato soporoso, stupor), crisi convulsive, deficit neurologici focali (spesso transitori e
migranti), disturbi del visus , nausea e vomito
• Diagnosi differenziale: encefalopatia epatica, encefalopatia uremica, ictus, TIA, encefalite,
ESA, commozione cerebrale, emorragia intraparenchimale, lesioni espansive endocraniche
• Iter diagnostico: TC (diagnosi differenziale), MRI (iperintensità della sostanza bianca diffusa,
prevalentemente localizzata ai lobi posteriori ed al TE). Fundus oculi (microemorragie –
essudati – papilledema)
(questa patologia è rara, ad oggi è difficile trovarla, quindi non dobbiamo assolutamente fare l'errore
di considerare la contemporanea presenza di pressione alta e la presenza di cefalea sempre come un
segno di una encefalopatia ipertensiva; se invece a una pressione alta oltre alla cefalea si associano
altri segni neurologici e soprattutto la presenza di un un papilledema allora probabilmente saremo di
fronte a una encefalopatria ipertensiva)
Eclampsia
• Clinica: crisi epilettiche generalizzate e/o coma legata a una irritazione cerebrale causata da
un edema vasogenica (encefalopatia ipertensiva) nelle gravide che presentano segni di pre-
eclampsia
• Pre-eclampsia (segni e sintomi legati all’aumento della pressione in gravidanza; legato a un
anomalo sviluppo delle arterie terminali che devono vascolarizzare il trofoblasto):
ipertensione in gravidanza (gestosi), proteinuria, edema polmonare, oliguria,
trombocitopenia, aumento AST/ALT, oligoidramnios.
• Decorso: spesso a carattere ingravescente fino al coma.
• Fisiopatologia: encefalopatia di natura ipertensiva (edema vasogenico) in corso di pre-
eclampsia
• Diagnosi: TC-MRI
• Terapia: supporto parametri vitali (decubito laterale), anticonvulsivanti (MgSO4, lorazepam,
diazepam), ossigeno-terapia, controllo PA, induzione del parto o parto cesareo in urgenza.
Work up
Workup
Anamnesi/EO/EN
Fundus oculi ECG
Valutare la presenza di EcoCG
danno d’organo TC/MRI encefalo – AngioTC Esami di
laboratorio (Hb, elettroliti,
creatininemia, …Una aumento
dell’MPV può essere segno di necrosi
fibrinoide (indica la presenza di
piastrine giovane dovute a un
consumo perifierico))
Se danno d’organo
URGENZAIPERTENSIVA
assente
Trattamento
Principi di trattamento
• Captopril • Esmololo
• Nifedipina • Labetalolo
• Furosemide • Nitroglicerina
• Clonidina • Fenoldopam
• Nitroprussiato di sodio
• Ramipril • Nicardipina
• Amlodipina
• Fentolamina
• Idralazina
EMERGENZE ENDOCRINOLOGICHE
CRISI SURRENALICA ACUTA
E' un Evento relativamente infrequente, data la bassa prevalenza della malattia di Addison (circa 5
casi/100.000 pz); insorge di solito su soggetti che hanno una insufficienza surrenalica cronica:
• Nel 25% dei casi è la prima manifestazione di un’insufficienza cronica surrenalica
• L’8% dei soggetti affetti da insufficienza surrenalica cronica ha almeno una crisi acuta ogni
anno.
Clinica
Fattori scatenanti
Sono fattori che di solito inducono una crisi in soggetti che già hanno una patologia cronica:
• Infezioni gastroenteriche, traumi, interventi chirurgici, eventi stressanti
• Emorragia surrenalica bilaterale (vasculite dei piccoli vasi) in corso di sepsi (da meningococco
frequentemente); (N.B. Nel 15% degli shock settici è stata identificata autopticamente la
presenza di emorragia surrenalica bilaterale)
• LES, Ab-antifosfolipidi, anticoagulanti (emorragia surrenalica bilaterale)
• Adrenalectomia bilaterale
Diagnosi
Sono tutti dei test che comunque impiegano un po’ di tempo per dare risultati, quindi la diagnosi
deve essere fatta soprattutto sulla base clinica e anamnestica, mentre si attendono i risultati
laboratoristici, poi eventualmente utilizzare anche esami strumentali.
Terapia
Nella maggior parte dei casi questi soggetti sono normalmente istruiti sul prevenire questi eventi
acuti, tuttavia può succedere che la terapia preventiva cortisonica non sia efficace e si verifichino
queste crisi. La terapia (EV) è basata su:
• Idrocortisone: 100 mg ogni 6 ore EV
• Desametasone (non interferisce con il test all’ACTH – ha azione mineralcorticoide): 40 mg
ogni 6-8 h
• Reintegro fluidi (1000 mL/h)
• Correzione disturbi elettrolitici
• Correzione ipoglicemia
Indicazioni
1. shock severo, non responsivo a fluid challenge (500 mL in 10 minuti),
che richiede trattamento con vasopressori
2. Asse ipofisi-surrene non responsivo a somministrazioneACTH
(cortisolo a 6h <250 mcg/dL)
CRISI TIREOTOSSICA
CRISI TIREOTOSSICA
E' una grave forma di tireotossicosi a decorso acuto ed ingravescente; è una forma rara, tuttavia
gravata da elevata mortalità (90%).
Eziologia
Si tratta di una patologia in cui per, meccanismi ancora non chiariti, avremo un' azione adrenergica
che determina un incremento del rilascio di ormoni tiroidei e un aumento del funzionamento degli
ormoni stessi a livello periferico.
Fattori precipitanti
Qusti fattori sono elementi che non necessariamente interferiscono con la produzione e il rilascio
di ormoni tiroidei, ma possono essere semplicemente dei fattori stressanti che portano a una
attivazione del sistema simpatico:
• Chirurgia tiroidea, manipolazione, trauma tiroideo.
• Sepsi
• Anestesia
• Radioiodio – mdc iodato
• Farmaci (pseudoefedrina, anticolinergici, FANS)
• Chetoacidosidiabetica
• Eccessiva assunzione di ormoni tiroidei.
Clinica
Il quadro clinico può essere variabile anche se ci sono segni come ad esempio l'ipertermia che
sono presenti quasi costantemente. Gli elementi clinici della crisi tireotossica sono ovviamente
dovuti a un aumento degli effetti che normalmente gli ormoni tiroidei danno sui tessuti periferici:
• Ipertermia (anche fino a 41°C), sudorazione, elevata PA differenziale (elemento molto
specifico di ipertiroidismo), tachicardia, scompenso ad alta gittata, aritmie, rabdomiolisi
(interessa soprattutto gli arti inferiori con pazienti che hanno dolore e fanno fatica anche a
mettersi in piedi)
• Nausea, vomito, diarrea, dolore addominale, ittero
• Ansia, agitazione psico-motoria, epilessia, coma, tremori
• Distressrespiratorio,acidosi lattica, shock (spesso rappresenta la causa di morte di questi
soggetti).
L'elemento clinico che ci permette di sospettare la diagnosi è l'ipertemia, in questo caso infatti la
temperatura sarà molto più alta rispetto all'ipertermia legata a una infezione.
Diagnosi
Terapia
Si possono utilizzare varie strategie terapeutiche:
• Raffreddare il paziente (icepacks) ghiaccio applicato a livello cutaneo, fisiologica
raffreddata
• beta bloccanti, eventualmentei.v. per neutralizzare gli effetti degli ormoni a livello
cardiovascolare (propranololo–esmololo sono farmaci non cardioselettivi, agiscono anche
su altri organi)
• Tireostatici (bloccano la sintesi degli ormoni tireodei): propiltiouracile è il farmaco di
scelta, ad alte dosi (150 mg x 4), ma fare attenzione alla sua epatotossicità;
Metimazolocome 2°scelta (somministrare tramite SNG se il soggetto non deglutisce, in
alternativa somministrazione rettale)
• Blocco della liberazione di ormoni tiroidei (soluzione satura di iodio: liquido di Lugol)
• Cortisonici (idrocortisone– desametasone): bloccano la conversione periferica di T4 in T3
• Colestiramina(inibisce il riassorbimento degli ormoni tiroidei a livello della
circolazioneentero-epatica)
• Plasmaferesi (come ultima chance).
COMA MIXEDEMATOSO
E' una condizione clinca che si sviluppa in soggetti con un Ipotiroidismo cronico su cui agisce un
evento acuto (stress fisico o psichico, ipotermia, infezione, farmaci, acidosi respiratoria). Tra i
Farmaci responsabili del coma mixedematoso abbiamo: sedativi, anestetici, narcotici,amiodarone,
beta-bloccanti, fenitoina, diuretici.
Clinica
Prognosi
Terapia
idrocortisone + L-tiroxina (carico di 800 mcg+ 100 mcg/die) o per via orale o parenterale.
URGENZE ED EMERGENZE METABOLICHE
CRISI IPERGLICEMICA
Noi sappiamo che la glicemia è finemente regolata da insulina e dagli ormoni controregolatori. Nel
caso in cui c'è un deficit di azione insulina questo è il quadro che si sviluppa nei vari soggetti.
La parte sinistra del grafico fa riferimento soprattutto a soggetti con diabete di tipo 1 (che
sviluppano chetoacidosi diabetica), mentre la parte destra fa riferimento a soggetti con diabete di
tipo 2 (con iperosmolarità), anche se non c'è una distinzione netta tra queste due situazione
perché potremmo ritrovarle in fasi diverse nello stesso paziente; quindi in un paziente con diabete
noi dovremo sempre andare a valutare sia la presenza di acidosi sia quella di iperosmolarità
poiché saranno i fattori che influenzeranno maggiormente la prognosi (vi può essere anche un
certo livello di acidosi nel coma iperosmolare e vi possono essere problemi di iperosmolarità in
soggetti con chetoacidosi diabetica).
Quindi in un soggetto con iperglicemia a prescindere dal tipo di diabete dobbiamo valutare quali
sono i livelli di osmolarità e quant'è il livello di acidosi (quindi non andare a valutare solo la acidosi
in un diabete di tipo 1 o l'osmolarità in un tipo 2).
[altre cose dette riguardanti lo schema: I soggetti che sono più a rischio di andare incontro a
disidratazione sono gli anziani, poiché a livello ipotalamico aumenta la soglia che regola
l'osmolarità (quindi si avrà la sensazione di sete a una soglia di osmolarità più alta), inoltre talvolta
c'è anche una incapacità del soggetto di riuscire a idratarsi e a reintegrare liquidi. Nel coma
iperosmolare i livelli di glicemia sono molto più alti rispetto a quelli che si raggiungono nella cheto
acidosi, semplicemente per il fatto che nella chetoacidosi il soggetto muore prima di arrivare a
livelli di glicemia cosi elevati.]
IPERGLICEMIA IPEROSMOLARE
Osmolarità plasmatica
2 x (Na+ + K+) + (glicemia mg/dL/18) + (azotemiamg/dL/2.7)
considera le sostanze osmoticamente attive (ioni, elettroliti (Na, K), glicemia, azotemia)
es.2 x (155 + 5.5) + (600/18) + (44/2.7) = 370 mOsm/L.
Molto importante è valutare il contributo del glucosio all'iperosmolarità; si verifica una particolare
relazione tra Na e glu in presenza di iperglicemia:
Trattamento
Alla luce di quanto detto l'approccio terapeutico deve essere effettuato in base alle caratteristiche
del soggetto e non soltanto preoccupandoci di correggere l'iperglicemia. Infatti in un soggetto
disidratato dovrà essere corretta la disidratazione, e poi l'iperglicemia, anche perché l'idratazione
già di per se sarà sufficiente a determinare un iniziale abbassamento della glicemia. “Non è
raccomandato usare insulina nelle prime fasi della iperglicemia iperosmolare”.
Decremento atteso:
100 mg/dL /h
Variazioni dei principali parametri condizionanti l’osmolarità plasmatica ottenibili con la sola
somministrazione di S.F. 0,9%
Questo è un grafico che mostra come si modificano nel tempo il sodio, l'urea, il glucosio e
l'osmolarità durante un trattamento adeguato, a partire da quando il paziente inizia a essere
trattato.
Se noi somministriamo liquidi osserviamo che il glucosio inizia a scendere, senza che venga
somministrata insulina; osservando sempre la curva di diminuzione del glucosio possiamo
osservare una prima parte di maggiore pendenza (decremento rapido) e una seconda di minore
pendenza (decremento lento); fino a quando si ha un decremento rapido non è necessario
somministrare insulina, insulina che invece va somministrata quando raggiungiamo la fase di
plateau.
il sodio aumenta, a causa della riduzione della glicemia (meccanismo visto in precedenza), ed è un
parametro che noi possiamo valutare per verificare se il nostro trattamento è o meno corretto
(non lasciarsi ingannare, se il sodio aumenta vuol dire che il trattamento sta avendo effetto).
Tutto questo per dire che il soggetto va strettamente monitorato e i vari parametri (Na, urea,
glucosio e osmolarità) vanno presi ripetutamente nell'arco delle prime ore, per valutare quando la
glicemia non viene più corretta dalla semplice somministrazione di liquidi ma è necessario
somministrare insulina: questo sta a indicare che abbiamo corretto la disidratazione del soggetto.
In conclusione:
• FLUIDI (soluzione fisiologica 0,9%)
➔ 1 L in 1 ora
➔ Entro 6-12 ore ottenere un bilancio idrico (differenza tra acqua data e urina prodotta)
positivo di circa 3-4 L
➔ Reintegro del deficit di H2O libera (calcolato su Na+ corretto) (solo se questo è
presente, noi possiamo avere anche una iperglicemia iperosmolare con disidratazione
ma senza deficit di acqua libera)entro 24-36 h; si utilizzano soluzioni emifisiologiche
cioè ipoosmolari, allo 0,45%; è una correzione che va fatta lentamente e nelle fasi più
tardive.
• INSULINA E GLICEMIA
➔ Non necessaria l’insulina nella prima fase
➔ Evitare correzione aggressiva iperglicemia (shift di H2O nel compartimento
intracellulare -edema intracellulare, ipotensione)
➔ Iniziare IV se:
➢ Chetonemia–acidosi
➢ Raggiungimento della fase di plateau della glicemia
➔ Dosaggio: 0,05 U/Kg/h (es. in 70 Kg: 50 U in 50 mLpompa siringa a 3,5 mL/h)
➔ Obiettivo: glicemia 180-270 mg/dL
• POTASSIO (insulina riduce K e acidosi aumenta il K) l'ipopotassiemia va prevenuta:
➔ >5,5mmol/L: non si fa niente
➔ 4,5– 5,5 : somministrare 40 mEq ogni L di NaCl0,9%
➔ < 3,5 : incrementare il dosaggio
• BICARBONATI: Non indicati
• ANTICOAGULANTI (primo perchè sono in coma, poi perchè la iperosmolarità predispone a
un aumentato rischio trombotico (aumenta di circa 3 volte)• Enoxaparinaa dosaggio
profilattico
CHETOACIDOSI DIABETICA
Trattamento
• FLUIDI
➔ 1 L in 1 ora
➔ 1 L nelle successive 2 ore, successivamente 1L ogni 4 ore (minori quantità di liquidi
rispetto all'iperglicemia iperosmolare poiché la glicemia è più bassa in questo caso)
➔ Reintegro del deficit di H2O entro 24-36 h
• INSULINA E GLICEMIA (in questo caso l'insulina si somministra da subito perché ci
permette di correggere l'acidosi)
➔ Dosaggio iniziale: 0,1 U/Kg/h (es. in 70 Kg: 50 U in 50 mLpompa siringa a 7mL/h)
➔ Obiettivo 1°h: glicemia 50 mg/dL, HCO3- 3mmol/L
➔ Eventualmente aumentare dose insulina di 1 mL/h
➔ Iniziare somministrazione di soluzione glucosata al 10% se glicemia < 250 mg/dL
➔ Somministrare insulina long-actingallo stesso dosaggio precedentemente utilizzato
➔ Evitare insulina rapida
• POTASSIO
➔ >5,5mmol/L: non si fa niente
➔ 4,5– 5,5 : somministrare 40 mEq ogni L di NaCl0,9%
➔ < 3,5 : incrementare il dosaggio
• BICARBONATI Non indicati (provocano un incremento paradosso di acidosi intracranica e
possono contribuire alla comparsa di edema cerebrale)
CRISI IPOGLICEMICA
Terapia
Se il soggetto può assumere sostanze per via orale si possono usare bevande zuccherate (coca-cola
acqua e zucchero ecc.) oppure:
1. Glucagone(Glucagen) : fiale da 1 mL s.c. o i.m. L’effetto inizia dopo 1 minuto e dura circa
10-15 minuti
2. 2. S. glucosata 33% (è una soluzione temporanea, per via IV)
COMA
Stato di profonda incoscienza caratterizzato dalla perdita del rapporto con la realtà circostante,
della sensibilità e della motilità volontaria.
E' una scala molto importante perché oltre che valutare il grado di coma permette di avere una
comunicazione chiara anche tra i medici. Va dal normale grado di vigilanza fino al coma profondo;
viene attribuito un punteggio che va da 3 a 15, un gcs >9 non viene considerato coma al di sotto di
9 avremo invece vari livelli di coma (fino a GSC 3 che è il coma profondo).
GSC:
• Apertura degli occhi:
➔ spontanea (4)
➔ alla parola (3)
➔ al dolore (2)
➔ nessuna risposta (1)
• Risposta verbale:
➔ buon orientamento (5)
➔ conversazione confusa (4)
➔ parole inappropriate (3)
➔ suoni incomprensibili (2)
➔ nessuna risposta (1)
• Risposta motoria:
➔ esecuzione degli ordini (6)
➔ localizzazione del dolore (5)
➔ retrazione al dolore (4)
➔ risposta flessoria al dolore (3)
➔ risposta estensoria al dolore (2)
➔ nessuna risposta (1)
Forma più grave dell’encefalopatia epatica. Causa di morte nel 30% dell’insufficienza epatica
terminale (acuta e cronica).
Meccanismo: edema cerebrale provocato da: aumentato flusso cerebrale e alterazione della
barriera emato-encefalica, che permette il passaggio di sostanze osmoticamente attive (ammonio
o altri metaboliti che aumentano di concentrazione in seguito all'insufficienza epatica), che a loro
volta vengono assorbite dagli astrociti (funzione detossificante); in seguito a questo assorbimento
gli vanno incontro a un rigonfiamento, con conseguente edema cerebrale e coma, causato
dall'aumento della pressione intracranica.
Fattori scatenanti
L'encefalopatia si sviluppa in soggetti con insufficienza epatica su cui agiscono dei fattori che
portano a un incremento di queste sostanze osmoticamente attive che poi il fegato non riesce ad
eliminare, con conseguente accumulo a livello circolatorio:
• Aumentato assorbimento di ammonio: aumento di
➔ apporto proteico alimentare (consumo di grande quantità di carne rossa)
➔ Infezioni – peritonite batterica spontanea
➔ Alterazioni idroelettrolitiche – diuretici (furosemide) (ipokaliemia alcalosi NH3
nella forma non ionizzata)
➔ Sanguinamento gastro-enterico ( sostanze azotate per degradazione dei globuli rossi a
livello GI e liberazione delle loro proteine)
➔ Riduzione del filtrato glomerulare ( eliminazione NH3)
➔ Costipazione (rallentamento del transito intestinale che determina una maggiore
produzione di ammonio da parte di alcuni batteri del tratto GI)
➔ Farmaci (sedativi, oppiacei, antipsicotici)
• Shunt porto-sistemico
➔ Ipertensione portale
➔ TIPS (transjugularintrahepatic portosystemicshunt): evento ad insorgenza acuta in 1
caso su 3.
Orientamento diagnostico
Clinica
Esistono dei segni precoci e dei segni tardivi, di fatto questa è una patologia che segue vari stadi
fino ad arrivare al coma. Nelle fasi precoci di encefalopatia epatica il soggetto sembra solo
apparentemente mantenere uno stato di coscienza, in realtà si hanno già dei disturbi, che possono
essere messi in evidenza mediante della domande specifiche (questi disturbi sono: cambiamento
di personalità, fluttuazioni dell’umore, confusione, letargia, rallentamento ideo-motorio,
disorientamento, eloquio incomprensibile), dopodiché si avrà una progressione verso il coma con
stato soporoso (sonnolenza con risposta a stimoli verbali), stupor (sonno profondo con risposta a
stimoli dolorosi intensi), e infine coma(assenza di risposta).
Altri segni di epatopatia (spider nevi, asterixis,fetor hepaticus,…); ovviamente anche l'anamnesi e l'
esame obiettivo ci aiutano nella diagnosi.
Laboratorio
Ammonio: attenzione in circa il 10% dei casi può essere negativo, non correla con la gravità del
quadro clinico e non è un marker di efficacia del trattamento
Strumentale
Trattamento
• Prevenzione della polmonite da aspirazione (vale per tutti i soggetti in coma): considerare
sondino naso-gastrico o l’intubazione endotracheale
• Lattulosio (lassativo osmotico) per os o per via rettale, va dato a dose abbondante:
aumenta transito intestinale, acidifica le feci (acidificare l'ambiente GI permette di ridurre
l'assorbimento di ammonio) e riduce l’assorbimento di acidi organici. Somministrare
tramite sondino naso-gastrico (20 g ogni 3-4 h) o clistere. Obiettivo: 3-4 evacuazioni di feci
soffici/die
• Antibiotici ad azione intraluminale (contrastano attività batteri che producono ammonio):
rifaximina 400 mg x 3 –neomicina – paromomicina
• Aminoacidi a catena ramificata
• Se agitazionepsico-motoria:aloperidolo
• MARS: molecularabsorbentrecyclingsystem (per insufficienza epatica):
➔ Sistema di rimozione di sostanze potenzialmente tossiche legate all’albumina
(tradizionalmente non dializzabili)
➔ Es.: sali biliari, bilirubina, acidi grassi liberi, triptofano, alcuni farmaci
➔ Funzionamento: scambiatore di anioni e filtro a carboni attivi
➔ Obiettivo terapeutico: garantire un certo livello di rigenerazione degli epatociti in
attesa di trapianto
COMA ETILICO
Categorie a rischio:
• bambini: ingestione accidentale di preparati contenenti alcool etilico (farmaci, sostanze ad
uso topico, profumi, cosmetici), ingestione accidentale di bevande alcooliche
• adolescenti–adulti: ingestione volontaria di elevate quantità, spesso insieme a sostanze da
abuso
CLINICA
DIAGNOSI E TERAPIA
COMA UREMICO
Fase finale dell’encefalopatia uremica (a sua volta fase finale dell'insufficienza renale). Spesso ad
eziologia multifattoriale, soprattutto nei pazienti dializzati (azoto, deficit di tiamina, neurotossine,
accumulo di Al, ipercalcemia intracerebrale da iperPTH secondario,…).
Trattamento di supporto. Miglioramento parziale dopo dialisi (anche se non vi è correlazione tra
quadro clinico e livelli di azotemia).
INTOSSICAZIONI ACUTE
• Seconda causa di morte di natura traumatica dopo gli incidenti stradali (initalia circa 1000
decessi/anno)
• Nell’82% dei casi intossicazioni non intenzionali
• Proporzione di morti non intenzionali da overdose in incremento
Da questa diapositiva si nota quella che è l'incidenza e la mortalità intrinseca dei vari tipi di
intossicazioni; inoltre si valuta come è alto il numero di intossicazioni da farmaci che si utilizzano
comunemente nella pratica quotidiana (analgesici e cardiovascolari soprattutto), e di intossicazioni
da sostanze che vengono utilizzate nella vita di tutti i giorni (detersivi sostanze chimiche ecc.)
Approccio generale
E' un approccio che viene eseguito in tutte le intossicazioni a prescindere dall'agente eziologico;
mentre si mettono in atto queste misure si deve comunque iniziare a pensare e ricercare la causa
alla base dell'intossicazione. Si valutano:
• AIRWAY: protezione della pervietà delle vie aeree. Considerare intubazione endotracheale
se rischio di polmonite da aspirazione (o sondino nasogastrico)
• BREATHING: correzione ipossiemia, valutazione (e correzione) di acidosi respiratoria
• CIRCULATION: fluidi, vasopressori se shock.
Subito dopo aver verificato I parametri ABC si somministra:
• NALOXONE 1 fl nel sospetto di intossicazione da oppiacei (soprattutto se riscontriamo
miosi – coma– depressione respiratoria); il naloxone può essere somministrato anche in
caso di diagnosi incerta per il fatto che è un farmaco ben tollerato e non da effetti avversi
gravi (ci permette in questi casi una diagnosi ex adiuvantibus)
• Stick glicemico (eventualmente s. glucosata 33% se c'è ipoglicemia)
• Valutazione clinica approfondita
Valutazione clinica
In questi casi basta valutare alcuni segni clinici sui vari apparati per poter arrivare abbastanza
facilmente alla diagnosi.
Esami di laboratorio
• Glicemia
• Funzionalità epatica e renale
• Elettroliti sierici
• Screening tossicologico (il referto è disponibile in urgenza); non c'è una correlazione tra I
valori trovati negli esami di laboratorio, la concentrazione ematica della sostanza e il suo
effetto clinico, quindi se noi troviamo l'esame tossicologico positivo ad es per I barbiturici
possiamo solo concludere che sono presenti barbiturici nell'organismo del nostro paziente
e non dare una valutazione quantitativa (in pratica noi possiamo concludere che ci sono
barbiturici ma non che I barbiturici sono la causa dell'intossicazione, il tutto va confrontato
con il dato clinico e anamnestico); a questa regola ci sono due eccezioni che sono il
paracetamolo e l'etanolo;
➔ Paracetamolo
➔ Carbamazepina
➔ Acido valproico
➔ Digossina
➔ Etanolo
➔ Litio
➔ Salicilati
➔ Fenitoina
➔ Teofillina
➔ Benzodiazepine
➔ Barbiturici
➔ Eroina
➔ Morfina
➔ Metadone
➔ Cocaina
➔ Cannabinoidi
➔ Amfetamine e MDMA
• Emogasanalisi: serve oltre che per definire la quantità di ossigeno di cui ha bisogno il
paziente anche per valutare un eventuale modificazione di PH; in particolare tramite il gap
anionico riusciamo a distinguere le acidosi metaboliche in cui si hanno sostanze che
cedono H+ da quelle dovute a un consumo di bicarbonati: (Na+ + K+)– (Cl- + HCO3-) = v.n.
<16mmol/L. Quindi ritrovare un gap anionico elevato ci permette di indirizzare I nostri
sospetti verso determinate sostanze; le sostanze che cedono ioni H+ sono:
➔ Metanolo
➔ Etilen glicole
➔ Etanolo
➔ Salicilati
➔ Simpaticomimetici
➔ Isoniazide
➔ Ibuprofene
➔ Altre cause di gap anionico aumentato sono: Acidosi lattica, Chetoacidosidiabetica,
Uremia, Monossido di carbonio
• Gap osmolare elevato: Osmolarità misurata – Osmolarità calcolata = v.n. <10mOsm/L;
esistono sostanze osmoticamente attive che noi normalmente non prendiamo in
considerazione nella formula che ci permette di calcolare l'osmolarità; se osserviamo una
differenza elevata tra osmolarità misurata con l'osmometro e quella calcolata con la
formula classica (quindi se troviamo un gap osmolare elevato) significa che l'intossicazione
è causata da sostanze osmoticamente attive. Queste sostanze sono:
➔ Alcooli (metanolo – etanolo – etilen glicole)
➔ Farmaciosmoticamenteattivi (mannitolo – sorbitolo glicerolo –mezzi di contrasto)
➔ Acetone
Esami strumentali
• ECG, è molto utile per individuare la causa ma anche per evidenziare le possibili
complicanze aritmiche dell'intossicazione:
➔ Alcuni farmaci determinano un Blocco canali potassio (QT prolungato per interferenza
sulla fase di ripolarizzazione), potendo determinare una TV o una Torsione di punta:
➢ Neurolettici Antidepressivi (SSRI) Antiaritmici Fluorochinoloni Idrossiclorochina
➔ Alcuni farmaci determimano un Blocco canali sodio (QRS prolungato per interferenza
sulla depolarizzazione), potendo determinare dei Blocchi AV avanzati o una FV:
➢ Carbamazepina Cocaina Ca++antagonisti NonDiidropiridinici Beta-bloccanti
Fenotiazine
• Rx torace: può essere utile in una sola condizione, cioè l'edema polmonare acuto da
salicilati.
Misure di supporto
Esistono delle misure di supporto generali e altre specifiche in base all'agente eziologio:
• Gastrolusi
➔ Di rara efficacia (solo se entro 1 h dall’ingestione)
➔ Controindicata in caso di ingestione di acidi-alcali–detergenti (schiuma), perché in
questo facciamo ritransitare queste sostanze per l'esofago eponendolo a ulteriori danni
(ustioni)
➔ Complicanze: perforazione gastrica – polmonite –ipossia – aritmie cardiache
• Irrigazione intestinale: Polietilenglicole 2 L/h (è una sostanza che non viene assorbita e che
rimane nel lume gastrointestinale; la sua somministrazione determina un aumento della
velocita di transito intestinale e un ridotto assorbimento)
➔ Controindicata se: ileo (sindrome colinergica, oppiacei, betabloccanti) – perforazione
intestinale
➔ Può essere utile in caso di: metalli (litio –ferro) o formulazioni a rilascio enterale
(salicilati)
• Carbone attivo:
➔ Dosi singole:
➢ Contrasta l’assorbimento di molte sostanze
➢ 50 g entro 1 ora dall’ingestione tramite SNG
➢ Non efficace se: acidi – alcali –carbamati/organofosforici– metalli
➢ Può stimolare il riflesso del vomito
➔ Dosi multiple:
➢ Inibisce l’assorbimento intestinale delle sostanze escrete attraverso la circolazione
entero-epatica (es.carbamazepina– fenobarbital–teofillina -salicilati)
• Alcalinizzazione delle urine
➔ Principio: inibizione del riassorbimento tubulare degli acidi deboli idrosolubili (forma
ionizzata)
➔ Bicarbonato di sodio: 100-200mmol in bolo + infusione continua
➔ ObiettivopH urine >7,5
➔ Indicato in caso di: salicilati – antidepressivi triciclici –fenobarbital
➔ Complicanze: disturbi elettrolitici
➔ La diuresi forzata(fluidi + diuretici) non è raccomandata: i diuretici riducono
l’eliminazione renale di alcune sostanze (es. Salicilati).
• Misure terapeutiche avanzate: emodialisi
➔ Utile in casi selezionati: sostanza scarsamente legata a proteine, idrofila, basso volume
di distribuzione, basso peso molecolare
➔ Ideale per: alcooli tossici (metanolo–etilen glicole), acido valproico, salicilati,
metformina, litio
➔ Complicanze: ipotensione arteriosa, squilibri elettrolitici, instabilità emodinamica
• Sistemi di emoperfusione – MolecularAdsorbentRecyrculating System: sostanze
potenzialmente legate all’albumina (barbiturici – teofillina).
• Antidoti: una volta che abbiamo identificato la causa possiamo intervenire con delle
sostanze che bloccano in maniera specifica la sostanza tossica:
Sostanza Antidoto
Organofosforici – carbamati Atropina
Ossalati – citrati Cloruro di Ca++
Digossina FAB (Ab leganti digossina)
Alcooli tossici Fomepizolo
Benzodiazepine Flumazenil
Methotrexate Acido folinico
Paracetamolo N-acetilcisteina
Oppioidi Naloxone
Cianuro Idrossicobalamina
Metaemoglobina Blu di metilene
Isoniazide Piridossina
Warfarin Vitamina K
Paracetamolo
Antidepressivi triciclici
Ca antagonisti e beta-bloccanti
Oppiacei
Benzodiazepine
USTIONI
Le lesioni (sia interne che esterne) possono essere causate da: Fiamme, Scottature, Oggetti caldi,
Agenti chimici, Energia elettrica (ustioni interne). Le ustioni interne sono quelle più difficili da
trattare per il fatto che è difficile valutare con esattezza quella che è l'entità del danno, e vanno
quindi sempre trattate come ustioni gravi .
Trattamento
Danni da inalazione
Ovviamente in caso di lesioni molto estese e gravi I soggetti vengono mandati nei centri per grandi
ustionati.
Trattamento
Supporto emodinamico
Il supporto emodinamico è molto importante laddove ci sia una perdita di liquidi e proteine
significativa, con possibile shock ipovolemico (aumento resistenze periferiche, edema nella zona
dell’ustione, incremento della permeabilità vascolare); è necessario che il reintegro sia rapido ed
adeguato. I prodotti da utilizzare sono:
• Colloidi: macromolecole che non oltrepassano l’endotelio, richiamando acqua per effetto
osmotico e trattenendo acqua all'interno del vaso Es. albumina, HES, emagel.
• Cristalloidi: acqua in cui sono disciolte sostanze osmoticamente attive. Es. s.fisiologica
0,9%, ringer lattato (contiene acido lattico che funziona come tampone, e quindi può
essere somministrato se è presente acidosi) ringer acetato (utilizza acido acetico come
sistema tampone; indicato nelle acidosi ipercloremiche); in condizioni di acidosi I ringer
lattato e acetato sono da preferire alla soluzione fisiologica.
Per misurare la diuresi dobbiamo far riferimento alla Diuresi attesa: 0,5 mL/Kg/h, cioè la quantità
di urina prodotta nell'unità di tempo in condizioni di euvolemia: se la diuresi è aumentata rispetto
a quella attesa va ridotta di un terzo, se è ridotta va aumentata di un terzo.
Terapie specifiche