Sei sulla pagina 1di 86

Medicina

d'Urgenza
MEDICINA D'URGENZA

Programma:

1. SHOCK CARDIOGENO (SCA - EP - ARITMIE


EMODINAMICAMENTE INSTABILI)

2. SINCOPE

3. EMERGENZE ED URGENZE IPERTENSIVE

4. EMERGENZE METABOLICHE ED ENDOCRINE

5. COMI (EPATICO - ETILICO - UREMICO - COMI NEL PAZIENTE


DIABETICO)

6. INTOSSICAZIONI

7. USTIONI

La Medicina d'Urgenza è una branca dell'Internistica che si occupa prevalentemente di malattie ad


esordio acuto ed andamento ingravescente per le quali la tempestività d'intervento è fondamentale.
Peculiarità di questa materia è che spesso il ragionamento diagnostico va di pari passo col
trattamento terapeutico: a volte si comincia a trattare ancora prima di avere un quadro pienamente
chiaro e definito. Il problema principale infatti è proprio la mancanza di tempo.

Serve la capacità di prendere decisioni rapidamente seguendo un ragionamento "non usuale" detto
euristico.
Generalmente infatti si applica il ragionamento analitico (es. si presenta un pz con cefalea e si
vanno a cercare con calma tutte le possibili eziologie che vanno in DD, chiedendo poi esami per
escluderle tutte: nei pz in medicina d'urgenza non c'è tempo per fare le cose in questo modo!).
Il ragionamento euristico appunto non segue i percorsi classici, si fonda sì sulle conoscenze ma
addirittura anche l'intuizione può avere un suo peso!
SHOCK
Lo shock è l'incapacità da parte del sistema cardiocircolatorio di generare un'adeguata pressione
arteriosa al fine di assicurare un'adeguata perfusione d'organo, garantendo così ai vari organi
l'ossigeno ed i nutrienti di cui necessitano per poter funzionare correttamente.

Per "shock" si intende dunque una malattia ad interessamento sistemico caratterizzata da (servono
entrambi gli elementi: magari ci sono donne che fisiologicamente hanno PAS di 82 mmHg per via
di basse resistenze periferiche ma non sono shockate perchè non hanno alcuna sintomatologia):

• Ipotensione arteriosa:

- PA Sistolica < 80 mmHg oppure


- PA Media < 60 mmHg laddove in condizioni normali la PA era normale oppure
- PAM < 30 mmHg rispetto ai valori baseline

Per la PAM di solito si usa la "regola del 3": si prende ⅓ della PA Differenziale (Sistolica –
Diastolica) e lo si somma alla PA Diastolica.

Non è affatto semplice misurare la PA in presenza di shock (tralasciando il fatto che la


"vera" PA andrebbe presa invasivamente) perchè i toni allo sfigmomanometro diventano
attenuati, spesso a volte non si sente proprio nulla.

In questi casi si possono attuare alcuni stratagemmi, uno dei quali è la palpazione del polso
distale: tenendo la mano del pz alla stessa altezza del braccio, si mette il bracciale
normalmente e si cerca il polso radiale. Si sgonfia lentamente il bracciale ed il primo battito
del polso radiale che si avvertirà corrisponderà alla PAS.

• Segni e sintomi di inadeguata perfusione d’organo

◦ Encefalo: alterazioni dello stato di coscienza


◦ Polmone: sindrome da distress respiratorio acuto
◦ Cuore: ischemia; IMA
◦ Fegato: epatite ischemica (fegato da shock) [è asintomatica! solo dati laboratoristici]
◦ Intestino: ischemia intestinale
◦ Reni: insufficienza renale acuta (oligo-anuria)
◦ Muscoli: rabdomiolisi
◦ Pallore cutaneo; possibili alterazioni del visus

Si possono distinguere 3 tipologie principali di shock:

➢ Ipovolemico 16% [manca il contenuto: sangue e/o plasma]

➢ Distributivo 66% [deficit del contenitore, cioè delle Resistenze periferiche]


Il tono muscolare arteriolare è finemente regolato sia a livello locale che sistemico.
Il tono adrenergico è regolato dai barocettori che rispondono alle variazioni di PA.
La scarica di catecolamine trova poi i suoi recettori a livello delle arteriole periferiche (400
micron di diametro, poco prima dell'ultimo punto in cui il tessuto muscolare circonda i vasi
arteriosi, dato che non c'è tessuto muscolare nei capillari), inducendo così il mantenimento
di un tono vasocostrittivo. Il deficit di questo tono genera ipotensione.

◦ Settico (le resistenze periferiche diminuiscono a causa dell'NO prodotto a causa del
lipopolisaccaride, citochine, ecc.)

◦ Anafilattico (le resistenze periferiche diminuiscono a causa dell'azione dell'istamina e


dei suoi prodotti di degradazione)

◦ Neurogeno / Spinale: trauma spinale interessante le efferenze che vanno ad innervare la


midollare del surrene, che si traduce quindi in un'inadeguata secrezione di catecolamine.

➢ Cardiogeno 18% [manca la pompa]


◦ Meccanico
◦ Ostruttivo
◦ Aritmico

Ovviamente i quadri possono coesistere: nulla vieta che un paziente sia shockato per 2 motivi.

SHOCK CARDIOGENO
Per parlare di shock cardiogeno bisogna riallacciarsi a tutta la terminologia della fisiologia cardiaca.

Il volume di sangue eiettato dal cuore ad ogni battito (cioè ad ogni sistole ventricolare) è definito
"Gittata pulsatoria" (o Stroke Volume), intesa quindi come la differenza tra Volume TeleDiastolico e
Volume TeleSistolico → Gp = Vtd – Vts

Il volume di sangue eiettato in un battito va poi moltiplicato per il numero di cicli cardiaci in un
minuto (cioè per la frequenza cardiaca), ottenendo così un valore chiamato Gittata cardiaca (o
Cardiac Output) → Gc = Gp x fc
Pertanto si può mantenere un certo livello di volume di sangue al minuto (cioè di gittata cardiaca) o
aumentando la Gp o la fc: spesso infatti avviene che nelle fasi iniziali dello shock si verifica un
aumento della fc per sopperire alla diminuzione della Gp.

Per confrontare la Gc tra le varie persone, e definire un punto oltre il quale si possa parlare di
patologia, bisogna normalizzarla per la superficie corporea, ottenendo così l'Indice Cardiaco (o
Cardiac Index CI), che farà quindi riferimento ad un Volume, un'unità di tempo ed una di superficie:
la sua unità di misura sarà infatti L/min/m2.
Oltre a conoscere la fc e la superficie corporea del soggetto, per ricavarne il CI si potrebbe usare un
ECOcardiogramma per valutare Vtd e Vts, così da calcolare la Gp.
Per parlare di shock cardiogeno deve esserci una riduzione dell'indice cardiaco:
- CI < 1,8 L/min/m2 oppure
- CI < 2 - 2,2 L/min/m2 se si stanno utilizzando IABP (presidi terapeutici meccanici come il
contropulsatore aortico) o farmaci inotropi

Altro elemento fondamentale dello shock cardiogeno è il riscontro di oliguria (< 500 mL/die
oppure < 0,5 mL/kg/h) oppure anuria (< 30mL/die), segno tangibile e più facilmente
documentabile di ipoperfusione a livello renale.

Un codice della disfunzione cardiaca è l'analisi (invasiva) delle pressioni intracardiache destre e
sinistre in telediastole: se tali pressioni aumentano vuol dire che c'è una quantità di sangue residuo a
livello del ventricolo che genera una certa pressione; non essendo stata adeguatamente espulsa, ce la
ritroveremo al battito successivo quando arriva il nuovo precarico.
La disfunzione cardiaca si ha per Ptdvs (LVEDP) > 18 mmHg e Ptdvd (RVEDP) > 10 – 15 mmHg.

Sintomatologia

I segni e sintomi dello shock cardiogeno da ricercare con prontezza e attenzione sono:

• Ipotensione arteriosa

• Assenza di segni di ipovolemia [il contenuto c'è]

• Estremità fredde – cianotiche: c'è stasi del circolo a livello distale


(si faccia il confronto col soggetto in shock settico che avendo un circolo iperdinamico
presenterà estremità molto calde e arrossate per la vasodilatazione)

• Sudorazione algida: il sistema simpatico funziona


Come accennato la prima risposta dell'organismo allo shock è quella di attivare tutti i sistemi
che generano vasocostrizione. I barocettori rispondono alla variazione di PA attivando il
simpatico, che indurrà la secrezione delle ghiandole sudoripare, purtuttavia su una cuta
fredda. La sudorazione algida è presente anche nello shock ipovolemico.

• Stato mentale alterato (per ipoperfusione cerebrale)

• Polso periferico rapido (aumenta la fc come risposta compensatoria), debole (non c'è
adeguata pressione) e spesso irregolare

• Ipertensione venosa giugulare – edema periferico


Tale segno è molto importante perchè individuabile a colpo d'occhio e caratteristico dello
shock cardiogeno (così da poter escludere quello ipovolemico e distributivo).
L'aumento delle pressioni a monte del cuore, soprattutto a livello delle sezioni destre
(ipertensione venosa giugulare) si accompagnano ad edema periferico, anche se le
tempistiche di quest'ultimo sono più lente.

Diretta conseguenza di tutto ciò è il fegato da stasi: un fegato palpabilmente ingrossato e


dolorabile per la distensione della sua capsula.
• Rantoli crepitanti all'EO del torace, segno dell'aumento della Pressione capillare polmonare,
cioè di uno stravaso di liquidi dal torrente circolatorio prima nell'interstizio e poi negli
alveoli.

• EO cuore: terzo e quarto tono, rispettivamente indicanti un aumento della rigidità


ventricolare ed atriale.
Spesso i toni sono parafonici perchè ci sono concomitanti rumori polmonari disturbanti.

• Bassa PA differenziale

• Aumento del tempo di riempimento (refilling) capillare del letto ungueale, facilmente
documentabile ma non facilmente ripetibile perchè soggetto a molte variabili.
Si schiaccia l'unghia della mano per circa un minuto e poi si vede entro quanto tempo
avviene il refilling: se ciò avviene dopo oltre 2 secondi è un segno di ipoperfusione distale.

• Segno della marezzatura cutanea: è una specie di reticolo a livello cutaneo con maglie scure
e zone più bianche all'interno.
La marezzatura cutanea è un segno suggestivo e serio di ipoperfusione (il rischio di morte
nelle 24 ore successive è di circa il 60%).

Eziologia

Lo shock cardiogeno può essere conseguenza di varie condizioni patologiche, e spesso tali eziologie
sono complicanze l'una dell'altra.

➔ IMA (per avere deficit di pompa deve essere interessato > 40% della massa VS)

➔ Rottura di muscolo papillare – disfunzione mm. Papillari

➔ Rottura setto interventricolare

➔ Rottura parete libera VS (da pseudoaneurisma)

➔ IMA dx (essendoci a destra meno tessuto miocardico muscolare, il cuore destro è più debole
e più dipendente dal precarico per il corretto funzionamento)

➔ Tamponamento cardiaco

➔ Miocardite acuta

➔ Cardiomiopatia di Takotsubo

➔ Cardiomiopatia peripartum

➔ Malattia elettrica del cuore – anomalie aritmiche

➔ EP massiva

➔ Malattia da rigetto cardiaco acuto


➔ Cardiomiopatia ipertrofica con severa ostruzione all’efflusso

➔ Dissecazione aortica complicata (nei segmenti prossimali, ci potranno essere Insufficienza


aortica acuta – tamponamento pericardico – IMA)

➔ Mixoma atriale – trombo a palla

➔ Pneumotorace iperteso

Tornando alla fisiopatologia, nello shock cardiogeno si verifica una spirale di eventi tale che
l'insulto iniziale viene progressivamente amplificato.

Partendo dalla disfuzione sistolica, generabile per tutti i motivi appena esposti, si ottiene una
diminuzione dell'output cardiaco, quindi ipotensione e conseguente riduzione della perfusione agli
organi, compreso il cuore stesso.

Quindi il cuore genera il danno e al contempo risente del danno stesso: l'ischemia può pertanto
essere sia causa che conseguenza dello shock cardiogeno, in una spirale che si autoalimenta.
L'ipoperfusione attiva il meccanismo compensatorio di vasocostrizione periferica.

A lato di ciò, in alcuni casi di shock cardiogeno si verifica una Risposta Infiammatoria Sistemica
(SIRS) a volte legata anche ad ischemia di altri organi come l'ischemia intestinale.
Come risultato della SIRS si ha una massiva produzione sistemica di citochine proinfiammatorie
(IL6, TNF, e da ultimo NO).
Tali citochine iperprodotte vanno a peggiorare ed inibire la risposta compensatoria del SN
simpatico, ponendo così un grosso freno alle possibilità di recupero.

Gli alti livelli plasmatici di queste citochine hanno un alto valore predittivo di exitus nel paziente
con shock cardiogeno.
Addirittura per causa di queste molecole il paziente potrebbe presentarsi con febbricola (e quindi
potrebbe erroneamente indurre a pensare ad uno shock settico).

Come detto a monte del cuore si verifica un aumento delle pressioni venose polmonare e sistemica.
L'ipertensione polmonare induce edema polmonare, che va a ridurre la disponibilità di ossigeno nel
sangue, peggiorando così l'ischemia cardiaca.

Monitoraggio clinico

Nei pz con shock cardiogeno bisogna impiegare strumenti diagnostici rapidi e facilmente fruibili
nelle varie condizioni in cui si sta lavorando.

Strumenti non invasivi:

 ECG: gran parte delle cause di shock cardiogeno sono riconoscibili all'ECG

 ECOcardiogramma: (anche nella variante bed side) è un ottimo strumento diagnostico che,
con un livello di preparazione non difficilissimo consente a chi sa usarlo di ottenere tante
informazioni, come ad esempio: FE, disfunzioni sistoliche segmentarie, rottura SIV,
versamento pericardico, sovraccarico sezioni destre, stima non invasiva stroke volume sia
all'inizio che successivamente per monitorare l'andamento della terapia.

 EGA: dosaggio lattati (v.n. < 2 mmol/L), pH


L'ipoperfusione periferica determina infatti lo shift verso la via dei lattati per produrre ATP.
L'iperlattatemia è un segno molto sensibile di shock in generale, correlando in maniera
direttamente proporzionale (ciò vale anche per l'acidità del pH conseguente) alla percentuale
di exitus del pz.

 Monitoraggio continuo diuresi


Il monitoraggio continuo della diuresi è fondamentale per capire se il trattamento sta avendo
effetto, e quindi il paziente sta uscendo dalla fase oligurica-anurica.
Un tipo particolare di raccoglitore delle urine ("danese") permette di valutare anche piccole
variazioni dell'emuntorio in intervalli di tempo brevi: in questi casi infatti non si possono
mica aspettare le canoniche 24 ore del classico catetere vescicale per sapere se il pz è
oligurico o anurico.

 Ossimetria arteriosa
Strumenti invasivi:
Laddove c'è la necessità di arrivare ad una diagnosi con dati precisi e di misurare in tempo reale
l'efficacia dei trattamenti attuati, si deve ricorrere a strumenti invasivi.

● Pressione arteriosa invasiva (della linea centrale): si prende un'arteria, di solito la radiale, e
vi si mette un catetere connettendolo con un trasduttore di pressione, così da ottenere i valori
invasivi di PAS, PAD e PAM.

● Monitoraggio cruento pressioni nelle sezioni destre (catetere di Swan Ganz)

Il catetere di Swan Ganz è formato da 4 condotti principali, si inserisce a livello di una vena
sistemica (succlavia, basilica o omerale) e poi lo si fa avanzare fino alle sezioni destre
cardiache, per poi superarle posizionandolo a livello dell'arteria polmonare.

Distalmente il catetere presenta un condotto distale, un palloncino ed un connettore termico


(detto termistore), inoltre un'apertura è presente anche più prossimalmente a livello dell'atrio
destro.
Il catetere di Swan Ganz può essere lasciato a permanenza per un monitoraggio continuo.

I condotti vengono usati innanzitutto per misurare le pressioni: man mano che avanziamo il
catetere possiamo ottenere una misurazione della:
- Pressione Venosa Centrale
- P atriale dx (pur tenendo conto delle fisiologiche variazioni tra sistole e diastole,
normalmente sta intorno ai 5 mmHg)
- P ventricolare dx (normalmente 20 mmHg in sistole e 5 mmHg in diastole)
- P Arteriosa Polmonare (ha un profilo d'onda simile a quello sistemico, normalmente la
sistolica è simile a quella del ventricolo dx, cioè 20 mmHg, mentre la diastolica dipende
dalle resistenze periferiche polmonari, sui 12 mmHg).

Gonfiando il palloncino fino a toccare le pareti dell'arteria polmonare, creiamo una


depressione nella vascolarizzazione arteriosa del segmento distale polmonare tale che la
caduta di pressione si riequilibra automaticamente con la Pressione Venosa Polmonare.
Dunque la P a valle del palloncino (anche se siamo in un'arteria) è la stessa che è presente a
livello del circolo venoso polmonare.

Quella che si misura dopo gonfiamento del palloncino è detta Wedge Pulmonary Pressure o
Pressione d'incuneamento capillare, corrispondente cioè alla Pressione Venosa Polmonare
(normalmente intorno ai 10 mmHg).
Ciò è molto importante perchè ci permette di capire se c'è o meno una disfunzione a sinistra:
questo è infatti l'unico modo per scoprire se c'è un aumento della P nelle sezioni sinistre
(non si può mica incannulare una vena polmonare!) [in realtà si potrebbe incannulare
un'arteria sistemica ed andare fino all'atrio sx ma è molto più complicato]

Il conduttore di temperatura, o termistore, si usa per misurare l'output cardiaco, potendo poi
così ricavare successivamente (conoscendo la superficie corporea) l'indice cardiaco.
Per misurare l'output cardiaco si sfrutta il principio fisico della termodiluizione: nel
momento in cui, in un sistema che normalmente è a 37°C, si inserisce un bolo di liquido
(soluzione fisiologica) ad una temperatura più bassa (di solito 18-20°C), la velocità con cui
la T di questo liquido tende a riequilibrarsi con la T dell'organismo (cioè la velocità con cui
passa da 18° a 37°) è direttamente proporzionale al volume di sangue che passa in quel tratto
in quel tempo.

Quindi iniettando il bolo dal condotto prossimale (atrio dx) e misurando la T nell'arteria
polmonare, si riesce a ricavare il volume di sangue pompato dal ventricolo dx nell'unità di
tempo, cioè la gittata cardiaca.

● Saturazione venosa mista (SvO2)

Un'altra utilità del catetere di Swan Ganz è la possibilità di misurare la saturazione (cioè la
pressione parziale di ossigeno) del sangue a livello delle sezioni destre, cioè permette di
prelevare un campione di sangue dalla parte destra del cuore (in genere è prelevato
dall'arteria polmonare), che poi sarà analizzato per valutarne la saturazione.

La differenza tra la saturazione del sangue arterioso sistemico (valutata con EGA) e quella
del sangue delle sezioni destre, è un importante indice del consumo di ossigeno.
Meglio ancora, è un indice di trasporto e consumo, cioè ci dice quanto sangue arriva in
periferia e quanto ossigeno viene consumato dagli organi.

Ovviamente non si potrebbe valutare la saturazione in una vena periferica, poichè solo nel
cuore destro si ha la somma di tutti i distretti venosi! (il consumo di ossigeno varia a
seconda degli organi).

Dunque in presenza di un basso indice cardiaco, la saturazione venosa mista è un indicatore


sensibile e affidabile di consumo e trasporto.
In particolare si va a ricercare una riduzione della SvO2: vuol dire che si sta portando in
periferia poco sangue, e la periferia è talmente "arida" che di quel poco sangue ne sta
consumando tutto l'ossigeno.

Pertanto la SvO2 (indicatore integrato di funzione cardiaca e di adeguatezza


dell’ossigenazione tissutale) sarà proporzionale alle condizioni del paziente:
- V.R. > 70%
- < 50% aumentano i lattati
- < 30% acidosi lattica
- < 25% incompatibile con la vita

(non letta)
Ecco una tabella riassuntiva che, considerando precarico, funzione di pompa, postcarico e
perfusione tissutale, mostra le differenze tra i vari tipi di shock.

Shock cardiogeno e infarto

Si è già detto che queste due condizioni sono sovente collegate, e che affinchè si verifichi uno shock
cardiogeno bisogna che non funzioni una consistente percentuale di miocardio.

Attualmente, di tutti gli infarti particolarmente gravi, classificati come ST (quindi STEMI), solo il
5-6% si presenta come shock cardiogeno.
Tali percentuali si sono ridotte negli ultimi anni grazie alla disponibilità del trattamento precoce
degli STEMI (cioè dell'angioplastica primaria o PCI).

Ciononostante gli STEMI, data l'elevata prevalenza, costituiscono quasi la metà dei casi di shock
cardiogeno.
Laddove uno STEMI si complica in shock cardiogeno, la prognosi è infausta nel 40% dei casi.

Ricordando che la vascolarizzazione coronarica è di tipo terminale, sarà molto difficile avere uno
shock cardiogeno a seguito dell'infarto conseguente ad ischemia di un tratto coronarico distale.
Per lo shock serve infatti un territorio piuttosto ampio di muscolo cardiaco interessato, quindi
l'infarto dev'essere prossimale (i 3 rami coronarici principali sono: arteria circonflessa sinistra,
arteria discendente interventricolare sx e arteria coronarica destra).

I casi più frequenti in cui l'ischemia cardiaca correla con shock cardiogeno sono:
- IMA anteriore: occlusione completa arteria interventricolare prossimale
- IMA inferiore o posteriore: rottura setto IV, rottura muscolo papillare, rottura parete libera
ventricolo sx
- Occlusione prossimale coronaria dx (ramo marginale dx): IMA dx

Infine il rischio di shock cardiogeno è molto elevato se si tratta di una recidiva di IMA (soprattutto
se precedentemente la FE frazione d'eiezione è < 50%), se si tratta di una malattia multivasale, e se
l'età del pz è molto avanzata.
Shock iatrogeno

Shock cardiogeno precipitato dall’uso di farmaci indicati nella terapia dell’IMA (e dell’edema
polmonare acuto).

• Beta-bloccanti: riducono fc (riduzione tachicardia compensatoria) e stroke volume (inotropi


negativi, riducono forza di contrazione)
• ACE-inbitori, nitrati, morfina: vasodilatatori periferici (peggiorano l’ipotensione)
• Diuretici: riducono il precarico
• Eccessivo carico idrico nell’IMA dx: l'aumento dei volumi nelle sezioni destre determina
uno spiazzamento del setto IV e riduzione dello stroke volume (il ventricolo sinistro non può
dilatarsi per bene)

SHOCK CARDIOGENO: FATTORI PROGNOSTICI

 Cardiac index
 pH
 Lattati
 SvO2
 Interessamento Ventricolo dx
 PAM polmonare
 SIRS
 Infezioni concomitanti
 Ischemia intestinale (nel 18% dei casi si associa a segni di sepsi)
 Assenza o inefficacia del trattamento precoce dell'infarto (PCI – CABG)

N.B. la FE non è un indicatore del rischio di sviluppare shock cardiogeno.


STEMI
L'infarto è un evento acuto conseguente al blocco improvviso della perfusione coronarica.
Alla base c'è generalmente la malattia aterosclerotica delle coronarie: si tratta di un'infiltrazione
progressiva di lipidi al di sotto della tonaca intima delle coronarie.

La placca che ne consegue si organizza e determina un progressivo restringimento del lume: ciò che
clinicamente ne consegue è l'angina stabile, ovvero la normale perfusione a riposo e l'insufficiente
perfusione in presenza di un'aumentata richiesta.

A differenza dell'angina stabile (evento cronico) l'infarto è, come detto, un evento acuto, che
avviene a partire dalla malattia arteriosclerotica. Spesso ha a che fare con piccole fissurazioni della
placca, che determinano l'attivazione del fattore tissutale e la conseguente cascata piastrinica.

Dunque nell'infarto si ha in genere la formazione rapida di un trombo piastrinico, scatenato da


fattori tissutali, che occlude completamente l'arteria coronarica impedendo il passaggio di sangue a
valle.

È pertanto la necrosi l'elemento caratteristico dell'infarto, differenziandolo così da altre forme di


SCA (sindromi coronariche acute) come l'angina instabile.
L'angina instabile è un evento ischemico anch'esso acuto (sebbene la base aterosclerotica da cui
origina sia un processo cronico) ma che consente il passaggio di una quantità di sangue che, seppur
esigua, evita la necrosi cellulare.

La positività degli enzimi miocardio specifici ci permette dunque di fare diagnosi di infarto del
miocardio, differenziandosi così dalle altre ischemie nell'ambito delle SCA.
L'infarto ST o STEMI (in passato definito infarto transmurale) è un tipo di infarto particolarmente
severo, che sottende la presenza di una placca ateromasica che oblitera l'arteria coronaria.
Lo STEMI necessita di trattamento tempestivo (si fa in unità emodinamica con angiografia) con
angioplastica primaria; generalmente tali pz non passano neanche dal pronto soccorso dato che la
diagnosi si fa spesso sul luogo, ad esempio grazie agli ECG sulle ambulanze.

Per parlare di diagnosi di STEMI (e non è così facile, ma è quantomeno importante porne il
sospetto) si deve riscontrare all'ECG:
✗ il tratto ST sopraslivellato di almeno 1 mm in almeno 2 derivazioni contigue
oppure
✗ la presenza di un blocco di branca sinistro di nuova insorgenza (nel dubbio, se ad esempio il
pz non sa o non è in grado di dirci che aveva già un blocco di branca sx, esso viene
considerato come nuovo e quindi come manifestazione elettrocardiografica di STEMI)

Ci sono 2 eccezioni alla regola del sovraslivellamento di 1 mm:

• Le derivazioni V2 e V3 (si riferiscono al territorio cardiaco anteriore) sono generalmente


sovraslivellate anche nei soggetti sani, pertanto quando si analizzano tali derivazioni per
parlare di STEMI anteriore si adotteranno criteri sesso-specifici ed età-specifici:
◦ Uomini < 40 anni: sovraslivellamento di almeno 2,5 mm
◦ Uomini > 40 anni: almeno 2 mm
◦ Donne: almeno 1,5 mm

• Lo STEMI posteriore non si presenta come sovraslivellamento ST, bensì frequentemente


come depressione del tratto ST in V1 e V3.
Infatti dal momento che tali derivazioni "vedono" la parte anteriore del cuore, registreranno
il contrario di quello che accade nella parte opposta del cuore.
Per osservare l'elevazione di ST si dovrebbero prendere le derivazioni V7-V8-V9 (quasi mai
usate) che registrano l'attività elettrica della superficie postero-infero-laterale cardiaca.

[breve ripasso su come fare un ECG:


- D1: (braccio dx → braccio sx) misura il potenziale da dx a sx orizzontalmente
- D2: (braccio dx → gamba sx) misura il potenziale obliquo in basso da dx a sx
- D3: (braccio sx → gamba sx) misura il potenziale obliquo in basso da sx a dx
- aVR: (media tra braccio sx e gamba sx → braccio dx) misura il potenziale obliquo verso dx
- aVL: (media tra braccio dx e gamba sx → braccio sx) misura il potenziale obliquo verso sx
- aVF: (media tra braccio sx e braccio dx → gamba sx) misura il potenziale verticale verso il basso
- V1: 4° spazio intercostale dx
- V2: 4° spazio intercostale sx
- V3: tra V2 e V4
- V4: incrocio tra 6° spazio intercostale sx ed emiclaveare sx
- V5: tra V4 e V6
- V6: incrocio tra 6° spazio intercostale sx ed ascellare anteriore sx
- V7: incrocio tra 6° spazio intercostale sx ed ascellare media sx
- V8: incrocio tra 6° spazio intercostale sx ed ascellare posteriore sx
- V9: sempre sullo stesso piano delle precedenti all'incrocio con la paravertebrale sx
- derivazioni di destra (corrispondenti a V3 e V4 però nell'emitorace di dx), utili in particolari
situazioni cliniche]
Quindi ricapitolando, nell'ambito di una SCA tramite ECG ed enzimi cardiaci si può distinguere
l'infarto del miocardio (e al suo interno la variante STEMI) da altre entità come l'angina instabile.

Come detto, quando una derivazione "guarda" la parte opposta rispetto al territorio interessato da
infarto, registrerà il contrario: queste depressioni si dicono "reciproche".
Ad esempio nello STEMI anteriore si avranno reciproche in D2, D3 e aVF.

Trovare le reciproche è un elemento che conferma la diagnosi di STEMI e devono essere sempre
presenti; se mancano le reciproche sorge il dubbio che il sovraslivellamento registrato nelle altre
derivazioni sia dovuto ad altre cause e non ad infarto.

A seguire altri esempi di ECG di STEMI con associate reciproche.


È importante sapere che ci sono condizioni determinanti un sovraslivellamento del tratto ST che
non sono riconducibili ad IMA (e quindi tra l'altro non si avranno reciproche):

• Sovraslivellamento fisiologico in V2 e V3 che non superi i criteri sesso- ed età-specifici


prima riportati

• Pattern chiamato "ripolarizzazione precoce" (di solito si accompagna ad una T iperacuta):


nonostante l'ancora attuale dibattito, è quasi sempre considerato benigno.
Più marcata in V2-V3-V4, è tipica del giovane, di solito uomini molto alti,
caratteristicamente c'è una gobbettina (notching) al punto J (cioè dove termina il QRS)
specie in V4.

• Blocco di branca sinistra (ovviamente non di nuova insorgenza sennò è STEMI): nonostante
un marcato sovraslivellamento ST, bisogna prestare attenzione alla durata del QRS, che si
mostra più largo.
Il QRS slargato è indice di un difetto di conduzione (nello specifico blocco branca sx).

• Pericardite acuta: il sovraslivellamento ST è diffuso, cioè riguarda quasi tutte le derivazioni


(mentre nello STEMI solo le derivazioni che registrano dalle aree interessate).
Ha una reciproca in aVR (e non in aVL) e si accompagna a depressione del segmento PR.

• Iperkaliemia: oltre all'elevazione ST, all'ECG si noteranno le quasi patognomoniche onde T


appuntite, P ridotte e QRS allargato.

• Sindrome di Brugada: alterazione genetica riguardante i canali del sodio che si accompagna
(specie il tipo 1) a sincope e morte improvvisa.
Spesso deve essere trattata con l'impianto di un defibrillatore.
ST è elevato specie in V1 e V2, ma in queste derivazioni si nota anche il complesso rSR'.

Enzimi miocardio-specifici

Come detto sono molto importanti e vengono richiesti per la diagnosi di infarto.
Va saputo che l'aumento degli enzimi nel siero dopo l'infarto avviene con una certa latenza,
dipendente anche dal tipo di enzimi che si vanno a dosare.

Quello più velocemente riscontrabile è la mioglobina, il cui incremento è già documentabile già nei
30 minuti successivi all'ostruzione coronarica completa.
La troponina (TnI) ed il CPK-MB (creatinfosfochinasi isoforma MB) hanno una latenza media di
almeno un paio d'ore, fermo restando la variabilità interindividuale.
L'enzima che aumenta più tardivamente è LDH, che però è anche quello che rimane elevato più a
lungo.

Non basta un dosaggio degli enzimi negativo per escludere l'IMA.


Se un pz ha sintomatologia recente algica tipica d'infarto, ma ECG senza ST sovraslivellato ed
enzimi negativi, ci si trova in un frangente in cui non si può comunque escludere l'IMA.

Per cercare di sopperire a questa falla nel sistema, si sta cercando di utilizzare delle troponine a più
elevata sensibilità (HsTnT).
La troponina classica (TnI) ha un limite inferiore, sotto il quale non si può differenziare l'infarto da
altre condizioni, che è di 0,03 ng/mL.
Usando reagenti appropriati, si cerca la HsTnT (già il nome stesso dice che la sua sensibilità è
maggiore) il cui cut-off inferiore è 15 ng/L (cioè per paragonarla con TnI, sarebbe 15000 ng/mL!).
Ciò consente di identificare con più sensibilità e quindi più precocemente l'inizio dell'aumento degli
enzimi di necrosi e quindi di porre più tempestivamente la diagnosi di IMA.
[CPK-MB invece deve essere > 13 U/L]

Va da sè che tanto più si sposta in basso il limite, tanto più si rischia di incorrere in dei falsi positivi.
Si è visto infatti che aumenti precoci di HsTnT non necessariamente si correlano sempre ad infarto
ma possono anche associarsi ad esempio a:
- altri episodi di ischemia cardiaca (quindi una semplice sofferenza delle cellule cardiache e non
necessariamente la loro necrosi)
- ipertrofia ventricolare sinistra
- ipertensione arteriosa
- insufficienza renale

Pertanto adesso il problema è che alcuni infarti possono "sfuggire" e quindi la latenza di diagnosi è
più lunga, ma bisogna stare attenti a non cadere nel problema opposto e cioè dei falsi positivi.
Per ovviare a questo problema non basta una singola misurazione, ma gli enzimi devono essere
ripetuti a 3h, a 6h, fino a 24h.

Nell'algoritmo si nota come in un pz con dolore acuto al petto:


- se la HsTnT è inizialmente inferiore al cut-off (URL), si vede a distanza di 3 ed eventualmente 6
ore: se in tale lasso di tempo essa si mostra superiore all'URL o almeno aumentata del 50%
dell'URL, si può porre diagnosi di necrosi miocardica
- se la HsTnT è inizialmente superiore al cut-off (URL), si rivede comunque anche a distanza di 3
ed eventualmente 6 ore: l'ulteriore incremento del 20% dell'URL conferma l'iniziale diagnosi di
necrosi miocardica.

Per sintetizzare, 3 concetti:


- tempo di latenza dei vari enzimi
- utilizzo di enzimi ad elevata sensibilità
- variazioni nell'arco delle prime ore dall'insorgenza dell'evento acuto
Shock cardiogeno - Principi di terapia

Quando c'è l'associazione di infarto (STEMI) e shock cardiogeno, il trattamento può modificarsi.

Innanzitutto quando si fa diagnosi di IMA ci sono diverse alternative in emergenza:


• Angioplastica primaria o PCI (percutaneous coronary intervention)
• Bypass aorto-coronarico o cabbage o CABG (coronary artery bypass graft)
• Trombolisi: metodica alternativa laddove non ci sia possibilità di arrivare in tempo utile alla
sala emodinamica

Quando il pz ha un infarto non complicato, è indicata l'angioplastica primaria entro le 2 ore


dall'insorgenza dei sintomi di IMA (con ECG positivo).
In presenza di STEMI complicato con shock cardiogeno, la PCI è sempre indicata in emergenza
indipendentemente dal tempo di insorgenza dei sintomi.

L'unica modalità per uscire dalla spirale autoalimentante dello shock cardiogeno è infatti quella di
restituire al cuore tanto più tessuto vitale possibile quanto prima: questo discorso è talmente valido
che va oltre le finestre classiche temporali di utilità della PCI.

A conferma di questo fatto, mentre nell'infarto semplice la PCI viene fatta solo a carico della
coronaria dalla cui obliterazione sono originate le alterazioni elettrocardiografiche e non si trattano
eventuali stenosi osservate nei territori collaterali, quando si associa lo shock cardiogeno si trattano
simultaneamente tutte le lesioni emodinamicamente significative.

Non c'è trattamento farmacologico che riesca a far recuperare tessuto vitale e regredire i sintomi
dello shock cardiogeno rispetto alla rivascolarizzazione in emergenza.
Ne è una riprova il fatto che la trombolisi, che nell'IMA semplice si può fare entro 12 ore con
risultati sovrapponibili alla PCI, nella complicazione con shock cardiogeno passa in secondo piano,
venendo utilizzata solo quando ci sono controindicazioni a PCI o CABG.
Dunque riassumendo il trattamento dello shock cardiogeno:

 in presenza di IMA: PCI, CABG o trombolisi come primo principio terapeutico


 Antipiastrinici (ASA) [no clopidogrel se potenziale candidato CABG]
 Ossigenoterapia
 Correzione acidosi metabolica (bicarbonati)
 Correzione iperglicemia
 Trattamento farmacologico

Qualora tutto ciò dovesse fallire ci sono dei supporti meccanici:


 Contropulsatore aortico o IABP (intra aortic balloon pump)
 Ventilazione meccanica invasiva (intubazione) o non invasiva [vedi anestesiologia]
 Ultrafiltrazione (dialisi) se vi è un sovraccarico volumetrico

Gli ultimi presidi utilizzabili sono:


 Misure di supporto avanzato come il cuore artificiale o LVAD (left ventricular assist device)
 Trapianto cardiaco

Trombolisi

Come detto la trombolisi nello shock cardiogeno ha un ruolo marginale data la necessità di
tempestività di rivascolarizzazione.
Più nello specifico, con la trombolisi si va ad attivare il plasminogeno in plasmina, rompendo i
cross-link di fibrina, ottenendo così la lisi del trombo ed i prodotti di degradazione della fibrina.

I 3 trombolitici principali utilizzati nella pratica clinica attuale sono:


- Alteplase: attivatore tissutale del plasminogeno umano ottenuto da DNA ricombinante (rTPA)
- Reteplase: minore affinità per fibrina (e maggiore abilità di penetrare nel trombo)
- Tenecteplase: rTPA mutato con emivita più lunga e bassa affinità per fibrina

I trombolitici agiscono anche sulla fibrina tissutale, quella che è utile per evitare le emorragie.
Il rischio emorragico è infatti quello che si pone sull'altra parte della bilancia quando si utilizzano i
trombolitici: la finestra terapeutica nell'utilizzo dei trombolitici è quindi molto ristretta.
Ecco perchè ci sono farmaci con minore affinità per la fibrina.

Ci sono una serie di controindicazioni all'uso di questi farmaci che è opportuno conoscere.

Controindicazioni assolute
• Precedente emorragia intracranica o stroke di origine sconosciuta
• Stroke ischemico nei precedenti 6 mesi (perchè la fibrina sta ancora lavorando per riparare il
tessuto danneggiato durante l'ischemia)
• Qualsiasi tipo di danno al SNC, neoplasia o malformazione atrioventricolare
• Recente (1 mese) trauma maggiore o intervento chirurgico maggiore
• Sanguinamento gastrointestinale nel mese precedente
• Disordini noti della coagulazione (eccetto le mestruazioni)
• Dissezione aortica
• Puntura profonda nelle precedenti 24h in territorio non comprimibile (es. puntura lombare,
biopsia fegato)

Controindicazioni relative
• TIA (attacco ischemico transitorio) nei precedenti 6 mesi
• Terapia anticoagulante orale
• Gravidanza e prima settimana postpartum
• Ipertensione refrattaria (non risponde al trattamento acuto ed i valori pressori rimangono con
sistolica > 180 mmHg e/o diastolica > 110 mmHg)
• Malattia epatica avanzata
• Endocardite infettiva
• Ulcera peptica attiva
• Rianimazione prolungata

Shock cardiogeno – principi di terapia farmacologica

Il trattamento farmacologico nello shock cardiogeno (la trombolisi ne è un esempio ma appunto tutti
i farmaci in generale) ha un ruolo molto limitato, ciononostante ci sono farmaci che, usati
razionalmente, sono utili nel migliorare la situazione emodinamica, in attesa magari della
risoluzione completa del quadro clinico.

L'obiettivo è cercare di contrastare i meccanismi fisiopatologici che determinano il danno nello


shock cardiogeno, quindi portare l'indice cardiaco a livelli normali agendo sulla contrattilità del
tessuto cardiaco residuo e sulle resistenze periferiche.

Tutti questi farmaci hanno alcune peculiarità:


- somministrazione endovenosa
- rapida azione (iniziano subito)
- brevissima emivita (finiscono subito)
- tutti titolabili (efficacia dose-dipendente)

Utilizzando infusioni continue di questi farmaci noi possiamo quindi dosare la loro concentrazione,
modulandone la velocità di somministrazione per ottenere effetti diversi (ciò è utile anche in
ragione del fatto che hanno una finestra terapeutica ristretta).

➢ Inotropi (dobutamina)
➢ Calcio-sensibilizzanti (levosimendan)
➢ Inibitori fosfodiesterasi III (amrinone – milrinone – enoximone)
➢ Vasocostrittori (noradrenalina – dopamina)
Dobutamina

La dobutamina è un agonista dei recettori β1, quindi è un inotropo positivo.


Solitamente è associato ad un vasocostrittore periferico (noradrenalina) [associando così l'effetto
stimolante β1 sul cuore e α1 in periferia, si agisce su ambo i fronti]
Si può iniettare con deflussore o pompa siringa.

Può sorgere il dubbio, dato che nell'infarto il cuore dovrebbe essere messo a riposo e non stressato
ulteriormente: infatti nell'IMA semplice la dobutamina non si dà.
Quando invece l'IMA si complica in shock cardiogeno si opta per il male minore: è più importante
cercare di recuperare il quadro generale, e quindi si da la dobutamina per aumentare la contrattilità
cardiaca.

Ovviamente ciò comporta anche un maggior consumo di O2 e quindi il rischio di aumentare


l'estensione dell'area di infarto.

Complicanze:

• Estensione area IMA


Aumentando il consumo di ossigeno, un maggior territorio può divenire suscettibile
all'ischemia e quindi diventare funzionalmente escluso peggiorando la situazione.

• Aritmie ipercinetiche
Si consideri la vulnerabilità elettrica di un'area infartuata: la principale complicanza
dell'infarto è infatti la tachicardia e fibrillazione ventricolare, legata al fatto che l'area
infartuata genera di per sè dei circoli di rientro che sostengono un'aritmia ventricolare.
Dare dobutamina in questi casi sarebbe come buttare benzina sul fuoco, eppure rimane il
male minore, dato che è più importante recuperare l'indice cardiaco.
Così la titolabilità si rivela indispensabile per la gestione di questo farmaco.

• Extrasistolia

• Tachicardia ventricolare

[dati non letti]


Dose iniziale: 5 mcg/Kg/min
Incremento: fino a 4 volte la dose iniziale
Emivita: 2 minuti
Preparazione: fiale da 20 mL/250 mg (1 mL/12,5 mg)

- Deflussore: 2 fiale in 500 mL di s.glucosata (1 mg/mL)


- Pompa siringa: 1 fiala + 30 mL di s.glucosata (5 mg/mL) (non somministrare con bicarbonati)

In soggetto di 70 Kg, dose iniziale 350 mcg * 60 min = 21 mg/h


- 21 mL/h in deflussore
- 4 mL/h in pompa siringa
Levosimendan (Simdax)

Si tratta di un Ca2+ sensibilizzante ad azione piuttosto specifica: si lega infatti alla troponina C e ne
aumenta l’affinità per il Ca2+ senza modificare i livelli di Ca2+ intracellulare.
Ha anche un’azione vasodilatatrice periferica (compensata però dall'aumentato inotropismo che tale
farmaco induce a livello cardiaco).

La sua finestra terapeutica è molto ristretta (anche qui importante aggiustare bene la dose).
La complicanza principale è l'ipotensione arteriosa marcata (legata all'effetto vasodilatatore).

Controindicazioni:
- insufficienza renale
- insufficienza epatica

N.B. Trials randomizzati hanno mostrato una superiorità di levosimendan rispetto agli inibitori della
fosfodiesterasi III (quindi ad oggi si tende a non impiegarli), mentre c'è una sostanziale equivalenza
tra levosimendan e dobutamina.

[non letto] Preparazione: fiale da 5 mL (2,5 mg/mL)


Dose iniziale: 0,1 mg/kg/min
Incremento: fino a 3 volte la dose iniziale

Noradrenalina

La noradrenalina induce vasocostrizione α1-mediata, aumentano così le resistenze periferiche per


far aumentare la pressione circolatoria.

Nello shock cardiogeno è definita vasocostrittore di scelta.


Infatti nello shock cardiogeno è considerata superiore alla dopamina: i trial (SOAP-II) hanno
dimostrato che i due vasocostrittori hanno la stessa efficacia, ma la dopamina presenta effetti
collaterali peggiori, specie quelli fatali.
Quindi si cerca di preferire la noradrenalina, ma nella pratica clinica (è una regola non scritta) conta
molto anche la confidenza che ognuno ha con i farmaci (la dopamina è un farmaco storico e quindi
ancora oggi prevale).

[non letto] Dose: 0,01 mcg/Kg/min


Incremento: fino a 10 volte la dose iniziale
Emivita: 2 minuti
Preparazione: fiale da 2 mg/2 mL
- Deflussore: 1 fiala in 500 mL di SF o SG: 4 mcg/mL
- Pompa siringa: 5 fiale + 40 mL SF o SG: 200 mcg/mL
In soggetto di 70 Kg dose iniziale 0,7 mcg x 60 min = 42 mcg/h
- Deflussore: 42 mcg/h: 10 mL/h
- Pompa siringa: 0,2 mL/h

Controindicazioni: allergia – IMA – ipertensione – necrosi da stravaso locale


Contropulsatore aortico o IABP

Ora uno sguardo ai sistemi meccanici di supporto emodinamico, in particolar modo all'IABP.

Si tratta di un pallone che copre


quasi tutta la lunghezza dell'aorta
toracica discendente, che si
gonfia in diastole e sgonfia in
sistole ritmicamente col ciclo
cardiaco, grazie ad una pompa e
ad un sensore
elettrocardiografico.

Le variazioni emodinamiche che si verificano con l'IABP sono utili nello shock cardiogeno:

1. In diastole viene aumentata la P a livello dei tronchi sopraaortici e delle arterie coronarie,
migliorando così la perfusione di questi distretti (infatti cervello e cuore sono i più sensibili
all'ipoperfusione). [Spiazzamento di volume in aorta toracica in diastole]
Quello che si ottiene è un aumento della PA diastolica e riduzione della P telediastolica.
Il flusso coronarico aumenta del 15%.

2. A valle del contropulsatore gonfio (quindi ancora in diastole) si genera una caduta di
pressione, la quale genererà un effetto di suzione (per gradiente pressorio) nella sistole
successiva. [Creazione spazio morto per la successiva sistole]
Quindi il sangue verrà richiamato in periferia con maggior facilità: il gradiente pressorio
contro il quale il ventricolo sx deve lavorare è più favorevole.
Dunque si ottiene una riduzione del post-carico e conseguentemente della PA sistolica.

A dispetto di questi dati positivi, va comunque detto che l'efficacia di queste misure meccaniche è
piuttosto limitata.
La sopravvivenza legata all'uso dell'IABP è molto marginale (addirittura alcuni trial dicono che non
c'è alcun aumento della sopravvivenza).

Inoltre le complicanze all'uso dell'IABP sono molto serie: basti pensare a cosa succederebbe se il
pallone si dislocasse più distalmente andando a comprimere le arterie renali, o il tripode celiaco,
generando così territori ischemici di strutture molto importanti.
Senza contare il rischio di rottura dell'aorta.
Obiettivi del trattamento dello shock cardiogeno

Come si fa a valutare l'efficacia di un intervento terapeutico?


Si devono osservare le variazioni che il trattamento induce nei parametri indicati precedentemente
come prognosticamente rilevanti.

Pertanto il trattamento sarà considerato efficace se determinerà (tra parentesi i dati non letti):

● Riduzione dei lattati (< 4 mmol/L)


● Riduzione Pressione Venosa Centrale (< 12 mmHg)
● Aumento Pressione Arteriosa Media (> 65 mmHg)
● Aumento Indice Cardiaco > 2,2 L/min/m2
● Ripristino diuresi adeguata dipendentemente dal peso del pz (> 0,5 ml/Kg/h)
● Saturazione venosa mista > 70%
● Cardiac power index [indice integrato che mette insieme CI e PAM, può essere interessante
usarlo] (CI x MAP + 0.0022 > 0,4 W/m2)
Adesso si passeranno in rassegna altre cause di shock cardiogeno oltre allo STEMI: anch'esse
richiedono un intervento tempestivo dato che le complicanze sono molto gravi e rapide.

ROTTURA DEL SETTO INTERVENTRICOLARE


Evento ad elevata letalità (90% nei soggetti non rivascolarizzati).
È una delle complicanze dell'infarto: i miocardiociti andati in necrosi (non rigenerano) vengono
sostituiti da tessuto cicatriziale, che costituisce un'area di debolezza meccanica la quale, sotto la
spinta della pressione sanguigna, può portare a soluzione di continuo; in questo caso è interessato il
setto IV e si ha comunicazione tra le due camere ventricolari.
Per gradiente pressorio il sangue passa da sx a dx: si ha sovraccarico delle sezioni dx.
Ad oggi è un'entità non più frequentissima dato che gli infarti transmurali sono in genere
rivascolarizzati.

Clinica

Generalmente la comunicazione tra i ventricoli è costituita da uno o più piccoli canalicoli nello
spessore del setto IV: il sangue vi passerà con forte spinta pressoria generando moto turbolento.
Dunque al fonendoscopio si ausculterà un murmure olosistolico (spesso fremito) ad elevata
intensità, su tutti i focolai.
Trovare questo segno a pochi giorni da un infarto (laddove prima era assente) ci dà il forte sospetto
che si sia rotto il setto IV.

Diagnosi

• Ecocardiogramma: documenta passaggio di sangue tra le due camere cardiache.


[inoltre utilizzando il "rapporto Qp/Qs", cioè mettendo a confronto la quantità di sangue
eiettata nell'unità di tempo dalle due sezioni cardiache (cioè il flusso polmonare e quello
sistemico, quindi il valore normale Qp/Qs è 1), si vede che il ventricolo dx pompa molto più
sangue nel circolo polmonare di quanto il sx non faccia nel sistemico (Qp/Qs > 1).]

• Differenza di gradiente di SvO2 tra atrio destro ed arteria polmonare (serve Swan Ganz)

Terapia

La rottura del setto IV rappresenta un'indicazione a chirurgia in urgenza.


In passato non si poteva intervenire subito ma bisognava aspettare un po' di tempo prima di
intervenire in un'area necrotica perchè il materiale non vi aderiva.
Adesso invece ci sono nuovi materiali chirurgici che consentono un trattamento precoce.

Oltre alla ricostruzione, vengono utilizzati IABP ed alcuni vasodilatatori: il tentativo è quello di
creare una riduzione della pressione a valle tale che questo valore diventi competitivo con quello
del ventricolo dx.
Cioè si cerca di fare in modo che per gradiente pressorio una parte di sangue pompato dal ventricolo
sx scelga di andare nel circolo sistemico (dove appunto si è indotta depressione) piuttosto che nel
ventricolo dx (dove ci sta andando per gradiente fisiologico tra le due camere).

I vasopressori sono poco efficaci (aumentano Qp/Qs).


ROTTURA DEL MUSCOLO PAPILLARE
L'IMA inferiore o quello posteriore può andare ad interessare il muscolo papillare: anche in questo
caso si verificherà una lassità tissutale che rende l'area meno resistente, così che sotto la spinta
intracardiaca può andare incontro a rottura.

La conseguenza è l'insufficienza mitralica acuta, solitamente grave e non compatibile con la


sopravvivenza: gran parte del sangue espulso ad ogni sistole ritorna in atrio sx.
Anche qui la mortalità è molto elevata

Clinica
- soffio olosistolico irradiato all’ascella
- I tono abolito
- possibile III tono
- ritmo di galoppo

Diagnosi
- Ecocardiogramma (addirittura si potrebbe vedere il muscolo papillare ancora attaccato alle corde
tendinee che fluttua all'interno del ventricolo sx)
- Flebogramma (serve Swan Ganz) mostra onde V prominenti

Terapia
- Supporto inotropo
- Riduzione precarico
- Chirurgia in urgenza

TAMPONAMENTO CARDIACO
Evenienza relativamente più frequente delle precedenti.
Si tratta di una compressione ab extrinseco delle camere cardiache per accumulo di fluido (sangue o
siero) nello spazio pericardico.

Generalmente è un evento acuto, poichè altrimenti il sacco pericardico ha la capacità di adattarsi al


lento accumulo di liquidi (fino a 1,5 L).
Se invece avviene rapidamente il pericardio non ha modo di adattarsi e si viene quindi a generare
questa compressione che impedisce il rilasciamento (espansione diastolica) delle camere cardiache.
Si avrà quindi riduzione del Volume TeleDiastolico da cui consegue riduzione anche del Volume
TeleSistolico: l'esito di tutto ciò è lo shock cardiogeno.
Clinica

• Elevata Pressione Venosa Giugulare (si ricordi che osservare le giugulari distese deve
subito farci pensare ad uno shock cardiogeno)

• Polso paradosso (differenza PA Sistolica > 10 mmHg nelle fasi della normale respirazione).
Si va al letto del pz e gli si chiede di fare un'inspirazione profonda e poi trattenere il respiro
per alcuni secondi durante i quali si misura la sistolica.
Dopo poco si fa il contrario: pz espira e rimane in apnea e si rimisura la sistolica.

La differenza che si riscontrerà nel pz con tamponamento cardiaco è dovuta al fatto che il
liquido determina una differenza di pressione transmurale a carico della parete cardiaca tale
che il riempimento ventricolare diventa molto più dipendente dalle variazioni di precarico
indotte dalle fasi respiratorie (normalmente la differenza è di 1-2 mmHg, ora è > 10).
[Ricorda: fisiologicamente in inspirazione il precarico ↑ / in espirazione il precarico ↓]

Ovviamente questo interessa più direttamente le sezioni di destra perchè hanno minore
pressione interna in grado di contrastare quella esterna, quindi basta che il tamponamento
generi una pressione esterna di 15 mmHg per determinare il collasse delle pareti destre.
Quelle di sinistra sono interessate di riflesso: se diminuisce lo stroke volume del ventricolo
di dx, diminuirà immancabilmente anche quello del ventricolo di sx.

• Tachicardia

• Dispnea

• Suoni cardiaci lontani (segno non sempre presente)

Diagnosi

➔ Ecocardiogramma (è il mezzo principale): innanzitutto mostra il liquido nello spazio


pericardico, che appare pertanto anecogeno.
Si noterà la compressione e collasso delle camere destre.
Inoltre fornisce indicazioni molto importanti sul livello di compromissione emodinamica del
versamento pericardico (non tutti i versamenti esitano infatti in tamponamento), dicendoci
anche come sta evolvendo la situazione, se in peggioramento o in miglioramento.

[non letto: Ectasia ed assente collasso inspiratorio VCI.


< 50% flusso diastolico trans-tricuspidalico in inspirazione (onda E)
< 25% flusso diastolico trans-mitralico in inspirazione normale (onda E)]

➔ ECG mostra:
- Bassi voltaggi: il liquido attenua la trasmissione degli impulsi elettrici
- Alternanza elettrica: variazione dell'asse cardiaco ad ogni battito. Dal momento che il
cuore galleggia sul liquido pericardico, ad ogni battito esso cambia la propria posizione e
conseguentemente l'asse cardiaco varia ogni volta.

➔ [non letto] Cateterismo sezioni dx (AD): onde Y profonde, segno di Kussmaul


C'è un articolo recente molto utile perchè inquadra il versamento pericardico da un punto di vista
più ampio, a seconda delle cause, della presentazione clinica e dei reperti strumentali.
Ci dice quand'è che si deve realmente "correre", cioè quando il pz ha bisogno di una
pericardiocentesi in urgenza, e quando invece si possono aspettare 24-48h per vedere se si
ottengono buoni risultati con la terapia medica risparmiandoci un ago nel mediastino del pz.

Tra i criteri presi in considerazione:


- eziologia: la presenza di tumori (specie quelli che frequentemente metastatizzano al pericardio
producendo poi sangue), tubercolosi, recente radioterapia o infezioni virali, IRC terminale,
immunosoppressione, ecc.; le cause di versamento di tipo autoimmune o collegate ad ipo- e
ipertiroidismo contano negativamente.
- clinica: ortopnea, dispnea, ipotensione, polso paradosso, tachicardia, oliguria, frizione e dolore
pericardico, rapido peggioramento dei sintomi, ecc.
- imaging: alternanza elettrica e voltaggi bassi all'ECG, versamento circonferenziale all'ECO, ecc.
MIOCARDITI E MIOCARDIOPERICARDITI ACUTE
Qui ovviamente si parla delle forme in cui l'infiammazione generalizzata va a compromettere la
funzione cardiaca.

La clinica delle miocarditi è infatti quantomai variabile: ci sono forme asintomatiche, forme con
febbre, artralgie e dolore precordiale, e forme più gravi che portano a scompenso cardiaco
ingravescente oppure a shock cardiogeno.

Ne consegue grande variabilità anche nel decorso clinico: fulminante, acuta, cronica attiva, cronica
persistente.
La miocardite a cellule giganti ha purtroppo una elevata mortalità (86% a 1 anno).

[(non letto) Eziologia: idiopatica, virale, RAA, post-attinica, tossica, autoimmune, eosinofila,
sarcoidosi, altro.]

Diagnosi (non facile):


- enzimi miocardiospecifici (c'è danno)
- ECG: aspecifico, vi possono essere segni di pericardite acuta (se concomita)
[(non letto) Scintigrafia con Gallio; PET-TC.]

Terapia (fondamentalmente è di supporto):


- Immunoglobuline endovena (IVIG): si cerca di sfruttarne l'attività immunosopressiva ed
antinfiammatoria
- Pacing se c'è interessamento del tessuto di conduzione con conseguenti blocchi di conduzione
- Trapianto cardiaco in alcuni casi
[(non letto) Vasodilatatori; Inotropi, Ventilazione meccanica, LVAD]

MIOCARDIOPATIA PERIPARTUM
Forma rara ma non rarissima (1:10.000) di miocardiopatia idiopatica (virale? infiammatoria?
autoimmune?) che si associa a scompenso cardiaco a bassa FE (fino ad esitare nello shock
cardiogeno) e che si presenta nelle fasi tardive della gestazione o nei primi mesi dopo il parto.

La diagnosi è di esclusione (escludere altre cause di scompenso cardiaco).

Può complicare la gravidanza (distress da ipoperfusione placentare per ipossia).

Terapia: aggressiva (non letti: β-bloccanti, ACE-inibitori, vasodilatatori, inotropi, anticoagulanti).


Occorre evitare ulteriori gravidanze dato che si tratta di una patologia che tende a recidivare.

La prognosi correla con il livello di disfunzione del ventricolo sinistro.


A volte la pz rimane scompensata, altre volte risolve completamente a 6 mesi; nel 50% dei casi
comunque i sintomi migliorano a 6 mesi.
La mortalità è inferiore all’8% ma in molti casi può essere causata da concomitanti fenomeni
embolici.
CARDIOMIOPATIA DI TAKO-TSUBO たこ-つぼ
Patologia non più così rara, è una cardiomiopatia a decorso acuto e transitorio caratterizzata da:
✔ dolore toracico
✔ alterazioni ECG suggestive di SCA
✔ positività degli enzimi miocardiospecifici

Fondamentalmente si tratta di uno stordimento (stunning) disfunzionale del ventricolo sinistro


legato (probabilmente) ad una scarica di catecolamine.

Caratteristica di questa patologia è la transitoria modificazione balloniforme dell'apice ventricolare


sinistro, verosimilmente dovuta agli stimoli catecolaminergici.
Questa deformazione, visibile con le tecniche di imaging, fa assumere al ventricolo sinistro la forma
del cestello (つぼ tsubo) usato dai pescatori giapponesi per la pesca del polpo (たこ tako), donde il
nome.

Epidemiologia: colpisce tipicamente (90%) le donne; generalmente razza asiatica e caucasica.

Eziologia: sconosciuta, di solito si ha in seguito a fenomeni di stress emozionale (stunning


miocardico da catecolamine, spasmo coronarico, malattia microvascolare…).

Diagnosi: sovente è di esclusione

- Ecocardiogramma - ventricolografia: ridotta FE; tipica ipocinesia dei segmenti medio-apicali


(mentre si osserva che la cinesi a livello dei segmenti basali è conservata) che sono quelli che hanno
una maggiore densità dei recettori delle fibre ortosimpatiche.
Dunque in sistole la base contrae e l'apice no: il cuore assume la forma a trappola per polipi.

Tutti questi soggetti vanno incontro a coronarografia perchè trovando ipocinesie ci si deve
assicurare che le coronarie siano indenni.

- Risonanza magnetica può dare reperti specifici (in futuro potrebbe far evitare la coronarografia)

Prognosi: Buona (nel 95% dei casi risoluzione in 4-6 settimane), complicanze nel 20% dei casi.

Terapia: β-bloccanti, ACE-inibitori, nitrati, vasodilatatori, antiaggreganti, analgesici


EMBOLIA POLMONARE ACUTA

Come si può notare, l'embolia polmonare (EP) è caratterizzata da un'ampia variabilità clinica,
potendosi avere ad un estremo forme completamente asintomatiche ed all'altro forme la cui
presentazione è direttamente la morte cardiaca improvvisa.

Il pz potrà avere una sintomatologia con varia associazione di: dispnea, cianosi, tosse, tachipnea,
dolore, edemi periferici, ecc.; ma si tratta di reperti molto aspecifici.

Per indirizzarci più specificatamente verso la diagnosi di EP si dovranno cercare elementi più
caratteristici: dato che nella stragrande maggioranza dei casi l'EP è una tromboembolia polmonare
(tranne rari casi in cui gli emboli sono di altra natura), l'elemento da ricercare sarà la presenza di
trombosi venosa profonda (TVP) e delle condizioni che la possono favorire (es. allettamento,
chirurgia maggiore, coagulopatie note, pregressa storia di TVP o EP, ecc.).

È importante fare subito questo tipo di ragionamento perchè ci permette di dare un giudizio di
probabilità sull'EP.

Tra i segni attenzione all'ipotensione arteriosa: se la si riscontra in un pz in cui si sta sospettando EP


vuol dire che l'embolia è talmente emodinamicamente importante che sta dando shock cardiogeno;
infatti la mortalità sarà oltre la metà dei casi.
L'ipotensione arteriosa è ciò che fa la differenza nella gestione terapeutica del pz con EP.

Successivamente ci sono tutta una serie di esami laboratoristici e strumentali che sono utili per
confermare o rafforzare il sospetto di EP.
L'ECG è molto importante: rapido, facilmente eseguibile e leggibile, economico.
Ci sono infatti reperti ECG piuttosto specifici di EP ma poco sensibili (non tutte le forme di EP li
presentano, ma quando si riscontrano allora sono abbastanza indicativi di EP).

Tali reperti sono fondamentalmente due:

• S1Q3T3: la presenza di un'onda S


piuttosto profonda in D1, associata ad
una Q pronunciata in D3 e ad una T
negativa sempre in D3.

Questi reperti ci dicono che l'asse


elettrico del cuore sul piano
longitudinale è deviato verso destra e
che c'è un sovraccarico delle sezioni
destre.

La deviazione dell'asse elettrico verso


dx non è di tipo anatomico ma risente
del sovraccarico di pressione cui è
sottoposto il ventricolo dx.

• Il già citato sovraccarico del ventricolo dx lo si può trovare espresso anche in altre forme:
- presenza di blocco di branca destra
- T negativa e sottoslivellamento ST in V2 e V3
Il D-dimero è il dosaggio dei prodotti di degradazione della fibrina.
Di questo esame si cerca di sfruttare la sensibilità piuttosto che la specificità: cioè si va a cercare la
negatività del D-dimero come fattore che esclude la presenza di EP.
Trova quindi importanza nell'iter diagnostico nelle forme in cui la probabilità di EP è bassa.
Si cerchi di ricordare il cut-off assoluto < 500 ng/dL e quello, più specifico, aggiustato per l'età
(fisiologicamente il D-dimero aumenta con l'età) che è < 10 x età.

Anche l'ECOcardiogramma riveste un ruolo importante, per rapidità e diffusione, ma alcuni reperti
vanno saputi cogliere.

✗ Il sovraccarico del ventricolo dx si osserverà come una sua dilatazione acuta (essendo più
sottile è più suscettbile ad un incremento acuto della pressione a valle e quindi si dilata più
facilmente).

✗ Il "segno D" è semplicemente la dilatazione del ventricolo dx vista dal di sopra dello stesso.

In condizioni normali, facendo


un'ECOcuore ("tagliato" nel suo asse
trasversale) si nota come il ventricolo
sx, in virtù delle sue maggiori
pressioni e maggior spessore di parete,
si presenta descrivendo una struttura
rotondeggiante o quantomeno ovale; il
ventricolo dx invece si dispone "a
cappello" intorno al ventricolo sx.

Se aumenta la pressione nel ventricolo


dx, questo andrà a schiacciare il sx:
tale spinta laterale farà sì che la forma
ovale del ventricolo sx diventerà a "D"
sia in sistole che in diastole.
La proiezione in cui si nota il segno D è la parasternale asse corto.

✗ Ipocinesia parete libera ventricolo dx, frequente soprattutto nelle EP massive.

✗ Segni diretti e indiretti di ipertensione arteriosa polmonare.

✗ Riduzione dell'accorciamento longitudinale del ventricolo dx: la capacità eiettiva del


ventricolo dx comincia a ridursi e con essa anche lo stroke volume.

✗ Dilatazione vena cava inferiore (segno indiretto di sovraccarico sezioni destre).

✗ Visualizzazione diretta dei trombi in arteria polmonare (più complesso).


La scintigrafia ventilatoria e perfusionale permette di visualizzare deficit perfusori selettivi
segmentari e sub-segmentari.

La TC torace con mdc è l'esame diagnostico per eccellenza.


Consente di visualizzare:
- la presenza dell'embolo
- difetti di perfusione a valle segmentari o sub-segmentari
- le dimensioni delle strutture cardiache

L'ECOdoppler venoso degli arti inferiori è quello che ci fa eventualmente vedere la presenza di una
TVP, soprattutto nelle stazioni prossimali della vena femorale e poplitea.

L'angiografia polmonare può essere l'esame che conferma o meno la diagnosi di EP, ma
generalmente trova indicazioni solo in alcune forme (non acute) come il tromboembolismo cronico.

Giudizio di probabilità clinica

Sono degli score (Wells o Geneva), dei punteggi da attribuire per cercare di dare il giusto peso al
corteo di segni e sintomi.
Ad esempio nello score di Wells basta considerare solo 7 parametri e, dopo aver attribuito i giusti
punteggi, se il totale è superiore a 4 allora la diagnosi di EP sarà molto probabile.
Tali parametri sono:

1. Segni e sintomi suggestivi di TVP (edema arti inferiori, dolore alla palpazione dei muscoli
degli arti inferiori e alla mobilizzazione del piede sulla gamba, ecc.)

2. Non ci sono diagnosi alternative così probabili come l'EP (es. pz con BPCO che ha
ipertensione polmonare secondaria)

3. Tachicardia (fc > 100 bpm)

4. Immobilizzazione da più di 3 giorni e/o intervento di chirurgia maggiore nelle precedenti 4


settimane

5. Pregresso episodio di TVP e/o EP

6. Emottisi

7. Tumori (le neoplasie aumentano il rischio trombotico)

Nel Geneva score ci


sono leggere
differenze: la fc >
94 bpm ha un peso
maggiore, conta
l'età > 65 anni, si
distingue
l'unilateralità del
dolore o dell'edema
agli arti inferiori.
Si cerchi di carpire gli elementi fondamentali dall'algoritmo diagnostico.
Il primo punto fondamentale è mettere insieme la probabilità clinica vista finora e la pressione
arteriosa: con questo cambia drasticamente il comportamento terapeutico.

Infatti in presenza di ipotensione e di una diagnosi probabile di EP, il pz deve essere rapidamente
inviato ad un ECOcardiogramma per cercare i segni diretti ed indiretti di disfunzione ventricolare
destra.
Qualora l'ECO sia positiva (quindi ipotensione + probabilità clinica compatibile + ECO+) il valore
predittivo positivo di un'EP emodinamicamente significativa è del 97%.
In questi casi abbiamo finito, potrebbe non servire neanche la TC che, anzi, potrebbe far perdere
tempo prezioso.
Questo pz deve essere infatti rapidamente inviato al trattamento adeguato.

Se invece il paziente è emodinamicamente stabile (non c'è ipotensione) e la sua probabilità clinica è
bassa o intermedia, a questo punto ha senso il dosaggio del D-dimero (nel caso precedente non
aveva alcun senso perchè non aggiunge nulla a quanto già clinicamente manifesto).
Se il D-dimero è negativo, si può escludere l'EP: il pz può anche essere dimesso dal pronto
soccorso, infatti il rischio di EP a 3 mesi è solo dello 0,14%.

Con un D-dimero elevato, e più in generale in tutti i casi intermedi tra i due estremi presentati, la
TC ha un ruolo importante nel confermare od escludere l'EP.
Trattamento del soggetto con EP e shock cardiogeno

Il soggetto con EP emodinamicamente instabile, cioè che si è complicata in shock cardiogeno, ha


ovviamente innanzitutto bisogno di supporto emodinamico e respiratorio.

L'instabilità emodinamica (documentata da una PAS < 90 mmHg) determina poi indicazione alla
trombolisi (più frequentemente si usa l'alteplase).
[Ovviamente ciò non è possibile se ci sono controindicazioni alla trombolisi, che sono uguali a
quelle viste nello STEMI.]

In tutti gli altri casi, anche se si visualizza il trombo alla TC, anche se l'ECO mostra chiaramente il
sovraccarico del ventricolo destro, ma non abbiamo segni di ipoperfusione, non c'è indicazione alla
trombolisi.
Questo perchè la finestra terapeutica del trombolitico è molto ristretta: bisogna sempre soppesare il
beneficio del trattamento col rischio emorragico.

L'alternativa è il trattamento anticoagulante o la chirurgia (embolectomia, ma servono centri


specializzati).
Il trattamento anticoagulante è la terapia indicata in tutti gli altri casi di EP.
Ci sono due possibilità:

➢ Farmaci "tradizionali": Eparina a basso peso molecolare in acuto (la dose è "peso : 100" mL
2 volte al giorno) così da garantire una copertura completa, cui si sovrappone il warfarin
nella terapia in cronico che però appunto per entrare a pieno regime ha bisogno di tempo.

➢ Nuovi Anticoagulanti Orali (NOACs): alcuni di essi trovano indicazione, oltre che in
cronico, anche in acuto (es. Rivaroxaban).

Il warfarin agisce inibendo la vitamina K, cofattore importante nella produzione dei fattori della
coagulazione, in particolar modo i fattori II (trombina), VII e X.
Il suo effetto avviene non prima di 3-4 giorni.
Il suo funzionamento è valutato andando a calcolare l'INR.

Tuttavia ci sono adesso farmaci che possono intervenire a livelli diversi della cascata coagulativa.
Tra i NOACs si ricordano dunque:

✔ Inibitori del fattore II attivato (IIa), cioè della trombina attivata, come il Dabigatran
(finiscono tutti in -tran).

✔ Inibitori del fattore X attivato (Xa) che è un cofattore fondamentale per l'attivazione della
trombina (finiscono tutti in -aban) come Apixaban, Rivaroxaban, Edoxaban.

Le peculiarità dei NOACs rispetto al warfarin sono:

Vantaggi

• Non richiedono aggiustamento del dosaggio ("una pasticca va bene per tutti")

• Hanno emivita più breve (12-24h) (in presenza di complicanze, il fatto che il warfarin
rimanga attivo per più giorni può essere un problema)

• Non richiedono restrizioni alimentari

Svantaggi

• Non è disponibile un indicatore quantitativo del livello di attività (è un problema nel


soggetto scoagulato qualora lo si debba inviare in chirurgia in urgenza)

• Non è disponibile un antidoto (come lo è la vitamina K per il warfarin; tuttavia a breve


uscirà un anticorpo monoclonale in grado di bloccare il dabigatran e anche per gli altri
NOACs in futuro si troverà l'antidoto)

• Meglio non utilizzarli in pz con valvulopatie, in particolare in chi ha protesi meccaniche


DISSECAZIONE AORTICA CON SHOCK CARDIOGENO
Patologia relativamente frequente e con un grosso rischio di complicanze in acuto:

• Rottura della parete aortica → morte per shock ipovolemico

• Se c'è interessamento della valvola aortica se ne può determinare l'insufficienza con


rigurgito aortico grave → shock cardiogeno

• Se c'è interessamento del pericardio si avrà tamponamento cardiaco (20%) (l'aorta è


ricoperta dal pericardio per i suoi primi 2 cm) → shock cardiogeno

• Se c'è interessamento dell'origine delle coronarie si avrà IMA (15%) → shock cardiogeno

Senza soffermarsi troppo sulle classificazioni, la dissecazione emodinamicamente più importante è


quella che interessa l'istmo aortico o perlomeno il tratto prossimale dell'aorta ascendente.

Clinica

È difficile fare diagnosi di dissecazione aortica dalla


clinica, bisogna pensarci, anche perchè molto
spesso i sintomi mimano altre condizioni.
Sarà quindi la combinazione dei segni e sintomi ad
indirizzare il sospetto.

- Dolore toracico (80%)


- Dolore dorsale (40%)
- Esordio acuto del dolore (85%)
- Dolore migrante (< 15%)
- Soffio diastolico aortico (40-60%)
- Sincope (15%)

Diagnosi

• Angio-TC: esame di elezione, documenta anche l'eventuale fissurazione dell'aorta o la


presenza di un falso lume
• ECOcardiogramma: visualizza piuttosto bene il bulbo aortico e parte dell'arco aortico,
mentre non è buona per l'aorta discendente
• Aortografia

Si sta studiando l'impiego della TC in urgenza in presenza di dolore toracico, per escludere una
triade di malattie potenzialmente mortali.
Usando delle particolari cardioTC (ECG-gated angio-TC) si cerca di attuare il cosidetto "Triple rule
out", cioè l'esclusione con un solo esame di EP – IMA – Dissecazione aortica.

La prognosi della dissecazione aortica è molto grave.


Nel tipo A c'è una mortalità del 50% a 48h se non operato.
PNEUMOTORACE IPERTESO
Rara evenienza acuta che richiede un pronto trattamento e si verifica quando si crea una soluzione
di continuità tra lo spazio pleurico e l'esterno, in maniera unidirezionale.
Si verifica così un'iperinflazione dello spazio pleurico con lo sviluppo di pressioni sempre più
elevate ad ogni inspirazione: oltre all'ovvio collasso del polmone, la pressione schiaccierà anche il
cuore che, impossibilitato ad espandersi normalmente, causerà lo shock cardiogeno.

Clinica

- Tachipnea (bradipnea nelle fasi terminali); Stridore laringeo


- Espansione asimmetrica degli emitoraci; Fremito vocale tattile ridotto; Murmure assente
- Cianosi
- Tachicardia; Polso paradosso
- Distensione venosa giugulare
- Distensione addominale

Cause

- Idiopatico
- Barotrauma secondario all’utilizzo di elevate PEEP (pressioni positive di tele-espirazione)
- Post-traumatico
- Iatrogeno (broncoscopia, tracheostomia)
- Complicanza di pneumotorace spontaneo idiopatico

Diagnosi (deve essere tempestiva)

• Rx torace: mostra dislocazione pleura nei confronti del parenchima sottostante.

• ECOgrafia torace: applicata al letto del malato riduce i tempi della Rx.
Come noto, l'ECOgrafia non è in grado di studiare il parenchima polmonare perchè gli
ultrasuoni non vengono trasmessi nell'aria, tuttavia vengono riflessi dalla superficie pleurica.

Quello che vediamo normalmente appoggiando la sonda a livello di uno spazio intercostale
è quindi uno scorrimento pleurico consensuale agli atti del respiro: questo ci dice che il
polmone è a diretto contatto con la parete pleurica e quindi non c'è aria nel cavo pleurico.

Laddove vi sia pneumotorace osserveremo invece una fissità della pleura: siamo autorizzati
così a pensare che nel cavo pleurico vi sia aria e perciò il polmone non è a parete.

• TC

Terapia

Tecnica di decompressione in emergenza: a livello del II spazio intercostale (angolo di Louis)


sull'emiclaveare, si inserisce un ago con un catetere lungo almeno 8 cm.
Va collegato ad una siringa con soluzione fisiologica per verificare l'efficacia della manovra: se
fuoriesce aria si vedranno delle bolle.
SHOCK CARDIOGENO DA CAUSA ARITMICA

Si tratteranno adesso una serie di condizioni in cui la struttura cardiaca e vascolare è assolutamente
integra, non ci sono aree necrotiche, infiammate, ostruite, ecc., ma c'è un problema di frequenza
cardiaca (uno degli elementi fondamentali dell'indice cardiaco).

La fc è importante perchè anomalie del ritmo cardiaco possono dare shock cardiogeno.
Si parla di "aritmie emodinamicamente instabili": anomalie del ritmo associate ad ipotensione e
segni di ipoperfusione sistemica (cioè associate a shock cardiogeno).

Le anomalie della fc possono aversi in ambo i sensi: ci saranno così bradiaritmie e tachiaritmie.
Nonostante siano fenomeni di natura opposta, entrambe possono dare, in maniera diversa, shock
cardiogeno.

In presenza di serie bradiaritmie (fc < 50 bpm), lo shock cardiogeno si può instaurare con un
meccanismo abbastanza semplice: la fc ridotta determina (la gittata pulsatoria è normale) una
ridotta gittata cardiaca, così da arrivare allo shock cardiogeno.

Tra le bradiaritmie rientrano:


- Malattia del nodo del seno
- Blocco Atrio-Ventricolare (2:1 o III grado)
- Fibrillazione atriale a bassa frequenza ventricolare

In presenza di serie tachiaritmie (fc > 150 bpm), lo shock cardiogeno è spiegato dal fatto che non vi
è adeguato tempo affinchè il ventricolo si possa riempire di sangue in diastole.
Pertanto, nonostante la fc aumentata, la gittata pulsatoria sarà molto ridotta, cosicchè la gittata
cardiaca risulti diminuita, per andare quindi incontro allo shock cardiogeno.

Tra le tachiaritmie rientrano:


- Tachiaritmia a complessi ventricolari stretti
- Tachiaritmia a complessi ventricolari larghi
MALATTIA DEL NODO DEL SENO

Anomalia non rarissima della generazione e trasmissione dell’impulso dal nodo del seno atriale.

Il nodo del seno è una struttura piuttosto vulnerabile, irrorata dall'arteria del nodo del seno (I ramo
della carotide destra): quindi una causa potrebbe essere l'ostruzione prossimale della carotide destra
che determina l'ischemia delle cellule pacemaker del seno.
Altre cause possono essere degenerazione con fibrosi e cicatrizzazione (specie negli anziani).

La disfunzione di queste cellule pacemaker non può essere compensata adeguatamente da altre
strutture: fisiologicamente infatti il nodo del seno è il segnapassi dominante, colui che determina la
fc basale.

La malattia del nodo del seno può manifestarsi in differenti modi:


- bradicardia estrema
- pause sinusali / arresto sinusale (si può accompagnare a tachicardia parossistica)
- blocchi seno-atriali
- incompetenza cronotropa (incapacità di aumentare la fc all'aumento delle richieste)

La diagnosi è prettamente elettrocardiografica: quando il nodo del seno è disfunzionante non c'è
nulla che lo sostituisca, si osserva silenzio elettrico (ECG piatto).

BLOCCO ATRIO-VENTRICOLARE (BAV)

Anomalia della conduzione dell’impulso attraverso il nodo atrio-ventricolare.


Il battito viene normalmente generato e si propaga agli atri (l'onda P c'è) ma non viene condotto poi
ai ventricoli, quindi non si avrà la sistole ventricolare (nè QRS nè T).

Solo le forme più avanzate di BAV sono sintomatiche e si associano ad una prognosi sfavorevole.
Ci sono forme di BAV tali che la frequenza ventricolare è di circa 20-30 bpm: sono queste i casi che
vanno incontro a shock cardiogeno.

Un semplice rallentamento nella conduzione del nodo AV è piuttosto frequente e lo si vede poichè
aumenta la distanza tra P e QRS.
Questo è il BAV di I grado ed è del tutto asintomatico.

Fasi più avanzate di BAV possono portare ad un progressivo rallentamento di conduzione AV, fino a
che si assiste al blocco di un impulso: all'ECG si noterà che, dopo un progressivo allungamento
della distanza tra P e QRS, si perde una sistole ventricolare, ovvero una P non sarà seguita da nulla
fino alla P successiva. [la fc diminuirà]

Questo è il BAV di II grado; se ne conoscono due forme


- Mobiz 1: come pocanzi descritta
- Mobiz 2: l'anomalia interessa non solo il nodo AV ma anche le strutture più distali
La differenza elettrocardiografica tra le due è nozionistica e poco utile, basti sapere che il BAV di II
grado di tipo Mobiz 2 è più grave e spesso precede l'instaurarsi di blocchi più gravi
Il BAV 2:1 (2 a 1), è l'espressione più grave del BAV di II grado di tipo Mobiz 2.
Un battito viene condotto, il successivo no: ogni 2 impulsi dati dal nodo seno atriale si ha una sola
sistole ventricolare. [qui non si instaura un ritmo a valle, cosa che avviene solo nel BAV III grado]
La frequenza cardiaca sarà la metà di quella che il soggetto normalmente aveva.

Nel BAV di III grado, l'attività atriale si dissocia completamente da quella ventricolare.
Nel ventricolo prende il sopravvento un segnapassi locale (dopo il fascio di His) che ha una
frequenza intrinseca di scarica molto bassa (circa 20 bpm).
All'ECG si avranno onde P in successione ordinata che sono completamente slegate dai più rari
complessi QRS (a volte le onde cadono separate, a volte la P si sovrappone al QRS).

Questi ultimi due BAV presentano dunque le caratteristiche bradiaritmiche per manifestarsi come
shock cardiogeno.

Un caso più raro, ma senz'altro clinicamente importante, si ha quando il blocco di conduzione


interessa più battiti in sequenza in un periodo di tempo relativamente limitato.
Si tratta del BAV di grado avanzato: all'ECG si hanno una serie di onde P non seguite da sistole
ventricolare, successivamente riprende una conduzione relativamente normale.
Se il periodo di acontrattilità ventricolare è piuttosto lungo, si avranno le condizioni per un arresto
cardiaco o per una sincope.

FIBRILLAZIONE ATRIALE (FA) A BASSA FREQUENZA VENTRICOLARE

Nella FA il ritmo che normalmente origina dal nodo del seno viene soppiantato da focus atriali che
normalmente non dovrebbero esistere, ma che per qualche motivo cominciano a generare
all'impazzata un elevato numero di scariche elettriche
Nella FA l'impulso irregolare generato dagli atri arriva al nodo AV ad una frequenza superiore a
300-350 bpm.

La maggior parte dei battiti generati dall'atrio fibrillante non viene condotta al ventricolo, in virtù
dell'esistenza del periodo refrattario.
Il numero complessivo dei battiti condotti al ventricolo (cioè la fc) dipende quindi dalla durata del
periodo refrattario delle cellule del nodo AV.

Va da sè che se il nodo AV è interessato da anomalie di funzione (degenerazione, malattie da


accumulo, effetto di farmaci), il numero di battiti bloccati sarà maggiore.
Stesso discorso per malfunzionamenti del sistema di conduzione a valle del nodo AV.
Si determina così seria bradicardia in presenza di FA.

All'ECG la FA si mostra come tante piccole ondine asincrone (dette onde F) al posto dell'onda P.
Ogni tanto (c'è irregolarità del battito) si nota un battito ventricolare (QRS) che non è stato bloccato.
Trattamento bradiaritmie sintomatiche (cioè con shock)

1. Misure di supporto:
◦ Rianimazione cardiopolmonare o ACLS (advanced cardiovascular life support) se
incosciente, cioè fondamentalmente se c'è assenza di polso
◦ Clinostatismo per garantire adeguata perfusione cerebrale
◦ Ossigeno-terapia
◦ Incannulamento venoso laddove la pressione lo consenta
◦ Monitoraggio continuo elettrocardiografico e dei parametri vitali

2. Identificare cause reversibili potenzialmente trattabili nel lungo periodo ad es.:


- Farmaci (beta-bloccanti, Ca2+ antagonisti non diidropiridinici, digitale, antiaritmici)
- Disturbi elettrolitici gravi (K+, Ca2+)
- Ipotermia
- IMA
- Ipertono vagale

3. A questo punto si può ricorrere ad un trattamento farmacologico che vada ad aumentare


l'attività cardiaca.
Pertanto si somministra Atropina, così da inibire il tono vagale: è un ottimo farmaco perchè
rimuove alcuni dei blocchi, potenzia la conduzione e aumenta la fc.

L'atropina può quindi essere il primo approccio terapeutico nelle bradiaritmie sintomatiche:
non è un farmaco maneggevole, è facile andare in sovradosaggio.
Si fanno boli da 0,5 mg (corrispondenti a 1 fiala da 1 mL) diluiti in 10 cc di soluzione
fisiologica; ripetibile fino a 3 volte, ognuno a distanza di almeno 5 minuti.

N.B. L'atropina ha scarsa efficacia nel BAV di II grado Mobiz 2, nel BAV 2:1 e nel BAV di
III grado, perchè le cellule più sensibili alla sua azione sono appunto quelle in cui agisce
meglio il sistema parasimpatico, ovvero le cellule del nodo seno atriale e AV.
Nel ventricolo invece il parasimpatico agisce molto poco perchè non ci sono recettori: nel
BAV es. di III grado, dove una zona di ventricolo è diventata segnapassi, l'atropina sarà poco
efficace.

4. Se l'atropina è inefficace possono aver senso farmaci che aumentano il tono simpatico,
quindi farmaci simpatico-mimetici (effetto cronotropo positivo ed inotropo positivo).
➔ Dopamina
➔ Adrenalina
➔ Altri farmaci più specifici come Isoproterenolo e Orciprenalina
5. Se tutto ciò non è efficace, si ricorre al pacing.
Ci si sostituisce all'attività elettrica intrinseca del cuore, andando a fornire gli impulsi
elettrici che il cuore non è più in grado di generare.
Si usano delle piastre del tutto simili a quelle usate per la defibrillazione per far così passare
degli impulsi elettrici ritmicamente generati da un apparecchio (sanno anche cardiovertire).

Vi sono inizialmente pacemaker esterni (macchinario esterno ingombrante, pz con piastre


sul petto, difficile mobilità) o temporanei (invasivi: si incannula la vena e si posiziona un
catetere all'interno del ventricolo destro).
Eventualmente saranno sostituiti dai pacemaker definitivi: impiantati sottocute, hanno un
catetere che attraverso la vena succlavia raggiunge il ventricolo destro.

Il pacemaker definitivo rappresenta la terapia di elezione delle bradiaritmie sintomatiche da


cause non reversibili.

TACHIARITMIE SINTOMATICHE

Qualora l'aumento della fc sia talmente elevato da non garantire più un adeguato riempimento
ventricolare, il pz andrà in shock cardiogeno.
Anche in questo caso si ricorrerà ad una corrente elettrica esterna per interrompere la tachiaritmia.

Si ponga il caso di un pz con FA che però ha una rapida scarica ventricolare (FA a rapida frequenza
ventricolare), cioè passano tantissimi battiti; questo si può realizzare in alcune condizioni.

Ad esempio nella Sindrome di Wolff-Parkinson-White, ovvero la presenza di tessuto di conduzione


accessorio rispetto al nodo AV.
Questi circuiti accessori bypassano il nodo AV mettendo in comunicazione l'atrio col ventricolo.
Escludendo il nodo AV, non c'è nulla che blocchi e controlli (grazie al periodo refrattario) i battiti
ventricolari: tanti impulsi si generano nell'atrio e tante contrazioni farà il ventricolo.

Ecco allora che un pz con FA e sindrome di Wolff-Parkinson-White avrà un ventricolo che batte
all'impazzata: tutti gli impulsi dettati dalla FA (> 300 bpm) vanno al ventricolo.
In questo caso si avrà una tachiaritmia sintomatica che va interrotta elettricamente.

Si noti come in questa FA con elevata


frequenza di scarica ventricolare, la
cardioversione vada ad arrestare il
circuito fibrillante atriale così da
ripristinare il normale battito
cardiaco.
Dunque nel trattamento delle tachiaritmie sintomatiche, si devono considerare tre possibili
condizioni non compatibili con una sopravvivenza a lungo termine, che indicano la necessità di una
risoluzione adeguata e rapida al problema:
• Dolore toracico di natura ischemica
• Alterazione dello stato di coscienza
• Segni di scompenso cardiaco acuto

In questi casi in cui il quadro clinico è particolarmente grave è indicata la cardioversione elettrica
sincronizzata.
Laddove possibile occorre garantire un accesso venoso; il pz dovrebbe inoltre essere sedato perchè
la scarica è molto dolorosa.

Ci sono poi diversi trattamenti farmacologici associati alle varie tachiaritmie che possono evolvere
in shock cardiogeno.
In questi casi (la suddivisione tra complessi ventricolari larghi e stretti è specialistica) sono sì
presenti tachiaritmie, ma c'è ancora circolo: il pz presenta segni di shock cardiogeno, ma non quei
tre più gravi prima elencati.
Qui bisogna sì intervenire con prontezza ma non c'è l'urgenza di cardiovertire per ripristinare la
situazione emodinamica.

[Sono stati letti solo i nomi delle tachiaritmie, non quello dei farmaci]

Tachiaritmie a complessi ventricolari stretti

Tachiaritmie a complessi ventricolari larghi


SINCOPE
La sincope è una delle condizioni più frequenti in assoluto e consiste nella perdita di coscienza
transitoria ed autolimitante che comporta caduta a terra se il soggetto è in posizione ortostatica.

Il suo esordio è abbastanza rapido, ed il recupero seguente è spontaneo, completo e rapido.


Il meccanismo fisiopatologico è una ipoperfusione cerebrale globale transitoria.

Le caratteristiche della sincope ci aiutano nella DD, infatti per parlare di sincope:
- il pz deve perdere coscienza ("stavo per svenire" o "mi sono sentito male" non è sincope!)
- la perdita di coscienza è transitoria (secondi, minuti) ed autolimitante, cioè la causa che l'ha
generata si risolve spontaneamente; seguirà un recupero spontaneo
N.B. la sincope non è sinonimo di caduta a terra, ciò avviene solo se il pz stava in piedi

La sincope è la manifestazione di una disfunzione cerebrale causata da una ipoperfusione cerebrale


acuta, globale (interessa tutto l'encefalo) e a carattere transitorio.

Bisogna pertanto distinguere la sincope da condizioni simili ma senza perdita di coscienza:

Presincope: condizione soggettiva che porta l'individuo ad avvertire la sincope come imminente
("stavo per svenire", "mi sono sentito svenire", ma poi il pz non ha perso coscienza).
È attualmente il termine che sostituisce le definizioni di lipotimia e prelipotimia.
Viene definita presincope severa quando la sua comparsa comporta l'arresto delle funzioni motorie e
la variazione della postura.

Vertigini: sensazione illusoria o allucinatoria di un movimento del corpo nell'ambiente circostante o


viceversa, ma anche qui non c'è perdita di coscienza.

Cause di perdita di coscienza non riferibli a sincope

Si tratta di disordini in cui la perdita di coscienza transitoria non è causata dall'ipoperfusione


cerebrale globale.

• Epilessia: perdita di coscienza per iperattivazione cerebrale

• Disordini metabolici come l'ipoglicemia, l'ipossia, l'iperventilazione con ipocapnia

• Intossicazioni

• TIA vertebro-basilare: ipoperfusione non globale


Disordini che possono mimare la sincope ma senza perdita di coscienza

• Cataplessia: perdita del tono muscolare parziale o completa, scatenata da emozioni spesso
spiacevoli.
Il paziente, pur apparentemente privo di coscienza, mantiene ricordo dell’accaduto.

• Drop attack: improvvisa ipostenia degli arti superiori con caduta a terra in assenza di perdita
di coscienza.

• Pseudosincope psicogena: soggetti con problemi psichici che richiamano l'attenzione


simulando svenimenti

• Cadute

• TIA di origine carotidea

Tra le altre condizioni viste finora, quella meno facile da differenziare dalla sincope è l'epilessia.

Si ponga attenzione sul fatto che i movimenti tonico-clonici non sono prerogativa dell'epilessia ma
appunto anche alcune sincopi possono presentarli (però tipicamente non c'è rigidità degli arti).

Il recupero dell'epilessia è poi in genere lento e accompagnato dallo "stato post-critico": il pz


mantiene una riduzione dello stato di coscienza che può protrarsi anche per diverse ore.
Quindi bisogna chiedere al pz se ricorda bene ciò che è successo subito dopo che si è risvegliato: se
ha ricordi chiari e ha riconosciuto subito le persone allora ci si orienta verso la sincope.
[Non letta]

La sincope si classifica in base al meccanismo eziopatogenetico in 3 tipi:

➢ SINCOPE NEUROMEDIATA
◦ Vasovagale
◦ Situazionale
◦ Sincope del seno carotideo

➢ SINCOPE DA IPOTENSIONE ORTOSTATICA


◦ Primitiva
◦ Secondaria

➢ SINCOPE CARDIACA
◦ Aritmica
◦ Organica
SINCOPE NEUROMEDIATA

Si tratta di una sincope evocata da un riflesso del SNA.

C'è un qualche segnale di varia natura


(anche banalmente il soggetto che va a fare
un prelievo di sangue) che giunge al SNC
ed evoca un arco riflesso: quest'ultimo si
manifesta nel suo braccio efferente a
partenza dal tronco cerebrale con un
ipertono vagale, una scarica parasimpatica
(c'è anche diminuzione del simpatico).

La scarica vagale si manifesta con duplice


modalità :
- vasodilatazione con conseguente
ipotensione
- bradicardia

Ipotensione e bradicardia pongono le


condizioni per la sincope.

Il riflesso è un qualcosa che di per sè si autolimita, quindi alla fine del riflesso viene ripristinato il
normale tono vagale e simpatico, fc e PA tornano normali e finisce la sincope.

[(non letti) Prodromi: debolezza, sensazione spiacevole di testa vuota, diaforesi, offuscamento della
visione, mal di testa, improvvisa sensazione di caldo o freddo, nausea, pallore del viso, sopore,
dilatazione delle pupille, irritabilità.]

Eventi scatenanti

 Vasovagale
- Prolungata postura eretta
- Ambiente caldo
- Paura
- Forti emozioni o dolori
- Iniezioni o prelievi

 Seno carotideo
- Manipolazione accidentale del collo in soggetti con ipersensibilità del seno carotideo

 Situazionale
- Accessi tussigeni; Strumenti a fiato; Deglutizione
- Defecazione, Dolore addominale; Post-prandiale
- Minzione; Post-minzione
- Post-esercizio fisico; Sollevamento pesi

 Forme atipiche: assenza di trigger apparenti


SINCOPE DEL SENO CAROTIDEO

Il seno carotideo è un recettore che si trova a livello della biforcazione della arteria carotide comune,
il cui compito è quello di rispondere con una aumento della scarica parasimpatica al suo aumentato
stiramento; lo scopo è quello di regolare il flusso ematico e la pressione arteriosa a livello dei vasi
cerebro afferenti.
In alcuni soggetti queste cellule sono ipersensibili (ipersensibilità del seno carotideo); questa
ipersensibilità può essere dovuta talvolta a nessuna causa apparente, oppure in alcuni casi a
fenomeni infiammatori o irritativi a livello del seno carotideo (es. malattia aterosclerotica) o alla
presenza di neoplasie.
Questa ipersensibilità fa si che questo gruppo di cellule non reagisca soltanto a stimoli interni, ma
anche a stimoli esterni (es. si stimola anche con un semplice massaggio; questa tra l'altro è una
manovra che viene usata in cardiologia per il trattamento delle tachicardie sopraventricolari
parossistiche in quanto è un modo per aumentare rapidamente la scarica parasimpatica (alla domanda di
pucci ne avete parlato a cardiologia Alex risponde si (?????), si vede che già all'epoca sapeva che avrebbe fatto la tesi co narcos) )
Quindi in questi soggetti anche un semplice massaggio o una pressione esterna (es.sincope quando si
stringe la cravatta, va a caccia, si fa la barba ecc.) provoca una sincope neuromediata (attivazione
parasimpatica con FC<40 e PS<90mmhg).

Diagnosi

Innanzitutto è importante l'anamensi, chiedendo al soggetto se cosa stava facendo prima di avere la
sincope, dopodichè si puo fare una manovra che ci permette di diagnosticare questa ipersensibilità
del seno carotideo: il massaggio del seno carotideo, che metterà in evidenza un progressivo
abbassamento della FC e della PA fino a determinare in alcuni casi una sincope.
Le controindicazioni all' esecuzione di questa manovra sono: un soffio carotideo (da stenosi
aterosclerotica, in quanto una compressione del seno può determinare una ipoperfusione in questo
caso), o un TIA recente.
Questa manovra deve essere ovviamente fatta in condizioni particolari e in un ambiente idoneo:

1. Porre il paziente in clinostatismo, con collo esteso e piegato dal lato controlaterale e con un
accesso venoso.
2. Monitoraggio continuo ECG.
3. Massaggiare longitudinalmente per 5-10’’; se non vi è risposta massaggiare per altri 30’’ in
maniera più energica.
4. Misurare e monitorare la PA.
5. Ripetere le manovre in ortostatismo.

La risposta che noi avremo in seguito alla manovra (e quindi anche durante una qualsiasi
stimolazione) potrà essere:
• Cardioinibitoria: evocazione di sincope in corso di bradicardia marcata, arresto sinusale o
blocco AV >3 s.
• Vasodepressoria: caduta della PAS > 50mmHg o > 30 mmHg associata a sintomi
• Mista

Terapia
È una questione molto importante e delicata, poichè molto spesso le cause di questa ipersensibilità
non sono rimovibili, quindi in questi casi l'unica terapia consiste nell'impianto di un pacemaker.
IPOTENSIONE ORTOSTATICA

E' un tipo di sincope diversa rispetto a quella neurogena, poichè in questo caso si ha il
coinvolgimento del sistema nervoso SIMPATICO, che controlla il tono vasocostrittore della
muscolatura vascolare. In seguito alla disfunzionde del SNS svremo infatti una mancata
vasocostrizione nel momento in cui il soggetto si alza in piedi, con conseguente crollo della pressione
arteriosa e riduzione della perfusione cerebrale, che determina la sincope (fisiologicamente nel
momento in cui ci alziamo in piedi abbiamo un abbiamo un abbassamento della pressione a causa
della forza idrostatica che viene compensato da una vasocostrizione soprattutto delle arterie degli
arti inferiori).

Cause

La vasocostrizione periferica è regolata dal SNS mediante una azione sui recettori alfa, quindi tutto
ciò che blocca il funzionamento di questi recettori porebbe potenzialmente provocare una
ipotensione ortostatica; oltre a questo meccanismo l'ipotensione ortostatica si può verificare in
soggetti con una neuropatia periferica, come ad esempio i soggetti con diabete mellito
scompensato. Più nello specifico le cause di ipotensione periferica sono:

• Disautonomopatia
➔ Primitiva (insufficienza autonomica pura, atrofia multisistemica).
➔ Secondaria (m. di Parkinson (è una delle prime manifestazioni), neuropatia diabetica,
amiloidosica)

• Indotta da farmaci:
➔ Anti-ipertensivi
➔ Tamsulosina – Doxazosin (anti alfa)
➔ Nitrati (TTS e OS)
➔ Alfa-metil-Dopa, clonidina, L-Dopa
➔ Sertralina, desipramina, amitriptilina
➔ Clopromazina, tioridazina, promazina
➔ Vincristina (neuropatia)

• Deplezione di volume
➔ emorragie marcate
➔ diarrea
➔ m. di Addison

La differenza tra la sincope neuromediata e quella da ipotensione ortostatica è che l'ipotensione


ortostatica si verifica sempre, ogni volta che il soggetto sta in piedi, proprio per la costante mancanza
dei meccanismi simpatici di regolazione della pressione arteriosa (spesso sono soggetti che la notte
hanno una pressione alta e il giorno bassa poichè stanno in piedi).

Tipi di ipotensione ortostatica

Esistono due tipi di ipotensione ortostatica illustrati dalla immagine:


IPOTENSIONE ORTOSTATICA

Ipotensione ortostatica se:


- PA sistolica  > 20mmHg
- PA sistolica < 90mmHg
- Sintomi

• Grafico 1 (sx): in questo caso osserviamo che il soggetto sviluppa ipotensione nel momento
del passaggio dalla posizione di clinostatismo a quella di ortostatismo (PA crolla da 100mmhg
a 50 mmhg), avvertendo una sensazione di svenimento immediata, tuttavia la presenza di
una residua attività simpatica fa si che all'abbassamento della PS corrisponda un aumento
della FC tale per cui la pressione ritorna a valori normali. Questo fenotipo di ipot ortostatica è
quello meno grave, e in questo caso raramente avremo sincope.
• Grafico 2 (dx): questo caso rappresenta la forma più grave di ipotensione ortostatica, quella
associata costantemente a sincope; infatti osserviamo come in seguito all'abbassamento
pressorio non si verifica un aumento della FC compensatorio, conseguentemente la PA
rimarrà prolungatamente bassa, con la sintomatologia che comparrà a distanza di tempo.
Legata a una disfunzione completa del SNS.

Da un punto di vista clinico questi grafici implicano che noi dobbiamo valutare, ricercare la differenza
di pressione tra il clino e l'ortostatismo in un arco di tempo piuttosto prolungato (circa 2 minuti); se
noi osserviamo che l'abbassamento della pressione si protrae per un periodo di tempo superiore ai 2
minuti, possiamo fare diagnosi di ipotensione ortostatica e dobbiamo mettere in atto delle strategie
terapeutiche.
Si parla di ipotensione ortostatica se:
• la differenza tra PA sistolica in clino e ortostatismo è > di 20mmhg
• PA sistolica in ortostatismo è <90 mmhg
• se ci sono dei sintomi: lipotimia (sensazione di stare per svenire).

SINCOPE CARDIACA

E' la forma più pericolosa perchè alla base c'è una patologia cardiaca che può essere potenzialmente
fatale.
Ne esistono principalmete due forme:
• da ARITMIA CARDIACA (essendo la sincope una patologia transitoria e autolimitante anche
l'aritmia deve esserlo):
➔ Malattia del nodo del seno
✔ Sindrome bradicardia-tachicardia.
➔ Alterazioni della conduzione AV (blocco di 3 grado intermittente)
➔ Tachicardie parossistiche sopraventricolari e ventricolari (determinano una riduzione
della gittata)
➔ Cardiopatie aritmogene congenite
✔ S.di Brugada
✔ Sindrome del QT lungo
➔ Aritmie indotte da farmaci
➔ Malfunzionamento di PMK.

• Da MALATTIE ORGANICHE CARDIACHE O CARDIOPOLMONARI


➔ IMA – ischemia.
➔ Embolia polmonare.
➔ Stenosi aortica (sincope da sforzo, da discrepanza tra richiesta e offerta di o2).
➔ Miocardiopatia ipertrofica (pattern ostruttivo).
➔ Mixoma atriale.
➔ Dissezione acuta dell’aorta.

Diagnosi probabile di sincope cardiaca

SINCOPE – DIAGNOSI CARDIACA PROBABILE

Anamnesi Storia familiare di morte cardiaca improvvisa –


canalopatie
Storia personale di cardiopatia

Prodromi Assenti – Dolore toracico – Cardiopalmo –


sincopi notturne (mentre il paziente è in
clinostatismo) Episodio occorso in corso
di attività fisica
Esame obiettivo Soffio sistolico aortico (gradiente pressorio
dinamico)
ECG Blocco bifascicolare - trifascicolare
Bradi - tachiaritmie
Pre-eccitazione ventricolare (Wolff-Parkinson-
White)
QT Lungo – Sindrome di Brugada
Anomalie della ripolarizzazione
Ecocardiogramma Malattia cardiaca strutturale

[La terapia in questo caso non è stata citata.]


DIAGNOSI CERTA DI SINCOPE

SINCOPE – DIAGNOSI CERTA

Prodromi tipici + eventi precipitanti come: paura, intenso SINCOPE VASOVAGALE


dolore, emozioni forti, prolungato ortostatismo, prelievi.
Sincope dopo minzione, defecazione, colpi di tosse, SINCOPE SITUAZIONALE
deglutizioni.
Sincope o presincope + ipotensione ortostatica. SINCOPE DA
IPOTENSIONE
ORTOSTATICA
Sincope + sintomi tipici ed evidenza ECG di ischemia (con o SINCOPE DA MALATTIA
senza IMA). CARDIACA
Sincope + evidenza all’ECG di:
• Bradicardia sinusale <40 bpm.
• Arresti sinusali o blocchi seno-atriali ripetuti della
durata > 3 s.
• BAV di II grado tipo Mobiz 2, BAV di III grado. SINCOPE DA ARITMIA
• BB alternante
• Tachicardia ventricolare o sopraventricolare.
• Pause sinusali da malfunzionamento PMK.

ITER DIAGNOSTICO

- Ecocardiogramma.
- ECG Holter.
- Tilt test
- Loop recorder (permettono di monitorare
l’attività elettrica cardiaca nel paziente nel
lungo periodo (a differenza dell’holter che
dura 24h), mediante degli elettrodi
sottocutanei)
 Esterni
 impiantabili
- Studio elettrofisiologico
- Test all’adenosina (20 mg in bolo; valuta
l’eventuale presenza di blocchi di
conduzione legati all’iperattività vagale)
- Test ergometrico
URGENZE ED EMERGENZE IPERTENSIVE

La pressione arteriosa deve essere misurata bene: vanno fatte almeno 3 misurazioni eseguite dopo
un periodo di riposo in posizione seduta di 5-10 minuti, e intervallate tra di loro di almeno 2 minuti
(penso che intenda che il paziente va fatto riposare 5-10 minuti dal momento che entra in
ambulatorio e dopo vanno fatte le rilevazioni intervallate da 2 minuti l'una dall'altra) e in seguito si fa
la media dei 3 valori riscontrati.
La crisi ipertensiva è una definizione arbitraria che indica un incremento acuto di PA con valori
superiori a 180/110 mmHg (severa se >220/120 mmHg).
Di fronte a un paziente che ha una crisi ipertensiva non dobbiamo pensare subito a abbassare la PA,
poichè potremmo arrecare un danno al paziente, ma è necessario prima inquadrare bene il paziente
da un punto di vista clinico, cioè valutare quali sono gli elementi clinici (segni e sintomi) che si
accompagnano alla crisi ipertensiva.
In particolare dobbiamo andare a ricercare l'evetuale presenza di danni d'organo associati alla crisi.
Si parla infatti di:

• EMERGENZA IPERTENSIVA se si ha un incremento acuto di PA associato (indipendentemente


dai valori pressori) a segni di danno d’organo “acuto” (cioè non quelli dati da una
ipertensione cronica) quali:
➔ Encefalopatia ipertensiva
➔ Dissecazione aortica
➔ Scompenso cardiaco acuto – Edema polmonare
➔ IMA
➔ Eclampsia
➔ Insufficienza renale acuta
➔ Anemia emolitica microangiopatica
➔ Ictus (ischemico-emorragico) – ESA
• URGENZA IPERTENSIVA se si ha un incremento acuto di PA in assenza di segni di danno
d’organo.

Nella maggior parte dei casi queste crisi ipertensive si verificano nell'ambito di due condizioni
patologiche (in realtà sarebbe una sola condizione patologica, poichè l'ipertensione accellerata è più
o meno un sinonimo di ipertensione maligna):

• IPERTENSIONE MALIGNA: Emergenza ipertensiva caratterizzata da incremento pressorio a


decorso acuto ed ingravescente (è una condizione che solitamente si verificano nell’iperteso
cronico, nell’iperteso non trattato, in cui si assiste a un ulteriore aumento acuto e progressivo
della pressione) che si accompagna a:
➔ necrosi fibrinoide delle piccole arterie (apposizione di materiale trombotico attorno alla
parete delle arterie di piccolo calibro che determinano una ipoperfusione capillare;
questa apposizione di materiale ialino determina una riduzione del lume con conseguente
aumento dellle resistenze periferiche; se questo meccanismo patologico interessa le
arterie del glomerulo avremo anche una aumentata attivazione del sistema renina
angiotensina, con conseguente ulteriore aumento della pressione); è responsabile di
danno a livello renale (IRA da ipoperfusione) di patologie ematologiche (anemia emolitica
microangiopatica).
➔ perdita dell’autoregolazione cerebrale (autoregolazione meccanica: meccanismo tramite
cui regolando la vasodilatazione o la vasocostrizione delle arterie cerebrali si riesce a
mantenere un flusso cerebrale costante all'interno di un range pressorio che va
normalmente tra I 60 e I 120/130mmhg; al di sopra di tale range, come avviene in questi
soggetti) tanto più è alta la pressione tanto più sono vasodilatati i vasi (quindi viene meno
il meccanismo auto regolatorio per il fatto che nonostante si abbia una pressione alta c’è
vasodilatazione e quindi un ulteriore aumento del flusso cerebrale); in un soggetto
normale il range pressorio in cui lavora questo meccanismo di autoregolazione è tra i 60 e
i 120/130 mmhg, nell’iperteso cronico questo range si sposta verso l’alto (immagine
dopo); un aumento eccessivo del flusso determinerà un aumento della trasudazione con
conseguente edema e ipert endocranica; è il meccanismo alla base della sintomatologia
neurologica (encefalopatia ipertensiva))
• Cause: ipertensione nefrovascolare, feocromocitoma pre-eclampsia, glomerulopatie,
vasculiti, sindrome uremico-emolitica, ipertensione essenziale in scarso controllo
farmacologico.
• Clinica: alterazioni cerebrali, cardiache, vascolari, renali (danno d’organo)
• L’elemento classificativo distintivo è il papilledema

• IPERTENSIONE ACCELERATA: Emergenza ipertensiva il cui quadro clinico è simile


all’ipertensione maligna ma non è presente papilledema.

Autoregolazione del flusso cerebrale

150-
u
se
w

100-
s
lo

ft
o i
odf

g
lo

00
lb

Normotensi subject
a

50-
in/
r

m
b

ve s
e

L/
er

m
C

Hypertensiv subject
0 e s
60 120 16 200
0
Mean blood pressure, mmHg

Necrosi fibrinoide dell’arteriola afferente

1. Edema della papilla


2. Incroci artero-venosi
3. Microemorragie
4. Essudati cotonosi
5. Essudati duri
Manifestazioni cliniche

Encefalopatia ipertensiva

• Fisiopatologia: edema vasogenico diffuso per perdita dell’integrità della barriera emato-
encefalica
• Clinica (aspecifica): CEFALEA (spesso frontale, continua), riduzione del livello di coscienza
(stato soporoso, stupor), crisi convulsive, deficit neurologici focali (spesso transitori e
migranti), disturbi del visus , nausea e vomito
• Diagnosi differenziale: encefalopatia epatica, encefalopatia uremica, ictus, TIA, encefalite,
ESA, commozione cerebrale, emorragia intraparenchimale, lesioni espansive endocraniche
• Iter diagnostico: TC (diagnosi differenziale), MRI (iperintensità della sostanza bianca diffusa,
prevalentemente localizzata ai lobi posteriori ed al TE). Fundus oculi (microemorragie –
essudati – papilledema)

(questa patologia è rara, ad oggi è difficile trovarla, quindi non dobbiamo assolutamente fare l'errore
di considerare la contemporanea presenza di pressione alta e la presenza di cefalea sempre come un
segno di una encefalopatia ipertensiva; se invece a una pressione alta oltre alla cefalea si associano
altri segni neurologici e soprattutto la presenza di un un papilledema allora probabilmente saremo di
fronte a una encefalopatria ipertensiva)

Eclampsia

• Clinica: crisi epilettiche generalizzate e/o coma legata a una irritazione cerebrale causata da
un edema vasogenica (encefalopatia ipertensiva) nelle gravide che presentano segni di pre-
eclampsia
• Pre-eclampsia (segni e sintomi legati all’aumento della pressione in gravidanza; legato a un
anomalo sviluppo delle arterie terminali che devono vascolarizzare il trofoblasto):
ipertensione in gravidanza (gestosi), proteinuria, edema polmonare, oliguria,
trombocitopenia, aumento AST/ALT, oligoidramnios.
• Decorso: spesso a carattere ingravescente fino al coma.
• Fisiopatologia: encefalopatia di natura ipertensiva (edema vasogenico) in corso di pre-
eclampsia
• Diagnosi: TC-MRI
• Terapia: supporto parametri vitali (decubito laterale), anticonvulsivanti (MgSO4, lorazepam,
diazepam), ossigeno-terapia, controllo PA, induzione del parto o parto cesareo in urgenza.

Work up
Workup
Anamnesi/EO/EN
Fundus oculi ECG
Valutare la presenza di EcoCG
danno d’organo TC/MRI encefalo – AngioTC Esami di
laboratorio (Hb, elettroliti,
creatininemia, …Una aumento
dell’MPV può essere segno di necrosi
fibrinoide (indica la presenza di
piastrine giovane dovute a un
consumo perifierico))

Se danno d’organo
URGENZAIPERTENSIVA
assente

Se danno d’organo EMERGENZAIPERTENSIVA


presente

Varon J, Marik PE Crit Care. 2003;7:374-384.

Trattamento

Principi di trattamento

Urgenza ipertensiva Emergenza ipertensiva

Obiettivo: prevenzione delle Obiettivo: regressione del danno


complicanze a breve ed a lungo d’organo, prevenzione di ulteriore
termine comparsa di danno d’organo

Ridurre la PA gradualmente Ridurre la PAgradualmente


nell’arco di ore o giorni (24-48 ore) nell’arco di minuti o ore

L’obiettivo può essere perseguito L’obiettivo va perseguito utilizzando


utilizzando farmaci a media-lunga farmaci a breve durata d’azione,
durata d’azione e somministrabili per facilmente titolabili e
OS; monitorare il paziente nel tempo somministrabili per IV
Obiettivi del trattamento

Urgenza ipertensiva Emergenza ipertensiva

• Captopril • Esmololo
• Nifedipina • Labetalolo
• Furosemide • Nitroglicerina
• Clonidina • Fenoldopam
• Nitroprussiato di sodio
• Ramipril • Nicardipina
• Amlodipina
• Fentolamina
• Idralazina

Terapia farmacologica delle emergenze ipertensive

Quadri clinici Obiettivo Farmaci Note


Encefalopatia PAM<25% nelle prime 8 ore. Labetalolo Evitare
Obiettivo PAM <110 mmHg o
ipertensiva – <130 mmHg se vasospasmo.
Esmololo vasodilatatori
Emorragia Evitare brusche riduzioni poiché Nicardipina come
subaracnoidea - possono portare a una ipo nitroprussiato e
perfusione. idralazina,

Dissecazione PAM<25% in 3-4 ore, fino Labetalolo Trombolisi per


aortica acuta – SCA a PAS<110 mmHg in Nicardipina STEMI
– scompenso assenza di segni di Esmololo controindicata se
cardiaco acuto – ipoperfusione Nitroprussiato PA>185/110
EPA Fenoldopam mmHg
Nitroglicerina

Eclampsia PA >160/110 mmHg poiché Idralazina Evitare ACE-


una ulteriore riduzione può Nifedipina inibitori (e
portare a una possibilmente
ipoperfusione del feto beta-bloccanti)
poiché fanno
male al feto

“questi sono alcuni farmaci che si usano ve li vedete un attimo da soli”:


• Labetalolo (TRANDATE)
◦ Fiale da 100 mg/20 mL
◦ Boli da 50 mg, ripetibili ogni 5 minuti fino a 4 volte
◦ Infusione continua a 1-2 mg/min ed aumentare fino al raggiungimento dell’effetto
desiderato
• Nitroglicerina
◦ Fiale da 5 mg/mL; 2 fl in s.f. 500 mL (20 mg/mL)
◦ Dose iniziale di 5 μg/min (15 mL/h)
◦ Incrementi di 5 μg/min ogni 10 minuti fino a max 100 mg/min
• Esmololo (BREVIBLOC)
◦ Preparazione pronta all’uso a 10 mg/mL (250 mL)
◦ Dose d’attacco: (peso/2) mg in 1 minuto (es 70 Kg, 35 mg)
◦ Infusione continua: 1/10 di concentrazione nei successivi 4 minuti
◦ Ripetere la sequenza raddoppiando il dosaggio di mantenimento (fino a 4 volte)

Crisi ipertensiva e ictus

Crisi ipertensiva ed ictus


• Nell’ictus ischemico una riduzione aggressiva della pressione arteriosa
contribuisce all’estensione dell’area ischemica (perdita della capacità
autoregolatoria del flusso dell’area ischemica). Spesso può addirittura
slatentizzare un sintomo neurologico non evidenziabile prima della terapia.
• N.B. è controindicato l’uso di nifedipina gocce nel sospetto di danno ischemico
cerebrovascolare acuto (infatti oltre che essere un farmaco molto aggressivo nel ridurre
la PA, non è titolabile)

• E’ raccomandata una riduzione della PA solo se la PA è superiore a 220/120


mmHg (e non vi siano altri segni di danno d’organo)

• Nei soggetti candidati a trombolisi è opportuno dapprima ridurre la PA


<185/110 mmHg e successivamente somministrare il trombolitico

• Dopo la trombolisi la PA deve rimanere <185/110 mmHg per le succesive 24


ore

• Nell’ictus emorragico l’obiettivo pressorio è PAS<180.

• Nei soggetti precedentemente trattati con antiaggreganti, un controllo


pressorio più aggressivo (PAS<140 mmHg) riduce l’entità dell’ematoma

EMERGENZE ENDOCRINOLOGICHE
CRISI SURRENALICA ACUTA

E' un Evento relativamente infrequente, data la bassa prevalenza della malattia di Addison (circa 5
casi/100.000 pz); insorge di solito su soggetti che hanno una insufficienza surrenalica cronica:
• Nel 25% dei casi è la prima manifestazione di un’insufficienza cronica surrenalica
• L’8% dei soggetti affetti da insufficienza surrenalica cronica ha almeno una crisi acuta ogni
anno.

Clinica

La sintomatologia è legata allo sviluppo di una grave e improvvisa insufficienza surrenalica e la


sintomatologia interessa vari apparati:
• gastro-enterico: addome acuto da causa non chirurgica (nauesa, vomito, distensione
addominale);
• cardiovascolare: shock, cianosi periferica, ipoperfusione, disidratazione
• SNC: confusione mentale, iperpiressia, coma
• laboratorio: iponatemia, iperkaliemia, ipoglicemia

Fattori scatenanti

Sono fattori che di solito inducono una crisi in soggetti che già hanno una patologia cronica:
• Infezioni gastroenteriche, traumi, interventi chirurgici, eventi stressanti
• Emorragia surrenalica bilaterale (vasculite dei piccoli vasi) in corso di sepsi (da meningococco
frequentemente); (N.B. Nel 15% degli shock settici è stata identificata autopticamente la
presenza di emorragia surrenalica bilaterale)
• LES, Ab-antifosfolipidi, anticoagulanti (emorragia surrenalica bilaterale)
• Adrenalectomia bilaterale

Diagnosi

La diagnosi non deve ritardare l’intervento.


• Anamnesi e esame obiettivo: interrogare il soggetto o I familioari nel caso in cui questo sia in
coma; è molto importante fondamentale per una diagnosi precose, si chiede al soggetto se
ha un addison, oppure se è sottoposto a una Terapia cronica con corticosteroidi, se ha
partorito da poco (sindrome di Sheehan – ipopituitarismo acuto post partum).
L'iperpigmentazione cutanea è un segno che ci può far sospettare una patologia surrenalica.
• Dosaggio cortisolemia <20 mcg/dL in assenza di ipoproteinemia suggestivo di malattia di
addison (e quindi in questi casi di crisi surrenalica acuta)
• Successivamente:
◦ Test all’ACTH
◦ Ab anti-21 idrossilasi

Sono tutti dei test che comunque impiegano un po’ di tempo per dare risultati, quindi la diagnosi
deve essere fatta soprattutto sulla base clinica e anamnestica, mentre si attendono i risultati
laboratoristici, poi eventualmente utilizzare anche esami strumentali.

Terapia
Nella maggior parte dei casi questi soggetti sono normalmente istruiti sul prevenire questi eventi
acuti, tuttavia può succedere che la terapia preventiva cortisonica non sia efficace e si verifichino
queste crisi. La terapia (EV) è basata su:
• Idrocortisone: 100 mg ogni 6 ore EV
• Desametasone (non interferisce con il test all’ACTH – ha azione mineralcorticoide): 40 mg
ogni 6-8 h
• Reintegro fluidi (1000 mL/h)
• Correzione disturbi elettrolitici
• Correzione ipoglicemia

Corticosteroidi e sepsi severa – shock settico


Quale razionale?
1. Evento mediato da infiammazione sistemica
2. I mediatori dell’infiammazione inducono resistenza all’ACTH ed ai
glucocorticoidi (insufficienza surrenalica relativa)
3. I corticosteroidi prevengono l’ipovolemia
4. Non vi è evidenza clinica di intolleranza a corticosteroidi
(superinfezioni, emorragie gastroenteriche, debolezza muscolare,
iperglicemia)

Indicazioni
1. shock severo, non responsivo a fluid challenge (500 mL in 10 minuti),
che richiede trattamento con vasopressori
2. Asse ipofisi-surrene non responsivo a somministrazioneACTH
(cortisolo a 6h <250 mcg/dL)

CRISI TIREOTOSSICA
CRISI TIREOTOSSICA
E' una grave forma di tireotossicosi a decorso acuto ed ingravescente; è una forma rara, tuttavia
gravata da elevata mortalità (90%).

Eziologia

Si tratta di una patologia in cui per, meccanismi ancora non chiariti, avremo un' azione adrenergica
che determina un incremento del rilascio di ormoni tiroidei e un aumento del funzionamento degli
ormoni stessi a livello periferico.

Fattori precipitanti

Qusti fattori sono elementi che non necessariamente interferiscono con la produzione e il rilascio
di ormoni tiroidei, ma possono essere semplicemente dei fattori stressanti che portano a una
attivazione del sistema simpatico:
• Chirurgia tiroidea, manipolazione, trauma tiroideo.
• Sepsi
• Anestesia
• Radioiodio – mdc iodato
• Farmaci (pseudoefedrina, anticolinergici, FANS)
• Chetoacidosidiabetica
• Eccessiva assunzione di ormoni tiroidei.

Clinica

Il quadro clinico può essere variabile anche se ci sono segni come ad esempio l'ipertermia che
sono presenti quasi costantemente. Gli elementi clinici della crisi tireotossica sono ovviamente
dovuti a un aumento degli effetti che normalmente gli ormoni tiroidei danno sui tessuti periferici:
• Ipertermia (anche fino a 41°C), sudorazione, elevata PA differenziale (elemento molto
specifico di ipertiroidismo), tachicardia, scompenso ad alta gittata, aritmie, rabdomiolisi
(interessa soprattutto gli arti inferiori con pazienti che hanno dolore e fanno fatica anche a
mettersi in piedi)
• Nausea, vomito, diarrea, dolore addominale, ittero
• Ansia, agitazione psico-motoria, epilessia, coma, tremori
• Distressrespiratorio,acidosi lattica, shock (spesso rappresenta la causa di morte di questi
soggetti).

L'elemento clinico che ci permette di sospettare la diagnosi è l'ipertemia, in questo caso infatti la
temperatura sarà molto più alta rispetto all'ipertermia legata a una infezione.

Diagnosi

Dev’essere tempestiva e basata su sospetto clinico e dati anamnestici. A livello laboratoristico


possiamo avere dei dati che ci aiutano nella diagnosi; in particolar modo non andremo a ricercare
gli no ormoni tiroidei, perchè non sono disponibili in urgenza, ma andremo a valutare CPK (segno
di rabdomiolisi), LDH, AST/ALT (ittero e insufficienza epatica), Ca++.

Terapia
Si possono utilizzare varie strategie terapeutiche:
• Raffreddare il paziente (icepacks) ghiaccio applicato a livello cutaneo, fisiologica
raffreddata
• beta bloccanti, eventualmentei.v. per neutralizzare gli effetti degli ormoni a livello
cardiovascolare (propranololo–esmololo sono farmaci non cardioselettivi, agiscono anche
su altri organi)
• Tireostatici (bloccano la sintesi degli ormoni tireodei): propiltiouracile è il farmaco di
scelta, ad alte dosi (150 mg x 4), ma fare attenzione alla sua epatotossicità;
Metimazolocome 2°scelta (somministrare tramite SNG se il soggetto non deglutisce, in
alternativa somministrazione rettale)
• Blocco della liberazione di ormoni tiroidei (soluzione satura di iodio: liquido di Lugol)
• Cortisonici (idrocortisone– desametasone): bloccano la conversione periferica di T4 in T3
• Colestiramina(inibisce il riassorbimento degli ormoni tiroidei a livello della
circolazioneentero-epatica)
• Plasmaferesi (come ultima chance).

COMA MIXEDEMATOSO

E' una condizione clinca che si sviluppa in soggetti con un Ipotiroidismo cronico su cui agisce un
evento acuto (stress fisico o psichico, ipotermia, infezione, farmaci, acidosi respiratoria). Tra i
Farmaci responsabili del coma mixedematoso abbiamo: sedativi, anestetici, narcotici,amiodarone,
beta-bloccanti, fenitoina, diuretici.

Clinica

Le manifestazioni cliniche sono legate a un deficit di ormoni tiroidei:


• SNC: letargia, coma, depressione respiratoria (causa frequente di morte), exitus
• Cuore: bradicardia, blocchi AV, ridotta contrattilità, ipertensione diastolica, scompenso
cardiaco (a bassa gittata)
• Rene:iponatremia, riduzione dek GFR, ipoglicemia
• Intestino: atonia gastrica,megacolon, ileo paralitico

Prognosi

La Mortalità è del 50% (25% se adeguato trattamento)

Terapia

idrocortisone + L-tiroxina (carico di 800 mcg+ 100 mcg/die) o per via orale o parenterale.
URGENZE ED EMERGENZE METABOLICHE

CRISI IPERGLICEMICA

Noi sappiamo che la glicemia è finemente regolata da insulina e dagli ormoni controregolatori. Nel
caso in cui c'è un deficit di azione insulina questo è il quadro che si sviluppa nei vari soggetti.
La parte sinistra del grafico fa riferimento soprattutto a soggetti con diabete di tipo 1 (che
sviluppano chetoacidosi diabetica), mentre la parte destra fa riferimento a soggetti con diabete di
tipo 2 (con iperosmolarità), anche se non c'è una distinzione netta tra queste due situazione
perché potremmo ritrovarle in fasi diverse nello stesso paziente; quindi in un paziente con diabete
noi dovremo sempre andare a valutare sia la presenza di acidosi sia quella di iperosmolarità
poiché saranno i fattori che influenzeranno maggiormente la prognosi (vi può essere anche un
certo livello di acidosi nel coma iperosmolare e vi possono essere problemi di iperosmolarità in
soggetti con chetoacidosi diabetica).
Quindi in un soggetto con iperglicemia a prescindere dal tipo di diabete dobbiamo valutare quali
sono i livelli di osmolarità e quant'è il livello di acidosi (quindi non andare a valutare solo la acidosi
in un diabete di tipo 1 o l'osmolarità in un tipo 2).
[altre cose dette riguardanti lo schema: I soggetti che sono più a rischio di andare incontro a
disidratazione sono gli anziani, poiché a livello ipotalamico aumenta la soglia che regola
l'osmolarità (quindi si avrà la sensazione di sete a una soglia di osmolarità più alta), inoltre talvolta
c'è anche una incapacità del soggetto di riuscire a idratarsi e a reintegrare liquidi. Nel coma
iperosmolare i livelli di glicemia sono molto più alti rispetto a quelli che si raggiungono nella cheto
acidosi, semplicemente per il fatto che nella chetoacidosi il soggetto muore prima di arrivare a
livelli di glicemia cosi elevati.]
IPERGLICEMIA IPEROSMOLARE

In un soggetto con crisi iperglicemica noi dobbiamo valutare:


• se sono presenti disidratazione e ipovolemia
• se c'è iperosmolarità (>320 mOsm/L) e se questa è dovuta alla presenza di iperglicemia
• quale è il PH (valutare se PH>7,3), e quali sono i livelli di HCO3- (>15mmol/L)

In presenza di disidratazione, iperglicemia, iperosmolarità e in assenza di PH<7,3 e di HCO3-


<15mmol/L , noi possiamo parlare di iperglicemia iperosmolare. Ci troviamo di fronte di solito a
un paziente con diabete mellito di tipo 2 con iperglicemia.
Quindi andremo in questi pazienti eseguiremo:
• valutazione clinica
• emogasanalisi
• valutazione dell'osmolarità plasmatica e del deficit di H2O libera:

Osmolarità plasmatica
2 x (Na+ + K+) + (glicemia mg/dL/18) + (azotemiamg/dL/2.7)
considera le sostanze osmoticamente attive (ioni, elettroliti (Na, K), glicemia, azotemia)
es.2 x (155 + 5.5) + (600/18) + (44/2.7) = 370 mOsm/L.

Molto importante è valutare il contributo del glucosio all'iperosmolarità; si verifica una particolare
relazione tra Na e glu in presenza di iperglicemia:

iponatremia translocazionale: passaggio di acqua dalle cellule al compartimento extracellulare in


seguito a iperglicemia, con conseguente iponatremia da diluizione.
Il Na+ va quindi corretto per i valori di glicemia:  Na+ (2,4 mmol/L) ogni  glucosio (100 mg/dL).
Questo meccanismo ha delle conseguenze: in questi soggetti la quota di liquidi e soluti che viene
eliminata possiede la stessa concentrazione del liquido extracellulare, quindi in presenza di
iperosmolarità da iperglicemia il rene perderà una maggiore componente di acqua libera in
relazione al sodio perso; quindi oltre alla perdita di liquidi per la diuresi osmotica si avrà una
ulteriore perdita di acqua, definita acqua libera, cioè non direttamente in relazione alla quantità di
sodio. Ciò significa che i livelli del sodio nel paziente iperglicemico nonostante l'iperglicemia
tenderanno ad aumentare proprio per la presenza di questa perdita di acqua libera (avremo quindi
ipernatriemia). In altre parole avremo una perdita di liquidi e in questi liquidi sarà preponderante
la perdita di acqua piuttosto che la perdita di sodio.
Quindi un altro parametro da misurare è il deficit di acqua libera, che deve essere valutato prima
di decidere la quantità di liquidi da reinfondere al paziente:
Deficit di H2O libera
0.6 x peso in Kg x ((Na+ (corretto per i valori dell'iperglicemia) /140 (valore normale)) – 1)
es.0.6 x 100 x ((155/140) –1) = 6.42 L

All'interno della cellula la perdita di h20, dovuta all'iperosmolarità extracellulare,determina un


aumento della concentrazione dei soluti; la cellula cerca di ovviare a questa iperosmolarità interna
tramite dei meccanismi di compenso (es. cellula del SNC), che impiegano alcuni giorni per entrare
in azione: la cellula inizia a buttare all'esterno sostanze osmoticamente attive, in modo tale da
recuperare h20 e bilanciare la sua osmolarità con quella extracellulare.
Quindi nel caso in cui la si tratta un soggetto che è da diversi giorni in condizioni di iperosmolarità
si deve tener conto di questo meccanismo di compenso: infatti una correzione troppo rapida della
iperglicemia potrebbe causare una brusca correzione dell'osmolarità extracellulare e causare
edema cerebrale.

Trattamento

Alla luce di quanto detto l'approccio terapeutico deve essere effettuato in base alle caratteristiche
del soggetto e non soltanto preoccupandoci di correggere l'iperglicemia. Infatti in un soggetto
disidratato dovrà essere corretta la disidratazione, e poi l'iperglicemia, anche perché l'idratazione
già di per se sarà sufficiente a determinare un iniziale abbassamento della glicemia. “Non è
raccomandato usare insulina nelle prime fasi della iperglicemia iperosmolare”.

Iperglicemia iperosmolare – Principi di trattamento

Decremento atteso:
100 mg/dL /h

Incremento atteso: 2,4


mmol/L ogni  100 mg/dL

Variazioni dei principali parametri condizionanti l’osmolarità plasmatica ottenibili con la sola
somministrazione di S.F. 0,9%

Questo è un grafico che mostra come si modificano nel tempo il sodio, l'urea, il glucosio e
l'osmolarità durante un trattamento adeguato, a partire da quando il paziente inizia a essere
trattato.
Se noi somministriamo liquidi osserviamo che il glucosio inizia a scendere, senza che venga
somministrata insulina; osservando sempre la curva di diminuzione del glucosio possiamo
osservare una prima parte di maggiore pendenza (decremento rapido) e una seconda di minore
pendenza (decremento lento); fino a quando si ha un decremento rapido non è necessario
somministrare insulina, insulina che invece va somministrata quando raggiungiamo la fase di
plateau.
il sodio aumenta, a causa della riduzione della glicemia (meccanismo visto in precedenza), ed è un
parametro che noi possiamo valutare per verificare se il nostro trattamento è o meno corretto
(non lasciarsi ingannare, se il sodio aumenta vuol dire che il trattamento sta avendo effetto).

Tutto questo per dire che il soggetto va strettamente monitorato e i vari parametri (Na, urea,
glucosio e osmolarità) vanno presi ripetutamente nell'arco delle prime ore, per valutare quando la
glicemia non viene più corretta dalla semplice somministrazione di liquidi ma è necessario
somministrare insulina: questo sta a indicare che abbiamo corretto la disidratazione del soggetto.
In conclusione:
• FLUIDI (soluzione fisiologica 0,9%)
➔ 1 L in 1 ora
➔ Entro 6-12 ore ottenere un bilancio idrico (differenza tra acqua data e urina prodotta)
positivo di circa 3-4 L
➔ Reintegro del deficit di H2O libera (calcolato su Na+ corretto) (solo se questo è
presente, noi possiamo avere anche una iperglicemia iperosmolare con disidratazione
ma senza deficit di acqua libera)entro 24-36 h; si utilizzano soluzioni emifisiologiche
cioè ipoosmolari, allo 0,45%; è una correzione che va fatta lentamente e nelle fasi più
tardive.
• INSULINA E GLICEMIA
➔ Non necessaria l’insulina nella prima fase
➔ Evitare correzione aggressiva iperglicemia (shift di H2O nel compartimento
intracellulare -edema intracellulare, ipotensione)
➔ Iniziare IV se:
➢ Chetonemia–acidosi
➢ Raggiungimento della fase di plateau della glicemia
➔ Dosaggio: 0,05 U/Kg/h (es. in 70 Kg: 50 U in 50 mLpompa siringa a 3,5 mL/h)
➔ Obiettivo: glicemia 180-270 mg/dL
• POTASSIO (insulina riduce K e acidosi aumenta il K) l'ipopotassiemia va prevenuta:
➔ >5,5mmol/L: non si fa niente
➔ 4,5– 5,5 : somministrare 40 mEq ogni L di NaCl0,9%
➔ < 3,5 : incrementare il dosaggio
• BICARBONATI: Non indicati
• ANTICOAGULANTI (primo perchè sono in coma, poi perchè la iperosmolarità predispone a
un aumentato rischio trombotico (aumenta di circa 3 volte)• Enoxaparinaa dosaggio
profilattico

CHETOACIDOSI DIABETICA

Il soggetto con chetoacidosi diabetica si presenta con:


• Iperglicemia
• Ipovolemia – disidratazione
• Chetonemia – chetonuria
• pH <7.3 – HCO3- <15 mmol/L

OBIETTIVI DEL TRATTAMENTO:


• Correzione acidosi (è la prima causa di exitus del soggeto) - disturbi elettrolitici
• Reintegro fluidi
• Correzione iperglicemia

Trattamento

• FLUIDI
➔ 1 L in 1 ora
➔ 1 L nelle successive 2 ore, successivamente 1L ogni 4 ore (minori quantità di liquidi
rispetto all'iperglicemia iperosmolare poiché la glicemia è più bassa in questo caso)
➔ Reintegro del deficit di H2O entro 24-36 h
• INSULINA E GLICEMIA (in questo caso l'insulina si somministra da subito perché ci
permette di correggere l'acidosi)
➔ Dosaggio iniziale: 0,1 U/Kg/h (es. in 70 Kg: 50 U in 50 mLpompa siringa a 7mL/h)
➔ Obiettivo 1°h:  glicemia 50 mg/dL,  HCO3- 3mmol/L
➔ Eventualmente aumentare dose insulina di 1 mL/h
➔ Iniziare somministrazione di soluzione glucosata al 10% se glicemia < 250 mg/dL
➔ Somministrare insulina long-actingallo stesso dosaggio precedentemente utilizzato
➔ Evitare insulina rapida
• POTASSIO
➔ >5,5mmol/L: non si fa niente
➔ 4,5– 5,5 : somministrare 40 mEq ogni L di NaCl0,9%
➔ < 3,5 : incrementare il dosaggio
• BICARBONATI Non indicati (provocano un incremento paradosso di acidosi intracranica e
possono contribuire alla comparsa di edema cerebrale)

CRISI IPOGLICEMICA

Indicazioni al ricovero in ambiente ospedaliero:


• Se la causa non è chiara
• Se il soggetto assume ipoglicemizzanti orali
• Se il soggetto assume insuline long-acting (il soggetto deve essere osservato per 24-48 h)
• Se vi sono segni neurologici (di solito preceduta da segni di attivazione simpatica che però
possono essere mascherati da farmaci come beta-bloccanti)

Terapia
Se il soggetto può assumere sostanze per via orale si possono usare bevande zuccherate (coca-cola
acqua e zucchero ecc.) oppure:
1. Glucagone(Glucagen) : fiale da 1 mL s.c. o i.m. L’effetto inizia dopo 1 minuto e dura circa
10-15 minuti
2. 2. S. glucosata 33% (è una soluzione temporanea, per via IV)
COMA

Stato di profonda incoscienza caratterizzato dalla perdita del rapporto con la realtà circostante,
della sensibilità e della motilità volontaria.

Glasgow coma scale

E' una scala molto importante perché oltre che valutare il grado di coma permette di avere una
comunicazione chiara anche tra i medici. Va dal normale grado di vigilanza fino al coma profondo;
viene attribuito un punteggio che va da 3 a 15, un gcs >9 non viene considerato coma al di sotto di
9 avremo invece vari livelli di coma (fino a GSC 3 che è il coma profondo).
GSC:
• Apertura degli occhi:
➔ spontanea (4)
➔ alla parola (3)
➔ al dolore (2)
➔ nessuna risposta (1)
• Risposta verbale:
➔ buon orientamento (5)
➔ conversazione confusa (4)
➔ parole inappropriate (3)
➔ suoni incomprensibili (2)
➔ nessuna risposta (1)
• Risposta motoria:
➔ esecuzione degli ordini (6)
➔ localizzazione del dolore (5)
➔ retrazione al dolore (4)
➔ risposta flessoria al dolore (3)
➔ risposta estensoria al dolore (2)
➔ nessuna risposta (1)

Classificazione delle cause di coma

AEIOU TIPS (acronimo)


• Alcool /Acidosi (metabolica e respiratoria) / Avvelenamento (Poisoning)
• Epilessia / Elettroliti (iponatriemia) / Encefalopatia epatica
• Infezioni
• Oppiacei / Ossigeno
• Uremia
• Trauma
• Insulina: troppa o poca
• Psicosi
• Stroke

ENCEFALOPATIA- COMA EPATICA

Forma più grave dell’encefalopatia epatica. Causa di morte nel 30% dell’insufficienza epatica
terminale (acuta e cronica).

Meccanismo: edema cerebrale provocato da: aumentato flusso cerebrale e alterazione della
barriera emato-encefalica, che permette il passaggio di sostanze osmoticamente attive (ammonio
o altri metaboliti che aumentano di concentrazione in seguito all'insufficienza epatica), che a loro
volta vengono assorbite dagli astrociti (funzione detossificante); in seguito a questo assorbimento
gli vanno incontro a un rigonfiamento, con conseguente edema cerebrale e coma, causato
dall'aumento della pressione intracranica.

Fattori scatenanti
L'encefalopatia si sviluppa in soggetti con insufficienza epatica su cui agiscono dei fattori che
portano a un incremento di queste sostanze osmoticamente attive che poi il fegato non riesce ad
eliminare, con conseguente accumulo a livello circolatorio:
• Aumentato assorbimento di ammonio: aumento di
➔  apporto proteico alimentare (consumo di grande quantità di carne rossa)
➔ Infezioni – peritonite batterica spontanea
➔ Alterazioni idroelettrolitiche – diuretici (furosemide) (ipokaliemia  alcalosi   NH3
nella forma non ionizzata)
➔ Sanguinamento gastro-enterico ( sostanze azotate per degradazione dei globuli rossi a
livello GI e liberazione delle loro proteine)
➔ Riduzione del filtrato glomerulare ( eliminazione NH3)
➔ Costipazione (rallentamento del transito intestinale che determina una maggiore
produzione di ammonio da parte di alcuni batteri del tratto GI)
➔ Farmaci (sedativi, oppiacei, antipsicotici)
• Shunt porto-sistemico
➔ Ipertensione portale
➔ TIPS (transjugularintrahepatic portosystemicshunt): evento ad insorgenza acuta in 1
caso su 3.

Orientamento diagnostico

Clinica

Esistono dei segni precoci e dei segni tardivi, di fatto questa è una patologia che segue vari stadi
fino ad arrivare al coma. Nelle fasi precoci di encefalopatia epatica il soggetto sembra solo
apparentemente mantenere uno stato di coscienza, in realtà si hanno già dei disturbi, che possono
essere messi in evidenza mediante della domande specifiche (questi disturbi sono: cambiamento
di personalità, fluttuazioni dell’umore, confusione, letargia, rallentamento ideo-motorio,
disorientamento, eloquio incomprensibile), dopodiché si avrà una progressione verso il coma con
stato soporoso (sonnolenza con risposta a stimoli verbali), stupor (sonno profondo con risposta a
stimoli dolorosi intensi), e infine coma(assenza di risposta).
Altri segni di epatopatia (spider nevi, asterixis,fetor hepaticus,…); ovviamente anche l'anamnesi e l'
esame obiettivo ci aiutano nella diagnosi.

Laboratorio

Ammonio: attenzione in circa il 10% dei casi può essere negativo, non correla con la gravità del
quadro clinico e non è un marker di efficacia del trattamento

Strumentale

MRI: iperintensità del nucleo pallido

Trattamento

• Prevenzione della polmonite da aspirazione (vale per tutti i soggetti in coma): considerare
sondino naso-gastrico o l’intubazione endotracheale
• Lattulosio (lassativo osmotico) per os o per via rettale, va dato a dose abbondante:
aumenta transito intestinale, acidifica le feci (acidificare l'ambiente GI permette di ridurre
l'assorbimento di ammonio) e riduce l’assorbimento di acidi organici. Somministrare
tramite sondino naso-gastrico (20 g ogni 3-4 h) o clistere. Obiettivo: 3-4 evacuazioni di feci
soffici/die
• Antibiotici ad azione intraluminale (contrastano attività batteri che producono ammonio):
rifaximina 400 mg x 3 –neomicina – paromomicina
• Aminoacidi a catena ramificata
• Se agitazionepsico-motoria:aloperidolo
• MARS: molecularabsorbentrecyclingsystem (per insufficienza epatica):
➔ Sistema di rimozione di sostanze potenzialmente tossiche legate all’albumina
(tradizionalmente non dializzabili)
➔ Es.: sali biliari, bilirubina, acidi grassi liberi, triptofano, alcuni farmaci
➔ Funzionamento: scambiatore di anioni e filtro a carboni attivi
➔ Obiettivo terapeutico: garantire un certo livello di rigenerazione degli epatociti in
attesa di trapianto

COMA ETILICO

Complicanza di un'intossicazione acuta da etanolo (depressione SNC)

Categorie a rischio:
• bambini: ingestione accidentale di preparati contenenti alcool etilico (farmaci, sostanze ad
uso topico, profumi, cosmetici), ingestione accidentale di bevande alcooliche
• adolescenti–adulti: ingestione volontaria di elevate quantità, spesso insieme a sostanze da
abuso

CLINICA

• Depressione del SNC: depressione respiratoria, convulsioni, coma


• Depressione miocardica: edema polmonare, aritmie (anche fatali)
• Ipotermia
• Depressione della funzione epatica: blocco della gluconeogenesi e chetoacidosi alcolica,
con conseguente Ipoglicemia – acidosi metabolica
• Alterazioni idroelettrolitiche: disidratazione,ipokaliemia
• Pancreatite acuta
• Coma etilico

DIAGNOSI E TERAPIA

• Valutare glicemia, elettroliti, EGA (acidosi, gap anionico), temperatura corporea,


alcoolemia (elevato rischio di morte se >500 mg/dL), osmolarità (gaposmolare), ECG
• eventuale intubazione endotracheale
• Fluidi –correzione dell’ipotensione
• S. glucosata:correzione ipoglicemia, correzione acidosi
• Tiamina 100 mg IM se episodio acuto in alcoolista cronico (ripristina la gluconeogenesi)
• In casi selezionati entro 1 h dall’ingestione, eventuale gastrolusi

COMA UREMICO

Fase finale dell’encefalopatia uremica (a sua volta fase finale dell'insufficienza renale). Spesso ad
eziologia multifattoriale, soprattutto nei pazienti dializzati (azoto, deficit di tiamina, neurotossine,
accumulo di Al, ipercalcemia intracerebrale da iperPTH secondario,…).
Trattamento di supporto. Miglioramento parziale dopo dialisi (anche se non vi è correlazione tra
quadro clinico e livelli di azotemia).

INTOSSICAZIONI ACUTE

• Seconda causa di morte di natura traumatica dopo gli incidenti stradali (initalia circa 1000
decessi/anno)
• Nell’82% dei casi intossicazioni non intenzionali
• Proporzione di morti non intenzionali da overdose in incremento

Da questa diapositiva si nota quella che è l'incidenza e la mortalità intrinseca dei vari tipi di
intossicazioni; inoltre si valuta come è alto il numero di intossicazioni da farmaci che si utilizzano
comunemente nella pratica quotidiana (analgesici e cardiovascolari soprattutto), e di intossicazioni
da sostanze che vengono utilizzate nella vita di tutti i giorni (detersivi sostanze chimiche ecc.)

Approccio generale

E' un approccio che viene eseguito in tutte le intossicazioni a prescindere dall'agente eziologico;
mentre si mettono in atto queste misure si deve comunque iniziare a pensare e ricercare la causa
alla base dell'intossicazione. Si valutano:
• AIRWAY: protezione della pervietà delle vie aeree. Considerare intubazione endotracheale
se rischio di polmonite da aspirazione (o sondino nasogastrico)
• BREATHING: correzione ipossiemia, valutazione (e correzione) di acidosi respiratoria
• CIRCULATION: fluidi, vasopressori se shock.
Subito dopo aver verificato I parametri ABC si somministra:
• NALOXONE 1 fl nel sospetto di intossicazione da oppiacei (soprattutto se riscontriamo
miosi – coma– depressione respiratoria); il naloxone può essere somministrato anche in
caso di diagnosi incerta per il fatto che è un farmaco ben tollerato e non da effetti avversi
gravi (ci permette in questi casi una diagnosi ex adiuvantibus)
• Stick glicemico (eventualmente s. glucosata 33% se c'è ipoglicemia)
• Valutazione clinica approfondita

Valutazione clinica

• Anamnesi – ispezione generale: informazioni sull’evento (parlare con il soggetto o con il


testimone, valutare scatole vuote, cerotti transdermici, nome del composto – contattare
centro antiveleni)
• Esame obiettivo: pupille (oppiacei, cocaina, clonidina), peristalsi, riflessi, cute, temperatura
corporea
• Fare attenzione alle modificazioni del quadro clinico nel tempo

Sindromi tossicologiche comuni

In questi casi basta valutare alcuni segni clinici sui vari apparati per poter arrivare abbastanza
facilmente alla diagnosi.
Esami di laboratorio

• Glicemia
• Funzionalità epatica e renale
• Elettroliti sierici
• Screening tossicologico (il referto è disponibile in urgenza); non c'è una correlazione tra I
valori trovati negli esami di laboratorio, la concentrazione ematica della sostanza e il suo
effetto clinico, quindi se noi troviamo l'esame tossicologico positivo ad es per I barbiturici
possiamo solo concludere che sono presenti barbiturici nell'organismo del nostro paziente
e non dare una valutazione quantitativa (in pratica noi possiamo concludere che ci sono
barbiturici ma non che I barbiturici sono la causa dell'intossicazione, il tutto va confrontato
con il dato clinico e anamnestico); a questa regola ci sono due eccezioni che sono il
paracetamolo e l'etanolo;
➔ Paracetamolo
➔ Carbamazepina
➔ Acido valproico
➔ Digossina
➔ Etanolo
➔ Litio
➔ Salicilati
➔ Fenitoina
➔ Teofillina
➔ Benzodiazepine
➔ Barbiturici
➔ Eroina
➔ Morfina
➔ Metadone
➔ Cocaina
➔ Cannabinoidi
➔ Amfetamine e MDMA
• Emogasanalisi: serve oltre che per definire la quantità di ossigeno di cui ha bisogno il
paziente anche per valutare un eventuale modificazione di PH; in particolare tramite il gap
anionico riusciamo a distinguere le acidosi metaboliche in cui si hanno sostanze che
cedono H+ da quelle dovute a un consumo di bicarbonati: (Na+ + K+)– (Cl- + HCO3-) = v.n.
<16mmol/L. Quindi ritrovare un gap anionico elevato ci permette di indirizzare I nostri
sospetti verso determinate sostanze; le sostanze che cedono ioni H+ sono:
➔ Metanolo
➔ Etilen glicole
➔ Etanolo
➔ Salicilati
➔ Simpaticomimetici
➔ Isoniazide
➔ Ibuprofene
➔ Altre cause di gap anionico aumentato sono: Acidosi lattica, Chetoacidosidiabetica,
Uremia, Monossido di carbonio
• Gap osmolare elevato: Osmolarità misurata – Osmolarità calcolata = v.n. <10mOsm/L;
esistono sostanze osmoticamente attive che noi normalmente non prendiamo in
considerazione nella formula che ci permette di calcolare l'osmolarità; se osserviamo una
differenza elevata tra osmolarità misurata con l'osmometro e quella calcolata con la
formula classica (quindi se troviamo un gap osmolare elevato) significa che l'intossicazione
è causata da sostanze osmoticamente attive. Queste sostanze sono:
➔ Alcooli (metanolo – etanolo – etilen glicole)
➔ Farmaciosmoticamenteattivi (mannitolo – sorbitolo glicerolo –mezzi di contrasto)
➔ Acetone

Esami strumentali

• ECG, è molto utile per individuare la causa ma anche per evidenziare le possibili
complicanze aritmiche dell'intossicazione:
➔ Alcuni farmaci determinano un Blocco canali potassio (QT prolungato per interferenza
sulla fase di ripolarizzazione), potendo determinare una TV o una Torsione di punta:
➢ Neurolettici Antidepressivi (SSRI) Antiaritmici Fluorochinoloni Idrossiclorochina
➔ Alcuni farmaci determimano un Blocco canali sodio (QRS prolungato per interferenza
sulla depolarizzazione), potendo determinare dei Blocchi AV avanzati o una FV:
➢ Carbamazepina Cocaina Ca++antagonisti NonDiidropiridinici Beta-bloccanti
Fenotiazine
• Rx torace: può essere utile in una sola condizione, cioè l'edema polmonare acuto da
salicilati.

Misure di supporto

Esistono delle misure di supporto generali e altre specifiche in base all'agente eziologio:
• Gastrolusi
➔ Di rara efficacia (solo se entro 1 h dall’ingestione)
➔ Controindicata in caso di ingestione di acidi-alcali–detergenti (schiuma), perché in
questo facciamo ritransitare queste sostanze per l'esofago eponendolo a ulteriori danni
(ustioni)
➔ Complicanze: perforazione gastrica – polmonite –ipossia – aritmie cardiache
• Irrigazione intestinale: Polietilenglicole 2 L/h (è una sostanza che non viene assorbita e che
rimane nel lume gastrointestinale; la sua somministrazione determina un aumento della
velocita di transito intestinale e un ridotto assorbimento)
➔ Controindicata se: ileo (sindrome colinergica, oppiacei, betabloccanti) – perforazione
intestinale
➔ Può essere utile in caso di: metalli (litio –ferro) o formulazioni a rilascio enterale
(salicilati)
• Carbone attivo:
➔ Dosi singole:
➢ Contrasta l’assorbimento di molte sostanze
➢ 50 g entro 1 ora dall’ingestione tramite SNG
➢ Non efficace se: acidi – alcali –carbamati/organofosforici– metalli
➢ Può stimolare il riflesso del vomito
➔ Dosi multiple:
➢ Inibisce l’assorbimento intestinale delle sostanze escrete attraverso la circolazione
entero-epatica (es.carbamazepina– fenobarbital–teofillina -salicilati)
• Alcalinizzazione delle urine
➔ Principio: inibizione del riassorbimento tubulare degli acidi deboli idrosolubili (forma
ionizzata)
➔ Bicarbonato di sodio: 100-200mmol in bolo + infusione continua
➔ ObiettivopH urine >7,5
➔ Indicato in caso di: salicilati – antidepressivi triciclici –fenobarbital
➔ Complicanze: disturbi elettrolitici
➔ La diuresi forzata(fluidi + diuretici) non è raccomandata: i diuretici riducono
l’eliminazione renale di alcune sostanze (es. Salicilati).
• Misure terapeutiche avanzate: emodialisi
➔ Utile in casi selezionati: sostanza scarsamente legata a proteine, idrofila, basso volume
di distribuzione, basso peso molecolare
➔ Ideale per: alcooli tossici (metanolo–etilen glicole), acido valproico, salicilati,
metformina, litio
➔ Complicanze: ipotensione arteriosa, squilibri elettrolitici, instabilità emodinamica
• Sistemi di emoperfusione – MolecularAdsorbentRecyrculating System: sostanze
potenzialmente legate all’albumina (barbiturici – teofillina).
• Antidoti: una volta che abbiamo identificato la causa possiamo intervenire con delle
sostanze che bloccano in maniera specifica la sostanza tossica:

Intossicazioni acute – antidoti

Sostanza Antidoto
Organofosforici – carbamati Atropina
Ossalati – citrati Cloruro di Ca++
Digossina FAB (Ab leganti digossina)
Alcooli tossici Fomepizolo
Benzodiazepine Flumazenil
Methotrexate Acido folinico
Paracetamolo N-acetilcisteina
Oppioidi Naloxone
Cianuro Idrossicobalamina
Metaemoglobina Blu di metilene
Isoniazide Piridossina
Warfarin Vitamina K

Paracetamolo

• Dose epatotossica: >150 mg/Kg (es. in 70 Kg, 10,5 g)


• Eliminato per glucuronazioneo solfatazione; una parte, metabolizzata dal CYP450, produce
una sostanza tossica inattivata dal glutatione (che può esaurirsi, con conseguente danno
epatico)
• Fasi della tossicità epatica
➔ 1. Vomito, nausea, anoressia (24h)
➔ 2. Dolore addominale, incremento di AST/ALT (48h)
➔ 3. Encefalopatia, disturbi della coagulazione, ipoglicemia, ittero, IRA
➔ 4. Exitus o trapianto
• Terapia: N-acetilcisteina (IV solo nei casi più gravi – reazione anafilattoide da rilascio di
istamina): cede gruppi sulfidrilici, aumenta la sintesi del glutatione. Dosaggio stabilito in
funzione di: valori plasmatici di paracetamolo, tempo trascorso dall’ingestione,
concomitante epatopatia.

Alcooli (metanolo – glicole etilenico – glicole propilenico)

• Presenti in: solventi, vernici, prodotti antigelo, antiruggine, solventi di farmaci


(es.fenobarbital,diazepam,bactrim)
• I danni sono provocati dai loro metaboliti: formaldeide (metanolo), acido ossalico (glicole
etilenico)
• Clinica
➔ Necrosi tubulare acuta (anche per basse concentrazioni)
➔ Danno SNC (alterazioni stato di coscienza, deficit neurologici)
➔ Acidosi metabolica
➔ Tossicità cardiaca
• Terapia:
➔ Fomepizolo, etanolo: inibitori competitivi dell’alcool-deidrogenasi
➔ Bicarbonato di sodio: acidosi metabolica, inibisce la precipitazione di ossalato di Ca++
➔ Dialisi

Antidepressivi triciclici

• Effetti anticolinergici: pupille dilatate, secchezza cute e mucose, ileo


• Effetti serotoninergici: iperattività neuromuscolare, diaforesi, agitazione, alterazioni dello
stato mentale, ipertermia, convulsioni, paralisi respiratoria.
• Inibizione attività -adrenergica: ipotensione -shock
• Blocco canali Na+ e Ca++: aritmie cardiache fatali
• Terapia:
➔ Bicarbonato di Na+: alcalinizzazione urine
➔ Antiaritmici: lidocaina
➔ Carbone attivo: farmaci a rapido assorbimento, si legano a proteine plasmatiche, molto
lipofili

Ca antagonisti e beta-bloccanti

• Effetti cardiovascolari: ipotensione, bradicardia, inotropismo negativo, blocchi di


conduzione
• Effetti respiratori: broncospasmo
• Effetti metabolici: ipoglicemia, iperkaliemia
• Effetti sul SNC (liposolubili: passaggio BEE): alterazione stato mentale, depressione
respiratoria, convulsioni
• Terapia:
➔ Glucagone IV (bolo + infusione continua)
➔ Ca++cloruro–Ca++gluconato (soprattutto per intossicazione da Ca++antagonisti)
➔ Noradrenalina-Dopamina (soprattutto per contrastare beta-bloccanti)
➔ S. glucosata 10% + insulina 5 UI ogni 500 mL
Salicilati

• Tossicità rara, ma ad elevata mortalità (15-25%, specie se la diagnosi è ritardata)


• Clinica: è data in parte dall'azione diretta del farmaco in parte dall'acidosi indotta:
➔ Gastro-enterico: vomito, dolore, ridotta motilità gastrica, ematemesi, perforazione
gastrica.
➔ Respiratorio: edema polmonare acuto da aumento permeabilità della barriera alveolare
➔ Equilibrio acido-base: acidosi metabolica ad elevato gap anionico
➔ SNC: letargia, coma da riduzione glucosio intracerebrale, ipertermia
• Terapia:
➔ No antidoto
➔ S. glucosata
➔ Alcalinizzazione delle urine: bicarbonato di Na+ 70-100mEq in bolo + infusione continua
150 mEqin 1 L di s.glucosatain 4-6 h
➔ Carbone attivo in dosi multiple
➔ Ventilazione meccanica non indicata, dialisi.

Oppiacei

• Triade: depressione respiratoria, sopore, miosi


• Naloxone (Narcan):
➔ 1 fl 0,4mL; ripetibile ogni 20-40 minuti anche fino a 20 volte (anche in infusione
continua). Può scatenare sindrome da astinenza
➔ Se il quadro clinico non migliora, considerare altre cause

Benzodiazepine

• Letargia, coma, arresto respiratorio


• Flumazenil (Anexate):
➔ 1 fl 0,2mL; ripetibile fino a 10 volte
➔ Può scatenare crisi epilettiche
➔ Nelle somminsitrazionidi BZ long-acting si può osservare effetto rebound (perché il
flumazenil è un farmaco a breve emivita); monitorare il paziente ed eventualmente
rifare un altra fiala di BDZ.

USTIONI

• 300.000 morti/anno in tutto il mondo


• 100.000 casi/anno in Italia
• Nel 10% necessitano di ricovero ospedaliero – centro grandi ustionati
• Nel 70% interessano i maschi

Le lesioni (sia interne che esterne) possono essere causate da: Fiamme, Scottature, Oggetti caldi,
Agenti chimici, Energia elettrica (ustioni interne). Le ustioni interne sono quelle più difficili da
trattare per il fatto che è difficile valutare con esattezza quella che è l'entità del danno, e vanno
quindi sempre trattate come ustioni gravi .
Trattamento

1. Sicurezza della scena – dei soccorritori


2. Airway –Breathing –Circulation
3. Valutazione della gravità (importante perchè poi condizionerà il trattamento, questo vale
sia per l'estensione sia per la gravità):
• Estensione (regola del 9)

◦ Gravità del danno:


➔ I grado: lesioni che coinvolgono lo strato superficiale dell’epidermide; aspetto
eritematoso
➔ II grado: lesioni dell’epidermide e di parte del derma; aspetto edematoso e
vescicobolloso; alone di iperemia periferico. Intenso dolore. La formazione o
l'apertura delle bolle con fuoriuscita di acqua e proteine può determinare
disidratazione e ipoproteinemia (ovviamente se la lesione è estesa).
➔ III grado: lesioni a tutto spessore. Aspetto della cute biancastro per colliquazione
delle proteine dell'epidermide, rossastro, nerastro. Consistenza della cute simile al
cuoio, con perdita di elasticità. Anestesia cutanea, con possibile interessamento di
organi vitali sottostanti.
➔ IV grado: interessamento degli organi ed annessi sottostanti la cute
◦ Altri fattori concomitanti (età, altre patologie, tipologia dell’esposizione)
◦ Rischio infettivo (causa principale di morte, disabilità, danno estetico).

Danni da inalazione

Sono danni legati alla inalazione di sostanze prodotte durante la combustione:


• Avvelenamento da CO
➔ Danno legato alla durata ed all’entità dell’esposizione a prodotti di incompleta
combustione
➔ Danno ipossico che si manifesta a livello SNC: agitazione, obnubilamento del sensorio,
coma, exitus
➔ Diagnosi EGA: dosaggio carbossiemoglobina (il classico colorito ciliegia può non essere
presente.
➔ Terapia: O2 100% o camera iperbarica
• Danni termici da inalazione nel sopraglottide
➔ Edema da ustione del sporaglottide(aspirazione gas ustionanti, vapori ad elevata
temperatura, etc.): stridore laringeo, incapacità a deglutire, eritema dell’orofaringe.
• Danni termici da inalazione nel sottoglottide
➔ Broncospasmo diffuso
➔ Polmonite chimica da inalazione di acidi, ossidi, aldeidi
➔ Ulcerazioni
➔ edema
➔ ipersecrezioni della mucosa bronchiale  I danni possono manifestarsi anche a
distanza di 4-5 giorni (Rx torace in urgenza: negativo). Elevato rischio infettivo

Ovviamente in caso di lesioni molto estese e gravi I soggetti vengono mandati nei centri per grandi
ustionati.

Indicazioni all’intubazione endotracheale


• 1. Estensione delle lesioni > 40%
• 2. Ustioni della faccia-naso-cavo orale
• 3. Stridore – Uso dei mm. accessori-Segni di ostruzione delle vie aeree
• 4. Potenziali danni da inalazione
• 5. Danno ipossico ingravescente

Trattamento

Supporto emodinamico

Il supporto emodinamico è molto importante laddove ci sia una perdita di liquidi e proteine
significativa, con possibile shock ipovolemico (aumento resistenze periferiche, edema nella zona
dell’ustione, incremento della permeabilità vascolare); è necessario che il reintegro sia rapido ed
adeguato. I prodotti da utilizzare sono:

• Colloidi: macromolecole che non oltrepassano l’endotelio, richiamando acqua per effetto
osmotico e trattenendo acqua all'interno del vaso Es. albumina, HES, emagel.

• Cristalloidi: acqua in cui sono disciolte sostanze osmoticamente attive. Es. s.fisiologica
0,9%, ringer lattato (contiene acido lattico che funziona come tampone, e quindi può
essere somministrato se è presente acidosi) ringer acetato (utilizza acido acetico come
sistema tampone; indicato nelle acidosi ipercloremiche); in condizioni di acidosi I ringer
lattato e acetato sono da preferire alla soluzione fisiologica.

• In generale i colloidi non migliorano la prognosi (ed a volte la peggiorano)


• I colloidi sono molto più costosi
• Rischio acidosi metabolica ipercloremica con NaCl, ipotonicità con Ringerlattato o acetato
Dosi:
Ringer lattato (acetato) 2-4 mLx peso x % ustione
• 50% nelle prime 8 ore
• 50% nelle successive 12 ore
• Successivamente va monitorata la diuresi (evitare diuretici) e in base proprio alla diuresi si
valuta la quantità da somministrare.
• Controllo ogni ora dei parametri vitali (la misurazione della PA può essere resa difficoltosa
dall’edema)
• Dosi maggiori se lesioni elettriche, quindi lesioni interne, documentate dalla presenza di
mioglobinuria (danno muscolare)

Per misurare la diuresi dobbiamo far riferimento alla Diuresi attesa: 0,5 mL/Kg/h, cioè la quantità
di urina prodotta nell'unità di tempo in condizioni di euvolemia: se la diuresi è aumentata rispetto
a quella attesa va ridotta di un terzo, se è ridotta va aumentata di un terzo.

Terapie specifiche

• Slufadiazina argentica (connettivina), Acetatomafenide, sono sostanze da applicare


direttamente sulla lesione per favorire la riparazione e prevenire le infezioni.
• Considerare escarotomia se compaiono segni legati all’ipoperfusione degli arti (legati
all'edema e alla rigidià cutanea che farà si che ci sia una compressione delle strutture
sottostanti)
• Considerare fasciotomia se mioglobinuria persistente (sindrome compartimentale per
compressione delle fasce muscolari)
• Particolare attenzione a: lesioni di faccia, mani, piedi , genitali, perineo, articolazioni;
lesioni chimiche ed elettriche; ustioni + trauma
• Prognosi infausta se: 1. Lesioni >40% del corpo 2. Età > 60 anni 3. Danni da inalazione

Potrebbero piacerti anche