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LA GENETICA

La genetica è lo studio dell’ereditarietà dei caratteri nei viventi.


Essa studia le cause delle similitudini e delle diversità innate tra gli organismi, ap-
partenenti a specie diverse o alla stessa specie; suo scopo è comprendere come tali ca-
ratteristiche si originano e mantengono.
Tali similitudini e diversità innate sono codificate nel DNA.
DNA = Acido DeossiriboNucleico = sostanza finalizzata alla codificazione delle
istruzioni per l’azione cellulare.

Il filamento di DNA è avvolto in un materiale, definito cromatina.


Cromatina: materiale formato da proteine (con prevalenza degli istoni) ed RNA
Il DNA è avvolto su corpi istonici, a propria volta uniti in gruppi.
Il DNA è strutturato in base ad un codice genetico = criterio di memorizzazione fisi-
ca delle caratteristiche del vivente.
Tale codice è costituito da coppie di basi azotate, sostenute da un doppio filamento
di acido fosforico e deossiribosio.

Una sequenza di 600 - 1.800 coppie di basi azotate costituisce un gene.


Gene: unità base d’informazione genetica.
Una serie di geni costituisce un cromosoma.
Cromosoma: molecola di DNA.
Un cromosoma non ospita geni inerenti ad argomenti tra loro coerenti; al contrario,
lungo il filamento di DNA si trovano in siti adiacenti geni che codificano aspetti profonda-
mente diversi dell’essere vivente. Molti geni sono presenti in più copie distribuite nel geno-
ma, per garantirne la disponibilità in caso di danneggiamento d’un cromosoma, altri sono
moltiplicati per massimizzarne l’azione simultanea e sommata; le popolazioni umane nella
cui dieta l’amido è fondamentale hanno 10 copie del gene per l’enzima che lo fa digerire,
che scendono a 2 per i gruppi a basso consumo d’amido.
Ogni cromosoma umano è un filamento lungo circa 2 metri, con diametro di 2 × 10-6
mm, e contiene mediamente 500 geni, pur se con ampie variazioni.
L’insieme dei cromosomi d’un organismo si definisce genoma.
Genoma = patrimonio genetico dell’organismo.
Il genoma si articola in tre parti; una, largamente maggioritaria, è comune a tutti gli
esemplari della stessa specie (99,9% in Homo S.S.), un’altra, minoritaria, dipende
dall’ascendenza parentale più stretta, la terza, minimale, è propria del singolo individuo.
Nella sottospecie Homo Sapiens Sapiens, il genoma consta di 46 cromosomi (23
coppie, numerate in ordine di dimensioni calanti, tranne X ed Y), 23.000 geni, 3,2 × 10 9
coppie di basi azotate; ogni cellula impiega circa 2.000 geni, a causa della sua specializ-
zazione. La quantità del genoma è orientativamente proporzionale al livello evolutivo della
specie (alcuni virus hanno solo 3.000 – 5.000 coppie di basi = 3 geni = proteina della cap-

side, enzima polimerasi, proteina riconoscimento cellula ospite), ma con eccezioni; lo


scimpanzé ha 48 cromosomi, le farfalle 250, il riso ha 60.000 geni, il Lilium ha 1011 coppie
di basi.
La costituzione funzionale del DNA si articola nelle seguenti parti:
- gli esoni sono segmenti del DNA che vengono tradotti in istruzioni per la cellula, con pre-
valenza della sintesi proteica e degli RNA, e possono essere combinati tra loro in modi
diversi; hanno lunghezza media di 135 basi. Sono il DNA codificante, mentre tutto il resto
è DNA non codificante (extragenico, funzionale all’espressione del DNA genico).
- gli introni sono segmenti di DNA che non vengono letti dagli enzimi di trascrizione ma se-
parano e segnalano gli esoni, consentendone la varia combinazione; non sono indispen-
sabili, poiché mancano nei batteri, che pure compiono ogni funzione genetica.
- i promotori sono segmenti di DNA ai quali gli enzimi di trascrizione si agganciano per ini-
ziare la sequenza di polimerizzazione
- i terminatori sono segmenti di DNA che arrestano l’azione degli enzimi di trascrizione e li
distaccano dal filamento
- gli attivatori (enhancer) sono segmenti di DNA che azionano i promotori, avviando la se-
quenza di espressione d’un gene
- i trasposoni sono segmenti di DNA che sezionano tratti di cromatidio e li spostano verso
altri siti dello stesso genoma.
- i telomeri sono segmenti terminali dei cromosomi, aventi funzione di proteggere fisica-
mente e chimicamente la parte attiva (codificante e non).
Nell’ambito di un gene, gli introni prevalgono quantitativamente sugli esoni; il gene
per la proteina albumina conta 7.700 coppie di basi, delle quali 1872 esoniche, tra cui
1158 codoniche; le restanti sono introniche.
Nel genoma umano, gli esoni rappresentano l’1% del totale, ma i soli 23.000 geni
presenti codificano le 100.000 proteine dell’organismo; questo è consentito dalla possibili-
tà di combinare gli esoni in modi diversi. Gli esoni sono tanto più prevalenti in percentuale
quanto meno evoluta è la specie, giungendo a rappresentare la quasi totalità del genoma
batterico.
Al di fuori della riproduzione cellulare, il DNA è svolto, per poter essere letto (eucro-
matina), così che possa avvenire l’espressione dei geni.

Espressione genica: produzione della proteina codificata nel gene


Quando uno stimolo esterno (ormone) raggiunge l’estremità esterna dei recettori di
membrana, essi rilasciano verso il citoplasma un mediatore che a propria volta innesca un
effettore (enzima) il quale catalizza la genesi di altri, specifici enzimi; DNAtopoisomerasi
svolge gli avvolgimenti istonici, spiana la doppia elica, DNAelicasi separa i due filamenti,
RNApolimerasi unisce i nucleotidi dell’RNA; ne risulta il filamento RNA complementare al
gene interessato = primo trascritto = RNA immaturo.
Il primo trascritto peraltro contiene anche gli introni, che non devono essere tradotti
in amminoacidi; avviene pertanto la maturazione dell’RNA = splicing. Durante la prima tra-
scrizione, i complessi “snurp” (snRNP = small nuclear RiboNucleoProteins) si legano agli
estremi degli esoni; terminata la trascrizione, esse si attraggono reciprocamente, forman-
do anse che includono gli esoni e si staccano. I segmenti esonici vengono riassorbiti, men-
tre i segmenti intronici vengono riuniti dall’enzima DNAligasi.
A questo punto l’RNA è maturo ed esce da un poro della membrana nucleare a rag-
giungere la propria destinazione funzionale.
Lo splicing alternativo consiste nella possibilità di esprimere o meno diversi domini
(esoni), combinandoli a costituire diverse proteine.
La posizione dei fattori finalizzati all’espressione d’un gene richiede una specifica
disposizione tridimensionale del cromatidio. Gli esoni sono infatti preceduti a diretto con-
tatto dai promotori e seguiti dai terminatori, mentre gli attivatori sono spesso molto distanti;
questo richiede il ripiegamento del filamento a formare anse, che pongano l’attivatore a
contatto con il promotore. L’azione inizia con l’adesione dell’oligopeptide CTCF (11 ammi-
noacidi) a sequenze specifiche di 20 basi oltre il promotore e l’attivatore; poi, la coesina
(coppia di anelli di proteine attorno al cromatidio) fa scorrere il cromatidio a formare l’ansa,
finché viene fermata dal CTCF quando promotore ed attivatore sono a contatto ed intera-
giscono, innescando l’espressione del gene. Completata la lettura, il CTCF si stacca e la
coesina lascia scorrere il cromatidio fino alla posizione originale e l’ansa si distende. Le
anse sono pertanto strutture transitorie; nel genoma umano ve ne sono 10.000 possibilità,
corrispondenti ai casi in cui l’attivatore è lontano dal promotore.
La maggior parte dei geni è soggetta a regolazione, il che significa che vengono
espressi solo quando il loro prodotto è necessario.

Regolazione genica: controllo quantitativo nell’espressione dei geni.


La regolazione si basa sull’adesione di proteine a sequenze DNA di controllo (=
segmenti intronici a monte del promotore); dette proteine possono svolgere un’azione di
controllo positiva (attivando il gene altrimenti silente tramite richiamo di enzimi di trascrizio-
ne) o negativa (silenziando il gene altrimenti attivo, con l’impedire l’aggancio degli enzimi
di trascrizione).
Il genoma dell’organismo definisce il suo genotipo.
Il genotipo d’un organismo è l’insieme delle caratteristiche codificate nel genoma.
Il genotipo del vivente determina il suo fenotipo:
Il fenotipo d’un vivente è l’insieme dei caratteri del vivente.
Un carattere d’un organismo è una sua peculiarità materialmente riscontrabile.
Negli organismi eucarioti, vi sono cromosomi detti autosomi, che codificano caratte-
ristiche analoghe in tutti gli individui, e cromosomi sessuali, che determinano il genere
d’appartenenza. Nell’uomo, sono presenti 44 autosomi (22 coppie) ed una coppia di cro-
mosomi sessuali, definiti X ed Y; sul cromosoma X sono quasi assenti geni a funzione
sessuale, mentre il cromosoma Y consta quasi interamente di geni sessuali. Dunque il cro-
mosoma Y contiene i geni mascolinizzanti e pertanto la sua presenza determina l’apparte-
nenza al genere maschile, mentre la presenza di due cromosomi X porta all’appartenenza
al genere femminile, come accade nella maggior parte delle specie.
Vi sono specie in cui i cromosomi sono costituiti da un solo filamento, contenente
un’unica copia d’ogni gene; tali organismi e le loro cellule si dicono aploidi.
Vi sono altre specie i cui cromosomi sono costituiti da due filamenti simili, detti cro-
matidi, versioni diverse d’uno stesso repertorio d’istruzioni, ognuno dei quali derivante da
uno dei genitori; tali organismi e le loro cellule si dicono diploidi e, normalmente, sono i più
evoluti.
Cromatidio: filamento continuo di DNA derivante da un genitore.
Un cromatidio rappresenta pertanto una sequenza di geni, ognuno dei quali può
presentarsi in versioni diverse, dette alleli.
Allele: una delle possibili forme alternative d’un gene.
Un organismo le cui cellule abbiano cromosomi con cromatidi aventi lo stesso allele
per un dato gene, si dice omozigote per quel gene.

Un organismo le cui cellule abbiano cromosomi con cromatidi aventi alleli diversi di
uno stesso gene si dice eterozigote per quel gene.
Ogni allele origina una versione fenotipica del relativo carattere; per uno stesso
gene possono esservi alleli in numero variabile e fenotipi in egual numero.
Nella maggior parte dei casi, gli alleli d’un gene possono raggrupparsi in due cate-
gorie, dette allele dominante ed allele recessivo.
L’allele dominante, se presente anche in uno solo dei due cromatidi, determina il
carattere, stabilendo il fenotipo dell’organismo.
L’allele recessivo determina il carattere solo se unico presente in entrambi i cromati-
di, mentre rimane latente se compresente con la forma dominante.
La codominanza è la piena espressione di entrambi i caratteri in organismi eterozi-
goti. È una situazione rara. Ad esempio, il gruppo sanguigno AB presenta sulla membrana
cellulare del globulo rosso le molecole distintive sia del gruppo A, sia del gruppo B.
La dominanza incompleta è la presentazione di caratteri intermedi tra dominante e
recessivo in soggetti eterozigoti. Ad esempio, nella pianta Bella di Notte, il fiore può essere
di colore bianco o rosso; gli esemplari monozigoti avranno il fiore d’un nitido colore bianco
o rosso, ma gli eterozigoti avranno fiore di colore rosa, dunque intermedio tra i due estre-
mi.
A volte, la presenza di caratteri sfumati non è dovuta a dominanza incompleta, ben-
sì al fatto che il fenotipo dipende da più geni, tra loro indipendenti, che possono sovrappor-
si in modi diversi, dando contributi la cui somma può assumere valori graduati. Si parla in
tal caso di caratteri poligenici.
Carattere poligenico = carattere alla cui espressione fenotipica concorrono più geni.
Ne sono esempi nell’uomo la statura, la corporatura, la forma dei lineamenti, il colo-
re della pelle (± 100 geni) e degli occhi (20 – 100 geni), la colesterolemia, i caratteri com-
portamentali complessi (centinaia – migliaia di geni), la propensione all’accumulo di adipe
(> 30 geni) e la sua localizzazione (16 geni).
Può aversi il caso che un gene mascheri l’effetto di un altro = epistasi. Ad esempio,
la sordità congenita umana colpisce omozigoti recessivi per uno dei due geni che control-
lano la funzione uditiva, poiché l’altro da solo non basta a garantire la funzionalità dell’udi-

to.
Tra gli animali, il colore del cane di razza Labrador viene determinato da due geni,
uno dei quali (B) controlla la produzione di melanina, l’altro (E) il suo rilascio nel pelo; per
la sintesi del pigmento, il colore nero è dominante ed il marrone recessivo, per il deposito
l’affermazione è dominante e la negazione è recessiva. Pertanto, un cane con “E” domi-
nante sarà nero o marrone, uno con “e” recessivo sarà biancastro.
Negli organismi a riproduzione sessuata, le cellule riproduttive, dette gameti, vengo-

no generate per meiosi di cellule specializzate. Nella meiosi, le cellule figlie ricevono un
genoma dimezzato rispetto a quello della cellula madre, costituito da un cromatidio per
ogni cromosoma diploide. In tal modo, ogni gamete possiede un solo allele per ogni gene
e questo viene definito segregazione degli alleli.
Segregazione degli alleli: fornitura ad ogni gamete d'uno solo dei diversi alleli d'un
gene.
La segregazione genetica fa sì che la generazione d'organismi discendente sia con-
notata da caratteri derivanti dalla combinazione casuale dei caratteri della generazione pa-
rentale.
Poiché infatti ogni zigote (= ovulo fecondato, prima cellula del nuovo organismo) è
prodotto dalla fusione d'un ovulo (gamete femminile) con uno spermio (gamete maschile),
il suo genoma sarà costituito dalla somma dei genomi portati dai due gameti.
La casualità determina quale ovulo sarà presente e maturo al momento della fecon-
dazione e pertanto quale metà del genoma materno esso avrà; al contempo, la stessa ca-
sualità stabilirà quale spermio raggiungerà l'ovulo stesso e pertanto quale metà del geno-
ma paterno esso porterà.
L'esemplare discendente potrà dunque ereditare una combinazione casualmente
imprevedibile dei genomi parentali.
La sola previsione possibile è la quantificazione delle probabilità che ogni allele sia
presente nel corredo genetico dell'organismo figlio.
Tale quantificazione è eseguibile mediante il cosiddetto “Quadrato di Punnett”.
Quadrato di Punnett; tabella a doppia entrata, che visualizza i possibili incroci tra i
vari alleli d'un gene. La sua forma è sempre quadrata, poiché sia da parte materna, sia da
parte paterna può aversi lo stesso numero di possibili alleli per ogni gene.

Una volta realizzate le varie combinazioni alleliche, sarà noto il genotipo del nuovo
esemplare e, su tale base, sarà possibile stabilire il suo fenotipo.
Il quadrato di Punnett dà luogo a proporzioni definite e certe nei caratteri della ge-
nerazione discendente, su base probabilistica.
In ogni caso, esiste sempre la possibilità di raggruppare i tipi allelici in due gruppi,
definibili come dominante e recessivo (Es. occhi chiari = verdi, azzurri, grigi = recessivo,
occhi scuri = neri, marroni = dominante); nell'ambito delle due categorie si avrà poi la spe-

cifica distinzione.
Una delle leggi fondamentali della genetica è quella della segregazione indipenden-
te degli alleli.
Segregazione indipendente degli alleli: la segregazione degli alleli d'ogni gene av-
viene indipendentemente da quella degli alleli degli altri geni.
Ciò significa che i caratteri si assortiscono in modo variegato e che per ognuno di
essi deve essere stilato un quadrato di Punnett separato.
In realtà, ciò non è del tutto vero, in quanto vi sono geni che risiedono sullo stesso
cromatidio; essi vengono pertanto assortiti insieme nella generazione discendente ed i loro
alleli non possono distribuirsi in modo indipendente l'uno dall'altro, ma rimarranno associa-
ti così com'erano nella generazione parentale.
Associazione genica: mantenimento delle combinazioni alleliche parentali per ubi-
cazione dei geni sullo stesso cromosoma.
Alcuni esempi vistosi di associazione genica sono i caratteri associati al sesso.
Caratteri legati al sesso: caratteri non intrinsecamente sessuali, ma il cui gene è
ubicato sul cromosoma X o Y.
Essi pertanto risultano condizionati dall'appartenenza dell'individuo ad uno dei due
generi.
Ne è esempio il colore degli occhi nel moscerino della frutta Drosophila Melanoga-
ster; l’allele recessivo portatore degli occhi bianchi può trovarsi solo sul cromosoma fem-
minile, mentre l’allele dominante per gli occhi rossi può trovarsi solo sul cromosoma Y ma-
scolinizzante; pertanto, solo i maschi possono avere gli occhi rossi.
In modo analogo, alcuni colori del manto del gatto sono peculiarmente femminili (tri-

colore), altri esclusivamente maschili (rosso totale), altri ancora indifferenti (nero).
Tale fenomeno di associazione genica potrebbe ridurre la varietà allelica della spe-
cie di appartenenza, con pregiudizio per la capacità di sopravvivenza ad eventi ambientali
estremi.
A contrasto del problema, interviene il processo di crossing over (crossover).
Crossing over (crossover): scambio di geni corrispondenti tra cromosomi omologhi.
Esso avviene durante la prima divisione cellulare della meiosi, nella fase delle cop-
pie omologhe.
Il crossover consiste nello scambio di materiale genico tra cromatidi di due cromo-
somi omologhi.
Lo scambio concerne sempre geni interi ed è paritario.
Il sito in cui esso avviene è detto chiasmo.
Chiasmo: segmento cromosomico interessato da crossover.
Il crossover viene compiuto da trasposoni = elementi genetici mobili = sequenze
DNA che attirano enzimi di restrizione (esonucleasi), i quali staccano un tratto di cromoso-
ma; quest’ultimo viene trasferito dall’enzima trasposasi in un altro sito dello stesso geno-
ma, dove viene inserito dall’enzima DNA ligasi.
Il risultato è la ricombinazione del DNA = nuova combinazione di geni associati nel-

la generazione discendente rispetto a quella parentale.


Il DNA ricombinante fornisce nuova varietà genotipica e quindi fenotipica alla spe-
cie.
La ricombinazione rimane peraltro sempre limitata al repertorio allelico originario, li-
mitandosi a riassortire i caratteri conseguenti agli alleli già esistenti; essa non è in grado di
produrre nuovi geni o nuovi alleli di geni esistenti e non produce dunque evoluzione.
Nuovi geni od alleli possono originarsi da errori nello svolgimento del crossover:
- esso può essere impari, per cui uno dei cromosomi riceve un segmento ma non cede
quello corrispondente; il nuovo gene duplicato potrà, con errori di trascrizione, assumere
nuova formulazione e funzione
- esso può distaccare solo parte d’un gene, aggiungendo uno o più domini completi e fun-
zionali al gene già presente sul cromosoma; la nuova proteina avrà nuove funzioni
nell’organismo.

Il crossover non è la sola fonte di cambiamenti nel genoma.


Gli organismi figli non hanno sempre gli stessi alleli dei genitori, a causa delle muta-
zioni genetiche.
Mutazione genetica: cambiamento nel genoma.
Se essa colpisce una cellula somatica (non riproduttiva), non può essere trasmessa
alla progenie; la cellula mutante si riprodurrà per mitosi, generando intorno a sé altre cellu-
le mutate in un organismo per il resto non mutato. L'individuo così risultante avrà costitu-
zione a mosaico = sarà formato in parte da cellule mutate ed in parte da cellule non muta-
te.
Se invece la mutazione colpisce i gameti, essa verrà trasmessa ai discendenti, che
avranno costituzione uniformemente mutata.
La maggior parte delle mutazioni si verifica all'interno d'un singolo gene, colpendo-
ne una parte.
Nei geni vi sono siti particolarmente atti ad essere interessati da mutazioni, chiamati
siti mutabili, in numero variabile tra 500 e 1.500 per ogni gene; essi sono più numerosi nei
geni importanti per la sopravvivenza dell’organismo, in quanto svolgono la funzione di con-
sentire l’adattamento rapido della specie a cambiamenti ambientali. I siti mutabili variano
la quantità di espressione del gene, non cambiano tipologicamente il fenotipo. Perciò, mol-
te vie metaboliche importanti hanno delle alternative che possono attivarsi se la via con-
sueta viene interrotta.
Dal punto di vista materiale, la mutazione consiste nel cambiamento della sequenza
di nucleotidi nel filamento DNA.
Nella duplicazione mitotica o meiotica del DNA, l'errore nella posa di ogni nucleoti-
de è nell'ordine di un caso su 109, grazie ad un sistema di enzimi che corregge immediata-
mente gran parte degli errori.
Considerando che il genoma umano consta di 3,2 x 10 9 coppie di basi azotate, che
una persona consta di circa 1012 cellule e che molte di esse vengono ricambiate, riprodu-
cendosi molte volte, si conclude che ogni persona può possedere alcuni geni mutanti.
Il numero di geni mutanti viene limitato dall'azione dei molti enzimi attivi nella repli-
cazione del DNA, appartenenti al gruppo dei DNA – esonucleasi e DNA - endonucleasi;

tali molecole hanno la capacità chimica di riconoscere i nucleotidi mutanti e sostituirli. Di-
versamente, l’enorme numero di riproduzioni cellulari che avviene continuamente in ogni
organismo pluricellulare porterebbe certo e presto a qualche mutazione di esito fatale e
nessun individuo porterebbe a termine il proprio ciclo vitale.
Va considerato infatti che il cambiamento d’una sola base può comportare effetti in-
sostenibili:
- l’inserzione d’una nuova base in un esone fa slittare tutti i codoni successivi, modificando

tutti gli amminoacidi della proteina codificati oltre il sito mutato; in casi minoritari di muta-
zione migliorativa, questo rende l’evoluzione più rapida ma, nella maggior parte dei casi,
rende la proteina del tutto disfunzionale;
- anche in caso di sostituzione d’una base, un solo amminoacido mutante può rendere
inefficiente il dominio, come nel caso dell’anemia falciforme.
Ad aumentare la frequenza delle mutazioni intervengono i fattori mutageni = agenti
ambientali che interferiscono con la replicazione del DNA.
Fattori mutageni chimici e fisici
- un mutageno fisico è il calore, che può spezzare il legame tra base azotata e deossiribo-
sio, con conseguente perdita della base.
- sono mutageni fisici le radiazioni ionizzanti, aventi alta energia e forte penetranza, come i
raggi cosmici, i raggi ɣ ed x. Esse ionizzano la molecola del DNA, rompendo legami o
creandone altri. Colpiscono con particolare intensità le cellule in divisione, provocando
anomalie geniche che spesso sono tumori o malformazioni fetali; per lo stesso motivo,
però, possono essere impiegate per distruggere le masse tumorali, che constano di cel-
lule in continua ed intensa mitosi (radioterapia).
- tra i mutageni fisici si annoverano anche i raggi ultravioletti (UV), meno energetici e pe-
netranti, che però possono interagire con le basi azotate, polimerizzandole e così distur-
bando la successiva replicazione del DNA nella riproduzione cellulare.
- fattori mutageni chimici sono gli analoghi delle basi azotate, sostanze in grado di sostitui-
re le basi durante la replicazione del DNA; nelle successive replicazioni, non consentiran-
no la costituzione dei legami idrogeno con le giuste basi complementari.
- sono mutageni chimici anche i reattivi con le basi azotate, che reagiscono chimicamente
con le basi, alterandone la struttura e rendendole inadatte al legame con le rispettive basi

complementari nella futura replicazione.


- gli alimenti possono contenere mutageni chimici sotto forma di sostanze propense a pro-
durre gruppi metilici o acetilici, che si legano alla cromatina ed impediscono la lettura e
l’espressione dei geni.
- lo stile di vita può determinare mutazioni, laddove la tensione nervosa porta a secernere
sostanze che usurano i telomeri e quando questi scendono sotto le 13 coppie di basi,
cessano di proteggere il DNA.

- gli intercalanti sono sostanze la cui molecola ha forma e dimensioni analoghe a quelle
d’una coppia di basi azotate; possono inserirsi nella molecola DNA e distorcerla.
Fattori mutageni agenti sulla biosfera
- in natura un importante fattore mutageno fisico è il fondo naturale di radiazioni, al quale
le specie viventi sono adattate; tale adattamento va inteso però come la semplice capaci-
tà della specie di sopravvivere come insieme e non come insensibilità del singolo indivi-
duo alle radiazioni naturali. Il fondo naturale di radiazioni è infatti responsabile di non
meno del 3% delle mutazioni genetiche spontanee. Tale livello è prodotto dal decadimen-
to radioattivo degli atomi di isotopi instabili di vari elementi, la cui distribuzione è disuni-
forme sulla superficie terrestre in funzione della diversa costituzione geologica del territo-
rio. Le radiazioni provocano la mutazione colpendo il filamento DNA soprattutto durante
la sua duplicazione nell'ambito della riproduzione cellulare.
- i fattori mutageni artificiali sono costituiti da radiazioni prodotte da attività umane (armi
nucleari, incidenti a centrali nucleari, radiografie) e da sostanze giunte a contatto con
l'organismo (amianto, polveri atmosferiche sottili, additivi alimentari, residui industriali). Il
meccanismo materiale di generazione della mutazione è lo stesso degli eventi naturali.
Le mutazioni possono avere effetto irrilevante, migliorativo (evoluzione), ma nella
maggior parte dei casi sono nocive (malformazioni, malattie, tumori).
Le malattie genetiche sono una parte modesta delle patologie attualmente note, co-
stituendo 3.000 tipologie, che provocano lo 0,05% dei casi clinici.
Le malattie genetiche possono essere:
- monogeniche = portate dall’allele in un solo gene; sono solo il 2%, raramente dominanti
(es. Correa di Huntington), più spesso recessive (es. albinismo, fibrosi cistica)
- poligeniche = portate da alleli in più geni, il cui accumulo accresce il rischio (es. atero-

sclerosi, asma, diabete mellito, epilessia, gotta, ipotensione, allergia, palatoschisi, schi-
zofrenia).
Tuttavia, anche nelle disfunzioni non prettamente genetiche, il fattore genetico può
essere predisponente: le malattie costituiscono infatti uno spettro, che va un estremo total-
mente esogeno ad uno totalmente genetico. Tali estremi sono raramente raggiunti, perché
l'ambiente può contrastare o favorire l'insorgere delle malattie, a livello probabilistico o
quantitativo, ed il genoma può predisporre in misura maggiore o minore.

Un esempio di patologia geneticamente predisposta è la Fenilchetonuria, che deter-


mina disfunzioni biochimiche tali da ledere la funzionalità cerebrale, abbassando il QI di ol-
tre 50 punti; se viene diagnosticata precocemente può essere contrastata con una corretta
alimentazione nei primi anni di vita, ottenendo un QI normale.
Anche caratteri non patologici sono geneticamente predisposti ed ambientalmente
influenzati: negli USA, la differenza media nella statura è di 1,5 cm tra gemelli omozigoti, 4
cm tra gemelli eterozigoti, 6 cm tra estranei; il divario medio di QI è di 6 punti tra omozigo-
ti, 11 tra eterozigoti, 9 tra monozigoti allevati separatamente, 20 tra estranei.
Patologie prettamente genetiche sono le aneuploidie (errato numero di cromosomi),
tra cui prevalgono le trisomie (tripletto di cromosomi anziché coppia, per mancata disgiun-
zione dei cromosomi nella prima fase meiotica).
- La Sindrome di Down (mongolismo) è una patologia massimamente genetica, che consi-
ste nella presenza di tre cromosomi nella coppia 21 (trisomia 21) a causa della mancata
disgiunzione dei cromosomi omologhi nella meiosi che ha generato l’ovulo. Essa è sem-
pre associata al ritardo mentale, per il quale però vi sono ampie differenze quantitative;
questo perché può essere presente una diversa porzione del cromosoma 21, anche unito
ad altri cromosomi. Colpisce 1/700 delle persone (madri oltre 45 anni = rischio 20 x madri
giovani), formando oltre il 50% dei casi di ritardo mentale, e l’aspettativa di vita media è
di circa 55 anni.
- La trisomia 23 può consistere nella presenza di due cromosomi Y e si verifica in un caso
maschile ogni 2.000. Le conseguenze sono anatomiche (corporatura massiccia) e com-
portamentali (eccesso di aggressività, forte concentrazione nelle popolazioni carcerarie).
- Un altro caso di trisomia 23 è la Sindrome di Klinefelter, consistente nella presenza di

due cromosomi X ed un Y, che dà luogo a maschi ritardati e sterili, aventi seno e testicoli.
- Se invece la coppia 23 si riduce al solo cromosoma X, si ha la Sindrome di Turner, che
origina femmine X - 0 malformate e sterili.
- Il daltonismo è l'inefficienza o insufficienza dei reagenti nei coni, cellule dell’occhio spe-
cializzate nella distinzione dei colori. Esso è portato da perdita di geni sul cromosoma
sessuale X dovuta a crossover ineguale, con perdita di geni per le iodopsine, con muta-
zione recessiva. Se uno zigote è femminile ha due cromosomi X; può essere omozigote

dominante o eterozigote, nel qual caso la figlia sarà normovedente; minoritario il caso
della donna omozigote recessiva e quindi daltonica. Lo zigote maschile ha il solo allele
dell’unico cromosoma sessuale X, che potrà essere dominante o recessivo, ed è più alta
la probabilità di uomini daltonici. Infatti, l’8% delle persone caucasiche porta l’allele dalto-
nico e perciò l’8% dei maschi è daltonico, mentre per le femmine la probabilità scende ad
8% x 8% = 0,64%. Mancano dati sugli altri ceppi umani nel mondo.
- L’emofilia è l’inefficienza nella coagulazione del sangue, causata da un allele recessivo
che codifica in modo errato le proteine incaricate di arginare le emorragie. Essa è conse-
guenza di un allele recessivo avente sede sul cromosoma X, che non trova corrispon-
denza nel cromosoma Y. Pertanto, la probabilità di maschi emofiliaci è superiore in forma
quadratica rispetto ai casi femminili.
- l'albinismo è la mancanza di melanina, pigmento scuro; essa è prodotta da una sequen-
za di reazioni, ognuna catalizzata da un enzima. Gli enzimi sono proteine, codificate in
vari geni, dispersi su vari autosomi. L'errore genetico può colpire uno qualsiasi di tali sta-
di produttivi, determinando carenze diverse con fenotipo diverso, anche parziale.
- il nanismo è lo sviluppo ridotto e sproporzionato del corpo. Ve ne sono varie forme, aven-
ti varia origine. Una di esse è la condrodistrofia, crescita anormale e distorta delle ossa
lunghe; è portata da un allele dominante in un gamete mutante ogni 20.000, ma rimane
rara perché gli individui affetti difficilmente si riproducono. In generale, il nanismo deriva
da errata codificazione o espressione dei geni per gli ormoni della crescita: somatostati-
na (14 amminoacidi) e somatotropina (191 amminoacidi).
- la schizofrenia è un disturbo psichico che colpisce in vari gradi e modi il 2% delle persone
come media mondiale. Se uno di due gemelli è schizofrenico, l’atro gemello ha il 38% di

probabilità di esserlo a propria volta, valore probabilistico molto minore del 100%, ma
molto maggiore del 2%. Si ritiene pertanto che la schizofrenia abbia una rilevante compo-
nente genetica, almeno come fattore predisponente; forse l’ereditarietà è solo parziale e
l’ambiente svolge un ruolo determinante. Infatti, i figli di schizofrenici adottati da famiglie
normali presentano la schizofrenia con frequenza superiore alla media, ma meno del
100% dei casi.
- la dislessia (disgrafia, discalcolia) è un disturbo della lettura e scrittura, consistente nella

difficoltà a porre nel corretto ordine lettere, numeri e sillabe. Se un gemello omozigote è
dislessico, l’altro ha il 68% di probabilità di esserlo, se sono eterozigoti la probabilità è al
38%. È dunque un caso di predisposizione genetica non determinante.
- l’autismo è una sindrome che comporta difficoltà di gestione di situazioni relazionali, pur
in presenza di capacità intellettive normali. Colpisce lo 0,16% della popolazione. Figli di
autistici hanno il 3 – 8% di probabilità di esserlo, gemelli omozigoti il 60%; altri parenti
possono presentare solo alcuni sintomi. È causata dalla combinazione di predisposizione
genetica e fattori quali rosolia, talidomide, alcool etc..
- il ritardo mentale non causato da patologie viene diagnosticato con QI < 70 ed interessa
il 3% della popolazione, con prevalenza dei maschi sulle femmine del 25%; questo, per-
ché i geni lesi sono sul cromosoma sessuale X, dove codificano neurotrasmettitori ed il
citoscheletro dei neuroni (che organizza le vescicole dei neurotrasmettitori). Sono note
oltre 100 mutazioni che influenzano lo sviluppo cognitivo, colpendo però geni diversi da
quelli che promuovono l’intelligenza e l’apprendimento.
- la sclerosi multipla è una malattia autoimmune in cui i globuli bianchi attaccano i nervi. Se
un gemello omozigote ne è affetto, l’altro ha il 30% di probabilità di contrarla. È questa la
stessa proporzione di tutte le malattie autoimmuni, che evidenzia il ruolo predisponente
della genetica.
- i tumori hanno una prevalenza entro linee familiari, che ne dimostra il contributo genetico
predisponente; Melanoma 58%, Prostata 57%, Seno 31%, Vescica 30%, Polmone 18%.
Negli organismi pluricellulari ad alto livello evolutivo si è riscontrata l’esistenza di
un’eredità extracromosomica, extranucleare.
Eredità extracromosomica (extranucleare) = patrimonio genetico sito al di fuori del
genoma nucleare.

Esso ha sede nei mitocondri e cloroplasti ed è residuo dei batteri da cui gli organelli
discendono. Questi furono fagocitati da altri batteri, entro cui sopravvissero, rilasciandovi il
proprio genoma, che fu duplicato dagli enzimi DNA polimerasi, così da rigenerare i micror-
ganismi come simbionti entro l’ospite. Nel tempo, l’evoluzione ha portato ad una loro gra-
duale modificazione e specializzazione come organelli.
Il genoma mitocondriale e cloroplastico consta di plasmidi = piccole molecole DNA
anulari.

Mediamente, un mitocondrio umano possiede un genoma di 15.000 coppie di basi


azotate, che codificano 13 proteine e 24 molecole RNA, il tutto finalizzato al funzionamen-
to dell’organello stesso.
Il DNA extranucleare non segue le regole della genetica mendeliana; infatti, lo zigo-
te trae la totalità del proprio citoplasma dall’ovulo, mentre lo spermatozoo si dissolve.
Gli organelli del nuovo individuo derivano pertanto dalla madre, con il DNA immuta-
to.
Pertanto, l’eredità genetica mitocondriale o cloroplastica segue una linea materna e
non si mescola con i contributi paterni.
Questo consente ai genetisti di definire linee di discendenza assai più lunghe e si-
cure rispetto a quelle ricostruibili con il DNA nucleare.
La visione tradizionale della genetica vede la cellula come oggetto passivo di eventi
evolutivi esogeni; la mutazione sarebbe il risultato accidentale di episodi in grado di sopraf-
fare i meccanismi cellulari atti a mantenere la stabilità genomica.
La visione attuale dell’evoluzione si basa su di una serie di principi che riconoscono
alla cellula la capacità di modificare il proprio genoma in modo finalistico o almeno attivo.
- la cellula è un’entità senziente, che agisce ed interagisce intenzionalmente per la soprav-
vivenza, la crescita e la proliferazione; essa ha capacità sensoriali, comunicative, elabo-
rative e decisionali
- la cellula è fatta per evolversi; essa ha l’abilità di modificare rapidamente il proprio patri-
monio ereditario con processi interni a sé o interagendo con altre cellule
- l’innovazione evolutiva sorge da azioni della cellula sul proprio genoma, compiute in ri-
sposta ad eventi ambientali o per cogliere opportunità biologiche

- la selezione da parte degli agenti naturali determina quali innovazioni sono migliorative
ma non genera innovazioni a propria volta
- le innovazioni sopravvissute alla selezione naturale subiscono perfezionamenti, per mu-
tazioni accidentali o ulteriori azioni intenzionali cellulari.
- strutture e processi cellulari a tutela della stabilità genetica operano per evitare mutazioni
accidentali, quasi sempre nocive, ma non interferiscono con le modifiche intenzionali.

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