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Domande

di Fisica
1) Definizione di grado di iperstaticità e significato fisico del valore assunto.

L'iperstaticità indica che un generico corpo nello spazio possiede un


numero di gradi di vincolo superiore al numero dei suoi gradi di libertà.
Dunque un sistema iperstatico è caratterizzato da un eccesso di vincoli,
alcuni dei quali risultano dunque inutili, superflui o altrimenti malposti.
Il grado di iperstaticità è il calcolo di questo valore con due obbiettivi:

• calcolare il numero delle reazioni incognite, per questo è necessario


conoscere i tipi di vincoli appena visti
• stabilire se un problema è risolvibile con le sole equazioni della statica

Dunque, il grado di iperstaticità è un valore che indica il numero di


gradi di libertà di un sistema e ci permette di definire la situazione di
staticità del sistema.
Esso si calcola sottraendo il numero di reazioni al numero di

equazioni: h = N°reazioni - N°equazioni

Con numero equazioni si intende i gradi di libertà mentre


con N°reazioni i gradi di vincolo.
I gradi di libertà nella nostra formula si calcolano:

grl = 3m

con il numero degli elementi moltiplicato per 3.


Mentre i gradi di vincolo:

v = 3i + 2(c+p)+a

Dove:

• v è N°reazioni, o gradi di vincolo


• i il numero di incastri
• c il numero di cerniere
• p il numero di guide prismatiche
• a il numero di appoggi
La formula del grado di iperstaticità possiamo dunque scriverla come:

h = v -3m

• se h<0, sistema ipostatico, o labile la condizione ipostatica


è non sufficientemente statica, dunque è mobile, la posizione degli
elementi non è univocamente determinata (si ha un meccanismo), e si
ha un equilibrio statico solo nel caso in cui i carichi esterni soddisfano
alcune condizioni.

• se h=0, sistema isostatico, posizione degli elementi univocamente


determinata, la condizione di isostaticità è spesso considerata la
situazione statica ideale, il sistema è bloccato, immobile

• se h>0, sistema iperstatico, fin troppo statica, eccesso di vincoli,


alcuni risultano superflui o malposti. In questo caso, l'eccesso di vincoli
può produrre staticità o mobilità. Qui non è possibile determinare le
equazioni incognite mediante le sole equazioni della statica.

2) Indicare quante e quali sono le componenti del tensore della


tensione in un sistema di riferimento generico. Definizione di
tensioni e direzioni principali.

La tensione meccanica è una forza applicata ad un'unità di superficie, ed è


formata da componenti normali (perpendicolari) alla superficie. Le superfici si
possono rendere piccole fino a livello puntuale. Per fare ciò dobbiamo
dividere la forza applicata alla superficie, non più per la superficie, così da
trovare la tensione, ma per questa area infinitesima all'interno della superficie
presa a caso. In pratica vediamo la tensione applicata in una superficie con
area un punto.

Ora analizziamo il vettore della tensione. Questo vettore non è


necessariamente ortogonale al piano di azione, non è parallelo alla normale.
Interessante è la decomposizione del vettore, più complesso di quello di
una generica forza, infatti per ogni componente è necessario sapere:

• l’orientazione della superficie (mediante la normale)


• la direzione della componente

La componente dell'asse normale si chiama tensione normale (sigma),


mentre quella con la direzione tensione tangenziale (tau).
Il verso della tensione normale (sigma), per convenzione è scelto uscente, in
modo che se la componente sigma del vettore tensione è maggiore di zero si
tratta di una trazione, se minore di una compressione. Il segno di tau
invece indica solo se la componente è concorde o discorde al verso scelto,
ma non identifica un diverso stato fisico.

La tensione ha dunque 3 componenti di tipo normale e 3 di tipo tangenziale.

Lo stato tensionale in un punto è definito dalla conoscenza di tutti i vettori


tensione T(alla n) associati con tutti i piani (di numero infinito) che
passano per quel punto; è importante studiare il tensore per trovare la
relazione esistente tra i vettori di tensione agenti su superfici ortogonali
agli assi e quello agente su una superficie di versore normale generico {n}.
Per studiare ciò bisogna prima fare riferimento al tetraedo di Cauchy, e cioè
un elemento infinitesimo con tre facce dAx, dAy, dAz contenute nei piani xy,
xz, yz, di forma triangolare (di tipo rettangolo), con vertice dell’angolo retto
in P e come quarta faccia, dA, un triangolo generico, avente per lati le tre
ipotenuse dei triangoli rettangoli precedenti.

Cambiando i segni per le facce negative, e semplificando per dA (il contributo


forza di volume trascurabile), si ottiene:
Che indica lo stato tensionale su tre piani paralleli ai piani coordinate,
definito dai tre vettori fnx, fny e fnz. E troveremo, di questi vettori, 9
componenti scalari: 3 tensioni normali, indicate con le sigma, e 6 tensioni
tangenziali, indicate con tau.
L'insieme delle nove componenti scalari rappresentano le componenti della
matrice di rappresentazione di un tensore del secondo ordine detto
tensore delle tensioni di Cauchy.

Il Teorema di Cauchy afferma che la conoscenza dello stato tensionale su


tre distinte giaciture, cioè le nove componenti, è sufficiente a determinare le
tensioni su ogni altra giacitura passante per il punto. Per comodità ordiniamo
le tensioni principali in senso decrescente (le sigma), e chiamiamo gli assi
principali p1,p2 e p3. Con una terna generica i valori sono tutti presenti, e
possono dipendere dal sistema di riferimento scelto:

Invece utilizzando la terna principale p1 p2 p3 il tensore diventa diagonale (e


sono sempre uguali, qualunque sia il sistema di riferimento scelto
inizialmente):
Quindi per ogni punto esistono tre assi tra loro ortogonali, chiamate piani
principali di tensione, con vettori normali (le direzioni principali di
tensione), rispetto alle quali il vettore tensione ha solo componenti normali
(le tensioni principali) e manca di componenti tangenziali.

3) Definizione elementare di deformazione lineare (dilatazione) e


di scorrimento.

La tensione, vista nella lezione precedente, ha lo scopo di studiare il


comportamento dei materiali nel momento in cui vi è applicata una
sollecitazione, di capire quindi il punto di rottura e di avere un criterio
di confronto con i materiali.
Nello studio di un materiale, però non ci si può fermare solo al punto di
rottura, infatti è bene verificare il comportamento delle strutture non solo in
termini di resistenza alle tensioni, ma anche di rigidezza (cioè la resistenza
ad una sollecitazione
Partiamo definendo alcuni concetti: per definire la deformazione
concentriamoci si un punto, all'istante t0 la sua posizione è descritta
da x,y,z , in un sistema di riferimento, mentre all'istante tI, saranno xI, yI
ezI. Lo spostamento di questo punto sarà semplicemente la variazione tra le
coordinate di t e tI.

Nel caso di un moto deformativo, invece, la distanza dei punti di


un elemento può variare. Anche per questo troviamo due possibilità:

• la dilatazione, i segmenti (es diagonali) variano in lunghezza ma


non orientazione
• lo scorrimento, i segmenti variano in orientazione ma non in lunghezza
Deformazione lineare (o dilatazione)
In questo moto dilatativo la lunghezza dei lati di un elemento variano la loro
lunghezza, ma non la loro orientazione. Per definire quantitativamente la
dilatazione consideriamo un segmento di lunghezza dl, che congiunge i punti
A e B di un corpo deformabile. Durante il moto i punti A e B cambiano la loro
posizione e a causa della deformazione cambia anche la lunghezza dl'. Lo
spostamento è dato dalla variazione della lunghezza, cioè
dall'allungamento, che si trova calcolando la variazione tra dl e dl':

v = dl’ - d'
Dove v è la variazione.
Si calcola, infine, per la dilatazione, anche la dilatazione relativa ɛ,
cioè di quanto è variata la lunghezza del lato (o segmento):
ɛ = v/dl

Lo scorrimento
In questo caso, il moto dilatativo non modifica la lunghezza dei lati di un
elemento, ma varia l'orientazione. Per quantificare lo scorrimento, è
necessario considerare due lati inizialmente ortogonali, nei quali si può
osservare la variazione relativa di orientazione (in un solo lato non si nota
l'orientazione!). In t0 i due lati, AO e BO, di lunghezza dl e dh, formano
un angolo di 90°.

• Considerando i due lati sopra citati, si nota che durante il moto


formano due angoli, α e β, rispetto le direzioni ortogonali iniziali di AO e
BO. γ
• Dove si hanno relazioni approssimate tra gli angoli e i rapporti degli
spostamenti, perché gli spostamenti sono piccoli.


• Dai quali si trova γ, lo scorrimento in complemento a 90° dell'angolo
formato dopo la deformazione tra i due lati inizialmente ortogonali.

Si nota che è uguale alla somma degli angoli α e β, cioè gli angoli
rispetto le direzioni ortogonali iniziali dei due lati, oppure come
somma del rapporto degli spostamenti con la lunghezza dei lati.

4) La legge di Hooke.
La legge di Hooke determina la relazione tra tensioni e moti deformativi:
l'allungamento subito da un corpo elastico è direttamente proporzionale
alla forza ad esso applicata, in ciò, la costante di proporzionalità viene
detta costante elastica e dipende dalla natura del materiale stesso.
Essa genera un sistema di 6 equazioni che legano le componenti
dilatazione(ε) e scorrimento(γ) alla componente normale(σ)
e tangenziale (ϯ).

Come prima cosa studiamo una prova di trazione nelle tre direzioni
perpendicolari, x,y,z, in un materiale isotropo lineare elastico:
• E è il modulo di Young,
• v una costante detta Coefficiente di contrazione trasversale, o
Coefficiente di Poisson, che rappresenta una caratteristica propria di
ciascun materiale (e dipende dalla temperatura), e misura di quanto il
campione di materiale si restringe o si dilata trasversalmente in
presenza di una sollecitazione monodirezionale.

• Se ci riferiamo invece ad una prova di torsione o scorrimento, troviamo


che la deformazione è uguale a:

Con riferimento di x,y,z, riepilogando le prove precedenti e considerando la


temperatura del materiale, si ottiene:
Dove ΔT è la variazione di temperatura rispetto ad una configurazione di
riferimento, α è il coefficiente di dilatazione termica del materiale, e G una
costante, detta modulo elastico a taglio e rappresenta la rigidezza della
molecola rispetto alla deformazione per scorrimento.
Infine, poiche le componenti dilatazione(ε) e scorrimento(γ) sono
disaccoppiate dalle componenti normali(σ) e tangenziali (ϯ), se un sistema di
riferimento è principale per le tensioni, allora lo è anche per le deformazioni e
viceversa:

E quindi nel sistema non si considerano le componenti normali e tangenziali.

5) Tracciare i diagrammi tensione-deformazione per materiali duttili con


o senza snervamento evidente. Indicare le grandezze caratteristiche e la
definizione di carico unitario di scostamento dalla proporzionalità.
Innanzitutto definiamo cosa significa che un materiale è duttile.
La duttilità è una proprietà della materia che indica la capacità di un corpo
di deformarsi plasticamente per una sollecitazione (può essere un
carico), prima di arrivare alla rottura, indica quindi la capacità di sopportare
deformazioni plastiche.
Come prima cosa troviamo la Deformazione convenzionale, che si
calcola con il rapporto tra la variazione della lunghezza dopo e prima
deformazione, e la lunghezza iniziale:

E da questo si ha un numero con la virgola che ci permette, moltiplicandolo


per 100 di trovare l'allungamento percentuale:
Andando oltre troviamo la Tensione convenzionale(carico unitario), che
calcola il rapporto che c'è tra la forza di trazione applicata e area iniziale della
sezione retta del tratto calibrato:

Come prima cosa dobbiamo distinguere in due tipi i materiali duttili:

• materiali duttili con snervamento evidente


• materiali duttili con snervamento non evidente

Cos'è lo snervamento?
Il punto di snervamento, o tensione di snervamento, è il valore della
tensione in cui il materiale inizia a deformarsi plasticamente, passando da
un comportamento elastico reversibile ad uno irreversibile.

Diagramma materiale duttile con snervamento evidente


Come prima cosa studiamo un materiale duttile con snervamento
evidente, quale può essere l'acciaio per carpenteria:
In questo grafico notiamo 4 zone differenti:

• tratto elastico, Fel, (F=totale, R=unitario) in cui la pendenza è definita


dal modulo elastico di Young, come visto nelle lezioni precedenti;
• punto di snervamento, che si divide poi in
snervamento superiore (FeH) e snervamento inferiore (Fel);
• plasticizzazione uniforme, con picco in Fm, con l'incrudimento, cioè
quel fenomeno per cui un materiale metallico risulta rafforzato dopo
una deformazione plastica a freddo;
• strizione, cioè la riduzione della sezione del provino fino
all'effettiva rottura di esso, che si trova con il valore massimo
della curva.

Diagramma materiale duttile con snervamento non evidente


Il secondo tipo, quello con snervamento non evidente, nel grafico non si ha il
punto di snervamento, come avviene per l'acciaio non bonificato:

In cui troviamo 4 zone differenti:

• tratto elastico;
• scostamento della proporzionalità, Fp0,2, esso è il carico al quale
corrisponde un allungamento non proporzionale pari alla percentuale p
della distanza tra ai riferimenti, ad esempio, Fp0,2 si ha con un carico
che determina un allungamento avente quota non proporzionale pari a
0,2% della distanza fra i riferimenti, unitariamente si calcola
dividendoFp0,2 per la superfice S0
• plasticizzazione uniforme, con incrudimento e picco in Fm;
• strizione e rottura;

Nei materiali duttili, se il carico viene rilasciato durante la fase plastica,


poi viene riapplicato il carico si ha una ripresa della curva relativa alla fase
plastica, come se lo scarico non fosse avvenuto. Diagramma
tensione/deformazione materiale fragile
Nel caso in cui il materiale studiato sia un materiale fragile, il diagramma
si compone in modo differente, prendiamo come esempio la ghisa grigia:

In questo caso si nota l'assenza della curva di plasticizzazione uniforme


e della strizione, si hanno solo due zone nel grafico:

• tratto elastico
• essendo la zona di plasticizzazione molto limitata o assente, si ha
un'immediata rottura (Fm)

I materiali fragili sono controindicati all'impiego nei casi in cui siano


necessarie deformazioni plastiche dovute ad operazioni tecnologiche e
nei casi in cui si può avere un sovraccarico accidentale.

In generale, possiamo considerare un materiale fragile se l'allungamento


dopo rottura è minore del 5%, mentre duttile se maggiore del 10% (si ha una
transizione del 5-10%).
6) Definizione di tensione ideale (o equivalente). Valore della tensione ideale
secondo una delle ipotesi di cedimento per materiali duttili.
Il problema è quello di confrontare lo stato di tensione agente in un punto
più sollecitato, con la tensione limite del materiale (σlim, o Reh per materiali
duttili o Rm per materiali fragili) cioè quella tensione per cui il materiale si
rompe.
Come sappiamo stato di tensione è rappresentato da 3 valori, σ1, σ2 e σ3,
che rappresentano le tensioni principali in un punto e queste sono tre
tensioni normali che si riferiscono a delle facce privilegiate in cui i vettori
tensione sono paralleli alle normali delle superfici, quindi le tensioni
tangenziali sono nulle (uguali a 0).
A partire di queste tre possiamo trovare una funzione σid, che permette di
avere un unico valore scalare equivalente che si possa confrontare con il
valore che esprime il limite caratteristico del materiale. Questo valore viene
chiamato tensione ideale (poiché non è lo stato di tensione reale), o
equivalente.

La funzione f non è univoca, ma dipende dal comportamento tipico


del materiale;
Rottura per materiali duttili
In questo caso, il cedimento per i materiali duttili si manifesta come
scorrimento dei piani cristallini che si verifica su piani inclinati per effetto di
tensioni tangenziali (T), sperimentalmente si può evidenziare che lo
scorrimento dei piani avviene con un'inclinazione di 45° rispetto alla
direzione del carico.

Per i materiali duttili, a differenza dei materiali fragili, troviamo 2 ipotesi


di rottura man noi ne analizzaremo solamente una.
Ipotesi della massima tensione tangenziale di Tresca, Guest
Si suppone che il materiale ceda, iniziando a deformarsi plasticamente,
quando la massima tensione tangenziale tra quelle agenti sugli infiniti
piani passanti per il punto in esame raggiunge un valore limite.

Mediante i cerchi di Mohr, la condizione limite si mostra come una coppia


di rette orizzontali che i cerchi (in particolare Tmax) non devono
raggiungere. La tensione tangenziale massima corrisponde al raggio del
cerchio di Mohr maggiore e quindi:

Considerando invece la tensione ideale (tensione monoassiale):

Confrontando il caso generico e quello ideale si ottiene che:

Secondo questa ipotesi la tensione principale intermedia (σ2) non influisce


sul valore della tensione ideale e, se si aggiunge a tutte le tensioni principali
una costante (che corrisponde a traslare orizzontalmente i cerchi di Mohr) il
valore della tensione ideale non cambia.
7) Definizione di coefficiente di sicurezza.

La resistenza strutturale di un componente risulta verificata quanto in tutti


i suoi punti la tensione ideale è inferiore alla tensione limite del materiale.
Per utilizzare i materiali, ed averne il 'pieno' controllo, è necessario avere
un margine di sicurezza che ci consenta di capire fino a che punto può
spingersi il materiale

Nello studio del comportamento di un materiale troviamo una serie di


incertezze che ci portano a dover definire un margine di sicurezza.
Tali incertezze possono essere:

• di tipo statistico su carichi applicati


• condizioni di carico non previste in sede di progetto
• tensioni calcolate con modelli teorici, più o meno approssimati
• di tipo statistico sulla resistenza del materiale

Dunque si cerca di mantenere un margine tra resistenza e


sollecitazione (un approccio deterministico), quantificato appunto dal
coefficiente di sicurezza.

Si tratta di un rapporto fra due grandezze fisiche concettualmente differenti,


ma misurabili con gli stessi parametri, essendo un coefficiente un numero
puro, adimensionato.
In un calcolo di progetto, quando la condizione di resistenza è utilizzata per
stabilire un parametro della struttura si usa definire la tensione ammissibile
σamm pari alla tensione limite del materiale divisa per Cs, e si pone nel
punto più sollecitato:

Da questa equazione si ricava il parametro della struttura da determinare


(spessore, area, ecc).

• un coefficiente di sicurezza elevato indica un maggior grado di


sicurezza per un certo fenomeno sotto analisi. In genere comporta
maggiori costi e maggiori cautele nella realizzazione
• un coefficiente, invece, basso comporta maggiori rischi possibili e
minori spese, ma si devono necessariamente considerare delle
limitazioni normative che impediscono l'esagerazione di tale
componente

8) Solido di de Saint Venant: definizione e tensioni presenti.

Il solido è un cilindro ottenuto per traslazione di una figura


piana in direzione della propria normale, l'estensione in tale direzione
è molto maggiore della dimensioni nel piano della figura generatrice.
I carichi e vincoli sono applicati solo in corrispondenza delle basi
e in tutto il solido il materiale è elastico, omogeneo, isotropo.

Sistema di riferimento cartesiano xyz, gli assi x e y sono contenuti nel


piano della figura che genera il solido e l'origine è posta nel baricentro
di quest'ultima.

L'asse z rappresenta la traiettoria del baricentro durante il moto di


generazione ed è chiamata linea d'asse del solido. Tutte le sezioni
normali a z sono sezioni rette del solido, identiche alla figura generatrice.
A causa dell'assenza di carichi applicati sulla superficie cilindrica
(superficie laterale) e delle limitate dimensioni trasversali si può ammettere
che:
• Tali tensioni sono nulle in quanto non devono equilibrare carichi esterni
e sono nulle su tutta la superficie di contorno. Essendo che la superficie
è poco estesa trasversalmente, queste tre tensioni sono nulle anche
all'interno.
• Possono essere invece presenti le tensioni:

• Che sono necessarie per l'equilibrio dei carichi esterni e sono,


in generale, funzioni di x,y,z.

9) Definizione delle caratteristiche di sollecitazione.


Le caratteristiche di sollecitazione possono essere messe in evidenza se
ipoteticamente interrompiamo (tagliamo ad esempio) in un punto generico il
solido, ed analizziamo le due facce risultanti, troveremo una faccia positiva,
che ha i versi delle caratteristiche concordi a quelli degli assi, mentre
una faccia negativa con i versi discordi:

Le sollecitazioni, nel caso del solido di Saint Venant., vengono descritte


in modo sintetico, in quanto dipendono solo da Z: troviamo infatti
equivalenti statici delle distribuzioni di tensione sulla sezione retta.
La forza risultante è composta da azioni di trazione o compressione assiale
dell'elemento (sempre in direzione z), dette forze Normali, (N) o sforzo
normale, risultante di tutte le forze infinitesime σzzdA, e azioni di
cesoiamento trasversale, cioè le componenti x e y, dette forze di taglio,
(Tx e Ty) o tagli, risultante di tutte le forze infinitesime τxzdA e τyzdA.
Troviamo inoltre anche la risultante del momento, composta dai momenti
flettenti, Mx e My, risultanti delle forze infinitesime σzzdA aventi braccio y
dall’asse x e braccio x dall’asse y, ottenuti integrando i contributi di tutti i
punti della sezione, e sono i momenti che tendono a curvare (flettere) l'asse
del solido, e il momento torcente, Mz, che invece tende ad attorcigliare
(torcere) l'asse del solido, e ha componente intorno a z, risultante delle forze
infinitesime τxzdA, τyzdA aventi bracci dall’asse z pari rispettivamente a y e
x.

10) Tracciare l’andamento delle tensioni in una sezione soggetta a: - trazione


semplice - flessione in un piano (sistema di riferimento coincidente agli assi di
inerzia principali) - torsione (nell’ipotesi di sezione circolare)

Trazione semplice
Si assume che la sezione sotto il carico si muova parallelamente a se
stessa lungo l’asse del solido (z), dunque la forza sia applicata, cioè la forza
è una forza normale che agisce lungo l'asse z.
Le forze agenti su x e y sono assimilabili a zero (per ipotesi del solido di
Saint Venant) e quindi non sono tenute in considerazione.
In questo caso la tensione normale si calcola dividendo la forza normale N
per la sezione del solido, in quanto rimane solo la tensione normale lungo
l'asse z che, come visto per il principio di Saint Venant, si distribuisce
omogeneamente nel solido.

Flessione in un piano (sistema di riferimento coincidente agli assi


di inerzia principali)
In questo caso non si ha più una forza normale, ma si hanno, alle
estremità del solido dei momenti flettenti.
La sezione ruota attorno ad un asse ed è soggetta solo al momento
corrispondente all'asse. La tensione raggiunge valori massimi in modulo e
opposti in segno agli estremi della sezione ed è nulla in corrispondenza
della retta y=0 (asse x) oppure x=0 (asse y) che costituisce l’asse neutro.
Si definisce poi flessione retta quella sollecitazione in cui il momento
flettente agisce lungo un piano principale d'inerzia, flessione deviata
quella dove il momento flettente non agisce su un piano principale d'inerzia

Torsione (nell'ipotesi sezione circolare)


La torsione è uno degli sforzi elementari cui può essere soggetto un
corpo, insieme alla compressione, la trazione, la flessione e il taglio. La
sollecitazione che lo provoca è detta momento torcente.

L'azione del momento torcente si traduce in un insieme di sforzi elementari


che prendono il nome di tensioni tangenziali τ applicate ad aree
elementari che generano un momento equivalente all'azione a cui la
sezione è localmente soggetta.

Si nota che la sezione ruota attorno ad un angolo Δn, rimanendo piana.


La tensione τ ha andamento lineare rispetto al raggio R: più il raggio è
grande, maggiore sarà il modulo della tensione tangenziale. Al centro τ
sarà nulla perché R=0 mentre sui bordi della circonferenza sarà massima
perché R ha il valore massimo e presenta inoltre simmetria polare.
11) Definizione di fattore di concentrazione delle tensioni
Al fine di correlare la massima tensione in corrispondenza della discontinuità, cioè
all'apice dell'intaglio, con la tensione ottenuta con le formule elementari (solido di
Saint Venanti), in assenza di discontinuità, definita tensione nominale, calcolata in
sezione minima (fondo taglio), si utilizza il fattore di concentrazione delle tensioni,
anche detto teorico o geometrico, che è indicato con kt per le tensioni normali e
kts per le tangenziali.

Esso serve quindi a calcolare la massima tensione effettiva che si genera in


prossimità dell'intaglio (discontinuità), nota la tensione nominale di Saint Venant.

La tensione nominale può essere calcolata con parametri geometrici differenti: in


presenza o assenza dell'intaglio. Ovviamente, dovendo calcolare la tensione
massima agente nel componente, avendo il fattore di concentrazione delle tensioni,
le tensioni nominali dovranno essere calcolate introducendo gli stessi parametri
geometrici che sono utilizzati per determinare il kt o kts.
La geometria dell'intaglio è descritta da grandezze adimensionali: D/d e r/d e quindi
Kt (o kts) dipende soltanto dalle proporzioni del componente e non dalle sue
dimensioni assolute, a diminuire del raggio d'intaglio il fattore diminuisce.
Se r tende a 0 (raggio di fondo intaglio), Kt (o kts) e la tensione massima tendono
ad infinito; fisicamente ciò non può avvenire perché il materiale supera il limite
elastico, si snerva e ridistribuisce i picchi di tensione localizzata. Il picco di tensione
dovuto alla presenza dell'intaglio conta quindi diversamente a seconda del
materiale, fragile o duttile.

12) Spostamento di un estremo di un’asta soggetta allo sforzo normale N


Generalmente un progettista non deve solo verificare che le tensioni ideali siano al
di sotto della tensione ammissibile ma anche che gli spostamenti provocati dai
carichi siano compatibili con la funzionalità della struttura che si sta progettando.
Un corpo in equilibrio statico o dinamico soggetto a dei carichi subisce delle
deformazioni, che a loro volta provocano degli spostamenti locali che possono
compromettere il corretto e preciso funzionamento della macchina.

Come prima cosa definiamo le due grandezze che andremo poi a considerare nei
vari comportamenti dei materiali: la rigidezza e la deformabilità.

La rigidezza
La rigidezza, indicata con K, è la capacità che ha un corpo di opporsi alla
deformazione elastica provocata da una forza applicata. Essa è determinata
dal materiale, proprietà estensiva; dalla forma e dai vincoli.
La deformabilità
La deformabilità, indicata con δ, è la proprietà di un corpo di modificare la propria
forma sotto l'azione di varie forze, essa è definita dal reciproco della rigidezza, cioè il
rapporto fra uno spostamento locale in una direzione data e una forza.
δ = 1/K

Comportamento estensionale
Come anticipato, consideriamo uno spostamento dovuto a sforzo normale N.
Se per esempio tiriamo una trave attaccata alla parete (o una sezione che
possiamo considerare ferma), applicando lo sforzo lungo la Normale, avremo un
allungamento ΔL:

Da cui troviamo:

n cui:
• εzz è l'allungamento relativo, che è il rapporto della variazione di
lunghezza con la lunghezza iniziale
• E è il modulo di Young, cioè il modulo di elasticità, che esprime il rapporto
tra tensione e deformazione
• σzz la tensione
• N la forza normale
• A la superficie (l'area) soggetta alla forza
Sostituendo ed eguagliando le formule precedenti troviamo:
Se consideriamo invece un'asta composta da due tratti di sezione
variabile, l’allungamento complessivo sarà pari alla somma degli allungamenti
subiti dai due tratti:

In particolare:

13) Descrivere brevemente il fenomeno del carico di punta


(instabilità elastica)
Elementi soggetti a carichi statici possono collassare con un meccanismo diverso da
quello del superamento dei limiti della resistenza del materiale alla compressione, si
arriva quindi alla rottura degli elementi. Si dice carico critico euleriano, per la teoria
elastica della trave, quella forza di compressione il cui valore porta indefinitamente ad
inflessione il solido snello su cui agisce, generando instabilità a carico di punta.

In ingegneria l'instabilità dovuta ad un carico assiale di punta agente su un'asta è


un improvviso collasso di un elemento strutturale soggetto ad intensi sforzi di
compressione, sebbene l'effettivo sforzo di compressione generante il collasso sia
minore dello sforzo massimo che il materiale componente il membro è capace di
sopportare. Questo tipo di collasso è anche chiamato collasso dovuto ad
instabilità elastica.

Prendiamo in considerazione il caso dell’asta di Eulero, vincolata in A da una


cerniera e in B da un appoggio, nel quale agisce una forza esterna assiale P
che produce compressione nell’elemento.


Pcr è la forza critica (o carico critico),

J il minimo fra i momenti di inerzia,

E il modulo di Young, di elasticità,

I0 la lunghezza libera di flessione, ovvero la distanza tra due flessi nella
configurazione di trave deformata. Questo valore lo si ricava facendo uso di
appositi coefficienti che vanno a moltiplicare la lunghezza della trave, e dipende
dal tipo di vincolo, e sarà tanto maggiore quanto è minore il grado di
vincolo.
Da questa troviamo la tensione critica:
In cui λ rappresenta la snellezza dell'asta, o semplicemente la snellezza, e si
calcola

14) Meccanica della frattura: scrivere la formula che permette di


calcolare il fattore di intensità delle tensioni; indicare i fattori che
influenzano il valore critico del fattore di intensità delle tensioni
e definizione della tenacità alla frattura

Il fattore intensità delle tensioni, KI, è un valore costante
dipendente dalla geometria componente-difetto e dall'entità
dello stato tensionale in assenza della frattura. Considerando ora
un elemento con un difetto di dimensione a, piccola rispetto alla
dimensione trasversale b della lastra (il rapporto fra le due , a/b,
dovrà essere minore di 0,4) e in posizione centrale, il valore di
KI è dato da:



Dagli studi sui difetti e gli sforzi si arrivò ad alcune analisi intorno alle cricche, ed in
particolare si è arrivati a definire dei fattori che influenzano il valore
critico del fattore di intensità delle tensioni, KIc, cioè:
• spessore del componente
• temperatura
• velocità di applicazione del carico
In particolare, l'effetto dello spessore.

si nota che ad uno spessore più piccolo si trova un valore di Kc, più alto,
mentre all'aumentare dello spessore si ha che la è asintotica ad un valore
critico che indica la tenacità alla frattura (KIc).
L'effetto della temperatura, in rapporto anche alla velocità di applicazione del
carico:

In particolare la tenacità a frattura, o valore critico del fattore di intensificazione, o


K critico, o KIc, è la proprietà del materiale in un momento di combinazione di
sforzo-difetto (cioè di uno sforzo con la presenza di un difetto), che provoca la
propagazione instabile del difetto, cioè la frattura dell'elemento.
Esso è riferito al modo di propagazione del difetto, cioè:
• Modo 1, distacco
• Modo 2, scorrimento
• Modo 3, lacerazione
Il primo è il modo più pericoloso
In particolare lo stato di propagazione del difetto si verifica se si ha KI >= K, se KI <=
Kc l’ elemento è verificato, questa verifica è detta criterio di campo.

15) Tracciare qualitativamente un diagramma S-N (di Wöhler) e definire


il limite di fatica; Tracciare il diagramma che mostra l’influenza della
tensione media sul limite di fatica (di Haigh).
La fatica è un fenomeno di danneggiamento progressivo del materiale che inizia con
una fase di nucleazione di una micro cricca (la frattura si innesca quasi sempre sulla
superficie del pezzo ed è dovuta a irregolarità superficiali di qualsiasi tipo) e che
procede con una fase di propagazione del difetto fino a dimensioni critiche tali da
provocare la rottura finale di schianto.
Questo fenomeno è:
• permanente (non reversibile);
• progressivo(ogni applicazione di carico induce un danno);
• localizzato(non è un degrado delle caratteristiche del materiale, p.e.
invecchiamento delle gomme, ma riguarda soltanto una zona limitata
del componente)

Per individuare un ciclo è necessario un parametro relativo al tempo e due


parametri indipendenti relativi alla tensione o alla deformazione.
È anche necessario conoscere una fra le seguenti coppie:
• σmax, σmin = tensione massima, tensione minima
• σm = tensione media, (σmax + σmin ) / 2 e σa = tensione alternata, (σmax - σmin
) / 2
• Δσ = campo di tensione, σmax - σmin = 2 σa.
• R = rapporto di tensione, σmin / σmax

Per ottenere la curva di Wohler è necessario eseguire una serie di prove di fatica
su provini che vengono sollecitati con un carico ciclico e portati a rottura. Per ogni
provino sottoposto a test si misura il carico ciclico imposto e si registra il numero di
cicli trascorsi al momento della rottura.

I dati ottenuti vengono riportati nel diagramma che individuerà diverse aree alle
quali sono associate altrettante procedure di progetto a fatica:
• Zona della fatica oligociclica, cioè cicli in campo plastico
• Zona della resistenza a termine
• Zona della resistenza o vita infinita
Si nota che il numero di cicli N (vita a fatica) ad ampiezza costante diminuisce al
crescere dell’ampiezza delle tensioni. Nel diagramma è presente un limite
superiore, un tratto intermedio e un limite inferiore.
Il limite inferiore rappresenta il limite di fatica di un materiale cioè lo sforzo
massimo al di sotto del quale il materiale non si rompe per effetto di fatica
nemmeno per un valore molto alto di numeri di cicli. Questo punto viene detto
anche Ginocchio e tipicamente corrisponde a 2x106 cicli per gli acciai. Dopo questo
tratto infatti gli acciai hanno andamento orizzontale con fatica a ampiezza
costante mentre le leghe leggere o gli acciai con fatica ad ampiezza variabile hanno
tratto inclinato con ampiezza minore e resistenza a fatica di circa 107 cicli. Più la
pendenza sarà bassa, più il limite di fatica verrà raggiunto ad un numero di cicli
più elevato e quindi si allungherà il tempo necessario ad arrivare a rottura.

Il diagramma di Wohler viene riferito ad un ciclo con tensione media σm nulla e


quindi con R=-1, ma nella pratica è molto frequente che le sollecitazioni cicliche
siano caratterizzate da una tensione media non nulla.
A seguito di alcune prove si è riscontrato che la nucleazione di una cricca avviene
su un particolare piano inclinato di 45° rispetto alla sollecitazione assiale applicata,
su questo piano agiscono una T responsabile della nucleazione e una σ. Se la
tensione è di trazione e le due facce tendono ad allontanarsi allora la nucleazione
viene favorita mentre se la tensione è negativa la nucleazione è ostacolata.

Diagrammi di Haigh
Questi diagrammi mostrano l'influenza della tensione media sul limite di fatica.
Le coppie di valori σm e σa , viste prima, a cui corrisponde una certa vita (numero di
cicli), possono essere rappresentate su un piano avente in ascisse le prime e in
ordinate le seconde.
Il punto di partenza di questo grafico si ha con σm (tensione media) = 0
e σa (tensione alternata)= σf(resistenza a fatica per Nf cicli tenendo conto di tutti gli
effetti relativi al gradiente, alla dimensione e alla finitura del materiale), che
proviene dal diagramma di Wohler. Si osserva che i punti sperimentali possono
essere interpolati da curve che vengono definite diagramma di Haigh. Possiamo
individuare sul diagramma sia il carico di rottura del materiale Rm che il carico di
snervamento. Sono presenti alcuni punti sperimentali che seguono la retta di
Goodman: operando dalla parte della sicurezza è possibile stimare l’effetto della
tensione media unendo il limite di fatica σD-1 con il carico di rottura che è un dato
noto.
Bisogna limitare la tensione massima. È importante evitare che essa superi il limite
di snervamento per non entrare nella zona oligociclica. Allora si unisce con una retta
il punto del limite di snervamento sull’asse delle ascisse con quello sull’asse delle
ordinate e viene considerata come zona di sicurezza quella al di sotto della retta di
Goodman e di questa retta.
Nel campo delle tensioni medie negative, si nota invece che sperimentalmente il
limite di fatica non viene influenzato più di tanto quindi nel lato delle σm negative si
usa un segmento orizzontale che si ferma con la limitazione che la tensione
massima sia pari al limite di snervamento.

16) Illustrare i principali fattori che influenzano la resistenza a fatica di un


componente: dimensioni, finitura superficiale, intagli.
Con resistenza a fatica si intende la tensione massima che può essere sopportata da
un campione per un definito numero di cicli senza portare a rottura.
Tale valore può essere influenzato da molti fattori che riguardano il o il componente
o le condizioni di utilizzo di esso.

Questi fattori possono essere :


• la dimensione
• la presenza di intagli
• la finitura superficiale
• i tipi di carico
la presenza di un ambiente corrosivo

La dimensione Cs
A parità di sforzo massimo sono più penalizzati i componenti delle macchine
che presentano dimensioni maggiori.
Esso non è da considerare per trazione e compressione, in cui il valore CI è di
0,7.
l comportamento a fatica di provini intagliati è peggiore di quello dei corrispondenti
provini non intagliati, ovviamente a parità di forze applicate e di sezione minima. Si
ha infatti un abbassamento del limite di fatica anche se il carico di rottura non varia
(per materiali duttili). Esso si calcola rapportando la resistenza a fatica del provino
liscio(limite di fatica nominale) e la resistenza a fatica del provino intagliato (limite di
fatica reale):

Il coefficiente di intaglio a fatica Kf risulta minore del coefficiente di intaglio teorico


Kt, sebbene , in generale, questa differenza non sia grande; infatti, utilizzando Kt al
posto di Kf nel dimensionamento e nella verifica, si opera in maniera cautelativa.

Rispetto alla condizione standard (flessione rotante, diametro 10 mm,


liscio) si può anche scrivere:

Finitura superficiale Cf
Si tratta di un processo meccanico per eliminare le irregolarità macroscopiche
dalla superficie dei pezzi lavorati.
Esso può essere di due tipi:
• geometrico, quando si riferisce al valore di rugosità della superficie
• meccanico quando si riferisce alle caratteristiche di resistenza della pellicola
esterna.
I principali trattamenti si dividono in:
• trattamenti meccanici, si applica un carico locale che provoca snervamento in
compressione, il materiale si espande lateralmente, il cuore rimasto elastico
impedisce l’espansione e mantiene il materiale in superficie in compressione (es.
pallinatura, rullatura a freddo);
• trattamenti di rivestimento, sono applicati per risolvere problemi di corrosione, di
usura e per ragioni estetiche (es. cromatura, nichelatura);
• trattamenti termici, per effetto benefico della resistenza a fatica quali la
cementazione, nitrurazione e tempra.
Tutti i trattamenti che inducono uno stato di tensione residua di compressione
in superficie hanno effetto benefico in termini di resistenza a fatica.

L’ambiente corrosivo riduce drasticamente la durata di un componente, la


temperatura inoltre gioca un ruolo notevole per l’influenza sulla velocità
delle reazioni elettrochimiche.

Vengono utilizzati trattamenti di cromatura, nichelatura, cadmiatura e zincatura


che riducono la resistenza a fatica in ambiente non corrosivo ma la aumentano in
ambiente corrosivo.

L'insieme di questi fattori vanno a modificare la resistenza a fatica, ed in


particolare permettono di correggere il limite di fatica del componente con i vari
fattori correttivi:

l limite di fatica del componente corretto con i fattori correttivi si indicherà con...
17) Illustrare il meccanismo di generazione delle tensioni residue
tramite trattamenti meccanici.
I trattamenti Meccanici sono uno tra i principali trattamenti superficiali che
vengono utilizzati per indurre uno stato di tensione residua di compressione sulla
superficie di un certo elemento e hanno un effetto benefico in termini di resistenza
a fatica.
Sono lavorazioni che inducono, per deformazione plastica, uno stato di tensione
residua in prossimità della superficie del pezzo lavorato, la parte di materiale non
deformata plasticamente reagisce elasticamente e comprime la parte che ha
subito deformazione plastica. Le tensioni residue (di compressione) si sommano
algebricamente a quelle esterne e quindi, in superficie, diminuisce la tensione
media presente, con effetto benefico in termini di resistenza a fatica.

Meccanismo di generazione:
• si applica un carico locale
• il carico provoca snervamento in compressione
• il materiale si espande lateralmente
il cuore rimasto elastico impedisce l'espansione e mantiene il materiale in
superficie in compressione

La pallinatura è un'operazione che consiste nel martellamento superficiale eseguito


a freddo mediante un violento getto di pallini sferici, oppure di cilindretti.
Essa crea tensioni residue di compressione grazie al bombardamento della
superficie con sferette di acciaio proiettate, forza centrifuga o aria compressa. La
Rollatura a freddo è un trattamento meccanico che può essere eseguito a freddo
o a caldo, avente come scopo il miglioramento della finitura superficiale. Rilascia
una superficie più uniforme.

La Formatura a freddo genera uno stato di tensione residuo di compressione da


un lato, di trazione dall'altro. Si da la forma al materiale.
La Formatura (e rollatura) a caldo ha un effetto negativo perché è accompagnata
decarburazione superficiale. Inoltre diminuisce la resistenza dello strato superficiale e il
suo volume, la cui contrazione viene impedita dal materiale sottostante si creano così
pericolose tensioni residue di trazione. Differenti gradienti termici e differenti
espansioni/ contrazioni (raffreddamento differenziale) possono influire con una regola
empirica: rimangono in trazione le parti che si raffreddano per ultime.
18) Descrivere la regola di Miner per la verifica di componenti soggetti
a fatica ad ampiezza variabile
Spesso i componenti strutturali sono soggetti a carichi nei quali i cicli di fatica hanno
ampiezza variabile. Il problema della stima di vita a fatica di una struttura in queste
condizioni non è ancora stato del tutto risolto, e i risultati ottenuti teoricamente
sono solo indicativi, questo perché le proprietà del materiale si modificano ad
ogni ciclo. Una teoria semplice che descrive in modo approssimato il
danneggiamento cumulativo a fatica è quella di Palmgreen-Miner.

Quando è presente una cricca ad ogni ciclo essa può aumentare di lunghezza

Di = ni / Ni

Dove Di è il danneggiamento provocato dai cicli di ampiezza ai, Ni il numero di cicli


di cita corrispondente a ciascuna ampiezza ai (ottenibile dal diagramma di Wohler)
e ni il numero di cicli di fatica di ampiezza ai applicati al componente.
Passando da un blocco ad un altro, il danno complessivo è pari alla somma dei
danni accumulati nei singoli blocchi. Miner sperimentò che si avrà rottura quando il
danneggiamento complessivo sarà pari a 1.

Se abbiamo cicli di carico sotto il limite di fatica essi dovrebbero dare


danneggiamento nullo ma in realtà non è cosi: se il Δk, dove k è il fattore di intensità
delle tensioni, è minore del Δk di soglia non si ha propagazione ma il
danneggiamento. Se invece il Δk a parità del Δσ è maggiore del Δk di soglia si ha
propagazione e anche se il Δσ è minore del limite di fatica si ha un danno fisico che
deve essere conteggiato. Questo metodo è semplice ed è largamente utilizzato.

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