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ISBN 978-88-3296-424-0
Copertina
Art director: Giacomo Callo
Graphic designer: Davide Nasta
Immagine: © pat138241 / 123RF Archivio Fotografico
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Indice
Gli autori
Pagina di copyright
Frontespizio
Questo libro
Soldi e felicità
Chi scrive il libro?
Un quadro d’insieme
Piccola storia della moneta
Le banche ci servono!
Abbecedario di finanza
Il mercato e le azioni
La finanza pubblica
Il risparmio
Scegliere una banca
Il conto corrente
Gli investimenti
Titoli finanziari
Le obbligazioni
Le obbligazioni bancarie
Titoli di stato, debito pubblico e spread
Le azioni
Il rating, o la misura del rischio
I fondi comuni di investimento
Chiedere un prestito
Mutui
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I soldi che investono il pianeta
Cattive azioni
Vendite allo scoperto
Buy back
Cartolarizzazioni
Il mercato delle divise e dei derivati
I derivati
La finanza è veloce
Se tutto questo non bastasse
Le scommesse della finanza
Il fai da te
Le criptovalute
I fallimenti del sistema finanziario globale
I paradisi fiscali
Finanza e mafia
Disuguaglianze e distribuzione della ricchezza nel mondo
Oroscopo finanziario
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Un’impronta (ambientale e sociale) migliore per i nostri
investimenti
Etica Sgr
Azionariato attivo
Microcredito
La finanza digitale
I soldi pubblici danno la felicità: #meglioinsieme
Le tasse
Quiz finali
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Prefazione
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Cuccia, che siano in possesso delle conoscenze per costruire una casa
su un albero. E che l’abbiano costruita davvero.
E invece un banchiere c’è, e l’ha costruita davvero, con le sue
mani. Un po’ spartana, certamente, migliorabile nella coibentazione
del pavimento che presenta qualche fessura tra un’asse e l’altra,
probabilmente da mettere a punto quanto all’arredamento: ma è
sempre una casa di 30 metri quadri che sta su una quercia a molti
metri d’altezza. Davanti a un bel pezzo di campagna toscana.
Quel banchiere si chiama Ugo Biggeri. Lui dice che ha solo aiutato
un figlio. Viene da non credergli: è un banchiere, no? Non è che
adesso ci mettiamo a credere a quello che dicono. Ma poi, quando ti
racconta di come hanno tirato su le assi e provato a far spuntare il
camino tra i rami, ti viene da dargli un po’ di fiducia. Allora capisci
che Ugo Biggeri, banchiere che sa fare anche altre cose, non si è
sottratto al desiderio del figlio che voleva vivere un po’ tra i rami, e ci
ha messo del suo. Come quei padri che comprano il plastico del
trenino al figlio, ma lo fanno – anche, molto – per sé. Solo che
Biggeri, quando non fa il banchiere, invece della dimensione del
comprare preferisce quella del fare. Spesso con le mani.
E anche questa è una scelta dirimente. Forse etica: fare, costruire,
provare a fare. Meglio se con gli altri. È un po’ la storia di Banca
Etica. Fare una banca perché una comunità ha bisogno anche di
questo – e Ugo ci spiegherà bene il perché –, e già che ci siamo la
facciamo meglio, la facciamo anche etica.
E siamo davanti a un primo nodo da sciogliere, un ossimoro con il
quale a noi piace spesso tormentare Biggeri quando parliamo con lui
in onda, alla radio, di soldi, di scambi monetari, di scambi sociali, del
valore profondo che si custodisce nei depositi di Banca Etica. Alla
fine si arriva sempre qui: «Com’è possibile?» gli chiediamo noi.
«Una banca è una banca e quindi fa soldi con i soldi degli altri,
stritola, accaparra, incamera, arricchisce i già ricchi, vende
obbligazioni argentine a scadenza quarantennale a pensionate
novantatreenni. Oppure è etica: giusta, equa, buona, decente, con dei
principi morali. Quindi una banca etica non può esistere. Dire banca
etica è come dire convergenze parallele, insensato senso, tacito
tumulto o silenzio eloquente.» Come quello di Enrico Cuccia.
Ugo Biggeri, pazientemente, spiega e rispiega il bel paradosso di
Banca Etica. Risponde. Parla, incontra. Ti porta sulla casa sull’albero
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e ti fa vedere dall’alto, seduto bello comodo, un po’ di quello che c’è
nel panorama dei soldi. Ha fatto questo – spiegare, raccontare,
tessere – da presidente di banca. Tra una potatura delle viti e la
sistemazione del recinto per i maiali.
Raccontare, spiegare, renderti partecipe gli viene naturale e lo fa
con un piacere profondo che già usciva sulle onde della radio ed esce
anche da qui, dalle pagine di questo libro. Anche quando c’è da
dilungarsi un po’ tecnicamente su cos’è un Etf, sulla volatilità di
un’azione o di com’è fatta una plain vanilla, che è l’obbligazione più
semplice che ci sia e si chiama così per via del gelato alla vaniglia,
quello più facile da fare. Ugo Biggeri, già che c’è, fa anche un gelato
alle more di gelso selvatico che è quotato in Borsa. È una delle
persone più intelligentemente divertenti che può capitare di
incontrare.
A lui, forse, anche Enrico Cuccia avrebbe raccontato qualcosa di
sé. Forse lui lo avrebbe conquistato raccontandogli che, da vero
banchiere, ha appena comprato una Lamborghini spider. Non gli
avrebbe detto che è un trattore, vecchio di quarant’anni e ridipinto
(con le sue mani, è chiaro) con un discutibile color rosa fucsia.
Il nostro incontro con Ugo Biggeri nasce dall’ignoranza, più di
Sara Zambotti che di Massimo Cirri. Cos’è un’obbligazione? Da cosa
deriva un derivato? Come faccio a scegliere una banca? I soldi danno
la felicità? Così ci siamo detti: «Chiediamolo a qualcuno». Abbiamo
bussato a Banca Etica, ha risposto Ugo Biggeri, abbiamo pensato che
fosse un tipo simpatico e gli abbiamo chiesto se ci metteva in
contatto con il presidente della banca. «Sono io» ha risposto. Non è
possibile. Non era vestito di grigio e non era serioso, e invece era lui.
Astuto marketing quello di Banca Etica, che dopo Biggeri adesso ha
Anna Fasano come presidente.
Così è cominciata la sfida di raccontare le basi della finanza
proprio dall’inizio, da perché i soldi a come vestirsi per andare a
chiedere un mutuo.
Mai fidarsi dei banchieri. Buona lettura.
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I SOLDI DANNO LA FELICITÀ
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A chi si fa domande,
cerca risposte intransigenti e…
poi le applica con tolleranza e ironia.
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Questo libro
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raggiunge la vetta con più tranquillità. Questo paragone rende l’idea,
ma regge solo in parte, perché nessuno di noi, da solo, può
raggiungere la vetta e portare una risposta ai problemi che investono
le vite di tutti.
Serve, dunque, una risposta tanto individuale quanto collettiva. A
oggi, milioni di persone si impegnano quotidianamente per
migliorare la vita delle comunità a cui appartengono e si dedicano al
volontariato, prendendosi cura delle persone, difendendo i loro
diritti, proteggendo l’ambiente e i territori. Si indignano, si
arrabbiano, vogliono agire e cambiare le cose. Protestano,
boicottano, dissentono, borbottano, a volte anche solo mugugnano.
Tra queste, moltissime propongono economie costruite su basi
diverse, scelgono di lavorare per apportare un cambiamento, di
consumare in modo responsabile e di vivere in modo sostenibile.
Spesso la solidarietà e le buone pratiche passano in ombra, ma,
guardando meglio, scopriremmo che si stanno costruendo, dal basso,
migliaia di possibili alternative. Nella società, come negli ecosistemi,
i momenti di crisi possono essere superati grazie alla «biodiversità»,
alla coabitazione di tante potenziali soluzioni. Se già ci stiamo
prendendo cura dell’ambiente e delle nostre comunità, dobbiamo
ricordarci che non siamo soli. Se invece sentiamo di non partecipare
ancora al cambiamento – perché abbiamo poco tempo a disposizione
o perché, nella nostra quotidianità, siamo sottoposti a grandi
pressioni –, esistono comunque tantissime piccole azioni che
possiamo compiere per prenderci cura del mondo e degli altri, cura
che poi si riverserà anche nella nostra vita personale. In questo
modo ci avvieremo, ognuno secondo le proprie aspirazioni, capacità
e disponibilità, a un cammino sfaccettato e all’insegna della
biodiversità.
Finanza etica, commercio equo e solidale, gruppi di acquisto
solidale, bioedilizia, cooperazione internazionale, accoglienza, diritti
civili, efficienza energetica, energie rinnovabili, vita comunitaria,
consumo responsabile, boicottaggi, azionariato attivo, recupero di
beni usati, agricoltura biologica, filiera corta, cooperazione sociale,
promozione di leggi diverse, petizioni… Fra i tanti volti possibili del
cambiamento qualcuno ci attrarrà di più, mentre altri ci lasceranno
un po’ indifferenti. Ecco, seguiamo quelli che «ci chiamano», con la
rassicurazione che la strada da percorrere è una strada condivisa, e
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non dobbiamo farci carico di tutto nello stesso momento.
Una via trasversale e quotidiana per sostenere il cambiamento è
proprio l’attenzione all’uso del denaro. Molto è stato scritto sul
consumo responsabile, mentre siamo ancora poco coscienti di come
le nostre piccole grandi scelte finanziarie, da quella della banca in cui
aprire un conto corrente a dove fare gli investimenti, possano fare la
differenza. La finanza, tuttavia, ci viene spesso raccontata con un
linguaggio che non siamo preparati a decifrare, e che ai più risulta
tanto difficile quanto noioso.
Non c’è da sorprendersi dunque se, mettendoci a scrivere questo
libro, già dalle prime domande sul tema abbiamo ricavato risposte in
oscuri slang specialistici. Noi per primi ne siamo rimasti confusi.
Tutto da riscrivere. In tutt’altro linguaggio.
Questo libro, infatti, intende essere un corso semiserio di finanza
alla portata di tutti (con la leggerezza, a volte, si può arrivare più
lontano che con la serietà) e, perché no, una piccola guida per un uso
dei soldi che generi felicità.
I soldi danno la felicità era anche il titolo, volutamente
provocatorio, di una rubrica economica nata dalla collaborazione
radiofonica con Massimo Cirri, Sara Zambotti e Laura Troja, in
diretta e con le domande incalzanti dei conduttori. Da quelle
esperienze abbiamo tratto la scelta degli argomenti affrontati
inframezzando al testo domande spesso ironiche per dare un ritmo
nuovo ai temi dell’educazione critica alla finanza.
Soldi e felicità
Partendo dal titolo, I soldi danno la felicità, è necessario fare alcune
considerazioni sul legame tra… soldi e felicità. Di solito lo
affrontiamo in modo scomposto, negandolo o enfatizzandolo, perché
ci costringe a riconoscere che le domande sui soldi sono anche
domande sulla vita e sulle nostre scelte di vita. Quel legame può
essere un vincolo, una costrizione, una minaccia o un’opportunità.
Scoccia ammettere che i soldi sono tanto importanti. Ma danno
davvero la felicità?
Il «sempre di più» ha un costo, e non solo economico, perché
esiste una contabilità che non siamo abituati a tenere. Può voler dire
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rinunciare a belle esperienze, lasciar intorpidire i muscoli della
nostra inventiva, dover lavorare di più sacrificando il tempo libero, o
ancora abbuffarci di stimoli che lasciano una soddisfazione fragile.
Una vita sobria, invece, può essere ricca di relazioni, stimolarci a
sviluppare nuove capacità e fornirci un senso di autorealizzazione.
Non si tratta dunque di fare sacrifici e rinunce, ma di scegliere come
vogliamo impiegare il nostro tempo e di quali risorse intendiamo
nutrirci: c’è una bella differenza!
Sapevate che la felicità si studia? Certo non è come la matematica,
ma negli anni i ricercatori hanno trovato delle approssimazioni e
delle metodologie utili per valutarla, in qualche modo proprio per
misurarla. Questi studi, ovviamente, hanno riguardato anche il suo
rapporto con i soldi, e le conclusioni a cui sono arrivati sono
interessanti:
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di beni e servizi che non siano strettamente necessari – viviamo
anche di cose non indispensabili – né allo spirito né alla carne. Si
tratta piuttosto di cercare un equilibrio fra i bisogni che vogliamo
soddisfare e il prezzo che ci costa farlo, in termini di tempo e risorse.
In questo senso, quindi, la felicità ha anche una componente
«volontaria», che va cercata, ed è al tempo stesso una
predisposizione mentale. Dunque dipende poco dai soldi.
Come riassume bene Pepe Mujica, ex presidente dell’Uruguay:
«Dobbiamo renderci conto che non compriamo con il denaro, ma
con il tempo che abbiamo utilizzato per guadagnare quei soldi. E la
felicità non è poter possedere sempre più beni, ma avere il tempo per
fare quello che ci piace, per coltivare le relazioni umane, per stare
con i nostri figli e con gli amici. Tutti, a questo mondo, abbiamo il
diritto di essere felici».
Se dunque non riteniamo che i soldi, in sé, siano la chiave della
felicità, perché la scelta di questo titolo? Per rispondere alla
domanda è necessario un passaggio dal «quanto» al «come», dalla
quantità alla qualità.
La quantità di soldi che abbiamo influenza la nostra felicità fino a
un certo punto, ma il modo in cui decidiamo di spendere o di
risparmiare ciò che possediamo ha degli impatti reali sui soggetti con
cui interagiamo economicamente e sul mondo. In questo libro
vogliamo spiegarvi un po’ come funziona la finanza, quella che
possiamo incontrare nella vita di tutti i giorni. Raccontarvi in
particolare come le scelte finanziarie, che noi tutti siamo chiamati a
compiere, possono contribuire a costruire il mondo che ci
piacerebbe. Attraverso i soldi possiamo dare il giusto riconoscimento
al lavoro delle persone e far fiorire i progetti che riteniamo virtuosi.
Il valore dei soldi sta nelle relazioni e nel bene comune che aiutano a
generare. In questo senso sì: i soldi danno la felicità.
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puntute e provocatorie, scaturite dalla mia fantasia e dalle
conversazioni radiofoniche, che vengono riassunte nei corsivi che
scandiscono il ritmo del libro. La nostra è una relazione quantomeno
curiosa, iniziata come un rapporto di affidamento genitoriale quando
Cristina aveva diciassette anni e che è poi continuata su altre basi ad
affidamento terminato. Siamo separati da una trentina d’anni d’età e
accomunati da un simile interesse per le domande di senso e per le
pratiche capaci di innescare un cambiamento positivo nella società.
Io ho studiato Fisica e sono giunto, attraverso l’attivismo, a
occuparmi di finanza etica. Lei, come non vi racconterà – perché alla
sua età, dice, è troppo presto per fare «bilanci» –, ha studiato
Economia e Statistica per poi arrivare, sempre sull’onda
dell’attivismo, a fare la giornalista e a studiare e tradurre nella scuola
di Arte del processo e di democrazia profonda, la prima scuola
italiana di psicologia orientata al processo.
Le attitudini che hanno caratterizzato la mia vita dall’infanzia a
oggi sono state la curiosità, la voglia di cambiare il mondo e una forte
motivazione a fare e a rendermi utile.
La curiosità mi ha portato da piccolo a spaccare il frigo di casa nel
tentativo di capire da dove provenisse il freddo, poi, molto più tardi,
a studiare Fisica, una formazione che mi ha trasmesso la voglia di
capire il quadro d’insieme e gli ordini di grandezza, nonché il
desiderio di riportare argomenti complessi a un piano di semplicità.
Ho imparato tante cose rispetto all’agricoltura e alle trasformazioni
alimentari. Inoltre, mi piace cimentarmi nei lavori manuali,
arrangiandomi a fare il muratore, l’idraulico, il falegname e
quant’altro. Il lato oscuro di tutto ciò è che sono talvolta
insopportabilmente attivo, e per giunta in tutti i campi!
L’impegno sociale e la volontà di cambiare il mondo, tuttavia,
hanno avuto la meglio, portandomi a dedicarmi alle attività della
parrocchia e del gruppo Mani Tese di Firenze, anche grazie
all’influenza del pensiero di don Lorenzo Milani. A Mani Tese, in
particolare, devo molto. Si tratta di un’organizzazione non
governativa che si occupa di sviluppo e solidarietà tra i popoli, con
gruppi locali sul territorio che si dividono tra azioni politiche,
campagne di sensibilizzazione e raccolta fondi anche attraverso il
lavoro manuale. È stato all’interno di questa organizzazione che ho
capito l’importanza di mettersi insieme per comprendere cosa non
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va nel mondo ed elaborare strategie teoriche e pratiche d’azione.
Così, a poco più di vent’anni, ho seguito la campagna
dell’associazione contro i «mercanti di morte», che ha portato ad
approvare, nel 1990, la legge 185 per regolamentare il commercio
delle armi.
Nel 1997 sono diventato presidente di Mani Tese e ho seguito
diverse campagne impegnate a promuovere un commercio
internazionale più equo, lo sviluppo sostenibile e la democrazia nelle
istituzioni internazionali.
Sempre tramite Mani Tese, sono entrato in contatto con le prime
idee di finanza etica diventando, nel 1995, uno dei fondatori della
cooperativa da cui ha avuto origine Banca Etica, che ha l’ambizione
di far sapere ai suoi clienti dove investe i loro soldi e di investirli con
forti attenzioni sociali e ambientali, improntando la sua attività alla
massima trasparenza.
La finanza etica è diventata una passione, ma poi anche il mio
lavoro, inizialmente di promozione culturale. Il risultato forse più
noto è stato di aver ideato, promosso e coordinato (ovviamente
insieme a molte altre persone) Terra futura, una mostra-convegno
sulle buone pratiche di solidarietà e di impegno per il cambiamento
che si è svolta a Firenze per dieci anni dal 2004 al 2013.
Negli anni ho acquisito sempre maggiori competenze e nel 2010
sono diventato presidente di Banca Etica (lo sono stato fino al 2019)
e dal 2011 presidente di Etica Sgr, la società del gruppo Banca Etica
che si occupa di gestione del risparmio ed è esclusivamente orientata
alla finanza etica.
La propensione a rendermi utile agli altri ha caratterizzato da
sempre anche la mia vita privata, scelta sostenuta da mia moglie
Mirjam e da altre persone con cui abbiamo scelto di vivere. Quando
si è in due o più a condividere gli ideali e i valori e a farsene carico
insieme è più facile metterli in pratica, custodirli.
Non chiudere la porta di casa, vivere in modo comunitario, è un
esercizio che ha arricchito la mia esistenza e che mi sento di
consigliare. Anche perché pontificare un po’ è un altro mio
difettuccio.
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Esiste un interesse generale ed esiste un interesse che viene
richiesto per un prestito. Per entrambi in fondo significa che mi sta a
cuore, mi importa. Solo che il primo è un interesse collettivo ed è
generale. Il secondo diciamo che è un po’ più materiale, individuale e
soprattutto legato ai soldi.
Siccome in Banca Etica siamo astuti, siamo convinti che
l’interesse più alto è quello di tutti e così speriamo di salvare capra e
cavoli.
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Un quadro d’insieme
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Cerchiamo di essere più chiari: nel baratto, chi aveva una gallina
scambiava le sue uova, per esempio, con un certo quantitativo di
farina; applicando la reciprocità, invece, questo scambio non
avveniva necessariamente nello stesso momento. All’interno delle
comunità, dove vigevano rapporti di fiducia, le persone erano solite
farsi favori e cedere i propri beni sapendo che l’altro, in futuro,
avrebbe ricambiato. Chi uccideva un animale, quindi, poteva
distribuirne la carne e ricevere, in un secondo momento, uova,
scarpe e quant’altro veniva prodotto, senza vincoli di tempo.
La reciprocità, in un certo senso, è una pratica che ancora
adottiamo con le persone di cui ci fidiamo. Un esempio? Quando
facciamo da baby-sitter ai figli dei nostri amici non chiediamo
nessun compenso monetario o immediato, ma stipuliamo un
accordo implicito in virtù del quale ci aspettiamo di ricevere a nostra
volta supporto e favori quando ne avremo bisogno.
Ecco, un tempo i beni e i servizi circolavano così, ma il sistema era
un po’ più complesso, visto che non ne esisteva un altro. Si accettava
il fatto che, in una comunità definita (geograficamente o
relazionalmente chiusa), si poteva ricevere qualcosa in cambio anche
non direttamente dalla persona che aveva ricevuto la merce, ma da
una terza, in una sorta di triangolazione: Gianni dà a Clara che poi
darà a Giorgio che darà a Giulia che poi darà a Gianni, chiudendo il
cerchio (o riaprendolo all’infinito se non si sono scambiati beni
equivalenti).
Un sistema complesso, dicevamo, con ritualità intrecciate nonché
con un’implicita accettazione di relazione «violenta», verso le
comunità straniere (nei confronti delle quali non valeva la
reciprocità, ma i rapporti di forza) ma anche al proprio interno
(schiavitù o servitù per debiti).
Non a caso, in tempi in cui il denaro era ancora marginale, ma le
società iniziavano a svilupparsi, questo sistema accentuava le
differenze sociali e creava distorsioni significative. La reciprocità
diventava impossibile e prevaleva l’idea del debito, con la
conseguente sottomissione delle persone. Per questo sono nati i
cosiddetti «giubilei», che consistevano nella remissione dei debiti. I
regnanti babilonesi, per esempio, preferivano cancellarli tutti e
azzerare il «contatore» anziché rischiare rivolte.
Le ragioni per cui la reciprocità è passata in secondo piano,
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mentre la moneta ha assunto un ruolo sempre più rilevante nel
regolare gli scambi e le risorse, sono molteplici e complesse. Ci
limiteremo a elencarne tre, collegate alle funzioni costitutive della
moneta: intermediazione, unità di misura, riserva di valore.
Biggeri, non è che lei ora mi rifila quattro conchiglie per saldare
quel nostro vecchio debito per far gas in autostrada?
Lo farei volentieri, ma da tempo è il potere statale (o dei regnanti)
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a essersi assunto la prerogativa di stampare monete. Diciamo che
sono gli Stati ad avere il monopolio di soldi e… soldati. Quindi per
quel debito dovrò ricorrere a delle banconote.
La cartamoneta si affermò in Europa durante il Medioevo. Allora
l’Italia era divisa in tanti piccoli stati, ognuno con la propria piccola
moneta. Potete immaginare la confusione! Inoltre, con i briganti e i
pirati a ogni angolo della terra e del mare, il trasporto delle monete
non era certo privo di rischi. È in questo scenario che fecero il loro
ingresso nella storia i cambiavalute, una forma primitiva di banchieri
che si impegnavano a tenere al sicuro i soldi che venivano loro
consegnati promettendo, per iscritto su un foglio di carta, che chi lo
avesse presentato avrebbe ricevuto in cambio l’ammontare di
monete depositato. Le persone abbienti e i commercianti, così,
iniziarono a scambiarsi i pezzi di carta che contenevano tali
promesse.
I primi protobanchieri erano soliti tenere da parte tutte le monete
a loro affidate, sempre pronti a consegnarle a chi venisse a
reclamarle. Poi, dopo qualche tempo, si accorsero che quando le
persone si scambiavano la cartamoneta solo alcune di loro sarebbero
effettivamente andate a riscuotere quanto depositato. Perché allora
non prestarne una parte, ricavandone anche un interesse? Finché il
banchiere restituiva le monete a chi si presentava con il foglio di
carta, questa pratica non era un imbroglio. Così, i protobanchieri più
seri si misero a coordinare diligentemente le scadenze fra i soldi a
loro affidati e quelli prestati. Il processo, tuttavia, non sempre
andava a buon fine, un po’ per incapacità e un po’ perché non tutti i
protobanchieri erano onestissimi. Dopo alcuni casi di insolvenza
bancaria, si approdò dunque alla cartamoneta pubblica.
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farlo perché sapevano di poter chiedere in qualunque momento alla
banca centrale il corrispettivo in oro, e si fidavano. Questo
meccanismo ha funzionato fino allo scoppio delle due guerre
mondiali, quando le banche centrali non sono più riuscite a far
fronte alla richiesta di conversione perché l’oro era impiegato in
prestiti mirati a sostenere gli sforzi bellici. Dopo un tentativo di
tornare alla convertibilità, con gli accordi di Bretton Woods del 1944,
che introdussero un nuovo sistema monetario internazionale, basato
sul principio di stabilità costituito dai cambi fissi, nel 1971 le monete
cessarono una volta per tutte di essere convertibili. Da allora, le
banconote sono diventate un mezzo di scambio a cui si riconosce un
valore nominale (quello stampato sopra) solo per la fiducia che chi
riceve in pagamento una certa quantità di denaro possa poi cederla a
sua volta ad altri in cambio di beni e servizi. Questo «meccanismo
fiduciario» viene forzato dall’obbligo legale di accettare pagamenti
nella moneta ufficiale del proprio paese e dalla regola, contenuta nei
codici civili, secondo cui una volta effettuato il pagamento
l’obbligazione (e quindi il debito) si estingue, liberando per sempre il
debitore.
Cioè i soldi non sono più solidi e legati ai lingotti di Fort Knox, ma
sono dei dischetti di metallo o pezzi di carta? Possiamo chiedere di
ricevere lo stipendio in dobloni? Così, per stare più tranquilli…
No, non si può. In un certo senso le odierne monete sono il
simbolo concreto di una convenzione universalmente accettata. La
definizione di «denaro» o «moneta», a dire il vero, non è molto
intuitiva e sembra un circolo vizioso:
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altre monete estere).
4. Gli aggregati monetari sono la somma delle monete stampate,
dei depositi in conto corrente (o a vista, cioè che si possono avere
disponibili immediatamente a richiesta) e dei titoli di stato a
breve termine (emessi dai governi). Sono sostanzialmente una
misura della ricchezza quantificata da una moneta (e della
ricchezza dei paesi dove circola).
5. Il valore relativo di una moneta rispetto alle altre dipende dal
mercato libero degli scambi valutari (la compravendita di
monete).
Le banche ci servono!
Mi ha incuriosito la storia dei protobanchieri che protofregavano i
protocorrentisti…
In realtà non protofregavano, avevano inventato i prestiti
moderni! Le banche, come abbiamo accennato, servono per tenere i
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soldi al sicuro, per effettuare pagamenti in modo più semplice e – da
quando i protobanchieri si sono resi conto che non era necessario
tenere tutti i soldi fermi nei depositi – gli istituti di credito svolgono
anche un importantissimo ruolo di intermediazione fra chi ha i soldi
e chi non li ha, ma ne vorrebbe prendere in prestito. Quindi i soldi
come entrano nelle banche ne escono per essere prestati o usati…
Faccio fatica a digerire l’idea che i miei soldi non siano in banca,
perché li sta utilizzando qualcun altro.
In effetti questo sarebbe un po’ preoccupante se pensassimo
erroneamente alla banca come a un deposito. Il mestiere del
banchiere, in un certo senso, è quello di amministrare in modo
attento i rischi e i ricavi connessi ai prestiti e il bilancio della banca,
gestendo le differenti scadenze temporali fra chi deposita i propri
risparmi – e li vuole sempre disponibili – e chi li prende in prestito
chiedendo di restituirli «con calma». Questa cosa va sotto il nome di
«equilibrio finanziario», ma di fatto è più semplicemente un
barcamenarsi con destrezza fra le varie scadenze.
Nel 2010, quando sono stato eletto presidente di Banca Etica, ho
avuto conferma della veridicità di questa storia dell’intermediazione
finanziaria: da nessuna parte, nella mia banca, ho trovato depositi
pieni di monete o lingotti d’oro stile Paperon de’ Paperoni. E ho
capito che non succedeva neanche nelle altre… Mannaggia!
Ma torniamo al ruolo delle banche. Raccogliendo i risparmi dei
cittadini e prestandoli a chi ne necessita, e ha capacità di restituirli,
le banche creano denaro. Leggendo questa affermazione alcuni di voi
penseranno che solo le banche centrali stampino moneta. Questo è
vero, ma la moneta prodotta e stampata è solo una piccolissima
parte del denaro in circolazione, circa il 5 per cento. Gli altri soldi
sono nelle scritture contabili degli istituti finanziari e di credito,
vediamo come.
Che le banche «creassero» soldi se n’erano accorte già nel tardo
Medioevo e all’inizio dell’epoca rinascimentale alcune famiglie
fiorentine, come i Pitti, i Peruzzi, i Medici e gli Strozzi. Si vocifera
che la parola «strozzino» derivi proprio da questi ultimi… comunque
sia, forse anche per questo le loro banche rendevano molto bene.
Pettegolezzi a parte, che i soldi fossero nelle banche di queste
importanti famiglie o nei monti di pietà francescani, quando una
banca fa un prestito di fatto crea moneta. Semplificando potremmo
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dire che se deposito in banca 1000 euro, una parte, per esempio 900
euro, verrà prestata a qualcun altro. I 1000 euro iniziali, in questo
modo, sono diventati 1900, perché io continuerò a possedere il
denaro che ho depositato e il beneficiario del prestito avrà 900 euro
a disposizione. A questo punto il beneficiario, plausibilmente,
spenderà quanto ricevuto, aumentando il valore dei conti in banca
delle persone con cui interagisce. Questi depositi, a loro volta,
saranno la base per effettuare ulteriori prestiti, in un meccanismo di
moltiplicazione del denaro e di accelerazione dell’economia.
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E i soldi si creano all’infinito?
Non proprio. Ci sono due restrizioni: la prima è che le banche
devono mantenere delle riserve in denaro libere, e questo ne limita la
creazione; la seconda, e più importante, è che le banche stesse
cancellano (o distruggono) i soldi creati via via che ogni rata del
prestito viene restituita. Hanno creato soldi nel momento in cui li
hanno anticipati, li «cancellano» quando sono restituiti. Attenzione:
cancellano moneta con la parte di restituzione dei soldi prestati, non
con gli interessi pagati, quelli se li tengono! Dato che le banche fanno
prestiti in continuazione, l’insieme di tutti i soldi che prestano e che
devono ancora essere restituiti si chiama «portafoglio dei crediti in
essere» e, in effetti, è legato alla moneta che viene stabilmente creata
da una banca.
Quando andiamo in banca a depositare i nostri soldi, convinti di
accedere semplicemente a dei servizi, stiamo di fatto immettendo
energia nel motore dell’economia e contribuendo a creare ricchezza
laddove saranno investiti, fornendo un utile alle banche, ma
soprattutto garantendo linfa vitale ai progetti che vengono finanziati.
È per questo che, quando affidiamo i nostri soldi alle banche, è
essenziale interrogare e interrogarci sul tipo di attività che
sovvenzioneranno. Energie rinnovabili? Progetti sociali? O industria
bellica?
Porsi questo tipo di domande, e scegliere di conseguenza, ha un
potere rivoluzionario: possiamo contribuire a far fiorire attorno a noi
un’economia più solidale, attenta all’ambiente e al benessere delle
persone. I nostri soldi hanno tutte le potenzialità per fare
volontariato insieme a noi.
30
Abbecedario di finanza
Il mercato e le azioni
Andiamo al mercato?
Cos’è il mercato? Mica facile da definire. È quello di quartiere?
Con le mutande alla rinfusa vicino ai carciofi? Il mercatino
dell’usato? Oppure il mercato gestito dai computer, apparentemente
asettico in cui ci si scambiano azioni e titoli finanziari? O forse è
quello nero?
In fondo con la parola «mercato» possiamo indicare tante cose
perché è un luogo di scambi con diversi gradi di libertà e apertura
possibili.
31
Scusi, ma un luogo di scambi libero e aperto suona quasi come
un’esperienza per coppie «di larghe vedute» o per altri mercimoni…
Ops, intendevo un’altra cosa, anche se in un certo senso pure
quello può essere un mercato.
Se ci si scambia qualcosa con una transazione economica (ovvero
pagando o usando i soldi come unità di misura), allora si fa mercato.
Se invece ci si regala qualcosa non lo è. Quindi sugli scambisti,
dipende…
Oggi il mercato non è più solo nelle piazze, ma in moltissimi altri
luoghi, anche virtuali, come le piattaforme digitali.
I mercati non sono un’entità neutra, possono anzi avere
connotazioni profondamente diverse a seconda di come vengono
regolamentati. Possono assumere una forma cooperativa, capitalista,
liberista, decentrata, accentrata, democratica, a pianificazione
socialista, civile, incivile, in nero, digitale, irrazionale, virtuale,
fantomatica…
Senza entrare nel merito dei tanti mercati possibili, possiamo dire
che nel complesso si tratta di uno strumento utile, senza il quale gli
scambi sarebbero molto difficili.
32
Il mercato azionario si presta dunque a essere utilizzato in modo
speculativo, ma svolge delle funzioni interessanti: consente di poter
reperire capitali per far crescere le imprese e le loro attività
economiche e lo fa mettendo in teoria tutti i proprietari allo stesso
livello di rischio: ogni azionista, infatti, è proprietario di un
pezzettino della società proporzionale al numero di azioni che
possiede.
Certo una società per azioni ha un’organizzazione tale per cui il
gruppo di soci che possiede la maggioranza, anche relativa, delle
azioni detiene il controllo. Ma i profitti poi si dividono tra tutti allo
stesso modo in base al possesso azionario, ossia a quanto si è deciso
di rischiare nelle quote di proprietà dell’azienda.
In un certo senso una compagnia quotata consente a tutti di
divenire proprietari e il mercato azionario regola come ci si debba
comportare per garantire l’interesse di tutti i soci.
33
sostenibilità.
34
per avere in cambio della merce.
35
interessano.
Essendo tutto regolato dai computer, le competizioni tra le Borse
mondiali si giocano anche sulla velocità dei calcolatori. Chi arriva
prima (parliamo di millisecondi) vince.
Le stesse Borse sono società che diventano sempre più
complicate. Per esempio la Borsa di Milano fino a poco tempo fa era
in una società insieme a quella di Londra. Poi è passata di mano, ora
è di un consorzio europeo con sede ad Amsterdam.
[Silenzio sgomento]
L’importante, in realtà, è capire che se cerchiamo di far fruttare i
soldi inseguendo le creazioni della finanza dobbiamo diventare dei
professionisti, oppure, più semplicemente, essere prudenti e fare
solo ciò che si capisce. Se invece ci occupassimo di più dei risultati
non solo da un punto di vista strettamente economico, ma anche di
impatto sociale, potremmo davvero guadagnarci tutti.
La finanza pubblica
Non si può non parlare di soldi e finanza senza provare a dire due
cose sulla finanza pubblica.
36
Non vorrà mica parlarci di tasse?
Intanto la finanza pubblica non deve farci venire le bolle o farci
fare scongiuri, perché anche questa ha del buono, e tanto.
Prima che i soldi iniziassero a circolare, la redistribuzione delle
ricchezze era poco praticata ed era oggettivamente un problema. Un
feudo non si divideva tra tutti i figli, mentre la miseria si è sempre
divisa – anzi, fatta aumentare – benissimo.
37
Il risparmio
Senza dirlo troppo in giro, sappia che ho un po’ di risparmio. Dove
lo metto?
I soldi che risparmiamo, ovvero che mettiamo da parte per il
futuro, possono essere riposti in cassaforte, sotto il materasso, nel
cassetto della biancheria o in altri luoghi a seconda della fantasia.
Qui possono tuttavia essere preda di topi, ladri, alluvioni, nipoti o di
altri tipi di pericoli. L’alternativa, più spesso praticata, è depositarli
presso una banca (detta anche istituto di credito) che, a seconda
delle modalità con cui glieli affidiamo e dell’aria che tira nella
finanza, ci corrisponderà un interesse. Questo, se da una parte torna
comodo a noi, dall’altra svolge una funzione sociale perché, come
abbiamo detto, quando mettiamo i soldi in banca questi non restano
lì, ma escono subito per finanziare qualcun altro. In tal modo,
quanto abbiamo depositato resta nostro e allo stesso tempo viene
condiviso con moltissime altre persone, fino a diventare addirittura
un bene comune qualora venga utilizzato per fini virtuosi.
Il popolo italiano è un popolo di risparmiatori, tant’è che si stima
che ognuno di noi abbia più di 75.000 euro di attività finanziarie a
disposizione direttamente o tramite istituzioni senza scopo di lucro
al servizio delle famiglie (lo afferma la Relazione annuale 2019 della
Banca d’Italia). Qualora non ce li avesse, comunque, non si
preoccupi: si sa che le medie fanno miracoli e rimandiamo ad altrove
il tema dell’equità sociale.
Questa attitudine a mettere da parte, evitando di indebitarsi per
soddisfare i propri bisogni, ha sicuramente dei tratti virtuosi: da una
parte tutela la serenità delle famiglie, e dall’altra fa sì che i nostri
piccoli e grandi risparmi, messi insieme, possano avere un peso nel
costruire il tipo di mondo che vogliamo. Il consumo responsabile ci
ha insegnato che acquistando certi beni piuttosto che altri abbiamo il
potere di sostenere le iniziative benefiche o di boicottare le imprese
dannose per le persone e per l’ambiente. Andando a fare la spesa, di
fatto, «votiamo» che tipo di mondo vogliamo alimentare: Leonardo
Becchetti, un professore ed economista che da anni si occupa del
potere che possiamo esercitare quando spendiamo i nostri soldi, ha
perfino installato come suoneria del suo cellulare una voce che dice
«voto con il portafoglio» e lo ha scritto in tutti i suoi (peraltro ottimi)
38
libri. Siamo invece meno consapevoli che anche decidere come
collocare i nostri risparmi ha un impatto analogo. Insomma, che si
può votare anche con il salvadanaio.
Entrare in una filiale per chiedere quanto la banca sia solida non ci
porterà necessariamente a una risposta soddisfacente.
In effetti, quale banca andrebbe mai a dire a dei potenziali clienti
di non esserlo? Ci sono comunque delle classifiche che ogni tanto
vengono fuori e ci aiutano a capire. Per esempio quella di una rivista
italiana, «BancaFinanza», che classifica le banche proprio in base
39
alla loro solidità. Altre classifiche che si possono trovare online sono
parziali (solo banche quotate) o hanno il difetto di considerare per
principio meno solide le banche più piccole.
Abbiamo già visto che il modo in cui le banche impiegano i nostri
soldi fa la differenza. La seconda domanda che ci porremo, dunque,
è: «Che cosa farà con i miei soldi la banca che voglio scegliere?». Per
scoprirlo, potremmo recarci presso una filiale e chiedere di investire
nel settore delle mine anti-uomo, per vedere cosa rispondono.
Purtroppo, non è detto che questo trucco funzioni. Le banche, infatti,
non sono reticenti solo con noi nel rivelare come impiegano i soldi a
loro affidati, ma anche con i propri impiegati.
Qualora volessimo decidere usando criteri negativi – evitando per
esempio le «banche armate» –, possiamo attuare una prima
scrematura consultando la relazione del Consiglio dei ministri sugli
istituti di credito che hanno maggiormente finanziato il commercio
delle armi. La si trova sul sito banchearmate.it ed è un frutto della
legge 185/90, quella sul commercio delle armi. Per quanto riguarda i
finanziamenti diretti alla produzione di armi, invece, non esistono
purtroppo dati pubblici, ma si trovano rapporti internazionali (per
esempio Don’t Bank on the Bomb, facile da rintracciare sul web).
Se, invece, volessimo prendere la nostra decisione usando criteri
positivi – per esempio il territorio nel quale vengono investiti i soldi
o il settore di intervento –, abbiamo buone ragioni per aspettarci che
un ente come Bancoposta, che è vincolato a trasferire i depositi alla
Cassa depositi e prestiti, finanzierà gli enti locali e le grandi opere (è
uno dei compiti della cassa che è controllata dallo Stato). O ancora,
che le banche di credito cooperativo investiranno nell’economia
locale, come da normativa. Sulle altre banche, a oggi, sappiamo
molto poco: il rapporto tra risparmio raccolto e crediti in essere (cioè
erogati e da riavere) ci dà un’idea di quanto siano efficienti
nell’esercitare la loro funzione sociale, ossia, un po’
grossolanamente, se i soldi che entrano dai risparmiatori generano
prestiti oppure no. Tale rapporto dovrebbe essere minore dell’80 per
cento, per garantire la liquidità e l’equilibrio finanziario, e maggiore
del 50 per cento.
È ragionevole ritenere che l’attuale cronica modalità di non
trasparenza sia destinata a cambiare e che le banche, in futuro,
saranno più stimolate a dirci che settori finanziano. Un’eccezione di
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trasparenza – e qui sono di parte, ma anche oggettivo – è Banca
Etica, l’unico istituto di credito che attualmente rende consultabili
sul proprio sito tutti i finanziamenti erogati alle persone giuridiche.
Esistono in altri paesi delle classifiche per capire come si
comportano da un punto di vista etico le banche, redatte in base ai
comportamenti ambientali e sociali: per esempio quelle di fair
finance.
Da ultimo, nel valutare a quale banca affidarci, dobbiamo tenere
in considerazione i servizi che ci offre – per esempio, ha un sistema
di internet banking? – e quanto ci costa. Qui è necessario capire
anche quali sono i nostri bisogni. Uno studente, per esempio, non
avrà probabilmente necessità di fare centinaia di operazioni al mese.
Sulla valutazione dei servizi e dei costi, comunque, non mi
dilungherò, perché sono proprio gli aspetti su cui si trovano più
informazioni, anche grazie al lavoro delle associazioni di
consumatori. Questa attenzione, se da un certo punto di vista è
indubbiamente positiva, dall’altro rischia di ridurre la scelta della
banca alla ricerca del conto corrente che costa di meno. Un aspetto
sicuramente importante, ma che deve essere a mio avviso ponderato
anche con quanto abbiamo detto prima, per dare un senso ai nostri
risparmi.
Il conto corrente
Ma depositare soldi in banca significa avere un libretto di
risparmio con una riga scritta per ogni deposito effettuato?
Una volta, forse… Oggi è tutto sul computer e ci sono i conti
deposito, vale a dire una modalità per tenere del risparmio fermo in
banca. In pratica un contratto scritto tra cliente e banca a seguito del
versamento, da parte del primo, di denaro nelle casse della seconda.
La banca si impegna a restituirlo, con diverse modalità, e a
corrispondere un interesse. Se ci si vincola a non riprendere i soldi
per un periodo di tempo prestabilito (da alcuni mesi ad alcuni anni),
gli interessi possono essere più alti. Ma un conto deposito è uno
strumento abbastanza rigido: per esempio è complicato usarlo per
pagare qualcuno o ricevere un pagamento. In compenso dovrebbe
costare molto poco.
41
E se ci voglio ricevere lo stipendio?
Allora ci vuole il conto corrente. È un servizio finanziario che
consente di custodire i nostri risparmi, ricevere soldi ed effettuare
pagamenti in modo semplice. Anche qui esiste un contratto tra banca
e cliente, per cui la banca si obbliga a pagamenti e riscossioni per
conto del correntista, il quale, a sua volta, può disporre delle somme
esistenti nel conto dando ordini di pagamento alla banca. L’Iban,
identificativo internazionale del nostro numero di conto, è un po’
come un codice fiscale economico: ci consente di ricevere e mandare
denaro in modo semplice da qualunque paese dell’Unione europea e
del mondo.
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ce ne basta uno semplificato. In media, comunque, il costo di un
conto corrente con svariate funzionalità è compreso fra gli 80 e i 120
euro l’anno, ma una carta conto può costare anche solo 12 euro.
Gli investimenti
Se metto sotto il vicino insopportabile posso dire di aver fatto un
buon investimento?
No, a meno che non voglia andare in galera e risparmiare sulle
spese quotidiane per un bel po’.
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Un buon investimento in finanza è quando si mettono soldi in
un’attività potenzialmente rischiosa e… incredibilmente va tutto
bene e si guadagna. Ma andiamo con ordine.
Quando abbiamo dei soldi che ci avanzano possiamo decidere di
risparmiarli in senso stretto, quindi di tenerli da parte per il futuro
correndo il minor rischio possibile, oppure di investirli. In questo
secondo caso ci apriamo alla possibilità di ottenere dei rendimenti,
ma anche a un rischio. Una buona gestione finanziaria è mirata a
evitare o ad attenuare i problemi, più che a conseguire risultati
straordinari. Questi, infatti, si rivelano spesso aleatori, mentre la
possibilità di incorrere in guai seri risulta reale e frequente.
Nel decidere come investire i propri soldi, una prima cosa da fare
è valutare quanto si è disposti a rischiare, così da indirizzarci verso le
attività che hanno un rischio compatibile con le nostre esigenze.
C’è poi una regola d’oro, che viene insegnata presso la London
School of Economics: non mettere mai tutte le uova nello stesso
paniere. Mia nonna – pur non avendo studiato a Londra – conosceva
bene questa regola, sapeva che se ti cade il paniere in cui hai messo
tutte le tue uova puoi dire loro addio. Questa regola è più spesso
conosciuta nel mondo della finanza con la parola «diversificazione».
Diversificare i propri investimenti vuol dire appunto stare attenti a
non metterli tutti nella stessa attività, e invece suddividerli fra
opportunità diverse. Questa non è certo una garanzia totale,
potremmo ancora rompere qualche uovo, ma nel mondo della
finanza, diversificando bene, potremmo perdere un po’ da una parte
e guadagnare un po’ dall’altra, e questo abbassa il rischio.
Quando ci rechiamo presso un istituto per investire, dunque, non
facciamoci mai convincere a riversare tutto quello che abbiamo in un
solo tipo di titoli – come le azioni della Cirio o della Parmalat, per
fare il nome di quelle che qualche anno fa hanno messo alcune
persone in difficoltà –, e nemmeno a impegnare tutti i risparmi, ma
proprio tutti, nelle azioni della banca in cui siamo entrati (to’, che
caso, sono le migliori del mondo!).
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capitale limitato e un reddito in linea con le proprie esigenze, è
buona norma scegliere quegli investimenti che hanno un rischio
ridotto.
Tenuto conto dei rischi, investire è un atto positivo: aiuta a far
girare l’economia, soprattutto se si tratta di investimenti
nell’economia reale e produttiva. Le decisioni finanziarie che
prendiamo, infatti, oltre ad avere un impatto sulla nostra vita, ne
hanno anche su coloro che ci circondano. Possono contribuire a
produrre ingiustizia, guerra e fame, oppure veicolare dei valori e
costruire delle storie positive.
Titoli finanziari
Un titolo finanziario immagino non sia un’onorificenza o un epiteto
tipo «gran barone della finanza» o «azzeccagarbugli finanziario»…
No, «titolo» indica genericamente uno strumento finanziario che
si può comprare o vendere, ma anche prendere in prestito o
noleggiare, come fosse una merce.
I titoli finanziari tecnicamente sono detti «titoli di massa» e
possono essere di diverso tipo, principalmente azioni, obbligazioni e
certificati di titolarità di un veicolo di investimento. Anche se oggi si
usano meno, perfino le cambiali finanziarie possono essere
considerate un titolo finanziario di massa.
Un tempo i titoli erano cartacei e si potevano perfino scambiare. A
oggi, invece, sono dematerializzati. Questa parola non ci deve
spaventare (non equivale a «volatilizzati»): significa solo che non è
necessario stamparli su carta, ma possono essere registrati su
supporti elettronici con procedure sicure e antifrode.
Siccome, però, una volta un titolo era sempre di carta, un insieme
di titoli finanziari si chiama «portafoglio finanziario».
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è vuoto, perché un portafoglio finanziario non è di pelle, di stoffa o
cartone pressato (come il suo), ma è un deposito titoli gestito da una
banca speciale (banca depositaria) che si fa pagare per il servizio.
Le obbligazioni
Se mi obbligano a far qualcosa non sono contento, ma se
l’obbligazione è un titolo finanziario, allora, chi viene obbligato
dall’obbligazione?
Le obbligazioni sono prestiti che noi possiamo concedere a chi le
emette. A volte uno dice «ho comprato un’obbligazione», ma in
realtà non ha comprato qualcosa, ha fatto da banca. Di fatto siamo
noi che prestiamo soldi all’impresa o allo Stato che ha emesso (e
venduto) l’obbligazione.
L’obbligazione, dunque, si chiama così perché chi la emette si
obbliga a restituirci i soldi, con un tasso di interesse fisso o variabile.
Può renderci quanto gli abbiamo dato in una volta sola alla fine del
periodo di tempo prestabilito, oppure ci può dare delle cedole: cioè
ogni anno ci restituirà un pezzettino di quello che ci deve.
46
mercato si trovano anche obbligazioni decennali, ma sono per
investitori esperti.
Per gli anni di durata dell’obbligazione, l’investitore (cioè noi)
dovrebbe fare in modo di non avere bisogno dei soldi prestati, perché
chiedere una restituzione anticipata non è mai un’operazione molto
conveniente, ci si smenano soldi e si trovano difficoltà.
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Non solo: comprando delle obbligazioni bancarie a vocazione
ambientale (o anche sociale) possiamo attivare un effetto
moltiplicatore…
LE OBBLIGAZIONI BANCARIE
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guarda alle statistiche della Banca d’Italia dopo le vicende che sono
successe nella provincia di Arezzo e non solo, se ne vedono molte di
meno in giro.
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vengono emessi dal ministero dell’Economia e delle finanze (tramite
il dipartimento del Tesoro) e – come forse già si può intuire – le cose
cambiano un po’ rispetto a quando a emetterli è una società.
Le tipiche obbligazioni dello Stato sono i Bot, Buoni ordinari del
tesoro, che durano dai tre ai dodici mesi, i Ctz, Certificati del tesoro
zero coupon (che non danno cedole: si comprano a un valore
inferiore di quello a cui saranno rimborsati), che durano
ventiquattro mesi, poi ci sono i Btp, Buoni del tesoro poliennali che
tipicamente hanno scadenze fra i tre e i trent’anni, e i Cct, Certificati
di credito del tesoro, che durano sette anni.
I titoli di stato hanno vari pregi. I livelli di rischio, per esempio,
sono tendenzialmente più bassi rispetto a quelli di altre obbligazioni
emesse da società private. C’è inoltre un buon livello di trasparenza:
è facile andare a vedere come uno stato usa i soldi che gli vengono
prestati, valutando con un buon livello di chiarezza gli aspetti sociali
e ambientali. Possiamo, per esempio, controllare se lo stato che ha
emesso titoli prevede la pena di morte. O se dedica una buona fetta
della propria spesa al welfare, quindi sanità, pensioni, istruzione.
Quindi si può dire che, comprando i titoli di stato, una quota dell’1,3
per cento del nostro finanziamento va anche alle spese militari?
Scusi sa, ma, come uno studentello, godo a fare capire che ho
capito…
Quasi giusto. Nel senso che, ammesso che lo Stato si finanzi solo
con i titoli o comunque che il debito si spalmi in modo proporzionale
su tutta la spesa, stiamo parlando dell’1,3 per cento del Pil, non delle
spese complessive dello Stato. Ma queste sono inferiori al Pil
(grossolanamente la metà). Quindi il ragionamento torna.
Se dunque la nostra soglia di tolleranza alle spese militari fosse
50
dell’1 per cento, saremmo sopra tale soglia e di conseguenza non
dovremmo comprare i titoli di stato. In tal caso forse sarebbe
ragionevole fare anche l’obiezione di coscienza alle spese militari…
Mi sta dicendo che si possono pagare meno tasse con la scusa della
pace?
Decisamente no. Si tratta di obiezione di coscienza: non si paga
per protesta la quota delle tasse che viene usata per le spese militari
e ci si autodenuncia per averlo fatto in modo che lo Stato ci pignori
(ci prenda qualcosa di nostro) e usando ogni occasione per far
conoscere le nostre ragioni. In conclusione, si finisce per pagare due
volte le tasse, altro che pagarne meno…
Ma immaginando di non essere così radicali, comunque non
scordiamoci che soprattutto si finanzia in ordine di spesa: sanità,
politiche del lavoro, istruzione, università e ricerca, sostegno alla
previdenza, diritti sociali, ordine pubblico, e quindi la difesa (che
comprende le spese militari); e poi il resto, dai trasporti alle
infrastrutture… Insomma tutto quello che fa lo Stato.
Se prendiamo la Legge bilancio 2020, il conto è di quasi 900
miliardi.
Tolti il debito in scadenza da rimborsare (232 miliardi!) e gli
interessi da pagare su tutto il debito (64,7 miliardi su circa 2300 di
debito), restano circa 600 miliardi.
È immediato capire quanto pesi il debito! Gli interessi ci costano
quasi quanto le spese per la tutela dei livelli essenziali di assistenza,
cioè la sanità (77 miliardi!). Questo ci dà un’idea di quanto pesi quel
fardello e del perché un cambiamento dei tassi di interesse che
paghiamo sia un problema veramente importante per il nostro
paese.
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trasforma facilmente in un effetto valanga.
Con l’aumento del rischio, infatti, molti vorranno vendere i propri
titoli o chiederanno un tasso di interesse più alto. Un’esperienza che
tocchiamo con mano quando vediamo come due diversi stati, con
una diversa stabilità, offrono interessi diversi rispetto a titoli aventi
la stessa formulazione e durata.
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hanno paura che salga troppo, in particolar modo i creditori
internazionali dell’Italia.
Quella che non ha molto senso, invece, è la variazione giornaliera
dello spread, che in realtà amplifica le possibili volatilità (i
cambiamenti repentini) del mercato.
Se lo spread aumenta da un giorno all’altro non vuole per forza
dire che l’Italia dovrà pagare più interessi fin da subito. Solo nel
momento in cui lo Stato si troverà di fronte alla necessità di emettere
nuovi titoli dovrà fare i conti con lo spread e con l’alto rendimento da
corrispondere.
Per Banca Etica, a cui piace dividere il mondo fra bene e male,
possiamo dire che mercato primario è bene e mercato secondario è
male?
Be’, insomma, no, andrebbe bene anche il mercato secondario. Il
fatto è che fa girare moltissimo denaro, circa 70 miliardi al mese, più
o meno 3 miliardi al giorno di titoli di stato che vengono scambiati. Il
problema, però, è che se vado a vedere cosa succede ora per ora o nei
prossimi venti minuti, in realtà i titoli venduti si misurano in milioni
e non in miliardi. Con poche centinaia di milioni di euro, ammesso
che uno li abbia, si può fare leva e cambiare lo spread italiano. I
cambiamenti repentini sono quindi dovuti alla speculazione che
cerca di innescare una variazione dello spread per guadagnarci
sopra. Con qualche centinaio di milioni si può alterare il destino di
53
un paese.
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«alleggeriscono» le banche comprando loro i titoli di stato e
detenendoli per un tempo definito. Questo aiuta gli stati – come
l’Italia – che potrebbero avere difficoltà a sostenere e rinnovare il
proprio debito pubblico, e le banche, stimolandole almeno in teoria a
fare più prestiti.
L’idea di base è che aumentando la loro liquidità queste avranno
più risorse per finanziare l’economia reale. Di fatto, almeno
inizialmente, questa cosa è successa abbastanza poco.
Lasciamo stare… Ma alla fine i soldi nuovi vengono usati per fare
crediti alle imprese o no?
Un po’ di più, dopo che la Bce ha messo in atto per tre volte (2014,
2016 e 2019) un ulteriore piano di rifinanziamento a lungo termine,
chiamato Tltro. In cui «ltro» sta per Longer-term refinancing
operations, mentre la t sta per Targeted, ossia «mirato». E il target
era in questo caso il finanziamento dell’economia reale, e cioè il
settore privato non finanziario. Se non prestati all’economia reale,
almeno in una certa quota, i soldi dati alle banche andavano infatti
restituiti in anticipo rispetto alle scadenze previste dal piano.
La verità è che sono argomenti molto difficili da maneggiare e
governare: è incredibile come un tema così fondamentale per le
nostre vite sia molto più complesso di quel che si pensa.
Le azioni
Cosa sono le azioni? A noi pigri è un termine che mette paura.
Le azioni in finanza non sono solo quelle del moto fisico che non
facciamo, esponendoci all’obesità. Sono le azioni societarie o in
55
genere i titoli che rappresentano capitale di rischio: piccoli pezzi di
proprietà di una società o di un’attività avente un valore economico.
Acquistandole, come già accennato, diventiamo proprietari della
società o dell’attività che le ha emesse, insieme a tutti coloro che
detengono le altre azioni. Questo, se da una parte ci apre alla
possibilità di percepire il dividendo e di prendere parte alle decisioni
della società, dall’altra ci fa partecipare anche al rischio
imprenditoriale: vale a dire che se le cose vanno male pagheremo le
perdite, limitatamente al capitale investito.
Dalle azioni è possibile guadagnare in due modi. Se la società
distribuisce in tutto o in parte il suo utile, gli azionisti ne
percepiranno una quota proporzionale all’ammontare delle azioni
possedute: il dividendo. Se il loro valore, invece, è in aumento,
rivendendole è possibile realizzare un guadagno dalla differenza fra
il prezzo iniziale di acquisto e quello successivo di vendita. Ci sono
poi alcune società che, per non far diminuire il valore delle proprie
azioni, distribuiscono dividendi anche quando le cose non vanno
benissimo. Un giochetto che si può fare, ma non per molto… alla fine
i nodi vengono al pettine.
Le società quotate in Borsa, poi, emettono azioni a loro volta
quotate.
56
guadagnarci.
57
detto mio cugino che ha un amico il cui cognato è amante di un tizio
che lavora nella società».
C’è tuttavia una cosa importante da dire sui piccoli azionisti: se
presi singolarmente valgono poco o niente, ma facendo fronte
comune possono mettere una tale pressione sulle società da
costringerle a cambiare le proprie politiche, diventando magari più
attente all’ambiente e ai diritti umani.
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Tendenzialmente, però, più a ci sono e meglio è. Se vediamo tante c
siamo presumibilmente di fronte a una fregatura.
Quando si valutano le obbligazioni governative emesse da uno
stato, si finisce per associare il giudizio sulle obbligazioni al giudizio
sullo stato stesso, nella complessità delle sue caratteristiche.
L’Italia, fra un debito pubblico alto e altri fattori, fatica per
esempio a rientrare fra i primi della classe. Anzi, se un’impresa ha
sede e lavora in Italia arriva perfino a essere penalizzata dal basso
rating nazionale, facendo un po’ più di fatica a trovare investitori
internazionali e dovendo dunque corrispondere degli interessi più
alti.
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combustibili fossili, o di alcuni stati, come quelli che applicano la
pena di morte o che ledono la dignità umana. Si cercano poi quelle
società e quegli stati che si caratterizzano per attività e pratiche
virtuose, applicando dunque dei criteri positivi.
Un fondo comune di investimento attento al clima, per esempio,
premierà in modo particolare quelle attività che adottano delle
politiche di sostenibilità ambientale, e chi lo acquisterà potrà far
crescere il proprio risparmio preservando al contempo il futuro del
nostro pianeta.
La scelta di mettere nel paniere dei titoli solo cose «belle» riduce
in un certo senso la diversificazione. Ciò nonostante, l’esperienza
empirica ha dimostrato che la finanza etica, pur differenziando di
meno, non accresce il rischio, complice anche un’attenta analisi dei
rischi ambientali e sociali. Certo, in finanza il passato non è di per sé
una garanzia per il futuro. Ed è per questo che la vigilanza da parte
di Consob (Commissione nazionale per le società e la Borsa, per le
società quotate) e di Banca d’Italia (per le banche e gli intermediari
finanziari) è quanto mai importante, soprattutto alla luce della
grande quantità di soldi che i fondi di investimento maneggiano,
appartenenti a tantissime persone diverse.
Chiedere un prestito
Prima di chiedere un prestito è opportuno interrogarci su quale uso
vogliamo fare del credito che eventualmente ci sarà concesso e
prendere consapevolezza di cosa esso comporti. Questo perché, se da
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una parte dobbiamo evitare di incasinarci la vita – e con i debiti ce la
si può incasinare tanto! –, dall’altra, per convincere qualcuno a
finanziarci, dobbiamo dimostrare di avere le idee piuttosto chiare.
Ecco, non ho capito questa cosa della garanzia. Non è che il mutuo
mi scade come lo yogurt? E se mi scade mi rendono i soldi? Temo di
no…
Mi dispiace informarla che la garanzia non gliela dà la banca. È lei
che, se vuole ricevere un prestito, dovrebbe offrire garanzie alla
banca. Per esempio, potrebbe portare una busta paga, dimostrando
così di avere uno stipendio capace di ripagare le rate, oppure un bene
ipotecabile o perfino la firma di qualche zio facoltoso.
Le banche amano le garanzie perché diminuiscono il rischio e
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fanno contenta «mamma Banca d’Italia». Anche se a volte si tende
un po’ a esagerare…
Qualora la banca decidesse di finanziarla, oltre al termine del
prestito andranno concordati le rate di restituzione e il tipo di tasso,
fisso o variabile. Finché la banca non riavrà indietro tutti i soldi che
le spettano, la garanzia non scade, a meno che essa non accetti una
postergazione.
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faranno. Infatti, mentre l’impiegato ti sorride chiedendoti
informazioni sul tuo prestito, nel frattempo sul computer cerca se sei
segnalato in una centrale rischi e vede subito se non hai pagato rate
di un prestito, o non hai proprio restituito un precedente prestito da
un’altra banca, o anche se sei protestato (nel senso che qualcuno
protesta pubblicamente perché non paghi le rate di qualcosa che hai
comprato… a rate).
Un’altra buona ragione per cui conviene essere veritieri è il fatto
che le banche maneggiano i soldi dei risparmiatori. Sono i loro soldi,
di fatto, quelli che ci vengono prestati. Fornendo un’informazione
completa si consente alla banca di tutelare sia noi sia i risparmiatori
e gli investitori che vi hanno riposto il proprio denaro.
63
casi accidentali. Tuttavia, andare allo sportello dicendo di avere uno
zio ricco serve pochino, fino a quando questi, se davvero esiste, non
metterà una firma.
Ecco, ammiccare di certo non basta.
Mutui
Il mutuo, a differenza dei prestiti personali, è un prestito grande
finalizzato ad acquistare una casa o comunque a una spesa
significativa.
Se c’è un’ipoteca (una garanzia) su un bene di valore, si chiama
mutuo ipotecario. Se la garanzia è data dalla generale situazione
economica e di patrimonio del richiedente si chiama mutuo
chirografario.
64
E perché si chiama chirografario? Non perché c’entra un
chiromante, spero. Sa, io sono un po’ scettico su quelle cose…
L’aggettivo «chirografario» ha la stessa origine della parola
«autografo». In senso generico si riferisce a ogni documento scritto e
firmato di propria mano. In finanza indica un documento scritto e
firmato e che costituisce prova di impegno qualora le cose non
vadano come dovrebbero. In pratica poi la banca, se chi ha firmato
non restituisce il debito, può rivalersi sui suoi beni.
Comunque, in generale, per i mutui alcune delle regole da seguire
sono un po’ le stesse che abbiamo già descritto.
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in vent’anni, anche qualora non mi applicassero nessun interesse
dovrei comunque restituire 500 euro al mese, mica poco. Se ci si
mette anche il tasso d’interesse, la rata sarà ancora più alta.
Insomma, bisogna pensarci bene.
Ma passiamo ora alla fatidica domanda: tasso fisso o tasso
variabile? Con il tasso fisso il vantaggio è che si sa sempre a quanto
ammonterà la rata per tutta la durata del prestito. Certo, non un
grande affare qualora i tassi dovessero scendere: in quel caso
dovremo comunque corrispondere il tasso di interesse concordato.
Il tasso variabile, invece, nel breve periodo tende a essere sempre
più basso, mentre nel lungo periodo non lo possiamo sapere. Quel
che è certo è che se i tassi di riferimento saliranno, salirà anche la
rata.
Una durata ragionevole per un mutuo si aggira attorno ai
vent’anni, anche se poi c’è chi ne fa di più lunghi (e se già su
vent’anni fare previsioni è difficile, aumentando la durata lo diventa
ancor di più).
66
autocostruzione, può esserlo ancora di più.
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I soldi che non danno la felicità
Molto bello, ma le ricordo che siamo nella sezione del libro in cui
dovrebbe parlarci male dei soldi e della finanza! Almeno qui ci
risparmi questo atteggiamento propositivo e tiri fuori un po’ di
spirito manicheo, una bella divisione fra bianco e nero.
Ecco, la verità è che queste divisioni nette rischiano di essere un
po’ forzate e discrezionali. Distinguere fra i soldi che danno la felicità
e quelli che proprio non la danno può aiutare a capirsi in termini
generali, ma nella pratica le cose si fanno più complesse e qualunque
operazione finanziaria, o uso dei soldi, può avere una qualche
giustificazione di utilità.
Molto spesso, però, anche se in via del tutto teorica, è difficile
separare nettamente il bianco dal nero, come lo chiama lei.
Pragmaticamente si possono evidenziare distorsioni rilevanti,
assurdità anche da un punto di vista della corretta allocazione delle
risorse da parte delle persone, degli operatori finanziari e della
finanza a livello globale.
Certo, se si mettono in fila le sanzioni della Sec (che controlla i
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mercati finanziari negli Usa, quella che in Italia è la Consob) e delle
altre autorità di vigilanza, vediamo che praticamente tutti i maggiori
operatori sono stati condannati a pagare miliardi di dollari per frodi,
truffe, manipolazione del mercato, riciclaggio del denaro (anche per
narcotraffico). Non è un buon indicatore.
Dunque, come nel resto del libro, proviamo a rispondere con
leggerezza.
Partiamo da quello che può succedere in banca, poi negli
investimenti e quindi nel mondo finanziario globale. Troveremo
operazioni finanziarie di dubbia utilità, pseudotruffe e truffe vere e
proprie, investimenti sbagliati e anche operazioni difficilmente
comprensibili alle persone comuni e quasi sicuramente dannose.
Indipendentemente da queste classificazioni o dai giudizi che ne
ricaveremo, troveremo poca felicità: se proprio va bene, solo per
pochi, e spesso soltanto quella di chi è riuscito a fare più soldi
fregando gli altri.
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credito, aiuta anche non gestire correttamente il rischio del credito.
Infatti, che una banca rischi a dare credito non solo non è sbagliato,
ma dovrebbe essere opportuno, a patto che essa stabilisca in modo
accurato se in base al suo patrimonio se lo può permettere. E quindi
la banca deve costituire continuamente un fondo accantonamento
rischi su crediti, per coprire le perdite. Attenzione: non via via che
avvengono, ma prima che si verifichino. Ogni singolo credito erogato
andrebbe valutato con una percentuale di dubbio esito.
Le banche armate
Oggi in Italia, come abbiamo già visto, l’unico settore del credito in
cui le banche sono obbligate alla trasparenza è quello dei prestiti
finalizzati al commercio delle armi, secondo la legge 185/90.
Purtroppo, la legge non dice nulla sui prestiti per la produzione di
armi, cioè i prestiti alle fabbriche.
Anche qui è lecito avere opinioni differenziate. Banca Etica non
sovvenziona nulla nel settore, ma alcune banche hanno per esempio
adottato una policy che definisce quali tipi di armi finanziano e quali
no, dando trasparenza anche quando sostengono la produzione e
non solo il commercio delle stesse. In pratica accettano le armi per le
forze di polizia ed escludono le armi offensive (un criterio un po’
aleatorio e che, quindi, deve essere definito nelle policy) e le armi
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controverse a livello internazionale (tipo nucleari o di distruzione).
Si tratta di un buon compromesso; la prima banca di dimensioni
importanti in Italia ad andare in questa direzione positiva è stata la
Banca popolare dell’Emilia-Romagna (Bper), anche grazie alle
interlocuzioni con Banca Etica.
Tecnicamente si può dire che Mani Tese si tirava la zappa sui piedi?
Decisamente. La campagna ebbe comunque successo, tanto da
vincere il premio Nobel per la pace del 1997. Mani Tese, infine, si
rese conto che non si può sfuggire alla responsabilità del denaro,
cambiò posizione e diventò una delle fondatrici di Banca Etica.
Questo per dire che si possono fare tante azioni positive, ma i
nostri soldi, se non li teniamo sott’occhio – quelli spesi come quelli
risparmiati –, potrebbero remare in direzione contraria ai nostri
sforzi quotidiani.
Per concludere, consiglio di cercare sul web un video, datato ma
geniale, di alcuni attivisti belgi che si sono inventati una campagna
di opinione simulando l’apertura e la relativa campagna pubblicitaria
di una banca armata (Ace Bank) con conferenze stampa, interviste,
dépliant e conseguente intervento della vigilanza, utilizzando il
clamore per far discutere della trasparenza nel settore bancario.
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Noi italiani siamo notoriamente poliglotti, ma il video in
fiammingo ci pare un po’ eccessivo…
C’è anche un po’ di francese e comunque ci sono i sottotitoli anche
in italiano. La cosa interessante è che a un certo punto qualcuno dice
alla nascente banca armata: «Be’, almeno voi siete onesti e dite
quello che fate».
Nella realtà, purtroppo, la trasparenza minima o inesistente sugli
investimenti in tutti i settori, non soltanto nelle armi, è una
caratteristica negativa del sistema finanziario.
Operazioni farlocche
In questi anni gli sportelli delle grandi banche hanno consigliato ai
cittadini di investire nei prodotti più svariati, non sempre pensando
all’interesse dei clienti, e a volte pensando solo al proprio ritorno
economico.
Una volta, quello bancario era un mestiere di grande reputazione:
in paese la gente si fidava del parroco, del maresciallo, del farmacista
e del direttore di banca. Oggi, purtroppo, non è più così, anche
perché il modo di fare banca è cambiato, mettendo l’interesse del
cliente in secondo piano rispetto a quello degli azionisti delle banche.
E gli impiegati, per portare a casa a fine mese l’incentivo di vendita,
possono essere tentati (e in alcuni casi perfino spinti) a trascurare la
tutela dei clienti privilegiando il proprio tornaconto personale e
cercando di vendere i prodotti sui quali vi sono più commissioni e
che il capo chiede loro di vendere.
Tra i prodotti che in questi anni hanno avuto incentivi
interessanti ci sono, per esempio, i diamanti. Un mercato
particolare, per esperti. Venduto come investimento alternativo nella
logica del bene rifugio come l’oro.
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quell’economia, e, se vogliamo parlar dei soldi che non danno
felicità, anche gli investimenti in immensi latifondi di terra fertile nei
paesi più poveri, soprattutto in Africa, comprati non per farci attività
produttive, ma appunto per assicurare un bene rifugio (la proprietà
della terra avrà sempre un valore) ai fondi speculativi. Si chiama
land grabbing.
73
accorto.
Nelle attività finanziarie globali, che ammontano a molte volte il
Pil mondiale.
Ho capito: il Pil non tiene conto di aspetti come la nonna che bada
ai nipoti, o del nonno che fa l’orto. Ora possiamo tornare a parlare
delle attività finanziarie globali. Che cosa sarebbero?
Analogamente al Pil, si possono calcolare le attività finanziarie
globali, considerando tutti gli scambi che avvengono (per esempio in
un anno) comprando e vendendo prodotti finanziari
(principalmente: titoli, derivati, valute).
Ebbene, la prima cosa sorprendente è che nonostante siano tutte
operazione fatte via computer, e quindi in teoria tracciabili, in realtà
non si riesce a calcolare in modo accurato questo indicatore, almeno
74
non come il Pil.
Ciò dipende da vari motivi: la poca trasparenza, gli standard di
misura differenti (si calcola il valore nozionale/contrattuale o quello
effettivamente scambiato) e il fatto che venga usato in mercati non
regolamentati di cui coloro che si occupano di statistiche non
tengono conto (che non a caso si chiamano mercati Otc, Over the
counter). Questo è tutt’altro che positivo, perché, se non sappiamo
misurare qualcosa, è praticamente certo che non sapremo
controllarlo.
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anche se continua a essere ignorata dai regolatori.
Cattive azioni
Vediamo meglio dove si trovano questi volumi finanziari incredibili e
partiamo dagli strumenti più semplici: titoli, azioni quotate e
obbligazioni governative.
Di fatto sono un caso particolare, perché sono quelle più
direttamente legate all’economia reale e anche più comprensibili.
Nel 2019 la capitalizzazione delle Borse mondiali ha superato il Pil
(come nel 1929, nel 2008 e nel 2017). In generale quando questo
succede non è un buon indicatore, ma siamo comunque in un ambito
elevato, ancora spiegabile. Meno spiegabile è il fatto che si continui a
investire nell’estrazione del petrolio o in prodotti nocivi, ma questo
dipende anche dal fatto che le regole sono fatte in modo tale che gli
effetti negativi non ricadono su chi investe, ma sulla collettività.
Abbastanza preoccupanti infine sono alcune operazioni che si
possono fare in campo azionario. Per esempio, il buy back o le
vendite allo scoperto.
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ben felice di darmeli perché gli sembra di guadagnar facile. Poi li
vendo immediatamente a 50 euro l’uno nel mercato accanto. Quando
il valore dei jeans scende a 40, ricompro cento jeans a un altro banco
e li restituisco al primo banco. Pagando un noleggio di 20 euro ho
guadagnato la differenza tra i due prezzi di vendita (5000-
4000=1000). È la vendita di ciò che non si ha, ma che si sa dove
trovare: un trucco ammesso in finanza.
BUY BACK
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finanziario».
CARTOLARIZZAZIONI
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trasformazione delle scadenze di fatto, rendendo liquidi investimenti
che singolarmente non lo sono e dando possibilità alle banche di fare
nuovi crediti.
79
dollari, yen, euro, sterline, taka bengalesi. È il cosiddetto Forex
(Foreign exchange market) e serve a determinare il giusto prezzo
reciproco delle varie valute: quando è lo Stato che fissa il tasso di
cambio, spesso succede poi che esista un florido cambio in nero,
ossia cambiavalute infrattati per strada a caccia di turisti.
Nonostante questa funzione di autoregolamentazione, il fatto che
abbia volumi annuali superiori almeno di sette volte al Pil mondiale
è un filino esagerato.
I DERIVATI
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finanziari il cui valore «deriva» da altri beni – valute, titoli e materie
prime –; infatti chi compra un derivato non possiede un titolo di
proprietà del bene sottostante. Sono più simili a un’assicurazione – è
così che sono nati –, ma per la gran parte ormai sono, di fatto, delle
scommesse sul futuro.
L’idea alla base è che se qualcuno, dovendo comprare qualcosa,
ha paura che il prezzo oscilli, paga una sorta di rata assicurativa. Se
succede un imprevisto, e per esempio il prezzo sale troppo, sarà
l’assicurazione a pagare. Un po’ come con l’Rc auto: se uno fa un
incidente c’è una franchigia, e al di sopra di quella paga
l’assicurazione. In modo simile, qualcuno che commercia grano e ha
paura che il suo costo sia destinato ad aumentare nei mesi a venire
può garantirsi attraverso i derivati un’assicurazione su questo
rischio. I derivati, tuttavia, consentono di fare una cosa che nella
modalità dell’Rc auto non è prevista. Per esempio, posso assicurarmi
sul fatto che la macchina di un tale Mario Rossi abbia un incidente, e
se Mario si schianta… io prendo il premio. I derivati speculativi, detti
anche «senza sottostante», sono sganciati dalla funzione di garanzia
che in teoria dovrebbero esercitare. Chiaramente, se posso
guadagnare da un incidente del povero Mario Rossi, mi auspicherò
che questa cosa avvenga e, se posso influire in modo tale da favorire
questo evento, lo farò.
Sarà bene controllare che Biggeri non abbia fatto un derivato sullo
schianto della mia utilitaria… Non vorrei mi avesse sabotato i freni.
Viste le alte possibilità di guadagno, i miliardari e i gestori dei loro
patrimoni sono spesso incentivati a giocare alle scommesse
finanziarie: puntando per esempio sul fallimento della Grecia,
dell’Italia o del settore immobiliare. E, ovviamente, si possono fare
derivati sulle cartolarizzazioni, aumentando a dismisura l’effetto leva
sia in positivo (i potenziali guadagni) sia in negativo.
Se quei signori vincono, fanno ancora più soldi, di cui nessuno di
noi beneficerà in alcun modo, anzi, saremo noi a pagarne le
conseguenze. Se perdono, si rischia una crisi finanziaria che dovrà
essere arginata anche con i soldi pubblici. Una trappola.
Pure il governo italiano, in passato, ha fatto dei derivati
sull’andamento dell’economia che inizialmente hanno aiutato i conti,
ma poi sono stati pagati cari e hanno «incasinato» i conti pubblici.
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Ma i derivati serviranno pure a qualcosa?
Certo che servono, nella loro funzione assicurativa, ma non se
usati per scommettere o speculare. Soprattutto non con il livello
fantasmagorico di volumi finanziari annuali raggiunto. È importante
capire che il mercato dei contratti derivati, come anche quello degli
scambi valutari, è un mercato a «somma zero»: non si crea ricchezza,
la sommatoria dei ricavi di chi guadagna e delle perdite di chi perde
fa zero.
Banche come la Barclays o la Deutsche Bank emettono un sacco di
derivati, di cui quasi la totalità sono senza sottostante, ovvero hanno
la sola funzione di scommesse.
Come Banca Etica ed Etica Sgr, al contrario, noi ci siamo
impegnati a non fare derivati che non abbiano la funzione di coprire
rischi reali. Praticamente non ne trattiamo se non per i rischi
valutari.
La finanza è veloce
La maggior parte dei volumi finanziari si gioca in terreni chiamati
High frequency trading (Hft), il mercato degli scambi ad alta
frequenza in cui computer velocissimi competono per ordini di
acquisto e vendita gestiti in automatico.
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prova a comprare un quantitativo importante di azioni in Borsa, l’Hft
si inserisce nell’ordine e non ti fa comprare quanto richiesto in
un’unica soluzione, ma solo una parte. Le azioni successive (come
per i biglietti del bagarinaggio) costeranno di più, perché il prezzo
del titolo nel frattempo è aumentato (to’, che caso).
Secondo i suoi sostenitori l’Hft aiuta il mercato perché uno
speculatore ad alta frequenza cercherebbe i titoli sottovalutati e
rivenderebbe quelli con un prezzo eccessivo. Da un lato fornirebbe
quindi liquidità alle contrattazioni, dall’altro aiuterebbe nella
formazione del prezzo. Questo discorso potrebbe avere senso se l’Hft
fosse residuale. In realtà ormai queste operazioni sono oltre il 50 per
cento del totale di quelle eseguite negli Usa, poco meno in Ue
(intorno al 40 per cento). Nel 2011 è stato posato un nuovo cavo
transoceanico tra New York e Londra. La velocità dei segnali del
nuovo cavo è di 6 millesimi di secondo inferiore rispetto ai 65 degli
altri cavi. Il costo è stato di 300 milioni di dollari, rapidamente
recuperati con le speculazioni.
Cosa non va, quindi? Tali operazioni generano instabilità e
maggiore volatilità, all’opposto di quanto dichiarato dai loro
sostenitori.
Per esempio, con il flash trading (che non è un supereroe, ma uno
scambio lampo) si generano via software variazioni di quotazione
attraverso enormi numeri di operazioni mandate in esecuzione e poi
annullate. Si approfitta quindi (spesso tramite operazioni con
derivati) di questi aumenti o cali istantanei di quotazione dovuti a
operazioni in realtà «fantasma», a volte inserite tra la partenza di un
ordine di acquisto (vero, istituzionale) da Londra e l’arrivo
dell’ordine a New York. L’acquisto farà salire leggermente la
quotazione istantanea finale, con guadagno del flash trader. Il
premio Nobel Paul Krugman ha scritto su «The New York Times» (il
13 aprile 2014) che con l’Hft «un sacco di soldi vanno in attività
speculative che sono privatamente profittevoli ma socialmente
improduttive. […] In breve, stiamo dando somme enormi al sistema
finanziario mentre ne riceviamo poco o nulla – forse meno di nulla –
in ritorno».
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Sono preoccupato… Le cattive azioni possibili sono moltissime.
Non è finita qui. Ci sarebbero anche molte altre azioni
preoccupanti, perché in finanza ci sono sempre nuove frontiere.
Oltre al già citato land grabbing, esistono le dark pools (ossia gli
stagni neri) in cui si fa compravendita di azioni fuori dai mercati
regolamentati: in tal modo alcuni attori hanno informazioni diverse,
si perde la «simmetria informativa» del libero mercato. Esiste uno
shadow banking system, o sistema bancario ombra, in cui si fa
intermediazione finanziaria direttamente tra privati senza il
controllo delle attività di vigilanza. Ci sono anche le opzioni binarie,
che sono scommesse a brevissimo termine (minuti) su oscillazioni
del valore delle azioni. E le Etc (Exchange-traded commodities),
fondi «passivi» che investono ipotizzando i movimenti di prezzo dei
beni alimentari o delle materie prime. Per non parlare dei fondi che
speculano sulle più svariate attività o dei cosiddetti «fondi
avvoltoio», che prendono il controllo di aziende sane e le spolpano
lasciandole in stato fallimentare.
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perderanno la stessa cifra.
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IL FAI DA TE
LE CRIPTOVALUTE
Un po’ criptico…
Effettivamente un po’ criptiche lo sono, anche perché vengono
create e gestite a livello informatico, senza alcun bisogno di passare
dalle banche centrali; un aspetto, questo, che le rende affascinanti in
un momento storico in cui c’è una crescente diffidenza verso le
autorità di riferimento. Personalmente, non sono sicuro che sia un
bene essere indipendenti dalle autorità di controllo.
Per mantenere alto il valore delle criptovalute si pone un limite
alla loro creazione.
La tecnologia blockchain usata per creare le criptovalute
funziona, per usare una metafora, come la catena di una bicicletta. A
ogni transazione si aggiunge un pezzettino (di codice informatico)
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che resta agganciato saldamente alla catena, con il risultato di
rendere tracciabile il percorso e dunque certificabile ogni scambio
avvenuto tra gli utenti. Nel futuro prossimo questa tecnologia verrà
applicata in tanti nuovi campi, consentendoci, per esempio, di fare a
meno dei notai per stipulare mutui. O dell’anagrafe. A oggi,
comunque, una delle applicazioni più popolari è proprio la creazione
di queste criptovalute.
Negli ultimi anni, di monete virtuali del genere ne sono state
costruite oltre 1500, una delle quali è stata perfino battezzata con il
nome del più classico schema per fregare soldi – lo schema Ponzi –,
da cui il nome «ponzicoin». Uno scherzo che è riuscito a raccogliere
ben 90.000 dollari, provando forse che di fronte alla promessa di
fare soldi in modo facile finiamo per essere un po’ creduloni e poco
cauti.
La più famosa criptovaluta si chiama «bitcoin», dove in inglese
coin è moneta e bit è l’unita di informazione dei computer.
Le criptovalute sono uno strumento che, se da una parte ha degli
aspetti interessanti, dall’altra è anche controverso. Il fatto che le
transazioni siano anonime e prive di controlli, per esempio, fa sì che
esse si prestino bene a usi illeciti (quindi evasione di tasse,
riciclaggio di denaro sporco eccetera). Un altro aspetto negativo di
questo strumento è che a oggi viene usato perlopiù a fini speculativi.
Dietro, dunque, non c’è una reale creazione di valore, ma una specie
di gioco d’azzardo. Non possiamo poi ignorare l’impatto ambientale,
perché per «estrarre» bitcoin si usano milioni di pc: si pensi che nel
2017 la produzione di questa valuta immateriale ha consumato la
stessa quantità di energia adoperata nell’intera Tunisia!
Vi sono, però, aspetti positivi che magari saranno utili in futuro. Il
primo è dato dalle potenzialità della tecnologia blockchain, ma è
anche interessante che, rispetto alle correnti idee sul denaro, le
criptovalute reintroducano il concetto di limite alla produzione di
valuta mediante un blocco informatico che ne interrompe la
continua creazione (è per questo che aumentano di prezzo per come
sono gestite oggi). Un’idea che andrebbe recuperata anche per la
creazione di moneta commerciale, magari legando questo vincolo ai
limiti ecologici.
Altro aspetto interessante è che sarebbe possibile tenere memoria
dei vari passaggi di denaro, non solo consentendone la tracciabilità,
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ma perfino di scrivere una storia di quello che hanno prodotto.
Bello, ma forse anche un po’ inquietante: non voglio quel bitcoin lì,
ci hanno comprato armi due anni fa, per favore mi dia quell’altro.
Tra gli aspetti negativi abbiamo visto che la limitazione alla
creazione può essere ottenuta con necessità di calcolo sempre
maggiori (mining), il che rende il costo energetico insostenibile.
Ma soprattutto finora le criptovalute sono state usate per fini
puramente speculativi, per sfruttare la loro opacità a fini di
riciclaggio, per transazioni illegali.
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scorrette, devono comunque essere salvate, in quanto sistemiche,
indispensabili. Ovvio che non possano essere punite efficacemente,
neanche a fronte di comportamenti illeciti.
Ma soprattutto, il mercato finanziario globale non è un libero
mercato.
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finanza è cambiato, assumendo il volto con cui oggi la conosciamo.
A essere critica non è solo l’ampiezza del settore finanziario, ma
l’influenza che questo esercita sul comportamento dell’intera
economia, fatta di persone e del frutto del loro lavoro.
«Da un grande potere derivano grandi responsabilità!»
sentenziava lo zio di Spider-Man. Ecco, questo sembra non valere
per la finanza, che, pur esercitando un grande impatto sulla società e
sulle nostre vite, individuali e collettive, ne rimane sempre a una
certa distanza quando si tratta di assumersi delle responsabilità.
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I PARADISI FISCALI
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concorrenza sleale tra le imprese multinazionali e quelle locali.
FINANZA E MAFIA
Pare che la nota frase pecunia non olet sia stata pronunciata
dall’imperatore Vespasiano, che introdusse una tassa sugli orinatoi.
Di fronte alle rimostranze del figlio, a cui la cosa forse sembrava
inopportuna, prese una manciata di monete e gliele fece annusare.
«Questi sono i soldi delle tasse! Puzzano? No.»
I soldi hanno meno memoria di un pesce rosso, non ricordano la
penultima volta che sono passati di mano. In questo senso non
hanno storia, non hanno responsabilità e non possono avere colpe.
La facilità con cui i capitali si spostano nel mondo, oltre al fatto
che non hanno memoria, non ha uguali rispetto ad altri servizi, beni
o persone. I numeri di passaggi, anche giornalieri, che si possono
fare sono altissimi. Inoltre la finanza è per sua natura riservata e se
vuole può diventare opaca, legata solo all’aumento dei volumi
monetari e non certo alle storie che produce. Infine oggi essa è il vero
motore della globalizzazione e dell’economia mondiale.
È logico, quindi, che la criminalità, che ha un sacco di soldi, sia
interessata all’ambito in cui al giorno d’oggi si realizza il massimo del
potere e della ricchezza. La finanza internazionale, dunque,
garantisce potere, riservatezza, possibilità di enormi guadagni,
sostegno dagli Stati. Una situazione ideale per gli interessi
dell’economia criminale.
Com’è stato ben messo in evidenza dalla commissione Antimafia,
esiste una vera e propria strategia della sommersione da parte delle
organizzazioni criminali. Alla luce di queste caratteristiche in
comune, la finanza – così inodore – non può che essere
strutturalmente una buona alleata della criminalità. Non che lo sia
per sua volontà, ma viste le sue caratteristiche è lo strumento ideale
92
attraverso il quale mettere in circolo e «ripulire» i proventi delle
attività delinquenziali.
Nella consapevolezza di questo legame, esistono varie normative e
attenzioni antiriciclaggio. Quando le banche fanno firmare un sacco
di fogli, in realtà, si accertano dell’identità di chi ha il conto e cercano
di capire se ci sono spostamenti di denaro sospetti. Alla base,
dunque, non c’è tanto un atteggiamento burocratico inquisitorio
quanto un’attenzione a contrastare questo tipo di fenomeni. In Italia
vengono fatte annualmente attorno a 100.000 denunce all’Unità
d’informazione finanziaria (Uif), la sezione della nostra banca
centrale che si occupa delle segnalazioni sui movimenti di denaro
sospetti. Di queste solo mille riguardano il tema del terrorismo,
mentre le altre coinvolgono più spesso la corruzione, il riciclaggio di
denaro o le attività criminose e potenzialmente mafiose. Certo, non
tutte queste segnalazioni hanno dietro un reato, ma il numero rende
l’idea. Sempre per contrastare il riciclaggio sono state varate una
serie di leggi che consentono di sequestrare i beni acquisiti
attraverso attività illecite – si parla di confische allargate, quindi
riguardano anche i patrimoni dei congiunti – e di «restituirli» alla
società. Si parla di ville, terreni agricoli e aziende che secondo la
legge devono essere assegnati a imprese sociali, affinché li utilizzino
nell’interesse comune.
93
per l’1-2 per cento ai lavoratori. E nel mondo in generale i salari non
sono cresciuti, pur crescendo la ricchezza complessiva.
«Se tutti si sedessero sulla propria ricchezza sotto forma di una
pila di banconote da 100 dollari, la maggior parte dell’umanità
sarebbe seduta al suolo. Una persona della classe media di un paese
ricco si siederebbe all’altezza di una sedia. I due uomini più ricchi del
mondo sarebbero seduti nello spazio» si trova scritto nel rapporto
Avere cura di noi rilasciato da Oxfam nel 2020.
Mentre la ricchezza nel mondo, anche a seguito della crisi del
2008, ha continuato ad aumentare, allo stesso modo, sia
globalmente sia nei singoli paesi, le disuguaglianze – nel reddito, nei
consumi, nell’accesso alle cure, nell’istruzione e nella speranza di
vita – sono sempre più profonde.
Gli economisti sanno che l’idea di abolire del tutto le
disuguaglianze è velleitaria, ma delle disparità eccessive provocano
stagnazione economica e rendono il conflitto sociale insostenibile.
Sono sessant’anni che si parla della necessità di ridurle anche
favorendo l’aiuto pubblico allo sviluppo (nella misura dello 0,7 per
cento del Pil). Non è stato mai fatto seriamente.
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OROSCOPO FINANZIARIO
95
I soldi che danno la felicità
Però se devo scegliere tra tanti e pochi soldi, direi meglio tanti…
Perché, è una scelta che capita di fare? Cioè arriva qualcuno, il
gestore del contatore che trasforma tempo in denaro, e ci chiede se
ne vogliamo poco o tanto? Così, in cambio di niente?
Quindi non confondiamoci, i soldi – se arrivano – arrivano a
seguito di tempo dedicato a ottenerli: sono il nostro tempo
trasformato in moneta, cosa che tendiamo a dimenticare.
Di mezzo ci sono le nostre scelte individuali, certo, ma anche la
lotteria della vita.
Per la maggior parte di noi guadagnare vuol dire spendere tempo,
e cioè vita. C’è chi ha la fortuna di fare un lavoro che gli piace o che
viene retribuito particolarmente bene. Per chi, invece, trasforma il
proprio tempo in denaro soffrendo, annoiandosi o maledicendo ogni
minuto che passa, il denaro ha un costo altissimo!
Nonostante le forti disuguaglianze che vive la nostra società, vale
96
sempre ciò che abbiamo descritto all’inizio del libro: a fare la
differenza non è quanti soldi abbiamo, ma il modo in cui li
spendiamo e risparmiamo, quanto tempo dedichiamo a quello che
per noi ha valore e come tutto questo impatta sulle persone che ci
stanno più o meno vicino.
Quindi, forse è meglio cambiare punto di vista, lavorare e
spendere «quanto basta», misurare i soldi non in base al «quanto»
ma al «come» e al «cosa». Cosa possono produrre, cosa generano,
che relazioni nutrono… avremmo delle sorprese.
97
inferno!
Secondo lei, papa Francesco vuole dire questa cosa ai suoi o a tutti
noi?
A tutti noi. Ed è il frutto di un percorso cominciato da tempo.
I documenti di rilievo più recenti sono stati le encicliche Caritas
in veritate di Benedetto XVI, con il ragionamento sulla
responsabilità morale indiretta, e Laudato si’ di Francesco, che
affronta di petto le questioni economiche esortandoci a essere
efficienti nel misurare gli impatti sociali e ambientali. Indicando,
quindi, che oggi non lo siamo perché consideriamo l’efficienza solo
una questione economica. La Laudato si’ ha avuto eco anche in
ambienti non cattolici: soprattutto per aver affrontato i temi
ambientali e sociali con un taglio economico.
98
grande versabilità – si può, cioè, trasformare in quello che
preferiamo avere –, apre delle potenzialità più semplici e più libere
per fare solidarietà. Per esempio, oggi è possibile donare a persone
che non si conoscono, o per una causa che ci sta a cuore, ma che non
ci impegna in prima persona. È più facile lasciare la responsabilità di
usare bene il dono a chi lo riceve con un atteggiamento (tipicamente
anglosassone e poco latino, in realtà) di liberazione dalle
responsabilità, perché ognuno si assume le proprie. Io posso elargire
una donazione perché ritengo mia responsabilità farla e perché me lo
posso permettere, ma non interferisco su come verrà usata perché lì
inizia la responsabilità esclusiva di chi ha ricevuto il dono.
99
considerare «lavoro», ma senza i quali la nostra società e la nostra
specie andrebbero in malora, lo scrittore Ivan Illich aveva coniato
l’espressione «lavoro ombra».
Fare un dono ai propri figli non richiede uno slancio così grande…
In linea di massima, è più facile essere generosi con i nostri cari e
con le persone vicine. Spesso, tuttavia, lo siamo anche con gli
sconosciuti, sovvenzionando le cause e le associazioni in cui
crediamo e che vogliamo sostenere.
I doni contengono al proprio interno un valore non monetizzabile,
che non può essere semplificato e svilito ai dati che misurano
l’influenza del periodo di Natale sul Pil del paese.
100
mondo del dono che è Gesù stesso.
Infatti, non risulta che dopo i Magi la sacra famiglia si sia spostata
in un albergo di lusso, o che in seguito Giuseppe abbia aperto
un’impresa di falegnameria su larga scala, o che abbiano poi vissuto
negli agi. La loro vita, nonostante i Magi, è restata semplice: il dono
dei Magi muove un popolo, produce ricchezza sociale, cambiamenti
della storia, ma non produce ricchezza monetizzabile.
101
soldi?
Ha toccato un punto interessante. Pare che oggi sia quasi illegale
regalare dei soldi perché uno pensa sempre che ci sia un pagamento
in nero, una corruzione, un qualcosa di losco. Comunque è possibile,
anche se non così facile, soprattutto se si superano certe cifre e se si
regalano, per esempio, a delle persone e non a delle onlus o ad altri
tipi di organizzazioni.
102
quanto si era proposto.
103
Se l’importo e il periodo di tempo sono maggiori rispetto a una
comune raccolta si parla di civic crowdfunding. È adatto a pubbliche
amministrazioni, istituzioni, grandi organizzazioni o reti associative
della società civile e si realizza per grandi iniziative. Abbiamo avuto
diverse esperienze di questo tipo, ma la più significativa è stata con
Mediterranea e la nave Mare Jonio, che hanno raccolto oltre un
milione di euro.
104
regolata da un contratto finanziario, altrimenti è un’ipotesi, una
speranza. Che però ci è entrata in testa come fosse realtà. Un po’
come se, passando dai soldi alle uova, una persona volesse
convincerci a vendere un uovo al valore che potrebbe avere quando,
con il passare del tempo, si schiuderà e diventerà un pollo. Provi ad
andare al mercato a farlo e vediamo quanti ne vende…
105
dedica a chiedere agli altri un dono. C’è qualcosa di passionale, di
profondo. C’entrano la solidarietà, la speranza di un futuro migliore,
la compartecipazione.
Quindi donare ha a che fare con tutto questo, che lo si faccia con i
soldi o in un’altra modalità.
106
livello locale tra persone che si conoscono (per esempio, lungo la
filiera che porta un prodotto alimentare dal campo alla tavola),
difficilmente si hanno prodotti scadenti o dannosi, come spesso si è
verificato negli ultimi anni con i tanti scandali in campo alimentare.
Ma all’allungarsi delle filiere produttive non dovrebbe corrispondere
la diluizione della responsabilità, fino ad arrivare appunto
all’irresponsabilità.
Le domande di responsabilità sulle filiere produttive, anche
quando sembrano non aver risposta, costringono le imprese a stare
più attente, e anche i cittadini.
SCEGLIERE LA SOBRIETÀ
107
sobrietà non è una scelta di scarsità, ma di abbondanza. È un rifiuto
a identificarsi solo come consumatore, rivendicando mille altri ruoli
che potremmo assumere, sperimentare e cambiare. Il proverbio
popolare dice che «chi si accontenta gode»; del resto
«accontentarsi» ha la stessa etimologia di «contento», mentre
«consumatore» ha quella di «consumato». Poi il proverbio è
bistrattato perché associamo l’accontentarsi a una rinuncia. Ma
questa è una distorsione
Come dice Snoopy: «Il fatto che mi basti poco per essere felice
non significa che mi accontenti delle briciole. Altrimenti sarei un
criceto».
I BILANCI FAMIGLIARI
108
intorno ai 200 miliardi annui di spesa. La seconda è il cibo, subito
seguito dall’energia.
L’aspetto più interessante, però, è che le nostre percezioni di
spesa sono spesso distorte. Si sente dire, per esempio, che la pasta di
Libera (prodotta nei terreni confiscati alle mafie) costa tanto, ma
tutto sommato con un chilo di pasta ci si può mangiare in dieci: si
tratta quindi di un costo relativo. Altre volte, invece, spendiamo i
nostri soldi senza quasi accorgercene, in cose di cui non abbiamo
bisogno. Tenere quindi traccia delle nostre spese ci consente di
prestare più attenzione a quello che consumiamo, di valutare le
implicazioni etiche delle nostre scelte e magari scoprire perché a fine
mese abbiamo speso più di quello che immaginavamo.
Una volta presa consapevolezza delle nostre spese, possiamo
rifletterci su ed eventualmente reindirizzarle. Di solito si finisce per
consumare un po’ meno, privilegiando le spese in cultura o in
esperienze, o in quei prodotti che rispettano l’ambiente e le persone.
Bilanci di giustizia, che da molti anni propone agli associati di fare
bilanci famigliari e di segnare le scelte di consumo «spostate», ha
dimostrato che per agire in modo responsabile non servono più
soldi. Anzi, in alcuni casi si arriva a risparmiare e si guadagna in
qualità della vita e benessere per tutti.
KAKEBO
109
qualche tempo per prendere un po’ di consapevolezza in più e per
abituarci ad avere comportamenti economici più intenzionali e meno
istintivi. In fondo non siamo immuni alle pubblicità e al marketing!
Un altro consiglio è di non segnare soltanto i soldi che si
spendono, ma anche quelli che si risparmiano. O, ancora meglio,
quando ci sentiamo soddisfatti senza avere bisogno di aprire il
portafoglio, per esempio: «Oggi ho passeggiato e sono stato bene».
Oppure: «Spendo meno di bolletta perché ho messo i pannelli
fotovoltaici, mi posso permettere più cultura, o più pasta di Libera, e
questa cosa mi ha fatto felice». Forse conviene guardare anche a
queste cose e non soltanto alla lista nuda e cruda delle spese.
I GAS
110
comunque al discount!
In quel caso ci sono le Food Coop, una forma di supermercato
etico autogestito nata nel 1973 a New York, poi avviata a Bruxelles e
Parigi e recentemente giunta anche da noi. Chi partecipa alla vita
delle Food Coop è chiamato a essere proprietario (prendendo parte
alle decisioni), consumatore (accedendo a beni di ottima qualità a
prezzi accessibili) e volontario (lavorando circa tre ore al mese
nell’emporio di comunità). Il tipo di contributo che viene richiesto ai
soci può andare dalla gestione del magazzino alle pulizie, dalle
operazioni di carico e scarico all’amministrazione ordinaria, dalla
cassa alla piccola manutenzione e al rifornimento degli scaffali. La
prima realtà italiana è stata Camilla a Bologna, ma nel giro di poco
tempo se ne sono aggiunte altre: Mesa Noa a Cagliari, Oltrefood
Coop a Parma, Stadera a Ravenna… e speriamo che diventino
sempre di più.
111
provando a imitarla un po’. Questo tipo di pensiero ha trovato varie
espressioni, con sfumature differenti, ma con la stessa volontà di
considerare il limite delle risorse naturali come un’opportunità.
Cito a titolo di esempio alcuni concetti economici che vanno in
questa direzione, e che ho avuto la gioia di incontrare negli anni:
parsimonia (mia nonna), economia ecologica (Nicholas Georgescu-
Roegen), ecologia economico-sociale (Giorgio Nebbia), fattore 4
(Amory Lovins), capitalismo naturale (Paul Hawken), terza
rivoluzione industriale (Jeremy Rifkin), blue economy (Gunter
Pauli), economia civile (Stefano Zamagni). Fra questi, uno dei
concetti più affascinanti è quello dell’economia circolare, ma non
dubito che ce ne siano moltissimi altri.
112
denaro per dare felicità, come fa a fare economia circolare? Non mi
dica che basta far girare i soldi per avere economia circolare,
perché mi distrugge lo slancio positivo.
Tutti possiamo fare dei piccoli gesti di economia circolare. Dal
semplice riciclare o riusare al domandarsi, prima di comprare
qualcosa di cui abbiamo bisogno, se è possibile noleggiarlo, farcelo
prestare o acquistarlo insieme ad altre persone. In generale è sempre
meglio noleggiare che comprare. Alcune cose le usiamo veramente di
rado, ma le compriamo, un po’ per pigrizia un po’ perché siamo
immersi nella società dei consumi.
Infine, autoprodurre, magari con prodotti di buona qualità,
naturali e a basso impatto. Questa pratica ha due vantaggi: da una
parte ci consente di consumare meno, dall’altra ci permette di
riscoprire le nostre capacità manuali e comprendere il valore di
quanto usiamo.
ABITARE COLLABORATIVO
Abbiamo visto che i nostri soldi possono dare la felicità quando sono
impiegati e risparmiati in modo generoso e consapevole. La spesa
principale che sosteniamo nel corso della nostra vita è quella della
casa, declinata sotto forma di mutuo o di affitto. Ma ci siamo mai
domandati se esiste un altro modo di abitare rispetto a quello delle
famiglie mononucleari, ognuna nel proprio appartamento, separata
dalle altre? Non che questa sia una scelta negativa, ma libertà
significa esplorare anche varie alternative e non agire
necessariamente in base a un qualche standard abitativo.
La casa, dopotutto, è la nostra terza pelle (dopo quella del corpo e
i vestiti): delimita il confine fra quello che è interno, famigliare, e
l’esterno, l’altro. C’è un aspetto profondamente simbolico nell’abitare
umano, nel suo carattere non di rifugio, ma di luogo al centro del
mondo.
In questo senso, l’abitare collaborativo – che può prendere molte
113
forme, non solo quella di un cohousing o di un ecovillaggio – è
un’opzione interessante, che consente di allargare la propria
quotidianità e il proprio mondo ad altre persone e a nuove pratiche.
Insieme, per esempio, è più facile autocostruire e autoprodurre, o
compiere alcune scelte consapevoli come le energie rinnovabili, il
risparmio energetico, la riduzione dei consumi o l’accoglienza. E,
riducendo le spese, coltivando le relazioni, si diventa più «ricchi», in
senso sia letterale sia umano. Si impara gli uni dagli altri,
condividendo talenti e trovando nuovi stimoli di crescita. O ancora,
insieme si hanno spazi più grandi, magari per fare feste, si fa da
mangiare a turno e si può decidere di lasciare aperta più spesso la
porta di casa…
Oltre ai soldi di cui abbiamo parlato finora, nel mondo esistono oltre
cinquemila monete locali o alternative: valute utili a favorire lo
scambio solidale di beni e attività fra i membri di una comunità.
114
Questo è possibile perché il denaro, di fatto, è frutto dell’accordo di
accettare all’interno di una comunità l’utilizzo di «qualcosa» come
un bene di scambio riconosciuto.
L’obiettivo di queste valute è stimolare coloro che partecipano al
circuito a relazionarsi e cooperare all’interno nella rete, e infatti la
loro velocità di circolazione rispetto alle monete ufficiali tende a
essere ben più alta.
Chi ha sentito nominare la banconota da 21 sterline di Totnes,
epicentro del movimento Transition Towns, potrebbe aver pensato
che si trattasse di un fenomeno recente, forse appena diventato di
moda. Invece la nascita delle monete alternative può essere collocata
nei primi decenni dell’Ottocento all’interno di movimenti di matrice
protosocialista e anarchica, con chiare finalità egualitarie e
anticapitalistiche.
Oggi queste monete affiancano le valute ufficiali, e gli organi di
governo (come quelli dell’Unione europea) si stanno dimostrando
sempre più tolleranti nei loro confronti, arrivando perfino a
sostenere alcune di queste iniziative per favorire lo sviluppo locale e
affrontare meglio la crisi economica delle piccole imprese.
Questo fenomeno è diffuso anche in Italia a partire dal 2004,
quando Tonino Perna – al tempo presidente del parco Aspromonte
ed ex presidente del comitato etico di Banca Etica – promosse
l’Ecoaspromonte. A oggi l’esperienza più significativa è quella del
Sardex, ma non mancano varie altre monete alternative in giro per
l’Italia, compresa l’esperienza, interrotta, di Riace, legata
all’accoglienza migranti.
115
economiche che le usano. Ma anche le monete ufficiali risentono
della fiducia che poniamo o non poniamo in loro.
116
consentire alle imprese di sviluppare un mercato complementare per
le proprie attività, sostenendosi a vicenda, anche se a oggi è stato
esteso anche alla forza lavoro e ai consumatori finali.
Gli ingressi nel circuito avvengono a seguito di un attento
screening economico e reputazionale dei soggetti interessati e
mantenendo un corretto equilibrio fra domanda e offerta di beni e
servizi. C’è poi una relazione prudente tra i fatturati delle aziende
coinvolte e l’emissione di Sardex. La solida sostenibilità di Sardex,
inoltre, è determinata dal pagamento di una commissione annua da
parte degli aderenti in cambio di servizi accessori. Non manca infine
un importante aspetto di innovazione nel campo dei servizi digitali.
Nel complesso questo tipo di esperienze indica che si stanno
affermando nuovi approcci di sviluppo economico, caratterizzati
dall’attenzione ai valori della cooperazione, della partecipazione e
della responsabilità sociale. Insomma, c’è spazio per l’innovazione.
117
finanziaria. In altre parole, sarebbe brutto (e poco etico) non pagare i
lavoratori della finanza etica o far perdere soldi ai risparmiatori se
qualche credito va male solo perché non si sono messi da parte dei
fondi adeguati a coprire eventuali perdite. Detto questo, la finanza
etica dovrebbe avere una particolare tendenza ad applicare costi
trasparenti e quanto possibile contenuti.
In un certo senso, poi, si può dire che il cuore della finanza etica è
la costante indagine sui perché e sui come delle scelte in finanza.
Come si legge nel Manifesto della finanza etica del 1998, all’interno
del percorso che ha portato alla nascita di Banca Etica «l’economia e
la finanza eticamente orientate si pongono domande e cercano
risposte sulle conseguenze delle azioni economiche. Quali
conseguenze comporta un’attività produttiva o finanziaria per la vita
delle persone, per il bene comune, per l’ambiente naturale?».
118
Hanno funzionato? Funzionano?
Sì, funzionano, a dispetto di quello che molti potrebbero pensare
si possono avere i bilanci in ordine e fare utili anche prestando
attenzione a finanziare solo cose belle. Quello che accomuna i due
filoni della finanza etica è la trasparenza verso i risparmiatori
sull’uso del loro denaro, generalmente rendendo pubblici i prestiti
erogati e l’indirizzo verso il bene comune dei crediti concessi, o
avendo una struttura proprietaria chiara. Stiamo parlando di banche
apparentemente «normali» per certi versi, ma capaci di fornire
risposte soddisfacenti sul proprio operato, così come richiesto dai
risparmiatori che le hanno fatte nascere.
Oggi i prodotti di finanza etica sono sempre più diffusi, mentre le
istituzioni di finanza etica sono ancora troppo poche.
Ma esistono davvero?
119
Per fortuna sì, e sono pure riconosciute dal Testo unico bancario
come «finanza etica e sostenibile» all’articolo 111, che è quello che
riguarda anche il microcredito. Però le maglie rigide messe dal
legislatore hanno fatto sì che non tutte le Mag esistenti abbiano
scelto di operare in questa cornice regolamentare.
Le Mag consentono di chiedere e concedere prestiti, e alcune
riescono a farlo senza interessi, come la Mag di Firenze. Altre invece
hanno il pregio di riuscire a concedere finanziamenti che le banche
non farebbero, ma chiedono in cambio un tasso di interesse che può
essere più alto di quello normalmente proposto dalle banche. Infine,
c’è chi oggi fa anche molta educazione finanziaria con i bilanci
famigliari, come Mag2 di Milano.
Non trattandosi di banche, non possiamo pensare di metterci i
nostri soldi per poi riprenderli dopo qualche giorno, ma, qualora
avessimo dei risparmi da parte che ritenessimo di poter investire nel
lungo periodo, le Mag fanno cose decisamente innovative e
promuovono un percorso di consapevolezza monetaria.
Un’esperienza significativa per chi volesse sperimentare i legami
relazionali sottesi al denaro.
BANCA ETICA
Visto che i tedeschi sono arrivati prima, c’è una cosa che Banca
120
Etica ha fatto meglio di loro?
Banca Etica è stata la prima banca al mondo a pubblicare sul web
tutti i suoi finanziamenti alle persone giuridiche: un’idea di
trasparenza decisamente forte che poi altri hanno seguito. Inoltre,
per prima ha coniugato i due filoni internazionali della finanza etica
offrendo anche i servizi di investimento, costituendo, già vent’anni
fa, una società di gestione risparmio: Etica Sgr (i tedeschi la stanno
facendo solo ora e chiedono consigli!).
L’innovazione più recente, di quest’anno, riguarda la stesura di un
report che misuri gli impatti determinati dal credito erogato. Uno
studio unico a livello internazionale da cui emerge che i 222 milioni
di crediti erogati nel 2019 hanno fatto nascere quasi 10.000 posti di
lavoro, evitato quasi 5000 tonnellate di CO2, permesso oltre 4000
eventi culturali…
Ma non è una gara, ci sono tante cose che Banca Etica può ancora
imparare. In altre, come la partecipazione dei soci alla vita della
banca, rappresenta un esempio da seguire.
Sì, ma la solidità?
La banca è in utile da sempre con un Roe (Return on equity, ossia
utili su capitale investito) del 6,26 per cento (particolarmente buono
nel 2020) e indicatori patrimoniali buoni (Cet1 13,83 per cento;
Total capital ratio 16,31 per cento). Le sofferenze nette, ossia quanto
si perde in percentuale rispetto al credito erogato, sono sempre state
molto più basse della media di mercato e nell’ultimo anno pari allo
0,64 per cento (a fronte di una media del sistema dell’1,69), mentre
cresce il tasso di copertura del credito deteriorato (ricordate il
121
«salvadanaio del dubbio»?), al 53 per cento, superiore alla media
degli istituti italiani e ben dieci punti sopra quella delle piccole
banche.
Questi dati sono in crescita significativa (oltre il 5 per cento e
talvolta oltre il 10 per cento) da anni, proprio mentre il mercato
bancario è stato in crisi. Un dato che ha fatto guardare alla finanza
etica con maggiore attenzione anche gli operatori tradizionali.
È significativo che Banca Etica abbia sofferenze nette (ossia
prestiti che non funzionano) in media negli anni inferiori di tre-
quattro volte a quelle del sistema bancario tradizionale. Non è un
dato scontato e sicuramente contraddice le norme sugli assorbimenti
patrimoniali che classificano il mondo del no profit e dell’impegno
civile come il più rischioso in cui intervenire.
Certo, questo straordinario risultato dipende dalle scelte accurate
dei finanziamenti, prese non solo su basi finanziarie – come deve
essere in una banca –, ma anche facendo un’attenta valutazione
socio-ambientale eseguita anche per mezzo dei soci attivi presenti
sul territorio e adeguatamente formati: un chiaro esempio di valore
delle relazioni in finanza.
122
trova spesso a dover dire dei no, vuoi perché non ci sono le
condizioni di sostenibilità, vuoi perché non è chiaro il ritorno
positivo per la collettività. È per questo che si impegna tutti i giorni
per capire come fare ad accompagnare realtà meritevoli affinché
giungano ad avere le condizioni perché il finanziamento sia possibile,
eventualmente costruendo garanzie relazionali con il territorio in cui
operano.
123
(Global Alliance for Banking on Values) che coinvolge oltre sessanta
banche con esperienze molto diverse ma accomunate dagli stessi
valori. Si tratta di realtà attente all’ecologia, al microcredito, ai
precetti della finanza islamica, al tema della responsabilità sociale a
tutto tondo e alla scelta della finanza etica. Incontrandosi imparano
l’una dall’altra, e hanno tutte i bilanci in ordine!
Il fatto che la finanza etica stia funzionando si vede anche da
come le sue idee si stanno diffondendo, e dalla nascita di nuovi
agenti economici con una sensibilità affine. Le attività e i prodotti di
finanza etica proposti ai risparmiatori sono sempre più numerosi: un
chiaro segnale dell’interesse del mercato.
Ma la finanza etica non è nata per creare una nicchia di mercato.
L’ambizione è un’altra: cambiare il sistema finanziario, renderlo
attento a quello che sostiene e a come lo fa e non solo all’immediato
ritorno economico. E purtroppo da questo punto di vista è ancora
presto per dire se la finanza etica sta davvero funzionando.
124
è così appurato che quelle etiche, nel decennio seguito alla crisi del
2008, hanno reso il triplo rispetto agli istituti tradizionali. Mentre il
ritorno di questi ultimi è cresciuto dell’1,23 per cento, quello delle
banche etiche ha sfiorato il 4.
Questo per dire che le banche etiche hanno una visione di lungo
periodo, quindi, pur essendo meno brave sullo sprint, hanno buone
possibilità di vincere la maratona. Un altro dato interessante è che le
banche etiche investono il 77 per cento del proprio attivo
nell’economia reale, contro il 40 delle altre, o che fanno il 10 per
cento di crediti in più ogni anno, a fronte dello 0,39 delle altre.
125
altri mille motivi per parlarne male – è il fatto che partecipando alla
Borsa sono costrette ad avere una grande trasparenza nei propri
bilanci e nelle proprie attività. Grazie a queste informazioni
possiamo adottare varie strategie di investimento: escludere le
società che hanno pratiche poco etiche, fare uno screening per
scegliere solo le aziende che rispettano le principali convenzioni
internazionali (sulla biodiversità, sui diritti umani eccetera),
scegliere le cosiddette best in class (cioè le migliori del settore in
base a punteggi Esg, ovvero ecologici, sociali e di governance), fare
pressione affinché vengano attuati cambiamenti positivi. O anche
una combinazione di tutte queste strategie.
ETICA SGR
126
In Italia, Etica Sgr – che è nel gruppo Banca Etica, ma vi partecipano
anche altri istituti – è stata la prima società italiana ad aver proposto
esclusivamente fondi etici. Gestisce circa 4,8 miliardi di euro e
cinque fondi di investimento che vanno dall’azionariato puro (il più
rischioso e potenzialmente il più redditizio) all’obbligazionario a
breve termine (il meno rischioso e redditizio, perché investe in titoli
di stato). A questi si aggiunge un fondo tematico che cerca di
minimizzare l’impatto climatico. I criteri seguiti sono i più rigorosi:
si escludono settori importanti ma controversi come l’estrazione del
petrolio o quello minerario e alcuni prodotti come le armi, il tabacco,
il nucleare, i pesticidi e gli ogm. Infine, si prendono i best in class e si
fa azionariato attivo.
127
come sugli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni unite i fondi
di Etica Sgr abbiano avuto risultati migliori rispetto al mercato di
riferimento con percentuali che vanno dal 25 al 140 per cento.
AZIONARIATO ATTIVO
128
pensione che, interrogandosi sui diritti umani e sulla finanza, si sono
accorti delle enormi contraddizioni esistenti: soldi investiti in
sfruttamento del lavoro infantile, schiavitù, violazione dei diritti
sindacali, paghe misere, norme di sicurezza inesistenti, condizioni
degradanti. Purtroppo, non sono casi isolati e coinvolgono
importanti compagnie.
129
MICROCREDITO
130
Però abbiamo l’impressione che il microcredito presti pochi soldi…
Il microcredito è un prestito piccolo, molto piccolo, a volte anche
di poche decine di euro. Tuttavia può essere più che sufficiente per
comprare quei beni utili a generare nuovo reddito.
Le banche tradizionali di solito non hanno interesse a concedere
questo tipo di prestiti, sia per gli scarsi rendimenti che ne
otterrebbero, sia perché fare microcredito in modo valido ed efficace
presuppone una metodologia e una professionalità molto diverse da
quelle che solitamente utilizzano.
I tassi di interesse del microcredito, in tutto il mondo, sono più
alti rispetto a quelli del comune sistema bancario. Questo sia per
riuscire a far quadrare i conti (un interesse su un importo basso
«rende» poco), sia perché oltre al prestito ci sono vari fattori da cui
dipende il successo dell’operazione, come l’accompagnamento del
microdebitore nella costruzione del suo progetto economico, la
costruzione e il mantenimento di un legame di fiducia. Soprattutto
nei paesi emergenti, tuttavia, le persone non bancabili non guardano
tanto al tasso di interesse, ma all’ottenimento del credito e al
miglioramento dei propri flussi di cassa.
131
porta. Poi, dopo un po’ di tempo, il nuovo lavoro si stabilizza, e si
trasforma in un’attività commerciale che regge. Non mancano poi
progetti legati all’educazione e al miglioramento della vita nei
quartieri.
132
l’indipendenza. Inoltre, in questo modo, si migliorano le condizioni
locali e si riduce la pressione migratoria. C’è poi un pensiero al fatto
che l’Africa ha una popolazione giovane, e la sua economia nel tempo
non potrà che crescere, mentre in Europa ci troviamo nella
situazione opposta. Investire in Africa è dunque una buona pratica,
non solo a livello sociale, ma anche economico.
LA FINANZA DIGITALE
133
perfetti sconosciuti per riverniciare casa o per farmi una vacanza?
E se poi sparisco e non restituisco niente?
Be’, se riesce a convincerli, può anche chiedere un finanziamento
per farsi una vacanza. Certo, in quel caso dovrà forse essere disposto
a pagare un tasso di interesse più alto. Funziona anche qui la regola
del frazionamento del rischio, che si traduce in tanti piccoli
finanziatori: per questo servono la piattaforma e il meccanismo di
divisione paritaria o di asta sul tasso di interesse fatto dal sistema di
pagamento che gestisce la piattaforma web. In pratica, essa propone
un tasso uguale a tutti in funzione del tipo di finanziamento
richiesto, oppure si lascia spazio alla contrattazione fra debitore e
creditore.
E poi c’è un altro aspetto fondamentale da considerare. La
reputazione nel mondo digitale è fondamentale: una recensione
critica può distruggere gli affari di un fornitore di servizi. Quindi,
anche se noi non lo vediamo, il gestore della piattaforma seleziona
coloro che chiedono i prestiti e soprattutto controlla che tutto vada a
buon fine.
Questa forma di prestito (da pari a pari o peer-to-peer, P2P, in
slang anglosassone) inizia a essere molto diffusa a livello
internazionale e consente di offrire prestiti diretti a realtà che
operano per il microcredito nel Sud del mondo. Prendendo spunto
dalle recenti esperienze nel campo dell’autoproduzione di musica,
eventi e attività artistiche, si stanno sviluppando piattaforme di
crowdfunding volte a trovare i capitali necessari a realizzare un
progetto o a dare il via a un’impresa.
Un territorio vastissimo e poco esplorato è quello della
partecipazione dei cittadini al capitale sociale di piccole imprese non
quotate o di imprese cooperative. Si tratta di un «mercato» non
regolamentato, senza le garanzie della Borsa. Si può comprare, ma
può essere difficile vendere quando si vuole realizzare un guadagno o
semplicemente tornare in possesso dei propri soldi. Il rischio può
quindi essere alto, ma di certo lo è anche la soddisfazione. Infatti, in
questi casi si può offrire capitale a realtà che ne hanno bisogno per
fare attività vicine a noi o che ci interessano per il loro valore sociale
o ambientale. Imprese che hanno molte più difficoltà di quelle
grandi e quotate a reperire fondi per crescere o per far partire nuove
attività.
134
Come sempre il rischio in finanza va gestito e, nel caso si voglia
investire in piccole imprese, bisogna capire bene quanti soldi si è
disposti a «rischiare». Non è detto, infatti, che si debbano mettere in
gioco cifre importanti: la cooperativa Verso la Banca Etica ha
inizialmente raccolto migliaia di soci che hanno acquistato solo 50 o
100 euro di azioni.
È un settore che rischia di trovare ostacoli notevoli nella
regolamentazione bancaria soprattutto se non si tratta di donazioni,
ma di partecipazione a un’impresa, come comprare azioni o
obbligazioni. Ma se in futuro si riconoscessero delle soglie per
piccole cifre al di sotto delle quali semplificare la normativa, sarebbe
davvero possibile aiutare a innescare processi positivi di economia
civile e di finanza cittadina che nascono dal basso.
135
Pensiamo a corruzione, sprechi, inefficienze.
Certo, possiamo anche dire che a volte non siamo un esempio di
efficienza e organizzazione.
La corruzione è una delle piaghe da debellare, ma non è corretto
attribuirla in toto al sistema pubblico perché è data da un intreccio
continuo con il sistema privato e arriva fino al malcostume dei
cittadini. È una realtà difficile da misurare, ma si stima che l’8 per
cento delle famiglie abbia avuto esperienza di fenomeni corruttivi e
che sprechi e corruzione arrivino alla cifra incredibile di 230 miliardi
l’anno (il 13 per cento del Pil), un numero importante se confrontato
alla spesa pubblica italiana che è di circa 830 miliardi annui.
Questi numeri dovrebbero stimolarci ad avere maggior cura della
cosa pubblica, non a buttare via il bambino con l’acqua sporca. In
altre parole: dobbiamo adoperarci per migliorare continuamente la
gestione della cosa pubblica e dobbiamo anche rispettarla, non
metterci dalla parte di coloro che cercano di fregare il pubblico o che
lo rendono inefficiente.
Tornando al valore «sano» dei servizi pubblici, finora gli stati o le
comunità locali si sono dimostrati lo strumento principale per
gestire la solidarietà e la mutualità tra cittadini. Una solidarietà
anche intergenerazionale. Si pensi alle pensioni: gli anziani ricevono
l’assegno grazie al lavoro dei più giovani, e il meccanismo si inceppa
se non vi è equilibrio tra le generazioni, come sta accadendo in Italia
(ci mancano lavoratori che paghino le pensioni: vanno bene anche
stranieri ovviamente…). Un sistema che rappresenta un modello di
solidarietà intergenerazionale ed è più semplice rispetto ad altre
forme previdenziali.
136
necessario riflettere su come ottenere queste cose, che sono
importanti per la felicità, sono un diritto. Per provare a garantirle, il
ruolo dello Stato non solo potrebbe essere più positivo, ma
determinante.
LE TASSE
Giusto!
Si potrebbero anche cambiare le politiche fiscali. L’attuale
emergenza climatica ha bisogno di rendere espliciti i costi alla
collettività di un’economia basata sul petrolio. Non farlo significa
solo drogare un’economia sbagliata e farne pagare le conseguenze a
tutti e alle future generazioni. Quindi una carbon tax (tassa sulle
137
emissioni) sarebbe una bella novità in grado di generare innovazione
in economia e di contrastare i cambiamenti climatici. L’esperienza
dei gilet gialli in Francia ci ha dimostrato che una simile iniziativa va
preparata bene e magari va accompagnata da meccanismi di
compensazione per le fasce deboli della popolazione, per esempio
riducendo a queste ultime il carico fiscale.
Si potrebbe alleggerire le tasse per i servizi e la produzione di beni
che abbiano un benefico impatto sociale e ambientale e aumentarle
per quelli che hanno impatti negativi. Quando fu abolita la schiavitù,
sembrava che l’economia delle zone in cui si praticava dovesse
crollare. Stessa cosa quando si è proibito il lavoro minorile o si sono
dati dei diritti ai lavoratori. Invece le tasse o i disincentivi legali,
quando sono chiari e ben posti, alla fine danno risultati positivi,
generano innovazione.
138
di qualsiasi altro mercato, infatti, il funzionamento delle attività
finanziarie globali si basa sull’informatica, quindi tracciare gli
scambi (e tassarli) è un problema tecnicamente risolvibile. E ci
sarebbero ulteriori vantaggi: la tracciatura necessaria per la
tassazione renderebbe la finanza più trasparente, impedirebbe (pena
la loro nullità) che i contratti derivati vengano fatti in modo non
regolamentato (tenuti in casseforti segrete come ha fatto il Monte dei
Paschi di Siena…).
139
si crea economia circolare meglio insieme che da soli. Che si sogna
meglio insieme che da soli. Che si è più felici insieme che da soli.
In questi anni ci vengono spesso additati nemici esterni a cui dare
la colpa per le paure che abbiamo o per ciò che non funziona.
Però è chiaro che è difficile essere contenti se si è sempre
arrabbiati e se abbiamo costantemente un nemico da combattere o
da cui difenderci. Chiudersi in casa, nel proprio circondario o nel
proprio stato, dà un apparente senso di protezione, ma non può che
generare insicurezza nel medio e lungo periodo: una simile risposta
alla paura ne genera altra in continuazione.
Per ottenere sicurezza e opportunità è necessaria la pazienza di
generare buone relazioni con gli altri e di risolvere insieme i
problemi che possono sorgere.
È più facile essere felici quando si è solidali e si rischia l’apertura
verso gli altri piuttosto che chiudersi nel proprio guscio.
Non significa rinunciare allo slancio per migliorare e cambiare il
mondo. Tutt’altro.
Significa capire che è #meglioinsieme, perché così anche i soldi
danno la felicità.
140
Compiti per fare pratica
D’accordo, va fatto.
Poi vi aspetta un bel compito di matematica. Quella faccenda del
kakebo vi era piaciuta. Almeno per un mesetto proviamo a tenere
141
conto delle spese che facciamo sul kakebo, senza ossessioni, ma con
l’attenzione sufficiente a capire dove mettiamo i nostri soldi in quel
mese.
Magari non scegliamo proprio la settimana in cui siamo in
vacanza e possiamo spendere quello che ci pare. Prendiamo a
riferimento un mese di vita normale, e vediamo che succede. E
scriviamo anche le cose belle, non solo le spese, altrimenti viene la
tristezza. Per esempio: «Ho risparmiato dieci euro facendo in casa la
torta e mi sono divertito».
Magari scopriremo che in alcuni settori spendiamo di più o di
meno di quanto pensavamo.
142
No, casomai alla rovescia, prendere il ghiacciolo e regalarlo al
primo che passa, al tizio che viene a vendere cianfrusaglie in
spiaggia.
Il ghiacciolo sospeso!
Comunque, meno male che ero io che pensavo al cibo… Questa
dei ghiaccioli mi pare una fissazione.
La gratuità ci serve, ci fa stare bene e crea coesione. In generale
aiuta a pensare che i soldi si possono anche regalare. Pochi o tanti
che siano, fa bene a tutti. E dà molti più risultati di quanto
potremmo pensare.
Buon lavoro e non scordatevi di completare i quiz di fine corso,
altrimenti niente promozione!
143
Quiz finali
Domande di riscaldamento
Il grano è…
La Borsa è…
L’investimento è…
144
Un buon tasso è…
La liquidità è…
La sofferenza è…
La speculazione è…
I derivati sono…
145
quelli di titoli sottostanti.
c. Prodotti che si ottengono da altri mediante una trasformazione
chimica o alimentare, come per esempio il formaggio, i salumi, il
seitan e il tofu, che derivano rispettivamente dal latte, dal maiale,
dal grano e dalla soia.
Domande avanzate
Dopo la crisi del 2008 l’Europa e l’Italia hanno varato norme che
incentivano le fusioni tra banche e la creazione di pochi gruppi
bancari molto grandi. Che ne pensi?
146
eccetera? È chiaro che ci sono costi o rischi occulti da qualche
parte.
b. Evvai, lo apro subito! D’altra parte, perché dovrei pagare per
gestire i miei soldi?
c. Penso che dovrebbero fare di più: darci i conti correnti già con i
soldi dentro!
147
Postfazione
di Anna Fasano
Presidente di Banca popolare Etica
148
L’idea dominante è dare credito alle persone, alle organizzazioni e
alle imprese che lavorano rispettando i diritti umani e il pianeta, che
utilizzano la creatività e la tecnologia per rendere i nostri paesi più
vivibili e per dare qualità ai servizi. A quelle che si impegnano per
l’inclusione lavorativa dei giovani e delle donne (fasce penalizzate
anche dalla crisi successiva alla pandemia da Covid-19).
A lettura finita, pensate ancora che tutto questo non sia
prioritario e sia irrealizzabile?
Non solo si può fare – e Banca Etica ne è la dimostrazione –, ma
possiamo chiedere a tutte le banche di sostenere solo chi si impegna
per un’ecologia integrale (così la definisce anche papa Francesco
nell’enciclica Laudato si’).
Dobbiamo partire però da noi, dalla voglia di farci delle buone
domande, dalla capacità di cercare le risposte e dal desiderio di
trovare altre persone che hanno scelto di far sentire la loro voce
attraverso la partecipazione attiva (come ci insegnano i giovani di
Fridays for Future).
Ancora un tassello… Ma lo sapete che le donne, nello scegliere
come risparmiare, pensano al futuro e non solo al rendimento
immediato? Che sia venuto il momento di declinare i temi
dell’economia e della finanza avendo ben presenti modelli non solo
maschili?
Se ora, terminato il libro, avete ancora un sacco di nuove
domande (non le stesse dell’inizio)… siete in buona compagnia!
149
Qualche approfondimento bibliografico
150
alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario, 17
maggio 2018.
Gesualdi, Francesco, Manuale per un consumo responsabile. Dal
boicottaggio al commercio equo e solidale, Feltrinelli, Milano
1999.
—, Guida al consumo critico, Emi, Verona 2009.
Graeber, David, Debito. I primi 5000 anni, il Saggiatore, Milano
2015.
Illich, Ivan, Lavoro-ombra, Mondadori, Milano 1985.
Istat, La corruzione in Italia, 12 ottobre 2017.
Mazzucato, Mariana, Il valore di tutto. Chi lo produce e chi lo
sottrae nell’economia globale, Editori Laterza, Roma-Bari 2018.
Milani, Lorenzo, L’obbedienza non è più una virtù, Chiarelettere,
Milano 2012.
Report di Impatto 2019 di Etica Sgr: i risultati dell’impatto
ambientale, sociale e di governance, Etica Sgr, 2019.
Vecchi, Davide, Il caso David Rossi. Il suicidio imperfetto del
manager Monte Paschi di Siena, Chiarelettere, Milano 2017.
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