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Rameau
Armonia e melodia diventeranno d'ora innanzi i cavalli di battaglia degli animatori delle nuove dispute
sulla musica, simboli di gusti diversi, di poetiche diverse, dietro cui si trincereranno ancora una volta i
difensori della tradizione classica francese da una parte e gli amatori del «bel canto» italiano dall'altra.
Rameau fu preso nel giro di queste polemiche a cui non era interessato, e a cui avrebbe forse voluto
rimanere estraneo anche per il suo carattere schivo e taciturno. La sua opera di teorico non fu capita
dai suoi contemporanei e Rameau fu accusato di essere un arido intellettualista, di voler della musica
una scienza, negando il valore della melodia. In realtà nessuno come Rameau nel suo tempo aveva
saputo mettere in luce il potere espressivo del linguaggio musicale e la sua autonomia di fronte agli
altri linguaggi artistici. Privilegiare l'armonia significava dare una priorità ai valori più essenziali della
musica avviandosi ad un riconoscimento della musica strumentale o pura come l'hanno poi chiamata i
romantici. Rameau anche come musicista ha mostrato di possedere una vena più felice per la musica
strumentale che per quella vocale in cui poco si curava dei valori letterari del testo. Un suo biografo, il
Decroix, riferisce che Rameau si sarebbe vantato di mettere in musica anche la «Gazette de
Hollande», tanto era grande la sua indifferenza per il testo da musicare, puro pretesto per la sua
costruzione musicale il cui intento descrittivo non assume mai un carattere impressionistico ma viene
sempre contenuto in ben definiti schemi architettonici. Rameau pur partecipando della mentalità
illuminista, rimane una figura isolata nel Settecento: la sua vita lo dimostra. Dopo gli anni del successo
per le sue opere, dopo la prima ondata di interesse suscitato dai suoi trattati teorici, Rameau si trovò
nella vecchiaia solo contro tutti. Dopo il significativo rifiuto dell'incarico di stendere le voci musicali
dell'Enciclopedia, iniziano nel 1754 i dissensi con gli enciclopedisti e in particolare con Rousseau e
D'Alembert che si protrarranno con fitto scambio di pamphlets polemici fino alla morte. Rameau e gli
enciclopedisti parlano linguaggi diversi, non si possono comprendere, e si limitano cosi' a lanciarsi
reciproche accuse d'incompetenza. Rameau isolato e incompreso nel suo secolo ha offerto tuttavia
un'alternativa originale alla concezione illuministica della musica come innocente lusso e rimarrà un
importante punto di riferimento per il pensiero romantico, preannunciando una nuova concezione della
musica come linguaggio privilegiato, espressiva non solo delle emozioni e sentimenti individuali, ma
della divina e razionale unità del mondo.
Rousseau
Rousseau è indubbiamente la personalità di maggior rilievo, il teorico più accreditato dei buffonisti; fu
forse anche per la sua particolare competenza che gli fu affidata la stesura del nucleo più importante
di voci musicali dell'Enciclopedia che più tardi formarono il corpo del suo Dictionnaire de musique. Nei
gusti musicali Rousseau non mostra una grande originalità ne si discosta granchè dai suoi
contemporanei: ama l'opera italiana per la sua melodiosità, semplicità spontaneità, freschezza,
naturalezza; ama il canto come effusione del cuore; aborre la musica francese per il suo carattere
artificioso, le sue astruserie armoniche, la sua mancanza di immediatezza e di naturalezza; aborre la
musica strumentale, la polifonia, il contrappunto, in quanto insignificanti, irrazionali e contrari alla
natura.La musica francese è diventata sinonimo di artifìcio intellettualistico e quella italiana di
spontaneità melodica. L'originalità di Rousseau consiste nell'aver saputo sviluppare adeguatamente il
concetto di musica come linguaggio dei sentimenti e di aver elaborato una teoria sull'origine del
linguaggio che giustificasse e fondasse tale concetto. Per la prima volta la polemica sulla musica
italiana e francese non è più solo una questione di gusto,di preferenza personale, ma trova nel
pensiero di rousseau una giustificazione teorica e filosofica. Rousseau, si è già detto, non ama la
musica strumentale e concepisce la musica solamente come canto; ma non perché la consideri come
piacevole ornamento della poesia e prediliga i valori concettuali e razionali in essa espressi. Al
contrario, Rousseau predilige il canto perché in esso la musica ritrova la sua natura originaria. In un
mitico passato, quando l'uomo era allo stato di natura, musica e parola costituivano un nesso
inscindibile e l'uomo poteva esprimere nel modo più completo le sue passioni e i suoi sentimenti. In
altre parole all'origine le lingue erano musicalmente accentuate e fu un triste effetto della civiltà se
oggi ritroviamo da una parte le lingue private della loro melodiosità originaria e ormai atte solo ad
esprimere dei ragionamenti; dall'altra i suoni musicali che un tempo costituivano l'accento del
linguaggio e ne rappresentavano il lievito vitale, isolati ed impoveriti nella loro portata espressiva. Il
canto melodico ricostituisce questa unità infatti in origine «non ci fu altra musica che la melodia, ne
altra melodia che il suono modulato della parola; gli accenti formavano il canto e si parlava sia per
mezzo dei suoni che del ritmo che delle articolazioni e delle voci» (Essai sur l'origine des langues,
XII). Tuttavia questa riconciliazione, questa ricostituzione dell'unità spezzata può avvenire solamente
se il linguaggio non ha perduto completamente la sua originaria musicalità. Le lingue nordiche
(francese, inglese, tedesco) sono precise, esatte, dure e articolate, parlano alla ragione ma non al
cuore e si prestano ad essere scritte e lette. Le lingue orientali e meridionali (arabo, persiano e
soprattutto l'italiano) sono molli, musicali, sonore e si prestano ad essere parlate e udite; L'unione di
musica e poesia per Rousseau significa un potenziamento espressivo dell'una e dell'altra, significa
ritrovare quell'arte che, per la sua espressività, può più compiutamente realizzare l'imitazione delle
passioni e dei sentimenti. Se la musica deve ritrovare la sua condizione originaria come accento delle
parole, la sua essenza sarà la successione temporale, cioè la melodia. L'armonia, ossia la
contemporaneità dei suoni rappresenta una deviazione, una corruzione, un atto arbitrario,
«un'invenzione gotica e barbara» che corrompe la vera essenza della musica. Rousseau, senza
troppo sottilizzare, identifica armonia, polifonia, contrappunto, fuga, ecc. ponendo tutto nello stesso
calderone, e non si stanca di ripetere che si tratta di un'invenzione, di una cattiva invenzione, di un
fatto storico e non naturale, frutto quindi di una convenzione sociale. L'armonia non offre che una
«bellezza convenzionale» che non ci toccherà però mai nel profondo del cuore; essa ci procurerà un
diletto superficiale e passeggero ma non susciterà mai alcuna passione. L'armonia infine, e questa è
la sua deficienza più grave, non imita la natura, la quale «ispira dei canti e non degli accordi, detta
melodie non armonie». Essa è inerte perché non ha nulla in comune con le nostre passioni; al più può
assolvere ad una funzione secondaria se concorre a precisare e mettere in evidenza la linea
melodica. Anche Rousseau si serve dunque del concetto di imitazione della natura come strumento
critico e categoria estetica ma lo usa secondo un nuovo significato. Natura è sinonimo di passione,
sentimento, immediatezza ed è nettamente e polemicamente contrapposta a ragione. Il concetto di
imitazione è usato in modo più ambiguo. La melodia, afferma Rousseau imita «le inflessioni della
voce, esprime i lamenti, i gridi di dolore o di gioia, le minacce, i gemiti... Essa non imita solamente,
essa parla; e il suo linguaggio inarticolato ma vivo, ardente, appassionato, possiede cento volte più di
energia della parola stessa. Ecco donde nasce la forza dell'imitazione musicale, ecco donde attinge il
potere che essa esercita sui cuori sensibili» (Essai sur l'origine des langues, XII). La melodia imita le
passioni ma indirettamente; le imita in virtù di un'affinità originaria con la forma in cui si esprimono i
nostri sentimenti; se imita oggetti del mondo naturale essa imita il sentimento che essi susciterebbero
«nel cuore di chi li contempla». La melodia «non rappresenta direttamente le cose ma eccita
nell'anima gli stessi sentimenti che si prova vedendo le stesse cose». La musica sarebbe allora
un'arte di espressione e di imitazione; di qui l'ambiguità di questi due termini, usati a volte come
sinonimi a volte quasi in opposizione. Rimane sempre il dubbio se secondo Rousseau la musica
esprime i sentimenti o imiti l'espressione dei sentimenti. Questa ambiguità tuttavia è significativa:
ormai la concezione della musica si è profondamente trasformata e il concetto di imitazione della
natura viene ancora usato ma solo per inerzia; esso non si presta più a spiegare e giustificare le
nuove idee che si stanno ormai sempre più largamente affermando. Se si confronta il pensiero di
Rameau con quello di Rousseau è facile accorgersi che ci si trova di fronte a due diversi, anzi opposti
tentativi di rivalutazione della musica. Rameau ha cercato il fondamento eterno, naturale della musica
e l'ha individuato nel principio unitario che sta alla base dell'armonia; la musica incarnando con questo
principio lo stesso verbo divino ha assunto il ruolo di arte privilegiata ed assoluta. Rousseau, lontano
nello spirito da questo pitagorismo del musicista francese, ha rivalutato la musica rivalutando il
sentimento e considerandola come il linguaggio che parla più da vicino al cuore dell'uomo. Secondo
Rameau la musica rivela la ragione suprema che è una, uguale in tutti i tempi e per tutti i popoli e
quindi universale; secondo Rousseau la musica esprime ed imita le infinite varietà e sfumature del
cuore umano. Il carattere della melodia varia da popolo a popolo, da secolo a secolo. Per Rameau la
musica è dotata di una comprensibilità universale perché tutti gli uomini sono partecipi della ragione;
per Rousseau la comprensione della musica è un fatto storico e culturale: «ognuno - afferma - è
toccato solamente dagli accenti che gli sono familiari», e la melodia varia a seconda delle lingue di
ogni popolo. La regola ferrea di carattere matematico, che secondo Rameau fonda l'armonia e
stabilisce la sua universalità e naturalità, per Rousseau rappresenta un artificio intellettualistico che
allontana la musica dall'arte. La grande musica, la melodia, è frutto del genio, e il genio non osserva
nessuna regola: il genio come la natura è sinonimo di libertà e di vitalità.