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Il confine non può essere inteso come una linea di demarcazione e di divisione. Generare un
nuovo confine porta dunque con sé la necessità di comprendere le dinamiche che questa scelta
può generare sul territorio.
La linea di confine può trasformarsi nel luogo di contatto tra due nuove identità. Gli spazi che si
verranno a generare dovranno dialogare con entrambi i lati del confine.
Dovranno diventare punti di riferimento per tutti gli abitanti, mettendo a disposizione luoghi di
incontro, servizi e possibilità che potranno essere condivise e co-gestite da diversi attori presenti
sul territorio.
Cosa si intende per spazio sociale? E’ lo spazio pubblico, quello dedicato all’incontro e alla
socializzazione, è uno spazio che, come afferma Henri Lefebvre, si compone di due elementi, la
storia e la pratica, ambedue costituiscono la cultura dei territori. Fruire la cultura significa
individuare e riconoscere in questi spazi pubblici il valore storico delle pratiche che vi si sono
insediate nel tempo.
L’industria dismessa e abbandonata, seppur connotandosi con volumetrie spesso imponenti,
rappresenta un vuoto in quanto non produce più pratiche sociali, è un vuoto di attività e
funzioni. L’agricoltura rappresenta un vuoto fisico nel territorio, un’assenza di volume che, però
è in grado di costruire un’attività, di instaurare una pratica produttiva ed economica. Se questa
pratica economica venisse a mancare il vuoto perderebbe la sua forza e diventerebbe quindi
lecito occuparlo con nuove costruzioni. Valorizzare il contenuto culturale e storico di
agricoltura ed industria vuol dire ristabilirvi delle pratiche sociali.
Dobbiamo considerare che queste aree di confine sono caratterizzate da funzionalità miste, aree
con diverse funzioni senza logica e forma, l’operazione principale dell’analisi progettuale è
quella di individuare quegli spazi vuoti attraverso i quali confine stesso possa diventare un
elemento di connessione, un’infrastruttura ecologica e pedonale in grado di ristabilire una
forma e un’identità a questi luoghi destrutturalizzati.
Pensiamo ad esempio alla particella agricola, essa rappresenta per il territorio la struttura
principale, è l’ossatura che ne determina la forma. Come possiamo reinventarla in chiave
contemporanea?
I campi rimarranno di certo agricoli ma in alcuni casi queste particelle potranno assumere
declinazioni diverse allo scopo di recuperare quella forma e quella struttura che l’espansione
edilizia ha in qualche modo cancellato. A questo punto la particella catastale agricola si
presenterà come campo coltivato, come orto urbano, ma anche come giardino e spazio pubblico,
come spazio sociale.
L’industria dismessa, invece, che si impone sul territorio con ingombranti volumetrie,
rappresenta un arcipelago, che nell’ipotesi di un recupero funzionale potrebbe diventare una
costellazione di centri in cui insediare nuove funzioni come attività di ricerca, sperimentazione,
servizi e residenze per i cittadini. Il recupero e il riuso di grandi aree dimesse è una pratica
molto diffusa nel nord Europa, questa non solo consente di far crescere la città contemporanea
non consumando altro territorio in aree gia fortemente edificate, inoltre permette di conservare
una tipologia edilizia e costruttiva di importante valore per l’identità culturale del territorio.
La campagna periurbana e le industrie dimesse dovranno contenere la maggior parte delle nuove
identità della città contemporanea. La sfida potrebbe partire proprio da questi spazi, agricoli e
industriali, in cui si potranno concentrare sempre di più servizi urbani e nuove centralità
periferiche.
Il confine diventerà quindi una fascia in cui compariranno una campagna-urbana, caratterizzata
da forme ed economie del mondo agreste, e una nuova città produttiva che sarà invece
attraversata dal fenomeno di attività innovative e creative, ambedue queste identità assolveranno
al fabbisogno di natura, di cultura e di spazi per il tempo libero necessari per l’abitabilità di
questi luoghi.
In questo modo l’agricoltura urbana non dovrà rinunciare al suo mandato di alimentare i
cittadini, essa entrerà a far parte dello spazio urbano senza doversi trasformare necessariamente
in parchi naturali o spazi verdi; e gli edifici industriali, quando possibile, potranno costituire, per
dimensione e tipologia, dei punti focali per i quartieri della città futura.
Nuovi simboli e valori estetici rinnovati, dunque, senza intenti nostalgici e commemorativi, ma
facendosi portatori di valori nuovi posti in equilibrio tra la memoria e il futuro.
Non si tratta di trovare nuove tipologie edilizie, si tratta di costruire degli scenari di vita nel
rispetto di quanto esisteva in precedenza e nella ricerca di sostenibilità.
Il confine ha anche un significato di percorrenza. Il paesaggio è una relazione in perpetuo
movimento.
Il progetto, che in una prima fase vuole individuare e costruire solamente una rete di vuoti sul
territorio da consolidare mediante l’introduzione di nuove pratiche sociali, può e deve avere, in
realtà, uno sviluppo futuro: queste aree potranno costruire lo spazio pubblico per future
residenze che dovranno ovviamente rispettare determinati requisiti di salvaguardia del territorio
a impatto zero, prendendo ad esempio progetti già realizzati come il “bed-Zed”
(www.zedstandards.com).
L’atteggiamento di questa analisi progettuale può esprimersi nelle seguenti espressioni chiave:
il confine è un’infrastruttura naturale che organizza dei
vuoti, questi oggi contengono campagna non produttiva e industria dismessa,
per salvaguardarli bisogna insediare nuove pratiche sociali:
una campagna-urbana (orti, giardini, piazze) e un’industria ri-innovata (servizi e innovazione);
questi costituiscono lo spazio pubblico per una residenza futura a impatto zero.
i campi come spazi pubblici ex industria come centri servizi nuova residenza
L’intento è di abitare gli spazi pubblici, muovendosi tra di essi tramite una rete di percorsi a
“percorrenza lenta”, in una logica di condivisione di spazi che facciano fruire cultura sia alla
scala locale che a quella regionale.