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Correntemente inteso come rapporto duale e reciproco, l'amore può definirsi, sulla base dei risultati
della ricerca psicologica, come un processo di integrazione di istanze pulsionali ed emotive in grado
di stabilire legami intersoggettivi che possono anche travalicare il rapporto di coppia. Se dal punto
di vista della biologia evolutiva l'amore si configura come un sistema innato, la cui espressione è
influenzata da segnali di natura sociale, i diversi approcci delle scienze umane insistono sul suo
carattere di 'emozione primaria' che non può essere spiegata come conseguenza di altri sentimenti,
motivazioni o interessi.
sommario: Aspetti biologici dell'amore. Psicologia dell'amore. I. L'amore come processo integrato.
2. Innamoramento e amore. 3. La vita di amore. Psicopatologia dell'amore. □ Bibliografia
L'insieme di emozioni e comportamenti che il linguaggio comune raggruppa sotto il termine amore
non trova una facile collocazione in ambito biologico. Il termine stesso è poco usato nella letteratura
biologica, a differenza di quanto accade per altri stati emotivi come la rabbia o il piacere, che
vengono indicati nello stesso modo sia nella terminologia scientifica sia in quella di uso comune.
Ciò nondimeno, un attento esame dei dati che ci provengono dall'etologia e dalle neuroscienze
permette di rintracciare le basi evolutive di ciò che chiamiamo amore. E non potrebbe essere
altrimenti, quando si consideri l'importanza che assumono i legami affettivi nell'adattamento
biologico di molte specie sociali.
Nei Mammiferi superiori, e in particolare nei Primati, il legame tra madre e figlio costituisce il
modello fondamentale che consente di analizzare le basi biologiche dei processi affettivi. Buona
parte di ciò che sappiamo oggi in termini psicologici ed etologici sul legame madre-figlio lo
dobbiamo agli studi di J. Bowlby, psicoanalista inglese che, negli anni Cinquanta, abbracciò con
entusiasmo le teorie evoluzionistiche ibridando progressivamente gli insegnamenti della
psicoanalisi classica. Partendo da osservazioni sulle drammatiche conseguenze che la separazione
dalla madre aveva sullo sviluppo fisico e psichico di bambini ospedalizzati, Bowlby sviluppò una
teoria del legame madre-figlio, la cosiddetta teoria dell'attaccamento, nettamente diversa da quella
avanzata da Freud agli inizi del secolo.
Freud sosteneva che il bambino forma un legame d'amore con la madre perché impara con il tempo
ad associare la presenza della madre con il soddisfacimento del suo bisogno fondamentale: quello di
essere allattato. Al contrario, Bowlby ha sostenuto che il bambino, così come i piccoli di altri
mammiferi, ha una tendenza naturale a sviluppare un legame con la madre indipendentemente dal
soddisfacimento della fame. La ragione di ciò è che la vicinanza spaziale della madre e il contatto
con essa sono, nell'ambiente naturale, la migliore garanzia per evitare pericoli. Quindi, secondo
Bowlby, l'allattamento non è sufficiente per indurre la formazione del legame madre-figlio; sono
necessari anche tutti quei segnali sociali, tra i quali particolare importanza hanno il contatto fisico e
l'essere coccolato, che il piccolo cerca per istinto. A sostegno della teoria di Bowlby, lo psicologo
sperimentale americano H. Harlow dimostrò che piccoli di scimmia reso (lat. scient. Macaca
mulatta), allevati artificialmente in assenza della madre, passano la maggior parte del tempo in
contatto con un fantoccio ricoperto di morbida pelliccia, mentre limitano le loro interazioni con un
secondo fantoccio, privo di pelliccia ma fornito di biberon, al solo breve periodo della poppata. Un
ulteriore elemento a sostegno della teoria etologica dell'attaccamento è l'osservazione che i bambini
maltrattati fisicamente dalla madre non la evitano, ma cercano paradossalmente di essere confortati
proprio da chi è fonte delle loro terribili sofferenze. In sintesi, possiamo affermare che il legame con
la madre non è il risultato di un apprendimento basato sulla ricompensa, ma piuttosto è l'espressione
di un sistema comportamentale innato la cui espressione è influenzata da segnali di natura sociale.
Studi successivi dello stesso Bowlby hanno dimostrato che il legame con la madre è il prototipo di
altri legami affettivi che l'individuo formerà nel corso della sua vita. Per es., il rapporto d'amore con
il partner non include solo elementi sessuali, ma anche componenti emotive che derivano dal
sistema di attaccamento. E ancora, il legame del genitore con il figlio risente grandemente del modo
in cui il sistema di attaccamento si è sviluppato a suo tempo nel genitore attraverso le sue
esperienze infantili. L'implicazione generale di questi dati è che un buon rapporto con i genitori
durante l'infanzia è il miglior presupposto per la formazione di solidi e soddisfacenti legami d'amore
nella vita adulta. Al contrario, un attaccamento patologico nell'infanzia, esito di esperienze precoci
infelici, predispone a disturbi psicopatologici nell'età adulta e compromette lo sviluppo delle
successive relazioni affettive.
Di recente, grazie agli studi del neurobiologo J. Panksepp, la comprensione degli aspetti biologici
dell'attaccamento si è arricchita di dati neurochimici. Panksepp ha scoperto che nel controllo delle
emozioni affettive un ruolo importante è svolto dagli oppioidi endogeni, sostanze dotate di azione
analgesica, sedativa ed euforizzante che vengono prodotte a livello cerebrale in molte differenti
specie animali, incluso l'uomo. Il nome oppioidi deriva dalla loro affinità con i derivati sintetici
dell'oppio (morfina ed eroina), con cui condividono il meccanismo d'azione e gli effetti psicotropi.
In molte specie animali il contatto fisico o l'interazione sociale con un compagno di gruppo con il
quale esista un legame affettivo scatenano la liberazione di oppioidi endogeni a livello cerebrale.
Viceversa, la separazione dai compagni di gruppo o, nei piccoli, dalla madre si accompagna a una
diminuzione dei livelli cerebrali di oppioidi endogeni. In altri termini, l'interazione sociale genera
piacere perché si accompagna alla liberazione di 'droghe naturali', mentre la separazione è così
dolorosa perché causa una sorta di sindrome di astinenza da quelle stesse sostanze. Sulla base di
questi suggestivi risultati, Panksepp ha ipotizzato che l'abuso di eroina possa essere facilitato da
situazioni di isolamento affettivo e sociale. L'implicazione terapeutica di questa ipotesi è che il
trattamento della tossicodipendenza non può prescindere dall'instaurarsi di un clima di accettazione
e reintegrazione sociale del paziente.
2. Innamoramento e amore
Un'articolazione di livello più sofisticato, e di particolare interesse, è quella che vi è fra questi due
processi. Tra innamoramento e amore corre un profondo rapporto dinamico di libertà: basti pensare
che ci si può innamorare non solo di una persona fisica, ma anche di un'idea, di un programma, di
una missione o di una qualsiasi realizzazione, e si rifletta sul fatto che ciò è reso possibile dalla
preesistenza di una vita orientata all'amore. Pertanto, l'innamoramento può essere concepito come
un processo di salienza, di eccitazione 'soprasogliare', nascente da una matrice di effervescenza
stabile e da questa resa possibile; processo che a sua volta contribuisce in modo determinante al
mantenimento di questa matrice e alla sua crescita. Di durata necessariamente limitata,
l'innamoramento coincide con un'esperienza di vita che non si realizza in nessun altro stato
esistenziale e raggiunge il risultato paradossale di sembrare alieno rispetto all'effervescenza che lo
produce, essendone invece un'inalienabile manifestazione. Il paragone che sembra più appropriato
al riguardo è quello con le tempeste magnetiche della corona raggiata del Sole, che nascono dalla
immensa potenza interna dell'astro, innescando movimenti di straordinaria intensità, che si
proiettano a grande distanza dal Sole, ma che in nessun modo ne minacciano la vita o tentano di
sopraffarlo.
L'innamoramento è pertanto da considerarsi un processo parabolico, che, quando è autentico, è
destinato a transitare in amore-amicizia, trasformandosi in un affetto di attaccamento e di tenerezza
che dura nel tempo. Lo slancio amoroso del mistico, che viene subitaneamente trasportato in una
inusitata dimensione di amore verso Dio e che sembra bruciarsi in una improvvisa e travolgente
fiammata, per lasciare poi spazio a una laboriosa vita quotidiana di amore vissuta come carità,
sembra essere un'immagine adeguata delle relazioni che corrono fra innamoramento e amore. Ciò
che risulta possibile, a un ristretto numero di privilegiati, nella relazione con Dio, è possibile
nell'amore fra l'uomo e la donna, anche qui in un numero limitato di casi. In entrambe le situazioni,
comunque, tale processo appare di difficile comprensione da parte degli altri e di non facile
accettazione per quelli che si ritengono esclusi dal convito, o per chi se ne senta minacciato,
depauperato, quando la realtà va invece in senso del tutto opposto. E se è vero che nell'incontro dei
corpi maschile e femminile è sempre sotteso qualcosa di sacro, si può dire allora che in ogni fervore
di innamorati, che sia depurato di egoismo, echeggi in qualche modo la ricerca del divino.
3. La vita di amore
La vita di amore consiste nel rimanere in una relazione vivificante, mentale e corporea, con l'altro,
sia esso un partner, o un programma d'azione, o Dio: relazione in cui coesistano, con pari incisività
e separazione, sé stesso e l'altro; dove rimanga sempre aperta la possibilità del fondersi insieme per
ritrovarsi più sé stessi, e il cui innesco risieda nella intatta disponibilità a emozionarsi in eventi
affettivi. La ricaduta di questi ultimi risulta sempre a vantaggio e a incremento della coppia stabile
di amore, che costituisce comunque l'interesse primario e maggiore della vita di amore.
A un livello profondo, lo scambio di coppia si verifica nella consapevolezza degli amanti di
costituire due esseri diversi e reciproci, rispettivamente maschio e femmina, che, per potersi
intendere, debbono avere in sé ciascuno qualcosa dell'altro. Il tema della reciproca bisessualità è il
punto più profondo dello scambio fra i due amanti, ed è condizione e promozione della pienezza del
loro amore. La consapevolezza di tale condizione comporta che nell'atto di amore ciascuno dei
partner esperimenti il genere dell'altro (il mito dell'ermafrodita) in un modo che la distinzione fra i
generi non sia perduta, ma innalzata nella reciproca proiezione della controparte bisessuale.
Dipende da questa esperienza il fatto che un incontro di amore fa sentire rispettivamente 'più
donna', 'più uomo', un evento che per definizione non può realizzarsi in alcun rapporto omosessuale.
Lo scambio può realizzarsi in modo così completo da far sentire a ciascuno dei partner 'io sono
l'altro, e l'altro è me', e da rendere questa identità sempre più comprensiva, sino a far divenire i due
partecipi della struttura dell'universo stesso. Per questo nelle manifestazioni autentiche della vita di
amore scompaiono spontaneamente le rivalità, le inimicizie, le gelosie, le invidie e i sospetti, e la
consapevolezza di ciò, della reciproca donazione bisessuale, è causa diretta di gioia, certo la più
completa e la più elevata di cui possa godere l'uomo nella sua esperienza terrena.
L'amore esiste in tante forme diverse a seconda delle persone, della loro storia esistenziale e delle
vicissitudini del loro sviluppo psicologico. È indiscutibile che le emozioni, le pulsioni sessuali, i
bisogni, che danno origine ad attrazioni e a desideri, e vi sono strettamente connessi, abbiano una
complessa dinamica inconscia. Dinamica che, insieme a fattori costituzionali e alla storia personale,
forma l'irriducibile e inesauribile singolarità di ogni individuo. È nella coppia, nella famiglia e nel
gruppo che si evidenziano le distorsioni psicopatologiche dell'amore. Spesso queste hanno origine
da una dipendenza eccessiva dalle figure parentali interiorizzate e i soggetti in cui si riscontrano
sono legati al bisogno di essere amati nel modo (per lo più castratorio) in cui lo furono dai loro
genitori.Le alterazioni psicopatologiche più gravi, tuttavia, incidono pesantemente sulla struttura
della personalità, sulla sua integrità e possibilità di stabilire legami, e limitano quindi, o
impediscono del tutto, la capacità di sperimentare con pienezza il sentimento amoroso.
La melancolia, per es., caratterizzata da una grave perdita dell'autostima, comporta il ritiro dal
mondo circostante e una perdita del sentimento di sé, il che induce il soggetto a sentirsi del tutto
'vuoto'. Il depresso non può amarsi più di quanto possa amare un altro; nelle forme più gravi si
riscontra il tipico 'sentimento della mancanza di sentimento', vissuto tormentoso che può, in certi
casi, indurre al suicidio. L'orizzonte del depresso resta quindi inesorabilmente chiuso al motus
amoris. Nel maniacale, d'altronde, l'esagerato senso di esaltata autovalutazione, di onnipotenza e di
trionfo, il succedersi rapido dei sentimenti, la loro transitorietà, ostacolano gravemente la possibilità
di vivere un'intima esperienza profonda e continuativa di un progetto duale com'è quello amoroso.
L'esistenza euforica o disforica di questo tipo di patologia non mostra slancio oblativo, dimensione
alter-egoica. Un quadro ancor più grave è quello delle alterazioni affettive schizofreniche
(paratimie) con le conseguenti reazioni incongrue, gli stati di estraneità e di spersonalizzazione, il
pensiero arcaico e bizzarro, gli stati catatonici, gli scoppi improvvisi di affetti trasversali intrisi di
aspetti incestuosi e di paranoidismo sadico, di intuizioni deliranti, in un misto inestricabile di
aggressività e apatia, malignità sessuale e indifferenza.
Tra le psicosi, particolarmente attinente al tema dell'amore è l'erotomania. Anche in questo quadro
patologico l'irrealtà è dominante, il costante riferimento all'oggetto 'amato' è pervasivo, come la
convinzione che uno sguardo o una parola casuali siano, per il malato in preda al delirio, del tutto
intenzionali. Nascono allora estasi erotiche suscitate da lontano, qualche volta da una presenza
invisibile, nell'assoluta certezza di una totale corrispondenza, che solo esseri malvagi impediscono
sia palesata.Altre distorsioni psicopatologiche, attinenti all'amore, sono il cosiddetto
dongiovannismo e la ninfomania. Il Don Giovanni, al di là della sua esibita 'ipersessualità', in
quell'essere spinto alla conquista che non trova mai compimento in un unico oggetto d'amore,
mostra la sua incapacità di amare e la sua carenza oblativa. Più che interessato all'oggetto della sua
attenzione è teso a raggiungere compensi narcisistici per accrescere la propria carente autostima. Il
suo interesse, quindi, è rivolto alla violazione dell'intimità dell'altra più che alla sua persona. Si
tratta di una relazione a senso unico: nella donna (l'altra) si 'imbatte', ma non la 'incontra'.
La ninfomania, ritenuta anch'essa una forma di ipersessualità femminile, è basata su un'analoga
struttura psicologica in cui prevale un forte bisogno di compenso narcisistico. Da qui ha origine la
coazione a ottenere un soddisfacimento sessuale che non viene mai raggiunto. La ninfomane mostra
un atteggiamento, nei confronti dei suoi partner, caratterizzato dalla strumentalizzazione e
dall'ambivalenza, poiché li ritiene, più o meno coscientemente, responsabili dei suoi ripetuti
fallimenti.Fra le incapacità di amare emerge l'ampia gamma delle gelosie patologiche, da quelle in
cui prevalgono i sentimenti di insicurezza e di inferiorità a quelle fortemente passionali nutrite di
idee prevalenti, a quelle del tutto deliranti (nei paranoidi e negli alcolisti) fino a scatenare raptus
omicidi. All'origine della gelosia appaiono un intenso bisogno di restaurazione narcisistica, fantasie
d'infedeltà (proiettate nell'altro al quale vengono attribuite) e latenti tendenze omosessuali. L'amore
del geloso è, infatti, profondamente trasformato dalla triangolarità insopprimibile (io-tu-lui), che
taglia alla radice l'essenza dell'amore cioè la 'dualità'.
Da ultimo accenniamo alle devianze sessuali: dal feticismo alla pedofilia, dal voyeurismo
all'esibizionismo, dal travestitismo al sadomasochismo. A parte le innumerevoli varietà, presenti sia
pure in minime tracce in ogni individuo (ricordiamo il piccolo 'perverso polimorfo' di Freud), quel
che balza agli occhi nella perversione è la manipolazione onnipotente dell'altro, che viene
depersonalizzato, e con cui non si stabilisce un'autentica relazione o reciprocità (v. sopra: Psicologia
dell'amore). Secondo il punto di vista psicoanalitico, la perversione sarebbe un tentativo di fugare il
terrore della castrazione mettendo in atto meccanismi di restaurazione narcisistica e adottando
meccanismi di negazione e di scissione.
Dalla lente di ingrandimento della patologia emerge ciò che nel corso dello sviluppo psicologico
contribuisce a ostacolare la piena capacità di provare il sentimento amoroso: un grave squilibrio tra
narcisismo e rapporto oggettuale. Se la lesione narcisistica, che si accompagna a una patologia
dell'Io, è eccessiva, si formano, nell'individuo, tentativi di restaurazione che vanno a scapito della
capacità oblativa, del "prendersi cura di" (Callieri 1993b) e della reciprocità, che sono la
componente essenziale del sentimento amoroso. Dice Hölderlin in Hyperion (2° libro) che "l'uomo,
se ama, tutto scorgendo e tutto illuminando, è un sole; se non ama, si riduce ad un'oscura, angusta
abitazione dove arde una misera, minuscola lampada".
bibliografia