Permettere al Tao di sbocciare non è possibile che seguendone
la Via che sfida ogni descrizione: «da cuore a cuore». I mezzi pratici che permettono di dimostrare questo cammino sono numerosi. Essi sono tuttavia tutti (utilizzati e esercitati nella maniera giusta) delle forme di realizzazione del Tao. C'è un “Tao della tecnica”. La tecnica perfetta nella pratica di un esercizio (gyo) è, in sé, una manifestazione del Tao. Nel Tao della Tecnica, essa stessa è Tao e Tao è la tecnica. Dunque tecnica = Tao e Tao = tecnica. Per pervenire al possesso e alla gioia del Tao nell'esercizio del tiro con l'arco, bisogna morire a tutto quello che è voluto e cosciente, in favore dell' Essere essenziale puro e libero. Bisogna anche imparare a controllare l'irruzione della grande Verità, simile ad una sorgente perpetuamente zampillante, e pervenire infine, appoggiandosi sull'intenzione giusta, a manifestare il Tao per un attitudine conforme. E' una via molto “facile” e diretta. Ma, per ognuno, la cosa più difficile è, al momento stesso di far partire la freccia, di lasciar totalmente morire il proprio io. La “morte totale” di cui si tratta qui non è quella “morte” inutile dove, per tenere e tendere l'arco, uno sforzo eccessivo fino allo sfinimento fa soffrire un'agonia psichica e fisica. La “morte assoluta dell'Io”, ben compresa, è quella che dà accesso alla libertà della vita e della morte elevandosi al disopra dell'una e dell'altra, quella che porta l'allievo a scoprire il suyo vero cuore, il suo Essere essenziale, ed a schiudersi nella Vita infinita, aldilà della vita e della morte. Si tratta di annullare questo io restato prigioniero degli opposti, così bene con l'assoluto che con il relativo. Rendere possibile la morte totale del piccolo io è, per un esercizio instancabile, sforzarsi all'attitudine giusta – sotto la direzione di un maestro che la possieda e la sveli. La prima tappa consiste nell'assimilare, per una lunga pratica del tiro, esattamente tutti gli elementi del processo, in modo che la padronanza assoluta della sua “legge naturale” elimini la più leggera tensione del corpo, la minima contrazione. Bisogna in seguito imparare a liberarsi da tutti i legami, da tutte le inquietudini e divenire puro come un bambino. Il nucleo stesso dell'esercizio, che scappa a tutta la coscienza oggettiva, appare allora alla luce interiore e questa “forma pura”, riflessa nella coscienza, entra in gioco da se stessa, senza sforzo né ricerca. Il cammino verso la purezza necessaria per raggiungere e lasciar schiudere il «Gyo Tao», è a doppia: 1. Si impara a superare tutta la coscienza intenzionale e tutte le fluttuazione dell'umore al fine di divenire libero di ascoltare infine, nel profondo del suo essere, la voce del vero cuore, vale a dire dell' Essere essenziale alla ricerca del Tao. 2. Si segue fino alla fine il cammino della coscienza oggettiva, intenzionale, poi spezzandosi sui suoi limiti, si arriva al movimento del progresso senza fine. Se uno di questi due cammini conduce allo scopo, si è divenuti puri, liberati dal proprio “fare” artificiale. La purezza perfetta non è nient'altro che lo schiudersi del Tao. In lei la grande Verità è al tempo colta e manifestata. Un santo di altri tempi ha detto: «Purezza o impurità hanno lo stesso senso che raggiungere o mancare il Tao. Colui che cerca il Tao non può pervenirvi che per la purezza». In tutto l'esercizio si deve, dal primo passo, mettere tutto in opera per vincere l'impurità. Ma che cos'è l'impurità? E' tutto quello che riguarda l'io, tutti gli attaccamenti dell'io. Perché l'uomo inizia sovente l'esercizio con le sue impurità (volontà propria, coscienza dell'io, ambizione), non arriva a disfarsi del dualismo, del “giusto” e “non giusto” “bene” e “male”, essere e non essere, e dimora preso nell'errore, il dubbio e la mancanza di fede. Fintanto che un opinione dell'io “sulla domanda” prende il primo posto, egli non perviene all'attitudine giusta. Anche quando egli “percepisce” e comprende interiormente questo, egli è incapace, con la migliore volontà del mondo, di mantenervisi. Al momento decisivo, il suo io lo tiene prigioniero. Egli resta sospeso, in uno stato pietoso e, benché senta la sua attitudine falsa, incapace di progredire. Quale che sia il suo zelo nello sforzo, il Tao gli resta inaccessibile. Per raggiungerlo, egli deve pervenire alla completa conversione del cuore, la purificazione. Fin là, la trasmissione del Tao “da cuore a cuore” gli è, anche lei, chiusa. Quest'uomo si trova ancora fuori dal Tao. Cosa si intende, durante il corso di un esercizio, trovarsi all'interno del Tao? Ci sono tre tipologie di allievi: Ci sono quelli che sono di fatto fuori dal Tao. Essi si impegnano, ma cercano giustamente là dove non lo si può trovare. Sentono bene che c'è del falso nella loro attitudine. Essi sono convinti della giustezza di quella degli altri e tentano di pervenirvi. Ma pertanto essi restano attaccati alla loro cattiva attitudine perché, benché sembrino conoscerla, essi non si rendono conto di quello che e giusto e di quello che non lo è. E' per questo che che non arrivano a trasformare l'attitudine, che essi sanno tuttavia falsa, in attitudine giusta. Anche distinguendola, restano rinchiusi nell'errore, nel loro conflitto tra giusto ed ingiusto, bene e male. Di tanto in tanto essi pervengono allo stato di spirito adeguato e si trovano nella pace e nella concentrazione giusta. Ma ben presto essi si separano da questo stato di discernimento e la lotta tra giusto e ingiusto, bene e male, riappare. Si può chiamare questo il dedalo del conflitto degli opposti, o l'aberrazione dualista. Quello che tiene prigioniero, si trova ancora al di fuori del Tao ed il cammino “da cuore a cuore” gli è chiuso. Altri sono già all'interno del Tao. Il loro lavoro è buono e, immancabilmente, il Tao si sveglia in loro. Ma, all'inizio, essi si ingannano sulla loro posizione all'interno di questo. Tra loro si trovano degli allievi che sanno veramente l'attitudine che bisogna avere e lavorano in una buona direzione, verso la liberazione dall'io. Pertanto essi fanno fatica a mantenervisi. Quando, grazie ad una pratica instancabile, essi hanno raggiunto l'attitudine giusta, si interrompono, si fermano. Fare un passo in avanti diventa per loro impossibile. Essi allora se ne rendono conto e riprendono il loro cammino. Altri allievi, già all'interno del Tao, hanno coscienza dello stato di spirito che vi é conforme e vi si mantengono senza grande difficoltà. Questi discepoli sono liberati da quello che é falso e, da che si accorgono di un errore, riprendono la buona direzione. Che questa conoscenza sia portata per un altro o che essa nasca in loro, poco importa: dal momento in cui essa sboccia, essi “cadono” da loro stessi, fisicamente e spiritualmente, nell'attitudine giusta e vi si tengono. Anche questi discepoli rischiano un giorno di smarrirsi sulla Via. Tuttavia non restano mai immobili, progrediscono costantemente. Per loro non c'è più altro cammino che quello verso l'alto e, passo a passo, vi avanzano. Questi due ultimi tipi di discepoli non possono mancare di arrivare all'illuminazione poiché, gli uni come gli altri, non segnano mai il passo, non restano mai immobili. Per queste due categorie, si tratta di “deviazioni” all'interno di uno stato del Tao, di errori interni. Questi d'altronde non sono praticamente errori. In loro esiste il “dare e prendere da cuore a cuore”. C'è infine il grado dove - pensiero, azione o attitudine – tutto quello che si fa, o rinuncia di fare, testimonia il Tao, manifesta il Tao. E' il grado della maestria. Gli allievi che abbiamo descritto come all'esterno del Tao caratterizzano il grado meno elevato del tiro con l'arco. E' il livello dello “apprendistato”. Gli altri livelli comportano già qualcosa in più di quello. Negli allievi più avanzati, l'esercizio e divenuto azione (non come l'azione di mirare diretta dall'io, ma azione del Tao per mezzo del tiro con l'arco). Il processo di formazione obbedisce alla legge della vita. I progressi oltrepassano l'acquisizione della tecnica propriamente detta ed il possesso della forma esteriore. Essi conducono alla nascita della “forma” che é al di là di tutte le forme, al compimento della Legge che é al di là delle leggi esteriori e, per una via particolare, alla Via. Il progresso decisivo non é una questione di tempo, esso dipende da “dove si trova il cuore” (dipende dalla grande metamorfosi). Si può pervenire di colpo all'illuminazione. L'accesso al grado della conoscenza ultima non é dunque, in fondo, una questione di evoluzione ma di rivelazione improvvisa. Il tiro con l'arco é un cammino che porta alla nascita del Tao. E' un modo della Via. Acquisire il Tao per l'esercizio del tiro con l'arco dipende dalla giusta attitudine in colui che lo pratica. Egli accede a questo stato interiore per la purezza e la morte dell'io. Quando il piccolo io muore totalmente, e in quel momento solo, egli può pervenire alla vera illuminazione e, nel senso proprio del termine, alla tecnica che eguaglia il Tao; raggiungere anche la manifestazione di questo e la conoscenza suprema per la giusta utilizzazione della grande saggezza. Infatti il Tao non è altro che la Purezza assoluta, e questa non significa altro che la grande Verità che abbraccia l'universo intero. Il cuore di un uomo del Tao, vale a dire un uomo che gli porta testimonianza, che annuncia il Tao senza il minimo sforzo, e il cuore di colui che lo cerca non sono, l'uno e l'altro, che una modalità della Purezza assoluta, con la sola differenza che nel cuore dell'uomo in ricerca essa non é ancora evoluta, torbida e alterata e che, nel risvegliato, essa si manifesta in tutta la sua limpidezza. Così ne è anche della relazione tra allievo e maestro. Improvvisamente, senza alcun segno precursore, quello che emana dal maestro e quello che vorrebbe farsi giorno nell'allievo si incontrano. Di colpo, in questa presenza comune, il cuore del maestro e quello dell'allievo divengono “uno”. E' quello che si chiama “da cuore a cuore” ed é per questo che il Tao non può essere “trasmesso” che a colui che già lo possiede. Maestri e allievi del mondo intero, ricordatevi di questo: «Siete o no all'interno del Tao?»