IL RAPPORTO BRUNDTLAND
Il Presidente della Commissione Mondiale per l’ambiente e sviluppo, presenta, nel 1987 su
incarico delle Nazioni Unite, il Rapporto Brundtland e formula una efficace definizione di
Sviluppo Sostenibile, ovvero: “Lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni della generazione
presente, senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i
propri”.
Nel Rapporto si legge tra le parti più importanti un inciso relativo al concetto di “ Sforzi comuni”
ovvero: “la protezione ambientale e lo sviluppo sostenibile devono diventare parte integrante dei
mandati di tutti gli enti governativi, organizzazioni internazionali e grandi istituzioni del settore
privato; a essi va attribuita la responsabilità di garantire che le loro politiche, programmi e bilanci
favoriscano e sostengano attività economicamente ed ecologicamente accettabili a breve ed a
lungo termine”.
Gli OBIETTIVI previsti dal trattato di Brundtaland sono:
Salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente;
Protezione della salute umana;
Utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali;
Promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere il problema
dell’ambiente;
Con l’ampliamento avvenuto con il Trattato Di Maastricht nel 1992 è stato riconosciuto il concetto
di Crescita Sostenibile (economia sostenibile) nel rispetto ambientale.
Affinché Le future generazioni possano avere quanto meno, lo stesso modo di vita che ha la
nostra generazione, bisognerà giungere ad un’economia da Sviluppo Sostenibile. Si tratta di
un’economia non più basata su due parametri: il Lavoro ed il Capitale. Un’economia Ecologica è
basata invece su tre parametri: il Lavoro, il Capitale Naturale (l’insieme dei sistemi naturali (mari,
fiumi, laghi, foreste, flora, fauna, territorio) e dei prodotti agricoli, della pesca, della caccia, ed il
patrimonio artistico culturale presente sul territorio) ed il Capitale Prodotto dall’Uomo.
Il concetto di sviluppo sostenibile si è definito nell’ambito di CONFERENZE
INTERNAZIONALI, infatti il dibattito ha coinvolto, a partire dagli anni ‘70, istituzioni, studiosi e
movimenti (nello specifico gli studiosi mettevano in evidenza le problematiche e le istituzioni
intervenivano per stimolare tutto questo).
Nel 1972 abbiamo avuto la Conferenza di Stoccolma, dove i Governi hanno si sono resi conto
del rischio di esaurimento delle risorse naturali e della necessità di una legislazione che regoli
tutte le attività per ridurre l’impatto ambientale. Durante questa Conferenza per la prima volta
è stata attirata l’attenzione necessità di preservare gli habitat naturali (per produrre un
miglioramento duraturo delle condizioni di vita) e sulla necessità di una cooperazione
internazionale per raggiungere questo obiettivo.
La Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 è una tappa fondamentale perché nel documento che
veniva definito “Oltre i limiti” si denunciavano i danni provocati dalla sviluppo economico e
dal progresso tecnico e si indicavano le azioni da adottare con urgenza:
• controllo demografico
• riduzione dello sfruttamento delle risorse naturali
• la necessità di incrementare gli investimenti in tecnologie eco-compatibili
Inoltre, il vertice di Rio ha prodotto un importante documento programmatico:
AGENDA 21, dove vengono indicati gli obiettivi da raggiungere nel 21° secolo. Agenda 21
è una piano d’azione per lo sviluppo sostenibile, da realizzare su scala globale, nazionale e
locale con il coinvolgimento più ampio possibile di tutti i portatori di interesse
(stakeholders) che operano su un determinato territorio. Gli elementi chiave risultano
quindi essere trasparenza, partecipazione, azione e sussidiarietà che includono il vero
significato di pensare globalmente e agire localmente. Infatti i Governi devono agire
cooperando a livello internazionale e stimolando la partecipazione della comunità a livello
locale.
Per quanto riguarda la Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo: questa definisce in
27 principi, diritti e responsabilità delle nazioni nei riguardi dello sviluppo sostenibile, gli
stati coopereranno in uno spirito di partnership globale per conservare, tutelare e
ripristinare la salute e l’integrità dell’ecosistema terrestre.
Dopo Rio, affinché l’Europa Risponda positivamente alla sfida dello sviluppo sostenibile, viene
organizzata nel 1994 la Conferenza di Aalborg nel cui ambito nasce la Campagna Europea Città
Sostenibili. La Città quindi viene individuata come luogo prioritario di attuazione delle
politiche per la sostenibilità ambientale, soprattutto in attuazione dei programmi di Agenda
21. Le città riconoscono il loro ruolo fondamentale nel processo di cambiamento degli stili di
vita e dei modelli di produzione , di consumo e di utilizzo degli spazi.
Le città e le regioni Europee si impegnano quindi:
o Ad attuare L’agenda 21 a livello locale;
o A elaborare piani a lungo termine per uno sviluppo durevole e sostenibile;
o Ad avviare una campagna di sensibilizzazione
Oggi in Italia sono numerose le amministrazioni che, firmando la Carta di Aalborg e aderendo
alla Campagna Europea Città Sostenibili, stanno promuovendo processi di Agenda 21 locale
sul proprio territorio.
La Conferenza di Lisbona del 1996 e quella di Hannover del 2000 rappresentano un momento
di confronto importante per i paesi che hanno raccolto questa sfida.
2002, la Dichiarazione di Johannesburg: il Vertice Mondiale sullo sviluppo sostenibile
organizzato dalle Nazioni Unite prevede la partecipazione di numerosi capi di Stato e di
governo, rappresentanti delle Organizzazioni Non Governative (ONG), del settore privato e di
altri gruppi di interesse. Obiettivo: puntare l'attenzione sulle nuove sfide da affrontare per
realizzare uno sviluppo sostenibile, cioè un modello di sviluppo che coniughi gli aspetti
economici con quelli sociali e ambientali, in grado di assicurare una società più equa e
prospera, nel rispetto delle generazioni future.
Il Protocollo di Kyoto è un trattato internazionale, entrato in vigore a febbraio del 2005, che ha
come scopo la salvaguardia del clima mondiale, a cui hanno aderito 185 paesi in occasione
della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. I paesi
industrializzati hanno l'obbligo di ridurre le emissioni di gas serra di almeno il 5% rispetto ai
livelli del 1990, nel periodo che va dal 2008 al 2012. Inoltre gli stessi paesi devono realizzare
progetti di protezione di boschi, foreste e terreni agricoli che assorbono anidride carbonica ( le
cosiddette aree assorbitrici di CO2). E questi paesi possono guadagnare “Carbon Credit”
esportando tecnologie pulite ai paesi in via di sviluppo allo scopo di aiutarli ed abbattere le
emissioni inquinanti nei processi produttivi. Sono previste sanzioni per i paesi firmatari che
mancheranno di raggiungere gli obiettivi fissati dal protocollo, invece, per i paesi in via di
sviluppo sono previste regole più flessibili.
In riferimento ai PAESI NON ADERENTI: I Paesi in Via di Sviluppo, al fine di non ostacolare
la loro crescita economica frapponendovi oneri per essi particolarmente gravosi, non sono stati
invitati a ridurre le loro emissioni. Esempio fra tutti la Cina. Tra i paesi non aderenti figurano
gli USA, responsabili del 36,1% del totale delle emissioni. In principio, il presidente Bill Clinton
aveva firmato il Protocollo durante gli ultimi mesi del suo mandato, ma George W. Bush, poco
tempo dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, ritirò l'adesione inizialmente sottoscritta.
Anche l’Australia, nonostante abbia firmato il Trattato, ha annunciato che non intende
ratificarlo per non danneggiare il proprio sistema industriale. E anche il Kazakistan ha firmato
il documento, ma non lo ha ancora ratificato.
IL FUTURO: in prospettiva della scadenza del Protocollo di Kyoto, nascono degli accordi,
come quello avutosi durante la Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sui Cambiamenti
Climatici nel 2009 a Copenaghen, in Danimarca, nell’ottica di far partecipare alla risoluzione
del problema ambientale anche Paesi prima in via di sviluppo (ad esempio la Cina) poi
diventati emergenti. Gli obiettivi principali sono: ridurre le emissioni di gas a effetto serra
(riduzione di CO2), in particolare da parte dei paesi sviluppati, per contrastare i mutamenti
climatici prodotti dall'uomo, e effettuare un sostegno finanziario per la mitigazione e
l'adattamento ai cambiamenti climatici da parte dei paesi in via di sviluppo.
All’accordo di Copenaghen (2009) segue la Conferenza sul clima di Parigi, nel 2015, che
rappresenta un accordo tra gli stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui
Cambiamenti Climatici, il cui obiettivo è quello di contenere l'aumento della temperatura
media globale al di sotto dei 2 °C e di limitare questo aumento a 1.5 °C, poiché questo
ridurrebbe sostanzialmente i rischi e gli effetti dei cambiamenti climatici.
Questa conferenza prevede:
un obiettivo a lungo termine
un consenso globale, Infatti aderito tutto il mondo compresi i 4 più grandi inquinatori
ovvero l'Europa, la Cina, gli Stati Uniti (questi ultimi due pesi rappresentano il 38% delle
emissioni globali) e l'India.
la trasparenza,i governi hanno accettato di comunicare ogni cinque anni i risultati raggiunti
nell'attuazione dei rispettivi obiettivi al fine di garantire trasparenza e controllo.
controlli ogni 5 anni, dove i paesi più industrializzati volevano che fossero gli organismi
internazionali a controllare se ogni paese rispetta le sue quote dimissioni, invece i paesi
emergenti (soprattutto la Cina) hanno chiesto e ottenuto che ogni Stato verifichi le sue.
rimborsi ai paesi più esposti, in quanto l'accordo dà il via a un meccanismo di rimborsi per
compensare le perdite finanziarie causate dai cambiamenti climatici nei paesi più
vulnerabili geograficamente, che spesso sono anche più poveri, e questo per aiutarli sia a
ridurre le emissioni che a diventare più resilienti agli effetti dei cambiamenti climatici.
Tuttavia tutte queste conferenze mondiali, indicano un fallimento delle strategie nel settore
d’interesse, ma in tutte si è accennato il tema delle fonti di energia rinnovabili soprattutto per il
loro contributo nella riduzione di emissioni da gas serra. Data la predominanza dei combustibili
fossili si prevede che le emissioni di CO2, aumenteranno più rapidamente del consumo energetico
(2,1% l’ anno in media). Nel 2030, le emissioni di CO2 saranno raddoppiate rispetto ai livelli del
1990. Nell’UE, entro il 2030, le emissioni di CO2 dovrebbero aumentate del 18% rispetto ai livelli
del 1990; negli Stati Uniti l’aumento sarà pari a circa il 50%: Le emissioni dei Paesi in Via di
Sviluppo rappresentavano nel 1990 il 30% del totale, ma questi paesi saranno responsabili di oltre
la metà delle emissioni di CO2 nel 2030.