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fino a noi; bensì dall’essere noi saliti (per così dire)
fino ai re: dall’esser cioè divenuti noi tanti piccoli re,
stracarichi di boria e d’ogni altro regale peccato;
perpetuamente illusi di nostra potenza, così nelle
battaglie dell’anima come in quelle della vita;
preoccupati sempre di ciò che muta, più che
dell’eterno immutabile; serrati nella ferrea cerchia dei
nostri pregiudizi, che sono i nostri fedeli cortigiani, e
ciascuno ha la sua gran parola e la sua infallibile
sentenza da sussurrarci misteriosamente all’orecchio o
da declamarci pomposamente davanti nell’ora del
dubbio. Ora, seguendo appunto questa mia
fantasticheria da profano, pensai che, cresciuto in così
straordinaria guisa il numero dei re e delle corti, ci
fosse più bisogno di favole, al mondo, oggi, che non ai
tempi di Esopo. E così, come a Dio piacque, mi misi a
scriverne qualcuna: poi altre, poi altre ancora. E ora
che, bene o male, le ho scritte, vorreste forse che le
buttassi via?