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NEUROLOGIA 12/O4 ULTIMA LEZ

LA SCLEROSI MULTIPLA

È una delle più frequenti malattie neurologiche che colpisce i soggetti identificati come giovani adulti in
contrapposizione alle malattie cerebrovascolari che sono più frequenti negli anziani.

È più frequente nelle persone di origine caucasica, si stima che circa 3mln di persone al mondo abbiano la
malattia e in Italia la stima è di circa 122k soggetti con circa 3400 nuovi casi l’anno ed è più frequente nel
sesso femminile: il rapporto f/m è di 3:1.

Ci sono continui aggiornamenti su dati epidemiologici della malattia.

È almeno 2 volte più frequente nelle donne e tende ad avere una età media di esordio di 30 anni.
Normalmente l’esordio classico si pone tra i 20 e i 40 anni, ma molto spesso abbiamo forme dei due estremi
della vita, cioè prima dei 20 (anche in età pediatrica, prima dei 18) e dopo i 40, con esordio anche oltre i 50
anni. Quindi l’esordio della malattia si sta sempre più spalmando.

SLIDE: in questa cartina è riportata la prevalenza in base alla nazione, anche se ci sono nazione di cui non
abbiamo info. Però un dato che è noto da alcuni decenni è che esiste un gradiente latitudinale di incidenza
e prevalenza della malattia, cioè la malattia tende ad essere più frequente quanto più ci si allontana
dall’equatore ed è più frequente anche nei paesi occidentali dell’Occidente “ricco”. Le ragioni di questa
maggiore incidenza e prevalenza non sono note, c’è una verosimile suscettibilità genetica. Esistono delle
ragioni di ordine ambientale e le prime osservazioni (recentemente confermate) riguardo studi di
migrazione della popolazione hanno permesso di stabilire che il rischio di contrarre la malattia se la
migrazione va da un’area a bassa prevalenza verso un’area ad alta prevalenza e se questo spostamento
avviene prima dei 15 anni di età, si acquisisce il rischio della zona di trasferimento. Se la migrazione avviene
invece dopo i 15 anni di età (dopo l’adolescenza) il rischio di contrarre la malattia è lo stesso della zona di
origine. Quindi ci sono dei fattori di natura ambientale che intervengono nelle prime fasi della vita per
stabilire il rischio che si sviluppi una malattia autoimmunitaria.

Il rapporto f/m tende ad incrementare proprio nelle aree a maggiore incidenza e prevalenza, cioè a mano a
mano che si va avanti nel tempo sembrerebbe che questo rapporto tenda ad aumentare e si ammalano
sempre più donne rispetto ai maschi. Non abbiamo certezza di quali siano le cause di questo fenomeno, ma
verosimilmente qui intervengono fattori che riguardano fertilità e aspetti ormonali.

È una malattia che colpisce il SNC ed è una malattia autoimmunitaria nella quale abbiamo l’aggressione da
parte del sistema immunitario della mielina (rivestimento degli assoni, cioè dei prolungamenti dei neuroni
che permettono a queste cellule di comunicare con altre cellule). La mielina del SNC è costituita dagli
oligodendrociti, mentre nel SNP è costituita dalle cellule di schwann. Il nervo ottico, che fa parte dei nervi
cranici, è essenzialmente una estensione dell’encefalo, quindi è costituita da mielina centrale, ragione del
fatto che il nervo ottico può essere una sede di lesione tipica della malattia.

Abbiamo detto che è una malattia autoimmune, quindi è il sistema immunitario che ha qualcosa che non va
e dirige la propria attivazione e la propria azione contro la mielina. Normalmente noi abbiamo dei neuroni
che hanno un assone ricoperto da guaina mielinica che non è un rivestimento continuo, ha delle
interruzioni dove avvengono i fenomeni elettrici di propagazione del potenziale d’azione, cioè
l’informazione elettrica che corre lungo l’assone. Nel neurone che va incontro a un processo di
demielinizzazione abbiamo un processo di conduzione del segnale che avverrà in maniera alterata.

La mielina è una guaina isolante che riveste i prolungamenti dei neuroni. Nella sclerosi multipla abbiamo
una perdita, un’aggressione della mielina che conduce alla perdita di questo rivestimento in più aree del
SNC (cervello, nervi ottici, midollo spinale) e le aree di perdita di mielina sono definite anche dal punto di
vista anatomo-patologico placche. I primi studiosi che le hanno identificate e descritte hanno messo in
risalto gli aspetti istopatologici che facevano riferimento al contenuto di tessuto fibroso cicatriziale, per
questo sono state identificate come sclerosi, perché questo era il termine che identificava i processi
cicatriziali. Queste placche hanno grandezza variabile (da almeno 3 mm fino a diversi cm). Per questo la
malattia ha preso questo nome di sclerosi a placche o sclerosi multipla.

Il danno alla mielina provoca una alterazione nella conduzione nervosa, avremo un difetto trasmissione
dell’impulso e i messaggi che vanno dal cervello al corpo e dal corpo al cervello vengono interrotti e non
trasmessi correttamente. Quando la mielina è danneggiata parliamo di demielinizzazione.

Dal punto di vista patogenetico, l’eziologia innanzitutto è ignota, cioè non conosciamo quali sono le cause
scatenanti, ci sono delle ipotesi. Basti sapere che avviene a livello del corpo, in periferia un’attivazione del
sistema immunitario che innesca una risposta da parte delle cellule del sistema immunitario che si attivano
contro degli antigeni della mielina del SNC. Queste cellule così predisposte ad attaccare la mielina
raggiungono il cervello, attraversano la barriera ematoencefalica (cioè la barriera che si pone tra il tessuto
nervoso e il compartimento vascolare e che è una barriera diversa dai capillari che sono presenti in altri
organismi perché il cervello e il midollo sono organi che richiedono una certa cautela, quindi si tratta di una
barriera importante che permette il passaggio soltanto a molecole selezionate e normalmente non
permette il passaggio indiscriminato delle cellule del sistema immunitario, quindi queste cellule devono
effettuare una forzatura sulla barriera ematoencefalica, quindi verosimilmente ne determinano una sorta di
danno, per cui si parla di rottura della barriera ematoencefalica ), quindi ne deriva una aumentata
permeabilità della stessa alle cellule, ma anche ad altre sostanze. Una volta all’interno del parenchima
cerebrale e del midollo spinale, le cellule del sistema immunitario rilasciano mediatori (molecole
dell’infiammazione) che stimolano anche cellule della microglia e anche cellule provenienti dal sangue a
distruggere la mielina.

La malattia può avere diversi decorsi. Nella maggioranza dei casi abbiamo un esordio della malattia con uno
dei sintomi delle manifestazioni cliniche (che tra poco vedremo). Queste manifestazioni cliniche possono
avere un loro decorso e poi andare incontro ad una risoluzione o spontanea o a seguito di terapie e dopo
un periodo variabile di tempo la malattia può presentarsi……*arriva la chiamata*

Eravamo arrivati ai decorsi, quindi la stragrande maggioranza degli individui ha questo esordio che viene
definito recidivante-remittente, è la forma più frequente della malattia all’esordio, la gran parte dei pazienti
secondo quanto avviene nella storia naturale della malattia, non quella modificata nel suo decorso dai
farmaci che noi adesso abbiamo a disposizione, se i pazienti venissero lasciati al loro “destino” gran parte di
essi andrebbero ad una trasformazione nella quale non si hanno più delle ricadute ma un lento e continuo
peggioramento con riacutizzazioni interposto che porta ad un accumulo progressivo della disabilità
nell’arco degli anni. C’è una piccola percentuale di pazienti che ha un esordio completamente diverso, non
ha delle manifestazioni acute con dei sintomi improvvisi e importanti, ha magari un accumulo progressivo
del tempo e lento di una disabilità neurologica che può essere difficoltà di camminare e comparsa cronica
di disturbi neurologici, questo decorso viene definito progressivo-primario, per quanto riguarda una piccola
percentuale di pazienti, in genere rimanda ad un esordio anche più tardivo, è molto raro che un giovane
esordisca con questa tipologia di decorso.

Le prime manifestazioni cliniche della malattia, questo riguarda le forme recidivanti remittenti, ci possono
essere disturbi della forza o del movimento volontario, quindi i segni e i sintomi di una paralisi centrale di
moto che può colpire un arto, entrambi gli arti inferiori, questo è uno delle modalità d’esordio tra le più
frequenti, possiamo avere un interessamento del nervo ottico, ¼ dei pazienti esordisce con la neurite ottica,
possiamo avere disturbi della sensibilità con formicolio persistente a carico di un arto o di una gamba o di
entrambe le gambe, molto difficile dei quattro arti, oppure alterazioni della sensibilità per riduzione, ipo o
completa abolizione di una qualità sensitiva, anestesia con distribuzione centrale, alterazione della motilità
oculare con diplopia, altre alterazioni del tronco encefalo o del cervelletto con vertigine e disequilibrio o
ancora disturbi della minzione, poi via via tante possibili manifestazioni con una frequenza variabile, questi
sono in ordine di frequenza i primi disturbi della malattia, un paziente che ha avuto una neurite ottica nel
corso della sua malattia potrà avere una riacutizzazione motorie, con disturbi del movimento oppure
sensitiva, o il contrario. Nel corso della malattia il paziente potrà manifestare diverse tipologie di disturbo. I
sintomi motori sono caratterizzati da un disturbo di tipo centrale con deficit di forza, dall’ipostenia fino alla
paralisi completa, la plegia, le alterazioni del tono muscolare con ipertono spastico e un’intensa fatica. I
disturbi sensitivi con distribuzione centrale possono essere rappresentate da alterazioni qualitative o
irritative, le parestesie formicolanti oppure bruciore, o sensazione di fasciatura, un disturbo abbastanza
caratteristico è il segno di hermitte, cioè una condizione nella quale una persona avverte una sensazione di
scossa elettrica dolorosa che parte in genere dal collo e si irradia ai 4 arti e alla schiena, determinato dal
movimento di flessione in avanti del capo e spesso si associa a lesioni infiammatorie a carico della porzione
posteriore del midollo spinale, lo stiramento della lesione fa scatenare questa sensazione, il dolore, e
ancora queste alterazioni qualitative, ipo o anestesia delle varie forme sensitive.

Una delle varie forme delle manifestazioni cliniche all’esordio o durante la malattia, è la neurite ottica retro
bulbare, un immagine di risonanza magnetica, il nervo ottico di destra nell’immagine di risonanza
magnetica abbiamo un immagine iper-intensa, brillante, bianca nel contesto del nervo ottico, questa
sentenza è stata acquisita dopo la somministrazione del mezzo di contrasto, quindi se c’è iper-intensità è
legata ad una lesione nella quale c’è stata un aumento della permeabilità della barriera ematoencefalica, il
passaggio del mezzo di contrasto iodato, che è una molecola di grosse dimensioni che non passa
normalmente nei vasi sanguigni e quindi non va a irritare il parenchima celebrale, soltanto dove la barriera
ematoencefalica è distrutta e permeabile c’è il passaggio del mezzo di contrasto e questo significa che c’è
un area attiva, il paziente avrà un disturbo dell’acuità visiva con una sensazione di velatura, appannamento
dell’occhio che in genere ha una comparsa improvvisa e si associa a dolore retro-orbitale.

Poi via via possono esserci tante altre manifestazioni.

Come per ogni patologia neurologica è stata sviluppata una scala che serve per quantificare il danno
determinato dalla patologia in termini di riduzione delle capacità motorie, per esempio del paziente e va da
nessuna limitazione alla morte per malattia.

Ora, come si arriva alla diagnosi della malattia, è una patologia demielinizzante infiammatoria cronica
multifocale e progressiva del sistema nervoso centrale, per poter formulare la diagnosi bisogna che
vengano soddisfatti tre criteri diagnostici o principi, cioè che venga dimostrata la presenza di una
disseminazione spaziale, temporale e che vengano esclude diagnosi alternative. Disseminazione spaziale
significa che ci devono essere più lesioni, che possono essere confermate dalla risonanza magnetica oppure
dalla evidenza obiettiva dell’interessamento di più aree del cervello e del midollo spinale, la disseminazione
nel tempo è dimostrata che nel corso del tempo o il quadro di risonanza magnetica cambia cioè si formano
nuove lesioni o ancora il paziente presenti diversi disturbi nel tempo o ancora che la stessa risonanza
magnetica siano presenti aree di infiammazione attiva, pur essendo sintomatiche in più aree del cervello,
ancora l’esclusione di diagnosi alternative perché quelle macchie bianche presenti a livello encefalico, a
livello del sistema nervoso centrale, non sono sempre e solo attribuibili a malattie del sistema nervoso
centrale quindi bisogna mettere insieme tanti aspetti. C’è stata un’evoluzione del tempo dei criteri
diagnostici, cercavano di formulare la diagnosi già dall’esordio, un tempo bisognava aspettare solo un
minuto. È importante l’esclusione di diagnosi alternative perché ci sono tante malattie che si possono
manifestare con sintomi più o meno similari a quelle della sclerosi multipla con possibile disseminazione
nello spazio o nel tempo o entrambe.

L’esame che ci aiuta di più per la diagnosi è la risonanza magnetica che va acquisita con diverse sequenze,
per esempio con le sequenze pesate in T1 prima e dopo contrasto ci permettono di visualizzare le aree più
datate, più vecchie con i cosiddetti buchi neri. Le sequenze pesate in T2 mi fanno vedere invece iper-
intense le aree di sclerosi, le placche, le vediamo nelle zone ricche di sostanza bianca, di mielina, purché
queste sono molto vicine agli spazi ventricolari, che nelle sequenze in T2 appare bianco, sono state
sviluppate delle sequenze molto simili alle T2, che si chiamano flair dove il segnale liquorale viene
abbattuto, e quindi percepisco con maggio contrasto le aree di infiammazione che hanno questa
caratteristica di distribuzione. Quindi la risonanza magnetica permette di evidenziare lesioni, di evidenziare
l’attività di malattia, presenza di lesioni a carico del midollo spinale che appaiono iper-intense e mi
permette anche di andare a valutare diagnosi alternative. La risonanza magnetica ha il vantaggio di poter
essere fatta ed essere ripetuta nel tempo, e mi permette di valutare l’efficacia delle terapie.

Un altro esame che facciamo molto spesso alla diagnosi è l’esame del liquor, facciamo un prelievo alla base
della colonna vertebrale, con un ago raggiungiamo lo spazio subaracnoideo e preleviamo un quantitativo
variabile di questo liquor che viene analizzato, quella più importante dal punto di vista della diagnosi
differenziale è l’isoelettrofocusing con immunoblotting iGg specifici, cioè si va a dosare la presenza di
eventuali bande oligoclonali di più iGg che sono dirette contro varie antigeni, se sono presenti solamente
nel liquor, il liquor viene definito immunopatico, cioè sono una dimostrazione in vivo della presenza (salta
audio).

Ancora possiamo, studiare alcune vie di conduzione nervosa andando ad utilizzare i potenziali di evocati,
cioè a seguito di uno stimolo possiamo registrare la risposta lungo determinate vie nervose, per esempio
applicando degli elettrodi al vertice a alla zona occipitale possiamo andare a valutare se una stimolazione
luminosa determina una risposta della corteccia e generalmente questa risposta che è una deflessione
negativa, tra più elettrodi a più di millisecondi dallo stimolo ed è stata definita onda +100, se vi è ad
esempio un aneurite ottica o che c’è stata ed ha lasciato dei danni alla via nervosa, avremo un ritardo nella
conduzione, cioè la +100 si presenterà più tardi o mai.

Ancora possiamo studiare le vie di conduzione uditive dal tronco encefalo fino all’encefalo e i potenziali
evocati somato sensoriali andando a stimolare i nervi periferici delle braccia e delle gambe.

Dal punto di vista del trattamento della malattia abbiamo diverse tipologie di trattamento, abbiamo
trattamenti dell’attacco acuto, cioè delle ricadute, che in genere vengono trattate con boli di cortisolo, cioè
cortisone ad alto dosaggio; terapie farmacologiche che intervengono sui meccanismi patogenetici, definite
terapie farmacologiche di lungo termine perché sono intese a modificare il decorso della malattia; terapie
farmacologiche sintomatiche che vengono utilizzate per sintomi e poi ci sono gli approcci riabilitativi.

Le demenze sono quelle condizioni per le quali si realizza una compromissione globale delle funzioni
corticale superiori. Quali sono le funzioni corticale superiori? Sono comprese in questo gruppo la memoria,
la capacità di far fronte alle richieste della vita ogni giorno, le capacità di svolgere le prestazioni percettive
motorie già acquisite in precedenza (quindi mettere insieme una serie di informazioni del passato,
integrarle con gli stimoli e la valutazione attuale del mondo che ci circonda e mettere in atto una serie di
decisioni), la capacità di conservare un comportamento sociale che è adeguato alle circostanze; anche
questo richiede delle funzioni corticale superiori perché noi apprendiamo tutta una serie di comportamenti
e li mettiamo in pratica in relazione anche all'ambito nel quale ci troviamo e quindi la capacità di regolare le
emozioni e come le viviamo, cambia sulla base dei contesti. Poi ancora la capacità di mantenere
un’attenzione sostenuta, la capacità di pianificare le nostre azioni e le nostre attività. Tutto questo,
ovviamente, in assenza di compromissione dello stato di vigilanza.[13:41, 8/5/2021] Federica De Ninno: Le
compromissioni delle funzioni cognitive globali devono avvenire al di fuori di alterazioni della vigilanza, il
paziente in coma non può essere demente, è semplicemente in coma. Le alterazioni dello stato di vigilanza
rappresentano uno spettro molto ampio di manifestazioni che vanno da alterazioni minime dello stato
vigilanza, quale l'ottundimento, la sensazione di obnubilamento del paziente, fino al coma.
Per definire la presenza di una demenza abbiamo necessità di definire la perdita delle capacità intellettive
di gravità insufficiente da ripercuotersi sull'inserimento sociale e/o professionale, devono avere una
ripercussione andare a vita pratica degli individui, alterazione della memoria, alterazione delle altre
funzioni cognitive superiori.
Il decadimento cognitivo che ha a che fare con un difetto acquisito delle capacità mentali; mentre in
neuropsichiatria infantile verrà utilizzato il termine disabilità intellettive che è un termine più attuale per
identificare i ritardi mentali, o l'oligofrenia il paziente che ha un insufficienza mentale/disabilità intellettiva
sin dalle fasi delle fasi precoci della vita e non ha mai sviluppato delle competenze né tantomeno le
svilupperà mai. Il soggetto invece che ha uno sviluppo psicomotorio normale può perdere poi queste
capacità e sviluppare una demenza successivamente. Ci sono diverse tipologie di demenza, la stragrande
maggioranza delle demenze a un esordio in età tardiva, ma esistono comunque forme con esordio più
precoce. La demenza è un insufficienza d'organo, del cervello, che ha un andamento cronico e progressivo
ed è distinguibile dalle forme di insufficienza acuta e transitoria, dello stato confusionale, negli stati di
coma, che sono stati di insufficienza prolungata. È chiaro che le patologie che determinano alterazioni
esclusivamente a carico delle funzioni cognitive superiori e che hanno un andamento lento e cronico
progressivo, possono avere delle difficoltà di interpretazione ed inquadramento diagnostico, perché con
l'aumentare e con l'allungarsi dell'aspettativa di vita, ci troviamo di fronte a quadri dove è necessario
discriminare un normale invecchiamento cerebrale, da un quadro di demenza. Qui ci sono situazioni in cui
vi è un interessamento di una singola capacità cognitiva e situazioni dove si sovrappongono anche disturbi
del comportamento, che rendono difficile la valutazione della performance cognitiva. Dal punto di vista
delle possibili cause abbiamo le demenze trattabili, che rappresentano la categoria meno frequente,
possono essere secondarie a cause infettive, patologie metaboliche, psichiatriche, lesioni occupati spazio
(cioè un'acquisizione di volume all'interno del cervello che magari determinano compressione sulla
strutture intracraniche che, se asportate, possono essere passibili di recupero); poi abbiamo le forme
vascolari, le demenze cioè determinate da una serie di patologie vascolari, come la demenza multi-
infartuale, quella determinata da singoli infarti strategici; le forme più frequenti sono le demenze
degenerative primarie, prima fra tutte la malattia di Alzheimer, seguita da tutta una serie di patologie
neurodegenerative che possono determinare la comparsa di una forma di demenza o che si associano
invariabilmente ad una demenza, più del 10% delle persone ultrasessantacinquenni sviluppa o
svilupperanno una demenza.
Ci sono vari fattori di rischio, il fattore di rischio principale è l'età, più si va avanti con l'età maggiori sono le
probabilità di ammalarsi; poi c'è il fattore di rischio rappresentato dalle insufficienze croniche di organo,
alcune esposizioni professionali, le disfunzioni endocrine. Tutte le patologie qui elencate possono causare
una riduzione della massa neuronale. Mentre l'unico fattore protettivo nei confronti dello sviluppo delle
demenze, ad oggi accertato, è rappresentato dal grado di istruzione, dall'utilizzo formale delle funzioni
cerebrali. Formale significa che così è codificato, che uno ha superato degli esami ed ha un titolo di studio,
ovviamente ci sono delle attività che stimolano le funzioni cognitive anche in altri ambiti, ma non essendo
formali non sono inclusi nelle analisi statistiche. Ci sono poi una serie di evidenze scientifiche rispetto a
quelle che sono le attività di piacere e di hobby che possono essere un fattore protettivo, in quanto
comunque c'è una stimolazione delle funzioni cognitive. Tra i vari fattori di rischio ricordiamo il sesso, in
quanto alle donne sono più associate alla comparsa di malattie neurodegenerative dementigene e traumi
cranici; anche il fumo di sigaretta e le predisposizioni genetiche rappresentano fattori di rischio

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