Sei sulla pagina 1di 17

LIBRO II

CROSSETTI – VAIANO, “BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI”

PARTE PRIMA
ORDINAMENTO DEI BENI CULTURALI

1. Tutela e valorizzazione del patrimonio culturale


Prima di potersi approcciare alla materia, bisogna fornire alcune nozioni generali in merito:
1. Per diritto si intende il complesso delle norme giuridiche volte a disciplinare obbligatoriamente
i comportamenti di tutti i possibili destinatari;
2. Per norma giuridica si intende l’atto proprio di regola del comportamento, cui caratteristica
principale è essere giuridicamente obbligatoria; se violata dà luogo a sanzione, ed è questo che
la differenzia dalle altre regole di comportamento. Non tutte le norme giuridiche sono
suscettibili di violazione; per questo si attua una grande divisione in norme penali, norme di
diritto privato, norme di diritto pubblico (tra soggetti in posizione tra loro non paritaria, poiché
gli interessi del singolo sono subordinati a quelli della collettività).
3. Per interessi pubblici si intende gli interessi generali della collettività, stabiliti dalle leggi ed
affidati ad enti pubblici affinché vengano perseguiti: tra questi rientra il diritto dei beni culturali
e paesaggistici.
Quali sono gli interessi pubblici relativi ai beni culturali pubblici? Principalmente, l’interesse pubblico
è volto alla tutela e alla conservazione dei beni culturali, nonché alla valorizzazione e al miglioramento
della fruizione da parte di tutti i cittadini. I riferimenti normativi sono l’art.1 del Codice dei Beni
Culturali (d. lgs. 42/2004), che rispetta ciò che dice l’art.9 della Costituzione, secondo cui la
Repubblica valorizza e tutela il patrimonio culturale.
Le modalità e gli strumenti a disposizione delle amministrazioni per l’attuazione dei propri fini possono
essere o consensuali (accordi tra amministrazioni e soggetti privati o tra stesse amministrazioni, spesso
concretizzati in contratti) o unilaterali e autoritativi (provvedimenti amministrativi che prescindono
dalla necessità di ricerca del consenso del soggetto interessato e producono effetti giuridici d’autorità,
senza mediazione di terzi. Questi ultimi si dividono in 4 categorie:
- Provvedimenti ablatori (o espropriativi in senso ampio): privano di autorità i destinatari, hanno
su di loro effetti sfavorevoli. I provvedimenti ablatori possono essere personali (nel momento in
cui privano di determinate libertà) o reali (quando privano di proprietà e possesso).
- Provvedimenti limitativi di diritti: modificano, limitandole, le facoltà giuridiche normalmente
inerenti ai diritti soggettivi di cui sono titolari i destinatari.
- Provvedimenti autorizzativi: rimuovono limiti all’esercizio dei diritti soggettivi
preventivamente imposti, favorevoli per il destinatario
- Provvedimenti di concessione: attibuiscono ex novo determinate facoltà e/o diritti a soggetti che
prima ne erano privi.
I provvedimenti consensuali sono attuabili senza alcun tipo di limitazione; in via generale, gli altri sono
assoggettati al rispetto e al principio di legalità, ovvero possono essere adottati dalle amministrazioni
solo e soltanto nei casi previsti dalla legge, per il rispetto degli interessi e delle norme in esse
contenute.
Il codice dei beni culturali, attuato all’interno del codice civile e modificato e integrato nel 2004, 2006,
2008, dice cosa, come e quando intervenire con provvedimenti; nel caso di inadempiezza di tali
istruzioni, i privati hanno possibilità di ricordo al TAR. Nel complesso, il codice vara generiche
esigenze di tutela e conservazione, che trovano attuazione rispettivamente negli articoli 3.06. Elemento
di novità è l’introduzione del concetto di “patrimonio culturale” nazionale, il cui fattore importante è la

1
valenza identitaria ( secondo quanto detto dalla dichiarazione Franceschini): si tratta dell’eredità dei
padri, memoria della comunità nazionale nelle sue radici ideali e materiali.
Il codice individua sin dall’inizio i soggetti che devono garantire tutela e valorizzazione: lo stato, gli
enti pubblici territoriali, altri soggetti pubblici e privati. Essi sono tenuti per legge a perseguire
interessi pubblici sottesi alla tutela (di competenza esclusiva dello Stato), ognuno con i propri mezzi:
lo stato con competenze legislative ed amministrative; ugualmente le regioni (attraverso leggi
eprovvedimenti); province, comuni, enti pubblici con provvedimenti amministrativi; i privati
collaborazione che deve garantire la conservazione.
All’inizio dell’elaborazione della normative, tutto era molto più accentrato sullo Stato; negli anni ‘70,
però, viene attuato l’articolo 117 della costituzione, la cui area di azione era però molto restrittiva; solo
con d. lgs. 112\1998 ci fu distinzione tra attività dello Stato (concentrata sulle funzioni di tutela per
riconoscere, conservare e proteggere i beni culturali e amientali) e attività di gestione, valorizzazione e
promozione, ripartite tra Stato e regioni. Il completamento di questi riferimenti normativi è avvenuto
con la riforma del 2001 relativa al titolo V della Costituzione, per la quale la tutela dei beni culturali è
di esclusiva legislazione dello Stato, mentre valorizzazione, promozione, e organizzazione sono
attribuite alla legislazione regionale oltre che a quella statale (competenza concorrente e ripartita).
Grazie ai primi articoli del codice, ad essi si affiancano gli enti territoriali pubblici, gli altri soggetti
pubblici e i soggetti privati, chiamati a garantire obbligatoriamente la conservazione dei Beni Culturali
di loro proprietà. In tale ambito ha assoluta centralità alla differenza di nozione tra tutela e
valorizzazione: quest’ultimo termine è più giovane, essendo stato coniato nel 1998; prima delle leggi
della ruolo marginale (basti pensare che nella legge del 1939 si pensava alla difesa del bene). La sua
prima apparizione avviene nella commissione Franceschini.
Si opera una distinzione in base al contenuto o alla natura delle attività E delle funzioni: la tutela è
garantire il valore culturale costituisce l’aspetto di interesse pubblico giuridicamente protetto
dall’ordinamento (rilevanza a effetti giuridici, limiti per i destinatari, contrasto potenziale tra interesse
pubblico e del soggetto); la valorizzazione è invece il riscontro di un rapporto di convergenza e
compenetrazione tra interesse pubblico e situazione soggettiva, in attività che svolgono l’interesse
pubblico.

2. I beni culturali
I Beni Culturali sono definiti dall’art.2 comma 2 CBC “cose mobili e immobili che presentano interesse
artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e altre cose individuate
dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”. La definizione rimanda
alla commissione Franceschini, che sostituì la nozione più estetizzante di antichità e belle arti,
aprendola invece ad ogni testimonianza di una memoria del passato che possa essere fruibile al
pubblico e svolgere funzione culturale: si passò così da un criterio estetico ad uno storico.
L’art.10 CBC elenca le varie categorie e species di beni culturali, affermando il principio di tipicità e
tassatività delle categorie ascrivibili alla nozione giuridica di bene culturale: solo e soltanto i beni
indicati in questo articolo possono essere dichiarati di interesse culturale dagli organi pubblici.
Per il giurista, si tratta di una nozione liminale, poiché la normativa giuridica non dà un proprio
contenuto ma opera mediante un rinvio a discipline non giuridiche.
Una prima distinzione viene fatta nei confronti dei beni culturali di proprietà privata: si tratta dei Beni
culturali di proprietà di pubblici, persone giuridiche, private ecclesiastici riconosciuti. Musei,
biblioteche e archivi vengono inclusi nella categoria dei beni culturali pubblici appartenti allo Stato,
che si configura come soggetto pubblico. Definizione appare confusionaria in quanto in divisa e
suddivisa. La centralità della distinzione sta nelle modalità dell’assoggettamento a regimi di tutela e al
diverso livello di interesse: i beni a cui si fa riferimento nel comma 1 dell’articolo 10 rientrano di diritto
nella definizione, mentre quelli con riferimento al comma 3 dietro dichiarazione di interesse; pericoli
2
pubblici si verifica il semplice interesse, per quelli privati deve essere particolarmente importante o
eccezionale. Identificare il livello di interesse è una novità importante nel codice: una volta dichiarato l’
interesse e posto il vincolo, si pone limite alla discrezionalità amministrativa ( cioè il margine di scelta
e di valutazione che l’ordinamento rimette alla competenza della pubblica amministrazione, affinché
vengano prese le decisioni più opportune e ragionevoli nell’interesse della collettività). Un giudice poi
può sindacare sul rispetto o meno del limite, fino ad arrivare all’annullamento del procedimento
illegittimo.
I beni indicati nel comma 3, lettera a, sono di particolare interesse, essendo immediata la percezione del
carattere intrinseco di valore culturale: ma anche di tutte le opere minori che siano valide come
testimonianza; quelli indicati alla lettera d sono importanti non per il loro interesse storico-artistico, ma
per il loro legame storico-relazionale con la nazione. Dunque, sono sottoposti a tutela opere che non
sono l’espressione in senso assoluto del genio e dell’arte umana, ma che, essendo testimonianze
irripetibile, rara e recessiva di un’epoca storica, fanno parte del patrimonio culturale della collettività.
Il comma quattro ribadisce quali sono i beni compresi per eliminare ogni dubbio interpretativo.
Sorge però il problema della tutela dei beni immateriali e delle attività culturali: nel codice si parla di
beni etnoantropologici (mentre nel testo unico del ’99 di beni demoetnoantropologici), ovvero tutti quei
beni espressione di tradizioni della cultura popolare e della vita della gente comune. Si tratta di una
categoria tutt’altro che unitaria, ma anche ampia e disomogenea: per la tutela è necessaria la presenza
di una res; molti fenomeni etno-antropologici producono oggetti che possono essere sottoposte tutela,
conservazione, fruizione; ma molti sono “volatili”, per poter essere fruiti devono essere rieseguiti, o
rifatti. Inizialmente il codice non se ne occupava, ma in seguito l’UNESCO ha spinto affinché ci si
pensasse, e nel d.lgs. 62/2008 fu introdotto l’art. 7 bis. Resta però necessaria la condizione di
materialità.
Lo stesso problema si pone per tutelare le attività tradizionali, tutelando oggetti e luoghi in cui le
attività venivano svolte: si tratta però di un escamotage non sempre approvato.
L’art. 11 stabilisce le cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela, vvero idonee a essere tutelate:
come, iscrizioni, tabernacoli (esposti o meno alla pubblica vista), studi di artisti, aree pubbliche di
valore culturale, opere di autori viventi la cui esecuzione non risalga a più di cinquant’anni, opere di
architettura contemporanea.
L’art.9 tratta dei Beni Culturali di interesse religioso, ovvero appartenenti ad enti ed istituzioni della
Chiesa cattolica o di altre confessioni; in questo caso, si pone la necessità di conciliare la tutela con le
esigenze di culto, nell’ottica dell’applicabilità delle disposizioni che disciplinano i rapporti tra Stato e
Chiesa (art. 12, n.1, comma 2 dell’Accordo di modificazione del Concordato Lateranense, ripreso nel
Testo Unico 1999). Gli enti proprietari, in questo caso, rientrano tra le persone giuridiche private senza
fine di lucro, quindi i beni sono sottoposti ad un regime più rigido; l’esigenza di tutelare il patrimonio
culturale (art. 9 Cost.) e il rispetto delle diritto di culto religioso (art. 19 Cost.) portano ad una
necessaria collaborazione tra le suddette autorità, per concordare le modalità di azione, di tutela, di
valorizzazione; con la Chiesa cattolica sono stati definiti molti obblighi e interventi di competenza.

3. La tutela dei beni culturali


I provvedimenti consentono di perseguire concretamente le esigenze di tutela dei beni culturali.
Il primo e più importante è quello di individui e dichiari di interesse culturale uno dei beni dell’articolo
10. Si tratta del provvedimento limitativo dei diritti di proprietà riconosciuti in capo ai destinatari, che
rimangono proprietari ma devono attenersi determinati comportamenti, e per fare delle cose devono
chiedere autorizzazione alla Soprintendenze. Tre effetti del vincolo di tutela ci sono:
- Limitazioni consistenti nell’imposizione di obblighi di comportamento
- limitazioni consistenti nella necessità dell’ottenimento di uno specifico permesso da parte delle
autorità amministrative preposte alla tutela, laddove si intendono svolgere determinate attività
3
- limitazioni consistenti nell’assoggettamento a specifi poteri di intervento riconosciuto alle
autorità amministrative di tutela
Il provvedimento che dichiara l’interesse culturale è espressione di valutazione di discrezionalità
tecnica, ovvero la possibilità di scelta che spetta alla pubblica amministrazione si riduce ad un’attività
di giudizio a contenuto scientifico, da svolgere in applicazione delle regole tecniche proprie di una
determinata e specifica materia, secondo parametri di tipo tecnico non volitivo ( di conseguenza, il
provvedimento è vincolato nei contenuti).
Il provvedimento è l’esito di un articolato processo amministrativo diviso in fasi:
- Fase di avvio o di iniziativa, ovvero iniziativa di un ufficio se il soggetto promotore è lo
stesso che farà l’atto finale, proposta se il soggetto promotore non produrrà l’atto finale,
istanza di parte se il soggetto promotore con lui su cui si avranno gli effetti del
provvedimento. Tale fase può considerarsi conclusa con la comunicazione dell’avvio del
procedimento ai soggetti interessati.
- Fase istruttoria e/o preparatoria dei contenuti del provvedimento finale: si tratta della fase
centrale del provvedimento, in cui si colgono le finalità dell’istituto di pervenire ad
un’esatta rappresentazione della situazione di fatto esistente e alla completa manifestazione
degli interessi pubblici e privati, di cui bisogna tener conto prima di procedere. Si tratta di
attico con risultati di ispezioni o di valutazioni tecniche, di partecipazione al procedimento.
- Fase di conclusione del procedimento: di solito si adotta il provvedimento espresso, ma c’è
l’eventualità che si concluda con un provvedimento formatosi tacitamente in virtù del
cosiddetto silenzio della pubblica amministrazione; se in un tot. di tempo la pubblica
amministrazione non ti fa sentire, l’istanza viene accolta di norma.
Gli articoli 14 e 15 CBC esprimono tutto ciò, e per la legge sulla trasparenza amministrativa ogni
decisione presa deve essere comunicata gli interessati. Se si tratta di beni pubblici, il provvedimento di
dichiarazione deve essere trascritto in appositi registri, per rispettare la funzione di conoscenza e
conoscibilità del vincolo: di fatto, contro la dichiarazione in questione si può fare ricorso presso il
ministero, per motivi di legittimità e merito. Tale ricorso viene in seguito presentato all’esame di
un’autorità amministrativa superiore rispetto a quella che ha adottato l’atto. Esiste anche un tipo di
ricorso giurisdizionale, proposto ad un’autorità terza ed imparziale rispetto dei patti in giudizio, atto ad
ottenere l’annullamento del provvedimento impugnato per motivi di illegittimità dell’atto.
I provvedimenti devono rispettare i principi generali contenuti già delle leggi del XIX secolo, che
annullavano atti amministrativi per vizi di legittimità ( incompetenza, violazione di legge, eccesso di
potere). Tali principi generali sono:
1. Conformità dell’atto amministrativo al fine indicato dalla legge (principio di legalità)
2. Parità di trattamento (principio di imparzialità)
3. esatta rappresentazione dei fatti ( principio di legittimo affidamento)
4. completa manifestazione degli interessi ( principio di trasparenza)
5. ragionevolezza e proporzionalità dell’agire amministrativo ( principio di ragionevolezza e
proporzionalità)
Se tali principi vengono rispettati, il provvedimento sarà legittimo e non potrà essere annullato la
giudice amministrativo, ma può essere riformato per motivi di merito.
Per prescrizioni di tutela indiretta si intendono vincoli di tutela indiretta o di completamento di
protezione giuridica materiale; si parla infatti di quei beni che fanno da cornice ai beni culturali, ma
presentano necessità ed esigenze di prevenzione (di solito si applicano su un immobile interno sono
collocati beni culturali). Tali determinazioni di prevenzione dettano distanze, misure, altre norme
dirette a soddisfare le esigenze in questione; tocca all’apprezzamento tecnico-discrezionale
dell’amministrazione il compito di definire le misure seguite da motivazione congrua ed analitica, e da

4
istruttoria. Di solito si risolvono in vincoli di diretti edificabilità; si segue il principio secondo cui i
sacrifici del privato vadano ridotti al minimo.
La comunicazione dell’avvio può essere sostituita da idonee forme di pubblicità. Le prescrizioni
possono essere immediatamente precettive, se gli enti territoriali avevano altri piani, dovranno adattarsi
a quelli adottati nel Ministero.
Un altro provvedimento sfavorevole per i destinatari è l’espropriazione: definita dall’articolo 95 e
Galles in base all’articolo 42 della costituzione. L’articolo 99 prevede indennità dall’espropriato,
eccetto quando le espropriazioni rientrano in quelle previste degli articoli 96 e 97. Si tenta comunque di
far risparmiare Stato ed enti pubblici; è comunque sancito un livello minimo da risarcire. Secondo la
sentenza 348/ 2007 vengono divisi i tipi di indennizzo in base alla natura del bene: Per i Beni Culturali
contemplati nell’articolo 99 l’indirizzo è uguale al valore di mercato del bene.
Altro problema è riconoscere i casi in cui sia necessaria un’espropriazione sostanziale (o di valore).
Attività vengono concesse, previa autorizzazione, ai proprietari: si tratta di interventi conservativi
volontari o imposti, da cui derivano oneri finanziari per il proprietario e il ministero.

4. I beni culturali di proprietà pubblica


Il differente regime giuridico proprio dei beni culturali di proprietà pubblica è finalizzato soddisfare
interessi della collettività. Di conseguenza I beni pubblici vengono suddivisi in:
- Beni del demanio dello Stato e di altri enti territoriali (o, più semplicemente, beni
demaniali): l’art. 822 c.c. li divide in Beni del demanio necessario, cioè quelli che non
possono che appartenere allo Stato (demanio marittimo, idrico, militare,); beni del demanio
accidentale, cioè quelli che possono anche essere di privati (demanio stradale, ferroviario,
aereonautico, storico-artistico). I beni demaniali sono soggetti a disciplina giuridica
particolare, ai sensi dell’articolo 823 c.c.: sono inalienabili e non possono formare oggetto
di diritto da parte di terzi ( se non secondo le leggi con il provvedimento di concessione).
- Beni patrimoniali, ovvero tutti quelli non elencati sotto la voce beni demaniali. Stando
all’articolo 826 c.c. sono sottoposti a regole generali, salvo specifiche disposizioni che li
riguardano (art. 828). Vi rientrano pure i beni del patrimonio indisponibile dello Stato e di
altri enti pubblici, come esempio le cose del sottosuolo o la generalità dei beni mobili di
proprietà pubblica. Non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi
stabiliti dalla legge: non sono quindi inalienabili, sebbene bisogna rispettare il vincolo di
destinazione.
Ulteriore riconoscimento va fatto ai beni immobili in quanto tali: all’inizio, prima i singoli enti e poi
la Soprintendenza stilavano degli elenchi con tutti i beni che ritenevano di un certo interesse; con
l’introduzione dell’articolo 12 del codice Venne istituita la verifica della sussistenza dell’interesse, E
divenne compito del Ministero operare le necessarie valutazioni tecnico-discrezionali.
Il ministero da via ad un procedimento amministrativo: se questo ha esito positivo, si prosegue
applicando gli articoli 13 15 del codice; se è negativo, i beni non saranno sottoposti a tutela e, se
demaniali, verranno demanializzati e diventeranno alienabili.
La legge 1088/1939 prevedeva all’inabilità di tutte le cose di antichità e di arte, previa autorizzazione
ministeriale, con la condizione che si mantenessero la conservazione e la fruizione (inalienabilità
relativa); il codice civile prevedeva invece assoluta inalienabilità di immobili e mobili del patrimonio
indisponibile. Come conciliare le due norme? L’articolo 54 del codice dei Beni Culturali prevede otto
categorie di beni assolutamente inalienabili, Mentre i beni immobili possono essere allenati previa
autorizzazione ministeriale (art. 54 – 55); sono poi alienabili tutti quelli che non appartengono al
demanio culturale. Le “cose archeologiche” ritrovata nel sottosuolo fanno parte del patrimonio
indisponibile: si prevede un premio per chi ritrova reperti, mentre prima del 1909 diventavano proprietà

5
di chi li ritrovava. L’uso dei beni pubblici può essere differenziato: generale o comune; speciale;
eccezionale.

5. La circolazione giuridica dei beni culturali


La circolazione dei beni, sia essa fisica che giuridica, è un compromesso tra tutela pubblicistica e
necessità di non ostacolare il commercio privato delle cose d’arte. Adesso sono dedicati i capi IV e V
de titolo I della seconda parte del codice. Relativamente, è previsto intervento statale sotto tre forme di
controllo: conoscitivo, impeditivo, positivo. È sancito l’obbligo di denunciare al ministero tutti gli atti
che trasferiscono la proprietà o la detenzione di beni culturali: tale operazione, compiuta da tutti i
soggetti pubblici e privati, è necessaria per avere completa conoscenza dei dati anagrafici di ogni opera.
La denuncia va compiuta sia da alienante che da acquirente o erede; se non viene fatta seguendo le
indicazioni dell’articolo 59, viene considerata nulla.
Il ministero ha inoltre la capacità di esercitare il diritto di prelazione: acquista alla stessa cifra pattuita
nel contratto di compravendita il bene, e ne può negare l’uscita del territorio. Tale diritto è disciplinato
dagli articoli 60 sez. II del codice. A parte delle forme di acquisto coattivo da parte dello Stato, ovvero
espropriazione e acquisto collettivo all’esportazione.
La prelazione deve essere esercitata nel termine di 60 giorni dalla ricezione della denuncia; deve essere
notificata sia all’alienante che all’acquirente.
Un problema si pone se il bene culturale è oggetto di permuta (scambio). Come si applica in questo
caso la prelazione? Il valore economico è assegnato dal soggetto che procede la prelazione oppure da
un terzo; se ci sono più beni alienati ma la prelazione è solo su uno. Pure le regioni e gli altri enti
territoriali possono ricorrere alla prelazione.
Per quanto riguarda i beni spostati fisicamente anche in ambito internazionale, all’inizio quelli di
rilevante interesse avevano divieto di esportazione; chi voleva farlo doveva ottenere un’autorizzazione
e pagare una tassa. Il ministero poteva concedere l’esportazione, negarla, o acquistare l’opera (diritto
di acquisto coattivo all’esportazione). L’Italia si è poi dovuta adeguare alla CEE e all’UE. Fino
all’emanazione del codice, il precedente sistema basava il divieto di esportazione su due criteri:
- Il danno al patrimonio
- l’inerenza del bene a determinate categorie di beni
Il codice interviene con chiarezza e sistematicità per ridefinire meglio l’uscita dei beni dal territorio
nazionale; la norma cardine è contenuta nell’articolo 65. In esso sono specificate le categorie:
- Beni con divieto di esportazione, decisi in base all’individuazione in categorie, vvero i beni
mobili specificati nell’articolo 10, comma 1 -2-3, E anche quelli di cui non è ancora stato
dichiarato l’interesse;
- Beni con esportazione solo dietro autorizzazione ministeriale, ovvero i beni elencati al
comma 3 dell’articolo 65;
- Beni liberamente trasferibili all’estero, ovvero tutti i beni elencati al comma 4 dell’art. 65.
Nel 1992 la CEE dettò norme idonee per compensare l’abolizione dei controlli doganali alle frontiere:
è il caso del principio di mutuo riconoscimento e armonizzazione delle legislazioni nazionali vigenti;
del regolamento 3911\92\CEE, della direttiva 93\7\CEE: si stabilisse che se un bene deve circolare
all’interno dell’Unione Europea, basta un attestato di libera circolazione; se invece deve uscire
dall’UE, occorre una licenza di esportazione. Relativamente a quest’ultima si occupa l’articolo 68: Per
ottenerla occorre una denuncia delle intenzioni più la presentazione dei beni all’ufficio esportazioni;
sono previsti 30 giorni più di 10 degli uffici ministeriali per avere tutti i dati prima dell’uscita
definitiva. Dopo 40 giorni si procede al rilascio o meno dell’attestato; questo ha validità triennale ed è
emesso in triplice originale. Se viene negato, la comunicazione all’interessato dovrà contenere
elementi propri dell’articolo 14 comma due, avviando il procedimento per la dichiarazione

6
dell’interesse. Secondo l’articolo 69, Si può fare ricorso contro il diniego di attestato, Per motivi di
legittimità e merito, entro 30 giorni dalla comunicazione.
Altro mezzo per la circolazione è l’acquisto coattivo: l’oggetto rimarrà in custodia presso l’ufficio
stesso fino alla conclusione del procedimento; qualora il ministero non volesse acquistarlo, il compito
ricadrebbe sulla regione.
L’uscita temporanea dei brani è regolata dagli articoli 66 e 67, mentre l’articolo 65 comma 1- 2 a) -3
vale solo per mostre, esposizioni d’arte, manifestazione. Se alcuni beni sono soggetti più di altri a
darmi o sono parte fondamentale di un fondo, non possono lasciare il Paese; altri casi in cui è lecita
l’esportazione sono enunciati nell’articolo 67. Secondo l’articolo 71, bisogna presentare un’istanza
all’ufficio esportazione.
Per l’esportazione di beni culturali verso paesi terzi vanno controllati i servizi doganali reciproci per
verificare il rilascio di licenze ( tendenzialmente di validità semestrale). La sezione III del titolo V del
codice si occupa della restituzione dei beni culturali usciti illecitamente, per preservare il patrimonio
degli Stati all’interno dei propri confini territoriali: l’integrità è il valore fondamentale, l’azione di
restituzione favorisce la cooperazione fra Stati membri. Sono considerati beni rilevanti quelle del
patrimonio culturale del Paese secondo disciplina comunitaria; Lo Stato è l’unico titolare della
restituzione

6. La valorizzazione dei beni culturali


Dopo la tutela, argomento dell’ordinamento dei Beni Culturali è la valorizzazione finalizzata a
promozione della conoscenza del patrimonio culturale nazionale, finalizzata ad assicurare migliori
condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica. La riforma costituzionale del 2001 ha ripartito alle
competenze legislative di tutela (spettanti solo allo stato) e di valorizzazione ( in cui sono concorrenti
Stato e regioni). L’articolo sette del codice stabilisce le disposizioni generali in cui le autonomie
territoriali possono muoversi nei limiti della potestà normativa al loro attribuita dall’ordinamento; il
Titolo III, parte II, del codice se ne occupa dello specifico; qui emergono:
- integrazione della distinzione delle competenze legislative statali e regionali, con
riferimento parallelo ad appartenenza e disponibilità del bene oggetto di valorizzazione;
- Duplicazione delle nozioni di fruizione e valorizzazione: stato e regione assicurano
fruizione e valorizzazione ai beni presenti negli istituti e le luoghi della cultura non
appartenenti allo Stato, o a cui lo Stato ha trasferito la disponibilità ai sensi della normativa
vigente.Nell’articolo 102 è scritto che Stato e regione assicurano la fruizione; nel 112 che
assicurano la valorizzazione.
Il tutto avviene nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal codice: principio della leale
collaborazione e dell’accordo tra soggetti deputati al perseguimento dell’interesse pubblico; principio
di consensualità (che si attua con coordinamento, armonizzazione ed integrazione della gestione dei
beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica).
Obiettivo del coinvolgimento dei soggetti privati è sempre migliorare l’utilizzo e la fruizione pubblica:
bisogna vedere i beni culturali anche in prospettiva gestionale, in quanto generano reddito È dunque
necessario valorizzare le potenzialità economiche. Per produrre più reddito È necessario ampliare
ignorare le condizioni di fruizione del patrimonio culturale, attraverso la concezione di circolarità.
Ultimamente però cerchiamo voluto ampliare l’ingerenza dei privati, scatenando il dibattito: si può
parlare di domanda e offerta culturale? Perché rifiuta l’idea dei Beni Culturali come mezzo di
produzione di reddito, a meno ché tale ruolo non sia svolto dalla pubblica amministrazione e per
interessi pubblici e non da privati che per natura non fine di lucro. L’ampliamento della fruizione non
comporterebbe pregiudizi alla conservazione del bene? Attenendosi al codice, però, la valorizzazione
attuata in forme compatibili con la tutela e tali da non compromettere le esigenze: conservare e
valorizzare devono andare di pari passo.
7
L’atto di coinvolgere i privati mantenendo funzioni di controllo e garanzia è legiferato nell’articolo
115, in cui si determinano forme di gestione delle attività di valorizzazione e si disciplinano le forme
di esternalizzazione o outsourcing. Si tratta di attività inerenti al servizio pubblico di offerta alla
fruizione, e\o di servizi aggiuntivi. L’articolo è stato modificato con il d.l, 156/2006: in esso si
specificano le modalità di gestione diretta (da parte delle pubbliche amministrazioni) e indiretta (da
parte di soggetti privati). La gestione diretta si può svolgere se le pubbliche amministrazioni sono
dotate di adeguata autonomia fisica, organizzativa, finanziaria, contabile, anche in forma consortile; per
la gestione indiretta, la legge del 2004 prevedeva di modelli in base alle modalità di scelta del soggetto
a cui affidare il compito: ad esempio, una procedura di evidenza pubblica o l’affidamento diretto a
società per azioni a capitale misto (pubblico-privato) a maggioranza pubblico.
Oggi la legge prevede che la gestione possa essere diretta e indiretta, perché quest’ultima si
concretizzi nella sola concessione a terzi delle attività di valorizzazione, in forma congiunta e integrata,
mediante procedure di evidenza pubblica.
Per regolare il rapporto tra il pubblico e soggetto terzo in gestione, si usa il contratto di servizio,
cinque sono specificati i livelli di qualità dei servizi, le professionalità adette, i contenuti, i tempi di
attuazione del progetto di gestione delle attività di valorizzazione. Le amministrazioni pubbliche hanno
ruolo di controllo; inoltre l’articolo 12 crea dei soggetti giuridici a cui affidare l’elaborazione e lo
sviluppo di piani strategici di sviluppo culturale: questi possono anche essere destinatari del
conferimenti di beni culturali oggetto di valorizzazione. La centralità stando al momento della
pianificazione e programmazione degli interventi. Questi sono definiti in tre livelli:
- definizione delle strategie e degli obiettivi di valorizzazione da parte degli enti pubblici
titolari dei beni;
- sviluppo della pianificazione
- affidamento in concessione mediante gara della gestione dei servizi.
All’articolo 117 vengono specificati i servizi per il pubblico, ovvero i servizi aggiuntivi, servizi di
assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico (accoglienza, punti vendita, caffetteria, guardaroba),
atti a migliorare il livello di godimento della visita, in pieno rispetto del duplice obiettivo palesato
dalla legge Ronchey: aumentare gli introiti e migliorare la soddisfazione del visitatore. Dal 1997,
grazie a regolamenti di esecuzione, la normativa entra veramente in funzione; si realizza una forma
integrata in cui un solo gestore gestisce più servizi.
Stando agli articoli 118 e 119 del codice, inoltre, tra le attività di valorizzazione rientrano anche le
attività di promozione degli studi delle ricerche finalizzate alla diffusione del patrimonio culturale nelle
scuole; si tratta di una novità, in quanto per la prima volta vengono fatte oggetto di una specifica
disposizione normativa.
Infine, all’interno del codice, l’articolo 120 si concentra sulla sponsorizzazione, mentre il 121 sul
rapporto con fondazioni bancarie ai fini della valorizzazione.

7.Il Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo (MiBACT)


Istituto in tempi recenti, precedentemente E competenza erano divise tra i ministeri, In particolare
quello dell’istruzione. Dopo i lavori delle commissioni Franceschini e Papaldo, si notò l’inadeguatezza
la frammentazione e disarticolazione delle strutture preposte a tutela dei beni culturali e ambientali.
Il 14 dicembre 1974 nasce il Ministero dei Beni Culturali e Ambientalu, qui vengono trasferite
strutture e E competenze affidata precedentemente al Ministero dell’istruzione alla Direzione generale
delle belle arti, oltre che le competenze in materia di beni archivistici e librari. Nel 1998 cambia nome,
assumendo quello attuale e incorporando competenze del Dipartimento dello spettacolo e dell’Ufficio
rapporti con organismi sportivi; ciò è consequenziale all’ampliamento della concezione del patrimonio
da cosa materiale a cosa immateriale, includendo appunto le attività.

8
La sua organizzazione si compone di un’amministrazione centrale e di un’amministrazione periferica:
lo Stato delega le competenze periferiche le amministrazioni locali, che comunque svolgono funzioni
statali non proprie. Nel 1974, il ministero era diviso in organizzazione centrale con il ministro al
vertice, tre uffici centrali (uno relativi ai beni storico artistici, archeologici, architettonici, ambientali;
uno per i beni archivistici; uno per i beni librari e gli istituti culturali) con competenze tecniche
specifiche e corrispondenti alle direzioni generali. Nel 1998 le direzioni diventano otto e il ministero è
più frammentato: per questo venne istituito il Segretario generale del ministero, direttamente
dipendente dal ministero che doveva coordinarle.
A livello periferico, già dal ’74 gli organi di amministrazione erano le Sovrintendenze ( archeologiche,
storico-artistiche, ai beni ambientali e architettonici, ai beni archivistici), con varie articolazioni
territoriali; esse svolgevano funzione di stimolo e direzione delle attività tecnica e scientifica, con
funzionari competenti selezionati tramite concorso. Accanto alle soprintendenza apparivano gli
Archivi di Stato e le biblioteche pubbliche statali. Nel 1998 furono istituite le Sovrintendenze
regionali, che coordinavano le altre nel territorio, individuando priorità di interventi e la loro
programmazione, verificavano l’attuazione degli stessi, attuavano la distribuzione ottimale delle risorse
umane. Vennero poi aggiunte attribuzioni relative all’attività provvedimentale del ministero; il
soprintendente aveva potere di dichiarare interesse culturale di beni di proprietà privata.
Altri organi periferici sono i musei tutti gli altri istituti di conservazione dotati di autonomia; le
soprintendenze speciali (con particolare autonomia scientifica, finanziaria, contabile, organizzativa).
La riforma della riforma nel 2002 ha abrogato la figura del Segretario generale e introdotto i
dipartimenti; altresì, ha abrogato anche la figura del soprintendente regionale e ha introdotto le
Direzioni regionali per i beni culturali.
A seguito di questa riforma, il ministro si articola in quattro dipartimenti e 10 direzioni regionali. I
dipartimenti si occupavano dei Beni Culturali e paesaggistici; dei beni archivistici e librari; per la
ricerca, l’innovazione e l’organizzazione; dello spettacolo e dello sport. Ognuno è presieduto dal
Capo del Dipartimento, chiama funzioni di coordinamento e controllo, fruizione e valorizzazione, Ed è
preposto a tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, oltre che alla promozione della qualità
cronica è urbanistica e dell’arte contemporanea.
Con il regolamento del 2004, cambiato nel 2007 nel 2009, è stata emessa una nuova riforma
ministeriale che ha determinato la scomparsa dei dipartimenti e l’articolazione ministeriale con
direzioni generali e segretario nazionale, oltre al potenziamento di soprintendenze e istituti centrali
nazionali: si compone di 8 uffici dirigenziali generali, ognuno con specifiche funzioni e attività,
coordinate dal Segretario. Quest’ultimo ha anche il compito di convocare periodicamente la conferenza
dei direttori generali.
La funzione consultiva degli organi centrali, di ausilio all’attività degli organi di amministrazione, è
affidata ad un Consiglio Superiore per i Beni Culturali e a comitati tecnico-scientifici. Il Consiglio è
composto dai presidenti dei comitati tecnico-scientifici, più 8 eminenti personalità del mondo della
culturale. Altre figure all’interno del ministero sono gli Istituti centrali, gli Istituti nazionali, gli Istituti
dotati di autonomia speciale: l’ordinamento di ciascuno è stabilito con specifico decreto ministeriale e
sono regolati da rapporti interorganici.

8. La tutela penale dei beni culturali


Il reato è, per definizione, il fatto a cui si collega la sanzione penale; è sancito al fine di tutelare i valori
etico-sociali fondamentali di ogni determinata organizzazione sociale. Il legislatore non è, in materia,
libero di agire, ma deve sottostare a precisi limiti costituzionali, come quello di meritevolezza e di
offensività. I reati relativi ai beni culturali possono essere reati di danno (se vi è stata lesione al bene
meritevole di tutela), reati di pericolo (in caso di disubbidienza a precetti penali ).

9
I delitti, in forma più grave, sono puniti dalle contravvenzioni (arresto, ammenda). I vari tipi di reato
relativi ai beni culturali possono essere: reati causati da violazioni del codice per quanto riguarda la
circolazione nazionale e internazionale; alienazione senza autorizzazione; omessa denuncia di
trasferimento; omessa consegna di un bene soggetto a prelazione; illecita esportazione;
impossessamento illecito di beni dello Stato; contraffazione di opere d’arte.
Essi sono punti ai sensi degli articoli 169-172 e 175.

PARTE SECONDA
L’ORDINAMENTO DEI BENI PAESAGGISTICI

1. La nozione giuridica del paesaggio e le sue valenze


Si tratta di una nozione concepita come binomio tra arte e natura. La prima legge in materia è la legge
411\1905, ripresa nelle successive leggi del 1922 e del 1939. Si iniziò a parlare di difesa del paesaggio
dopo le denunce di Ruskin e Morris all’industrialismo moderno: ciò fu infatti inizio della
sensibilizzazione, che incontrò subito delle difficoltà.
Qual è l’oggetto specifico di cui bisogna avere tutela? Vi è infatti una difficoltà nel trovare una
definizione di paesaggio, vista la sua complessità: vi rientrano aspetti fisici, biologici antropici. Ne
vennero formulate diverse, tra cui “ una parte di territorio I cui diversi elementi costituiscono un
insieme pittoresco ed estetico”; “ sito è una parte di paesaggio con aspetti tipici e singolari, Monumento
naturale è un gruppo di elementi dovuti alla natura”.
Dalle definizioni si evince come il paesaggio può cogliere sia elementi naturali che artificiali. La
legge del 1939 distingue tra bellezze individue e bellezze d’insieme, estendendo l’attenzione anche a
connotazioni antropiche. Tuttavia, la salvaguardia del paesaggio solo se questo rientrava in una
visione estetica era una salvaguardia passiva.
L’art. 9 Cost. afferma che la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico-artistico della
nazione: da qui sono derivate implicazioni giuridiche con connotazione estensiva. Viene in seguito
definito paesaggio la forma del Paese nella sua interezza; ciò avviene nell’ottica di una prospettiva
dinamica gestionale che considera il rapporto uomo-natura, e determina il controllo e la direzione degli
interventi della comunità sul territorio.
Già la commissione Franceschini si era mossa con la nozione di bene culturale ambientale, di cui il
paesaggio è solo una delle componenti. In questa nozione rientrano le tradizionali bellezze naturali e
panoramiche, oltre che i vari elementi che danno nell’insieme espressione di valori di civiltà.
La tutela del paesaggio ha valore di carattere primario e assoluto, e presenta un duplice aspetto di
integrità e globalità. La definizione di patrimonio naturale appare per la prima volta nella legge quadro
sulle aree protette (l. 394/1991): esso è costituito da formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e
biologiche, o da gruppi di esse, che hanno un rilevante valore naturalistico ecambientale.
Anche in questo caso avviene una divisione delle competenze tra Stato e regioni: con la legge del
1939, tutti i compiti erano in mano al Ministero della pubblica istruzione; con la legge del 1977, Le
regioni sono state date funzione di protezione della natura. Oggi il ministero ha funzioni di tutela,
gestione, valorizzazione, promozione, conservazione, recupero, difesa dei beni ambientali e
paesaggistici, oggi regolati anche dal Codice Urbani. Nel 1986, a seguito del disastro di Chernobyl,
nacque il Ministero dell’ambiente (l. 349\1986, che fornisce anche la nozione legislativa di bene
ambientale, il cui insieme è fatto da beni culturali e naturali determinanti per interessi fondamentali
della collettività); venne creato anche il Istituto della valutazione di impatto ambientale; avvenne
anche il riconoscimento di alcune associazioni di protezione ambientale, quali possono denunciare
danni e organizzerà la propria presenza a carattere nazionale o regionale.

10
Con la revisione costituzionale, sono introdotti nuovi principi per ripartire le funzioni amministrative:
questi sostituiscono il parallelismo tra podestà legislativa e funzione amministrativa. Sono
rispettivamente il principio di sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione.
Importante contributo alla formazione di una normativa relativa ai beni paesaggistici è stato dato dalla
Convenzione europea del paesaggio dal 20 ottobre 2000, in Italia in vigore dal 2006. Questa elabora
una nozione condivisa di paesaggio, certifica le forme di cooperazione e sancisce gli strumenti della
sua salvaguardia, pianificazione, gestione.
Vi è un forte nesso tra il paesaggio nella comunità stanziata sul territorio: il fine di una legislazione di
tutela è la protezione dell’essere umano e del suo contesto ambientale. Altri principi importanti stabiliti
dalla convenzione sono la politica del paesaggio, gli obiettivi di qualità paesaggistica, la salvaguardia
dei paesaggi, la gestione dei paesaggi, la pianificazione dei paesaggi.
Il codice Urbani del 2004 trasposto all’interno del nostro ordinamento i principi della Convenzione.
L’articolo 131 fornisce la definizione giuridica di paesaggio.
Per la tutela del paesaggio si intende la tutela di ogni forma del territorio, inteso quale continua
interazione della natura e dell’uomo: il paesaggio e ciò che l’ambiente è in potenza. La novità del
codice urbani quella di parlare di beni paesaggistici, rientranti nel patrimonio culturale.
Si ha però difficoltà a distinguere tra tutela e valorizzazione: sono riconducibili alla competenza
legislativa esclusivamente statale, così come alla competenza concorrente, ma implicano il
coinvolgimento di più livelli di governo, e di conseguenza il dovere di cooperazione tra
amministrazioni coinvolta seppur su diversi livelli (locale, nazionale, sovranazionale).
La tutela è qualcosa di dinamico, non può essere sottoposta a partizioni nette.
L’articolo 134 del codice urbani individua i beni paesaggistici tutelati dalla legge e dalle autorità
amministrative: si tratta delle bellezze naturali qui fa riferimento alla legge del ’39, cui si aggiungono
gli ambiti territoriali individuati dalla legge Galasso immobili e alle aree sottoposte a tutela dei piani
paesaggistici. Ciò dal luogo a una tripartizione.

2. L’individuazione dei beni paesaggistici


Il problema di individuare difficile di interesse pubblico, per capire quali porre sotto tutela. Il dibattito
sulla materia dell’atto ha funzione dichiarativa (interesse connaturato con i beni e idonei a soddisfarlo)
e costruttiva ( che si fa a giudizio discrezionale dell’amministrazione) di imposizione del vincolo.
La proposta e la successiva dichiarazione di notevole interesse pubblico È divisa in fasi: iniziativa,
istruttoria, decisione. Non è prevista alcuna forma di partecipazione o alcun obbligo di comunicazione
di avvio del procedimento, e l’unico limite sono 60 giorni di anticipo per presentare l’iniziativa.
L’articolo 137 trasferisce le competenze esclusivamente in capo alla regione: questa all’obbligo di
istituire per ogni provincia una commissione con profili costitutivi, funzionali e strutturali, che
acquisisca informazioni dalle soprintendenze e degli uffici regionali, per valutare la sussistenza del
notevole interesse pubblico, avere un potere concorrente nel ministero e composizione collegiale.
L’art. 139 stabilisce un procedimento normativo per garantire una fase della partecipazione in coerenza
con i principi generali della legge 241\1990; si ha una partecipazione potenziata già nelle fasi
propedeutiche alla dichiarazione, poiché tutte le cose pubblicate restano per 90 giorni dell’albo e poi
depositate in uffici comunali con consultabilità generale; dopo 30 giorni dall’avvio si possono
presentare osservazioni che aiutino a completare la fase istruttoria.
La regione ha il dovere di esaminare le osservazioni per emanare provvedimenti: a questo punto, se i
beni sono bellezze individue la regione deve comunicare all’avvio del procedimento al proprietario,
alla città metropolitana o al comune; deve inoltre essere in possesso di elementi catastali atti a
identificare il bene, oltre alla proposta della commissione con tutti i requisiti previsti ( motivazione,
prescrizione, misure e criteri di gestione).

11
A seguito di tale processo la Regione, entro 60 giorni, emana il provvedimento di dichiarazione di
notevole interesse pubblico, questo fa parte integrante del piano paesaggistico.L’art.141 bis prevede
che la dichiarazione possesso integrata dalla disciplina d’uso delle aree sottoposte a tutela.
Per quanto riguarda la natura giuridica del vincolo, esso porta a inedificabilità assoluta del bene e
successivo indennizzo da corrispondere al proprietario. Ci sono beni che per loro caratteristiche
oggettive hanno il vincolo già in origine, per cui questo non fa altro che accertare questa qualità il
proprietario, diritto all’indennizzo (teoria dell’originarietà); al giorno d’oggi, però, se si dichiara un
bene paesaggistico si ha luogo ad un atto di certazione.
L’articolo 141 riscrive la disciplina e conferisce pieni poteri del ministero dell’individuazione dei beni
paesaggistici.

3. Controllo e gestione dei beni soggetti a tutela


Quando un bene immobile diventa paesaggistico assume la qualificazione di bene ad uso controllato:
ovviamente vengono imposti limiti e vi è un dovere di conservazione, oltre a quello di
immodificabilità ( non assoluta ma relativa) dei beni e dei luoghi ad esso assoggettati.
Coloro che volessero eseguire opere o interventi sui beni paesaggistici sono tenuti a richiedere
un’autorizzazione che riporti le varie informazioni tecniche su cosa sia possibile o meno realizzare.
Precedentemente questa andava chiesta alla Regione, che ne rispondeva al ministero: qualora non ne
rispondesse, il ministero poteva annullare l’autorizzazione rilasciata dalle regioni o dagli enti
subdelegati, se non rispettosi della tutela. Infatti, le regioni hanno spesso subdelegato ad enti poco
sensibili alle questioni tutela; adesso però tutto è soggetto al potere vincolante delle sovrintendenze.
Il codice Urbani incentiva a favore della pianificazione paesistica: bisogna puntare ad una tutela
organica che passi attraverso un processo di pianificazione del territorio.
La sequenza procedimentale per il rilascio dell’autorizzazione è la seguente:
- I proprietari di immobili in aree vincolate presentano all’amministrazione competente il
progetto degli interventi, insieme al documento che dimostri la compatibilità fra intervento
progettato e interesse paesaggistico: si tratta di una relazione paesaggistica stilata secondo
criteri.
- Ricevuta l’istanza, l’amministrazione deve assicurarsi che la documentazione sia completa e
vedere se l’attività sia esonerata o meno d’autorizzazione; chiede consiglio alla
commissione locale per il paesaggio, e poi, dietro parere della soprintendenza, si pronuncia.
- In 40 giorni, l’amministrazione effettua accertamenti, invia la documentazione alle
sovrintendenze e avverte l’interessato dell’inizio del procedimento.
- Si attende il parere vincolante delle soprintendenza a tutti gli interventi progettati in aree
tutelate: si tratta di un atto decisorio e di un giudizio di merito. Se il parere è positivo, si
procede con l’autorizzazione, se è negativo con previsto di provvedimento negativo.
- Sussiste l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso; sebbene
sussista l’ipotesi del silenzio-assenso da parte della soprintendenza;
- dopo 45 giorni di inerzia dell’amministrazione, gli interessati possono chiedere
l’autorizzazione in via sostitutiva alla regione.
Il DPR 139\2010 un regolamento recante procedimento semplificato di autorizzazione paesaggistica
per gli interventi di lieve entità, raccolti in apposito elenco. Si tratta di una semplificazione
documentale, procedurale e organizzativa. Una volta ottenuta l’autorizzazione, questa deve essere
messa in atto entro 30 giorni, deve essere trasmessa alle sovrintendenze, alla regione e alla provincia.
Ci sono interventi non soggetti a autorizzazione previsti dell’articolo 149: si tratta di quelli su verifiche
di conformità alle previsioni del piano paesaggistico e dello strumento urbanistico, e per una serie di
interventi che non non alterino lo stato dei luoghi è l’aspetto esteriore degli edifici. Regioni e ministero
svolgono funzioni di vigilanza.
12
4. La pianificazione paesistica
Per tutelare il paesaggio occorre avere una pianificazione: si tratta di una programmazione, un insieme
di atti mediante i quali l’amministrazione, previa valutazione di una situazione nella sua globalità,
individua misure coordinate, modalità di azione dei soggetti, anche privati, coinvolti, risorse e
tempistiche per la realizzazione. La pianificazione deve basarsi principalmente su di compatibilità e
coerenza con gli interessi pubblici.
La pianificazione è uno strumento introdotto dalla legge 1479/1939 che incaricava l’allora Ministro
dell’Educazione nazionale di tutelare le bellezze d’insieme; il piano doveva contenere:
- informazioni sulle zone di rispetto
- il rapporto tra aree libere e fabbricabili
- le norme per la costruzione
- le diverse tipologie di costruzione
- la distribuzione e l’allineamento dei fabbricati
- la scelta e la distribuzione della flora
Il carattere facoltativo ne ha determinato la scarsa utilizzazione e applicazione; la pianificazione è
inoltre valida solo per immobili a cui viene apposto vincolo paesaggistico. Aveva funzioni simili a
quelle del piano urbanistico ma non implicava l’immodificabilità dei luoghi, ma era volta unicamente a
contenere l’uso del territorio per garantire la conservazione del patrimonio naturale. In sostanza, la
pianificazione detta le attività possibili in un’area: la legge del 1939 era basata su un criterio statico e
conservativo.
Un primo tentativo di modifica è la cosiddetta legge Galasso (l. 431/1985) che evidenzia il duplice
aspetto di integrità e globalità: da una tutela puramente estetica di singole cose e luoghi a globale.
Oggetto di tutela sono valori culturali e paesaggistici globalmente considerati. La legge Galasso ha:
- esteso il vincolo paesaggistico: ha sottoposto a vincoli interi ambiti territoriali con caratteri
comuni e non più singoli beni, passando da una visione prettamente vincolistica ad una
maggiormente programmatoria;
- riusato la pianificazione paesistica: con l’adozione di una specifica normativa d’uso e di
valorizzazione ambientale, attraverso piani urbanistico-territoriali e piani paesaggistici.
La tutela deve realizzarsi:
- fissando in via generale e preventiva il quadro delle compatibilità paesaggistico-ambientali,
con condizioni e limiti necessari perché le future trasformazioni siano tollerabili e
coinciliabili con la trasformazione di valore;
- tenendo conto del rapporto tra conservazione e trasformazione
- uguagliando piani paesaggistici e piani urbanistici.
Il Codice ha riconosciuto grande importanza ai piani, in quanto strumenti di protezione, valorizzazione
e gestione del paesaggio; la loro realizzazione è affidata alle Regioni e sono regolati dall’art. 143
(articolazione dei contenuti dispositivi) e dall’art. 135 (principi della pianificazione paesistica). La
normativa si segnala per due profili innovativi:
- contenuti necessari: si vengono a comprendere tutti i beni paesaggistici, e non viene
preclusa la possibilità di individuarne di nuovi;
- ambito territoriale: la pianificazione è estesa a tutto il territorio regionale, non solo alle aree
vincolate per legge.
La Regione redige ed approva i piani; con la modifica del titolo V della Costituzione si sono venuti a
creare però dei problemi relativi alle podestà:
a. un problema generale: la tuteta del paesaggio rientra nell’ambiente o nei beni culturali? La
risposta, in questo contesto, è indifferente, poiché in entrambi i casi la tutela spetta allo Stato;

13
b. uno specifico: l’attività deve essere solo di tutela (esclusivamente dello stato) o anche di
valorizzazione (ripartita tra stato e Regione)? Il nuovo Codice ha dosato struttura e contenuti dei
piani paesaggistici, lasciando ampio spazio d’azione al legislatore regionale.
Lo Stato ha comunque un ruolo preminente per riguarda la conservazione, mentre le Regioni possono
stipulare intese con il Ministero per l’elaborazione congiunta dei piani: il ricorso allo strumento degli
accordi mira ad ad evitare conflitti tra Stato e Regioni.
Il contenuto dei piani si articola tra elementi obbligatori ed elementi facoltativi.
Sono elementi obbligatori:
- ricognizione del territorio oggetto di pianificazione;
- ricognizione degli immobili e delle aree di notevole interesse pubblico;
- ricognizione delle aree riconosciute dall’art. 142 del Codice;
- ricognizione di ulteriori immobili e aree di un certo interesse (art. 134);
- analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio;
- individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione;
- obiettivi di qualità.
Sono elementi facoltativi:
- l’individuazione di aree tutelate ex lege, nella quale la realizzazione di opere può avvenire
previo accertamento della conformità al piano paesaggistico;
- l’individuazione di aree gravemente compromesse o degradate nella quale interventi di
recupero non necessitano di autorizzazione.
Le leggi regionali possono disciplinare i contenuti discrezionali dei piani.
Il Codice disciplina il procedimento congiunto di elaborazione dei piani paesaggistici e fissa i criteri
per le Regioni (nel momento dell’approvazione dei piani). È ribadito il metodo della concertazione
istituzionale, che prevede l’approvazione di piani regolatori e l’adozione di provvedimenti a tutela del
vincolo paesaggistico, tramite il concerto tra il Ministero e l’amministrazione locale. La
regolamentazione deve prevedere partecipazione e pubblicità.
Il piano diventa ufficiale il giorno dopo essere stato approvato sul Bollettino ufficiale della regione.
Il Codice prevede anche il coordinamento dei piani paesaggistici con altri strumenti di pianificazione; il
ministero individua linee fondamentali dell’assetto al territorio nazionale.

5. Il regime sanzionatorio
La norma giuridica deve contenere sia il precetto e la sanzione. Quest’ultima è il mezzo con cui si
afferma l’efficacia della norma; nell’atto, si tratta della conseguenza sfavorevole ad un illecito (mentre
questo è la violazione di un precetto compiuta da un soggetto). Si tratta di una misura generalmente
retributiva (che infligge un danno maggiore rispetto al beneficio che si ricava dalla violazione) nei
confronti del trasgressore, ha natura afflittiva, incide in modo immediato e, nel nostro ordinamento, può
essere di natura civile, penale o amministrativa. Quelle relative ai beni culturali possono rientrare in
entrambi gli ultimi due ambiti: quella penale richiede un processo dalle autorità giudiziaria, quella
amministrativa viene inflitta dalla stessa amministrazione.
Si tratta dunque di un sistema sanzionatorio con una pluralità di strumenti: sanzioni penali principali
(detentive o pecuniarie); sanzioni penali accessorie (interdizione, confisca); sanzioni amministrative
(non hanno un loro contenuto peculiare).
La tutela penale dei beni pubblici è prevista dall’art. 181: la condotta criminosa contemplata è molto
ampia, prevedendo ogni intervento non autorizzato che alteri lo stato dei luoghi, senza distinzione tra
totale e parziale difformità. È ritenuto necessario il catattere di offensività della condotta: quindi,
qualunque attività dell’uomo che incide sull’integrità del bene paesaggistico.
Gli interventi dell’uomo vengono classificati in non soggetti ad autorizzazione, autorizzati, non
autorizzati ma autorizzabili, distruttivi o non autorizzabili.
14
L’art. 734 del codice penale tutela i beni culturali e paesaggistici punendo i reati “di danno”(reati
instantaneo con effetti permamenti), mentre l’art. 181 del Codice dei beni culturali punisce i reati “di
pericolo”.
Le sanzioni amministrative sono individuate dagli articoli 167 e 168 del Codice dei beni culturali: il
primo punisce ogni violazione degli obblihi e degli ordini compresi agli articoli 131-159; la pubbliga
amministrazione deve varare ordine di rimessa in pristino e può prevedere il pagamento di una somma
(scelta discrezionale che necessità di motivazione).

6. La tutela delle aree naturali protette e della biodiversità


La protezione della natura risulta essere sempre più al centro delle normative, per la ricchezza e la
fragilità della stessa; in questa rientra la tutela delle biodiversità, cioè di tutta la varietà di specie,
ecosistemi, patrimonio genetico, a cui sono rivolti l’ordinamento internazionale e comunitario.
Già dalla Conferenza di Rio del 1992 si è posta come obiettivo e oggetto di un piano comunitario
d’azione, adottato dalla Commissione Europea nel 2006: la biodiversità è riconosciuta importante
perché porta benefici sia nel presente che nel futuro, e per questo va preservata. L’approccio politico e
legislativo è basato su una duplice constatazione:
a. la biodiversità non è uniformemente diffusa sul territorio;
b. non tutti gli habitat e le specie sono esposti agli stessi rischi
Di conseguenza, è necessaria una differenziazione di tutela e strumenti, nell’ottica di una rete di siti di
elevato valore naturalistico (Natura 2000). Le normative importanti di rifermento sono le direttive in
materia di uccelli selvatici e sulla conservazione degli habitat; in Italia, la legge 157/1992 e il DPR
357/1997 hanno manifestato la prevaricazione dell’interesse pubblico su quello privato.
La disciplina delle aree nazionali protette in Italia inizia con leggi-provvedimeno che istituirono i
parchi nazionali del Gran Paradiso (’22), dell’Abbruzzo (’34), dello Stelvio (’35). Si tratta di un regime
strettamente vincolistico, con ambito territoriale ben definito, che preveda un area lasciata incolta per
consentire il libero sviluppo naturale della flora e della fauna. Si trattava però di leggi poco attente alle
esigenze delle popolazioni residenti, portando all’aumento do conflittualità e dissenso: il parco non era
visto nella complessità dei legami con il territorio e la popolazione, ma dal punto di vista della tutela
cautelativa e parziale. La normativa risulta molto spezzettata, e si evidenzia la necessità dell’unità del
regime giuridico.
Da tutela statica e passiva si passa ad una tutela attiva e dinamica, con forme di pianificazione ed
incentivazione di attività economiche compatibili e con coinvolgimento della popolazione: da un uso
esclusivo ad uno multiplo (non c’è più la concezione di “santuario della natura” ad un laboratorio di
sviluppo sostenibile), con compenetrazione di interessi sia pubblici che privati.
Nel 1977 le Regioni furono investite di funzioni amministrative per tutelare la natura e i parchi.
Duplice obiettivo è la conservazione del patrimonio culturale e, allo stesso tempo, la promozione dello
sviluppo socio-economico delle popolazioni residenti. Si arriva così alla legge-quadro sulle aree
protette, prevedendo misure di incentivazione; il rapporto tra Stato e Regione viene ridefinito dal d.lgs
112/1998.
Un ruolo di primo piano ha avuto l’Unione Europea, intervenuta con apposite normative a riguardo;
con la direttiva sugli habitat del 1992 sono stati istituiti i SIC (siti di importanza comunitaria), aree con
habitat naturali, seminaturali, con specie animali o vegetali selvatiche da considerare ai fini della
salvaguardia della biodiversità. Ogni Stato deve stilare un elenco di SIC per ognuna delle regioni
biogeografiche, ovvero: alpina, atlantica, boreale, continentale, macaronesica, mediterranea, pannonica.
Tra le misure da adottare (per gli uccelli selvatici) sono state previste delle ZPS (zone di protezione
speciale), che rientrano nella rete ecologica di Natura 2000; e delle ZSC (zone speciali di
conservazione) designate dai singoli Stati, individuate dal Ministero in intesa con le Regioni.

15
La gestione integrata di aree ad elevata vocazione naturale ha portato alla traduzione normativa di
strumenti quali VAS (valutazione strategica di piani e programmi) e VIA (valutazione di impatto
ambientale).
Ci sono quattro fasi di verifica di valutazione di impatto ambientale di progetti su un sito:
1. verifica o screening
2. valutazione appropriata
3. analisi delle soluzioni alternative
4. definizione delle misure di compensazione
Sono state numerose però le infrazioni tra Stati membri.
In Italia si ha un intreccio di podestà tra Stato, Regioni ed enti locali, e allo stesso tempo un intreccio di
obiettivi tra tutela dell’ambiente, protezione della natura, disciplina delle aree naturali protette. Si
attuano tre livelli di competenza dell’ambito di protezione della natura:
a. lo stato individua i parchi, ne garantisce l’unità di struttura, il funzionamento e la
programmazione
b. i parchi curano che gli interessi pubblici non siano in contrasto con i fini di conservazione e
valorizzazione
c. le Regioni disciplinano attività e beni dell’area protetta.
Con la riforma del Titolo V della Costituzione, per la prima volta sono incluse nel dettato
costituzionale la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. La legge-quadri ha tre nuclei di norme: norme
di catattere generale, standard di tutela, aree protette regionali. In rilievo sta la tutela della flora e della
fauna: in particolare, si è puntato ad una regolamentazione dell’attività venatoria. Nel 1939, la fauna
selvatica era di libera appropriazione, nel 1977 è entrata tra i beni indisponibili dello Stato e la caccia è
stata concessa solo per determinate specie definite cacciabili; un altro passo in avanti è stato fatto con
la legge-quadro del 1992, che ha recepito le norme internazionali e comunitarie fornendo alle Regioni
maggiori poteri in materia di caccia.
L’ambiente marittimo costituisce il 99% dello spazio vitale sul nostro pianeta; anch’esso è stato messo
sotto tutela, con un quadro normativo:
- a livello internazionale, che ha portato a convenzioni come quella di Londra nel 1954
(OILPOL) che si opponeva all’inquinamento causato dagli idrocarburi; o quella di
Stoccolma del 1972 che ha portato ad un programma specifico per l’ambiente, UNEP, da
cui sono derivati altri protocolli e convenzioni (come Dumping, Marpol, la Convenzione di
Barcellona, ASPM, MAP), o UNCLOS (la convenzione dell’Onu nel 1982.
- A livello comunitario, come la direttiva 2000/60/CE, in materia di acque;
- A livello nazionale, come le disposizioni per la difesa del mare, o la legge 394/1991, sulle
aree naturali protette, che ha istituito le aree marine protette (legge integrata poi dal
cosidetto “Santuario dei cetacei”).
La legge-quadro ha i principi fondamentali per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, per
gaantire e promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese: in questo
sono incluse le formazioni fisiche-geologiche, geomorfologiche e biologiche con rilevante valore
naturalistico-ambientale. Si punta ad un’integrazione tra uomo e natura.
Le aree meritevoli sono suddivise in:
- Parchi nazionali
- Parchi naturali regionali
- Riserve naturali
- Aree marine protette
Il Comitato per le aree protette individua le aree su cui istituire il parco/riserva. Deve inoltre:
a. Integrare la classificazione delle aree protette
b. Adottare un programma di gestione triennale per le aree protette
16
c. Approvare un elenco ufficiale delle aree protette.
La gestione dei parchi nazionali è affidata all’Ente Parco, che ha personalità giuridica, sede ed
amministrazione nel territorio di competenza. È dotato di statuto, si trova sotto la vigilanza del
Ministero dell’ambiente, ed è composto da un Presidente, un Consiglio direttivo, una Giunta esecutiva,
un Collegio revisore dei conti, la Comunità del parco.
La gestione vera e propria si attua per mezzo di alcuni strumenti:
- Regolamento
- Piano per il parco
- Piano pluriennale economico e sociale per la promozione delle attività compatibili
La legge individua lo strumento di controllo per gli interventi di trasformazione: si tratta di un nulla
osta concesso dall’Ente Parco entro 60 giorni dalla richiesta.
Anche per le aree protette è previsto un regime sanzionatorio con sanzioni sia penali che
amministrative: quelle penali prevendono l’arresto o l’ammenta per violazione di disposizioni del piano
o del regolamento; quelle amministrative si attuano quando vengono violate disposizioni emanate da
organismi di gestione delle aree protette.

17

Potrebbero piacerti anche