PARTE PRIMA
ORDINAMENTO DEI BENI CULTURALI
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valenza identitaria ( secondo quanto detto dalla dichiarazione Franceschini): si tratta dell’eredità dei
padri, memoria della comunità nazionale nelle sue radici ideali e materiali.
Il codice individua sin dall’inizio i soggetti che devono garantire tutela e valorizzazione: lo stato, gli
enti pubblici territoriali, altri soggetti pubblici e privati. Essi sono tenuti per legge a perseguire
interessi pubblici sottesi alla tutela (di competenza esclusiva dello Stato), ognuno con i propri mezzi:
lo stato con competenze legislative ed amministrative; ugualmente le regioni (attraverso leggi
eprovvedimenti); province, comuni, enti pubblici con provvedimenti amministrativi; i privati
collaborazione che deve garantire la conservazione.
All’inizio dell’elaborazione della normative, tutto era molto più accentrato sullo Stato; negli anni ‘70,
però, viene attuato l’articolo 117 della costituzione, la cui area di azione era però molto restrittiva; solo
con d. lgs. 112\1998 ci fu distinzione tra attività dello Stato (concentrata sulle funzioni di tutela per
riconoscere, conservare e proteggere i beni culturali e amientali) e attività di gestione, valorizzazione e
promozione, ripartite tra Stato e regioni. Il completamento di questi riferimenti normativi è avvenuto
con la riforma del 2001 relativa al titolo V della Costituzione, per la quale la tutela dei beni culturali è
di esclusiva legislazione dello Stato, mentre valorizzazione, promozione, e organizzazione sono
attribuite alla legislazione regionale oltre che a quella statale (competenza concorrente e ripartita).
Grazie ai primi articoli del codice, ad essi si affiancano gli enti territoriali pubblici, gli altri soggetti
pubblici e i soggetti privati, chiamati a garantire obbligatoriamente la conservazione dei Beni Culturali
di loro proprietà. In tale ambito ha assoluta centralità alla differenza di nozione tra tutela e
valorizzazione: quest’ultimo termine è più giovane, essendo stato coniato nel 1998; prima delle leggi
della ruolo marginale (basti pensare che nella legge del 1939 si pensava alla difesa del bene). La sua
prima apparizione avviene nella commissione Franceschini.
Si opera una distinzione in base al contenuto o alla natura delle attività E delle funzioni: la tutela è
garantire il valore culturale costituisce l’aspetto di interesse pubblico giuridicamente protetto
dall’ordinamento (rilevanza a effetti giuridici, limiti per i destinatari, contrasto potenziale tra interesse
pubblico e del soggetto); la valorizzazione è invece il riscontro di un rapporto di convergenza e
compenetrazione tra interesse pubblico e situazione soggettiva, in attività che svolgono l’interesse
pubblico.
2. I beni culturali
I Beni Culturali sono definiti dall’art.2 comma 2 CBC “cose mobili e immobili che presentano interesse
artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e altre cose individuate
dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà”. La definizione rimanda
alla commissione Franceschini, che sostituì la nozione più estetizzante di antichità e belle arti,
aprendola invece ad ogni testimonianza di una memoria del passato che possa essere fruibile al
pubblico e svolgere funzione culturale: si passò così da un criterio estetico ad uno storico.
L’art.10 CBC elenca le varie categorie e species di beni culturali, affermando il principio di tipicità e
tassatività delle categorie ascrivibili alla nozione giuridica di bene culturale: solo e soltanto i beni
indicati in questo articolo possono essere dichiarati di interesse culturale dagli organi pubblici.
Per il giurista, si tratta di una nozione liminale, poiché la normativa giuridica non dà un proprio
contenuto ma opera mediante un rinvio a discipline non giuridiche.
Una prima distinzione viene fatta nei confronti dei beni culturali di proprietà privata: si tratta dei Beni
culturali di proprietà di pubblici, persone giuridiche, private ecclesiastici riconosciuti. Musei,
biblioteche e archivi vengono inclusi nella categoria dei beni culturali pubblici appartenti allo Stato,
che si configura come soggetto pubblico. Definizione appare confusionaria in quanto in divisa e
suddivisa. La centralità della distinzione sta nelle modalità dell’assoggettamento a regimi di tutela e al
diverso livello di interesse: i beni a cui si fa riferimento nel comma 1 dell’articolo 10 rientrano di diritto
nella definizione, mentre quelli con riferimento al comma 3 dietro dichiarazione di interesse; pericoli
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pubblici si verifica il semplice interesse, per quelli privati deve essere particolarmente importante o
eccezionale. Identificare il livello di interesse è una novità importante nel codice: una volta dichiarato l’
interesse e posto il vincolo, si pone limite alla discrezionalità amministrativa ( cioè il margine di scelta
e di valutazione che l’ordinamento rimette alla competenza della pubblica amministrazione, affinché
vengano prese le decisioni più opportune e ragionevoli nell’interesse della collettività). Un giudice poi
può sindacare sul rispetto o meno del limite, fino ad arrivare all’annullamento del procedimento
illegittimo.
I beni indicati nel comma 3, lettera a, sono di particolare interesse, essendo immediata la percezione del
carattere intrinseco di valore culturale: ma anche di tutte le opere minori che siano valide come
testimonianza; quelli indicati alla lettera d sono importanti non per il loro interesse storico-artistico, ma
per il loro legame storico-relazionale con la nazione. Dunque, sono sottoposti a tutela opere che non
sono l’espressione in senso assoluto del genio e dell’arte umana, ma che, essendo testimonianze
irripetibile, rara e recessiva di un’epoca storica, fanno parte del patrimonio culturale della collettività.
Il comma quattro ribadisce quali sono i beni compresi per eliminare ogni dubbio interpretativo.
Sorge però il problema della tutela dei beni immateriali e delle attività culturali: nel codice si parla di
beni etnoantropologici (mentre nel testo unico del ’99 di beni demoetnoantropologici), ovvero tutti quei
beni espressione di tradizioni della cultura popolare e della vita della gente comune. Si tratta di una
categoria tutt’altro che unitaria, ma anche ampia e disomogenea: per la tutela è necessaria la presenza
di una res; molti fenomeni etno-antropologici producono oggetti che possono essere sottoposte tutela,
conservazione, fruizione; ma molti sono “volatili”, per poter essere fruiti devono essere rieseguiti, o
rifatti. Inizialmente il codice non se ne occupava, ma in seguito l’UNESCO ha spinto affinché ci si
pensasse, e nel d.lgs. 62/2008 fu introdotto l’art. 7 bis. Resta però necessaria la condizione di
materialità.
Lo stesso problema si pone per tutelare le attività tradizionali, tutelando oggetti e luoghi in cui le
attività venivano svolte: si tratta però di un escamotage non sempre approvato.
L’art. 11 stabilisce le cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela, vvero idonee a essere tutelate:
come, iscrizioni, tabernacoli (esposti o meno alla pubblica vista), studi di artisti, aree pubbliche di
valore culturale, opere di autori viventi la cui esecuzione non risalga a più di cinquant’anni, opere di
architettura contemporanea.
L’art.9 tratta dei Beni Culturali di interesse religioso, ovvero appartenenti ad enti ed istituzioni della
Chiesa cattolica o di altre confessioni; in questo caso, si pone la necessità di conciliare la tutela con le
esigenze di culto, nell’ottica dell’applicabilità delle disposizioni che disciplinano i rapporti tra Stato e
Chiesa (art. 12, n.1, comma 2 dell’Accordo di modificazione del Concordato Lateranense, ripreso nel
Testo Unico 1999). Gli enti proprietari, in questo caso, rientrano tra le persone giuridiche private senza
fine di lucro, quindi i beni sono sottoposti ad un regime più rigido; l’esigenza di tutelare il patrimonio
culturale (art. 9 Cost.) e il rispetto delle diritto di culto religioso (art. 19 Cost.) portano ad una
necessaria collaborazione tra le suddette autorità, per concordare le modalità di azione, di tutela, di
valorizzazione; con la Chiesa cattolica sono stati definiti molti obblighi e interventi di competenza.
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istruttoria. Di solito si risolvono in vincoli di diretti edificabilità; si segue il principio secondo cui i
sacrifici del privato vadano ridotti al minimo.
La comunicazione dell’avvio può essere sostituita da idonee forme di pubblicità. Le prescrizioni
possono essere immediatamente precettive, se gli enti territoriali avevano altri piani, dovranno adattarsi
a quelli adottati nel Ministero.
Un altro provvedimento sfavorevole per i destinatari è l’espropriazione: definita dall’articolo 95 e
Galles in base all’articolo 42 della costituzione. L’articolo 99 prevede indennità dall’espropriato,
eccetto quando le espropriazioni rientrano in quelle previste degli articoli 96 e 97. Si tenta comunque di
far risparmiare Stato ed enti pubblici; è comunque sancito un livello minimo da risarcire. Secondo la
sentenza 348/ 2007 vengono divisi i tipi di indennizzo in base alla natura del bene: Per i Beni Culturali
contemplati nell’articolo 99 l’indirizzo è uguale al valore di mercato del bene.
Altro problema è riconoscere i casi in cui sia necessaria un’espropriazione sostanziale (o di valore).
Attività vengono concesse, previa autorizzazione, ai proprietari: si tratta di interventi conservativi
volontari o imposti, da cui derivano oneri finanziari per il proprietario e il ministero.
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di chi li ritrovava. L’uso dei beni pubblici può essere differenziato: generale o comune; speciale;
eccezionale.
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dell’interesse. Secondo l’articolo 69, Si può fare ricorso contro il diniego di attestato, Per motivi di
legittimità e merito, entro 30 giorni dalla comunicazione.
Altro mezzo per la circolazione è l’acquisto coattivo: l’oggetto rimarrà in custodia presso l’ufficio
stesso fino alla conclusione del procedimento; qualora il ministero non volesse acquistarlo, il compito
ricadrebbe sulla regione.
L’uscita temporanea dei brani è regolata dagli articoli 66 e 67, mentre l’articolo 65 comma 1- 2 a) -3
vale solo per mostre, esposizioni d’arte, manifestazione. Se alcuni beni sono soggetti più di altri a
darmi o sono parte fondamentale di un fondo, non possono lasciare il Paese; altri casi in cui è lecita
l’esportazione sono enunciati nell’articolo 67. Secondo l’articolo 71, bisogna presentare un’istanza
all’ufficio esportazione.
Per l’esportazione di beni culturali verso paesi terzi vanno controllati i servizi doganali reciproci per
verificare il rilascio di licenze ( tendenzialmente di validità semestrale). La sezione III del titolo V del
codice si occupa della restituzione dei beni culturali usciti illecitamente, per preservare il patrimonio
degli Stati all’interno dei propri confini territoriali: l’integrità è il valore fondamentale, l’azione di
restituzione favorisce la cooperazione fra Stati membri. Sono considerati beni rilevanti quelle del
patrimonio culturale del Paese secondo disciplina comunitaria; Lo Stato è l’unico titolare della
restituzione
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La sua organizzazione si compone di un’amministrazione centrale e di un’amministrazione periferica:
lo Stato delega le competenze periferiche le amministrazioni locali, che comunque svolgono funzioni
statali non proprie. Nel 1974, il ministero era diviso in organizzazione centrale con il ministro al
vertice, tre uffici centrali (uno relativi ai beni storico artistici, archeologici, architettonici, ambientali;
uno per i beni archivistici; uno per i beni librari e gli istituti culturali) con competenze tecniche
specifiche e corrispondenti alle direzioni generali. Nel 1998 le direzioni diventano otto e il ministero è
più frammentato: per questo venne istituito il Segretario generale del ministero, direttamente
dipendente dal ministero che doveva coordinarle.
A livello periferico, già dal ’74 gli organi di amministrazione erano le Sovrintendenze ( archeologiche,
storico-artistiche, ai beni ambientali e architettonici, ai beni archivistici), con varie articolazioni
territoriali; esse svolgevano funzione di stimolo e direzione delle attività tecnica e scientifica, con
funzionari competenti selezionati tramite concorso. Accanto alle soprintendenza apparivano gli
Archivi di Stato e le biblioteche pubbliche statali. Nel 1998 furono istituite le Sovrintendenze
regionali, che coordinavano le altre nel territorio, individuando priorità di interventi e la loro
programmazione, verificavano l’attuazione degli stessi, attuavano la distribuzione ottimale delle risorse
umane. Vennero poi aggiunte attribuzioni relative all’attività provvedimentale del ministero; il
soprintendente aveva potere di dichiarare interesse culturale di beni di proprietà privata.
Altri organi periferici sono i musei tutti gli altri istituti di conservazione dotati di autonomia; le
soprintendenze speciali (con particolare autonomia scientifica, finanziaria, contabile, organizzativa).
La riforma della riforma nel 2002 ha abrogato la figura del Segretario generale e introdotto i
dipartimenti; altresì, ha abrogato anche la figura del soprintendente regionale e ha introdotto le
Direzioni regionali per i beni culturali.
A seguito di questa riforma, il ministro si articola in quattro dipartimenti e 10 direzioni regionali. I
dipartimenti si occupavano dei Beni Culturali e paesaggistici; dei beni archivistici e librari; per la
ricerca, l’innovazione e l’organizzazione; dello spettacolo e dello sport. Ognuno è presieduto dal
Capo del Dipartimento, chiama funzioni di coordinamento e controllo, fruizione e valorizzazione, Ed è
preposto a tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, oltre che alla promozione della qualità
cronica è urbanistica e dell’arte contemporanea.
Con il regolamento del 2004, cambiato nel 2007 nel 2009, è stata emessa una nuova riforma
ministeriale che ha determinato la scomparsa dei dipartimenti e l’articolazione ministeriale con
direzioni generali e segretario nazionale, oltre al potenziamento di soprintendenze e istituti centrali
nazionali: si compone di 8 uffici dirigenziali generali, ognuno con specifiche funzioni e attività,
coordinate dal Segretario. Quest’ultimo ha anche il compito di convocare periodicamente la conferenza
dei direttori generali.
La funzione consultiva degli organi centrali, di ausilio all’attività degli organi di amministrazione, è
affidata ad un Consiglio Superiore per i Beni Culturali e a comitati tecnico-scientifici. Il Consiglio è
composto dai presidenti dei comitati tecnico-scientifici, più 8 eminenti personalità del mondo della
culturale. Altre figure all’interno del ministero sono gli Istituti centrali, gli Istituti nazionali, gli Istituti
dotati di autonomia speciale: l’ordinamento di ciascuno è stabilito con specifico decreto ministeriale e
sono regolati da rapporti interorganici.
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I delitti, in forma più grave, sono puniti dalle contravvenzioni (arresto, ammenda). I vari tipi di reato
relativi ai beni culturali possono essere: reati causati da violazioni del codice per quanto riguarda la
circolazione nazionale e internazionale; alienazione senza autorizzazione; omessa denuncia di
trasferimento; omessa consegna di un bene soggetto a prelazione; illecita esportazione;
impossessamento illecito di beni dello Stato; contraffazione di opere d’arte.
Essi sono punti ai sensi degli articoli 169-172 e 175.
PARTE SECONDA
L’ORDINAMENTO DEI BENI PAESAGGISTICI
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Con la revisione costituzionale, sono introdotti nuovi principi per ripartire le funzioni amministrative:
questi sostituiscono il parallelismo tra podestà legislativa e funzione amministrativa. Sono
rispettivamente il principio di sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione.
Importante contributo alla formazione di una normativa relativa ai beni paesaggistici è stato dato dalla
Convenzione europea del paesaggio dal 20 ottobre 2000, in Italia in vigore dal 2006. Questa elabora
una nozione condivisa di paesaggio, certifica le forme di cooperazione e sancisce gli strumenti della
sua salvaguardia, pianificazione, gestione.
Vi è un forte nesso tra il paesaggio nella comunità stanziata sul territorio: il fine di una legislazione di
tutela è la protezione dell’essere umano e del suo contesto ambientale. Altri principi importanti stabiliti
dalla convenzione sono la politica del paesaggio, gli obiettivi di qualità paesaggistica, la salvaguardia
dei paesaggi, la gestione dei paesaggi, la pianificazione dei paesaggi.
Il codice Urbani del 2004 trasposto all’interno del nostro ordinamento i principi della Convenzione.
L’articolo 131 fornisce la definizione giuridica di paesaggio.
Per la tutela del paesaggio si intende la tutela di ogni forma del territorio, inteso quale continua
interazione della natura e dell’uomo: il paesaggio e ciò che l’ambiente è in potenza. La novità del
codice urbani quella di parlare di beni paesaggistici, rientranti nel patrimonio culturale.
Si ha però difficoltà a distinguere tra tutela e valorizzazione: sono riconducibili alla competenza
legislativa esclusivamente statale, così come alla competenza concorrente, ma implicano il
coinvolgimento di più livelli di governo, e di conseguenza il dovere di cooperazione tra
amministrazioni coinvolta seppur su diversi livelli (locale, nazionale, sovranazionale).
La tutela è qualcosa di dinamico, non può essere sottoposta a partizioni nette.
L’articolo 134 del codice urbani individua i beni paesaggistici tutelati dalla legge e dalle autorità
amministrative: si tratta delle bellezze naturali qui fa riferimento alla legge del ’39, cui si aggiungono
gli ambiti territoriali individuati dalla legge Galasso immobili e alle aree sottoposte a tutela dei piani
paesaggistici. Ciò dal luogo a una tripartizione.
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A seguito di tale processo la Regione, entro 60 giorni, emana il provvedimento di dichiarazione di
notevole interesse pubblico, questo fa parte integrante del piano paesaggistico.L’art.141 bis prevede
che la dichiarazione possesso integrata dalla disciplina d’uso delle aree sottoposte a tutela.
Per quanto riguarda la natura giuridica del vincolo, esso porta a inedificabilità assoluta del bene e
successivo indennizzo da corrispondere al proprietario. Ci sono beni che per loro caratteristiche
oggettive hanno il vincolo già in origine, per cui questo non fa altro che accertare questa qualità il
proprietario, diritto all’indennizzo (teoria dell’originarietà); al giorno d’oggi, però, se si dichiara un
bene paesaggistico si ha luogo ad un atto di certazione.
L’articolo 141 riscrive la disciplina e conferisce pieni poteri del ministero dell’individuazione dei beni
paesaggistici.
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b. uno specifico: l’attività deve essere solo di tutela (esclusivamente dello stato) o anche di
valorizzazione (ripartita tra stato e Regione)? Il nuovo Codice ha dosato struttura e contenuti dei
piani paesaggistici, lasciando ampio spazio d’azione al legislatore regionale.
Lo Stato ha comunque un ruolo preminente per riguarda la conservazione, mentre le Regioni possono
stipulare intese con il Ministero per l’elaborazione congiunta dei piani: il ricorso allo strumento degli
accordi mira ad ad evitare conflitti tra Stato e Regioni.
Il contenuto dei piani si articola tra elementi obbligatori ed elementi facoltativi.
Sono elementi obbligatori:
- ricognizione del territorio oggetto di pianificazione;
- ricognizione degli immobili e delle aree di notevole interesse pubblico;
- ricognizione delle aree riconosciute dall’art. 142 del Codice;
- ricognizione di ulteriori immobili e aree di un certo interesse (art. 134);
- analisi delle dinamiche di trasformazione del territorio;
- individuazione degli interventi di recupero e riqualificazione;
- obiettivi di qualità.
Sono elementi facoltativi:
- l’individuazione di aree tutelate ex lege, nella quale la realizzazione di opere può avvenire
previo accertamento della conformità al piano paesaggistico;
- l’individuazione di aree gravemente compromesse o degradate nella quale interventi di
recupero non necessitano di autorizzazione.
Le leggi regionali possono disciplinare i contenuti discrezionali dei piani.
Il Codice disciplina il procedimento congiunto di elaborazione dei piani paesaggistici e fissa i criteri
per le Regioni (nel momento dell’approvazione dei piani). È ribadito il metodo della concertazione
istituzionale, che prevede l’approvazione di piani regolatori e l’adozione di provvedimenti a tutela del
vincolo paesaggistico, tramite il concerto tra il Ministero e l’amministrazione locale. La
regolamentazione deve prevedere partecipazione e pubblicità.
Il piano diventa ufficiale il giorno dopo essere stato approvato sul Bollettino ufficiale della regione.
Il Codice prevede anche il coordinamento dei piani paesaggistici con altri strumenti di pianificazione; il
ministero individua linee fondamentali dell’assetto al territorio nazionale.
5. Il regime sanzionatorio
La norma giuridica deve contenere sia il precetto e la sanzione. Quest’ultima è il mezzo con cui si
afferma l’efficacia della norma; nell’atto, si tratta della conseguenza sfavorevole ad un illecito (mentre
questo è la violazione di un precetto compiuta da un soggetto). Si tratta di una misura generalmente
retributiva (che infligge un danno maggiore rispetto al beneficio che si ricava dalla violazione) nei
confronti del trasgressore, ha natura afflittiva, incide in modo immediato e, nel nostro ordinamento, può
essere di natura civile, penale o amministrativa. Quelle relative ai beni culturali possono rientrare in
entrambi gli ultimi due ambiti: quella penale richiede un processo dalle autorità giudiziaria, quella
amministrativa viene inflitta dalla stessa amministrazione.
Si tratta dunque di un sistema sanzionatorio con una pluralità di strumenti: sanzioni penali principali
(detentive o pecuniarie); sanzioni penali accessorie (interdizione, confisca); sanzioni amministrative
(non hanno un loro contenuto peculiare).
La tutela penale dei beni pubblici è prevista dall’art. 181: la condotta criminosa contemplata è molto
ampia, prevedendo ogni intervento non autorizzato che alteri lo stato dei luoghi, senza distinzione tra
totale e parziale difformità. È ritenuto necessario il catattere di offensività della condotta: quindi,
qualunque attività dell’uomo che incide sull’integrità del bene paesaggistico.
Gli interventi dell’uomo vengono classificati in non soggetti ad autorizzazione, autorizzati, non
autorizzati ma autorizzabili, distruttivi o non autorizzabili.
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L’art. 734 del codice penale tutela i beni culturali e paesaggistici punendo i reati “di danno”(reati
instantaneo con effetti permamenti), mentre l’art. 181 del Codice dei beni culturali punisce i reati “di
pericolo”.
Le sanzioni amministrative sono individuate dagli articoli 167 e 168 del Codice dei beni culturali: il
primo punisce ogni violazione degli obblihi e degli ordini compresi agli articoli 131-159; la pubbliga
amministrazione deve varare ordine di rimessa in pristino e può prevedere il pagamento di una somma
(scelta discrezionale che necessità di motivazione).
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La gestione integrata di aree ad elevata vocazione naturale ha portato alla traduzione normativa di
strumenti quali VAS (valutazione strategica di piani e programmi) e VIA (valutazione di impatto
ambientale).
Ci sono quattro fasi di verifica di valutazione di impatto ambientale di progetti su un sito:
1. verifica o screening
2. valutazione appropriata
3. analisi delle soluzioni alternative
4. definizione delle misure di compensazione
Sono state numerose però le infrazioni tra Stati membri.
In Italia si ha un intreccio di podestà tra Stato, Regioni ed enti locali, e allo stesso tempo un intreccio di
obiettivi tra tutela dell’ambiente, protezione della natura, disciplina delle aree naturali protette. Si
attuano tre livelli di competenza dell’ambito di protezione della natura:
a. lo stato individua i parchi, ne garantisce l’unità di struttura, il funzionamento e la
programmazione
b. i parchi curano che gli interessi pubblici non siano in contrasto con i fini di conservazione e
valorizzazione
c. le Regioni disciplinano attività e beni dell’area protetta.
Con la riforma del Titolo V della Costituzione, per la prima volta sono incluse nel dettato
costituzionale la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. La legge-quadri ha tre nuclei di norme: norme
di catattere generale, standard di tutela, aree protette regionali. In rilievo sta la tutela della flora e della
fauna: in particolare, si è puntato ad una regolamentazione dell’attività venatoria. Nel 1939, la fauna
selvatica era di libera appropriazione, nel 1977 è entrata tra i beni indisponibili dello Stato e la caccia è
stata concessa solo per determinate specie definite cacciabili; un altro passo in avanti è stato fatto con
la legge-quadro del 1992, che ha recepito le norme internazionali e comunitarie fornendo alle Regioni
maggiori poteri in materia di caccia.
L’ambiente marittimo costituisce il 99% dello spazio vitale sul nostro pianeta; anch’esso è stato messo
sotto tutela, con un quadro normativo:
- a livello internazionale, che ha portato a convenzioni come quella di Londra nel 1954
(OILPOL) che si opponeva all’inquinamento causato dagli idrocarburi; o quella di
Stoccolma del 1972 che ha portato ad un programma specifico per l’ambiente, UNEP, da
cui sono derivati altri protocolli e convenzioni (come Dumping, Marpol, la Convenzione di
Barcellona, ASPM, MAP), o UNCLOS (la convenzione dell’Onu nel 1982.
- A livello comunitario, come la direttiva 2000/60/CE, in materia di acque;
- A livello nazionale, come le disposizioni per la difesa del mare, o la legge 394/1991, sulle
aree naturali protette, che ha istituito le aree marine protette (legge integrata poi dal
cosidetto “Santuario dei cetacei”).
La legge-quadro ha i principi fondamentali per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, per
gaantire e promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese: in questo
sono incluse le formazioni fisiche-geologiche, geomorfologiche e biologiche con rilevante valore
naturalistico-ambientale. Si punta ad un’integrazione tra uomo e natura.
Le aree meritevoli sono suddivise in:
- Parchi nazionali
- Parchi naturali regionali
- Riserve naturali
- Aree marine protette
Il Comitato per le aree protette individua le aree su cui istituire il parco/riserva. Deve inoltre:
a. Integrare la classificazione delle aree protette
b. Adottare un programma di gestione triennale per le aree protette
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c. Approvare un elenco ufficiale delle aree protette.
La gestione dei parchi nazionali è affidata all’Ente Parco, che ha personalità giuridica, sede ed
amministrazione nel territorio di competenza. È dotato di statuto, si trova sotto la vigilanza del
Ministero dell’ambiente, ed è composto da un Presidente, un Consiglio direttivo, una Giunta esecutiva,
un Collegio revisore dei conti, la Comunità del parco.
La gestione vera e propria si attua per mezzo di alcuni strumenti:
- Regolamento
- Piano per il parco
- Piano pluriennale economico e sociale per la promozione delle attività compatibili
La legge individua lo strumento di controllo per gli interventi di trasformazione: si tratta di un nulla
osta concesso dall’Ente Parco entro 60 giorni dalla richiesta.
Anche per le aree protette è previsto un regime sanzionatorio con sanzioni sia penali che
amministrative: quelle penali prevendono l’arresto o l’ammenta per violazione di disposizioni del piano
o del regolamento; quelle amministrative si attuano quando vengono violate disposizioni emanate da
organismi di gestione delle aree protette.
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