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SCOPERTE GEOGRAFICHE

Spagna e Portogallo nel '400:Fin dal primo '400 ci sono i presupposti per le esplorazioni transoceaniche. Spagna
e Portogallo hanno fattori che preparano il terreno alle esplorazioni come quelli economico-organizzativi,
tecnologici e lo sviluppodella teoria e strumenti geografici.  Il Portogallo conta sulla disponibilità di capitali di
mercanti italiani. Ma anche in Andalusia sorgono fondazioni commerciali. A metà XV secolo è pronta la base
tecnologica per l’esplorazione: la caravella che può navigare lontano dalle coste e rimanere in mare più a
lungo. C’è lo sviluppo della teoria e delle tecniche geografiche.  Viene vista la mappa tolemaica del mondo che
mostra che le navi possono navigare tranquillamente tra l’Africa e le Indie (Malesia, Indie orientali, China). La
Spagna possiede la bussola.L’espansione portoghese: nella seconda metà del 400 volevano circumnavigare
l’Africa per raggiungere l’oceano Indiano e l’Asia e controllare il traffico delle spezie. 1445 avevano scoperto
Capo Verde. Negli anni 70 esplorano la Guinea, attraversano il Congo, raggiungono l’Africa sudoccidentale. Nel
1487 Bartolomeo Diaz doppia la punta mediorientale del continente che prende il nome di Capo di Buona
Speranza. L’esplorazione africana consentì di sfruttare risorse quali gli schiavi, l’oro della Guinea, l’avorio, il
cotone, lo zucchero, il pepe di Madera.  Per giustificare la conquista delle terre e l’assoggettamento delle
popolazioni africane i giuristi inventarono la formula terra nullius , cioè una terra non sottoposta a nessuna
signoria, abitata da selvaggi senza ordinamento né leggi civili. Di qui la possibilità di imporre la signoria
portoghese.  L’impero portoghese aveva due limiti: difficoltà di gestire le risorse commerciali e coloniali e la
dipendenza dai mercanti stranieri, soprattutto italiani.  L’espansione spagnola: prima di Colombo ci fu
l’occupazione castigliana delle Canarie che fu portata a termine tra il 1477 e il 79, anno del trattato di
Alcaçovas tra Spagna e Portogallo: il Portogallo riconosceva i diritti castigliani sulle Canarie e la Spagna
riconosceva i diritti portoghesi sulle altre isole dell’Atlantico e sulle coste africane a sud di capo Bojador. Il
principio che giustificava l’occupazione dei territori era la fede, la guerra contro gli infedeli.  Il Portogallo era
riuscito grazie a Giovanni II (1481-95) a rafforzare l’autorità statale, a reprimere le spinte della grande nobiltà,
a sfruttare le risorse d’oltremare. L’interesse portoghese era orientato verso l’India mentre la Spagna voleva
completare la reconquista. 
Cristoforo Colombo: nel 1479 si stabilisce in Portogallo. Il suo progetto è raggiungere le indie orientali
partendo dalle coste atlantiche dell’Europa. Le mappe medievali e dei geografi arabi, le ricerche di Paolo
Toscanelli i miti e le fantasie delle terre sconosciute oltreoceano sono i presupposti per il suo progetto. 
Presenta il progetto a Giovanni II, re del Portogallo ma la risposta è negativa. Il sovrano non crede alla
fondatezza del progetto e non vuole investire energie al di fuori della strategia africana.  Si rivolge allora ai
reyes catolicos: nel 1486, per le ristrettezze finanziarie e gli impegni della corona, la risposta è negativa.  Nel
1491 la risposta è invece positiva. 17 aprile 1492 la Capitolazione di Santa Fè concede a Colombo il titolo di
ammiraglio, viceré e governatore delle terre eventualmente scoperte ma rivendica allo stato la legittimità
della spedizione. 1492 è l’anno anche del completamento della reconquista.  La prima spedizione è effettuata
con 3 caravelle: la Nina, la pinta e la Santa maria.  12 ottobre 1492 Colombo avvista la terra. Crede di essere
arrivato in China o Giappone ma in realtà è a Guanhani, isola delle Bahamas. La seconda spedizione è di
proporzioni più grandi: 1500 uomini (tra cui non nobili ma cavalieri che non avevano titoli nobiliari, borghesi,
artigiani, contadini), 17 navi. In comune avevano il miraggio dell’oro. Colombo torna a casa con un carico di
schiavi.  1498: terza spedizione con sole 6 navi e torna con oro, perle e preziosi. Raggiunse il Messico, le coste
dell’America latina. A Santo Domingo, disordini, violenze, epidemie rendono difficile l’amministrazione di
Colombo.  1500 è inviato in catene in Spagna accusato di corruzione. Isabella lo libera e gli affida un’ultima
spedizione nel 1502: costeggia le Honduras ma arenatosi deve ritornare in Spagna dove muore nel
1506. Occorreva legittimare la conquista e definire le conquiste spagnole e quelle portoghesi.  1493 c’è la bolla
inter cetera, papa Alessandro VI Borgia assegna alla corona di Castiglia ogni isola o terra ferma scoperta o
ancora da scoprire a ovest e a est di una linea stabilita e tracciata dall’artico o polo nord all’antartico o polo
sud. Era quindi la legittimazione dell’occupazione e il via libera per le occupazioni future. Il Portogallo non
accettava la divisione sancita dalla bolla papale 1494 trattato di Tordesillas definiva le zone di influenza di
Spagna e Portogallo: l’oceano era diviso da una linea immaginaria situata a 370 leghe a occidente delle isole di
Capo Verde; alla sua destra c’era la colonizzazione portoghese, alla sinistra quella spagnola.

Vasco de Gama: nel 1497 doppia il capo di Buona speranza, attraversa l’Africa orienta e raggiunge un anno
dopo Calicut. Torna con un carico di nuove spezie. 
1500-501 Cabral, compie una seconda spedizione a clicut, e lambisce per caso, le coste del Brasile. 1510
Portogallo conquista Goa e Malacca. 
Tra il 1519 e il 1522 Magellano, navigatore portoghese al servizio della Spagna raggiunge le Filippine. 
All’inizio del 500 l’impero portoghese ha 3 nuclei: 
1. le colonie agricole degli arcipelaghi dell’atlantico (Madera, Capo verde, Azzorre)
2. in Africa dalla Sierra Leone al Congo la cui risorsa sono gli schiavi
3. l’Estado da India, nell’Oceano Indiano dal basso Mozambico fino a Ceylon e alla costa cinese. 
La risorsa portoghese più importante è il commercio delle spezie.
1521-30 conquista del Brasile e sfruttamento delle piantagioni di zucchero. 
La Spagna, dopo le conquiste caraibiche della Giamaica, Portorico e Cuba la Castiglia rimpiazza il Portogallo
nella fornitura d’oro in Europa. Poi esplorano Panama, lo Yucatan. 1519 spedizione in Messico da parte di
Cortés: distruggono un impero e una civiltà (gli Aztechi). 
1522 Pizarro e Almagro attaccano l’impero Inca in Peru con stragi e sterminio della popolazione. Poi vengono
conquistate lo Yucatan, Guatemala, Salvador, Honduras, Cile, Bolivia.

Licenza reale per i conquistatori del '400:Il primo problema che la colonizzazione pone è l’organizzazione
della conquista, l’individuazione di un equilibrio tra il riconoscimento del potere statale sui territori
d’oltremare e la soddisfazione delle aspettative dei conquistadores. Il primo strumento di rapporto tra la
Corona spagnola  e i conquistatori fu la licenza reale: in cambio di investimenti e investimenti e servizi per la
Corona, l’impresario riceveva titoli, privilegi, autorizzazioni commerciali fino al titolo di adelantado che
conferiva il diritto di signoria, un potere amministrativo e militare.  Un tentativo di giustificare la conquista è il
requerimiento: in base ad esso gli indios dovevano riconoscere il papa come signore del mondo e il re di
Castiglia come suo vicario. Solo dopo questa accettazione gli indigeni potevano essere riconosciuti come leali
vassalli. Non funzionò perché gli indigeni non potevano capire. Meglio la forza.  Lo strumento più importante
della colonizzazione fu l’encomienda: era una concessione temporanea fatta dalla corona ai singoli soggetti, di
diritti di signoria su terre, città, castelli, villaggi. L’assegnazione non comportava nessun titolo di proprietà. 

Il Rinascimento: caratteristiche di un'epoca:Al rinascimento era attribuita una forte carica di modernità in
contrapposizione al medioevo. Si afferma l’uomo in quanto individuo. 
Rappresenta un’epoca di trasformazioni che investono intensità e ritmi di sviluppo in gran parte dell’Europa. 
3 tappe: l’origine nel XIV secolo, la maturità tra il XV e la prima metà del XVI e lo stadio finale nella seconda
metà del XVI. 
Ha origini italiane e dura circa due secoli e mezzo.  Nella fase della sua maturità sono individuabili: Mutamenti
culturali che investono visioni del mondo, mentalità, comportamenti. Il passaggio determinante è il passaggio
dall’universalismo medievale alla nuova concezione dell’individuo e alla celebrazione dell’opera  dell’uomo nel
mondo. Vi è un ritorno all’antico. Il mondo classico diventa una guida per la vita pratica.  Mutamenti nella
struttura politica fanno dello stato la nuova forma di organizzazione politica interna e internazionale. Il
sistema europeo degli stati è il nuovo sistema di rapporti con l’occidente.  Mutamenti nell’economia e nella
società . c’è la rivoluzione dei prezzi. Si hanno diverse velocità delle economie europee e la formazione di
economie centrale e di economie fortemente dipendenti.
Bartolomeu Dias: 1450 – 25 maggio 1500
Nato in Portogallo nel 1450, della sua vita si sa poco o quasi niente. Nella sua gioventù, Dias frequentò gli studi di
matematica e astronomia all'università di Lisbona; inoltre servì come militare nella fortezza di São Jorge Da Mina. In età
adulta diventò cavaliere della corte e successivamente comandante della nave da guerra São Cristóvão, che fu
la caravella con la quale egli compì i suoi viaggi sulle coste atlantiche dell’Africa. Dei suoi viaggi ne ricordiamo tre. Il
primo, nonché il più importante che egli fece, permise di trovare una nuova rotta per le Indie, fu quello che compì
nel 1487 e che terminò sedici mesi più tardi nel dicembre del 1488 dopo aver raggiunto e doppiato il Capo di Buona
Speranza per la prima volta nella storia dell'Europa. Il secondo è quello che svolse nel 1497 accompagnando Vasco da
Gama fino al Capo di Buona Speranza per poi lasciarlo continuare da solo fino alle Indie. L’ultimo, nel quale naufragò
perdendo la vita, fu accompagnando Pedro Alvarez Cabral.
 Vasco da Gama Sines, 3 settembre 1469 – Cochin, 24 dicembre 1524,
primo europeo a navigare direttamente fino in India doppiando Capo di Buona Speranza. All'inizio del XV secolo, la
scuola di navi di Enrico il Navigatore aveva circumnavigato le coste dell'Africa al servizio della corona portoghese.
Intorno al1460 il profilo della sua missione andava mutando nella ricerca dell'agognata Rotta delle spezie, un passaggio
per l'India intorno alla punta meridionale dell'Africa. Un successo di questo progetto avrebbe permesso di poter fare a
meno dell'intermediazione di commercianti arabi, persiani, turchi eveneziani, che gravava sul prezzo
delle spezie orientali come il pepe, la noce moscata e i chiodi di garofano. Verso la fine del secolo, questa ricerca stava
giungendo a compimento. Nel 1488 Bartolomeo Diaz era riuscito a raggiungere il Capo di Buona Speranza, mentre Pero
da Covilhã aveva viaggiato per terra fino a Calicut, esplorando possibili fonti di approvvigionamento di spezie sul
subcontinente indiano. Non rimaneva che unire i due segmenti del viaggio. Questo compito fu inizialmente affidato a
Estêvão da Gama, il padre di Vasco; ma questi morì prima di poter affrontare il viaggio. Nonostante il figlio avesse allora
meno di trent'anni, i servigi resi al Re di Portogallo Manuele I lungo la Costa d'Oro sembrano averlo qualificato
abbastanza da incaricarlo della missione al posto del più anziano Bartolomeo Diaz. Da Gama lasciò Lisbona l'8
luglio 1497. Fu il primo capitano nella storia a scegliere di distaccarsi nettamente dalla costa per poter sfruttare venti
migliori. Si inoltrò nell'Atlantico occidentale, tra l'altro senza trovare le zone più adatte alla navigazione a vela.
Accompagnato da Bartolomeo Diaz fino al Capo di Buona Speranza proseguì da solo, circumnavigandolo a novembre. A
Natale passò come primo europeo le coste del Natal, da lui così chiamato. Il 7 aprile 1498 raggiunse Mombasa, i cui
commercianti arabi tentarono di sabotare il suo viaggio. Da lì Gama riuscì ad arrivare a Malindi, allora in feroce
concorrenza con Mombasa. Il sultano di Malindi accolse i nemici dei suoi nemici a braccia aperte e gli mise a
disposizione un famosissimo esperto navigatore  che lo aiutò con grande perizia per condurlo senza problemi fino allo
Stato del Kerala, in India. Il 20 maggio 1498 sbarcò a Calicut, sulla costa sud-occidentale del subcontinente indiano. Per
la prima volta una nave europea era approdata in India. Seguirono difficili negoziati con il Samorin (principe) di Calicut,
continuamente avversati dai mercanti arabi residenti, per arrivare alla conclusione di un trattato commerciale. Dopo
mesi di sforzi diplomatici da Gama ottenne una concessione e ripartì l'8 ottobre, lasciandosi dietro alcuni dei suoi uomini
con l'incarico di stabilire un insediamento commerciale. Al suo ritorno a Lisbona, il 9 settembre 1499, venne accolto
trionfalmente come l'uomo che aveva portato a compimento un progetto iniziato ottant'anni prima, ed insignito del
titolo di "Ammiraglio dell'Oceano Indiano".
Ferdinando Magellano: Sabrosa, 17 ottobre 1480 – Mactan, 27 aprile 1521.
La spedizione di Magellano ed Elcano fu la prima circumnavigazione del globo terrestre, intrapresa tra il 10
agosto 1519 e il 6 settembre 1522 da una flotta di 5 navi capitanate dall'esploratore portoghese Magellano al servizio
della corona spagnola, e dopo sua morte nelle Filippine, dall'esploratore spagnolo Juan Sebastián Elcano. Il viaggio si
concluse con gravi perdite; ritornarono solo due navi, la prima (Victoria) nel 1522 e la seconda (Trinidad), che seguì una
rotta diversa senza circumnavigare il globo, solo nel 1525. Dei 234 tra soldati e marinai che formavano l'equipaggio
iniziale soltanto 36 si salvarono: 18 sulla Victoria e 5 sulla Trinidad, 13 finirono nelle carceri portoghesi nelle Isole di
Capo Verde. La storia del viaggio è nota grazie agli appunti dell'uomo di fiducia (criado) di Magellano, il
vicentino Antonio Pigafetta. Magellano stesso morì nella spedizione. Il viaggio di Magellano dimostrò definitivamente
quattro cose: che la Terra è una sfera; che la circonferenza del pianeta è molto maggiore di quanto avessero mai
creduto tutti i geografi; che l'America può essere circumnavigata al pari del continente africano; che si perdono 24 ore
se si segue il cammino del Sole da occidente a oriente. Quest'ultima osservazione fornì le basi a nuove speculazioni di
interesse fisico e metafisico sulla natura del tempo e dell'eternità. [1]Dal punto di vista materiale, date le lunghe distanze
percorse (la Victoria aveva coperto 69.000 km in tre anni per tornare in Spagna), il viaggio di Magellano non poté
rappresentare una valida alternativa alla cosiddetta Rotta delle Spezie controllata dai portoghesi. Spagna e Portogallo
rivendicarono entrambi il possesso delle Molucche in base al Trattato di Tordesillas e solo nel 1529 la controversia poté
essere risolta con il Trattato di Saragozza, con il quale la Spagna dovette rinunciare alle proprie pretese sulla zona.
Tuttavia, ancora nel XVI secolo gli spagnoli erano in grado di conquistare Guam e le Filippine, che sarebbero rimasti in
loro mano fino al 1898.
Il Trattato di Tordesillas venne firmato a Tordesillas, in Castiglia, il 7 giugno 1494; divise il mondo al di fuori
dell'Europa in un duopolio esclusivo tra l'Impero spagnolo e l'Impero portoghese lungo il meridiano nord-sud,
370 Leghe (1.770 km) ad ovest delle Isole di Capo Verde (al largo della costa del Senegal, nell'Africa Occidentale),
corrispondenti approssimativamente a 46° 37' O. Le terre ad est di questa linea sarebbero appartenute al Portogallo e
quelle ad ovest alla Spagna. Questo meridiano veniva chiamato Raya. Il trattato venne ratificato dalla Spagna il 2 luglio, e
dal Portogallo il 5 settembre 1494. Il trattato era inteso a risolvere la disputa che s'era creata dopo le scoperte
di Cristoforo Colombo. Nel 1481, la Bolla papale Aeterni regis aveva garantito tutte le terre a sud delle Isole Canarie al
Portogallo. Nel maggio 1493, Papa Alessandro VI, spagnolo di nascita, decretò nella Bolla Inter Caetera che tutte le terre
a ovest di un meridiano a sole 100 leghe dalle Isole di Capo Verde appartenessero alla Spagna, mentre le nuove terre
scoperte a est di quella linea sarebbero appartenute al Portogallo, anche se i territori già sotto il dominio cristiano
sarebbero rimasti intatti. Naturalmente re Giovanni II del Portogallo non ne fu felice, e aprì dei negoziati col
re Ferdinando II d'Aragona e la regina Isabella di Castiglia per spostare la linea più a ovest, sostenendo che il meridiano
si sarebbe esteso attorno a tutto il globo, limitando il controllo spagnolo in Asia. Il trattato sarebbe effettivamente
andato contro la bolla di Alessandro VI, ma venne sancito da Papa Giulio II con una nuova bolla del 1506.
Il Trattato di Saragozza fu stipulato il 22 aprile 1529 dalle corone di Spagna e di Portogallo con lo scopo di decidere a
quale regno spettasse il controllo delle isole Molucche. Le isole Molucche furono prese dal Regno di Portogallo e
il Regno di Spagna ricevette un risarcimento monetario di 350.000 ducati d'oro. Il trattato di Saragozza precisò le zone
d'influenza dei due regni, infatti in queste zone non era chiaro dove il meridiano stabilito dal trattato di
Tordesillas passasse e le due monarchie si contendevano le isole. Col trattato di Saragozza si stabilì con precisione la
divisione del globo.
Giovanni Caboto (1450 – 1498) famoso per aver continuato l'opera di Cristoforo Colombo cominciando la serie di grandi
viaggi di scoperta verso il nord-ovest, in particolare per aver scoperto il Canada il 24 giugno 1497. Dopo i rifiuti dei
sovrani europei sii trasferì nel 1496 in Inghilterra, per convincere il re Enrico VII a sostenere il suo progetto. Il re, che già
aveva perso l'occasione di avere Cristoforo Colombo al proprio servizio, si affrettò a concedere l'autorizzazione a
Giovanni Caboto e accolse il suo progetto di viaggio con lettere patenti del 5 marzo 1496. Nel porto di Bristol fu così
organizzata una spedizione di cinque navi. Il 24 giugno 1497, approdò sull'isola di Capo Bretone e toccò la Nuova Scozia,
avvistando l'isola di Terranova, e, nell'illusione di aver toccato l'estremità Nord Orientale dell'Asia, ne prese possesso in
nome di Enrico VII. Sulla nuova terra scoperta Caboto piantò la bandiera inglese e pontificia Ai primi di agosto, dopo
un'assenza di circa tre mesi il Matthew fece ritorno a Bristol e la notizia delle nuove scoperte venne accolta in Inghilterra
con grande giubilo anche tra la popolazione. L'anno successivo Enrico VII, autorizzò Giovanni Caboto ad approntare una
spedizione allo scopo di colonizzare le terre scoperte e proseguire la ricerca di altre terre, nella speranza di poter
raggiungere il favoloso Cipangu (l'odierno Giappone). Le navi salparono nell'estate del 1498: con il figlio Sebastiano,
Caboto toccò il Labrador e costeggiò la Groenlandia meridionale. A questo punto, si perdono le tracce della spedizione
inglese.
GUERRE D’ITALIA
Le Guerre d'Italia o Grandi Guerre d'Italia furono una serie di otto conflitti, combattuti prevalentemente sul
suolo italiano nella prima metà del secolo XVI (per la precisione durarono dal 1494 al 1559), aventi come
obiettivo finale la supremazia in Europa. Furono inizialmente avviate da alcuni sovrani francesi, calati in Italia,
per far valere i loro diritti ereditari sul Regno di Napoli e poi sul Ducato di Milano. Da locali le guerre divennero
in breve tempo di scala europea, coinvolgendo oltre alla Francia, soprattutto laSpagna e il Sacro Romano
Impero. Al termine delle guerre la Spagna si affermò come la principale potenza continentale, ponendo gran
parte della penisola italiana sotto la sua dominazione diretta (Regno di Napoli, Ducato di Milano, Stato dei
Presidii) o indiretta; gli unici stati italiani che seppero mantenere una certa autonomia furono la Repubblica di
Venezia e il Ducato di Savoia (legato alla Francia), mentre il Papato, pur autonomo, risultava perlopiù legato
alla Spagna dalla comune politica di far prevalere in Europa la Controriforma cattolica.

Stati coinvolti: Il periodo compreso tra 1494 e 1559 viene chiamato delle "guerre d'Italia" perché l'Italia
diventa teatro di guerre tra due Potenze europee: la Francia da un lato e l'Impero dall'altro. Questo è quanto
generalmente riportano i libri di storia. In verità, la situazione è più complessa, giacché i contendenti sono:
1. le signorie italiane, che, dopo il quarantennio di stabilità dovuto alla Pace di Lodi (1454), riprendono
le lotte per l'egemonia nella penisola, al fine di unificarla (a partire dal 1494);
2. la Francia, che approfitta delle divisioni interne per conquistare per lo meno il Nord, senza escludere
un'espansione anche verso il Centro ed il Sud;
3. la Spagna, che intende tutelare i propri interessi nel Sud della penisola (con un occhio particolare al
Nord);
4. l'Impero, che non intende perdere gli antichi diritti sull'Italia Centro-settentrionale (che
nominalmente fa ancora parte dell'Impero Germanico, ma che di fatto aveva ottenuto ampie autonomie
attraverso l'istituzione prima dei Comuni, poi delle stesse Signorie locali;
5. principi protestanti e Turchi, chiamati in causa nella parte finale delle guerre.
Ricorda che nel 1516 diventa re di Spagna Carlo I. Nel 1519, lo stesso Carlo I diventa anche imperatore
dell'Impero Germanico con il nome di Carlo V. Sono la stessa persona, ma con interessi economici e politici
ovviamente più grandi. 

Cause della guerra: Poiché gli Stati in lotta sono molti, le cause sono molteplici:
 le Signorie italiane miravano ciascuna ad ingrandire i propri possedimenti, nella speranza di unificare
l'Italia;
 la Francia intendeva espandere i propri territori e la propria potenza nel continente europeo, in
funzione antispagnola e antimperiale (per comprenderne la ragione, vedi questa carta storica, e considera
che il Ducato di Savoia è francese: Milano dunque non sarebbe che un'espansione naturale);
 la Spagna voleva evitare di perdere l'Italia meridionale;
 l'imperatore Carlo V (contemporaneamente re di Spagna) desiderava costituire un unico grande
impero, dalla Spagna all'Europa centrale, e quindi costruire un ponte territoriale, economico e
commerciale tra la Germania ed il Mediterraneo, attraverso la Pianura Padana. Obiettivo particolare di
Carlo era la Lombardia, in direzione della Liguria e di Genova.
Fasi
 Prima fase: guerre di conquista (con interventi della Francia). Questa fase comprende il periodo
1494-1516. Vincono Francia e Spagna.
 Seconda fase: guerre in Italia tra Francia e Impero. Questa fase comprende il periodo 1516-1530.
Vince l'Impero.
 Terza fase: guerre in Europa tra Francia + principi protestanti contro Impero. Questa fase comprende
il periodo 1530-1555. Vince la Francia.
 

Prima fase

 1494-1495: Ludovico Sforza, detto il Moro (duca di Milano) chiama Carlo VIII (re di Francia) in aiuto


contro il nipote che tenta di usurpargli il potere. Carlo VIII approfitta dell'arrivo in Italia per conquistare
tutta la penisola (in soli tre mesi). Nel 1495 però sarà sconfitto nella battaglia di Fornovo da parte della
Lega che comprendeva Impero, Napoli, Papato, Venezia, Milano.
 1499-1504: il successore di Carlo VIII, Luigi XII, avanza pretese dinastiche sul Ducato di Milano (con il
sostegno di Venezia e dello Stato della Chiesa). Presa Milano, tenta di conquistare anche Napoli per
sottrarla agli Aragonesi e spartirla con gli Spagnoli. In effetti, Luigi XII riesce a conquistare il Regno di
Napoli, tuttavia in poco tempo gli Spagnoli cambiarono gli accordi e conquistarono tutto. Il Regno di
Napoli diventerà spagnolo, e lo rimarrà fino al 1713.
 1508-1516: Per limitare l'espansionismo di Venezia (ai danni della Romagna e dei territori di
Valentino Borgia), il papa Giulio II si allea con Francia e Spagna (Lega di Cambrai). Venezia viene sconfitta
ad Agnadello nel 1509. La Francia però approfitta dell'alleanza per espandersi al Nord. Nel 1510 pertanto
Giulio II organizza la Lega Santa (Papato, Venezia, Spagna, Inghilterra, Svizzera). La Francia viene sconfitta
nel 1512 e abbandona il Ducato di Milano. Qui torna Massimiliano Sforza, figlio del Moro. Ma nel
1516 Francesco I, re di Francia, conquista di nuovo Milano, cacciando gli Sforza. Il trattato di
Noyon riconosce questa situazione: Milano ai Francesi e Napoli agli Spagnoli.

 Seconda fase 

 Sia Francesco I, sia Carlo I mirano a diventare imperatori. Nel 1519 Carlo I riesce a salire al trono
(Carlo V) e Francesco I, per evitare l'accerchiamento della Francia, dichiara guerra per evitare che Carlo
conquisti il Ducato di Milano.
 1521-1530. Dopo aver tentato invano di conquistare il Regno di Napoli, Francesco I viene sconfitto
anche nel 1525 ed è costretto a rinunciare anche a Milano e alla Borgogna. Ma nel 1526, liberato dalla
prigionia, aderisce alla Lega di Cognac (Papato, Venezia, Firenze, Francia) promossa dal Papa contro
l'Impero. Per questo nel 1527 Carlo V autorizzò i suoi soldati a saccheggiare Roma (sacco di Roma) e a
devastare molti territori italiani. Nel 1530 Carlo V viene incoronato imperatore.
 Terza fase

 La Francia cattolica non si fa scrupolo di allearsi con due nemici di Carlo V: i principi protestanti e i
Turchi islamici, senza tralasciare gli Stati italiani.
 Morto Francesco I nel 1547, il figlio Enrico II continua la guerra contro l'Impero, cambiando però
obiettivi: non più l'Italia, ma il Nord della Francia. Carlo V dopo il 1555 abbandona la guerra, che però
continua con il suo successore (Filippo II). La Francia viene sconfitta definitivamente nella battaglia di San
Quintino.
 Stati vincitori

Spagna

Patti conclusivi

Pace di Cateau-Cambresis (1559). Nonostante la sconfitta, alla Francia vengono riconosciute alcune conquiste
precedenti, ossia i territori di Metz, Toul e Verdun.

Alla Spagna rimangono i territori precedenti: Borgogna, Milano, Napoli, Sicilia, Sardegna. Gran parte degli
Stati italiani passa sotto l'influenza spagnola. Il sgono imperiale viene cancellato dallo stesso Carlo V, che
aveva già diviso l'impero in due parti: l'occidente a Filippo II, l'oriente a Ferdinando I.

Conseguenze: L'Italia passa sotto l'influenza spagnola. Dopo il grande periodo dell'Umanesimo e del
Rinascimento, la penisola seguirà le sorti della Spagna. Filippo II infatti continuerà nella sua politica
espansionistica, impegnando tantissime risorse nelle spese militari, senza effettive riforme economiche e
sociali che permettano ai borghesi di sfruttare a pieno le immense quantità di beni provenienti dalle colonie
americane. L'Italia nel Seicento entrerà lentamente in crisi economica e quindi culturale. Potrà risollevarsi
solamente a partire dalla fine del 1700, quando l'Austria diventerà padrona (dal 1713) e porterà in Italia
riforme economiche e politiche (dal 1740).

 Considerazioni politiche: Le guerre d'Italia possono essere lette come una manifestazione delle lotte tra
monarchie nazionali e impero.

1. Ogni Signoria italiana vuole costuire uno Stato nazionale, unificando la penisola. Tuttavia, l'equilibrio
politico e militare impedisce che ciò si realizzi. Gli Stati italiani sono condannati a rimanere Stati regionali.
2. L'intervento della Francia e della Spagna impedisce che le Signorie realizzino il progetto. Ma Francia e
Spagna stanno tentando entrambe l'espansione della propria monarchia nazionale, nel tentativo di
realizzare un impero. In fondo, in Italia non si parla francese né spagnolo: l'Italia è territorio di conquista.
3. Carlo V spera di realizzare un impero continentale, conquistando tutta l'Italia ed altri territori. In
parte, riesce in quest'ultimo obiettivo.
La penisola italiana, in fondo, è il territorio in cui si scontrano le maggiori forme politiche del 1400-1500:
Signorie, monarchie nazionali, impero. La vittoria sarà delle monarchie nazionali, ma ad un prezzo elevato:
l'Italia sarà messa e ferro e fuoco e sarà danneggiata anche culturalmente; Spagna e Francia si
indebiteranno per bene (e in Francia si verificheranno anche le guerre di religione). Di tutto ciò, si
avvantaggeranno due Stati: la monarchia nazionale inglese e la nascente repubblica olandese.
RIFORMA PROTESTANTE
Il 31 ottobre 1517 un frate tedesco di nome Martin Lutero attaccò alla porta della Cattedrale di Wittenberg un
lungo foglio dove erano elencati 95 tesi (argomenti) contro la Chiesa cattolica e contro la vendita
di indulgenze. L’appello di Lutero contro l’usanza di vendere il perdono per i peccati si diffuse rapidamente e
infiammò la protesta religiosa. Le proteste causarono divisioni in seno alla Chiesa e portarono ad anni
di guerra. Ciò a cui Lutero aveva dato inizio era la Riforma.
L’ORIGINE DELLA RIFORMA
Il cattolicesimo era stato la religione dell’Europa occidentale per più di 1.000 anni. La massima autorità della
Chiesa cattolica, il papa, era molto potente e influenzava il comportamento di re e principi. Chiunque
minacciava il potere della Chiesa era dichiarato eretico e poteva essere scomunicato oppure espulso dalla
Chiesa. La Chiesa cattolica era anche molto ricca. Poteva imporre tasse, chiamate decime, in tutta Europa. I
monasteri guadagnavano denaro fornendo alloggio ai pellegrini, e alcuni sacerdoti vendevano persino reliquie
false. I fedeli venivano incoraggiati a lasciare i loro beni in eredità ai monasteri per ottenere la salvezza delle
loro anime.
Ma ciò che davvero spinse Lutero a protestare fu la vendita delle indulgenze. Durante il Medioevo era
diventata pratica comune la concessione del perdono per i peccati commessi dietro il versamento di una
somma di denaro. Numerosi frati e sacerdoti giravano per città e villaggi promettendo la salvezza dell’anima in
cambio di soldi. In origine un credente avrebbe dovuto ottenere il perdono per i propri peccati con il
pentimento e la preghiera, ma a partire dal XVI secolo questa pratica era stata corrotta. Le indulgenze
potevano essere acquistate per se stessi e persino per i propri parenti defunti
PERCHÉ LA RIFORMA AVVENNE NEL CINQUECENTO?
Nel corso del XIV secolo alcuni preti, come ad esempio John Wycliffe in Inghilterra, avevano chiesto una
riforma della Chiesa cattolica. Wycliffe aveva anche tradotto la Bibbia dal latino in inglese. La traduzione della
Bibbia nelle diverse lingue nazionali fu un fatto molto importante per la Riforma, perché permise alle persone
di leggere e comprendere da sole il testo sacro. Nel XV secolo anche Jan Hus, un prete
della Boemia (nell'attuale Repubblica Ceca), iniziò ad affermare la necessità di una riforma, ma i suoi nemici lo
condannarono al rogo con l’accusa di essere eretico. Fu solo nel XVI secolo che la Riforma iniziò a diffondersi.
Due nuovi fattori diedero grande impulso alla diffusione della Riforma: l’umanesimo e l’invenzione della
stampa. La filosofia dell’umanesimo, che si era sviluppata nel corso del Rinascimento, aveva enfatizzato
l’importanza dell’individuo: questo influenzò il pensiero di molti dei primi protestanti. L’invenzione della
stampa, che avvenne attorno al 1450, permise la produzione e la diffusione dei libri in centinaia di copie. La
stampa aiutò le idee dei protestanti a diffondersi più rapidamente.

DOVE NACQUE LA RIFORMA?


Le prime fasi della Riforma avvennero in Germania e in Svizzera. A quel tempo la Germania si chiamava Sacro
Romano Impero ed era composta da molti piccoli stati, ciascuno dei quali con un proprio principe. Da lì si
diffuse in Francia, nei Paesi Bassi, in Inghilterra e in Scandinavia.

LA PROTESTA DI LUTERO
Martin Lutero diede inizio alla Riforma nel 1517. Si ribellò alla Chiesa cattolica e stabilì il proprio ideale di una
cristianità protestante. Lutero non credeva che si potesse ottenere il perdono per i propri peccati da un prete,
o grazie a un’indulgenza. Egli pensava invece che ciascuno dovesse stabilire un proprio patto con Dio. Il modo
per farlo era studiare la Bibbia e vivere secondo la fede. Questa pratica era chiamata “salvezza per fede” (o
anchegiustificazione per fede). Egli riteneva che il fedele non avesse bisogno del papa, dei sacerdoti e della
Chiesa, perché essa non aveva alcuna origine divina.
Nel 1520 papa Leone X concesse 20 giorni a Lutero per ritirare le sue idee, altrimenti lo avrebbe
scomunicato ed espulso dalla comunità cristiana. Lutero fu allora convocato dall’imperatore Carlo Vper
rinnegare pubblicamente le proprie tesi. Lutero rifiutò e fu condannato per eresia. Riuscì a salvarsi dalla
condanna a morte grazie al sostegno del potente Principe di Sassonia Federico il Saggio, che organizzò un
finto rapimento per farlo sparire e lo nascose nel suo castello a Warburg. Insieme al Principe di Sassonia,
altri stati tedeschi si convertirono alla nuova religione protestante, sottraendosi così all’autorità del papa e
dell’imperatore.
Lutero e i suoi seguaci avevano sempre sperato di ritornare in seno alla Chiesa cattolica. Ma, dopo la morte di
Lutero, tra gli stati cattolici e quelli protestanti dell’impero germanico scoppiò la guerra. Nel 1547 i
protestanti furono sconfitti dall’esercito di Carlo V nella battaglia di Mühlberg, dopo di che furono
perseguitati. Nel1555, con la pace di Augusta, Carlo V riconobbe e accettò la divisione che era stata causata
dalla Riforma, e permise ai principi e ai loro popoli di abbracciare la fede luterana. Grazie alla pace di
Augusta, il Sacro Romano Impero conobbe cinquant’anni di pace.

CALVINO IN SVIZZERA
Giovanni Calvino era un sacerdote francese. Aveva aderito alla Riforma protestante e si era rifugiato
a Ginevra per sfuggire alla persecuzione da parte dei cattolici francesi. Egli stabilì nella città unarepubblica
protestante, governata da un consiglio cittadino. Calvino sosteneva che il destino di ciascuno è già stato deciso
da Dio (principio della predestinazione). Dio ha già stabilito chi sono i predestinati al Paradiso, e l’uomo non
può fare nulla per influenzare la sua decisione. Calvino riteneva, inoltre, che i predestinati riflettessero la
grazia divina attraverso le virtù della parsimonia, dell’operosità e del duro lavoro.

LA RIFORMA SI DIFFONDE
In Scandinavia la Riforma prese piede rapidamente e senza spargimenti di sangue, grazie all’opera missionaria
di sacerdoti provenienti dalla Germania. Nel 1536 Svezia, Danimarca, Norvegia e Islanda si erano già
convertite alla religione protestante nella sua versione luterana. In Francia, il re Francesco I e suo figlio Enrico
II perseguitarono duramente i protestanti. I protestanti francesi erano conosciuti con il nome di ugonotti ed
erano influenzati dagli insegnamenti di Calvino. Questa guerra fu dolorosa e segnata da molti episodi crudeli.
Ad esempio il massacro della notte di San Bartolomeo, il 24 agosto 1572, nel quale migliaia di ugonotti in tutta
la Francia furono uccisi a sangue freddo. Nei Paesi Bassi (che erano all’epoca un dominio spagnolo) il nord del
paese si convertì al protestantesimo calvinista, mentre il sud (l'attuale Belgio) rimase cattolico. Questo scatenò
una guerra civile che durò dal 1568 al 1648 e divise l’Olanda dal Belgio.

LA RIFORMA IN INGHILTERRA
La Riforma inglese prese piede quando il re Enrico VIII decise di divorziare dalla prima moglie, Caterina
d’Aragona, per sposareAnna Bolena senza il permesso del papa. Il papa scomunicò Enrico, il quale rispose
separandosi dalla Chiesa cattolica. L’Atto di Supremazia del 1534 abolì l’autorità del papa in Inghilterra e
nominò lo stesso Enrico a capo della nuova Chiesa d’Inghilterra. Nel 1536 Enrico attaccò i monasteri
cattolici, distruggendone gli edifici e confiscandone le terre.
Nel 1533, tuttavia, la regina Maria I (detta la Sanguinaria) reintrodusse la religione cattolica e perseguitò i
protestanti. La sua sorellastra, la regina Elisabetta I, completò invece la Riforma inglese, fondando la Chiesa
protestante d’Inghilterra (o Chiesa anglicana) così com’è ancora oggi.
CARLO V

La scomparsa prematura di tutta la discendenza maschile della dinastia castigliano-aragonese, unitamente alla
scomparsa prematura del padre Filippo "il bello" ed alla infermità della madre Giovanna di Castiglia, fece sì
che Carlo V, all'età di soli 19 anni, risultasse titolare di un "impero" talmente vasto come non si era mai visto
prima d'allora, neppure ai tempi di Carlo Magno. Avvisato da Juan Manuel tempo prima nel 1520 si trovò di
fronte il problema di Martin Lutero. I due si incontrarono alla dieta di Worms dell'aprile 1521, il monaco era
stato convocato qualche mese prima. Il 17 aprile Carlo V sedeva sul trono presenziando la dieta. Nell'ordine
del giorno vi era il problema relativo al frate. Iniziò l'interrogatorio posto da Giovanni Eck, il giorno dopo per
via del suo linguaggio venne interrotto per due volte da Carlo V. Fu l'imperatore stesso a scrivere la
dichiarazione resa il giorno dopo dove condannava Lutero ma che con il salvacondotto fornito gli concedeva il
ritorno a Wittenberg La dieta terminò il 25 maggio 1521Contrariamente a quanto avveniva comunemente in
quei tempi, Carlo contrasse un solo matrimonio, l'11 marzo 1526 con la cugina Isabella del
Portogallo (1503 – 1539) dalla quale ebbe sei figli. Ebbe anche sette figli illegittimi. Carlo V aveva ereditato
dalla nonna paterna anche il titolo di Duca di Borgogna che era stato appannaggio, per pochi anni, anche di
suo padre Filippo. Come Duca di Borgogna era vassallo del Re di Francia, in quanto la Borgogna era territorio
appartenente, ormai da tempo, alla corona francese. Inoltre i Duchi di Borgogna, suoi antenati,
appartenevano ad un ramo cadetto dei Valois, dinastia regnante in Francia proprio in quel momento. Suo
nonno l'Imperatore Massimiliano, alla morte della consorte Bianca nel 1482, tentò di riappropriarsi del Ducato
per condurlo sotto il governo diretto degli Asburgo, cercando di sottrarlo alla corona di Francia. A tal fine
intraprese un conflitto con i francesi protrattosi per oltre un decennio, dal quale uscì sconfitto.Fu quindi
costretto, nell'anno 1493, a sottoscrivere con Carlo VIII d'Angiò Re di Francia la Pace di Senlis, con la quale
rinunciava definitivamente ad ogni pretesa sul Ducato di Borgogna, mantenendo però la sovranità sui Paesi
Bassi, l'Artois, e la Franca Contea. Questa forzata rinuncia non fu mai veramente accettata da Massimiliano e il
desiderio di rivalsa verso la Francia, si trasferì parimenti al nipote Carlo V, il quale, nel corso della sua vita, non
rinunciò mai all'idea di riappropriarsi della Borgogna. Carlo, come Re di Spagna, era affiancato da un Consiglio
di Stato che esercitava una notevole influenza sulle decisioni regie. Il Consiglio di Stato era composto di otto
membri: un italiano, un savoiardo, due spagnoli e quattro fiamminghi. Nel corso del suo governo Carlo V
raccolse anche molti successi, ma certamente la presenza di altre realtà contemporanee e conflittuali con
l'Impero, come il Regno di Francia e l'Impero ottomano, insieme con le ambizioni dei principi tedeschi,
costituirono l'impedimento più forte alla politica dell'Imperatore che tendeva alla realizzazione di un governo
universale sotto la guida degli Asburgo. Egli, infatti, intendeva legare agli Asburgo, permanentemente ed in
forma ereditaria, il titolo imperiale, ancorché sotto forma elettiva, in conformità delle disposizioni contenute
nella Bolla d'oro emanata nel 1356 dall'Imperatore Carlo IV di Lussemburgo, Re di Boemia. Il Re di Francia,
Francesco I di Valois-Angoulême, infatti, attraverso la sua posizione fortemente autonomistica, unitamente
alle sue mire di espansione verso le Fiandre ed i Paesi Bassi, oltre che verso l'Italia, si oppose sempre ai
tentativi dell'Imperatore di ricondurre la Francia sotto il controllo dell'Impero. Questa opposizione egli la
esercitò mediante numerosi e sanguinosi conflitti. Da ricordare, al proposito, è la battaglia di Pavia (1525).
Così come l'Impero ottomano di Solimano il Magnifico, che, con le sue mire espansionistiche verso l'Europa
centrale, costituì sempre una spina nel fianco dell'Impero. Infatti, Carlo V fu costretto a sostenere diversi
conflitti anche contro i Turchi; spesso su due fronti contemporaneamente: ad oriente contro gli ottomani e ad
occidente contro i francesi. Su entrambi i fronti Carlo uscì vittorioso, sebbene non tanto per merito suo
quanto dei suoi luogotenenti. Vittorioso, sì, ma dissanguato economicamente, soprattutto perché agli enormi
costi delle campagne militari si aggiungevano i faraonici costi per il mantenimento della sua corte nella quale
egli aveva introdotto il lusso sfrenato delle usanze borgognoni. Per tutto il corso della sua vita, Carlo V dovette
affrontare anche i problemi sollevati prima in Germania e, subito dopo, anche in altre parti del suo Impero e
nell'Europa in generale, dalla neonata dottrina religiosa dovuta al monaco tedesco Martin Lutero, in
opposizione alla Chiesa cattolica. Tali problemi si manifestarono non soltanto nelle dispute dottrinali, ma
sfociarono anche in conflitti aperti. Carlo, che sul piano religioso si autoproclamava il più strenuo difensore
della Chiesa cattolica, non fu in grado né di sconfiggere la nuova dottrina, né, tanto meno, di limitarne la
diffusione. Tant'è che due Diete, quella di Augusta del 1530 e quella di Ratisbona del 1541, si conclusero con
un nulla di fatto, rinviando ogni decisione sulle dispute dottrinali ad un futuro Concilio ecumenico. Carlo poté
accrescere i possedimenti oltreatlantici della corona di Spagna attraverso le conquiste operate da due tra i più
abili conquistadores dell'epoca: Hernán Cortés e Francisco Pizarro. L'imperatore stimava l'audacia di Cortés
che sconfisse gli Aztechi e conquistò la Florida, Cuba, il Messico, il Guatemala, l'Honduras e lo Yucatan. Il
conquistatore sapeva che all'imperatore era piaciuto tempo prima il nome da dare a quelle terre: la «Nuova
Spagna del Mare Oceano» e divenne governatore nel 1522. Carlo V lo fece prima diventare marchese della
vallata d'Oaxaca e poi grazie al suo interessamento gli fece sposare la figlia del duca di Bejar.Pizarro sconfisse
l'Impero Inca e conquistò il Perù e il Cile, cioè tutta la costa del Pacifico dell'America meridionale. Carlo
nominò Cortes Governatore dei territori assoggettati nell'America del Nord, i quali andarono così a costituire
la Nuova Spagna. Mentre Pizarro fu nominato governatore del Vicereame del Perù. All'indomani della sua
incoronazione imperiale Carlo V dovette fronteggiare, negli anni 1520-1522, le rivolte in Castiglia e in Aragona,
dovute essenzialmente al fatto che la Spagna non solo era nelle mani di un sovrano di origini tedesche, ma
anche che quest'ultimo era stato eletto Imperatore del S.R.I., e, come tale, tendeva ad occuparsi
maggiormente dei problemi legati all'Europa austro-germanica che non a quelli della Spagna.
Dal 1521 al 1529, Carlo V combatté ben due lunghe e sanguinose guerre contro la Francia per il possesso
del Ducato di Milano, necessario per un passaggio dalla Spagna all'Austria senza passare per il territorio
Francese, e della Repubblica di Genova. Decisiva per la conclusione della prima fu la battaglia di Pavia nella
quale, grazie al capitano di ventura forlivese Cesare Hercolanifu catturato il re Francesco I. In entrambi i
conflitti, dunque, Carlo uscì vittorioso: il primo conclusosi con la Pace di Madrid e il secondo con la Pace di
Cambrai. Nel corso della seconda guerra tra i due sovrani, nel 1527, si ricorda l'invasione della città di Roma ad
opera dei Lanzichenecchi al comando del generale Georg von Frundsberg. Le soldataglie germaniche
devastarono e saccheggiarono completamente la città, distruggendo tutto ciò che era possibile distruggere e
costringendo il Papa ad asserragliarsi in Castel Sant'Angelo. Questa vicenda è tristemente nota come il "sacco
di Roma". Questi fatti suscitarono moti di sdegno talmente aspri in tutto il mondo civile, da indurre Carlo V a
prendere le distanze dai suoi mercenari e a condannarne fermamente l'operato, giustificandosi col fatto che
essi avevano agito senza il controllo del loro comandante che era dovuto rientrare in Germania per motivi di
salute. Il saccheggio fu feroce e sacrilego, reso più crudele dalla loro appartenenza alla religione luterana,
tanto che lo stesso imperatore ne rimase addolorato. Forse per questo motivo la sua incoronazione avvenne a
Bologna, temendo la reazione dei romani. L'assedio si arricchì di aneddoti come il famoso colpo di archibugio
del Cellini dai bastioni di Castel Sant'Angelo. A parziale compensazione delle vicende romane, Carlo V si
impegnò a ristabilire a Firenze la signoria della famiglia Medici, di cui lo stesso Papa era membro, ma quella
che doveva essere una veloce operazione delle truppe imperiali divenne un lungo assedio che si concluse con
una sofferta vittoria. In ottemperanza ai patti sottoscritti a Cambrai, il 22 febbraio 1530, a Bologna, nel palazzo
di città, Clemente VII incoronò Carlo V, come Re d'Italia, con la Corona Ferrea dei Re longobardi. Due giorni
dopo, nella Chiesa di San Petronio, Carlo V fu incoronato anche Imperatore del S.R.I, avendo ricevuto dieci
anni prima in Aquisgrana la corona di Re dei Romani. Questa volta, però, la consacrazione imperiale gli venne
direttamente imposta dalle mani del Pontefice. Nello stesso anno della sua incoronazione bolognese vi fu la
scomparsa del Gran Cancelliere Mercurino di Gattinara, il consigliere più influente ed ascoltato del Re. Dopo la
scomparsa del Gattinara, Carlo V non si lasciò più influenzare da nessun altro consigliere e le decisioni che egli
prenderà d'ora in avanti, saranno il frutto quasi esclusivo dei suoi convincimenti. Il processo di maturazione
del sovrano era compiuto.  nel medesimo anno 1530, convocò la Dieta di Augusta, nella quale si
confrontarono i luterani e i cattolici attraverso vari documenti. Di particolare rilievo fu la "Confessio
Augustana", redatta per trovare una sistemazione organica e coerente alle premesse teologiche e ai concetti
dottrinali compositi che rappresentavano i fondamenti della fede luterana, senza che vi fosse accenno al ruolo
del papato nei confronti delle chiese riformate. Carlo V confermò l'Editto di Worms del 1521, cioè
la scomunica per i luterani, minacciando la ricostituzione della proprietà ecclesiastica. Per tutta risposta i
luterani, rappresentati dai cosiddetti "ordini riformati", reagirono dando vita, nell'anno 1531, alla Lega di
Smalcalda. Giunse a Roma nell'aprile del 1536, anche per conoscere, e cercare di farselo alleato, il nuovo
Pontefice Paolo III (Alessandro Farnese), succeduto a Clemente VII che era scomparso nel 1534. Il nuovo
Pontefice si dichiarò neutrale nella ultradecennale contesa tra la Francia e l'Impero, per cui, Francesco I, forte
di questa neutralità, riprese le ostilità, dando inizio al terzo conflitto con l'Imperatore, che si concluse soltanto
due anni dopo, nel 1538, con l'armistizio di Bomy e la Pace di Nizza, che non portarono a nessun risultato,
lasciando inalterate le risultanze della Pace di Madrid e della Pace di Cambrai, che avevano concluso i due
precedenti conflitti. Carlo V era ormai giunto al culmine della sua potenza. Il suo grande antagonista,
Francesco I, era scomparso. La Lega di Smalcalda era stata vinta. Il Ducato di Milano, nelle mani di Ferdinando
Gonzaga, era agli ordini dell'Imperatore, così come Genova, la Savoia e i Ducati di Ferrara, Toscana e Mantova,
oltre alle Repubbliche diSiena e Lucca. L'Italia meridionale era già da tempo un vicereame spagnolo. Papa
Paolo III, per opporsi a tale strapotere, null'altro poteva fare se non stringere un accordo con il nuovo Re di
Francia. Il culmine della sua potenza, però, coincise anche con l'inizio del suo declino. Infatti, nel biennio 1546-
1547, Carlo V dovette fronteggiare alcune congiure anti-spagnole in Italia. Il bilancio della sua vita e di ciò che
aveva compiuto non poteva dirsi del tutto positivo, soprattutto in rapporto agli obiettivi che si era prefissato. Il
suo sogno di Impero universale sotto la guida asburgica era fallito; così come era fallito il suo obiettivo di
riconquistare la Borgogna. Egli stesso, pur professandosi il primo e più fervente difensore della Chiesa di
Roma, non era stato in grado di impedire l'affermarsi della dottrina luterana. I suoi possedimenti oltre-
atlantico si erano accresciuti enormemente ma senza che i suoi governatori fossero stati in grado di dar loro
delle valide strutture amministrative. Aveva però consolidato il dominio spagnolo sull'Italia, che sarà
ufficializzato soltanto dopo la sua morte con la pace di Cateau-Cambresis nel 1559, e che sarebbe durato per
centocinquanta anni. Così come era riuscito, con l'aiuto del Granduca Ferdinando suo fratello a fermare
l'avanzata dell'Impero ottomano verso Vienna e il cuore dell'Europa.
LA CHIESA CATTOLICA E LA CONTRORIFORMA

Mentre la Riforma si diffondeva in tutta Europa, e tra cattolici e protestanti scoppiavano guerre sanguinose, la
Chiesa cattolica capì che era giunto il momento di dare una risposta al desiderio di rinnovamento espresso
sia da una parte del clero sia dai fedeli. Era inoltre necessario cercare di arginare il diffondersi del
protestantesimo e salvaguardare l’unità dei cristiani, o almeno quel che ne rimaneva dopo la predicazione di
Lutero e di Calvino. Questo movimento prese il nome di Controriforma, cioè “Riforma contro la Riforma
protestante”. Il primo papa a impegnarsi nella Riforma fu Paolo III, eletto nel 1534. Egli decise la formazione di
nuovi ordini religiosi, ad esempio igesuiti (o Compagnia di Gesù, orine monastico fondato dallo
spagnolo Ignazio da Loyola), per rendere più efficace la predicazione e l’insegnamento della dottrina cattolica.
Nel 1542 istituì l’ Inquisizione romana, un tribunale che doveva combattere il diffondersi del protestantesimo
e dell’eresia. Infine, nel 1545 convocò il Concilio di Trento, un’assemblea di tutti i vescovi della Chiesa che
durò fino al 1564 e che prese importanti decisioni sia sui punti della fede cattolica sia sull’organizzazione della
Chiesa stessa. La Riforma cattolica fu ampia e comprese cinque grandi elementi:

 Definizione delle propria Dottrina


 Riconfigurazione ecclesiastica o strutturale
 Ordini religiosi
 Movimenti spirituali
 Dimensioni politiche
Bisogna prima di tutto delineare la sottile differenza tra Riforma cattolica e Controriforma: La prima tende a
mettere a fuoco gli elementi di trasformazione che la Chiesa accolse in questo periodo, la seconda sottolinea il
contrasto netto con il protestantesimo e il rifiuto radicale di qualsiasi modificazione dei dogmi, cioè l'aspetto
di reazione difensiva e riaffermazione delle dottrine della Chiesa. In realtà il termine "controriforma" non era
usato nei secoli XVI e XVII, ma venne coniato da Johann Stephan Putter, nel 1776.
Putter, con questa parola, intendeva indicare la reazione della Chiesa alla riforma luterana attraverso:

 la riaffermazione e ridefinizione dei dogmi discussi dal protestantesimo


 la condanna della riforma come eresia
 la persecuzione degli eretici
 la censura dei testi e di qualsiasi opinione non fosse conforme alle idee ecclesiastiche.
L'elemento di reazione più importante fu il Concilio di Trento, in cui la Chiesa fu chiamata a stabilire punti
importanti della dottrina cattolica:

 L'imposizione della Vulgata geronimiana come unica versione valida della Bibbia, e il divieto di uso


del volgare per le Sacre Scritture nel culto
 La conferma del ruolo intermediario della Chiesa fra l'uomo e Dio
 Il riconoscimento del merito salvifico delle buone opere
 La riconferma del numero e del valore dei sacramenti
 La riaffermazione dell'esistenza del purgatorio
Fu soprattutto lo storico tedesco Hubert Jedin, nell'opera Riforma cattolica o Controriforma (ed. it. 1957), a
identificare e definire i due movimenti come distinti nella storia della Chiesa cattolica.
 Riforma cattolica. Tutti questi studiosi affermano l'esistenza di un movimento di riforma interno alla
Chiesa cattolica che è indipendente dalla riforma luterana. Ossia, dicono, vi sono elementi per affermare
che la Chiesa cattolica era sulla strada della riforma interna anche senza la «spinta» di Lutero. Alcuni di
questi movimenti di riforma nascono generalmente dal basso. Ne sono un esempio, la nascita di nuovi
ordini religiosi, alcuni dei quali tuttavia non precedono l'avvento del luteranesimo.
 Controriforma. Vi è poi un movimento di riforma che trova la sua origine in opposizione ad essa: il
tentativo di riformarsi per bloccare, se non ostacolare, la riforma luterana. Questo movimento di riforma,
chiamato appunto «Controriforma», che trova nel Concilio di Trento il suo atto fondamentale, nasce dall'alto,
dalla gerarchia cattolica. La controriforma indicherebbe quel processo di 'ri-cattolicizzazione' dei territori
caduti in mano al protestantesimo. Per questo furono spese le energie delle famiglie religiose di più recente
fondazione (le nuove Congregazioni di Chierici regolari come i Gesuiti, i Teatini, i Somaschi e i Barnabiti, ma
anche i rami riformati di Ordini più antichi, come quello dei Cappuccini), caratterizzate da dinamismo e da un
diretto intervento nella società contemporanea, oltre che da un intenso impegno nell'opera di
evangelizzazione. Papa Paolo III (1534-1549) diede inizio al Concilio di Trento (1545–1563), una commissione
di cardinali con il compito di ideare riforme istituzionali per risolvere vari contenziosi, come la questione della
corruzione di vescovi e sacerdoti o le indulgenze ed altri abusi finanziari. Il Concilio ripudiò chiaramente le
specifiche posizioni protestanti e sostenne la struttura di base della Chiesa medioevale, il suo sistema
sacramentale, gli ordini religiosi e la dottrina. Il Concilio sostenne con chiarezza il dogma della salvezza
meritata per fede e per le opere. La Transustanziazione, durante la quale il pane e il vino consacrati diventano
(in sostanza) il corpo e il sangue di Cristo, fu sostenuta insieme ai sette Sacramenti. Altre pratiche cattoliche
che attirarono le critiche dei riformatori liberali all'interno della Chiesa, come le indulgenze, i pellegrinaggi, la
venerazione dei santi e delle reliquie e la venerazione della Vergine Maria furono fortemente riaffermate
come spiritualmente vitali. In generale, il Concilio di Trento fu indirizzato a migliorare la disciplina e
l'amministrazione della Chiesa. Gli eccessi mondani della chiesa secolare rinascimentale, rappresentata
dall'era diAlessandro VI (1492–1503), esplosero sotto papa Leone X (1513–1522), la cui campagna per
raccogliere fondi negli stati tedeschi per costruire la Basilica di San Pietro con la vendita delle indulgenze fu la
chiave che sollecitò la protesta delle 95 tesi di Martin Lutero. Ma la Chiesa cattolica rispose a questi problemi
con una vigorosa campagna di restaurazione e repressione, ispirata ai primi movimenti di "riforma" cattolici
che avevano preceduto il Concilio di Costanza (1414–1418): umanesimo, pratica devozionale, tradizione
legalista e di osservanza. Il pontificato di papa Paolo IV (1555–1559), al secolo Gian Pietro Carafa, che si ritiene
sia il primo dei papi della Controriforma per la sua risoluta determinazione a eliminare il Protestantesimo,
segna questi sforzi verso una restaurazione, anche in chiave violenta, cattolica. Due delle sue strategie-chiave
furono l'Inquisizione e la censura dei libri proibiti. In questo senso, i suoi sforzi aggressivi e autocratici di
restaurazione rispecchiarono in parte le strategie dei primi movimenti di riforma, specialmente da un punto di
vista legalista e di osservanza: roghi degli eretici e autoritario rilievo dato alla legge canonica. Tutto ciò
rispecchiò anche il rapido passo verso l'assolutismo che caratterizzò il XVI secolo. Il pontificato di Pio V (1566-
1572), al secolo Michele Ghislieri, in questo senso, rappresentò un deciso tentativo non solo di prendere
misure repressive contro gli eretici e i diritti secolari all'interno della società cattolica, specie italiana, ma
anche di intervenire direttamente sulla religione dei fedeli nel tentativo di opporsi con violenza alla forza
attrattiva esercitata dalle nuove idee Protestanti. Il pontificato di papa Sisto V (1585–1590) nato Felice Peretti,
aprì lo stadio finale della Controriforma cattolica, cominciando a delineare, con il graduale affermarsi della
dimensione coercitiva anche un elemento spettacolare in grado di appagare le menti dei fedeli, distolte dalle
discussioni sulla fede dalla censura, operata con alacrità e indefessa determinazione, di un'informazione più
libera, andando così a delineare quegli aspetti caratteristici dell'età barocca che si sarebbero cristallizzati già
nei primi decenni del XVII secolo.
SPAGNA ED EUROPA NEL REGNO DI FILIPPO II (Valladolid 1527-El Escorial 1598)

La Spagna, nella seconda metà del 1500, fu senz’altro la massima potenza economica, politica e militare del
mondo. Furono questi gli anni che coincisero con l’età di Filippo II (1556-98), il sovrano più potente della
cristianità ed il paladino della Controriforma cattolica.
La Spagna di questo periodo possedeva enormi ricchezze commerciali e coloniali, anche se la sua economia
poggiava essenzialmente su un sistema agricolo feudale ed arretrato.
Oltre ai territori italiani, erano annessi alla corona spagnola i Paesi Bassi e la Franca Contea (la cosiddetta
Borgogna imperiale): le aree più ricche ed urbanizzate d’Europa, i maggiori scali commerciali e i più importanti
centri finanziari (Anversa, Genova) si trovavano sotto il controllo diretto o indiretto della Spagna.
Essa inoltre controllava e dominava il Mediterraneo e guidava la lotta contro la pirateria ed il pericolo
ottomano. Tuttavia la politica di grandezza militare che Filippo II volle seguire, che lo portò ad avere numerosi
nemici, non era sorretta da risorse economiche adeguate da parte dello Stato, nonostante le numerose
ricchezze che pervenivano in Spagna (soprattutto i metalli preziosi delle colonie d’America). Avvenne così che
in varie circostanze lo Stato spagnolo fu costretto a dichiarare bancarotta, non riuscendo a restituire i debiti
contratti con i grandi finanzieri europei, molti dei quali andarono in rovina. La pace di Cateau-Cambrésis dette
alla Spagna il ruolo di potenza egemone in Europa, ma la smisurata grandezza dei domini spagnoli poteva
costituire un elemento di debolezza, mentre il tesoro americano, che apparentemente le dava risorse
finanziarie infinite, la esponeva ai rischi dell'inflazione e agiva negativamente sulle sue strutture produttive.
Si possono distinguere 3 fasi nel regno di Filippo II (1556-98). La prima tra il 1559 e il 1565, la seconda tra il
1565 e il 1580, la terza tra il 1580 e il 1598. Fino al 1559 le linee ispiratrici della politica della politica di Filippo
II sono quelle paterne; una politica sancita anche dalle strategie matrimoniali. Nel 1543 Filippo aveva sposato
Maria Emanuela di Portogallo, morta 2 anni dopo. Nel 1554 sposò la regina inglese Maria Tudor. Con la morte
di Maria tudor nel 1558 la situazione inglese cambiava radicalmente: l’ascesa di Elisabetta avrebbe
definitivamente compromesso l’alleanza anglospagnola. Alla vigila della pace di Cateau-Cambresis, Filippo
sposava la francese Elisabetta di Valois. Il 1559, anno del trasferimento di Filippo dalle Fiandre in Castiglia,
dove è anche stabilita la corte, è quasi una data simbolo:segna il passaggio da un impero su base fiamminga a
uno su base spagnola, fondato soprattutto sull’affluenza delle ricchezze dal nuovo mondo. Segna anche la fine
dell’idea dell’impero universale vagheggiata da Carlo V e il primato di un nuovo sistema politico con al centro
la Spagna, o meglio la Castiglia. La Spagna che Filippo II ereditava non aveva vissuto l’ondata di rinnovamento
e di fermenti culturali e sociali promossi dalla riforma protestante. Era stata tuttavia interessata soprattutto
all’influenza di Erasmo da Rotterdam e Juan de Valdes. La controriforma operata da Filippo attraverso
l’istituzione dell’inquisizione e dell’indice dei libri proibiti fu motivata da esigenze di controllo religioso ma
anche politico e sociale. La Spagna della controriforma fu anche un sistema di valori: al suo vertice il
sentimento del nesso inscindibile tra una sola religione, un solo re, la purezza della stirpe (la limpieza de
sangre). Fu così che nei primi anni del regno di Filippo II furono perseguitati e espulsi i conversos, cioè i
mussulmani e ebrei convertiti al cristianesimo. La limpieza de sangre era l’ossessione di Filippo II: il sovrano
pensava che tutte le eresie della Germania,d ella Francia e della Spagna fossero state diffuse dai discendenti
degli ebrei. Uno dei grandi avversari della Spagna fu l’Impero ottomano, che continuava nella sua spinta
espansionistica, minacciando l’Occidente e dominando nel Mediterraneo: nel 1538 gli ottomani avevano
sconfitto gli spagnoli a Prevesa (in Grecia) e nel 1560 a Gerba (un’isola situata di fronte alle coste della Tunisia,
venne occupata dagli spagnoli ma ritornò agli ottomani dopo pochi mesi). Cinque anni dopo, nel 1565, essi
lanciarono l’attacco all’isola di Malta, dove da pochi decenni si era insediato, per decisione di Carlo V, l’antico
ordine crociato di San Giovanni (originariamente detto anche dell’Ospedale e chiamato poi Ordine dei
Cavalieri di Malta): i monaci guerrieri di San Giovanni, per quanto inferiori di numero, resistettero
eroicamente all’attacco ottomano e, grazie anche all’aiuto spagnolo, salvarono l’indipendenza dell’isola.
Tuttavia l’espansionismo degli ottomani non si fermò e nel 1570 essi attaccarono ed occuparono Cipro, un
possedimento strategico di Venezia: nonostante la strenua resistenza opposta dai veneziani, l’isola alla fine fu
occupata. Solo allora gli Stati cristiani si resero perfettamente conto del grave pericolo che incombeva
sull’Europa e sul Mediterraneo: così, ascoltando l’appello del papa Pio V, si formò nel 1571 la Sacra lega
comprendente la Spagna, Venezia, Genova, il Ducato di Savoia, lo Stato Pontificio, Malta.
Fu costruita rapidamente una poderosa flotta militare: Venezia in particolare costruì una nuova nave da
guerra, la cosiddetta galeazza, che presentava caratteristiche innovative per l’epoca e che era pressoché
inattaccabile, anche per la eccezionale capacità di fuoco che aveva. Lo scontro decisivo avvenne il 7 ottobre
del 1571 nel golfo di Lepanto, in Grecia: i turchi commisero il grave errore di accettare lo scontro in mare
aperto, allontanandosi dalla fortezza di Lepanto. Fu una delle più grandi e memorabili battaglie navali della
storia e probabilmente la prima vera battaglia navale moderna, una battaglia che in qualche modo contribuì a
cambiare il corso della storia: la flotta turca subì un vera e propria disfatta ad opera della lega cristiana, anche
e soprattutto perché le navi cristiane erano tecnologicamente superiori, in quanto potevano contare sull’uso
dei primi pezzi di artiglieria applicati alla marina militare (cannoni ed archibugi). La vittoria di Lepanto pose
fine all’espansionismo ottomano nel Mediterraneo, anche se esso continuò sulla terra ferma: secondo alcuni
storici i cristiani commisero l’errore di non approfittare della grave sconfitta turca, dal momento che essa non
fu seguita da un’ulteriore offensiva militare, che avrebbe potuto dare il colpo mortale all’Impero ottomano.
Certo della propria forza, Filippo II pensò allora di risolvere militarmente i problemi che gli si presentarono.
Così una rivolta nei Paesi Bassi fu trasformata, dalla violenta repressione spagnola, in una guerra costosa ed
interminabile. Le Fiandre (o paesi Bassi), erano 17 province, di cui quelle del SUD (Belgio) erano cattoliche e
francofone; quelle del NORD (Olanda) erano protestanti e parlavano dialetti tedeschi. Le province godevano di
ampie autonomie (diritto di eleggere i propri magistrati, approvare le imposte, inviare rappresentanti agli Stati
generali ecc.). Ma, se Carlo V aveva rispettato le autonomie, non fece altrettanto Filippo II: anzi limitò le
libertà e cercò di introdurre l'Inquisizione (AUTO DA FE'). Fu così che nel 1556, 400 nobili si presentarono alla
reggente Margherita Farnese, sorella naturale del re e Duchessa di Parma, chiedendo la revoca dei
decreti ma, non avendo ottenuto nulla (emblematico è il modo in cui uno dei consiglieri della reggente chiamò
anzi gli insorti “GEUX”, cioè pezzenti, epiteto che essi presero come nome di battaglia). Nobili e popolo
insorsero allora contro il governo spagnolo, in una lotta che durò oltre 40 anni (1566-1609). Filippo II decise di
inviare come governatore il Duca di Alba (1567-1573), che cercò di soffocare la rivolta ma ottenendo solo di
peggiorare la situazione, poiché le province del NORD e del SUD si unirono nella lega di GAND (1576): la
politica repressiva del duca d'Alba, che guidava le truppe spagnole, ebbe piuttosto l'effetto di
consolidare l'alleanza fra cattolici e calvinisti nei Paesi Bassi.  Filippo II allora inviò come
governatore Alessandro Farnese (1578-1592), figlio di Margherita (e futuro Paolo III), il quale riuscì a giocare
meglio sulle divergenze religiose tra i ribelli e ripristinando tutti gli antichi privilegi, riuscì a staccare dalla
Lega di Gand le province cattoliche del Sud (1579). Se le province meridionali tornarono sotto la sovranità
spagnola, le province protestanti continuarono invece la lotta costituendo a loro volta la LEGA DI
UTRECHT (1579) e poi proclamarono la loro indipendenza: la REPUBBLICA DELLE SETTE PROVINCIE UNITE,
eleggendo a presidente (STATHOLDER) Guglielmo di Orange detto il Taciturno (1581). Nel 1584 Guglielmo
d'Orange fu ucciso da un sicario spagnolo ma il figlio MAURIZIO prese il posto del padre e continuò la guerra
contro la Spagna; in loro favore intervennero anche Elisabetta d'Inghilterra e Enrico di Borbone di Francia. La
Spagna verrà sconfitta cosicché alla morte di Filippo II (1598), il suo successore, Filippo III sarà costretto a
firmare una tregua di 12 anni (1609). Solo più tardi, col TRATTATO DI WESTFALIA, i Paesi Bassi saranno
riconosciuti indipendenti, e da allora presero il nome di OLANDA, dal nome della provincia principale .

GUERRA CONTRO L’INGHILTERRA


 Il successore di Enrico VII Tudor era stato Enrico VIII: di questo sovrano, che regnò nella prima metà del XVI
secolo, occorre ricordare in primo luogo la sua tendenza ad esercitare il potere in modo assoluto ed
incontrastato, e in secondo luogo la fondazione della Chiesa anglicana con l’Atto di Supremazia del 1534. Alla
morte di Enrico VIII la corona passò per pochi anni al figlio Edoardo VI. Fu un sovrano molto giovane ed
estremamente debole: durante il suo regno l’anglicanesimo cominciò a contaminarsi con elementi provenienti
dal calvinismo, che intanto si era diffuso soprattutto tra i ceti popolari.
Alla sua morte divenne regina la sorella Maria Tudor (1553-58), moglie di Filippo II di Spagna, la quale invece
cercò di restaurare il cattolicesimo: essa però dovette scontrarsi con forti resistenze sociali e politiche, tanto
che fu costretta a ricorrere a violente repressioni, che le procurarono l’appellativo di “Maria la sanguinaria” .
La situazione interna si normalizzò con l’avvento al trono di Elisabetta, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena: il
suo regno coincise con la seconda metà del 1500, quella che gli storici hanno definito età elisabettiana (1558-
1603). Furono gli anni in cui l’Inghilterra, superati i contrasti interni dei decenni precedenti, si avviò a grandi
passi a diventare una grande potenza politica, militare e coloniale: sul piano religioso l’anglicanesimo del
periodo elisabettiano continuò nella tendenza ad assorbire e fare proprie concezioni e teorie del calvinismo.
L’Inghilterra in particolare si dotò di una flotta commerciale e militare che, come abbiamo visto, la pose in
diretta concorrenza con la Spagna: avvennero in questi anni anche le prime conquiste coloniali (la Virginia). Sul
piano economico, il regno di Elisabetta coincise anche con la trasformazione dell’Inghilterra da paese
prevalentemente agricolo e pastorale a paese con forte propensione commerciale ed industriale. Nacquero e
si svilupparono i primi veri settori industriali inglesi (anche se si trattò di un’industria ancora manifatturiera)
come quello tessile, il più evoluto, quello del vetro, della ceramica, della carta e soprattutto quello
cantieristico (= costruzione di navi). Filippo II aveva sognato in un primo tempo l'unione della corona inglese
e quella spagnola col suo matrimonio con Maria la Cattolica e, dopo la morte della moglie, aveva offerta la
sua mano all'anglicana Elisabetta, senza risultato.
 Decise allora di muovere  guerra contro l’Inghilterra per cause:
 1) politiche: perché Elisabetta mirava ad affermare la potenza inglese sui mari dove allora predominava la
Spagna.
 2) religiose: perché Elisabetta perseguitava i cattolici e aveva mandato a morte MARIA STUARDA, già regina di
Scozia, che, scacciata dal suo regno, si era posta sotto la protezione inglese (1587).
 
MARIA STUARDA, figlia di Giacomo I, re di Scozia, e vedova di Francesco II, re di Francia, era, oltre
che cattolica di religione, anche aspirante al trono inglese come parente prossima di Maria la Cattolica.
Cacciata dalla Scozia per motivi religiosi (non mai il consenso suo popolo, in maggioranza calvinista) e
morali (fu accusata di aver fatto saltare in aria a Edimburgo il secondo marito Enrico Darnley e di aver sposato
l'assassino, il Conte Bothwell), si rifugiò in Inghilterra, dalla cugina Elisabetta (1568). Ma Elisabetta le fece
arrestare e, dopo 20 anni di prigionia la fece uccidere (1587), col pretesto di un complotto cattolico.
 Filippo II apprestò la flotta, la INVINCIBILE ARMADA, ma la flotta inglese, composta di navi più agili, le diede
l'assalto nella Manica, e agevolata anche da una tempesta, riuscì ad annientarla (1589), distruggendo per
sempre il mito della invincibilità della flotta spagnola.
 
GUERRA CONTRO LA FRANCIA
 Il totale fallimento di quest'impresa fu simultaneo al crescente impegno di Filippo II nel CONFLITTO
RELIGIOSO FRA CATTOLICI E CALVINISTI FRANCESI, sfociato in una guerra civile che aveva visto fronteggiarsi
Antonio di Borbone, capo della fazione calvinista, ed i Giusa, i cattolici francesi. Alla morte di Enrico II
(succeduto a Francesco I), che aveva condotto l’ultima fase della lunga guerra contro Carlo V, la monarchia
francese attraversò un lungo periodo di crisi e di guerre civili, scatenate sia dalla debolezza dei sovrani sia dai
contrasti tra le fazioni religiose. Della crisi dell’autorità regia tentarono di approfittare alcune famiglie della
grande nobiltà per ridurre i poteri del sovrano e per salire al trono. Ad Enrico II successe il figlio Francesco II,
che regnò per brevissimo tempo (1559-60) e che sposò Maria Stuart, figlia del re di Scozia: in questo periodo
acquistarono grande autorità i conti di Guisa, cattolici ed avidi di dominio, che cercarono di perseguitare
con furore i protestanti francesi detti ugonotti, i quali si riconoscevano sudditi della famiglia Borbone, un
ramo cadetto della casata reale (Valois). I Borbone regnavano sul piccolo trono di Navarra (al confine tra
Francia e Spagna). Morto Francesco II, assunse la reggenza, in nome del figlio minore Carlo IX, la madre
Caterina dei Medici, donna energica, risoluta e spregiudicata (Caterina era vedova di Enrico II di Valois ed era
madre di Francesco, di Carlo, di Enrico e di Margherita, protagonisti delle vicende che seguiranno). Per tenere
a freno l’invadenza del partito dei Guisa, Caterina inaugurò una politica di tolleranza verso gli ugonotti, ma
nel fare ciò si trovò di fronte alla decisa opposizione dei Guisa. Stretta tra cattolici ed ugonotti, Caterina seguì
una politica di altalena per contenere di volta in volta la pericolosa potenza del partito più forte. Questo
equilibrio si infranse nel 1572 quando Caterina, in occasione delle nozze di sua figlia Margherita con Enrico di
Borbone, fu costretta ad organizzare un attentato contro il capo degli ugonotti Gaspare di Coligny:
quest’ultimo infatti aveva acquistato un forte ascendente sul debole re Carlo IX e lo stava convincendo ad
intervenire nei Paesi Bassi in soccorso dei rivoltosi protestanti ed antispagnoli. Il Coligny fu gravemente ferito
ma ciò provocò la reazione degli ugonotti, che minacciarono una vendetta contro Caterina e i Guisa. Caterina
allora, approfittando del fatto che migliaia di ugonotti fossero convenuti a Parigi per le nozze di Enrico di
Borbone, organizzò contro di essi la terribile strage di San Bartolomeo (24 agosto 1572): alcune migliaia di
ugonotti furono massacrati e lo stesso Enrico di Borbone corse un serio pericolo di vita e fu tenuto come
ostaggio a corte per circa un anno. Morto Carlo IX, probabilmente a causa di un avvelenamento, gli successe il
fratello Enrico III, il quale cercò di mantenere un certo equilibrio tra protestanti e cattolici. Negli ultimi anni del
suo regno si pose il problema della successione poiché Enrico III non aveva figli.  La linea dinastica dei Valois
stava per estinguersi. Più pretendenti miravano ad impossessarsi del trono. Esso spettava di diritto ad Enrico
di Borbone, re di Navarra, per via del suo matrimonio con Margherita di Valois, sorella di Enrico III: egli però
era il capo degli ugonotti e la maggior parte dei francesi era contraria ad un re protestante. Erano contrari
inoltre anche il papa e Filippo II di Spagna, il quale ambiva ad impossessarsi di quella corona per la figlia
Isabella. L’altro pretendente era Enrico di Guisa, il quale aveva costituito una Lega cattolica proprio per
impedire che un protestante potesse salire sul trono di Francia. Il re Enrico III tentò di attuare una politica di
conciliazione ma nel 1588, poiché egli si rifiutò di accondiscendere alle pretese e alle pressioni della Lega
cattolica, scoppiarono gravi disordini a Parigi, tanto che fu costretto a fuggire dalla capitale. Il re ricorse allora
ad un delitto con cui si sbarazzò di Enrico di Guisa ma, pochi mesi dopo, mentre insieme ad Enrico di Borbone
stava assediando Parigi, cadde a sua volta sotto il pugnale di un monaco fanatico. Morendo, Enrico III dichiarò
suo legittimo erede Enrico di Borbone, il quale continuò l’assedio di Parigi: al fianco della Lega cattolica si
schierò Filippo II di Spagna che inviò un esercito, mentre Enrico di Borbone fu aiutato dall’Inghilterra, dai
Paesi Bassi (la neonata Repubblica delle 7 province unite) e dai principi protestanti tedeschi. La situazione si
sbloccò nel 1593, quando Enrico di Borbone, per farsi accettare dai francesi, abiurò la fede calvinista e si
convertì solennemente al cattolicesimo (sembra che egli pronunciasse in quella occasione la frase “Parigi val
bene una messa!”): divenne cosi re con il nome di Enrico IV. Il papa Clemente VIII lo riconobbe allora sovrano
legittimo. Nel 1598, interpretando il desiderio di pace molto vivo nel regno dopo 40 anni di lotte, Enrico IV
pose fine al conflitto religioso con il celebre Editto di Nantes, una legge di grande importanza storica, in
quanto fu la prima volta che in Europa venne accettato il principio della tolleranza religiosa: l’editto infatti
riconobbe la libertà di coscienza agli ugonotti francesi ed anche la libertà di culto sul territorio francese, con
esclusione della città di Parigi ed il suo territorio per un raggio di 25 Km.  Agli ugonotti inoltre venne
riconosciuta la parità giuridica nei confronti dello Stato e l’uguaglianza dei diritti civili con i cattolici:
potevano esercitare qualsiasi professione, essere assunti o ricoprire qualsiasi incarico pubblico. Infine agli
ugonotti vennero concesse 151 piazzeforti d’asilo, fra cui La Rochelle (cfr episodio de I tre Moschettieri di
Dumas) sparse in tutta la Francia, autogestite dagli stessi protestanti, in modo da garantire una adeguata
protezione militare ai seguaci della religione riformata. Con la pace di VERVINS (1598) era cominciata per la
Francia un periodo di pace e di ripresa economica e politica. Filippo II vide così il completo fallimento della
sua politica di espansione.

RIASSUNTO E CONCLUSIONE DEL 1500 NEL RESTO D’EUROPA

Filippo II ottenne il Regno di Spagna nel 1556 dal padre Carlo V, regnava su: Spagna, Paesi Bassi, possedimenti
italiani, Franca Contea, colonie americane e dal 1580 Portogallo.Trasferì la capitale da Valladolid a Madrid
dove costruì l’Escorial. Consiglio di Stato costituito da uomini di corte definiva la strategia politica generale ed
estera. Consiglieri territoriali amministravano Aragona, Castiglia, Italia + colonie americane. Governò
attraverso un apparato burocratico e i regni e province affidati a governatori e viceré. Voleva unire i suoi
possedimenti alla fede cattolica, fu il braccio armato della Controriforma. La Spagna dovette la sua prosperità
ai metalli preziosi dell’america ma mancava la borghesia x far fruttare la ricchezza e x 3 volte fu dichiarata
bancarotta. Grande potenza militare si scontrò con: ottomani sul mediterraneo, contro protestanti nei paesi
bassi, contro l’Inghilterra sia x fede k x il mare, contro colonie americane, in Portogallo x la dinastia, nel 1580
unione delle 2 corone. Nel 1570 ottomani conquistano Cipro, isola di dominio veneziano, posizione strategica
x il commercio, ci fu la Lega Santa voluta da Papa Pio V, Venezia, Chiesa e Spagna. 7 ottobre 1571 battaglia di
Lepanto, Turchi sconfitti, nel 1577 Spagna e Turchia firmarono una tregua. Nel 1566 rivolta dei gueux, il capo
era Guglielmo d’Orange. Nord calvinisti lotta violenta contro il cattolicesimo, Sud cattolici e favorevoli alla
pace con Spagna, 1581 Unione Utrecht dichiarò caduta la monarchia spagnola e Olanda stato indipendente.

Inghilterra consolidò l’allontanamento dalla Chiesa cattolica con Edoardo VI. Salendo al trono Maria Tudor nel
1553 segnò la svolta politica religiosa del regno, era figlia di Caterina d’Aragona, qndi cattolica, voleva
riportare l’Inghilterra alla Chiesa di Roma. Nel 1555 il Parlamento approvò la fede cattolica. Il rapporto tra
Maria e il paese finì qnd pose fine alle manifestazioni anticattoliche 280 protestanti al rogo, ebbe il nome di
Maria la Sanguinaria. Alla sua morte nel 1558 l’erede era Elisabetta Tudor, nata da Anna Bolena e Enrico VIII,
l’altra era Maria Stuart cattolica, regina di Scozia. Il parlamento era protestante qndi salì Elisabetta. Riportò il
protestantesimo, instaurò il mercantilismo-difesa della riserva di moneta e di metalli preziosi-promozione
dell’economia nazionale e proibizionismo-unificazione delle condizioni dell’economia nazionale. L’esponente
di qst politica fu Jean-Baptiste Colbert. 1600 fondazione della Compagnia delle Indie Orientali. Parte del
commercio era in mano ai Corsari, noto corsaro di Elisabetta fu Francis Drake, assaliva navi spagnole e
portoghese x portare il bottino in Inghilterra. 1 colonia in america fu fondata nel 1584 e si chiamò Virginia, in
onore di Elisabetta(regina vergine).1561 Maria Stuart tornò in patria xk morì il marito Re di Francia Franz II,
essendo cattolica voleva riportare quella fede ank in Scozia ma a causa delle rivolte fuggì nel 1567 dove trovò
rifugio sotto la corte di Elisabetta ke la fece imprigionare in un castello. Ci furono dei complotti da parte
dell’opposizione cattolica dove nel 1570 il Papa scomunicò Elisabetta, Maria Stuart venne giustiziata nel 1587
con l’accusa di aver preso parte ai complotti. Con l’esecuzione di Maria, Filippo II dichiarò guerra a Elisabetta,
nel 1588 una flotta spagnola, Invincibile Armata salpò verso l’Inghilterra. La Spagna venne sconfitta dove
configurò una guerra tra due mondi - sul piano religioso cattolici contro protestanti- sul piano sociale xk
Spagna economia statica e arretrata, Inghilterra economia in espansione. Nel 1598 Filippo II morì, Elisabetta
morì nel 1603 dove andò in successione Giacomo figlio di Maria Stuart k unificò le 2 corone. Nel 1559 morì
Enrico II poco prima della firma della pace di Cambrésis, avendo 3 figli minori toccò alla moglie Caterina de’
Medici governare. Nel 1562 emanò l’editto di tolleranza verso i protestanti, nel 1570 con la pace di Saint-
Germain concesse la libertà di culto. I cattolici accusarono i protestanti di creare uno stato e la tensione sfociò
nella notte di San Bartolomeo 24 agosto 1572 centinaia di ugonotti, guidati da Coligny, furono uccisi dai
cattolici condotti da Guisa. Guerra civile tra ugonotti Enrico di Borbone(nobile cattolico francese) e cattolici
Enrico di Guisa(re di navarra). Nel 1588 Enrico III(valois Re di Francia) assassinò Enrico di Guisa, l’anno dopo
venne ucciso da un fanatico. Nel 1589 Enrico di Borbone sposa la sorella di Enrico III e diventa Re di Francia
ovvero Enrico IV. Nel 1593 diventa cattolico, così nel 1598 sottoscrisse con la Spagna di Filippo II la pace di
Vervins, ed emanò l’editto di Nantes, libertà di culto agli ugonotti. Limitò le antiche nobiltà feudali (nobiltà di
spada) formò la nobiltà di toga vendendo incarichi burocratici. Istituzione di una nuova tassa, la Paulette. Nel
1620 un frate cattolico uccise Enrico IV. Ivan IV vero fondatore Stato russo, si fece nominare Zar di ttt le
Russie. Boiari = potente aristocrazia russa. Dura lotta contro i boiari, ne fece assassinare 4000 e prese il nome
di Terribile. Nel 1613 inizia la dinastia dei Romanov che governò la Russia fino al 1917.

IL 1600

Tra la fine del XVI secolo e la fine del XVII quasi tutte le aree europee furono investite da un processo di
trasformazione detto la crisi generale del 600. Ci fu una crisi della struttura agraria, la contrazione
demografica, quella manifatturiera, industriale e commerciale. Un’intensificazione del ciclo carestia-epidemia-
carestia, gli effetti nefasti della guerra ma anche il declino di vecchie e il consolidamento di nuove gerarchie
nella vita degli stati e nelle relazioni internazionali. La crisi non colpì tutti paesi nello stesso modo, tempi,
settori e attività economiche. Dalla crisi alcuni paesi uscirono più deboli, altri più forti: alcuni come l’Inghilterra
e l’olanda stabilirono la loro egemonia sul continente. Altri si indebolirono ulteriormente e furono subalterne
alle grandi potenze economiche sino alla seconda rivoluzione industriale. Gli storici si sono interrogati
sulle cause di questa crisi ed hanno ipotizzato che il tutto sia nato da un processo di polarizzazione della
ricchezza. Ovvero durante il ‘500 grazie alla crescita demografica i grandi proprietari riuscirono ad aumentare
il proprio livello economico; al contrario i lavoratori si impoverirono e quindi anche la richiesta di beni sul
mercato diminuì. Si diffuse inoltre il fenomeno di un matrimonio tardivo il che portò ad un numero minore di
anni di fertilità della coppia e al numero medio di figli. Il decremento demografico fu causato anche dal
diffondersi di epidemie e carestie.Un altro fattore che portò alla crisi fu il cambiamento climatico: il clima
europeo si raffreddò e quindi l’agricoltura che era strettamente legata ad esso peggiorò. Causa anche del
processo di cerealizzazione che caratterizzò il secolo precedente. La crisi della produzione agricola ebbe effetti
rilevanti anche sul piano delle strutture economiche e sociali. La nobiltà fondiaria si trasformò in imprenditori
terrieri. Parte della popolazione si arricchì sempre di più e l’altra diventava sempre più povera. In Spagna e in
Italia per recuperare il calo delle rendite signorili si ricorse ad un processo di rifeudalizzazione: ricomparsa di
antichi diritti signorili sulla terra e sul lavoro agricolo. Furono i contadini quelli a ricevere dei danni maggiori e
che quindi insorsero per primi dando luogo alle rivolte contadine che segnarono la prima metà del secolo.
Causa di ciò furono anche le guerre e l’eccessivo fiscalismo. Anche il settore commerciale entrò in crisi. Le
miniere di oro e di argento americane incominciarono ad esaurirsi; in più anche la manodopera indigena
cominciava a venire meno a causa dei ritmi e delle condizioni di lavoro alla quale veniva sottoposta. Tutto ciò
portò ad un crollo dei prezzi di mercato. La crisi portò alla nascita di due Europe: una settentrionale e una
meridionale. Nella prima troviamo gli stati che riuscirono a superare la crisi (Inghilterra, Olanda, Francia); nella
seconda, invece, quegli stati che non  vi riuscirono ad uscire (Spagna, Italia).
Durante il regno di Filippo III (1598-1621) si manifestarono i primi segnali del declino. La Spagna fu investita
da una grande crisi economica: cattivi raccolti, la peste, decadenza di gran parte dei settori agricoli colpirono
soprattutto la Castilla. Dopo l’ultima bancarotta di Filippo II, nel 1607 anche Filippo III fu costretto a imitarlo.
L’argento americano era ormai esaurito e la politica fiscale dello stato sottoponeva a pressione e penalizzava
soprattutto la produttività, scoraggiando qualsiasi spinta imprenditoriale. Un’ulteriore colpo all’economia fu
l’espulsione dei moriscos (musulmani convertiti al cristianesimo) in quanto erano una minoranza razziale non
integrata però costituivano la spina dorsale dell’agricoltura e dell’artigianato spagnolo. Durante il regno di
Filippo III si produssero anche importanti mutamenti nel sistema politico spagnolo. Gli affari di governo sotto
Filippo II erano retti dal sovrano e dai consigli, il centro del sistema di potere a partire da Filippo III fu
costituito dalla figura del VALIDO, una personalità politica a mezza strada tra il favorito del sovrano e il primo
ministro (il duca di Lerma sotto Filippo III e il conte-duca d’Olivares sotto Filippo IIII). La politica
internazionale di Filippo III e del duca di Lerma fu caratterizzata da una linea pacifista: la pace con l’Inghilterra
(1603) e la tregua dei 12 anni con le province unite (1609) furono i due atti più importanti. Filippo IV
d'Asburgo (1605-1665) regnò sulla Spagna e sui domini spagnoli in Europa e in America dal 1621 alla sua
morte. Durante il suo regno, la Spagna fu attraversata da una dura crisi legata ai gravosi e velleitari impegni
militari, che portarono a frequenti bancarotte. Finì ben presto sotto accusa lo stile di governo di Gaspar de
Guzmán, conte-duca di Olivares (1587-1645), il potentissimo favorito di Filippo IV che esercitò, di fatto, il
potere del re per oltre un ventennio. Olivares cercò invano di ristabilire l'egemonia spagnola in Europa e di
rimediare alla crisi finanziaria della Monarchia: alla scadenza della Tregua dei dodici anni (1609-1621), riprese
la guerra contro le Province Unite; si impegnò al fianco degli Asburgo d'Austria nella Guerra dei Trent'anni;
contestualmente, cercò di risanare le finanze dello Stato, ridistribuendo il carico fiscale tra i diversi regni. A tal
fine promosse un progetto, chiamato "Unione degli eserciti" (1624), che prevedeva la ripartizione delle spese
militari, in precedenza sostenute dalla sola Castiglia, tra tutti i territori della Corona. Tale iniziativa provocò
un'ondata rivoluzionaria, nel corso della quale importanti regni e territori della Monarchia rivendicarono
violentemente le antiche libertà e autonomie: Portogallo e Catalogna si ribellarono nel 1640, Palermo e
Napoli (la cosiddetta rivolta di Masaniello) nel 1647-48 (Nella prima metà del ‘600 Napoli era precipitata in
una gravissima crisi socio-economica, aggravata dall’assoggettamento alla corona di Spagna che, combattendo
guerre sempre più dispendiose, esigeva da Napoli esosi balzelli. Nel 1646 il viceré spagnolo Rodrigo Ponce de
Leòn, duca d'Arcos aveva ulteriormente aumentato il carico di tasse applicate, sicché l’anno successivo bastò
l’aumento del prezzo della frutta fresca, perché il 7 luglio del 1647 la rivolta scoppiasse in tutta la sua violenza
al grido di “Viva il re di Spagna, mora il malgoverno”. Il motto dimostra la gran confusione regnante nel
popolo, per il quale il re impersonava ancora la giustizia e i ricchi l'arbitrio. Non fu una rivolta antispagnola,
come vorrebbe la storiografia italiana dell'Ottocento, impregnata di retorica nazionalistica, ma un’insurrezione
scaturita dalle miserevoli condizioni in cui versava il popolo). Anche dopo la destituzione di Olivares nel 1643,
il declino militare della Monarchia non si arrestò. Perso definitivamente il Portogallo, si dovette rinunciare ad
ogni pretesa di sovranità sulle Province Unite, mentre il lungo conflitto con la Francia si risolveva, dopo la pace
dei Pirenei (1659), con la fine del predominio spagnolo in Europa. Dopo la morte di Enrico IV, dovuta ad un
attentato nel 1610, salì al trono Luigi XIII, ma, poiché ancora bambino, la reggenza era tenuta dalla madre
Maria de’ Medici che, da fervente cattolica, si orientò in senso filo spagnolo. Essendo donna e straniera, Maria
era debole e la nobiltà cercò di approfittare di questa situazione per ripristinare i propri privilegi che le erano
stati tolti da Enrico IV e dal suo ministro, il duca di Sully; ciò che più preoccupava maggiormente Maria erano
le casate nobiliari che miravano a sostituirsi ai baroni, così nel 1614 convocò gli Stati Generali, l’Assemblea dei
tre ordini in cui era divisa la popolazione: nobiltà, clero e borghesia, con la speranza di trovare una soluzione
alle controversie e in un certo senso ci riuscì, controllando la situazione fino a che nel 1617 Luigi XIII assunse
le redini del potere, affiancato dal cardinale Richelieu, che nel 1624 sarebbe diventato capo del Consiglio del
re. Richelieu orientò la sua politica di rafforzamento del potere monarchico su tre fronti: per difendere ed
accentrare il potere nelle mani dei Borboni esiliò Maria de’ Medici e il fratello del re Gaston d’Orleans e
potenziò il ruolo dei funzionari alle dirette dipendenze della Corona, gli intendenti, di origine borghese e nobili
di toga che si sostituirono nell’amministrazione delle province ai governatori aristocratici; nel 1625 egli attaccò
le piazzeforti ugonotte, ormai diventate uno Stato nello Stato che, operando in maniera autonoma dal re,
contrastavano con l’accentramento del potere, e arrivò a sottomettere anche l’ultima, quella più importante
della Rochelle, nel 1628, ma poiché a spingerlo era unicamente la ragione di stato, mantenne la loro libertà di
culto. La stessa ragione di stato lo condusse ad allearsi con i principi protestanti pur di contrastare il tentativo
egemonico asburgico, mirando ad aumentare il prestigio della Francia e ad ottenere vantaggi territoriali, e nel
1648, con la pace di Vestfalia, firmata dal successore Mazzarino, si completò la sua strategia che vide imporsi
la Francia come principale potenza europea. Quando nel 1642 Richelieu morì, gli successe appunto
Mazzarino, confermato come primo ministro anche l’anno successivo dal nuovo re Luigi XIV o meglio dalla
madre Anna d’Austria che come per ogni successione si ritrovò a reggere il potere a causa della giovane età
del figlio. Mazzarino si trovò, come già Richelieu, a fronteggiare le rivolte del popolo francese che era
sottoposto ad una pesante tassazione per finanziare le guerre. Per di più, quando questi attuò il suo progetto
che prevedeva l’affidamento dell’esazione delle tasse esclusivamente agli intendenti, si vide contrastato anche
dai Parlamenti, organismi giudiziari, che avevano l’incarico di ratificare i decreti del re, e che in questo caso
sostennero i nobili che invece volevano mantenere per sé questo diritto. Quest’opposizione sfociò nella
fronda parlamentare del 1648-49 messa in atto dal Parlamento di Parigi che riuscì a sollevare il popolo contro
il re e il suo ministro facendo leva sulla forte tassazione. Così Mazzarino e Luigi furono costretti a fuggire.
Mazzarino allora ritirò il Decreto e giunse ad un compromesso con il Parlamento, ma dal 1650 al 1652 si
presentò una nuova rivolta nobiliare, la Fronda dei principi. La nobiltà di toga si era opposta all’azione
accentratrice del re, ma si opponeva anche la nobiltà di spada che vedeva compromesso il proprio potere
dalla nobiltà di toga e dal sovrano, così il popolo fu strumentalizzato contro il re per ripristinare i privilegi
nobiliari. Mazzarino e il re dovettero nuovamente emigrare a Colonia, in Germania, da dove Mazzarino diresse
l’esercito regio che sconfisse quello dei ribelli, guidati dal principe di Condé. La fine di queste rivolte consentì
a Mazzarino di concentrarsi sulla guerra contro la Spagna, chiedendo l’appoggio di Cromwell. In questo modo
mentre la flotta inglese paralizzava le navi spagnole, l’esercito sconfisse le truppe iberiche a Dunkerque e con
la pace dei Pirenei del 1659 la Francia ottenne l’Artois e il Rossiglione al confine con la Spagna.

LA GUERRA DEI TRENT' ANNI

Le origini della guerra furono varie, anche se la principale fu l'opposizione religiosa e politica tra cattolici e
protestanti. La pace di Augusta del 1555, firmata dall'imperatore Carlo V, aveva messo fine agli scontri tra
cattolici e luterani, introducendo il principio del cuius regio eius religio.
Tuttavia vari problemi rimasero aperti:i termini del trattato prevedevano l'adesione, da parte dei principi, al
credo cattolico o a quello luterano, con esclusione di ogni altro credo, incluso il calvinismo, che andava
diffondendosi rapidamente in varie aree della Germania.
- A queste considerazioni di ordine religioso si aggiunsero tendenze egemoniche o d'indipendenza di vari stati
europei, rivalità commerciali, ambizioni personali e gelosie familiari. 
La Spagna era interessata ad esercitare una decisiva influenza sul Sacro Romano Impero per garantirsi la
possibilità di affrontare la guerra con gli olandesi che durava ormai da molti anni
- In Germania era nel frattempo in corso una lotta politica fra i principi tedeschi e l'imperatore di casa Asburgo
che desiderava che il titolo di Imperatore del Sacro Romano Impero non fosse più solamente una figura
rappresentativa ed un retaggio medievale ma rappresentasse un potere effettivo sui territori che
"nominalmente" appartenevano al Sacro Romano Impero, affermando così l'egemonia degli Asburgo su tutta
la Germania e portando a compimento l'impresa fallita dal grande Carlo V.
- Enrico IV di Francia, in risposta, continuò la politica anti-asburgica dei predecessori, convinto del fatto che, se
gli spagnoli fossero usciti vittoriosi dalla guerra in Olanda e la Germania fosse caduta sotto l'egemonia
imperiale, la Francia sarebbe stata schiacciata tra possedimenti asburgici su ogni lato.
- La scintilla scatenante del conflitto si ebbe nel 1618, quando l'imperatore del Sacro Romano Impero Mattia
nominò re di Boemia, prevalentemente protestante, il cattolico Ferdinando II. Questi vietò la costruzione di
alcune chiese protestanti, provocando una violenta ribellione, che culminò con la "defenestrazione di Praga"
(due luogotenenti dell'imperatore furono scaraventati giù dalle finestre del palazzo reale; i due tuttavia ne
uscirono illesi in quanto atterrarono sui detriti del fossato del castello).

1. FASE BOEMA. Protesta contro la tedeschizzazione e cattolicizzazione di Boemia e Ungheria da parte di


Ferdinando. Scoppia nel 1618 con la celebre “defenestrazione di Praga”, in cui i rappresentanti
dell’imperatore vengono buttati dalla finestra per protesta contro Ferdinando. A favore dell’imperatore si
schiera il duca Massimiliano di Baviera. La guerra acquista una dimensione europea e dura fino al 1648 perché
la questione della Boemia era solo una parte di un problema ben più grande: la questione del predominio fra
cattolici e protestanti. La prima fase termina nel 1630 con la “battaglia della montagna bianca” in cui
Massimiliano, aiutato dall’esercito spagnolo (cattolico), seda i rivoltosi.

2. FASE DELLA DANIMARCA. Interviene in re di Danimarca, Cristiano IV, preoccupato dei successi di
Ferdinando, ma viene ripetutamente sconfitto dal famoso generale Wallenstein che è il secondo grande
protagonista della guerra assieme a Massimiliano. Alla fine, nel 1629, Cristiano IV è costretto a firmare la Pace
di Lubecca, che chiude la seconda fase. Tuttavia, l’imperatore Ferdinando non si accontenta della vittoria e ne
vuole approfittare per restaurare in Europa l’autorità dell’imperatore e il cattolicesimo. Questo suscita un
allarme di tutte le potenze europee e lo scoppio della terza fase.

3. FASE SVEDESE. L’imperatore tenta di imporre la sua autorità e il cattolicesimo e suscita l’allarme
dell’Europa con due provvedimenti:
1) L’Editto di Restituzione che restituisce alla Chiesa Cattolica tutti i beni confiscati in precedenza. Questo
editto scontenta sia protestanti che cattolici, che lo ritengono inopportuno
2) Per premiare Massimiliano della sua fedeltà, gli conferisce la carica di Principe Elettore, atto illegale, perché
era una carica ereditaria di sette famiglie fin dalla Bolla d’Oro del 1356.
In conclusione preoccupava l’Europa anche un terzo aspetto, cioè il potere personale del generale
Wallenstein. E’ un personaggio spietato che l’imperatore aveva nominato principe per ricompensarlo dei suoi
sevizi, ma aspirava a diventare re. A questo punto interviene il grande sovrano di Svezia, Gustavo Adolfo, uno
degli esempi più famosi di monarchia assoluta del ‘600. Ottiene numerose vittorie grazie ad un esercito reso
efficiente da alcune innovazioni:
1) Artiglieria leggera, cannoni più maneggevoli.
2) Cavalleria addestrata per le cariche con la sciabola e fucilieri con moschetto leggero e tiro di precisione.
3) Creazione di un esercito professionale stabile e non mercenario, cosa più importante
Tuttavia, per un caso fortuito, cioè la morte in battaglia dello stesso Gustavo, l’imperatore riesce a ottenere la
vittoria sulla Svezia, e la fase si conclude con la Pace di Praga del 1635. La Svezia rimane debole, in quanto al
posto di Gustavo subentra la figlia Cristina di nove anni, che diventerà una grande protettrice di filosofi, poeti
e letterati. Fu oltretutto una protettrice dell’Arcadia e presso la sua corte morì Cartesio.

4. FASE FRANCESE. Il cardinale Richelieu decide di intervenire contro l’impero. E’ un paradosso, perché si
tratta di un cattolico che interviene contro un altro cattolico a favore dei protestanti. Ciò significa che le
ragioni politiche prevalgono su quelle religiose. Richelieu interviene anche contro la Spagna, già in crisi, che
verrà ancor di più abbattuta a causa dello sforzo militare eccessivo che deve sostenere. Aumentano, inoltre, le
spinte indipendentistiche delle province spagnole, in particolare della Catalogna e del Portogallo, che diventa
indipendente nel 1640 (era stato inglobato da Filippo II). La battaglia conclusiva di questa fase avviene nel
1643, a Rocroi: la Francia vince contro la Germania.
A questo punto abbiamo la Pace di Westfalia nel 1648, che viene firmata dal successore Ferdinando III. Ha
delle conseguenze fondamentali per la storia successiva:
1. Il definitivo crollo del progetto politico e religioso dell’imperatore di estendere la sua egemonia cattolica su
tutti i cristiani d’Europa.
2. Fine delle guerre di religione con la sconfitta del progetto di sottometter ei protestanti. Il paradosso è che la
guerra è stata inutile, perchè si ritorna al principio della Pace di Augusta, del 1555: cuius regio, eius religio.
3. Dissoluzione del potere imperiale e divisione della Germania in una miriade di staterelli. Gli Asburgo
governano solo su Austria, Boemia e Ungheria. Dovremo aspettare il 1871 quando il grande statista Bismarck
riunificherà la Germania formando il cosiddetto Secondo Reich, per distinguerlo dal Primo, cioè il Sacro
Romano Impero, e dal Terzo, quello costituito da Hitler.
4. Le conseguenze della Pace di Westfalia sono durature. La Francia acquista un potere che manterrà fino al
1871 quando verrà sconfitta da Bismarck. N.B.: La guerra non è finita con Westfalia, ma prosegue tra Spagna e
Francia sino al 1659 con la Pace dei Pirenei.
5. Conseguenza economica. La devastazione dell’Europa, il danno alle finanze degli Stati in guerra, la
diffusione delle epidemie, favorita dal movimento degli eserciti e dalle fughe delle popolazioni dalle campagne
alle città, dove l’assembramento favorisce il diffondersi delle infezioni, anche con la comparsa di nuove
malattie, come la sifilide.
RIVOLUZIONE INGLESE

Nel 1628 Carlo I per sostenere le spese necessarie all'appoggio militare in Francia per il soccorso
degli ugonotti, convocò il Parlamento. I parlamentari però, invece di concedere sussidi al re, gli chiesero
conto di tutte le illegalità commesse, chiedendogli di firmare la cosiddetta Petizione dei Diritti (Petition of
Right) con la quale si decretava che ogni imposizione fiscale dovesse essere approvata dal Parlamento stesso,
mentre altre pratiche - quali i prestiti forzosi, l'arruolamento obbligato, gli arresti immotivati (contro l'Habeas
Corpus della Magna Charta Libertatum) - venivano dichiarate illegali. Per questo motivo il re sciolse il
Parlamento appena un mese dopo la riconvocazione. Durante i dieci anni d'assenza del Parlamento, Carlo I,
sostenuto dall'arcivescovo di Canterbury William Laud e dal Consiglio della Corona, tentò di racimolare
denaro attraverso l'imposizione di nuovi tributi, come ad esempio lo ship money - esteso non più soltanto alle
città portuali - e combatté strenuamente il puritanesimo, applicando una pesante censura ai testi religiosi
allora in circolazione. Tentò inoltre di diffondere l'Anglicanesimo in Scozia, regione di fede calvinista,
provocando una rivolta. Carlo I si trovò costretto a convocare il Parlamento per chiedere l'approvazione di
ulteriori tasse necessarie a formare un esercito da inviare contro gli insorti. Ciò avvenne il 13 aprile 1640, ma il
5 maggio dello stesso anno, a causa delle proteste dei parlamentari, il monarca sciolse l'assemblea. Il re cercò
di liberarsi dei parlamentari che gli erano più ostili ma questi, avvertiti in tempo, riuscirono a salvarsi (anche
con l'appoggio della popolazione di Londra, sempre più insofferente all'atteggiamento di Carlo I). Scoppiò così
una guerra civile tra monarchici e parlamentari (soprannominati Roundheads - teste rotonde - dai loro
avversari perché portavano capelli piuttosto corti paragonati a quelli delle truppe del re). La guerra all'inizio
vide prevalere i monarchici, ma dopo breve tempo la situazione si capovolse. Il re, disperato, tentò di
negoziare con gli scozzesi, i quali lo arrestarono e lo vendettero ai parlamentari. Il re riuscì però a fuggire e la
guerra continuò ancora per un anno. Alla fine vinsero i parlamentari. Il leader di questi ultimi, Oliver
Cromwell, espulse dal parlamento i seguaci del re. Il parlamento condannò a morte il sovrano e fu proclamata
la repubblica inglese o Commonwealth , di cui Cromwell assunse la guida con il titolo di Lord Protettore del
Regno. Cromwell rafforzò la struttura repubblicana con due spietate campagne militari con le quali sottomise
l'Irlanda (1649) e la Scozia (1650-51). L'Atto di navigazione del 1651 sfidò invece la supremazia navale e
commerciale olandese, cui Cromwell pose fine portando a termine con successo due guerre (1654). L'Atto
riservava alle sole navi inglesi il commercio costiero e dava disposizioni perché gli scambi con le colonie e
l'Europa potessero essere effettuate solo da navi inglesi o del paese esportatore. Sul fronte interno Cromwell
tentò di dare solide basi ai mutamenti istituzionali operati dalla rivoluzione: nel 1653 fece disperdere dai
militari il Rump Parliament e lo sostituì con una nuova assemblea dalla quale si fece nominare Lord
Protettore, divenendo l'unica autorità effettiva. Negli anni successivi abolì la Chiesa anglicana di Stato
lasciando spazio a sette e confessioni religiose. La gestione dittatoriale del potere creò vasto malcontento. Alla
sua morte (1658) il figlio Richard non riuscì a tenere saldo il potere favorendo la restaurazione monarchica.
Nel 1659 il Parlamento ricostituito depose Richard Cromwell e lo costrinse all'esilio, richiamando nel 1660 il
figlio del sovrano decapitato, Carlo II Stuart, che restaurò la monarchia assoluta. Tutti questi eventi, però,
misero pesantemente in discussione, per la prima volta nel mondo occidentale moderno, il concetto di diritto
divino dei re, ponendo le basi, in Inghilterra, per l'instaurazione della monarchia costituzionale, avvenuta 29
anni dopo con la Gloriosa rivoluzione del 1689, il primo passo per la democrazia liberale britannica. La prima
preoccupazione di questa sovranità fu di concedere l'amnistia a tutti coloro che avevano commesso delitti più
o meno gravi. Come tutti gli Stuart precedenti Carlo II aveva l'obiettivo di rafforzare la monarchia a discapito
del Parlamento, obiettivo non facile visto il consolidato e crescente potere di quest'ultimo. Egli si legò allora
sempre più anima e corpo al sovrano europeo che in quel tempo spopolava per personalità e gloria, Luigi XIV,
il Re Sole. Il Parlamento cercò di tutelare l'integrità politico-religiosa del paese con il Test Act, atto in cui si
ribadiva l'inibizione, a chi non fosse di religione anglicana, alle cariche pubbliche, governative e militari; in
realtà era un atto mirato verso i cattolici e sarebbe rimasto in vigore fino al 1829. Le tensioni tra sovrano e
Parlamento vengono alimentate pure dalla possibilità della successione al trono di Giacomo II Stuart, fratello
di Carlo II, che si è addirittura convertito al cattolicesimo. Contro la successione si dichiarano i parlamentari
protestanti, detti Whig, mentre a favore della successione sono i cosiddetti Tory. Nel 1680 gli Whig avanzano
una proposta di legge per escludere Giacomo II dalla successione al trono ma la proposta viene bloccata dalla
Camera dei Lord e così Giacomo II diventa re. Salito al trono Giacomo II emana una nuova Dichiarazione di
Indulgenza che abolisce i Test Acts. Il Parlamento rifiuta la ratifica del decreto e Giacomo II lo scioglie. Questa
volta i maggiori leader sia Whig sia Tory decidono di risolvere la situazione invitando a intervenire lo
stadhouder d'Olanda, Guglielmo III d'Orange, marito di Maria Stuart. Guglielmo accetta e, a capo di un
esercito, arriva in Inghilterra nel 1688 mentre il re di Francia, Luigi XIV non manda gli aiuti promessi. Egli viene
accolto positivamente dalla popolazione e numerosi capi dell'esercito inglese disertano e passano al suo
fianco. Giacomo II allora fugge in Francia senza combattere e il Parlamento offre la corona a Guglielmo III
d'Orange che l'accetta (Gloriosa Rivoluzione perché incruenta a differenza della Sanguinosa Riv.). Nel 1689
scoppia in Irlanda un'altra rivolta antinglese. I leader della rivolta invitano Giacomo II a recarsi sull'isola per
tentare di separarla dal Regno d'Inghilterra. Giacomo II vi si reca ma con l'intenzione di riconquistare il suo
regno. Il tentativo fallisce perché anche Guglielmo d'Orange sbarca sull'isola e nel 1690 batte sul fiume Boyne
l'esercito irlandese di Giacomo Stuart. Il nuovo sovrano sottoscrisse il Bill of Rights (Dichiarazione dei Diritti)
nel quale riconosceva il carattere contrattuale del suo potere e apriva la strada alla supremazia del
Parlamento sulla corona. La successione a Guglielmo III, che non aveva eredi, fu regolata dall'Atto di
disposizione (1701); al trono venne designata Anna, la sorella di Mary Stuart, e la casa degli Hannover.

LUIGI XIV
Luigi XIV, il re sole, nacque nel 1638 da Luigi XIII e Anna d’Austria ed ereditò la corona di Francia all’età di 5
anni. Assunse il potere nel 1661 dopo la morte di Mazarino e morì nel 1715. Egli avviò un processo di
consolidamento dello stato moderno che coinvolse il governo del territorio, la politica economica, la politica
internazionale. Società e stato: essendo la Francia una delle prime realtà demografiche in Europa il governo
del territorio costituì la questione più importante per il sovrano. Dei 20 milioni di abitanti francesi, i 4/5 circa
vivevano in campagna ma la Francia era lo stato europeo più dotato di città di media grandezza. Villaggi e città
facevano parte di province territoriali unificate in uno stato-nazione ma diverse sia per usi e tradizioni che per
il peso delle istituzioni  e rappresentanze locali. La diversità era formalizzata nel riconoscimento da parte del
sovrano nella distinzione tra pais d’election e pays d’etat: i primi ricadevano sotto l’amministrazione
giudiziaria e fiscale dello stato, i secondi erano rappresentati da stati provinciali che godevano di amplissimi
poteri e potevano contrattare con la corona il carico fiscale. I ceti dominanti della società francese erano le
nobiltà, divisa tra antica e moderna. Merito di Luigi XIV e dei suoi ministri fu di aver portato a compimento il
disegno di concentrazione del potere e di ridimensionamento della potenza della antica aristocrazia. I grandi
del regno sotto Luigi XIV furono estromessi dal consiglio del re. Inoltre ridimensionò i poteri dei grandi
governatori di provincia. Mentre per quanto riguarda la nobiltà moderna Luigi incentivò attraverso il
conferimento di molti titoli la nobiltà di toga e d’ufficio. Questa nobiltà fu molto importante nel governo
francese nell’epoca di Luigi XIV. L’organizzazione dello stato con Luigi XIV Titolare del potere politico era il re e
insieme ai suoi ministri, specializzati per funzione, decideva e operava le principali scelte di governo. Questi
ministri formavano l’organismo politico più importante del regno che insieme al re decideva degli affari di
stato. C’erano poi altri consigli competenti in materia finanziaria e giudiziaria ma con Luigi fu ridimensionato il
loro potere. I ministri erano reclutati fra i maitres des requetes= magistrati che avevano ricevuto incarichi o
commissioni particolari direttamente dal re, avevano fatto parte della cancellerie presso le corti sovrane (i
parlamenti), avevano svolto funzioni, soprattutto nella fase istruttoria di affari di stato ed erano stati relatori
presso i consigli. Questi uomini, il nucleo della classe governativa francese, consentirono a Luigi di ridurre i
parlamenti alla semplice funzione di registrazione automatica degli editti. Nel rapporto tra centro e periferia la
figura dell’intendente provinciale fu lo strumento più efficace di governo per la periferia. Egli svolgeva funzioni
di natura giurisdizionale, amministrativa e finanziaria. Queste cariche erano assegnate ai fedelissimi del re, i
maitres des requetes. La centralizzazione dello stato e le sue pubbliche istituzioni persino in un’epoca in cui
Luigi affermava “lo stato sono io “, dovevano fare i conti con la diversità e le differenze territoriali di norme  e
pratiche giuridiche, con la molteplicità di ceti o corpi e giurisdizioni con situazioni e condizioni non omogenee
di fronte ad articolazioni del potere pubblico come il fisco. Ogni parlamento, ogni corte sovrana, era padrone
della propria giurisprudenza e sia in materia civile che penale fissava le norme da applicare. Gli interessi dei
parlamenti si scontravano con il progetto monarchico di riformare l’ordinamento giudiziario. Inoltre di fronte
al fisco c’erano situazioni differenti: nei pays d’etat l’autonomia in materia fiscale era assai ampia: ripartizione
e riscossione erano affidati a organismi dipendenti dagli stati provinciali. Questi erano i limiti dell’assolutismo.
Per quanto riguarda la politica religiosa, Luigi voleva bloccare correnti e movimenti religiosi non aderenti
all’ortodossia cattolica; arginare la diffusione dell’eresia protestante; ma anche rafforzare le prerogative statali
nei confronti della chiesa di Roma. Verso la metà del XVII secolo ci fu una larga diffusione delle idee di Cornelis
Jansen, un vesovo delle fiandre influenzato da Sant’Agostino. Le idee di Giansennio erano quelle di una
morale rigorosissima e dell’interiorità dell’individuo come fondamento della religione cristiana. I cenacoli del
movimento giansenista furono i due monasteri di Port Royal. Dopo la condanna papale di alcune proposizioni
di Giansenio, nel 1664 Luigi XIV ordinò la chiusura di Port Royal. L’atteggiamento della monarchia nei
confronti del movimento giansenista fu condizionato dal rapporto tra Luigi e la chiesa di Roma. Il movimento
giansenista fu tollerato negli anni 70, nel periodo in cui il conflitto tra Luigi e il papato per il controllo di cariche
e benefici ecclesiastici francesi consigliava al sovrano di conservarsi alleata una corrente religiosa in polemica
con Roma. Ma negli anni 80 la politica religiosa di Luigi cambiò in senso sempre più autoritario.  Il pericolo era
costituito dalla presenza consistente di protestante. Nel 1685 Luigi sostituì l’editto di Nantes con l’editto di
Fontaine bleau e obbligò tutti i francesi a osservare e praticare la religione cattolica. Molti ugonotti scelsero la
via dell’esilio e fu una perdita anche economica. Anche il movimento giansenista subì una dura repressione
all’inizio del 700 però le idee gianseniste si diffusero anche tra i togati, medio basso clero e contribuivano a
rafforzare il sentimento di autonomia da Roma (gallicanesimo). La forza dello stato moderno era direttamente
proporzionale alla capacità di governare l’ economia del paese, che nell’ancien regime significava riportare in
attivo le finanze statali. Fu questo l’obbiettivo che si pose il ministro di Luigi XIV, Colbert, responsabile delle
finanze della politica interna tra il  1660 e il 1680. Gli interventi di politica economica promossi da Colbert
andarono nella direzione del mercantilismo (politica economica di quasi tutti gli stati tra XVII e XVIII secolo che
identificarono la ricchezza nazionale con la quantità di metalli preziosi disponibile e si posero l’obbiettivo di
incrementarla attraverso il contenimento delle importazioni e l’aumento delle esportazioni). Per quanto
riguarda l’industria, Colbert impegnò cospicui capitali statali per promuovere nuove imprese manifatturiere,
soprattutto prodotti di lusso. Il privilegiare il settore manifatturiero andava a svantaggio di quello agricolo. Per
quanto riguarda il commercio con l’estero Colbert formò 5 compagnie commerciali sul modello olandese
inglese alimentate dai capitali statali. Il loro sviluppo fu collegato a una vasta politica coloniale verso Canada e
Senegal. Per quanto riguarda il settore fiscale, legato al mercantilismo era il protezionismo: la realizzazione di
una grande riserva di metalli preziosi nelle casse dello stato doveva ottenersi grazie ad alti dazi doganali sulle
merci importate e incentivi e incoraggiamenti alle esportazioni. Anche il commercio interno fu appoggiato con
ogni mezzo. Alla fine del ventennio colbertiano il bilancio di questa politica presentava luci e ombre. Grazie
all’aumento delle esportazioni la disponibilità finanziaria dello stato etra aumentata ma nell’arco di pochi anni
sia la sfavorevole congiuntura economica sia la politica bellicista di Luigi XIV avrebbero esaurito le risorse
accumulate da Colbert. Il primo impegno bellico di Luigi fu la guerra di devoluzione. In alcuni domini della
corona spagnola vigeva la legge salica che escludeva dalla successione al trono le femmine. Ma in altri territori
degli asburgo di Spagna era possibile la successione per linea femminile. Alla morte di Filippo IV (1665), Luigi,
che ne aveva sposato la figlia Maria Teresa, rivendicò una parte dei domini spagnoli. Occupò i paesi bassi
meridionali e la franca contea. Con la pace di AquisGrana (1668) furono riconosciute alla Francia le conquiste
territoriali nei paesi bassi spagnoli ma le fu imposta la restituzione della franca contea. 
Partita da un conflitto di natura commerciale la seconda guerra di Luigi XIV, contro l’Olanda portò vantaggi
territoriali alla Francia ma evidenziò anche la pericolosità della sua spinta egemonica inducendo i più
importanti stati europei ad allearsi contro di essi. L’Olanda, antagonista economica della Francia, era il
bersaglio della politica protezionistica di Colbert ma le province unite non avevano accettato la guerra delle
tariffe imposta dalla Francia e avevano reagito bloccandone le esportazioni. Luigi XIV si alleò contro l’Olanda
con l’Inghilterra di Carlo II e la Svezia. La guerra scoppiò nel 1672 ma non fu semplice per le truppe franco
inglesi piegare la resistenza dello Statolder Guglielmo III d’Orange. Nel 1674 entravano in guerra contro la
Francia l’impero e la Spagna. Le truppe brandeburghesi sconfiggevano nel 1675 quelle svedesi; nel 1677 il
matrimonio tra Guglielmo III e la figlia di Giacomo II segnava il riavvicinamento anglolandese. Così Luigi
firmò la pace a Nimega (1678) guadagnando la franca contea. Vi fu poi la guerra della lega di Augusta (1686-
97). Una coalizione formata da Spagna, Inghilterra, Olanda, Svezia, Austria e altri stati minori combattè contro
l’occupazione francese di alcuni territori situati nella valle del Reno. Il conflitto si concluse nel 1697 con la
pace di Ryswzck (risvich): la Francia fu costretta a restituire tutto tranne la città di Strasburgo.
GUERRA DI SUCCESSIONE SPAGNOLA 1702 - 14
La morte senza eredi di Carlo II di Spagna nel 1700 rendeva incerta la titolarità dei possessi degli Asburgo di
Spagna. I pretendenti al trono erano: Luigi XIV, marito di un’infante di Spagna che formalmente aveva
rinunciato a ogni diritto di successione al trono dei re cattolici per se e per i suoi discendenti; l’imperatore
Leopoldo I d’Asburgo che aveva spostato la sorella di Carlo II, Margherita; Vittorio Amedeo II di Savoia, figlio di
una principessa spagnola. Ma alla lettura del testamento di Carlo II si scoprì che era designato erede
universale Filippo d’Angiò, nipote di Luigi XIV che avrebbe assunto il nome di Filippo V. una clausola del
testamento vietava a Filippo di unire la corona di Spagna con quella di Francia. Il rischio che potesse costituirsi
in Europa un’egemonia franco spagnola era concreto. Cadevano gli accordi stipulati da Francia e Austria fin dal
1668. L’Europa era posta davanti a una minaccia che poteva trasformarsi in realtà: i borboni regnanti di qua e
di là dei Pirenei; Luigi XIV quasi monarca universale. A prendere l’iniziativa per la formazione dello
schieramento antifrancese fu l’Inghilterra, preoccupata che la Francia potesse impadronirsi del ricco mercato
delle indie spagnole. Tra il 1701-2 si siglarono 2 patti: il primo tra Ighilterra e Olanda e il secondo tra
Inghilterra e Austria. Nella coalizione anglo-austro-olandese entrarono anche il Palatinato, l’Hannover e la
Prussia. Sul fronte opposto Luigi XIV riusci a far aderire al blocco franco-spagnolo il duca di Savoia, il re del
Portogallo, gli elettori di Colonia e Baviera. Un conflitto di vaste proporzioni scoppiò il 16 maggio del 1702.
Nella prima fase della guerra fu evidente la superiorità terrestre della Francia ma la superiorità della flotta
anglo-olandese, la difficoltà della Francia a tener testa agli eserciti nemici, sui molti fronti di guerra, la
defezione del Portogallo e del Piemonte Sabaudo dal blocco franco spagnolo (1703) impressero una svolta
decisiva alle sorti della guerra. I destini del sistema, del suo equilibrio, si giocavano sul Reno, nell’Europa
centrale, nel Belgio ma anche in Italia. Qui Vittorio Amedeo II di Savoia capì che il suo stato, stretto tra i
Borbone di Parigi al di la delle Alpi e i Borbone di Spagna nella Lombardia, avrebbe avuto una vita precaria e
operò il voltafaccia nel 1703 passando al blocco antifrancese. Nella battaglia di Torino (1706) i francesi
furono costretti ad abbandonare il Piemonte e ad oltrepassare le Alpi: merito di Vittorio Amedeo II e di suo
cugino Eugenio di Savoia comandante delle truppe austriache che occupava anche Mantova e Milano.
Gli austriaci riportavano i successi militari più importanti. Nel 1706 l’arciduca Carlo d’Asburgo figlio
dell’imperatore Leopoldo entrava a Madrid ma ne era ricacciato. Nel 1707 le truppe austriache entravano a
Napoli: finiva dopo oltre 2 secoli la dominazione spagnola nel regno di Napoli. Gli austriaci vi sarebbero
rimasti sino al 1734. Tra il 1708 e il 1709 inglesi e austriaci sconfiggevano i francesi nel Belgio. il regno di
Luigi XIV era attraversato dal malcontento: una terribile carestia; l’aumento del prelievo fiscale; sommosse e
rivolte nelle campagne; opposizione dei ceti mercantili alla politica concertista; opposizione di vasti gruppi alla
politica bellicista di Luigi XIV. A salvare il paese furono il prestigio del re e dell’istituzione monarchica che
mobilitò i sudditi per difendere l’indipendenza francese e la morte nel 1711 dell’imperatore Giuseppe I
d’Asburgo. Il fratello Carlo saliva sul trono con il nome di Carlo VI. Iniziarono le trattative di pace che si
conclusero a Utrecht nel 1713 e Rastadt (1714). La vera vincitrice del conflitto fu l’Inghilterra. Conquistò
possedimenti nell’America settentrionale a spese della Francia e nel Mediterraneo a spese della Spagna,
Gibilterra e Minorca. Filippo V fu riconosciuto re di Spagna ma dovette rinunciare a rivendicare diritti sul trono
francese. La Francia oltre a perdere a favore dell’Inghilterra territori nell’America del nord e a limitare le sue
prospettive di espansione commerciale nel nuovo mondo, rinunciò ogni pretesa sulla Spagna. All’Austria fu
attribuito il Belgio spagnolo. Cambiò la geografia politica dell’Italia: il regno di Napoli, il ducato di Milano, la
Sardegna e lo stato dei Presidi passarono dalla Spagna all’Austria. Vittorio Amedeo II di Savoia ottenne
ingrandimenti territoriali in Piemonte e in Regno di Sicilia. L’elettore del Brandeburgo Federico venne
riconosciuto re di Prussia e ottenne ingrandimenti territoriali nella renana. Alla fine della guerra di successione
spagnola furono poste le premesse per un nuovo equilibrio italiano: Austria e Piemonte sabaudo ne divennero
i soggetti principali. Si applicò il metodo delle barriere: stati cuscinetto come il Belgio, tra Francia e Olanda e lo
stato Sabaudo tra Francia e Austria avrebbero dovuto prevenire eventuali conflitti ma gli interessi delle
potenze non erano stati affatto soddisfatti. I perdenti, Francia e Spagna avevano motivi di conflittualità tra di
loro che presto si sarebbero trasformati in aperta ostilità. La Spagna avrebbe cercato di recuperare i domini
perduti in Italia a spese dell’Austria. All’Austria era sfuggito il regno di Sicilia.
Quando? XVIII sec., 1701-1714
Dove? Spagna
Chi? Filippo d'Angiò sostenuto dal sovrano francese
Carlo d'Asburgo,sostenuto da Inghilterra,Austria,Province Unite,Brandeburgo-Prussia,Ducato di Savoia
Causa? nel 1700 morì Carlo II,Asburgo di Spagna,non aveva figli e quindi nessun erede
Conclusione? tra il 1713-1714 si giunge a un compromesso per cui i possedimenti spagnoli furono suddivisi
Compromesso: Spagna e colonia andarono a Filippo d'Angiò che venne proclamato re
Paesi Bassi spagnoli,ducato di Milano,Regno di Napoli e Sardegna andarono a Carlo d'Asburgo che divenne
imperatore
l'elettore del Brandeburgo-Prussia divenne re di Prussia

GLI STATI DELL’EUROPA NORD-ORIENTALE ALLA FINE DEL


Negli anni successivi alla guerra di successione spagnola, la dinastia asburgica ottenne successi anche sul
fronte dei Balcani. Gia con la pace di Carlowitz 1699, l’Austria aveva sottratto territori agli ottomani. Con la
pace di Passarowitz (1717) riuscì a conquistare la Serbia e parte della Valacchia. La Svezia, dopo la pace di
Oliva (1660), concludendo vittoriosamente la prima guerra del nord, aveva conquistato l’egemonia nel baltico.
Due dei suoi antagonisti, Polonia e Danimarca erano deboli, il terzo, la Russia, stava gettando le fondamenta
del suo consolidamento politico. La seconda guerra del nord, combattuta da Polonia, Danimarca e Russia
contro la Svezia di Carlo XII si concludeva nel 1721 con la pace di Nystadt con cui la Svezia perdeva il ruolo di
grande potenza e la Russia di Pietro il grande affermava la sua egemonia sul baltico
L’ASCESA DELLA RUSSIA: in Russia nasceva l’ultima e più duratura forma di assolutismo europeo con Pietro I il
grande (1682-1725) della dinastia dei Romanov. Egli seppe smuovere lo stato di arretratezza del suo paese e
creare condizioni tali d’assicurare l’indipendenza nazionale, lo sviluppo economico e culturale, la capacità
difensiva. Durante il primo quarto del XVIII secolo ci fu un notevole progresso della produzione industriale e
anche della piccola produzione mercantile. Pietro favorì la formazione di una nobiltà di servizio e la piccola
nobiltà come classe di governo si consolidò nel sistema della monarchia assoluta russa. La Duma, l’organismo
rappresentativo dei boiari, gli aristocratici russi, fu sostituita dal senato, formato da 9 membri designati
direttamente dallo zar e delegati all’amministrazione della periferia.  Inoltre organizzò un esercito regolare e
un efficiente marina militare e la chiesa divenne un’istituzione sottoposta al monarca. In politica estera Pietro
il grande perseguiva la sicurezza dei confini e l’indipendenza nazionale ma anche l’egemonia nel baltico. Nel
1703 fondò Sanpietroburgo la quale comunicava direttamente con il golfo di Finlandia e quindi con il baltico e
qui nel 1715 lo zar trasferì la capitale. Con la pace di Nystadt, Livonia, Estonia, Ingria, parte della Careglia
erano territori russi. 
LA PRUSSIA: durante la guerra di successione spagnola emerse come nuova potenza. Federico I di
Brandeburgo ne assunse il titolo di re nel 1701. Egli raccolse l’eredità del padre Federico Guglielmo e riunì
tutti i territori della famiglia Hohenzollen in una formazione centralizzata anche se geograficamente non
compatta. I domini degli Hohenzollen che formavano lo stato prussiano dovevano coesistere con territori
imperiali, svedesi e polacchi annessi alla corona. Le linee direttrici di Federico I furono: politica protezionistica,
sviluppo dell’industria e dell’attività urbana, apertura delle frontiere ai protestanti stranieri. Inoltre l’esercito
diventò un’affidata corporazione strettamente monarchica. Il successore di Federico I, Federico Guglielmo I
(1713-40) continuò su questa strada, preoccupandosi soprattutto del numero e dell’addestramento dei suoi
soldati. Federico Guglielmo I fu chiamato il re sergente e il suo stato l’universale caserma prussiana. Il
dispotismo degli Hohenzollen bloccò lo sviluppo di istituzioni rappresentative moderne e a differenza di altri
stati della Germania distrusse la forza politica dei ceti. Ma mostrò anche alcuni tratti di indubbia modernità: le
tasse non erano appaltate e l’efficacia del prelievo statale fu senz’altro superiore a quella di altri stati europei
contemporanei. 
INGHILTERRA, FRANCIA E SPAGNA AGLI INIZI DEL 1700
Dalla guerra della lega di Augusta alla guerra di successione polacca le potenze dell’Europa occidentale,
Inghilterra, Francia e Spagna furono alle prese con problemi simili e con un passaggio storico delicato da
vecchi a nuovi equilibri sociali e politici e economici.  
Inghilterra: nel 1701 con l’act of settlement, il parlamento inglese aveva regolato la successione alla morte di
GuglielmoIII: per evitare che un discendente di Giacomo II Stuart salisse al trono e restaurasse il cattolicesimo
in Inghilterra, l’atto escludeva dalla successione i suoi eredi maschi e ammetteva le femmine. Così dopo la
morte di  Guglielmo III (1702), sul trono inglese salì la seconda figlia di Giacomo II, Anna di Danimarca (1702-
14) che unificò Scozia e Inghilterra nel regno unito di Gran Bretagna. Alla morte senza eredi di Anna, il
parlamento attribuì la corona a un discendente di Giacomo I Stuart per parte di madre, Giorgio I della
dinastia tedesca di Hannover (1714-27). 
Ci fu uno sviluppo del modello politici parlamentare e proprio nei primi anni del regno di Giorgio I fu ancor più
evidente il nesso tra politica interna ed estera. Il potere dei wighs nel parlamento, influenzò molto la politica
estera di Guglielmo III e di Anna. I Wighs volevano far giocare all’Inghilterra un ruolo di primo piano sulla
scena mondiale e furono essi stessi a sostenere nel parlamento gli interessi della monarchia contro le
rivendicazioni dinastiche degli Stuart. Appoggiarono Giorgio I nell’alleanza anglo-franco-olandese stipulata
tra il 1716 e il 1717 dettata da preoccupazioni dinastiche: quelle di Filippo D’Orleans, reggente di Francia dopo
la morte di Luigi XIV, teso a bloccar le aspirazioni di Filippo V di Spagna alla corona francese; quelle di Giorgio I
contro le rivendicazioni dinastiche degli Stuart. Fu il leader dei Whigs, Walpole, a reggere per un ventennio dal
1721 la carica i primo lord della tesoreria, e cancelliere dello scacchiere, una sorte di ministro dell’economia.
La sua politica fu fondata su 3 capisaldi: una politica estera non aggressiva, una politica economica
mercantilista, e sul consiglio di gabinetto un consiglio dei ministri responsabile di fronte al parlamento. Con la
successione al trono di Giorgio II le linee fondamentali di questa politica non mutarono.
Ma l’opposizione Tory coinvolse parte della corte, dell’opinione pubblica e della stampa nell’attacco alla
politica estera pacifista di Walpole che così dichiarò guerra alla Spagna e partecipò alla guerra di successione
austriaca. Queste scelte furono dettate anche dalla preoccupazione di salvaguardare lo sviluppo commerciale
inglese. 
La Francia: la Francia degli ultimi anni del re sole pagava i costi di una politica che l’aveva condotta a diventare
tra il 1648 e il 1688 la prima potenza europea. Tra la fine del 600 e la guerra di successione spagnola la crisi
economica interna e la concorrenza politica internazionale imponevano allo stato l’adozione di misure fiscali
ancora più rigide e un ulteriore inasprimento del controllo sociale. Era inevitabile che alla morte di Luigi XIV
(1715) riprendessero i contrasti politici e sociali che avevano segnato l’affermazione dello stato moderno in
Francia e che la maturazione dell’assolutismo di luigi XIV aveva contributo a sopire. Essendo minorenne
l’erede di  Luigi XIV, tra il 1715 e il 1723 tenne la reggenza del trono Filippo d’Orleans, nipote del re sole.  La
nobiltà di sangue riconquistò il potere e il parlamento di Parigi, formato da alta nobiltà e alto clero, riottenne il
diritto di rimostranza e di registrazione, il potere cioè di bloccare le decisioni del re. Si riacutizzava il contrasto
tra nobiltà di spada e nobiltà di toga. Nel 1716 veniva chiamato a riorganizzare le finanze di Francia il
banchiere scozzese John Law, che creò una banca nazionale e affrontò la questione del debito pubblico con
l’istituzione della compagnia d’occidente. La pressione speculativa sulle azioni della compagnia fece salire alle
stelle i titoli ma si trattava di un valore nominale, non fondato su una crescita reale dell’economia nazionale.
Così le azioni crollarono e furono travolte anche altre compagnie e il sistema del credito statale fu
compromesso. Solo con il nuovo ministro, il cardinale Fleury, la Francia si riprese gradualmente, con una
politica di bilancio più rigorosa, la limitazione degli impegni in politica estera e l’intensificazione del
commercio con l’estero. 
La Spagna: sotto Filippo V (1700-46) la Spagna dopo aver perso i domini europei si orientò verso la
costruzione di un’identità politica nazionale. La riconversione da impero a nazione non significò però un
ripiegamento pacifico entro i limiti attribuiti alla potenza iberica dal trattato di Utrecht. La seconda moglie di
Filippo V, Elisabetta Farnese spinse il sovrano verso una politica di riconquista del predominio in Italia. Il
progetto era duplice: assicurare al figlio di Elisabetta, Don Carlos, l’eredità dei Farnese, il ducato di Parma e
Piacenza, e riprendere una parte dei territori italiani passati a Carlo II d’Asburgo. Così nel 1718 le truppe
spagnole invasero la Sicilia ma la quadruplice alleanza (Inghilterra, Francia, Olanda e Impero) bloccò la
Spagna, costringendola a rinunciare alla riconquista e impose a Vittorio Amedeo II di Savoia (trattato di
Londra 1718) di consegnare la Sicilia agli Asburgo in cambio della Sardegna. Dopo il 1720 la politica interna
spagnola fu orientata in senso riformatore con provvedimenti di natura protezionistica per sviluppare le
manifatture e con una ristrutturazione dell’amministrazione.

L’ITALIA E AL GUERRA DI SUCCESSIONE POLACCA 1733-38


L’Italia fu teatro di spartizioni tra Spagna e Austria negli anni 1720-33, arbitro l’Inghilterra; quindi campo di
intervento ancora più ampio con il coinvolgimento della Francia e dei Savoia durante la guerra di successione
polacca.  In Austria, l’imperatore Carlo VI d’Asburgo aveva cercato di valorizzare gli sbocchi marittimi dei suoi
domini. Carlo IV non aveva eredi maschi, doveva quindi prevenire una crisi dinastica. Così nel 1713 fece
approvare la prammatica sanzione che aboliva nei domini asburgici la legge Salica (il divieto per le donne di
poter occupare il trono) e preparava la strada alla successione di sua figlia Maria Teresa, ma la prammatica
sanzione doveva essere accettata anche dalle altre potenze per essere efficace. L’Austria deve ottenere il
riconoscimento di questa da parte dell’Inghilterra. L’Inghilterra deve bloccare l’espansione commerciale
asburgica e creare un contrappeso alla penetrazione asburgica in Italia. Nel 1731 l’Austria ebbe dall’Inghilterra
il bene placito alla successione di Maria Teresa e in cambio smantellò le compagnie commerciali di Ostenda.
La Spagna, arbitro in Inghilterra, si garantì la successione di Don Carlos a Parma e Piacenza. Sia a Napoli che
nella Lombardia, passata all’Austria con la pace di Utrecht, gli Asburgo promossero una serie di riforme. Sia al
nord che al sud gli austriaci non ebbero però il consenso sociale necessario per realizzare idee e progetti di
riforma.  In Piemonte Vittorio Amedeo II, asceso al trono nel 1713, lasciò tracce consistenti. Insieme al suo
successore Carlo Emanuele III il sovrano cercò di applicare ai suoi territori il modello dello stato assolutistico
realizzato dalla Francia di Luigi XIV. L’altra parte dell’Italia era quella delle repubbliche oligarchiche di venezia,
Genova e Lucca, dominate dai loro patriziati; quella della toscana dove nel 1737 sarebbe morto l’ultimo dei
Medici; quella dei piccoli ducati come Parma e Piacenza, la corte degli Estensi a Modena e la corte pontificia.
Nel 1733 l’Italia diventò teatro della guerra di successione polacca (1733-38). Motivi dell’apertura dell’ostilità
furono la morte di Augusto II di Sassonia, re di Polonia e la contrapposizione di 2 candidature alla sua
successione, quella di Stanislao Leszczynski  (lecinschi), la cui figlia era stata sposata da Luigi XV, e quella di
federico Augusto III di Sassonia. La prima candidatura fu sostenuta dalla Francia e dai polacchi; la seconda da
Austria e Russia. Lo zar Pietro il grande penetrò in territorio polacco e insediò  sul trono Federico Augusto di
Sassonia. Nella prima fase il conflitto si svolse secondo lo schema Asburgo contro Borbone, uniti con i due
rami di Spagna e Francia in un patto di famiglia. Con i Borboni si alleò Carlo Emanuele III di Savoia. Oggetto
delle mire fu l’Italia: la Spagna sperava di poter riprender Napoli e la Sicilia e di stabilire il dominio su Parma e
sulla Toscana; a Carlo Emanuele III venne promesso il milanese. Ma il blocco borbonico si inclinò presto. Carlo
Emanuele temeva l’insediamento di una dinastia borbonica nell’Italia meridionale. Al primo ministro francese
Fleurì premeva consolidare i confini sul Reno, all’Austria interessava ottenere il consenso della Francia alla
prammatica sanzione. Nel 1735 cominciarono trattative segrete tra Francia e Austria. Carlo VI stipulò la pace
di Vienna nel 1738 secondo la quale:
1. Federico Augusto III era riconosciuto re di Polonia
2. a Lechinschi era attribuita la Lorena che però sarebbe passata alla Francia dopo la sua morte
3. A Carlo di Borbone, figlio di Filippo V di Spagna erano attribuiti i regni di Napoli e Sicilia che diventavano così
autonomi; l’Austria perdeva questi domini ma manteneva la Lombardia e guadagnava il gran ducato di
Toscana assegnato a Francesco di Lorena, marito di Maria Teresa d’Austria. Carlo Emanuele III acquistava il
bavarese, Tortona e le Langhe. 
4. Gli Asburgo vedevano riconosciuta dalla Francia la prammatica sanzione.
LA GUERRA DI SUCCESSIONE AUSTRIACA 1740-48
Dopo la morte di Carlo VI nel 1740, l’equilibrio stabilito dalla pace di Vienna fu rotto dal re di Prussia Federico
II che occupò la Slesia austriaca. La Francia di Luigi XV si alleò con Federico II, insieme a Filippo v di Spagna e
suo figlio Carlo III re di Napoli. L’Inghilterra giocò dapprima sul tavolo diplomatico promuovendo una
mediazione tra Austria e Prussia: questa ottenne dall’Austria gran parte della Slesia. Ma l’Inghilterra doveva
pensare al commercio d’oltremare: da questo punto di vista i suo antagonisti erano Francia e Spagna. Francia
e Inghilterra entrarono in conflitto. Nel 1743 la coalizione Franco-spagnola combatteva contro la coalizione
Austro- inglese della quale entrò a far parte anche Carlo Emanuele III: Maria Teresa gli aveva promesso
ingrandimenti territoriali verso il Ticino. In Italia gli austriaci tentarono di attaccare il regno di Napoli ma
furono sconfitti dalle truppe di Carlo III di Borbone. Dopo alcune vittorie della coalizione franco-spagnola,
furono gli eserciti austropiemontesi a prevalere e le truppe piemontesi fermarono l’invasione francese. La
guerra fu combattuta anche in Germania: Federico II aveva ripreso le ostilità contro Maria Teresa e alla fine la
Slesia fu restituita all’Austria. La pace fu firmata nel 1748 ad Aquisgrana. Secondo le clausole:
1. Era ricostituito l’assetto coloniale atlantico dell’anteguerra
2. Maria Teresa fu riconosciuta imperatrice d’Austria e al marito Francesco di Lorena fu attribuito il titolo
imperiale (iniziava la nuova dinastia degli Asburgo-lorena)
3. Furono riconosciuti i nuovi confini della Prussia con l’annessione della Slesia
L’assetto politico territoriale italiano era così stabilito:
- Il regno di Sardegna, comprendente la Sardegna, la Savoia, Nizza e il Piemonte ai Savoia
- Ducato di Milano, sotto il dominio degli Asburgo
- Repubblica di Venezia e genova indipendente
- Ducato di Parma, Piacenza a Filippo di Borbone-Farnese, fratello di Carlo III, re di Napoli
- Gran ducato di Toscana alla dinastia dei lorena
- Stato pontificio
- Regno di Napoli e di Sicilia, indipendente sotto il governo di un ramo dei Borbone di Spagna

Questo assetto italiano rimase immutato sino all’ascesa di Napoleone.

ILLUMINISMO
L'illuminismo fu un movimento culturale e filosofico sviluppatosi approssimativamente nel secolo
XVIII in Europa. Il termine illuminismo è passato a significare genericamente ogni forma di pensiero che voglia
"illuminare" la mente degli uomini, ottenebrata dall'ignoranza e dalla superstizione, servendosi
della critica della ragione e dell'apporto della scienza. L'età dei lumi: con questa espressione, che mette in
evidenza l'originalità e la caratteristica di rottura consapevole nei confronti del passato, si diffuse in Europa il
nuovo movimento di pensiero degli illuministi francesi che in effetti affondava le sue radici nella
cultura inglese. Voltaire, Montesquieu, Fontanelle riconoscevano infatti di essersi ispirati a quella filosofia
inglese fondata sulla ragione empirica e sulla conoscenza scientifica, elementi essenziali del pensiero
di Locke e di Newton e David Hume che risalivano a loro volta a quello di Francesco Bacone. Se l'illuminismo
assunse prevalentemente un'impronta francese questo si deve alle particolari condizioni storiche della Francia
del XVIII secolo. Lo sviluppo della borghesia durante il regno di Luigi XIV è assicurato dall'assolutismo
monarchico ed è fondato sulla distinzione tra l'uomo privato e quello pubblico. Il suddito potrà fare i suoi
affari ed esprimere una certa libertà di pensiero ma questa non dovrà mai entrare in conflitto con l'autorità
del sovrano. Alla borghesia evoluta, alla fronda nobiliare e al movimento ugonotto, che continuano
nascostamente ad esercitare la loro critica, si aggiungono i nuovi finanzieri, creditori dello stato ma privi di
potere politico che esprimono il loro dissenso nelle società segrete come quella della Massoneria. Quanto più
repressa sarà la loro contestazione politica tanto più diverrà appariscente evidenziando così l'illuminismo
francese che, rispetto a quello inglese, meno condizionato dal potere politico, diverrà il rappresentante
dell'illuminismo in generale. Emblema dell'illuminismo francese, assieme al pensiero di Voltaire, sarà la
grandiosa opera dell'Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri che in 35
volumi, pubblicati dal 1751 al 1780, da un consistente gruppo di intellettuali sotto la direzione
di Diderot e D'Alembert, diffonderà i principi illuministici non solo in Francia ma, attraverso numerose
traduzioni, in tutta Europa. L'opera si presenta come arditamente innovativa rispetto ai vecchi dizionari
enciclopedici: essa vuole essere «un quadro generale degli sforzi dello spirito umano in tutti i generi e in tutti i
secoli.» Oltre ad essere un'opera di informazione, l'Enciclopedia era quindi anche un'opera di propaganda,
tramite la quale i suoi autori si proponevano di convincere il vasto pubblico della validità delle idee illuministe.
Attraverso l'esame critico della storia, l'illuminista può riconoscere la continuità dell'opera della ragione e
denunciare gli errori e le contraffazioni con cui erano state tramandate sino ad allora le vicende umane allo
scopo di mantenere gli uomini nella superstizione e nell'ignoranza. Da questa visione della storia dove prevale
la ragione naturale universale ed eterna emergono i temi politici della tolleranza, uguaglianza e libertà intesi
come valori politici naturali ed universali. Ma l'uguaglianza per gli illuministi non comporta uguaglianza sociale
o politica: l'essenziale è che il sovrano rispetti i diritti naturali: è trascurabile che egli sia un sovrano assoluto. È
vero che ogni uomo per natura è uguale agli altri ma questo non comporta la parità tra i cittadini. Tipico del
pensiero illuminista è il rifiuto di ogni religione rivelata e in particolare del Cristianesimo, ritenuto origine degli
errori e della superstizione. Da qui la scelta del deismo come religione naturale e l'identificazione della
religione con la morale. Non considerando le posizioni materialistiche ed atee, come quelle dell'ultima fase del
pensiero di Diderot, il deismo si ritrova nella maggior parte dei pensatori illuministi i quali, attraverso
argomentazioni scientifiche, cercano di dimostrare l'esistenza di un Dio all'origine dell'universo. La
meravigliosa macchina del cosmo fa infatti pensare che debba esserci come causa efficiente, non causa finale,
un "eterno geometra".Il secolo dei lumi vide l’uso spregiudicato della ragione applicata a tutti i campi.
Possimao riconoscerne 4 fasi: Presupposti e fondamento delle idee guida di questa rivoluzione intellettuale
furono costituti tra il tardo 600 e gli anni 30 del 700. Fu questa l’epoca della crisi della coscienza europea, l’età
del preilluminismo. Tra gli anni 30 e 50 del 700 ci fu il periodo di formazione della più importante iniziativa
editoriale degli illuministi, l’enciclopedia. Dall’attenzione concentrata sui problemi religiosi e morali dell’uomo
si passò al primato delle questioni politiche e sociali Tra gli anni 60 e 70 ci fu l’economia al primo posto e
l’esperienza di governo illuminato di alcuni sovrani assolutisti Nel 20ennio precedente alla rivoluzione
francese la crisi dell’antico regime e l’ansia di un mondo nuovo si espressero nelle forme più diverse, nella
vivacità di proposte riformatrici come nell’aspirazione utopica alla libertà e all’uguaglianza. La prima idea
guida del dibattito illuministico fu il nesso religione-libertà-tolleranza e il tema fu affrontato per la prima volta
dall’olandese Spinoza. In Olanda visse per alcuni anni un altro dei padri fondatori del moderno principio della
tollerazna: Bayle, il quale prospettò la possibilità di una società laica che poteva fare a meno della religione. Ci
furono poi le correnti del deismo (l’affermazione dell’esistenza di Dio entro una religione naturale non
rivelata) e dell’ateismo.  Deista fu Voltaire mentre fra gli atei ci fu Diderot, che insieme a d’Alembert fu autore
dell’enciclopedia. L’illuminismo fu una cultura universale, cosmopolita, ma anche fortemente connotata nelle
diverse aree europee e Parigi fu al centro del movimento.
Montesquieu: Nel 1748 fu pubblicato “lo spirito delle leggi”, il suo capolavoro. Egli riflette sull’Inghilterra, in
particolare sulla sua costituzione: questa si regge sulla separazione dei poteri, in quanto il re detiene il potere
esecutivo; le camere detengono il potere legislativo. Questi poteri sono distinti, ma cooperanti tra di loro, il
potere giudiziario interprete delle leggi. Dall’analisi della costituzione inglese emerge l’ideale della libertà
politica per Montesquieu: essa consta non solo della separazione tra i 3 poteri dello stato ma anche
dell’equilibrio tra stato e società, fra una monarchia forte e ceti, ordini sociali, corpi intermedi, garanzia di una
costituzione moderata dallo spirito delle leggi. Una massima fondamentale dello spirito delle leggi è “il potere
freni il potere”. la porta è aperta su 2 grandi modelli costituzionali: la monarchia inglese e la repubblica
presidenziale degli USA, che realizzerà attraverso il contrappeso del federalismo e dei suoi poteri il bisogno di
corpi intermedi teorizzato da Montesquieu. 
Rousseau, il padre della democrazia: Rousseau, la cui opera principale è il contratto sociale del 1762 parla del
contratto sociale il quale fonda la società civile. Con il patto si passa dallo stato di natura allo stato civile e per
rousseau lo stato di natura è uno stato felice. Sono state le prime istituzioni umane, la proprietà privata, la
divisione di funzioni economiche e sociali, che hanno favorito l’origine della disuguaglianza. Per Rousseau si
può conciliare la necessità dell’associazione con la libertà e la felicità di cui gode l’individuo nello stato di
natura solo se i diritti individuali vengono totalmente alienati a favore della comunità che costituisce la base
della società.
Adam Smith: La sua opera del 1776, “indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni” è il testo
base della scienza economica moderna. Smith ha come riferimento base la società inglese del suo tempo che
sta vivendo, in anticipo verso gli altri paesi europei, la rivoluzione industriale. Da un lato ci sono la proprietà
fondiaria e il capitale, dall’altro la forza produttiva del lavoro, ormai trasformato in lavoro salariato. Il
lavoratore non gode più dell’intero prodotto del suo lavoro ma ne è stato espropriato. Per Smith il valore dio
scambio delle merci è basato sulla quantità di lavoro o sul tempo di lavoro in essa incorporato. La teoria dei
prezzi tiene conto delle 3 classi naturali: nella determinazione del prezzo entrano il salario dei lavoratori, il
profitto, cioè la quantità addizionale di lavoro vivo per remunerare il capitale investito dagli imprenditori, la
rendita fondiaria, che è la parte di ciò che è raccolto o prodotto dal contadino lasciata al proprietario della
terra. Profitto e rendita formano il plusvalore, l’eccedenza del lavoro fornito e realizzato nella merce sul lavoro
pagato, sul lavoro che ha ottenuto il proprio equivalente nel salario. Per Smith è il lavoro sociale, è la quantità
di lavoro necessaria che crea il valore e il plusvalore è la parte del lavoro di cui si appropria colui che gestisce
le condizioni del lavoro, cioè il proprietario terriero, il capitalista.

IL 700 RIFORMATORE, L’ASSOLUTISMO ILLUMINATO E LE FORME DELLO SVILUPPO ECONOMICO


Il 700 è un secolo di espansione economica. Il movimento di crescita riguardò demografia ed economia. Nella
seconda metà del 700 diminuirono anche le epidemie, fattore tradizionale di mortalità. L’agricoltura sino al
1850 occupò ancora il primo posto nell’economia dell’Europa. Distribuzione della ricchezza e differenziazione
sociale crescente nella popolazione rurale furono le due conseguenze della tendenza a una maggiore
produttività della terra e i due fenomeni furono la base per accelerare la trasformazione profonda dei rapporti
di proprietà nelle campagne attraverso l’abolizione del feudalesimo. A spingere in alto i prezzi dei prodotti
agricoli contribuì l’aumento della domanda concentrata soprattutto nella città.
L’età dell’assolutismo illuminato rappresentò lo sviluppo più maturo dei principi e delle funzioni dello stato
moderno, ma anche la difficile sintesi tra assolutismo e illuminismo. I sovrani intesero portare a compimento
un progetto di ulteriore concentrazione ed efficacia del potere sovrano, capacità di governo del territorio,
consolidamento interno e internazionale degli stati attraverso la promozione di riforme e l’avvio di un
processo di rinnovamento politico e sociale ispirato alle idee dell’illuminismo. Il processo riformatore gettò le
basi per la crisi del vecchio ordine economico, sociale e politico ma non fu sufficiente per la sua
trasformazione radicale. Per raggiungere questo obiettivo fu necessaria la rivoluzione. Si può distinguere tra
assolutismo e dispotismo. Monarchia dispotica era quella dello zar di Russia che trattava i sudditi come
schiavi, faceva applicare pene brutali nel paese disponeva a piacimento della vita e dei beni. Governava oltre
la legge. Monarchia assoluta era invece il regime del sovrano per diritto divino che governava attraverso la
legge. Una seconda distinzione interna all’assolutismo era fra quei regimi in cui il potere dei sovrani era
limitato da altri organi costituzionali (parlamenti, diete, stati del regno) e regimi in cui la libertà d’azione del
sovrano era meno vincolata (Prussia, Spagna, Danimarca). 
L’amministrazione centrale: nel XVIII secolo ci fu uno sforzo più consistente per rendere più efficace, esteso ed
efficiente l’esercizio del potere monarchico attraverso la specializzazione della pubblica amministrazione. Il
bisogno di potenza nell’equilibrio degli stati, l’esigenza di un coordinamento tra il centro e la periferia del
territorio nazionale, l’efficace controllo sociale, furono all’origine del rinnovamento delle strutture degli
apparati amministrativi che investì l’intera Europa. Ministeri e segreterie di stato divennero gli organi politico-
amministrativi più importanti degli apparati statali. Ma in Francia la vera emanazione del re era il primo
ministro che doveva costituire il canale di mediazione tra la volontà del re e i sudditi, assisteva tutti i consigli e
ne filtrava gli affari.  Un ruolo essenziale dopo Colbert giocò nella monarchia francese il controllore generale:
era lui che metteva in moto tutta l’amministrazione del regno ed era in genere reclutato tra la nobiltà di toga.
In Inghilterra la vera novità politico-istituzionale fu il consiglio di gabinetto, una specie di consiglio dei ministri
presieduto dal primo lord della tesoreria e cancelliere dello scacchiere, responsabile delle sue decisioni
collegiali davanti al parlamento. Più lenta fu in Spagna l’evoluzione del sistema amministrativo, che vide
comunque nel corso del 700 l’ascesa dei segretari di stato.  Le riforme fiscali: le riforme intervennero in
materia fiscale e tesero a fornire allo stato strumenti di certificazione relativamente più attendibili, capaci di
colpire più in profondità e in maniera più equa i sudditi, divisi per categorie sociali e professionali. Attraverso
la compilazione dei catasti si passò da un sistema fiscale fondato da un labirinto di espedienti provvisori
pensati senza alcuna coordinazione a piani organici di accertamento dlela ricchezza mobiliare, validi per
l’intero territorio statale. La riforma della giustizia. Sull’amministrazione della giustizia nell’antico regime
pesavano le esistenze di una molteplicità di giurisdizioni tra cui la più importante era quella feudale, e la
confusione nell’amministrazione tra sfera giudiziaria e sfera esecutiva. Inoltre l’ordinamento non era
realmente unificato. Su questo terreno le riforma dei sovrani assoluti furono limitate sia nella loro natura che
nel grado della loro efficacia. La codificazione del diritto e la sua semplificazione contribuirono a modificare
l’ordinamento ma le giuri9sdizioni privilegiate non furono abolite
L’assolutismo illuminato del 1700 in Prussia e in Austria: La potenza prussiana: con Federico II (1740-86) la
Prussia consolidava il suo ruolo di grande potenza. A definire questo ruolo avevano concorso la frantumazione
delle realtà politiche della Germania e l’assenza di concorrenti tedeschi in grado di competere con le grandi
monarchie europee; il rapporto tra la dinastia Hoenzollern e la formazione sociale prussiana, nominata dal
potere feudale degli Junker, che, in cambio del riconoscimento statale del loro regime su uomini, terre, città,
avevano garantito ai sovrani fedeltà ed erano entrati nei ranghi dell’amministrazione militare e civile; la
necessità di costruire unno stato forte sul piano militare è capace di difendersi dalla maggiore minaccia
straniera, la Svezia, e di resistere alla sua espansione nell’area baltica e centroeuropea. La formazione della
potenza prussiana fu avvantaggiata sia dall’assetto interno della Germania sia dalla politica internazionale.
L’assetto interno della Germania aveva visto emergere sin dal 500 3 costruzioni statali particolarmente
significative nella parte orientale del territorio: la Baviera, la Sassonia, il Brandeburgo- Prussia. Nella parte
occidentale del paese la forza della chiesa e la densità delle città avevano reso difficile la nascita
dell’assolutismo. 
furono gli sviluppi della congiuntura politica internazionale ad avvantaggiare la Prussia. Dapprima lo scacco
subito dagli Asburgo durante la guerra dei 30anni bloccò il sogno imperiale di espansione in Germania e
indusse i sovrani austriaci ad attestarsi sui confini tedeschi. Poi l’ascesa della potenza svedese impegnò tutte
le forze degli Hoenzollern nella costruzione di un potente stato militare. La consapevolezza e la logica
dell’equilibrio indussero le grandi potenze a riconoscere il peso militare dello stato prussiano che, schierato in
uno dei blocchi contrapposti avrebbe potuto sconvolgere tutti gli assetti faticosamente costruiti. Nel 1748, con
la pace di Aquisgrana Federico II ottenne il riconoscimento dell’annessione della Slesia, sottratta all’Austria.
Tra il 1756 e il 1763 la Prussia fu impegnata nella guerra dei 7 anni. L’impegno di energie finanziarie e militari
fu enorme: ma Federico II riuscì a farsi riconoscere lo status quo territoriale. Con la prima spartizione della
Polonia fu annessa la Prussia occidentale. Alla morte di Federico II la superficie dello stato prussiano era
raddoppiata rispetto al 1740 e la popolazione quasi triplicata. Nella politica interna il punto di forza di Federico
II fu la capacità di introdurre alcuni principi di riforma dello stato senza intaccare le fondamenta della
formazione sociale del paese. Il modello dell’assolutismo illuminato, cioè di una monarchia assoluta che
promuove riforme per rafforzare l’unità e la centralizzazione del potere politico, trovò nella Prussia di Federico
II un luogo di efficace applicazione. Egli aveva ereditato il militarismo e il rigido calvinismo del padre Federico
Guglielmo I ma aveva dimostrato sensibilità per la filosofia, letteratura, arte e per i valori laici della cultura
illuministica. Favorì la libertà di stampa, rese obbligatoria l’istruzione elementare. Inoltre l’intervento
riformatore di Federico II si attuò nel campo dell’amministrazione e della giustizia. Federico II abolì la tortura,
limitò la pena di morte e affidò al giurista Cocceji il progetto per la riforma dei codici. Inoltre intervenne
nell’economia favorendo programmi pubblici in campo agricolo e industriale. Ma le basi della società
prussiana rimasero immutate e persisteva la servitù della gleba. 
L’Austria di Maria Teresa e Giuseppe II: risolto il problema della successione, l’ascesa al trono della figlia di
Carlo VI, Maria Teresa d’Asburgo (1740-80) aprì una fase di riforme anche per l’Austria. L’intero apparato di
governo fu rinnovato, furono unificate le cancellerie d’Austria e di Boemia e le rispettive corti di appello.
L’aristocrazia e il clero dovettero contribuire in misura maggiore al carico fiscale. Maria Teresa fondò collegi
per l’educazione e la formazione del personale statale. Ma le riforme teresiane furono superate in quantità e
qualità da quelle del figlio dell’imperatrice Giuseppe II. Egli alla morte del padre Francesco Stefano (1765) gli
successe nel titolo imperiale e fu nominato lorreggente degli stati ereditari asburgici. Dal 1780 al 1790 regnò
sul trono che era stato di Maria Teresa. Intervenne in materia religiosa: soppresse proprietà ecclesiastiche,
trasformò le università in istituzioni statali. Lo stato si fece carico dell’istruzione di base, che fu resa
obbligatoria e laicizzata. La pubblica amministrazione fu resa più professionale: le sue gerarchie furono
organizzate in base al merito e aperte a nuovi ceti sociali. Anche La giustizia fu investita dalla politica
riformatrice dell’imperatore: fu introdotto il nuovo codice penale. I decreti più rivoluzionari furono quelli che
abolirono la servitù della gleba e quelli che riguardarono la certezza del piccolo possesso contadino. Giuseppe
II interveniva sulle basi materiali della società e quindi suscitò forti opposizioni. Le norme che uniformavano la
ripartizione del prodotto agricolo colpivano direttamente gli interessi della nobiltà fondiaria. Ci fu come
reazione l’ostruzionismo del ceto nobiliare. Il successore Leopoldo II fu costretto a ripristinare il potere della
nobiltà.
La Russia di Caterina II: Morto Pietro I il grande, la nobiltà di corte condizionò gli zar successivi. Quasi sempre
personalità deboli come Caterina I, Pietro II, Anna, Elisabetta e Pietro III. La moglie di Pietro III, Caterina, si
impadronì del potere con un colpo di stato e fece poi assassinare il marito. Il regno di Caterina II (1762-96) fu
caratterizzato dalla diffusione di opere degli illuministi, libertà di pensiero e vitalità culturale. Molte delle
riforme si ispirarono ai principi dell’assolutismo illuminato: il nuovo sistema educativo, la secolarizzazione
delle terre della chiesa, la politica economica. In politica internazionale ci fu l’annessione della Crimea nel
1783 con cui la Russia poteva avere lo sbocco sul mar Nero. Le conseguenze sull’agricoltura russa furono
rilevanti: vaste aree della steppa ucraina furono colonizzate e messe a coltura. Ma i modi di sfruttamento in
regime di rapporti restarono gli stessi: agricoltura estensiva e aumento della popolazione servile. Così nel
1773 scoppiò una rivolta: tutto il paese ne fu investito, molti nobili massacrati, ma l’esercito imperiale
represse con violenza la guerra contadina. Il suo effetto fu il consolidamento dell’alleanza tra lo zar e
l’aristocrazia, formalizzata nella carta della nobiltà concessa da Caterina nel 1785. La nobiltà manteneva tutti i
suoi privilegi tradizionali; cadevano alcuni caratteri del regime autocratico instaurato da Pietro come il servizio
forzato dell’aristocrazia per lo stato; la giurisdizione dell’aristocrazia feudale su uomini e terre a essa
appartenenti era completa; l’amministrazione locale era affidata alla piccola nobiltà.
Il riformismo scandinavo del 1700:La Svezia era stata ridimensionata nel suo ruolo di potenza e rovinata sul
piano finanziario dalla seconda guerra del nord ma l’età di Carlo XII era stata anche un’epoca di
consolidamento dell’assolutismo. Con Gustavo III ci fu poi la restaurazione dell’assolutismo monarchico.
Nonostante le riforme illuminate promosse da Gustavo, monarchia assoluta si rivelava debole a causa
dell’avanzamento della società civile.
Dalla guerra dei 7 anni alla spartizione della Polonia: Le tensioni europee dopo la pace di Aquisgrana non si
erano sciolte. La Prussia è in fase espansionistica, l’Austria voleva recuperare la Slesia, la Russia alla ricerca
dell’egemonia sul Baltico, Inghilterra e Francia in conflitto per l’egemonia coloniale. Nel gennaio del 1756
scoppiava la guerra dei 7 anni (1756-63) tra la Francia e l’Inghilterra, combattuta su fronti europei, sul fronte
indiano e su quello americano. Federico II si alleò con l’Inghilterra mentre la Francia si alleò con l’Austria che
voleva recuperare la Slesia e con la Russia. La guerra dei 7 anni rivelò il protagonismo militare della Prussia di
Federico Ii, la fragilità del sistema politico militare della Francia coloniale che perse gran parte dei suoi
possedimenti americani e indiani, la supremazia sui mari dell’Inghilterra. Nel 1762 Federico II firmava la pace
separata con lo zar Pietro III di Russia e nel 1763 con l’Austria, ottenendo la conferma dell’annessione della
Slesia e l’unificazione territoriale del dominio Hoenzoller. La pace firmata a Parigi  (1763) tra Francia e
Inghilterra estrometteva la Francia dall’America settentrionale e riconosceva l’espansione inglese in India. 
In Polonia dopo la fine della dinastia Jagelloni, per quasi 2 secoli le potenze europee avevano esercitato una
sorta di protettorato. La Polonia era stata governata dall’esterno, da principi graditi a potenze straniere, molto
spesso imposti con la forza, ma costretti a delegare gran parte dei poteri ai magnati magiari.
Dopo la morte del principe Augusto III di Sassonia, Caterina II di Russia e Federico II di Prussia invasero la
Polonia per imporre il loro candidato Stanislao Poniatowski, amante di Caterina II. Stanislao era stato educato
secondo idee illuministiche e voleva attuare riforme tendenti a limitare il potere dell’aristocrazia polacca. Così
la nobiltà si riunì nella confederazione di Bar, la Russia inviò truppe in territorio polacco, le quali dopo 4 anni
di guerra schiacciarono l ribellione dell’aristocrazia. Nel 1772 Russia, Prussia e Austria procedettero alla prima
spartizione della Polonia: la Galizia allAustria, la Bielorussia alla Russia, la Prussia occidentale alla Prussia. Nel
1792 i soldati di Caterina II invasero di nuovo il paese perché Poniatowski cercò di trasformare la monarchia
polacca da elettiva in ereditaria e di abolire il potere di veto dei magnati. Nel 1793 fu compiuta una seconda
spartizione a favore di Russia e Prussia. Nel 1794 un’insurrezione nazionale fu repressa nel sangue e nel 1795
ci fu la terza spartizione. Con essa il paese scomparve del tutto.
L’EUROPA PRIMA DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
La società europea del XVII e XVIII secolo era prevalentemente agraria, ma solo alcune aree agrarie
dell’Europa si trovarono meglio preparate all’industrializzazione da questo punto di vista al primo posto c’è
l’Olanda: agricoltura specializzata, collocazione strategica nel mercato internazionale, sviluppo urbano,
crearono in Olanda le basi per la modernizzazione economica che maturerà alla fine dell’800. La situazione
agraria in Francia era diversificata e i nuclei industriali sorgeranno nelle aree mercantili intorno a Parigi in
Alsazia e in Lorena. Poco preparata allo sviluppo industriale era l’Europa mediterranea: in parte dell’Italia
centrale, in Spagna, nell’Italia meridionale ci fu stagnazione agricola e mancato decollo industriale. La
Germania nella parte orientale era caratterizzata da grandi proprietà feudali e arretratezza industriale mentre
la parte occidentale si rivelerà più aperta alle trasformazioni.  L’Inghilterra fu il paese che subì nel 700 le più
importanti trasformazioni agricole. La potenza inglese, integrando rivoluzione agricola e rivoluzione
industriale stabilì il primato economico internazionale. Le forme di produzione precedenti la rivoluzione
industriale erano la manifattura rurale a domicilio, la manifattura centralizzata e le industrie tradizionali
controllate dall’artigianato urbano e dalle corporazioni. L’Inghilterra arrivò per prima alla rivoluzione
industriale grazie alla disponibilità di materie prime, la libertà di adattamento e iniziativa, la diffusione del
pensiero scientifico e della ricerca e di una filosofia e mentalità molto empirica e sperimentale, la disponibilità
all’innovazione, favorita dal sostegno politico dello stato, ma gia molto forti nella società. Inoltre non bisogna
sottovalutare il fattore della domanda in quanto il potere d’acquisto e il tenore di vita degli inglesi erano assai
più alti rispetto al resto del continente europeo. Quindi i prerequisiti della rivoluzione industriale in Inghilterra
erano: Le risorse naturali, l’integrazione tra agricoltura e industria, il sostegno dello stato attraverso la
domanda della corte e del governo e del suo apparato e attraverso la creazione di infrastrutture,
la concentrazione di manodopera specializzata, grazie alla preesistenza di industrie rurali a domicilio, libere da
vincoli corporativi e la disponibilità di capitali.
LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Tra il 1750 e la prima metà dell’800 una parte dell’Europa centrale fu investita da una grande trasformazione
nelle basi dell’economia, nell’ordine sociale, nei modelli di vita. Nel suo epicentro, l’Inghilterra, l’origine del
processo fu la trasformazione della vecchia manifattura del cotone in sistema di fabbrica ma ci furono poi
anche progressi notevoli nei settori dell’industria tessile e in quelli metallurgico e meccanico. Un contributo
decisivo alla grande trasformazione fu dato da un insieme di innovazioni tecnologiche: la sostituzione delle
macchine all’abilità e alla fatica umana; la sostituzione di fonti artificiali di energia a quelle animali, umane o
naturali. La rivoluzione industriale portò a un aumento della produttività e del reddito individuale, migliorò le
condizioni di vita e l’equilibrio tra popolazione e risorse, trasformò il volto delle città europee. Ma ebbe anche
i suoi costi: lo sfruttamento coloniale da parte delle grandi potenze economiche e delle più forti compagnie
commerciali fu più intensivo per rispondere alla domanda di materie prime delle fabbriche; nei primi decenni
il sistema di fabbrica potè svilupparsi e garantire margini più ampi di profitto e accumulazione grazie
all’assenza di regole e di norme di tutela per i collaboratori; fu sfruttato il lavoro di donne e bambini; si
accentuò il divario tra paesi industriali più ricchi e meno ricchi. Il settore dell’economia inglese che varcò per
prima la soglia della rivoluzione industriale fu quello del cotone. Nell’industria cotoniera furono introdotti
nuovi tipi di macchinari per la filatura insieme ad altre invenzioni. Il consumo di cotone si moltiplicò per 12 tra
il 1770 e 1800 e rese indispensabile ulteriori miglioramenti nella fase della tessitura, che furono realizzati
dopo l’introduzione del telaio meccanico. Nell’industria del ferro il capitale investito, il valore prodotto e il
numero di addetti erano inferiori durante il XVIII secolo a quelli dell’industria del cotone ma le potenzialità di
sviluppo erano altissime sia per le offerte di metallo a prezzo basso, sia per il processo di meccanizzazione, sia
per la progressiva sostituzione dell’energia idrica con quella a vapore, sia per le innovazioni dei trasporti nel
corso dell’800. un nuovo convertitore di energia era quello della macchina a vapore, e lo sfruttamento su larga
scala del carbon fossile al posto del carbone di legno permisero lo sviluppo e la straordinaria diffusione della
rivoluzione industriale in Inghilterra. La rivoluzione industriale significò la separazione tra i proprietari dei
mezzi di produzione  ei produttori diretti, tra imprenditori e lavoratori, la concentrazione dei lavoratori
salariati in un unico luogo di lavoro, la fabbrica; una divisione più accentuata del lavoro; l’impiego delle
macchine e la produzione di massa per il mercato. Tra il 1780 e il 1830 i lavoratori cominciarono a organizzarsi
e diedero vita a movimenti di protesta mentre andò formandosi una classe operaia, dotata di una coscienza di
un’identità di interessi in contrapposizione ad altri. Le tappe più importanti di una lenta maturazione di una
coscienza di classe furono: la formazione e la diffusione di leghe e club di lavoratori radicali, il movimento
luddista e tra il 1820 e il 1830 lo sviluppo del socialismo utopistico. Il nome del luddismo, forma radicale di
protesta, veniva da Ned Ludd a cui si attribuiva la distruzione di un telaio meccanico nel 1779. furono distrutti
tantissimi telai meccanici ma la fase culminante del luddismo finì con la legge del 1812 che della distruzione
dei telai faceva un delitto punibile con la morte. 

LA RIVOLUZIONE AMERICANA
Nel 1620 i padri pellegrini, appartenenti ad una comunità puritana non ortodossa intraprese a bordo della
May flower un viaggio che li avrebbe condotti attraverso l’Atlantico nel Massachussets nella terra chiamata
New England. Questo è considerato l’atto di nascita delle colonie inglesi d’America. Nel 1732 le colonie inglesi
in America diventarono 13. la causa immediata dello sviluppo delle colonie furono le lotte politico religiose in
Inghilterra. I puritani che fondarono le comunità del New England, i coloni della Virginia, i Quaccheri in
Pensilvania erano perseguitati, costretti a fuggire dalla madrepatria. Essi esprimevano la vitalità, lo sviluppo di
una società civile come quella inglese che non trovava risposte e forme di realizzazione nella società politica e
negli equilibri interni del potere. Così i coloni trapiantarono in America modelli originali di vita comunitaria e
di convivenza religiosa e sociale. La libertà americana si manifestò innanzitutto come possibilità di metter in
pratica ipotesi di convivenza religiosa e sociale sconfitte e impossibili in patria. Al motivo religioso si aggiunse il
motivo economico in quanto la maggioranza di coloro che prendevano la via dell’America era attratta dalla
speranza di migliorare la propria situazione economica. I coloni avviarono un’opera di sperimentazione
politica e istituzionale. Lo statuto delle regioni nordamericane e il loro rapporto con la madrepatria furono
stabiliti in varie carte: in esse erano anche riprodotte la diversità dei titoli di origine, le forme molteplici della
colonizzazione. Quei titoli erano di tre tipi: il primo, quello della corporazione riconosceva fin dall’origine una
vasta autonomia alla comunità di coloni installatasi sul territorio; il secondo, quello del proprietario concedeva
lo sfruttamento del territorio a un singolo individuo; infine la colonia, al cui vertice c’era un governatore
nominato dal re. Le carte contemplavano la costituzione di organi statali per il governo delle colonie ma in
assenza di un ministero per le colonie e di un coordinamento politico e amministrativo della madrepatria gran
parte dei poteri furono concentrati in governi locali autonomi. Le singole colonie si diedero ordinamenti,
istituzioni, leggi, organismi rappresentativi accettati da tutti i coloni e riuscirono a vanificare i tentativi di
centralizzazione di costituzione di una burocrazia imperiale, compiti dall’Inghilterra. Al centro di questi
ordinamenti era l’assemblea coloniale, sede della rappresentanza. Non era una rappresentanza per ceti, per
ordini, ma per singole comunità che costituivano politicamente la colonia. Non va comunque dimenticato il
rapporto ideale e politico esistenti tra l’America e l’Inghilterra. Vi era un sentimento di appartenenza a una
comunità unitaria, imperiale inglese, diffuso nei coloni americani ed entrato in crisi verso la metà del 700. I
rapporti con la società civile inglese erano strettissimi. Il sentimento di appartenenza alla comunità imperiale
era consolidato poi dalla difesa contro i pericoli esterni, la Spagna e la Francia in particolare. La fedeltà delle
colonie alla madre patria fu favorita dalla politica internazionale: la sicurezza dei coloni non poteva essere
affidata a fragili milizie locali capaci unicamente di scontrarsi con gli indiani sulle frontiere; essa richiedeva di
eserciti regolari e il contributi della flotta inglese. Nel 700 nelle colonie inglesi d’America ci fu un’enorme
crescita demografica soprattutto grazie all’immigrazione europea del XVII e XVIII secolo. L’incremento
demografico delle colonie inglesi fu determinato anche dall’elevata produttività dell’agricoltura. L’equilibrio
tra popolazione e risorse fu raggiunto anche grazie alla differenziazione produttiva delle colonie, delle tre
sezioni del nord, del centro e del sud. La funzione economica produttiva del sud, in particolare quella della
Virginia andò strutturandosi intorno alla piantagione del tabacco. Si andò formando un ceto di grandi
proprietari che investivano cospicui capitali in terre e schiavi. Completamente diverso era il carattere della
sezione del nord: nelle coloni e del New England, la piccola chiesa-comunità puritana era la base economica
della società. Il gruppo si muoveva alla ricerca di terre verso l’ovest, e una volta insidiatosi, fondato un nuovo
villaggio, i terreni erano divisi equamente tra le diverse famiglie. Questa economia domestica non avrebbe
mai potuto trovare sbocchi di mercato. Il carattere fondamentale di questa zona era piuttosto costituito dalla
vitalità delle città: piccoli e grandi porti, industria della cantieristica, residenze della burocrazia imperiale
contribuirono ad accrescere soprattutto nel 700 le funzioni urbane e a differenziare una struttura sociale fatta
di mercanti, professionisti, pubblici ufficiali, artigiani e salariati. Al centro incontriamo una sezione-cerniera di
cui le colonie di New York, della Pensilvania, del New Jersey costituirono la sezione più dinamica. Avevano un
sistema di agricoltura mista e una rete portuale in grado di rafforzare il rapporto tra agricoltura e commercio.
Anche nelle colonie del centro andò affermandosi un ceto di commercianti professionisti che caratterizzarono
a lungo la società di queste zone. Fino alla metà del XVIII secolo il quadro di riferimento economico per le
colonie americane fu l’impero britannico ed è necessario distinguere 2 fasi: la prima tra l’atto di navigazione
del 1651 e i primi decenni del 700. la seconda tra il 1730 e il 1760. la prima fase è caratterizzata dall’incontro
tra le grandi compagnie per il commercio che avevano favorito la colonizzazione americana e le classi dirigenti
dell’Inghilterra, corte e ministri, promotori di una politica mercantilistica. Entrambi, compagnie e potere
politico inglese collocavano l’economia americana entro un rapporto di scambio interno all’economia
imperiale, in cui le colonie avevano funzioni specializzate, una posizione di servizio rispetto alla madre patria,
l’obbligo di assicurare all’Inghilterra il monopolio dei prodotti coloniali. Attraverso le colonie l’Inghilterra si
assicurava la piena autosufficienza. A partire dal 1730 i numerosi punti di fuga del sistema mercantilistico
imperiale, la crescita economica delle colonie, la nascita e la formazione di un’elite coloniale sempre più
cosciente dei suoi diritti e autonomia, l’accentuarsi dei motivi di conflitto con la madre patria crearono le
premesse per una seconda fase del rapporto tra colonia e madrepatria.
Le radici del conflitto tra colonie inglesi e madrepatria – 1700: Intorno agli anni 30 del 700 cominciò a
formarsi nei coloni americani la coscienza di costituire un corpo politico unitario diverso, se non ancora
separato dall’Inghilterra. Tra il 1730 e il 1770 si accentuarono le ragioni del conflitto che opponevano i coloni
agli inglesi e che contribuirono a formare l’autocoscienza americana. Le ragioni del conflitto erano sia di
natura economica che politica. Eli. Più le colonie rafforzavano la struttura economica e politica e più pesava la
mancanza di autonomia nel sistema mercantilistico inglese. Il secondo motivo di conflitto era di natura politica
in quanto Inghilterra e America si ispiravano a un diverso principio di sovranità. Con la rivoluzione l’Inghilterra
aveva allargato le basi del potere estendendo le prerogative del parlamento, ma il principio della
concentrazione assoluta della sovranità (re + parlamento) che richiede obbedienza era stato riconfermato
anche dopo il 1688. da questa autorità dipendevano anche le colonie americane ma in esse il pensiero politico
andava elaborando una diversa teoria della sovranità limitata che attraverso la creazione di istituzioni a difesa
del popolo, consentiva ai governati il controllo dei governanti. Gli eventi che contribuirono ad approfondire il
solco tra colonie e madrepatria furono 3: il risveglio religioso in America tra 1730 e 1740; la guerra dei 7 anni; i
provvedimenti fiscali decisi dall’Inghilterra negli anni 60. il grande risveglio fu un’ondata di fermento religioso.
Le colonie furono investite dalla speranza che l’America potesse realizzare una società giusta e che il suo
popolo come popolo eletto potesse portare a compimento la vittoria di Cristo sul demonio. Fu così che la
guerra dei 7 anni combattuta dai coloni americani contro i coloni francesi assunse quasi le tinte di una guerra
santa tra antipapisti e papisti e contribuì a cementare in unico blocco per la comune difesa contro il nemico
religioso e politico, americani e inglesi. Ma gli anni successivi alla guerra dei 7 anni furono deludenti per i
coloni americani. Da un lato diventava meno indispensabile il sostegno militare della madrepatria. Il
contributo dei coloni era stato decisivo per eliminare la presenza francese in Canada e nell’ Ohio e le forze
armate americane erano meglio preparate di quelle inglesi. Dall’altro lato l’Inghilterra si accingeva a far pagare
il conto della guerra dei 7 anni. A metà degli anni 60 era giunto a maturazione il processo di formazione di
elites coloniali coscienti dei loro diritti, desiderosi di affermare un’autonomia economica e politica sempre
maggiore da Londra, ben radicate nelle comunità locali che costituivano la società americana. Subito dopo la
pace di Parigi (1763) conclusiva della guerra dei 7 anni il parlamento inglese con la proclamation line intese
bloccare l’avanzare della frontiera verso l’ovest e il continuo pericolo di guerre contro gli indiani. Re Giorgio III
e il parlamento richiesero un più massiccio coinvolgimento delle colonie nordamericane nelle spese
dell’impero. Tra il 1764 e il 1765 lo sugar act e stamp act tradussero le richieste inglesi in nuove imposte per le
colonie. Zucchero, caffè e vino e altri generi vennero colpiti; lo stamp act impose una tassa di bollo su giornali
e atti legali. Pochi mesi dopo i delegati di 9 colonie si riunirono a New York nel congresso dello stamp act,
votarono la dichiarazione dei diritti e dei doveri dei coloni d’America, inviarono petizioni al re e al parlamento. 
Nel 1776 il parlamento inglese revocò lo stamp act ma promulgò il declaratory act: si ribadiva che le colonie
erano soggette all’autorità del parlamento. Lo scontro si acquì. Nel 1777 il parlamento inglese sospese
l’assemblea di N. Y. C. che si era rifiutata di rifornire le truppe della madrepatria. Successivamente furono
boicottate le merci inglesi la cui importazione comportava il pagamento di imposte appena approvate dal
parlamento, e si organizzò un vasto schieramento di opposizione all’Inghilterra.
La guerra d’indipendenza: 5 marzo 1770 i soldati inglesi repressero una rivolta scoppiata a Boston uccidendo
5 persone. Il Parlamento dovette abolire dazi e imposte ma nel 1773 approvò il Tea Act che concedeva alla
compagnia delle indie orientali il monopolio del mercato del tè. Era un atto di controllo mercantilistico
esercitato dalla madrepatria sugli americani. Nello stesso anno i coloni salirono sulle navi e gettarono in mare
le casse di te. Le rappresaglie inglesi furono durissime e si espressero in una serie di leggi dette intollerabili
che sancivano una dipendenza ancora maggiore dell’America dal Parlamento inglese: chiusura del porto di
Boston sino al risarcimento dei danni e l’abolizione delle autonomie del Massachussetts. 
Nel 1774 si diffusero molti scritti contro il parlamento inglese. Thomas Jefferson, uno dei leader intellettuali
della ribellione ribadì la distinzione tra corona e parlamento. Jefferson sosteneva che i coloni non erano
vincolati alle decisioni del parlamento perché non vi erano rappresentanti e che le uniche rappresentanze
politiche delle colonie erano le loro assemblee. L’ipotesi che si avanzava era quella di un Commonwealth
britannico, fedele al re ma autonomo in tutte le sue componenti quanto al complesso dei poteri politici locali,
dotato di assemblee rappresentative a cui era riconosciuta la stessa dignità del parlamento. 
L’Inghilterra lo considerò inaccettabile: l’insubordinazione delle colonie si espresse nella creazione di forme di
potere alternative a quelle delle autorità britanniche. 
Il 5 settembre 1774, le colonie riunite nel primo congresso continentale decisero il boicottaggio del
commercio con la Gran Bretagna. L’anno dopo ci furono i primi scontri armati. Il secondo Congresso
continentale nel 1775 nominò George Washington comandante della truppe. Giorgio III dichiarava ribelli i
coloni americani.  La data decisiva per la rivoluzione fu il 1776, l’anno della pubblicazione del common sense,
un opuscolo di Thomas Paine e della Dichiarazione d’indipendenza (4 luglio) redatta da Jefferson. Pain scriveva
che il re aveva rotto il contratto con i sudditi americani e li aveva privati dei loro diritti ed era perciò un tiranno
contro quale la ribellione era un dovere da compiere in nome dell’umanità intera. 
Nella dichiarazione d’indipendenza sono espressi i principi ispiratori della nazione americana e sono in
sostanza 3: il diritto all’indipendenza e alla libertà è un diritto naturale, superiore a ogni volontà umana;
attraverso il contratto sociale i governi si impegnano a rispettare tutti i diritti inalienabili degli individui; il
rapporto tra governanti e governati è fondato sul consenso di questi ultimi e sul loro potere di controllo, il
mandato dei governanti può essere in qualsiasi momento revocato quando i fini del contratto sociale non
vengono rispettati.  Il passaggio alla ribellione significò la guerra. Washington riorganizzò le forze armate e
ebbe la meglio sull’esercito inglese. Nella battaglia di Saratoga nel 1777 i reparti americani sconfissero quelli
inglesi. Ma fu l’intervento francese a fianco degli americani a incidere sulle sorti della guerra nel 1778. nello
stesso anno intervenne anche la Spagna. Dopo la sconfitta a Yorktown delle truppe inglesi. Nel 1783 fu firmata
la pace di Versailles che metteva fine alla guerra angloamericana. La Gran Bretagna riconosceva
l’indipendenza delle 13 colonie nordamericane, alla Francia erano restituiti i territori nei Caraibi e nel Senegal,
la Spagna riotteneva Minorca e la Florida persa dopo la guerra dei 7 anni.
Convenzione di Philadelphia: 1787:Dopo la dichiarazione d’indipendenza molte colonie avevano messo a
punto nuove carte costituzionali. Il congresso continentale del 1777 venivano approvati gli articoli di
confederazione: erano attribuiti al Congresso i poteri di difesa e politica estera; prerogative dei singoli stati e
delle loro assemblee erano tutti gli altri poteri. La rivoluzione portò impoverimento. Nel 1787 fu convocata la
Convenzione di Philadelphia con il compito di rivedere gli articoli della costituzione del 1777 ed elaborare una
nuova carta costituzionale. La nuova costituzione entra in vigore nel 1788. Il potere legislativo è conferito al
Congresso degli Stati Uniti, composto da un senato e da una camera dei rappresentanti. Il senato è formato da
due senatori per ogni stato eletti per un periodo di 6 anni; la camera è formata da deputati eletti ogni 2 anni
dai vari stati. Il congresso ha poteri di natura finanziaria e fiscali. Il potere esecutivo è conferito al presidente
degli Stati Uniti d’America che dura in carica 4 anni. Il presidente è eletto dal popolo che in ogni stato esprime
elettori delegati i quali eleggono a maggioranza il presidente.  Il potere giudiziario è conferito alla Corte
suprema composta da 9 membri a vita di nomina presidenziale.  Il primo presidente americano fu George
Washington eletto nel 1789 e rieletto per un quadriennio nel 1793.

LA RIVOLUZIONE FRANCESE
In Francia la vita economica e sociale sia la vita politica sono interessate nella seconda metà del 700 da alcune
trasformazioni. C’è un forte aumento di popolazione. Mutamenti si erano verificati negli assetti
dell’agricoltura e nella distribuzione della proprietà terriera. Alla vigilia della rivoluzione meno di un terzo dei
terreni apparteneva ai due ordini privilegiati: la nobiltà e il clero; professionisti e ceti non nobili avevano circa
il 30%; il 40% apparteneva a contadini coltivatori diretti. Non c’era la servitù della gleba e le condizioni di vita
delle popolazioni rurali erano migliorate.Decime ecclesiastiche e diritti feudali pesavano sui bilanci delle
famiglie.Alla vigilia della rivoluzione, il settore primario dell’economia francese, l’agricoltura, presentava i
seguenti caratteri: l’85% della popolazione viveva nelle campagne.Il settore mercantile dell’agricoltura era in
espansione.  Lo sviluppo dell’agricoltura non consentì lo sviluppo dell’accumulazione del capitale paragonabile
a quella inglese. L’espansione e la modernizzazione economica investirono la Francia nel 700: il commercio
con l’estero aumenta del 200%; le infrastrutture furono modernizzate. Nonostante questo la Francia arrivò
dopo l’Inghilterra alla rivoluzione industriale per iu seguenti motivi:
1. mancata integrazione tra agricoltura e industria
2. metodi di produzione arcaici nell’industria
3. limitazione della domanda interna
4. scarsa disponibilità di risorse minerarie come il carbone
Dal punto di vista economico e sociale il mondo della nobiltà era assai composito. Costituiva l’1% della
popolazione. Lo 0.5% della popolazione apparteneva al clero. Il Terzo Stato era il prodotto sociale della
crescente articolazione politico-amministrativa, dell’espansione economica settecentesca e delle
trasformazioni delle campagne e dei ceti urbani. Ne facevano parte gruppi legati al commercio internazionale,
uomini d’affari, banchieri, personaggi dell’amministrazione dello stato, pubblici funzionari, professionisti come
avvocati,  notai medici… 
i comportamenti economici e sociali dei gruppi del Terzo Stato erano differenti e non avevano identità di
classe. Le loro aspirazioni erano dirette verso il feudo e il titolo di nobiltà.Nello stato di crisi che portò alla
rivoluzione confluirono fattori diversi: le tensioni interne alla società di ordini, le insoddisfazioni di una parte
della nobiltà e del clero, esclusa dai livelli più alti del privilegio, il malcontento dei ceti popolari soprattutto
parigini e dei contadini, colpiti prima dallo squilibrio tra aumento dei prezzi e crescita lenta dei salari, poi dalla
crisi agraria del 1788-89, l’influenza delle idee illuministiche presso ceti intellettuali, l’arrretratezza del sistema
politico rispetto ai fermenti in atto nell’economia e nella società. La crisi politica e finanziaria della monarchia

L’erede di Luigi XV, Luigi XVI salito al trono nel 1774, reintegrava i parlamenti ma promuoveva anche una
politica riformatrice affidandone la direzione a Jacques Turgot. Il suo piano di riforma prevedeva: la libera
circolazione delle merci; l’abolizione delle corporazioni; il ridimensionamento dei diritti feudali nelle
campagne; l’eliminazione del sistema dell’appalto delle imposte, l’istituzione di un’imposta fondiaria tesa a
colpire la proprietà nobiliare ed ecclesiastica; la riduzione di pensioni e appannaggi pagati alla nobiltà di corte
e all’alto clero.  Nobili, clero, parlamento e alleati indussero Luigi XVI ad allontanare Turgot.
L’impegno della Francia alla guerra d’indipendenza americana contribuì a dissanguare le finanze pubbliche. Il
successore di Turgot alle finanze, Necker fece ricorso a un massiccio indebitamento pubblico non potendo
operare sull’imposta fondiaria. Anche Necker fallì e venne allontanato nel 1781.  Nel 1783 fu nominato
ministro Calonne che propose una serie di misure per l’assestamento del bilancio statale: un’imposta fondiaria
proporzionale alla rendita; provvedimenti di liberalizzazione del commercio; creazione di una banca nazionale
sul modello di quella inglese. Ci fu un’opposizione generale e fu richiesta la convocazione degli stati generali,
non più riuniti dal 1614.
Le fasi principali della rivoluzione furono 2: la prima dalla convocazione degli Stati Generali il 5 maggio 1789
alla congiuntura del Termidoro e all’arresto e esecuzione di Robespierre (luglio 1794); la seconda dalla
reazione termidoriana e dal passaggio dei poteri al Direttorio alla proclamazione di Napoleone imperatore
(1804). Lo stato francese era alle soglie della bancarotta. Il pessimo raccolto aveva provocato una grave
carestia. L’industria tessile subiva la concorrenza inglese; la disoccupazione era crescente. 
Il problema centrale nella convocazione degli stati generali era la modalità di convocazione e di voto
nell’assemblea. Questa era composta dai rappresentanti del clero, nobiltà e Terzo Stato. Nel settembre 1788 il
Parlamento dichiarava che i 3 ordini dovevano riunirsi e votare separatamente: in questo modo clero e nobiltà
avrebbero avuto sempre il sopravvento nelle delibere.  Necker, richiamato dal re, si riprometteva l’abolizione
dei privilegi fiscali. Voleva ridimensionare il potere della nobiltà, favorire il Terzo stato ma non mettersi alle
sue dipendenze. La soluzione era il raddoppiamento del numero dei rappresentanti del Terzo Stato, voto per
testa e non per ordine, limitato alle sole questioni finanziarie.  Ma i nobili la pensavano diversamente e a
dicembre inviarono al re una supplica.  Necker riuscì a spuntarla e il 27 dicembre il consiglio del re accordò al
terzo stato il raddoppiamento. La nobiltà esplose provocando la guerra civile. I ceti privilegiati chiedevano il
mantenimento del sistema degli ordini, si opponevano al voto per testa e all’abolizione dei diritti signorili; per
il Terzo Stato si rivendicava il voto per testa, la libertà era inseparabile dall’uguaglianza dei diritti. 

Gli Stati Generali si riunirono a Versailles il 5 maggio 1589. di essi una metà era costituita dai rappresentanti
del Terzo Stato, l’altra metà era formata da rappresentanti della nobiltà e del clero. 
Nobiltà e clero prima rifiutarono la proposta del Terzo Stato di riunirsi in un’unica assemblea ma la divisione al
loro interno e la resistenza della corte giocarono a favore delle rivendicazioni del Terzo Stato. Una mozione a
favore dell’unicità dell’assemblea passò a maggioranza tra il clero. I delegati ribadirono in un giuramento la
loro unità e l’impegno a stabilire una solida costituzione per il paese.  Il 9 luglio i rappresentanti del Terzo
Stato, del clero e dei nobili liberali, dopo essersi opposti all’ordine del re di procedere e deliberare divisi per
ordini, si proclamarono Assemblea Nazionale Costituente. Un vecchio organismo come gli stati generali aveva
impresso una svolta alla vita politica francese: si era dato il compito di sostituire alla monarchia per diritto
divino la monarchia costituzionale, aveva proclamato la nazione unica fonte di sovranità. E Luigi XVI riconobbe
l’assemblea nazionale.  Tutti continuavano a considerare necessaria la sanzione regia e Luigi era il garante del
patto con la nazione; i 3 ordini non si erano dissolti e l’assemblea nazionale costituente fu il prolungamento
degli stati generali. Il re fece circondare la città da mercenari stranieri; licenziò Necker e lo sostituì con uno più
fedele all’aristocrazia. Il terzo Stato promosse la creazione di una milizia controllata dalla municipalità di
Parigi. Ma il popolo della capitale si organizzò autonomamente: assalì postazioni militari alla ricerca di armi,
uffici del dazio e simboli del potere fiscale.  Il 14 luglio artigiani, operai e piccoli commercianti assalivano la
fortezza della Bastiglia dove erano rinchiusi i rei di stato. I soldati uccisero un centinaio di persone ma si
arresero. Luigi XVI doveva correre ai ripari e richiamò Necker al governo e licenziò le truppe straniere. 
Nelle città si costituirono municipalità fedeli all’assemblea nazionale e una forza armata che prese il nome di
guardia nazionale al comando del generale La Fayette. Nelle campagne ci furono rivolte antifeudali e colpirono
castelli, archivi signorili ecc… fu ostacolata la riscossione della decima. La guardia razionale reprimeva le
rivolte e requisiva il grano. Il 4 agosto l’assemblea nazionale decise l’abolizione dei privilegi feudali. Il 26
agosto l’assemblea proclamava in 17 articoli la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino in cui erano
enunciati i principi dell’89: Lo stato assicura al cittadino l’esercizio dei suoi diritti.Il principio di ogni sovranità
risiede essenzialmente nella nazione. Se lo stato viene meno ai suoi doveri il cittadino ha il diritto di resistere
all’oppressione.
La costituzione francese del 1791
Mancava ai decreti l’approvazione del re che li approvò solo dopo una marcia popolare su Versailles e l’arrivo
a corte della guardia nazionale parigina. Sotto la pressione della folla che invase i suoi appartamenti e di Maria
Antonietta, il re fu costretto a subire il trasferimento della corte a Parigi, nel palazzo delle Tuileries. 
La costituente si trasferì a Parigi e creò una democrazia parlamentare sotto l’egida del re e della legge. Il punto
di arrivo fu la Costituzione del 1791. ma prima dovette affrontare le questioni finanziarie. Il 2 novembre 1789 i
beni della chiesa divennero proprietà della nazione. La riforma agraria fu attuata con la soppressione di tutti i
privilegi connessi al feudalesimo: furono soppresse decime e gerarchie feudali, i diritti di primogenitura e tutti
gli obblighi di natura personale. La costituente attribuì larghi poteri alle municipalità e riorganizzò il territorio
in dipartimenti, distretti e cantoni. Con la riforma giudiziaria fu abolita la venalità degli uffici, la giustizia fu
separata dall’amministrazione secondo il principio della divisione dei poteri, furono istituiti due tribunali
nazionali, l’Alta Corte e il Tribunale di cassazione.  Nel 1790 fu approvata la costituzione civile del clero. Tutte
le cariche dal vescovo al parroco furono elettive. Il clero venne sottoposto al controllo dello stato. 
La reazione di Roma e del pontefice Pio VI fu durissima. In Francia il clero si spaccò: alcuni accettarono il nuovo
ordinamento, altri rimasero fedeli alla gerarchia di Roma. L’attività legislativa e le scelte politiche
dell’assemblea nazionale furono coronate nella costituzione del 1791:
Conferma di tutti gli articoli riguardanti le libertà fondamentali del cittadino della dichiarazione dei diritti
dell’89
- La divisione dei 3 poteri legislativo, esecutivo e giudiziario in tre differenti autonomi organismi politici
- La concentrazione del potere legislativo in un’assemblea legislativa
- L’attribuzione al sovrano del potere esecutivo
- L’attribuzione del potere giudiziario a giudici eletti dal popolo
- Il carattere gratuito dell’istruzione primaria
Nella costituzione del 1791 erano realizzate le idee ispiratrici dell’Illuminismo come la separazione dei poteri e
la nuova concezione della rappresentanza fondata sulla democrazia parlamentare. 

Creazione della società dei Giacobini


Tra il 20 e il 21 giugno Luigi aveva lasciato Tuileries per fuggire dal paese. Fu bloccato e arrestato e condotto
sotto scorta a Parigi. La fuga del re e la reazione che provocò portarono alla scoperta gli schieramenti, le forze
e i leader della rivoluzione. In base alla collocazione dei deputati nell’assemblea si formarono gli schieramenti
di destra e sinistra. Al primo facevano capo nobili liberali come La Fayette, protettori e consiglieri del sovrano;
a sinistra c’erano i deputati più radicali come Robespierre inclini a un processo di maggiore democratizzazione
delle conquiste della rivoluzione. Alla fine del 1789 fu creata la Società degli amici della costituzione detti
Giacobini perché si riunivano nel convento sconsacrato dei domenicani. Agli inizi la società era composta
prevalentemente da parlamentari con l’obiettivo di lottare contro i privilegi e di instaurare una monarchia
costituzionale. Nel 1790 si divide in diversi club. Il più radicale di questi club era quello dei Cordiglieri che
raccoglievano esponenti di ceti diversi ed erano il canale di collegamento tra artigiani, salariati parigini e
professionisti. Dal centro giacobino, oltre alla sinistra dei cordiglieri si staccò la destra dei foglianti nel 1791. 
Federico Guglielmo II insieme all’imperatore e all’elettore di Sassonia firmò la Dichiarazione di Pillnitz nel
1791: la condizione del re di Francia fu considerata oggetto di comune interesse per tutti i sovrani d’Europa.
Giorgio III d’Inghilterra disse che sarebbe rimasto neutrale; Carlo IV di Spagna e Vittorio Amedeo di sardegna
non volevano esporsi a una guerra. A Pillnitz non fu possibile raggiungere un accordo per un intervento
armato contro la Francia. Quindi Luigi XVI fu costretto ad accettare la costituzione, il sovrano venne
reintegrato nei suoi poteri e la costituente si sciolse. 

L’assemblea legislativa:
Il 1 ottobre 1791 si riunisce l’assemblea legislativa composta da deputati foglianti, giacobini e cordiglieri. Una
nuova sinistra si formava nell’assemblea legislativa: il gruppo chiamato dei Girondini che reclutava la piccola
borghesia delle professioni ed era favorevole al consolidamento della democrazia politica e alla guerra
sorpresa contro l’Austria per sconfiggere i nemici interni ed esterni alla rivoluzione. 
A volere la guerra erano in molti oltre ai girondini: la Fayette che contava di assumere il comando
dell’esercito, la corte e il suo partito dalla guerra si ripromettevano un rafforzamento della monarchia.
Luigi XVI nel 1792 sotto la pressione dei girondini dichiarò guerra all’Austria, a fianco della quale scese la
Prussia.  Gli inizi della campagna militare furono disastrosi per la Francia e l’assemblea legislativa proclamò
che la patria era in pericolo. Il popolo parigino (i sanculotti) assalì il palazzo delle Tuileries, uccise le guardie e
costrinse Luigi a mettersi sotto la protezione dell’assemblea legislativa. Questa votò la deposizione del
sovrano, il riconoscimento di una nuova municipalità parigina (il comune insurrezionale), la creazione di un
consiglio esecutivo provvisorio in attesa di elezioni a suffragio universale maschile. La caduta della monarchia
rappresentò la vittoria del movimento democratico.  La legalità dello stato era crollata. Diversi poteri
disputavano il controllo di Parigi: l’assemblea legislativa, il consiglio esecutivo, la comune insurrezionale. 
L’esercito prussiano avanzava a Parigi. Settembre 1792: i sanculotti invadono le carceri e fanno strage dei
prigionieri comuni scambiati per nemici della rivoluzione.  A risollevare le sorti della rivoluzione fu la vittoria
francese sull’esercito austro-prussiano a Valmy a cui seguì l’occupazione del Belgio, Nizza e Savoia.
 
La convenzione
Le elezioni per la nuova assemblea nel settembre 1792.  la nuova assemblea, la Convenzione proclamò la
repubblica. Scomparsi i foglianti, la destra era occupata dai girondini, la sinistra dai deputati della montagna, il
centro da una massa di più di 400 deputati che oscillava tra i 2 partiti e si chiamava palude.
Il primo atto dello scontro fu il processo del re. Per i montagnardi rappresentati da Robespierre, Luigi,
colpevole di alto tradimento per aver cospirato con le potenze straniere doveva essere considerato nemico
della nazione, non un imputato avente diritto di un processo. La maggioranza della convenzione decise di
processarlo davanti ai deputati; la Gironda per ritardare l’esito del processo fece appello al popolo come unica
autorità legittima. La proposta dei girondini fu respinta. Il 14 gennaio 1793 fu approvata la condanna a morte
del re e il 21 gennaio fu ghigliottinato.  L’Europa monarchica minacciata dalle frontiere francesi  e i suoi
privilegi dopo l’occupazione del Belgio, Nizza e Savoia dava vita alla prima coalizione antifrancese. Nel 1793 la
convenzione dichiarava guerra all’Inghilterra, Olanda e Spagna. In Marzo fu evacuato il Belgio. Il crollo delle
armate rivoluzionarie fece perdere alla Francia tutte le terre conquistate sulla riva sinistra del Reno
In Francia ci fu una crisi finanziaria: il valore della moneta era crollato. Ci fu una guerra civile che interessò
soprattutto il dipartimento della Vandea. Dal 10 marzo l’ovest contadino della Francia insorse. I suoi bersagli
erano la repubblica giacobina. La coscrizione obbligatoria e la città che depredava la campagna. In suoi valori
erano il re la chiesa e la difesa della piccola proprietà contadina. La convenzione istituì un comitato di salute
pubblica con il compito di vigilare sul consiglio esecutivo e sui ministri. 1793 gli austriaci avevano invaso la
Francia settentrionale. La costituzione del 1793 rappresentò una novità di rilievo: l’elezione a suffragio
universale maschile con il sistema uninominale dell’assemblea legislativa. Da un lato tutto il potere legislativo
era affidato a un’unica assemblea, dall’altro per l’approvazione di leggi importanti per la vita della nazione era
previsto il ricorso al referendum.

Il terrore :
Si attuò un aumento del potere esecutivo con il suo progresso slittamento verso la dittatura rivoluzionaria. Il
primo passo fu il rimpasto del comitato di salute pubblica in cui entrarono esponenti dei montagnardi e
dell’estreme sinistra compreso Robespierre.. Il secondo passo fu il controllo del comitato su tutta la società e
sui comitati di vigilanza. Il terzo passo fu l’organizzazione di una giustizia rivoluzionaria con l’annullamento di
tutte le garanzie giuridiche degli accusati e del ricorso in appello. La convenzione votò la legge dei sospetti che
imponeva a tutti i cittadini l’obbligo di un certificato di civisme. Erano questi i fondamenti di un regime di
dittatura definito di terrore. Esso prevedeva l’accentramento del potere nel comitato di salute pubblica, lo
smantellamento di tutti i club e società popolari, il controllo dell’economia e della politica da parte del
governo rivoluzionario.  Il comitato di salute pubblica dovette affrontare le rivolte urbane dei sanculotti a
Parigi, la guerra di Vandea e di altri dipartimenti insorti. I sanculotti invasero anche la Convenzione ma
Robespierre riuscì a dirigere verso altri obiettivi la protesta popolare di Parigi arruolando i sanculotti in un
esercito rivoluzionario per la requisizione del grano nelle campagne e la caccia agli accaparratori. L’esercito
dei ribelli di Vandea fu massacrato. Alla fine del 1793 il potere vedeva in ascesa Ropespierre. Era stato eletto
agli stati generali ed era divenuto uno dei leader del partito giacobino. Era stato una delle guide della comune
insurrezionale di Parigi. Era poi stato eletto alla convenzione. Si erta schierato a sinistra tra i montagnardi e
aveva votato la morte del re. Era membro del comitato di salute pubblica e aveva coordinato gli atti più
importanti del governo. Ma nella convenzione aveva nemici sia a sinistra che a destra. Sul primo fronte gli
arrabbiati legate alle istanze più estremistiche del popolo parigino, sul secondo gli indulgenti inclini alla
tolleranza e alla moderazione politica. L’opposizione degli arrabbiati fu eliminata e alcuni esponenti
ghigliottinati. Il comitato di salute pubblica era nelle mani di Robespierre. Con la legge del 10 giugno 1794 la
violenza diventava il sistema di governo. Soppresso ogni diritto alla difesa, atti d’accusa collettivi mandarono
alla ghigliottina migliaia di francesi.  Robespierre ottenne la grande vittoria di Fleurus contro gli eserciti
stranieri che consentì alle armate rivoluzionarie di penetrare in Belgio, conquistare Bruxelles e occupare la
Catalogna.  Nel luglio 1794 un complotto fatto dai membri del comitato di salute pubblica e da esponenti della
Convenzione fece arrestare Robespierre e lo fece ghigliottinare. 
Termidoro 1794-95:Nel mese di Termidoro dell’anno II della repubblica aveva termine il periodo più intenso
della rivoluzione. Era crollato l’antico regime e si erano affacciati sulla scena i problemi dei regimi
liberaldemocratici moderni: l’equilibrio difficile tra uguaglianza e libertà, il rapporto tra rappresentanti e
rappresentati, il rapporto tra poteri dello stato.  La reazione in Francia dopo Termidoro e la caduta di
Robespierre battè strade diverse: furono aboliti tribunali speciali, eliminati gli strumenti della dittatura,
evacuate le carceri. La caccia al giacobino alimentò altre violenze e forme di terrore. L’11 novembre la
convenzione decideva la chiusura del club dei giacobini e cercava di limitare i mutamenti politico istituzionali:
le novità furono la riduzione dei poteri del comitato di salute pubblica e la riammissione dei girondini alla
convenzione. La nuova politica economica tra il 94 e il 95 portò alla fine dell’economia regolata e alla
liberalizzazione del commercio. Questi provvedimenti in coincidenza con la crisi agraria provocò la rivolta dei
sanculotti a Parigi nelle giornate di Germinale e Pratile.  Il 12 Germinale la seduta la seduta della convenzione
fu interrotta dai rivoltosi che però non fecero pressione per nominare un governo insurrezionale ma sfilarono
esprimendo parole d’ordine contraddittorie. La costituzione dell’anno III approvata dalla convenzione il 22
agosto 1795 soppresse come pericoloso l’articolo essenziale della dichiarazione del 1789 “gli uomini nascono
e rimangono liberi ed uguali per diritti” sostituendolo con il principio che l’uguaglianza consiste in ciò che la
legge è uguale per tutti.  Il suffragio universale sancito dalla costituzione del 1793 veniva ora abolito e il
suffragio ritornava come nella prima costituzione a doppio grado: gli elettori designati da cittadini attivi
dovevano essere proprietari di un patrimonio di reddito non inferiore a 200 giornate lavorative. Quindi 30.000
elettori eleggevano un corpo di 750 membri divisi in 2 consigli: il consiglio dei 500 proponeva leggi e votava
risoluzioni che il consiglio degli anziani doveva approvare e trasformare in leggi. Il governo fu affidato a un
direttorio di 5 membri scelti dagli anziani in un elenco fornito dai 500: esso durava in carica 5 anni e nominava
i ministri. Fu ripristinato il controllo giuridico-amministrativo nelle municipalità e furono abolite le comuni
rivoluzionarie che tra il 92 e 93 avevano condizionato la dinamica del processo rivoluzionario. I principi della
proprietà privata e del liberismo economico furono sanciti dalla nuova carta costituzionale.
Fu votato un decreto sulla composizione dei nuovi consigli, il Decreto dei due terzi: due terzi dei consigli
dovevano essere eletti tra i membri della convenzione. Il decreto era redatto dalla paura della vittoria
elettorale dei monarchici sostenuti dall’erede legittimo di Luigi XVI. Con la costituzione dell’anno III i
termidoristi fecero valere il principio della separazione dei poteri, del ritorno a una democrazia
rappresentativa, del primato della legge.Il primo direttorio 1795-97:
Le elezioni del 1795 furono favorevoli a monarchici ma al direttorio, cioè al potere esecutivo, gli ex
convenzionali che per il decreto dei due terzi risultarono la maggioranza nei consigli riuscirono a imporre 5
personalità che avevano votato la condanna a morte di Luigi.  La crisi, i problemi di liquidità finanziaria, la
guerra, la divisione del paese condizionarono la politica del direttorio tra il 1795 e il 1797.  Nell’inverno del
1795-96 Babeuf, giornalista e Buonarroti diedero vita a una congiura contro il direttorio detta congiura degli
eguali. La dottrina politico-sociale detta babuvismo prevedeva l’uguaglianza dei salari, l’abolizione della
proprietà privata, il controllo sulla distribuzione del reddito, la soppressione dell’eredità e l’educazione
comune. Predicava il comunismo dei beni. Sul piano pratico il movimento non sortì alcun effetto e la congiura
fu scoperta. Babeuf condannato a morte e Buonarroti deportato.  Tra il 1796 e il 97 la crisi finanziaria investì la
Francia. Rilevanti successi ottenne invece il direttorio nella politica internazionale: nel 1795 stipulò il trattato
di Basilea con la Prussia e dell’Aja con l’Olanda. La Prussia aveva riconosciuto il passaggio alla Francia della riva
sinistra del Reno, l’Olanda aveva dovuto accettare l’occupazione francese del suo territorio e la sua
trasformazione istituzionale in repubblica democratica. La Spagna che aveva aderito al trattato di Basilea
aveva dovuto cedere una parte del suo possedimento di Santo Domingo alla Francia. Nel 1796 solo
l’Inghilterra e l’Impero asburgico restavano in armi: la prima preoccupata delle mire espansionistiche francesi
in Belgio e Olanda, la seconda colpita dall’esecuzione capitale di Maria Antonietta figlia dell’imperator
Francesco I e Maria Teresa d’Austria.  Tre armate furono lanciate contro l’Impero asburgico: la prima in
Europa occidentale, la seconda sul confine con la Svizzera, la terza in Italia. 
Napoleone e la campagna d’Italia:
Il comando dell’armata d’Italia era stato assegnato dal Direttorio a Napoleone Bonaparte. Nel giro di un mese
piegò il Regno di sardegna costringendo Vittorio Amedeo III a firmare l’Armistizio di Cherasco. Poi fece il suo
ingresso a Milano dove creò una nuova municipalità. La mancata offensiva del generale Mureau, comandante
delle truppe in Germania permise agli austriaci di trasferire forti contingenti di truppe in Italia e di lanciare
contro Napoleone alcune spedizioni  tra il 96 e il 97. Napoleone assesia Mantova, poi passa ai territori pontifici
e Pio VI è costretto a firmare la pace di tolentino rinunciando a Bologna, Ferrara e la Romagna. Poi si spinge
verso Vienna per via di Udine. A 200 km da vienna firma i preliminari per la pace con l’Austria: la Lombardia e
il Belgio erano assegnati alla Francia, l’Austria aveva una parte del Veneto. 
La campagna d’Italia rafforzò la posizione politica di Napoleone in Francia.

Il secondo direttorio 1797-99:


L’abbondanza dei raccolti fece crollare il prezzo dei prodotti agricoli: boccata d’ossigeno per il proletariato
urbano ma motivo di frustrazione per i piccoli proprietari. La destra monarchica era in ripresa, le elezioni del
marzo 1797 furono un trionfo per essa. 
Allora i militari salvarono la rivoluzione con un colpo di stato. Furono i militari e Napoleone a venire in
soccorso di una parte del direttorio. Nella notte tra il 3 e i 4 settembre, un’armata comandata da un
subordinato di Napoleone occupò Parigi e arrestò i capi realisti, uno dei membri del Direttorio. In una seduta
dei consigli fu annullata l’elezione di 198 deputati.  Nel periodo del secondo Direttorio seguirono tutte le
misure tipiche delle fasi successive al colpo di stato: inasprimento delle leggi sui controrivoluzionari, censura e
controllo della stampa, violenta repressione che colpì tutti i sospetti.  Nel 1798 furono manipolati i risultati
delle elezioni per i consigli, i giudici e altre amministrazioni.  Il secondo direttorio promosse anche due
importanti riforme: quella finanziaria e quella militare. Per ridurre il debito pubblico fu dichiarata la
bancarotta. Fu resa efficiente la riscossione delle imposte, si ridusse di due terzi il debito pubblico e la nuova
legge sulla coscrizione istituì il servizio militare obbligatorio. 

Le repubbliche giacobine promosse da Napoleone:


L’entusiasmo per i valori di libertà e democrazia si diffuse in tutta Europa e fu notevole la fortuna europea del
giacobinismo. Si distingue il giacobinismo individuale dal giacobinismo organizzato. Il primo è un  movimento
di opinione e raccolse propagandisti isolati di una rivoluzione lontana. Fu limitato nella sua libertà di
movimento, sorvegliato dalle polizie e ridotto alla clandestinità. Il secondo si richiamò all’ideologia
democratica di Robespierre e poté formarsi e svilupparsi perché trovò condizioni favorevoli quali la libertà di
riunione e di espressione.  Fu l’intervento militare francese a creare le condizioni per la genesi di un
giacobinismo organizzato all’interno dei territori occupati: Savoia, Paesi Bassi austriaci e Belgio. In Prussia,
Russia, Germania, Impero asburgico il giacobinismo fu represso. Anche in Italia la repressione si accentuò. 
Nel passaggio dai governi provvisori alla proclamazione delle repubbliche (che furono le nuove forme
istituzionali stabilite nei territori italiani occupati) Napoleone favorì l’affermazione delle correnti moderate la
cui base sociale era costituita da esponenti illuminati dell’aristocrazia e della più ricca borghesia. La prima
repubblica in Italia fu la repubblica Cispadana (1796) formata da  Ferrara, Modena, Reggio Emilia e Bologna.
Poi ci fu la repubblica Cisalpina formata da Bergamo, Brescia e la Valtellina (1797).  Poi ci fu la repubblica di
Genova che prese il nome di repubblica Ligure.  Con il Trattato di Campoformio napoleone cedeva all’Austria il
Veneto, l’Istria e la Dalmazia in cambio del riconoscimento della repubblica Cisalpina. 
1798 un incidente diplomatico provocò l’occupazione francese dello stato pontificio: Pio VI fu espulso e nella
città fu proclamata la repubblica romana.  La crisi di Napoleone in Egitto, lo scarso numero delle truppe
francesi in Italia, l’istigazione dell’Inghilterra, la proclamazione della Repubblica di Roma, indussero il Re di
Napoli, Ferdinando IV a sferrare un attacco contro l’esercito Francese nel Lazio. Nel 1798 Ferdinando IV
entrava a Roma e la occupava per 2 giorni. Ma un mese dopo i francesi rientravano a Roma e nel 1799
entravano a Napoli dove da 2 giorni i giacobini avevano proclamato la Repubblica napoletana.
Nel febbraio 1799 il Piemonte fu annesso alla Francia. A Marzo fu occupata la Toscana.
I limiti dell’esperienza del triennio derivarono sia dal rapporto tra la Francia e le repubbliche sorelle sia dallo
scarso consenso che l’esperimento politico e istituzionale incontrò tra le popolazioni dei territori occupati sia
dalla congiuntura internazionale.  In Calabria si organizzano le prime esperienze sanfediste con la formazione
di una armata cristiana e reale della santa fede comandata dal cardinale Ruffo. 
Ruffo con le sue truppe entrò a Napoli i 13 giugno. L’ammiraglio inglese Nelson consegnò i patrioti meridionali
ai Borbone rientrati a Napoli. Finì l’esperienza della repubblica napoletana. Tra la primavera e l’estate del
1799 caddero anche le altre repubbliche giacobine italiane.
Napoleone: la seconda coalizione e il colpo di stato del 18 Brumaio
Dopo Campoformio solo l’Inghilterra contrastava la Francia rivoluzionaria. Il direttorio mise in atto una
strategia fondata sullo sbarco francese oltre la manica e un insurrezione irlandese. Il comando delle
operazioni fu affidato a Napoleone. A differenza del Direttorio, Napoleone si rese conto che le flotte inglesi
erano molto più potenti. Pensò quindi a una spedizione in Egitto al fine di minacciare gli interessi coloniali
britannici. Nel 1798 la flotta francese salpò da Tolone e da altri porti italiani e si impadronì di Malta. Nella
Battaglia delle Piramidi le forze egiziane furono sconfitte ma successivamente Nelson riuscì a sconfiggere la
flotta francese e distruggerla quasi completamente.  Questo disastro incoraggiò la seconda coalizione contro
la Francia rivoluzionaria (1798) nella quale entrarono a far parte l’Inghilterra, la Russia e l’Austria con l’intento
di riprendere i territori perduti in Italia e in Germania. Nel 1799 la seconda coalizione attaccò le forze francesi
che si ritirarono sulle Alpi e sul Reno. In autunno la Francia conservava solo Genova. 
Nel giugno 1799 si ebbe un nuovo reimpasto al Direttorio: entrò Seyes. 
Napoleone il 9 ottobre 1799 sfuggì agli inglesi e sbarcò a Frejus. Il progetto di Sieyes era usare Napoleone per
promuovere un colpo di stato, modificare la costituzione, sconfiggere la controrivoluzione. Napoleone accolse
la proposta ma il suo progetto era volto ad ottenere il potere personale.  Il 18 Brumaio dell’anno VIII (9
novembre 1799) i consigli furono trasferiti da Parigi a Saint Cloud sotto scorta con il pretesto di una congiura
anarchica. La nomina di Napoleone comandante delle truppe incontrò forti opposizioni e alcuni deputati
chiesero che fosse dichiarato fuorilegge. I soldati invasero l’aula mentre io deputati fuggivano dalle finestre: si
attuò così il colpo di stato del 18 brumaio.
Napoleone console
Dopo il colpo di stato napoleone e Sieyes composero il nuovo organismo che esautorò il Direttorio: il
Consolato.  Il primo atto del consolato fu la costituzione dell’anno VIII che non conteneva una dichiarazione
dei diritti a differenza dalle precedenti. Formalmente era ristabilito il suffragio universale maschile ma nei fatti
diventava sempre più ristretto via via che procedeva verso l’alto: in ogni circondario si formava una lista
composta dal 10% dell’elettorato. Al governo spettava la nomina degli amministratori locali e dei membri delle
due assemblee legislative: il Tribunato cui competeva solo la discussione delle leggi e il Corpo legislativo che
approvava o respingeva le leggi presentate dal governo. Venne conferita a Napoleone la carica di primo
Console. Da lui dipendevano gli altri 2 consoli componenti l’esecutivo, la nomina dei ministri, funzionari e
giudici, di un Consiglio di Stato per l’elaborazione e la discussione delle leggi, del senato composto da 60
membri che aveva il compito di nominare i membri delle due assemblee legislative.
Il progetto del primo console era amalgamare l’eredità dell’assolutismo con quella rivoluzionaria e porre sotto
la sua leadership le nuove forze borghesi di ispirazione moderata quanto le personalità di maggior spicco
provenienti dall’antico regime.  I suoi successi furono molteplici. La Russia si era ritirata al principio del 1800
dalla coalizione antifrancese. Napoleone allora sorprese l’esercito austriaco in Piemonte. Occupò Milano,
sconfisse gli austriaci a Marengo. Ricostituì La repubblica cisalpina, la repubblica ligure e rioccupò il Piemonte.
Nel 1801 gli austriaci furono costretti a firmare la pace di Luneville che ristabilì in Italia la situazione
precedente al trattato di Campoformio e riconobbe alla Francia il possesso della riva sinistra del Reno. 
Viene stipulato nel 1801 il concordato con la santa sede retta da Pio VII che rimase in vigore sino al 1905. il
concordato risolveva il contrasto con Roma ma conservava il controllo dello stato sulla chiesa. Il cattolicesimo
non era religione di stato ma religione della grande maggioranza dei francesi. 
La cessazione delle ostilità con gli inglesi fu sancita ad Amiens  nel 1802. la pace stabilì la restituzione alla
Francia delle sue colonie, il ritorno dell’Egitto alla sovranità turca e la stipula di un trattato commerciale tra
Inghilterra e Francia. I tre nemici Austria, Inghilterra e Russia erano neutralizzati. Napoleone potè quindi
dedicarsi al riassetto dello stato che si identificò nel binomio accentramento amministrativo e codice civile. A
capo dei dipartimenti in cui era disposta la Francia furono disposti i prefetti rappresentanti del potere
esecutivo. Nel 1804 tutte le leggi furono raccolte nel codice civile. Nel 1802 il senato proclamò Napoleone
primo console a vita. 

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