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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

FACOLTÀ DI STUDI UMANISTICI


_______________
CORSO DI LAUREA IN LINGUE E CULTURE PER LA MEDIAZIONE LINGUISTICA

Dalla teoria alla pratica:


traduzioni italiane di ‘Their eyes were watching God’
di Zora Neale Hurston

Candidata: Ilaria Furia


Matricola: 65249 Relatore: Michela Giordano

Anno accademico 2017 - 2018


Alla mia famiglia, che ha sempre creduto in me
Alle esperienze vissute che mi hanno dato tanto con l’opportunità di aver conosciuto i veri valori
Ai miei amici che ci sono sempre stati e che sempre ci saranno
E un grazie a me per aver raggiunto i migliori traguardi.
INDICE

Introduzione

Capitolo I – La traduzione
1. Che cos’è la traduzione 11

1.1 Definizione di traduzione 12

1.2 I principi più importanti della traduzione 13

1.3 La traduzione dei testi letterari 15

1.4 Il metodo traduttore 17

1.5 La competenza traduttrice 19

1.6 Traduzione e comunicazione 21

Capitolo II – Zora Neale Hurston e la sua opera


1. Zora Neale Hurston: vita e opere 24

2. I loro occhi guardavano Dio – trama e commento 25

Capitolo III – Il dialetto afroamericano e il registro linguistico delle


traduzioni

3. Il Black English della cultura di Zora Neale Hurston 29

4. Il registro linguistico 31

5. Confronto tra ‘Their eyes were watching God’ – ‘I loro occhi guardavano Dio’ 34
Conclusione 44

Bibliografia 45

Sitografia 45
ABSTRACT

This essay focuses on the work of Zora Neale Hurston, “Their eyes were watching God”, her
most famous novel, written in 1937, and two different Italian translations of her work created in
different periods of time by Ada Prospero in 1938 and Adriana Bottini in 2009.
This novel takes place in a period far from our time and because of that it is characterised by
different behaviours and traditions, and it has got a wide variety of stylistic and linguistic
elements. It talks about a girl called Janie, who was a symbol of the Afro-american society of
the twentieth century, known for its folk tradition shared by the anthropologist and novelist
Hurston. The American novel is divided into 19 chapters as the 2009 edition. Each of these
chapters always starts with the first sentence written in italics. The 1938 edition is divided into
21 chapters with the first word written in capital letters.
My essay is divided into 3 chapters. The first chapter talks about traductology, the discipline
that has as its subject the theories on translation. I describe when and how it was born and how
at the beginning, translation did not have any rules and was not considered a real branch of
knowledge.
For this reason, I analyse the general definition of translation theorised by several writers and
philosophers. We will see how many types of translation and studies were theorised about these
issues. We will consider problems about traductology, with the various points of view used to
analyse texts. Additionally, translation will be considered as a communicative act with the aim
to transpose the meaning from one language to another, where the foreign text has the leading
role. Translation is based on basic principles that translators have to know in order to create a
transcription with the same meaning of the original text. I show how semiotic and linguistic
studies about translation allow us to understand that the transfer of a message from one
language to another is not always possible. It is not possible because every language has got its
own words that don’t correspond to the words and expressions in other languages.
Regarding the literary text, it will be important to establish his complexity, its particular
standards which distinguish them by any argumentative or scientific text .
The specific function of literary text will be considered: they are composed of words that follow
aesthetic standards, with the aim to transfer emotions to the reader.
By this theory, I describe how translators choose among several existing options for the
translation of the literary text without departing from the sense of the original text, keeping in
mind the relation between form and content.
The last paragraph talks about the ‘translator’s methods’, linguistic and technical competences.
All these are useful to move on from a cultural identity to another; translator will be able to use
them in order to demonstrate their professionality and how their work is fundamental in order to
respect the different features of languages. The second chapter describes the life of Zora Neale
Hurston, the steps of her career as anthropologist and writer in her country; we will see the
sacrifices she had to do to graduate and to have access to the literature world. We cannot
underestimate the historical period in which she was born, the Renaissance of Harlem, the
African American cultural movement started towards the beginning of the 1920s. In these years
she had the possibility to build her identity and to have an impact in her artistic production,
characterised by news publications and novels.
The next paragraph describes ‘Their eyes were watching God’ story: it shows the life of the
main character, revealing how Hurston’s mind and life were related with the leading lady and
her folk culture. I will mention the ability of Z. N. Hurston to write the novel in a couple of
weeks. In her work, she highlights the existence of racism and the figures of individual
marginalisation and alienation.
In the third chapter, I have taken into account Z. N. Hurton’s language, mentioning some
information about the Afro-american dialect: the Black English. The work has been written in
standard English when the omniscient narrator describes what happened in the dialogues. In
the second last paragraph the topic is the speech pattern used by the two Italian translators to
create a transparent translation for all readers. I will also include will see a brief biography of
the lives of the two translators.
Finally, in the last section I will show how the language varieties in the translated novel reflect
both authors’ style of writing. Some examples of the most important parts of the text are
included and some comments about the pattern speech between English and Italian complete
my work.
Introduzione

Gli studi linguistici e semiotici sulla traduzione di un libro ci insegnano che nel passaggio da
una lingua all’altra non è mai possibile dire la ‘stessa’ cosa, data l’arbitrarietà con cui le singole
lingue ritagliano in modi diversi il ‘significabile’, creando con il proprio lessico una rete di
parole mai esattamente sovrapponibili alla rete lessicale esistente in altre lingue. 1 Cimentarsi in
una traduzione di un testo in lingua inglese gestita da due autori differenti italiani che operano a
distanza di settanta anni l'uno dall'altro ha delle particolarità linguistiche molto interessanti.
Per questo motivo, mi è sembrato stimolante basare il mio lavoro su un testo come Their eyes
were watching God di Zora Neale Hurston, romanzo contenente una grande varietà di elementi
stilistici e linguistici, prodotto in un periodo storico lontano dal nostro, con abitudini, costumi e
libertà diverse. Scritto nel 1937, fu tradotto nel 1938 da Ada Prospero e nel 2009 da Adriana
Bottini.
Nel testo, una ragazza di nome Janie, mette in luce numerose caratteristiche proprie della
comunità afroamericana del XX secolo, conosciuta per la sua tradizione popolare e folkoristica
a cui apparteneva l'antropologa e scrittrice Hurston.
Il libro in inglese è suddiviso in 19 capitoli, come l'edizione del 2009; ognuno di questi capitoli
inizia sempre con la prima frase scritta in corsivo. Il libro tradotto nel 1938, invece, è diviso in
ventuno capitoli con la prima parola di ciascuno di questi in caratteri maiuscoli.
Il mio elaborato si svilupperà in tre capitoli divisi in paragrafi. Il primo tratterà sulla disciplina
specifica che studia la traduzione: la traduttologia; andrò ad analizzare le riflessioni sulla
traduzione nate più di duemila anni fa, di come la traduzione non avesse nessuna regola
particolare e non fosse considerata una vera disciplina. Analizzerò la definizione di traduzione
in generale e secondo diversi scrittori e filosofi. Andremo a vedere diversi tipi di traduzione che
si formarono in seguito e gli studi fatti su questi ultimi. Verranno considerati i problemi della
traduttologia e a grandi linee si affronteranno le prospettive traduttologiche dei diversi approcci
ai testi. A seguire, vedremo come la traduzione è considerata un atto comunicativo con
l’obiettivo di trasporre il significato di una lingua in un’altra, dove il testo straniero sarà il
protagonista. Strettamente collegati al lavoro di traduzione saranno i principi fondamentali su
cui questa è basata, i principi che il traduttore deve necessariamente conoscere perché la
traduzione possa ricevere lo stesso effetto creato nel testo originale. Per quanto riguarda il testo
letterario, sarà importante definire la sua complessità, i suoi criteri fondamentali rispetto a
qualsiasi testo argomentativo o espositivo o scientifico. Un testo letterario, lo si riconosce dalle
parole che lo costituiscono, parole che si concentrano sull’ordinamento estetico che formano un
linguaggio marcato, il cui obiettivo è trasmettere emozioni al lettore. È da questa teoria che il
traduttore stabilisce le opzioni disponibili per la traduzione del testo letterario e mette in scena
il testo che vuole elaborare rispettando i passi del progetto iniziale, ovvero senza dimenticare
mai il rapporto tra forma e contenuto, con una speciale vocazione di originalità. Il traduttore
parte necessariamente dal concetto di fedeltà linguistica e culturale trovandosi davanti ad
un'altra lingua, con le capacità di rendere chiari messaggi, che spesso sono già complicati in
partenza. Tutte queste sfaccettature della traduzione potranno essere analizzate solo se il
traduttore avrà le conoscenze e le competenze che ha sviluppato durante la sua formazione.
L’ultimo paragrafo del primo capitolo si concentrerà sui metodi del traduttore, le competenze
linguistiche e traduttive per riuscire a passare da un’identità culturale ad un’altra. Per questo,
per saper tradurre per esempio, il cartello “Keep on the grass” o un sonetto o una barzelletta
non basterà essere neppure bilingui precoci: il traduttore conoscerà bene le lingue ma allo stesso

1
R. Puggioni, Teoria e pratica della traduzione letteraria, Bulzoni, Roma 2006, p. IX
8
tempo le saprà usare, al fine di dimostrare le sue competenze, mettendo in atto la sua
professionalità. Usare due lingue professionalmente significa saper passare indifferentemente
dall’una all’altra modificando le tonalità foniche e la mimica, la grafia, lo stile espressione,
prendendo le decisioni con una rapidità superiore al tempo necessario per una manovra
cosciente.2
Il secondo capitolo mira a descrivere l’autrice Zora Neale Hurston, i passi che fece per
affermarsi come scrittrice e antropologa nel suo paese e i sacrifici che dovette fare per laurearsi
e poter entrare nel mondo della letteratura, grazie a persone di spicco che credettero in lei.
Da non sottovalutare è il periodo storico in cui è nata, nel rinascimento della Harlem,
movimento artistico-culturale afroamericano sorto verso l’inizio degli anni venti. Anni che le
diedero la possibilità di esaminare la propria identità e influenzare il flusso della sua produzione
artistica, caratterizzata da diverse pubblicazioni giornalistiche e romanzi. È grazie ai suoi studi
dedicati all’antropologia e alla letteratura orale degli stati del Sud che intraprese la carriera della
letteratura. Il suo modo di pensare così profondo caratterizzò le sue opere e fu così frainteso e
criticato da suscitare disinteresse per i suoi lavori, tanto da cadere in miseria negli ultimi anni
della sua vita. Nonostante questo, la Hurston diventò così importante da essere ricordata in
seguito dal resto del mondo letterario e non solo.
A seguire si descriverà la trama del romanzo ‘I loro occhi guardavano Dio’ per rendere chiara
la storia della protagonista, far capire quanto l’autrice si immedesimi nella figura principale e
cultura folk, andando alla ricerca della scoperta di sé stessa nell’altro e attraverso l’altro.
Evidenzierò che in un libro come questo, la triste esistenza del razzismo possa affievolirsi fino a
scomparire del tutto; tema che sintetizzerò nel commento sul romanzo appena citato, scritto in
poche settimane e giudicato negativamente dalla critica letteraria di quel tempo. In questo passo
verranno citate le figure dell’emarginazione dell’individuo e l’alienazione, che rendono ‘I loro
occhi guardavano Dio’ un’opera degna di essere ricordata nel tempo. Nel terzo capitolo, visto il
linguaggio utilizzato da Zora Neale Hurston, ho pensato non potesse essere non menzionato
qualche cenno interessante sul Black English. L’opera è stata scritta in inglese standard quando
il narratore onnisciente descrive ciò che accade tra un dialogo e l’altro, ma intervallata da
numerosi dialoghi in dialetto afroamericano che danno al libro un’ulteriore nota di autenticità.
L’accumulo di questi aspetti culturali fanno apparire quest’opera armonica e bella, fanno
apparire l’essere una donna afroamericana una qualità tangibile, un’essenza che può essere
condivisa con milioni di individui di lingue e religioni diverse.
Nel penultimo paragrafo il tema citato sarà quello del registro linguistico utilizzato dalle due
autrici italiane e una breve descrizione della loro biografia. La varietà di lingua impiegata nel
romanzo, riflette lo stile della scrittura di chi ha prodotto l’elaborato, permettendo alle due
scrittrici di pubblicare due traduzioni che hanno mirato al rispetto della volontà comunicativa
della Hurston, riuscendo ad interpretare il significato del romanzo, senza cambiarne il senso.
Infine, ho deciso di concludere la tesi facendo una comparazione delle parti più significative dei
due testi in italiano e inglese per affrontare e commentare in maniera specifica i problemi del
registro linguistico tra le due lingue.

2
Salmon L., Teoria della traduzione. Storia, scienza e professione, Vallardi editore, Milano 2002, p. 213
9
CAPITOLO I

10
Cos’è la traduzione

La storia della traduzione inizia simbolicamente con la caduta della torre di Babele, che
rappresenta la fine dell’unità linguistica universale. Non c’è dubbio che questa disciplina abbia
origini molto antiche. Le prime tracce di traduzioni risalgono al 3000 a.C. dove nell’Antico
Regno degli egiziani, nell’isola di Elefantina sono state rinvenute iscrizioni bilingui. Una parte
significativa della storia della traduzione in Occidente ha a che fare con la traduzione di testi
biblici. Le prime traduzioni scritte attestate sono state infatti quelle della Bibbia. Ciò si deve al
prolungato non utilizzo della lingua ebraica in forma orale che ne determinò la quasi
scomparsa. Il XX secolo è stato definito «l’epoca della traduzione», afferma il filosofo tedesco
W. Benjamin, mentre nel XIX secolo la traduzione costituiva solo un mezzo di comunicazione
unidirezionale fra uomini di lettere di spicco e in misura minori fra filosofi e scienziati. 3
Per lunghi secoli la traduzione è esistita senza nessuna regola particolare. Nei grandi trattati o
nei manuali di linguistica non c'è nessun capitolo che faccia cenno alla traduzione come
operazione linguistica. Un semplice stato di cose sarebbe durato finché l'interprete rimaneva un
semplice subalterno considerato con un po' di disprezzo e finché la maggior parte dei traduttori
continuava ad essere qualcosa tra l'artigiano e il lavoratore a domicilio, ovvero una categoria di
colti dilettanti che lavorassero di più, per la gloria e non per il guadagno.
Al giorno d'oggi i traduttori rappresentano una categoria professionale molto vasta, la cui
formazione si compie in un numero crescente di scuole interpreti, nate quasi sempre all'ombra
di un'università celebre. 4
La disciplina che si occupa del problema della traduzione è relativamente giovane. Una delle
cause di questa 'lacuna' è che la traduzione ha sofferto e soffre tutt'oggi di un ruolo marginale,
subordinato rispetto agli altri tipi di scrittura/riscrittura e fa fatica ad essere accettata come
attività culturale di pari livello. È opinione comune che la traduzione è o debba essere un testo
che riproduce in maniera identica un testo originale.
Intorno al secondo dopoguerra, si verificarono i primi segnali che affrontano il problema. La
disciplina che si voleva fondare è stata chiamata con nomi diversi tra loro, ognuno dei quali
rifletteva una diversa impostazione teorica. I nomi furono: scienze della traduzione, teoria della
traduzione, traduttologia e infine Translation Studies. La si chiama Translation Studies perché
non è una scienza e forse nemmeno una teoria, ma è certamente un campo di studi. Non è una
scienza perché sono pochi i criteri generalmente riconosciuti con cui si possa dimostrare che
una certa teoria è sbagliata. E non è una teoria, perché a una teoria si richiede una maggiore
uniformità di quanto si possa trarre negli studi sulla traduzione.
Nel XX secolo sono stati messi in discussione diversi concetti su cui si sono basate tutte le
teorie della traduzione, rendendosi conto che anche i concetti di lingua e nazionalità non sono
così ovvi. Derrida mette poi in discussione i concetti di originalità e di autorità creando
l'opposizione tra 'originale' e 'traduzione' che rendeva invisibile il traduttore. 5
Si affrontano quindi in questo decennio tematiche mai affrontate prima nei Translation Studies,
grazie alla prospettiva multiculturale e multietnica e a quella postcoloniale.
Le impostazioni teoriche sono numerosissime e variano nella definizione dell'oggetto
disciplinare, nella definizione di che cosa sia una traduzione, di che cosa voglia dire tradurre e
della natura del lavoro di chi traduce.

3
Hurtado A. A., Traducción y traductología. Introducción a la traductología, Cátedra, Madrid 2013, p. 19
4
Mounin G., Teoria e storia della traduzione, Einaudi, Torino 1995, pp. 13-14
5
Ivi, pp 15-16
11
Definizione di traduzione

Come primo passo è importante dare una definizione di traduzione: ‘la traduzione è un processo
interpretativo e comunicativo di riformulazione di un testo, che si sviluppa in un contesto
sociale. Da questa definizione vogliamo mettere in evidenza tre elementi: il processo, il testo e
il contesto. Tutta la traduzione presuppone lo sviluppo da parte dell'individuo, di un processo
mentale che gli permette di effettuare il trasferimento dal testo originale fino alla produzione di
un testo d'arrivo.’6
Ci sono diverse teorie che descrivono il processo della traduzione. Una importante teoria da
considerare è quella di Umberto Eco quando parla di fedeltà collegata alla traduzione. Il
concetto di fedeltà considera la traduzione come una delle forme dell'interpretazione e che
l'interpretazione debba sempre mirare, sia pure partendo dalla cultura e sensibilità del lettore, a
ritrovare l'intenzione del testo, quello che il testo dice o suggerisce in rapporto alla lingua in cui
è espresso e al contesto culturale in cui è nato.7
Newmark invece considera l'importanza della cultura fondamentale come quella del messaggio;
il traduttore quindi riprodurrà la forma e il contenuto dell'originale il più letteralmente possibile
senza preoccuparsi dell'effetto equivalente. Con traduzione, quindi, si intende il tentativo di
sostituire un messaggio e o un enunciato scritto in una lingua con lo stesso enunciato e o
messaggio in un'altra lingua. Ogni traduzione comporta una certa perdita di significato per una
serie di fattori.
Si provoca infatti, una continua tensione, una dialettica e la perdita fondamentale che si ha in un
continuo oscillare fra «ipertraduzione» (overtranslation, aumento dei dettagli) e
«ipotraduzione» (undertranslation, aumento della generalizzazione).8
Un traduttore deve essere esperto di critica testuale letteraria e non letteraria per poter valutare
la qualità di un testo prima di decidere come interpretarlo e quindi come tradurlo. Autori come
Savory e Reiss hanno scritto che il traduttore tecnico si occupa del contenuto, quello letterario
della forma. Altri affermano che la traduzione tecnica dev'essere letterale e libera, altri invece
l'opposto.
Un traduttore deve rispettare scrupolosamente un modo di scrivere elegante, rispettando la
lingua, le strutture e il contenuto in essa presenti, sia che si tratti di un brano scientifico,
poetico, filosofico o narrativo.
Per descrivere i tipi concreti di traduzione esistono diversi termini con connotazioni valutative.
Per esempio, una buona traduzione può essere definita «valida», «precisa», «adeguata» e così
via. Se vogliamo che la teoria abbia anche valore teorico è opportuno che si valuti non solo la
qualità delle traduzioni ma che le si descriva. È opportuno formulare i requisiti fondamentali di
un modello teorico del processo traduttivo. La traduzione è un processo per il quale la catena
dei significanti, che costituisce il testo della lingua di partenza viene sostituito da una catena di
significanti nella lingua d'arrivo, che il traduttore fornisce in forza di un'interpretazione. Testo
straniero e traduzione sono entrambi costituiti da diversi materiali linguistici e culturali che non
scaturiscono né dallo scrittore straniero, né dal traduttore e destabilizzano il lavoro di resa del
significato. Il risultato vede il testo straniero come il luogo di diverse possibilità semantiche

6
Hurtado A. A., Enseñar a traducir. Metodología en la formación de traductores e intérpretes, Edelsa, Madrid 1999,
pp. 30-31
7
Nergaard S., Teorie contemporanee della traduzione, Bompiani, Milano 1995, p. 123
8
Newmark P., La traduzione. Problemi e metodi, Garzanti, Milano 1988, pp. 24-30
12
fissate solo provvisoriamente in ogni singola traduzione, sulla base di presupposti culturali che
variano a seconda delle situazioni sociali e periodi storici diversi.
Essendo il significato un rapporto plurale e contingente, una traduzione non potrà essere
giudicata secondo i concetti matematici di equivalenza semantica o di corrispondenza univoca.
I richiami al testo straniero non possono consentire di decidere in assenza dell'errore linguistico,
tra traduzioni diverse che siano in competizione, in quanto i canoni di accuratezza per la
traduzione e concetti di fedeltà e libertà sono categorie storicamente determinate. La vitalità di
una traduzione è determinata dalla sua relazione con le condizioni sociali e culturali in cui viene
prodotta e letta.
La ricostituzione del testo straniero secondo i valori, le convinzioni e le rappresentazioni
preesistenti nella lingua d'arrivo, sarà configurato in gerarchie di predominio e marginalità,
sempre nell'intenzione di determinare la produzione, la circolazione e la ricezione dei testi. La
traduzione è la sostituzione violenta della differenza culturale e linguistica di un testo straniero
con un altro testo intelligibile per il lettore della lingua d'arrivo.
Il fine della traduzione è quello di ricondurre un'alterità culturale a ciò che è omologo,
addirittura familiare. 9
La traduzione, quindi intesa come processo di formulazione linguistica, lavora su una serie di
operazioni code switching (commutazione di codice), riproducendo nella lingua d’arrivo un
messaggio prodotto da un emittente nella lingua di partenza, rendendo il tutto accessibile al
ricevente nella lingua d'arrivo. Il tradurre si configura così come interlingual translation
(traduzione esolinguistica o interlinguistica) o translation proper, (traduzione nel senso proprio
del termine).
Tutti questi passaggi presuppongono perciò nel senso della semiotica, la comprensione
sintattica, semantica e pragmatica dell'originale e una competenza introduttiva adeguata al
testo.10

I principi più importanti della traduzione

Esistono alcuni principi basici che reggono la traduzione: la priorità della comunicazione e
l'adattamento alla lingua di arrivo, dove si descrivono diversi mezzi linguistici per ottenere una
identità di intenzioni comunicative. Il traduttore non traduce per sé stesso (a parte rare
occasioni), traduce per un destinatario che ha bisogno di lui come mediatore linguistico e
culturale, ai fini di poter accedere ad un testo. Ci sono quindi, nella traduzione dei principi
basici che non si possono perdere:

1. La ragione d'essere della traduzione è la differenza tra le lingue e le culture.


2. La traduzione ha una finalità comunicativa.
3. La traduzione è indirizzata ad un destinatario che necessita della traduzione senza conoscere la
lingua e la cultura in cui è formulato il testo originale.
4. La traduzione è condizionata dalla finalità che segue e la finalità varia secondo i casi. 11

9
Lawrence V., L’invisibilità del traduttore, Armando, Roma 1999, (The translator’s invisibility, Routledge, London
1995), pp. 41-43
10
Rega L., La traduzione letteraria. Aspetti e problemi, UTET, Torino 2001, p. 13
11
Hurtado A.A., Traducción y traductología. Introducción a la traductología, Cátedra, Madrid 2013, pp. 31-32
13
La finalità comunicativa della traduzione nasce dall'esigenza di porre rimedio alla differenza
linguistica e culturale. 12
Sottolineando il fatto che la traduzione è un atto di comunicazione, si segnala l’influenza del
contesto socioculturale nella traduzione: la traduzione come mediazione culturale, l’importanza
della ricezione della traduzione, del suo obbiettivo, etc.

Gli studiosi Nida e Taber affermano che la traduzione «consiste nel riprodurre tramite una
equivalenza naturale e esatta, il messaggio della lingua originale nella lingua di ricezione»
(1969/1986).
Hatim e Mason (1990/1995) presentano la traduzione come «processo comunicativo che ha
luogo in un contesto sociale». Reiss e Vermeer richiamano l'attenzione sul fatto che «il
principio dominante di tutta la trasposizione è il suo obbiettivo» (1984/1996). Per la traduttrice
Nord la traduzione è un «atto comunicativo», il cui criterio fondamentale è la «funzionalità». 13
Sono tre le questioni basiche da prendere in considerazione durante la riflessione sulla
traduzione e cernere le sue caratteristiche essenziali:

● Si traduce perché le lingue e le culture sono differenti; la ragione d'essere della traduzione è la
differenza linguistica e culturale.
● Si traduce per comunicare, per oltrepassare la barriera di isolamento dovuta alla differenza
linguistica e culturale; la traduzione ha quindi una finalità comunicativa.
● Si traduce per qualcuno che non conosce la lingua e generalmente anche la cultura in cui è
formulato il testo (scritto, orale o audiovisivo). 14

Un altro aspetto chiave è il destinatario della traduzione; le sue necessità, quello che conosce o
no rispetto all'ambiente circostante del testo originale e l'obbiettivo con cui deve affrontare il
testo sono elementi che governano la traduzione.
Considerando i vari contesti analizzati per la riuscita di una traduzione adeguata, sottolineiamo
che il traduttore deve possedere delle conoscenze linguistiche per comprendere il testo nella
lingua di partenza. Il bilinguismo è quindi una condizione essenziale per essere un traduttore.
Ogni lingua utilizza mezzi linguistici differenti nonostante si debba esprimere la stessa
intenzione comunicativa nella stessa situazione di comunicazione. L'uso di questi mezzi è una
delle principali caratteristiche che danno una identità di intenzioni comunicative e reggono uno
dei principi fondamentali della traduzione.
Esistono casi difficili di traduzione, dove alcuni testi per alcuni possono rivelarsi quasi
intraducibili; se si parte invece da una concezione limitata della traduzione avvicinandosi alla
rigorosa riproduzione degli elementi linguistici, facilmente si cadrà nell'intraducibilità. Si tratta
di studiare il testo secondo il genere a cui appartiene e il suo scopo, elaborare quindi un articolo
per riprodurlo ai lettori, possessori di altre lingue, creando lo stesso effetto. Le soluzioni che
variano da una lingua all'altra prendono in considerazione in primo luogo il senso del testo, il
significato delle parole e delle frasi nel contesto, osservando con attenzione il genere testuale di
cui si sta parlando.

12
Ivi, p. 33
13
Ivi, pp. 38-39
14
Ivi, pp. 28-29
14
Tutte le informazioni che si possono captare grazie al contesto testuale, ci permettono di capire
la situazione comunicativa che si verifica (il contesto situazionale). Senza questi elementi
basilari la comprensione del testo sarà impossibile e di conseguenza, la sua traduzione.
Il traduttore, in funzione dell'intenzionalità del testo, tiene conto delle forme linguistiche che
sono proprie in ogni lingua. Allo stesso tempo si dedica al bagaglio culturale di ognuna di esse
perché la traduzione possa ricevere lo stesso effetto raggiunto con il destinatario del testo
originale. Il contesto, la importanza degli elementi culturali e il traduttore lavorando per il "suo"
destinatario, risolvono problemi che creano discrepanze in entrambi i contesti culturali.
Nel momento in cui riflettiamo sulla traduzione, non possiamo dimenticare che interviene
sempre un soggetto (il soggetto traduttore), che effettua l'attività della mediazione ottenendo un
risultato concreto. Il traduttore è un'attività del soggetto; per svilupparla egli dovrà possedere
conoscenze certe, effettuando un processo mentale complesso, dove intervengono più
operazioni cerebrali, i cui processi basici sono la comprensione e la rideterminazione. 15

La traduzione dei testi letterari

Lo studioso ceco Jiří Levý (1926–1967) afferma che l'obbiettivo del traduttore è quello di
preservare, cogliere e trasmettere l'opera originale, cioè riprodurre un'opera già esistente e non
di crearne una nuova. In tal senso, la traduzione può essere definita come segue: “Una
traduzione in quanto opera d’arte è una riproduzione artistica, una traduzione in quanto
processo è una creazione originale e una traduzione in quanto forma artistica è un caso limite
sull’interfaccia tra arte riproduttiva e arte creativa originale”. 16
Come per qualsiasi tipo di arte, rispetto all’analisi estetica di un’opera letteraria tradotta,
subentra la necessità di stabilire i criteri fondamentali per la sua valutazione, vale a dire per la
definizione della categoria del valore. Il valore è determinato dalla relazione tra l’opera e le
norme che regolano quel tipo di arte – la scrittura, nel nostro caso. Due sono, secondo Levý, le
norme vigenti nell’evoluzione dell’arte riproduttiva, di cui la traduzione fa parte: la norma
riproduttiva (ovvero l’esigenza di cogliere l’originale fedelmente) e la norma artistica (cioè
l’esigenza estetica). In termini traduttologici, in questa antinomia si esprime la contrapposizione
tra fedeltà e libertà della traduzione. Nell’ottica di Levý entrambi gli attributi sono necessari:
“una traduzione deve essere la riproduzione quanto più accurata dell’opera originale, ma
soprattutto deve essere un’opera valida nella letteratura di appartenenza, altrimenti anche la più
elevata accuratezza è inutile”. 17
Diversamente dall’originale, le traduzioni di opere letterarie non sono manufatti indipendenti,
ma aspirano ad essere la “riproduzione del loro originale”.
Il traduttore dovrà sempre stabilire la qualità e il valore del modo di scrivere nel testo in lingua
di partenza (LP). È errata la tipica distinzione fra testi letterari e non letterari operata dal
traduttore basandoci sull'importanza dei primi, che risiederebbe negli elementi formali e quella
dei secondi nel contenuto fattuale e che i primi quindi dovrebbero essere tradotti fedelmente e i
secondi liberamente. È utile considerare i testi non letterari come denotativi e testi letterari
come connotativi, da tradurre cioè in modo tale da rivelarne il significato latente.

15
Ivi, pp. 34-37
16
Levý J., The Art of Translation, John Benjamins, Amsterdam/Philadelphia 2011, p. 13
17
Ibidem
15
Tuttavia, la distinzione fondamentale non è quella fra testi letterari e non letterari, bensì quella
fra un modo di scrivere efficace e uno inefficace. 18
L'attitudine del traduttore generale e del letterario sono differenti davanti al testo che devono
tradurre, anche perché i testi letterari sono caratterizzati da un eccesso estetico. Di fatto, il
linguaggio letterario potrà ritenersi come un linguaggio marcato con risorse letterarie, vale a
dire, con risorse il cui obbiettivo sarà soddisfare nell'uso estetico della lingua e trasmettere
emozioni al lettore. Sono caratteristiche proprie del linguaggio letterario.
La maggior parte delle riflessioni sulla traduzione che sono nate nel corso della storia hanno
girato intorno alla traduzione letteraria.
Il traduttore di testi specializzati necessita delle competenze specifiche (una competenza
letteraria). Queste competenze comprendono ampi conoscimenti letterari e culturali e
determinate attitudini relazionate con il funzionamento di questi testi (buone abilità nella
scrittura, creatività, etc.).
La traduzione letteraria può avere diversi scopi, che dipendono dallo status dell'opera letteraria
(subletteratura, classici della letteratura, etc.), il compito della traduzione (per una edizione
tascabile, per una edizione bilingue selettiva, etc.) e il destinatario (per un pubblico di giovani,
per bambini, per un pubblico colto).
Questi obbiettivi diversi tra loro possono determinare progetti di traduzione guidati da metodi
differenti: una traduzione commentata, adattata, la versione libera, etc. 19
È proprio per questo che colleghiamo qui l'annoso problema della fedeltà opposta alla bellezza
e viceversa. La traduzione letteraria non è un'operazione linguistica, afferma Henry Francis
Cary, ma bensì un'operazione letteraria. 20 Nell'analisi di un testo da tradurre è bene prendere in
considerazione il contesto, quindi l'insieme degli indizi che nella totalità di un certo testo ne
chiariscono una delle parti. Questi indizi si riferiscono a diversi tipi di contesti come l'atmosfera
culturale nella quale l'autore è inserito, il contesto geografico e il contesto storico e quello
sociale. Diciamo quindi che il contesto, muovendo da un corpus di due o trecento parole si
amplifica a cerchio fino al contenuto, nello spazio e nel tempo di tutta una civiltà. Per stabilire
maggiore chiarezza a queste nozioni è importante proporre altre definizioni più esatte. La
nozione di messaggio, cioè l'insieme di quei significati dell'enunciato che si fondano
essenzialmente in una realtà extralinguistica. Oltre a ciò, la linguistica definisce situazione
come tutte le indicazioni geografiche, storiche, sociali utili a condurre una traduzione completa
del messaggio e chiarire il contenuto dell'enunciato. È perciò priva di qualità una traduzione che
non rispetta al massimo la totalità di fedeltà prima di tutto al contesto e poi alla situazione, che
è sempre meglio studiare direttamente sul posto.
Una traduzione letteraria mancherebbe di qualità anche quando non si rispetterebbe la fedeltà a
tutti i registri linguistici presenti in un testo, perché una buona analisi dichiara anche che
esistono diverse «lingue» presenti in una stessa lingua (lingua volgare, gergale, popolare).
Oggi tradurre significa non solo rispettare il senso strutturale o linguistico del testo, ma anche il
senso globale del messaggio. In passato essere fedele ad un testo significava procedere con una
traduzione parola per parola, arrivando quindi ad un concetto di infedeltà nei riguardi del
contesto. Qui, Vinay e Darbelnet distinguono sette modi di condurre una buona traduzione
rispettando chiaramente la formula dichiarata da Cary, ovvero «il preciso rapporto tra forma
(linguistica) e contenuto (linguistico, contestuale e situazionale) dell'originale». 21

18
Newmark P., La traduzione. Problemi e metodi, Garzanti, Milano 1988, p. 221
19
Hurtado A. A., Traducción y traductología. Introducción a la traductología, Cátedra, Madrid 2013, pp. 63-64
20
Mounin G., Teoria e storia della traduzione, Einaudi, Torino 1995, p. 134
21
Ivi, p. 137
16
Esaminare la fedeltà da un punto di vista scientifico non chiarisce il momento in cui una
traduzione è un'operazione letteraria, che comprende un'indagine sulla componente estetica, la
bellezza «letteraria». È difficile trovare una teoria che indichi il giusto modello da seguire per
non allontanarsi da una buona traduzione a livello qualitativo. Potremmo però evidenziare i
passi da evitare: l'infedeltà e la ipertraduzione sono errori di cui si occupa la linguistica; sarà
importante anche evitare l'adattazione libera che quando non dichiara il suo vero nome si
presenta solo con un lavoro erroneo. In ambito linguistico i maggiori pericoli per un traduttore
sono le disparità, come il passaggio in uno stesso testo da una lingua ad un'altra (dallo stile
elevato a uno popolare, per esempio). Testi non contemporanei, con uno stile e una cultura
lontano dall'attuale civiltà impongono la scelta di un registro di traduzione, a cui ci si deve
attenere fedelmente. 22
È fondamentale quando si ha a che fare con testi da tradurre, utilizzare un linguaggio scorrevole
che non accresca l'eventuale difficoltà di penetrare concetti spesso già in sé sottili o complessi.
Goethe si pone ad ogni traduttore tra l'intento di condurre il testo verso il lettore, scolorendo
tutte le caratteristiche della lingua straniera, per esempio. Oppure, condurre il lettore verso il
testo, estraniandolo quindi dal suo mondo, decidendo di fargli leggere il testo senza
permettergli di dimenticare un solo istante che si trova di fronte ad un'altra lingua, un altro
secolo, una civiltà diversa. Entrambi queste due posizioni possono essere considerate lecite e
legittime, evitando di passare dall'una all'altra senza giustificarne il passaggio, non sfigurando
così lo stile dell'originale.23

Il metodo traduttore

La questione del metodo traduttore è complessa ed è stata trattata in maniera confusa da molti
traduttori.
Il metodo traduttore è lo sviluppo di un processo traduttore determinato, regolato da un
principio in funzione dell'obbiettivo perseguito dal traduttore; si tratta di una scelta globale che
ricorre in tutto il testo. Un cambio di destinatario, uno scopo differente della traduzione o
compreso un'opzione personale portano il traduttore all'utilizzo di metodi differenti.
Distinguiamo quattro metodi basici: interpretativo-comunicativo (traduzione del senso),
letterale (transcodificazione linguistica), libera (modifica delle categorie semantiche e
comunicative) e filologico (traduzione erudita e critica). 24
La pertinenza dell'uso di un metodo traduttore o un altro è in relazione al contesto in cui si
effettua la traduzione e con la finalità che quest'ultima segue, che può esser differente dovuta al
cambio di destinatario, ad un uso differente della traduzione o incluso a una opzione personale.
Non si tratta di forme opposte o inconciliabili di tradurre, né di compartimentazioni assegnate a
modalità differenti, ma a processi differenti in funzione di obbiettivi differenti si produce così
un distacco delle categorie o di alcune funzioni del testo originale.
Analizziamo quattro metodi traduttore basici utilizzando le denominazioni tradizionali.

22
Ivi, p. 139
23
Ivi, p. 140
24
Hurtado A.A., Traducciòn y traductologìa. Introducciòn a la traductologìa, Catedra, Madrid 2013, p.54
17
1 Metodo interpretativo-comunicativo, (traduzione comunicativa) . È un metodo che si basa
nella comprensione e rideterminazione del senso del testo originale conservando nella
traduzione lo stesso scopo dell'originale e producendo lo stesso effetto nel destinatario.
2 Metodo letterale. Metodo che si basa sulla riconversione degli elementi linguistici del testo
originale, traducendo parola per parola, sintagma per sintagma o frase per frase, la morfologia o
la sintassi. Il suo obbiettivo è quella di compiere nella traduzione lo stesso scopo che ha il testo
originale.
3 Metodo libero. Questo metodo non persiste nel trasmettere lo stesso senso del testo originale
nonostante le stesse informazioni.
4 Metodo filologico (o traduzione critica). È un metodo caratterizzato dalla aggiunta di note
con commentari filologici, storici, ecc. L’originale si converte in un oggetto di studio,
dirigendosi ad un pubblico erudito o a studenti (traduzioni a scopo didattico). Possono essere
edizioni bilingue. 25
Le motivazioni del traduttore sono legate al contesto socioculturale nel quale si produce l'atto
del tradurre. È importante considerare sempre l'attività letterale in un contesto sociale. Prima
che la traduzione esista è necessario che ci sia stata la necessità di tradurre. 26
Nella traduzione è importante per i traduttori esprimere in modo adeguato il significato di un
testo tradotto. Quest'ultimo può essere soggetto a sottilissime differenze nelle regole testuali
della lingua di partenza e di arrivo, la quale a sua volta renderà difficile il raggiungimento di
un'equivalenza.
Una traduzione può essere fedele nel riflettere il significato denotativo e, tuttavia, non arrivare a
riprodurre la convinzione del testo originale.
Come Widdowson (1979) segnala, l'equivalenza non è solo linguistica e semantica, ma anche
pragmatica. Oltre questo, aggiunge:

‘non possiamo senza dubbio e per definizione, stabilire l'equivalenza pragmatica a partire da
orazioni isolate, solo per la sola considerazione del valore delle realizzazioni nel contesto.’

Il letterario e traduttore Levý (1963) afferma che l’esattezza di una traduzione corrisponde alla
capacità del traduttore di comunicare tutti gli attributi sostanziali dell’originale; in altri termini,
la traduzione non può essere uguale all’originale, ma deve esercitare lo stesso effetto sul lettore.
Ciò è possibile solo se il traduttore assume la prospettiva del destinatario della traduzione,
tentando, il più possibile, di riprodurre effetti stilistici equivalenti”. 27
La teoria del filosofo Shleiermacher è interessante perché propone due metodi così efficaci da
rendere possibile la comprensione dell'autore straniero da parte del lettore nazionale: «o il
traduttore lascia il più possibile in pace lo scrittore e gli muove incontro il lettore, o lascia il più
possibile in pace il lettore e gli muove incontro lo scrittore». Schleiermacher privilegia il primo
metodo indicando l'autentico «fine» del traduttore in termini sociali: offrire tramite la

25
Ivi, p. 251
26
Hatim B. e Mason I., Teoria de la traducción. Una aproximación al discurso, Ariel, Barcelona 1995, p. 23
27
Levý J., The Art of Translation, John Benjamins, Amsterdam/Philadelphia 2011, p. 26
18
traduzione, la comprensione del testo straniero che sia puramente relativa ad uno specifico
gruppo sociale.28
Il traduttore deve proporsi di offrire al proprio lettore un'idea e un godimento come quelli
offerti dalla lettura dell'opera nella lingua originale, a una persona che non è più costretta a
pensare ogni particolare nella propria lingua materna prima di cogliere il tutto, ma che anche là
dove più serenamente gode delle bellezze di un'opera, rimane sempre cosciente della diversità
esistente tra la lingua di questa e la propria lingua materna. Il traduttore mira a conservare la
differenza linguistica e culturale del testo straniero; prima di tutto la traduzione è etnocentrica 29:
anche quando il testo tradotto contiene peculiarità discorsive atte a imitare il testo straniero e
anche quando, citando le parole di Shleiermacher «la traduzione ha assunto parvenze straniere»,
non sfugge mai alla gerarchia dei valori culturali inseriti nella lingua d'arrivo. 30

La competenza traduttrice

La traduzione è un buon sistema sperimentale per esaminare, nel suo insieme, il ruolo del
linguaggio nella vita sociale. Nel creare un nuovo atto di comunicazione a partire da uno già
esistente, i traduttori attuano, che lo vogliano o no, sotto la pressione dei suoi propri
condizionamenti sociali e, allo stesso tempo, collaborano nella negoziazione del significato tra
il produttore del testo e della lingua di partenza (LP), o originale, e il lettore del testo nella
lingua di arrivo (LA), o versione.31
Il traduttore deve possedere diverse conoscenze, come la conoscenza della comprensione nella
lingua di partenza e una competenza di espressione nella lingua di arrivo; il bilinguismo è per
tanto una condizione indispensabile per essere traduttore. Quanto piu difficile è la lingua, tanto
più numerose sono le versioni e tanto più evidente è che l'atto traduttivo consiste in
un'interpretazione «attiva» che segue una comprensione «passiva» . 32
Le abilità linguiste richieste sono diverse e esistono anche gli impegni fisiologici per l'esercizio
di una e dell'altra, tuttavia, non bastano le conoscenze linguistiche. Il traduttore deve possedere
anche quelle extralinguistiche: sulla cultura di partenza e di arrivo, sul tema che tratta il testo
che si traduce. Possono variare secondo il testo e sono del tutto indispensabili per poter
tradurre. Senza quest'ultimi il traduttore non può comprendere il testo originale, né riformularlo
adeguatamente.
Il traduttore necessita anche di avere conoscenze strumentali per l'esercizio del suo lavoro,
conoscere il funzionamento del mercato del lavoro, sapersi documentare e saper utilizzare gli
strumenti informatici, ecc. Egli è colui che deve aiutare il lettore. È importante per lui mettere
in luce o indicare il senso di un brano che evitare il problema e renderlo «correttamente», può
essere necessario spiegare o trasferire allusioni, fornire motivazioni, sottolineare contrasti. 33

28
Ivi, p. 27
29
Termine che indica la tendenza a giudicare i membri, la struttura, la cultura e la storia di gruppi diversi dal proprio,
con riferimento ai valori, alle norme e ai costumi ai quali si è stati educati. Quasi sempre l'etnocentrismo comporta la
supervalutazione della propria cultura e di conseguenza la svalutazione della cultura altrui.
30
Lawrence V., L’invisibilità del traduttore, Guglielmi M., Armando, Roma 1999, (The translator’s invisibility,
Routledge, London 1995), pp. 143-144
31
Hatim B. e Mason I., Teoría de la traducción. Una aproximación al discurso, Ariel, Barcelona 1995, p. 11
32
Hurtado A. A., Traducción y traductología. Introducción a la traductología, Cátedra, Madrid 2013, pp. 29-30
33
Newmark P., La traduzione. Problemi e metodi, Garzanti, Milano 1988, p. 222
19
A tutte queste competenze aggiungiamo il dominio delle strategie di ogni tipo (per la
comprensione, la riformulazione) che permettono di porre rimedio alla carenza di conoscenze
(linguistiche e extralinguistiche) o abilità e potersi così confrontare con la risoluzione dei
problemi della traduzione. È molto importante che il traduttore, essendo un artigiano, conosca
la lingua straniera in modo così approfondito da essere in grado di valutare fino a che punto il
testo si discosti dalla norma linguistica, solitamente adottata per quell'argomento in quella
situazione.
Il filosofo tedesco W. Benjamin (1923) sostiene che un'opera valida racchiude il contenuto
come un guscio il suo frutto, mentre la traduzione è come un mantello che avvolge il contenuto
dell'originale in ampie pieghe morbide. Una traduzione non è mai compiuta, deve essere
continuamente limata, riducendo gli elementi parafrastici e condensando una lingua. Quanto più
una traduzione è breve, tanto maggiori sono le probabilità che sia valida. 34
Ogni traduttore ha comunque diversi metodi che può utilizzare per tradurre; è importante
sottolineare l'"invisibilità" del suo lavoro. Questo aggettivo si riferisce all'effetto illusionistico
del discorso.
Un traduttore deve essere esperto di critica testuale letteraria e non letteraria per poter valutare
la qualità di un testo prima di decidere come interpretarlo e quindi come tradurlo.35
Il traduttore anche quando si ponga come "riscrittore" non è esentato dal mettere in campo le
competenze biculturali, le conoscenze più approfondite delle due lingue tra cui si muove, nella
qualità di mediatore tra le due culture. Il traduttore ha guardato e ricodificato il testo originale:
si sforza ad essere, nel XXI come nel XVI, ‘fedele’, pur entro i confini delle sue condizioni
storiche e di temperamento. A pensarci bene, 'fedele' non è proprio l’aggettivo più adatto a
descrivere le sue qualità. Più rilevante è forse la nozione di “servizio”: il traduttore dovrà
mettersi al servizio del testo che traduce, cercare di estrapolare passo per passo diversi elementi
(fonetici semantici, pragmatici), renderli con la massima precisione e onestà, non dimenticando
mai di non discostarsi dalla realtà di chi ha scritto il testo, del motivo per cui l’ha scritto e del
pubblico che ne fruirà. 36
Umberto Eco diceva: "un'autore che segue i propri traduttori parte da una implicita esigenza di
fedeltà." Questo termine, come abbiamo, detto può sembrare desueto di fronte a proposte
critiche, per cui in una traduzione conta il risultato che si realizza nel testo e ancor più in un
momento storico preciso, dove si tenta di attualizzare un testo concepito in un'altra epoca. Ma
U. Eco sostiene ancora che il concetto di fedeltà ha a che fare con la persuasione che la
traduzione sia una delle forme dell'interpretazione e che l'interpretazione debba sempre mirare,
se pur partendo dalla sensibilità e dalla cultura del lettore, a ritrovare non l'intenzione
dell'autore ma l'intenzione del testo, ciò che dice in rapporto alla lingua in cui è espresso. In
questo modo una traduzione non è mai solamente un affare linguistico; per esempio, se
dobbiamo lavorare sulla traduzione del detto americano "It's raining cats and dogs" da un punto
di vista puramente linguistico scriveremo: "Sta piovendo cani e gatti". Ma questa, è
un'espressione che in italiano presupporrebbe che si stia inventando un'ardita figura retorica. Il
traduttore fedele quindi tradurrà con "Piove che Dio la manda". Notiamo qui come un'infedeltà
linguistica permette una fedeltà culturale. Si potrebbe dire che, per Eco, il compito del
traduttore è quello di scegliere il tipo di fedeltà più pertinente. In conclusione, una teoria della
traduzione deve tener conto di una serie di elementi che se non sono linguistici, sono semiotici

34
Ivi, p. 42
35
Ivi, p. 21
36
Zacchi M. e Morini M., Manuale di traduzione dall'inglese, Mondadori, Milano 2002, pp. 7-8
20
in senso lato, nella misura in cui la semiotica tiene conto dell'enciclopedia di un'epoca e di un
autore, richiesta in un testo, come criterio per la sua comprensione. 37

Traduzione e comunicazione

La lingua, materia prima di ogni traduzione, e la cultura sono entità mobili e dinamiche in
continuo dialogo fra loro. Non deve stupire, dunque, che gli studi culturali, che per definizione
si aprono al dialogo e allo scambio tra culture, discipline e lingue diverse, abbiano trovato nella
traduzione uno strumento essenziale di comunicazione. Lo stesso riconoscimento del
multilinguismo e del multiculturalismo, come fattori ormai alla base di qualsiasi sistema
culturale e sociale, ha agevolato il riconoscimento stesso dell’importanza della traduzione e
delle sue implicazioni nel più ampio ambito culturale.
La traduzione all'interno di una stessa lingua non è in tal senso essenzialmente distinta dalla
traduzione tra due lingue diverse e la storia di tutti i popoli ripete l'esperienza infantile: perfino
la tribù più isolata si trova necessariamente di fronte, in un momento o in un altro, al linguaggio
di un popolo straniero. Se non esiste una lingua universale, le lingue formano una società
universale in cui tutti, superate certe difficoltà, si intendono e si comprendono. E si
comprendono perché, in lingue diverse, gli uomini dicono sempre le medesime cose.
L'universalità dello spirito conferma che ci sono molte lingue, ma il significato è uno solo. 38
Possiamo affermare che le civiltà sono spesso impenetrabili tra loro. Basta considerare il lungo
sforzo storico compiuto dalla civiltà europea per studiare le altre civiltà. Ben presto ci si
accorge che l'etnografia, con i suoi tentativi e insuccessi, con le sue ipotesi e verifiche,
rappresenta uno sforzo immenso compiuto da una civiltà per trovare lo strumento con la quale
poter aprire una breccia nel muro che la separava dalle altre.
Chiamiamo etnografia, la descrizione completa dell'intera cultura di una comunità e se
chiamiamo culture i complessi omogenei di attività e istituzioni con i quali quella comunità si
manifesta, dovremo riconoscere che l'etnografia ha il compito di descrivere tutti i contesti di cui
il traduttore necessita per cogliere con maggiore specificità tutti i significati degli enunciati
stessi. L'etnografia, moltiplicando le relazioni fra una certa cultura ed un'altra, assicura la
compenetrazione tra le due civiltà.
La comprensione reciproca non è data a priori, ma è il prodotto di un lungo processo di
comunicazioni, un processo dialettico al termine del quale l'etnografo a volte si dispera perché
(a causa di queste relazioni) la civiltà da cui ha iniziato ha perduto tutto o in parte la sua
purezza, della sua irriducibile originalità; questa originalità è stata contaminata (nei suoi
significati) dai rapporti etnografiche comportano contatti pratici di ogni genere come coloniali,
commerciali o semplicemente turistici. Vedremo come quindi, il traduttore può essere
influenzato da ideali culturali, non producendo così una traduzione neutra.39
Le caratteristiche essenziali che caratterizzano la traduzione sono tre: è un atto di
comunicazione, un'operazione tra testi (e non tra lingue) e infine, è un processo mentale. Per
prima cosa, si traduce con un fine di comunicare, per un destinatario che non conosce la lingua
in cui è formulato il testo, lo possa comprendere. Il traduttore prende in considerazione che non
si tratta di plasmare il campo linguistico ma le intenzioni comunicative che si hanno dietro
quest'ultima, prendendo in considerazione che ogni lingua le espressa in maniera differente.

37
Nergaard S., Teorie contemporanee della traduzione, Bompiani, Milano 1995, pp. 122-123
38
Ivi, pp. 283-284
39
Mounin G., Teoria e storia della traduzione, Einaudi, Torino 1995, pp. 118-119
21
In secondo luogo, bisogna considerare che la traduzione non si colloca nel piano della lingua
ma nel piano della parlata e che non si traducono unità isolate, decontestualizzate, si traducono
testi. Bisogna tener sempre presente i meccanismi di funzionamento testuale (gli elementi di
coerenza e coesione, tipi e generi testuali), non dimenticando che questi cambiano in ogni
lingua e in ogni cultura.
In terzo luogo, non si può dimenticare che la traduzione è una attività di un soggetto (il
traduttore) che necessita di una competenza specifica, (la competenza traduttrice). Si tratta di un
processo mentale che consiste nel comprendere il senso che i testi trasmettono. Si tratta di
interpretare innanzitutto, per poi comunicare. 40
Se parliamo di interpretazione e interferenza dobbiamo considerare il significato del parlante,
così come il significato dell'ascoltatore (o meglio, significato dello scrittore e significato del
lettore). Inoltre, sarebbe più adeguato trattare il significato del lettore come una interpretazione
del significato dello scrittore. Green e Morgan lo mettono in evidenza:
‘Tentare di descrivere i mezzi per i quali un ascoltatore «capisce» una realizzazione orale
implicherà una visione del discorso, in virtù della quale la comunicazione consiste nella
semplice codificazione e decodificazione del «ragionamento» o «significato» nelle illustrazioni
linguistiche.’41
Il compito del lettore è quello di costruire un modello dell'intenzione comunicativa dello
scrittore, conformemente con le indicazioni che appaiono man mano che si analizza il testo e
con quel che l'ascoltatore conosce del mondo in generale.
Distinguiamo così, tra quello che Beaugrande e Dressler (1981) chiamano conoscenza offerta
dal testo e conoscenza del mondo. Qui preferiamo utilizzare il termine 'presupposto' perché
conoscenza è di scarso aiuto; Prince osserva che:
‘Tutto ciò che guida un parlante nel trattare qualcosa come dato o «condiviso» è ciò che dà per
presupposto quello che l'ascoltatore dà per presupposto.’42
Non possiamo sapere niente riguardo quello che il nostro interlocutore sa, però possiamo
elaborare supposizioni sull'ambito conoscitivo che entrambe le parti condividono e di fatto è
così che si agisce nella traduzione. 43

40
Hurtado A. A., Traducción y traductología. Introducción a la traductología, Cátedra, Madrid 2013, p. 40
41
Ivi, p. 122
42
Ibidem
43
Ibidem
22
CAPITOLO II

23
Zora Neale Hurston: vita e opere

Zora Neale Hurston è oggi conosciuta come una delle più importanti scrittrici afroamericane del
XX secolo. Nonostante dicesse di essere nata in Florida, a Eatonville, in realtà nacque in
Alabama, a Notasulga nel 1891. Si trasferì a Eatonville con la famiglia quando era ancora solo
una bambina. Eatonville fu una delle prime città degli Stati Uniti ad essere abitata da
afroamericani. Frequentò la scuola fino ai tredici anni e dopo la morte di sua madre affrontò
degli anni difficili: il padre si risposò e con la matrigna decisero di mandarla in collegio, in
Florida, a Jacksonville. Fu il quel periodo che iniziò a sentir parlare della segregazione razziale,
questo le permise di prendere coscienza della sua origine afroamericana. Scrisse qualche anno
dopo il libro intitolato “How It Feels to Be Colored Me”, dove affermò che Jacksonville le
aveva fatto prendere coscienza della sua cultura.
Grazie alla tradizione folkoristica del suo paese e alle storie raccontate dagli anziani che amava
ascoltare nel porticato del negozio del vicino di casa Joe Clarke, Zora iniziò ad appassionarsi
alla letteratura, iniziando così a scrivere delle storie da lei inventate. Decise di non abbandonare
gli studi iscrivendosi alla Morgan Academy, una scuola superiore per afroamericani e fu
proprio in quel periodo che per avere forse i requisiti necessari per ottenere la qualifica dichiarò
di avere dieci anni in meno, affermando di essere nata nel 1901. Riuscì a diplomarsi nel 1918.
Lo stesso anno iniziò gli studi alla Howard University, dove fu una delle prime studentesse a far
parte della confraternita femminile ‘Zeta Phi Beta’ e fu fondatrice del giornale dell'università,
‘The Hilltop’. Era il 1921, Zora aveva trent’anni ma ormai per tutti era una ventenne. La sua
carriera iniziò a brillare grazie alla pubblicazione dei suoi racconti, tramandati dagli anziani del
suo quartiere, in numeri speciali di riviste come «Survey Graphic, The New Negro» e anche
grazie alla partecipazione a concorsi letterari dove per la sua bravura vinse dei premi.
Nel 1924 lasciò l'università e l'anno successivo le venne offerta una borsa di studio per
il Barnard College, dove sarebbe stata l'unica studentessa nera.
Durante gli studi al Barnard scrisse poesie, opere teatrali e racconti brevi; quando si laureò per
la seconda volta continuò gli studi alla Columbia University dove venne affiancata
dall'antropologo tedesco Franz Boas, che influenzò la sua formazione. Con lui si impegnò nel
condurre ricerche nel campo dell’antropologia ad Harlem e nel 1927 a Eatonville. Nonostante il
suo impegno letterario, nello stesso anno trovò un’occasione per dar spazio all’amore: si sposò
con il suo compagno di studi della Howard, Herbert Sheen dal quale divorziò quattro anni dopo.
Viaggiò molto, specialmente negli Stati Uniti del sud e nei Caraibi, dove si immerse nella
cultura e nelle tradizioni locali come parte del suo lavoro antropologico. Scrisse diversi romanzi
tra cui ‘Jonah's Gourd Vine’, ‘Their eyes were watching God’; alcune commedie come ‘Mule
Bone’, ‘From Sun to Sun’ e ‘Dust Tracks on the Road’. L’ultima opera riguarda la sua
autobiografia, pubblicata nel 1942.
La Hurston aveva una personalità complessa. Fu mal giudicata da diversi critici afroamericani
per i suoi elementi folklorici che caratterizzavano i suoi scritti, considerati umilianti per la gente
della sua città e monotematici. La Hurston andava alla ricerca straziante dell'approvazione del
pubblico bianco; questo elemento era segno di minaccia per gli scrittori neri che temevano che
l’evocazione della Hurston dell’esperienza rurale dei loro padri, potesse vanificare gli sforzi tesi
all'integrazione. Solo la critica d'arte Judith Wilson affermò che «la Hurston aveva compreso
qualcosa che gli altri scrittori neri del suo periodo non avevano capito o saputo apprezzare,
ovvero che i proprietari delle tradizioni popolari sono preziosi tanto quanto la cultura e la

24
filosofia della cultura occidentale.» La Hurston si oppose alla legislazione della corte suprema
che forzava l'integrazione e alla decisione della corte suprema nel ‘caso Brown’ contro Board of
Education del 1954. Credeva che se le scuole separate fossero state allo stesso livello,
l'educazione di studenti bianchi e neri nella stessa classe non sarebbe stata superiore a quella
delle classi separate. In più, si preoccupò della possibile scomparsa di scuole ed insegnanti neri,
sostenitrice del fatto che questi fossero una risorsa per trasmettere la cultura afroamericana alle
generazioni più giovani.
Diede voce alla sua opposizione in una lettera, ‘Court Order Can't Make the Races Mix’, che
venne pubblicata nell'Orlando Sentinel nell'agosto del 1955.
La Hurston, comunque sia, si oppose sempre alla segregazione. Piuttosto si preoccupò che la
decisione della corte potesse trasformarsi in un precedente per un governo federale con il potere
di minacciare la libertà individuale nel futuro.
Nei suoi ultimi anni lavorò come scrittrice per giornali e riviste. Nel 1957, si trasferì a Fort
Pierce, dove lavorò come insegnante e donna di servizio. I suoi lavori furono ignorati e questo
la portò ad uno stato di estrema povertà.
Morì il 28 gennaio 1960 in Florida. La sua tomba non fu segnalata per qualche tempo, ma la
studiosa di letteratura Charlotte Hunt e la scrittrice Alice Walker decisero di far erigere una
lapide in suo onore con scritto: «Zora Neale Hurston – A Genius of the South - Novelist –
Folklorist – Anthropologist».44

I loro occhi guardavano Dio – trama e commento

Il romanzo che andremo ad analizzare parla di una giovane donna afroamericana di nome Janie
Crawford. Janie torna Eatonville dopo un lungo periodo di assenza. Al suo ritorno, circondata
dai pettegolezzi da parte degli abitanti della cittadina, si ritrova con piacere con la sua amica
Pheoby Watson a raccontare tutti gli accaduti della sua vita tramite dei flashback. Le tappe della
sua vita sono divise prendendo come punto di riferimento i suoi tre matrimoni. La nonna di
Janie subisce degli abusi durante la sua adolescenza. Questo è un valido motivo del perché non
vuole che la nipote sia maltrattata nella sua vita e possa rivivere esperienze che potrebbero farla
soffrire. Decide di organizzarle un matrimonio con un fattore che cercava una donna per
mandare avanti la sua fattoria. Il matrimonio va a rotoli e Janie scappa con un uomo di nome
Joe Starks, col quale va a vivere a Eatonville.
Il marito dal carattere autoritario e affamato di potere, inizia a prendersi cura dell'economia di
quella che sarebbe poi diventata una città trascurando Janie e si proclama sindaco. Joe Starks le
impedisce di interagire con gli abitanti della città considerati gente comune, trattandola come
una "moglie trofeo". Il matrimonio inizia a rovinarsi quando Joe insulta l'aspetto di Janie e lei
per vendicarsi lo denigra davanti a tutti dicendogli quanto fosse incapace e sgradevole. Dopo
qualche tempo il marito muore, lasciando tutta l'eredità a Janie, rendendola così indipendente
economicamente e centro di attenzione di nuovi pretendenti. Tra questi, Janie si innamora di un
giovane di vent'anni, un bracciante scommettitore di nome Tea Cake. Tutti rimangono scioccati
per la decisione di Janie di sposarsi solo dopo nove mesi di distanza dal funerale del precedente

44
Soro E., Zora Neale Hurston, L’enciclopedia delle donne, http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/zora-neale-
hurston/

25
marito. I due giovani manifestano gli stessi sentimenti d’amore l’uno per l’altra. Lasciano la
città per trasferirsi a Jacksonville. Durante la prima settimana di matrimonio passano dei
momenti difficili: Janie si preoccupa del fatto che Tea Cake l'avesse sposata solo per i soldi ma
lui riesce a rassicurarla promettendo che non l'avrebbe mai lasciata e che l'avrebbe resa
partecipe di qualsiasi avventura. Si stabiliscono negli Everglades dove lavorano durante tutta la
stagione del raccolto e socializzano con gli altri fattori del posto. Con Tea Cake, Janie trova
l'amore che tanto aveva desiderato. Un giorno, un terribile uragano si abbatte sugli Everglades.
Tutti cercano di mettersi in salvo e nonostante sopravvivono entrambi, Tea Cake viene morso
da un cane rabbioso. Nessuno si rende conto delle condizioni del cane ma a distanza di tre
settimane Tea Cake si ammala. La rabbia a poco a poco lo rende pazzo tanto da provare ad
uccidere Janie con una pistola; lei per difendersi, gli spara. Verrà accusata di omicidio in
tribunale da una giuria di bianchi. Questi la dichiarano innocente e la assolvono, nonostante
l'opposizione dei giurati di colore, amici di Tea Cake e diffidenti dell’autonomia di Janie. Dopo
la sentenza Janie torna al suo paese natale, cosciente di essersi uniformata ai due comandamenti
fondamentali, quelli con i quali ciascun uomo è chiamato a confrontarsi da solo: «avvicinarsi a
Dio» e «scoprire cos'è la vita».

Il capolavoro dell'autrice fu scritto in solo sette settimane ad Haiti. Il libro descrive come
l'umile ma affascinante Janie cerca di prendere coscienza di sé sposandosi per ben tre volte.
Questo romanzo del 1937 si inquadra nel rinascimento di Harlem, il movimento letterario
americano caratterizzato da temi quali l'emarginazione dell'individuo e l'alienazione. La vita
della giovane Janie è descritta attraverso un realismo tendente a mitizzare le tradizioni della
gente nera del sud degli Stati Uniti. Molti autori della Harlem Renaissance erano contrariati dal
fatto che la Hurston mettesse in evidenza le separazioni esistenti tra gli afroamericani con la
pelle più chiara e la pelle più scura. Questo avviene perché Zora Neale Hurston rappresenta il
nero secondo canoni tradizionali, mutuati dalla visione dei bianchi. Viene accusata di aver
descritto una vita troppo rosea e romanzata di questa popolazione, senza quindi evidenziare o
rendere chiaro il modo in cui i bianchi trattavano i neri e i soprusi che questi ultimi subirono.
Una seconda critica al suo lavoro riguarda l'accusa del mancato messaggio che potesse
indirizzare i lettori verso una tematica precisa. La giornalista Corinzia Minforte però affermò in
suo favore: “Un romanzo non dev'essere per forza portatore di un messaggio preciso, perché in
quest'opera si possono riscontrare diverse tipologie di punti di vista, opinioni appartenenti alla
persona che scrive e le idee riscontrabili in quest'opera sono varie e vanno oltre la problematica
politico-sociale, incentrate attorno all'individuo e non solo.” Proprio per tali motivazioni, questo
importante pezzo di letteratura fu centro di molte discussioni riguardanti le tradizioni culturali
nere, il femminismo e l'empowerment delle donne. 45
Un altro giudizio positivo viene descritto da parte di Zadie Smith nella sua introduzione inserita
nell’edizione del 2009 de ‘I loro occhi guardavano Dio’, dove elogia i dialoghi del romanzo
come rivelatori della cultura e delle personalità degli individui. Zadie Smith continua nella sua
prefazione che “Zora Neale Hurston scrisse con la propria voce, non conforme agli standard di
ciò che era considerata una scrittura accettabile”. 46 La Hurston nella sua vita decise di affermare

45
Pukcho K., Zora Neale Hurston, Genius of the Harlem Renaissance, Retrobituaries,
http://mentalfloss.com/article/73895/retrobituaries-zora-neale-hurston-genius-harlem-renaissance, 2018
46
Bottini A., I loro occhi guardavano Dio, Introduzione di Zadie Smith, Cargo, Napoli-Roma, 2009, p. 18
26
la sua posizione femminile non solo ponendosi a capo delle organizzazioni femministe, ma
anche attraverso la figura di Janie che volle combattere autonomamente nella propria vita. Un
esempio di ciò può ritrovarsi all’interno del romanzo nell’episodio in cui dove i capelli di Janie
vennero rappresentati come simbolo di libertà, poiché ne mettevano in risalto la bellezza e che
il marito Joe Starks le impose di nascondere con un fazzoletto al capo. Questa situazione
cambiò quando il marito morì e Janie si sentì libera di fare ciò che voleva e di non dipendere
più da nessuno; da quel momento raccolse i suoi capelli in una treccia che le cadeva lungo la
schiena, diversa da tutte le pettinature delle donne di un tempo. Questa pettinatura rappresentò
chiaramente la ribellione contro i ruoli tradizionali della donna e la sicurezza di non sentirsi
inferiore. È importante capire che per la Hurston l'utilizzo del dialetto afroamericano e le storie
popolari rientrano nel preciso progetto di rivalutazione dell'essenza afroamericana, rifiutando
l'omologazione. La forte serenità della scoperta della libertà conquistata a duro prezzo traspare
nel romanzo, una serenità che è frutto del paradosso apparentemente inconciliabile di tutta la
vita dell’autrice: la rivendicazione dell’appartenenza alla comunità d’origine e l’esaltazione di
sé stessa come individuo. Un appagamento nato nella lottatrice Zora anche dalla coscienza di
avere in qualche modo inventato una lingua e i modi con i quali le donne nere avrebbero potuto
dopo di lei, appropriarsene per confrontarsi tra loro e con il resto del mondo.
Non si tratta perciò di un romanzo a tesi ma bensì di un’opera particolarmente pittoresca e
apolitica che accusa certi stili di vita dell'America di mezzo secolo fa, grazie alla denuncia al
sessismo della società moderna e l’autonomia del potere durante l’apartheid americana del
dopoguerra.47

47
Minforte C., Un romanzo di Harlem, I loro occhi guardavano Dio, Movimenti e tendenze,
http://guide.supereva.it/letteratura_inglese/interventi/2009/12/i-loro-occhi-guardavano-dio-un-romanzo-di-harlem, 2015

27
III CAPITOLO

28
Il Black English della cultura di Zora Neale Hurston

Da un punto di vista storico il Black English è il più complesso dei dialetti sociali americani ed
è utilizzato da un 80% della comunità nera degli Stati Uniti. Nella struttura e negli aspetti della
storicità presenta delle somiglianze con certe varietà di inglese parlate nel Sud America, costa
ovest dell’Africa e a ovest del Pacifico. Questo dialetto deriva da una lingua criolla, generata
probabilmente a sua volta da una lingua franca imparentata con il portoghese, che sorse tra gli
schiavi della costa occidentale dell’Africa.
Alcune particolarità sintattiche trovate nel libro ‘Their eyes were watching God’ potranno
mostrare la sua identità e la difficoltà che incontra il traduttore che desideri mantenere il gusto
particolare di questo dialetto nella propria lingua. Vediamo alcuni esempi estrapolati dal testo:

● L'inglese standard utilizza nei verbi la –s della terza persona singolare, ma questo dialetto si
contraddistingue per l’assenza della marca morfologica. Il Black English tende, quindi, a non
utilizzare la -s: esempio, «He hate to kill her»48, «Tony love her»49, «It don't worry, Ah50 is
married now». 51
È caratterizzato invece dalla presenza della –s nei pronomi personali che non siano la terza
persona singolare, un esempio: «You loves dis freedom». 52
A volte i verbi vengono coniugati al singolare quando il soggetto della frase è plurale: «Themen
folks treasures the game»53, «All the cars in Eatonville is gone»54, «You is too much»55, «We
was alone».56
Un altro punto preso in analisi è l'assenza dell'ausiliare del verbo essere: «Where we going?» 57 o
«You doing right»58 e il mancato utilizzo dell’ausiliare ‘Do’: «What you mean by that?».59

● Altro simbolo del dialetto è la scomparsa di 'there', il soggetto che determina l'esistenza di
persone o cose, come per esempio «Ain't no trouble tuh say whut's altready so»60 o «Ain't got
time!»61.

● Un'altra caratteristica di questa variante dialettale è l’uso particolare della doppia negazione;
questo dialetto ammette che ci sia una doppia negazione all’interno della stessa frase.

48
Hurston Z. N., Their eyes were watching God, Harper Collins Publishers, New York 1937, p.75
49
Ibidem
50
'Ah' nel dialetto Black English indica la prima persona singolare in inglese 'I'.
51
Ivi, p. 143
52
Ivi, p. 93
53
Ivi, p.95
54
Ibidem
55
Ivi, p. 181
56
Ivi, p. 176
57
Ivi, p. 168
58
Ivi, p. 115
59
Ivi, p. 114
60
Ivi, p. 181
61
Ivi, p.107
29
Questo probabilmente deriva dal West African Pidgin English. Un esempio: «Jody ain't never
his life picked out no color for me» oppure «I ain't no use in considering»62

Un altro elemento linguistico impossibile da non notare è la forma linguistica del dialetto
inglese della Hurston che è ricca di abbreviazioni quali: yo’ al posto di your, tellin’(per telling),
’bout (about), ‘evenin’, (good evening), ‘cause (because), kinda (kind of), us utilizzato come
pronome soggetto. Vedremo in seguito, più dettagliatamente le traduzioni italiane di Ada
Prospero del 1938 e di Adriana Bottini del 2009, che decidono di lavorare minuziosamente sul
ritmo e sugli interstizi, più che dare importanza a queste piccole sfumature dialettali.
Sarebbe impossibile rendere tutto questo in italiano; nella traduzione, lo scrittore sarà abile
evitando vocaboli colti e mantenendo il più possibile il linguaggio informale e scorrevole.
Queste sono tutte caratteristiche prodotte nella categoria del Black English che William A.
Stewart ha chiamato «basilect», ossia l’insieme di caratteristiche linguistiche che hanno meno
popolarità in una comunità di parlanti. Questa definizione si oppone a quella di «acrolect», che
è l’insieme di particolarità linguistiche con più prestigio in una data comunità di parlanti.
Queste varie influenze linguistiche, perciò, possono essere immediatamente percepibili da un
madrelingua inglese o americano; la stessa facilità non sarà per un italiano che avrà seri
problemi nella traduzione. Le principali differenze con l’inglese standard riguardano:

● Il sistema aspetto/tempo
● Funzioni come il dativo/ direzionale
● Preposizioni in luogo in genitivo sassone
● Complemento pre- infinito
● Sistema prenominale quadripartito (persona, numero, genere, caso)
● Ausiliari e negazioni

Come afferma lo studioso Dillard, il Black English è una lingua parlata da personaggi comici, o
poco colti.63 In quasi tutti questi casi chi parla Black English è un personaggio di ceto minore.
In letteratura l’elevato grado di elaborazione formale è implicito nell’uso del mezzo scritto e
nella volontà dell’autore di manipolare i diversi livelli e registri linguistici. Si possono prendere
in considerazione due scelte traduttologiche introdotte dal traduttore statunitense L. Venuti:

Tradurre addomesticando: dove la traduzione dell’infinito al posto della forma base del verso
non marcato per aspetto o tempo sono ormai entrati nell’idea e nello stereotipo del “parlare
nero”. A tutto ciò però si accompagna una plethora di luoghi comuni, di stigmatizzazioni sociali
e culturali, di pregiudizi più o meno velati.
Queste soluzioni che rendono conto immediatamente e con facilità del “parlare diverso” sono
fortemente connotate e non possono che richiedere un’ulteriore riflessione.

Tradurre stranierizzando: per rendere evidente lo scarto tra le due varietà, si può optare per
l’uso di due diverse varietà della lingua italiana. Il problema più evidente, però, è che l’italiano
non presenta delle possibilità paragonabili a realtà diglossiche o ancor meno di continuum fra
segmenti basilettali, mesolettali e acrolettali, ma piuttosto dei dialetti che se sono legati a una

62
Ivi, p. 79
63
DIllard J.L., Black English. It’s history and Usage in the United States, Vintage Books, New York 1973, pp. 100-101
30
traduzione vernacolare bassa, come le lingue creole, hanno una forte connotazione
regionalistica. 64

Le particolarità sintattiche, semantiche e fonologiche del Black English creano il più complesso
dei dialetti americani.
I suoi aspetti sociali e culturali sono così numerosi che la sua traduzione può diventare un
compito difficile. Il traduttore può optare per una traduzione che sia il più vicino possibile
all’originale. Può decidere di creare, come abbiamo già detto in precedenza, una traduzione che
ha lo scopo di ricreare sul lettore l’effetto che l’originale ha avuto nei lettori della L1,
rischiando di creare una adattazione troppo personale. 65
In campo traduttologico si riscontra un doppio problema. Con queste espressioni idiomatiche
tipicamente ‘nere’ bisognerà abbandonare l’idea di voler andare alla ricerca di un
corrispondente simile o preciso sia nell’inglese standard che in italiano. È importante non solo
per l’impossibilità di tradurre certi termini che sono specifici in una data cultura, appartenenti al
luogo in cui nascono e alla popolazione che le utilizza, ma anche perché decidere di tradurre
forzatamente la lingua nera sarebbe come compiere un atto di dominio linguistico. Nonostante
gli anni di differenza tra le due traduzioni e l’impossibilità di rendere il dialetto in italiano, le
due scrittrici prese in considerazione hanno reso benissimo l’idea della vita degli afroamericani
condotta in quei tempi ai lettori italiani, mantenendo il linguaggio il più scorrevole e colloquiale
possibile.

Il registro linguistico

Il tema che andremo adesso ad analizzare è una parte importante dell’analisi del testo: il
registro linguistico.
Come abbiamo già detto il testo letterario è caratterizzato da una lingua particolare, per questo
il traduttore deve essere a conoscenza della lingua in tutte le sue varietà, da quelle specialistiche
a quelle dialettali. Il concetto di lingua letteraria è legato a quello dello stile individuale di
scrittura, ossia dalle scelte prese dall'autore all'interno di una lingua in modo che poi il testo
risulti uno strumento di conoscenza di una società appartenente ad un'epoca precisa e sia, allo
stesso tempo, un piacere estetico che rimane inalterato nel tempo. La difficoltà per questo tipo
di traduzione è che mentre tutte le discipline ritrovano in ogni lingua testi paralleli
corrispondenti, dove il traduttore ha sempre dei punti precisi su cui basarsi, la lingua letteraria
sviluppa sempre delle opere uniche con delle difficoltà nella propria cultura. 66
Come affermato da Hatim e Mason, il registro di appartenenza dovrebbe essere sempre
adeguatamente motivato. Un insieme di caratteristiche che riflettono il modo in cui un parlante
utilizza la sua lingua per uno scopo preciso.
Il registro, oltre ad essere un insieme di caratteristiche che riflettono il modo in cui un parlante
utilizza la sua lingua per uno scopo preciso, porta tutti i significati previsti e quindi funziona
come trasmettitore di segni, la cui gamma di valori semantici e retorici è intuitivamente
riconosciuta da tutti i parlanti testuali di una lingua.67

64
Siviero D., Sfaccettature della traduzione letteraria, Artemide, 2016, pp. 159-161
65
Mounin G., Introducción a la semiología, Anagrama, Barcelona 1972, p. 44
66
Newmark P., La traduzione letteraria. Problemi e metodi, Garzanti, Milano 1988, pp. 56-58
67
Hatim B. e Mason I., The translator as a communicator, Routledge, New York 1977, p. 100
31
Prima di vedere nello specifico le scelte delle scrittrici, vediamo in breve cenni biografici della
loro vita, che rispecchiano in parte la vita di Z. N. Hurston.
Ada Prospero (Torino 1902 – 1968) fu un'insegnante di inglese e una traduttrice. Nella sua vita
fu impegnata anche politicamente, a seguito dell'attività politica dei genitori che furono i
fondatori del movimento di ‘Giustizia e Libertà’ contro il fascismo. Fu creatrice e partecipe di
diverse organizzazioni di gruppi di Difesa della Donna e fondatrice del partito d'Azione nel
1942, considerata una vera e propria capo-partigiano. Dopo gli anni della liberazione, furono
intense le partecipazioni in ambito giornalistico e la sua occupazione di scrittrice e traduttrice di
romanzi in francese, inglese e russo.
A. Prospero introdusse una breve nota all’inizio del romanzo dove spiegò i criteri seguiti per
rendere realistico il tono del libro. Il suo linguaggio (ondeggiante tra materialità scurrile e un
senso lirico di liberazione poetica), le immagini più lontane dalla sensibilità italica di quegli
anni e la stravaganza dell’insieme furono tutti particolari che le impedirono di cadere nel
grottesco e nel ridicolo. Lei parlò di una “intima adesione spirituale” al testo e una grande stima
per la Hurston, scrittrice di origine poverissime e un talento incompreso. 68
La scrittrice decise di specificare in una nota il suo rapporto con la traduzione del romanzo.
Non nega quanto il capolavoro della Hurston abbia creato in lei diversi problemi per la
realizzazione della traduzione di questo libro, caratterizzato da una fervida immaginazione e
una cultura folkoristica.69 Il dialetto, in questo caso, fu il fulcro della traduzione. La scrittrice
dedicò particolare attenzione a tradurre il gergo utilizzato, caratteristico della popolazione
afroamericana, dichiarando che non avrebbe dovuto avvicinarsi a una traduzione stravagante e
soprattutto innaturale. I personaggi secondari della storia, braccianti, quindi uomini che
conducevano una vita mediocre utilizzavano un gergo rozzo a differenza dei personaggi
principali, (quali Tea Cake, Janie e Nanny) che si mostrarono ai lettori con un tono poetico.
Questo tono derivò dalla loro appartenenza alla cultura afroamericana. Il dilemma della
traduttrice era legato anche dalla sua adesione spirituale verso l’opera della Hurston, verso la
cultura che niente aveva a che fare con l’Italia. Un altro problema da analizzare fu la presenza
delle numerose immagine della società del Sud America. La scrittrice si domanda infatti se la
scelta migliore sarebbe stata “italianizzare”, ma sorge il dubbio che questa decisione potesse far
perdere la visione di un’altra cultura, cambiando quindi il significato. Se avesse scelto di
tradurre alla lettera ciò che c’era scritto, avrebbe sicuramente tolto al libro ciò che lo
caratterizza per il suo tono acre e nostalgico. La scelta migliore è stata quella di attenersi al
testo di partenza, evitando di suscitare il senso del ridicolo durante la lettura.70
Per quanto riguarda Adriana Bottini, non possiamo dire che ci sia una vasta quantità di notizie
riguardo la sua vita. Nacque a Milano, frequentò il liceo classico Manzoni, dove si appassionò
per il greco antico, la lingua e la cultura inglese. Dopo un periodo di stimolanti esperienze
lavorative in campo politico-sociale, nel 1969 si cimentò in ciò che diventò poi il suo mestiere:
la traduzione. 71
La Bottini affermò che durante il suo lavoro, operò sia sulla ‘lingua’ che sul ‘testo’ che era
caratterizzato sempre dalla sua porzione di particolarità. Ogni parola nel romanzo ha diverse
accezioni, legate a metafore, che devono essere percepite dalle autrici e parole che addirittura
non sono presenti nei dizionari. Questo non impedì affatto il lavoro di traduzione. Si analizzano
diversi problemi che derivano dall’imprevedibilità del testo. La soluzione è trovata studiando il
68
Bottini A., I loro occhi guardavano Dio. Postfazione di Goffredo Fofi, Cargo, Napoli-Roma 2009, p. 265
69
Ibidem
70
Prospero A., I loro occhi guardavano Dio, Frassinelli, Torino 1938, pp. XXII
71
Bottini A., Traduzione editoria, http://traduzione-editoria.fusp.it/persone/adriana-bottini
32
singolo testo. Gli elementi di distanza culturale emergono da soli; sono state abili entrambe a
non provocare nessun effetto di “scandalo” nel lettore, non hanno ecceduto in estraneità, ma
hanno mantenuto vivo il legame tra il testo e le aspettative del destinatario.
Altri dati importanti da analizzare e non dimenticare sono i requisiti di coerenza e coesione che
un testo deve avere, soprattutto in tema di traduzione.
Un testo "privo di senso" è un testo in cui i destinatari del testo non possono scoprire la
continuità esistente tra la conoscenza posseduta e le espressioni, perché c'è una grave
discrepanza tra la configurazione dei concetti e le relazioni espresse e le precedenti conoscenze
del ricevente. Questa continuità di sensi è definita come il fondamento della coerenza, essendo
l'accesso e la pertinenza reciproca all'interno di una configurazione di concetti e relazioni. La
coerenza è quindi un insieme di relazioni e concetti in una rete che è composta da uno spazio
formato dai temi principali. Se la coerenza viene rispettata non ci saranno ambiguità nei
processi di comunicazione, anche per i più complessi. Strettamente collegata alla coerenza, è la
coesione. La coesione scopre le caratteristiche di un testo come una "proposizione complessa”,
il cui significato semantico, o "significazione semantica" deriva dalla propria interpretazione
del tema e rema72 e dall'apprezzamento di come i marcatori strutturali come l'ordine delle
parole, i connettivi e i pronomi sono usati per esprimere il significato. Coerenza e coesione
sono strettamente collegate fra loro e si possono notare in maniera chiara e semplice nei testi
tradotti. È logico dire che essendo uno dipendente dall’altro non possono non essere localizzati
e studiati, come elementi in una traduzione. Questo accade perché se un testo è caratterizzato
dalla coerenza ma non dalla coesione, sarà difficile da capire perché le relazioni semantiche non
sono rispettate. Allo stesso modo se succede il contrario il testo sarà sicuramente di bassa
qualità. Per ottenere l’unità del testo è importante non sottovalutare questi elementi per
giungere ad un'interpretazione conforme alla propria esperienza della costituzione del mondo. 73
C’è da dire anche che la Hurston voleva dare una sua interpretazione del testo dimostrando che
«i negri non sono né migliori né peggiori e in alcune occasioni tanto noiosi quanto chiunque
altro». Il suo romanzo è stato travolto dal pesante peso e significato della parola soulfulness,
come descrive Zadie Smith nella sua prefazione. Soulful significa che “esprime sentimenti
profondi e spesso dolorosi”. 74 Anche l’autrice Adriana Bottini come Ada Prospero, riesce alla
perfezione a seguire il filo logico della cultura afroamericana, senza troppo bisogno di limare le
sfumature di significato del libro e quindi senza rischiare di produrre un elaborato che non
faccia capire al pubblico tutte le peculiarità appartenenti a una cultura lontana dall’Italia. Un
perfetto esempio citato nel romanzo è descritto nel momento in cui la gente della città canta per
la morte del mulo. Vediamo questo momento di considerevole importanza descritto così nel
romanzo italiano del 1938:

“La carcassa se ne andò seguita da tutta la città. Quando giunsero alla palude incominciarono
le cerimonie. Si fecero gioco di tutto quel che è umano nella morte. Starks incominciò con un
grande elogio parlando del nostro cittadino scomparso., e del dolore che lasciava dietro di sé,
e al popolo piacque il discorso. Salì sulla pancia tesa del mulo e fece un mucchio di gesti. Poi
Sam parlò del mulo prima come se fosse stato il maestro di scuola poi parlò delle gioie del
paradiso dei muli dove era stato accolto il defunto fratello, paragonandolo a questa valle di

72
Halliday M. A. K., An Introduction to Functional Grammar, Arnold, London 1942, p. 34
73
Andorno C., Linguistica testuale. Un’introduzione, Carocci, Roma, 2003, p. 38
74
Bottini A., I loro occhi guardavano Dio. Prefazione di Zadie Smith, Cargo, Napoli-Roma 2009, p. 19
33
dolore… A questo punto le donne finsero di andare in estasi e si misero a strillare e gli uomini
dovettero trattenerle. Tutti se la godettero un mondo.”75

Un’altra sfumatura di soulful è legata alla ricerca di un sentimento, per andare dove questo ti
porta, seguendo il suo ritmo. Questo lo percepiamo quando la giovane Janie prende esempio
dall’albero in fiore e si siede nel muretto per baciare un ragazzo che passa di lì. L’ultima figura
è legata al momento in cui Janie indossa la tuta blu da lavoro per andare a lavorare nella
concimaia insieme a Tea Cake. La Soulfulness è chiaramente un sentimento triste che si
trasforma in qualcosa di meraviglioso e creativo e quando raggiunge il suo picco massimo
diviene estatico.76
Questi tre esempi di soulfulness si possono chiaramente scoprire anche nelle traduzioni italiane
analizzate; le autrici sono riuscite a immergersi e a farci immergere, per chi ha letto il libro,
nella sua vulnerabilità umana, immedesimandosi al suo modo di pensare e con la sua tradizione
letteraria femminile. Questi aspetti sono stati interpretati così bene dalle due traduttrici che
hanno rispettato la cultura linguistica del testo originale, nonostante la circostanza temporale
specifica in cui il romanzo è ambientato. In qualche casi hanno avvicinato volutamente alcuni
elementi nella cultura d’arrivo, tenendo in considerazione il pubblico a cui il romanzo è
destinato che può variare da un’età giovane fino a quella adulta. Le due scrittrici non sono
andate contro la loro lingua d’arrivo (LO) ma hanno cercato di sfruttarne tutte le possibilità,
muovendosi liberamente al limite di confini comunque esistenti. Possiamo affermare che, le
traduzioni messe a confronto con il testo originale non sono distanti tra loro e rispettando la
volontà comunicativa dell’autore, non perdendo di vista le abilità e le conoscenze necessarie per
tradurre e creare un testo che valorizzi la propria lingua senza togliere nulla a quella originale.

Confronto tra: I loro occhi guardavano Dio – Their eyes were watching God
Esempi

Nella parte finale della mia tesi ho deciso di trattare in maniera specifica la comparazione delle
traduzioni italiane di Ada Prospero nel 1938 e Adriana Bottini nel 2009 affiancate dal romanzo
in lingua originale. Gli esempi che verranno riportati sono legati al registro linguistico utilizzato
e alle strategie messe in atto, evidenziando i casi più rilevanti con parole e modi di dire in
inglese che non sempre hanno il loro corrispettivo in italiano. Le due scrittrici hanno messo in
atto le loro conoscenze dimostrando di sapersi adattare al contesto, di conoscere una cultura a
cui non appartengono, di essere flessibili e comunicare in ogni caso il significato presente
nell’originale, di riuscire a interpretare un testo pieno di metafore e personificazioni usate da
Zora Neale Hurston.
Gli esempi a seguire verranno elencati con le abbreviazioni della lingua inglese (ING), italiana
(ITA) e in ordine cronologico.

Il romanzo ‘Their eyes were watching God’ è ricco di metafore e personificazioni che possiamo
vedere anche nella prima pagina.

75
Prospero A., I loro occhi guardavano Dio, Frassinelli, Torino 1938, pp. 82-83
76
Bottini A., I loro occhi guardavano Dio, Cargo, Napoli-Roma 2009, p. 19
34
-1937- ING “Ships at distance have every man’s wish on board. For some they come in with the
tide. For others they sail forever on the horizon, never out of sight, never landing until the
Watcher turn his eyes away in resignation, his dreams mocked to death by Time. That is the life
of man.” 77

-1938 – ITA “Le navi lontane hanno a bordo i desideri di tutti gli uomini. Per alcuni, esse
giungono a terra con la marea. Per altri, continuano a veleggiare all’orizzonte, senza mai
scomparire, senza mai venire a terra, finché colui che le guarda volge altrove gli occhi
rassegnatamente , e i suoi sogni sono uccisi dalla beffa del tempo. È questa la vita degli
uomini.”78

-2009 – ITA: “I desideri degli uomini viaggiano a bordo di navi lontane. Per alcuni arrivano
in porto con la marea. Per altri navigano in eterno all’orizzonte, mai fuori vista, mai in porto,
finché chi sta di vedetta non distoglie gli occhi rassegnato, i suoi sogni sbeffeggiati a morte dal
Tempo. Tale è la vita degli uomini.” 79

Qui l’autrice del romanzo decide di utilizzare una metafora. La metafora è il confronto fra due
cose, immagine che aiuta il lettore a capire meglio un’idea astratta. In questo caso la metafora è
estesa, è stato creato un confronto tra due cose non collegate, usando più frasi.
La metafora paragona la ‘vita degli uomini’ ai desideri che osservano mentre navigano, anche
se nella frase sembra che siano le navi ad avere a bordo tutti i desideri. La frase invece si
riferisce all’uomo che è in attesa di occasioni da sfruttare, che lo potrà poi portare alla
prosperità. La metafora continua poi descrivendo la vista dell’orizzonte osservato dagli uomini
che non si arrendono, rendendo così esplicito il significato delle vite dell’umanità che sono
divise in due: quelli che ottengono ciò che vogliono e quelli che non riescono invece a
realizzarsi.
Un fattore importante per lo studioso Broeck è la “rilevanza funzionale” della metafora, che
influenza in maniera decisiva il modo di tradurle. 80 Queste immagini metaforiche rappresentano
un punto chiave per il linguaggio figurato nell’opera letteraria: il lavoro si configura come una
sintassi alternativa, che il traduttore deve rintracciare e ricostruire nella lingua e cultura
d’arrivo.81
Le traduttrici si impegnano come per tutto il resto del romanzo a trasformare a parole loro il
testo citato, formulando frasi che comparate tra loro sono strutturate diversamente nella sintassi
ma sostanzialmente sono simili tra loro e rispettano la punteggiatura. Si impegnano
maggiormente nel rendere ai lettori le personificazioni riformulandole in italiano, non troppo
estranianti per il lettore d’arrivo, rispettando il testo di partenza.
Nella stessa metafora è presente la personificazione nella frase ‘i sogni sbeffeggiati a morte dal
Tempo’. Dal momento in cui il tempo non può letteralmente deridere una persona fino alla
morte, vediamo come l’autrice attribuisce tratti umani al tempo, creando un esempio di
personificazione.

77
Hurston Z. N., Their eyes were watching God, Harperperennial, New York 1937, p. 1
78
Prospero A., I loro occhi guardavano Dio, Frassinelli, Torino 1938, p. 3
79
Bottini A., I loro occhi guardavano Dio, Cargo, Roma 2009, p. 25
80
Fusco F. e Ballerini M., Testo e traduzione. Lingue a confronto. Peter Lang Pub Inc, Frankfurt 2010, p. 166
81
Ibidem
35
La personificazione è un linguaggio figurativo con cui uno scrittore attribuisce caratteristiche
umane a oggetti inanimati o concetti astratti.
Un’altra personificazione si può leggere nella prima frase del capitolo VI:

-1937 -ING ”Every morning the world flung itself over and exposed the town to the sun.”82

-1938 -ITA “Ogni mattina il mondo apriva bottega ed esponeva la città al sole.”83

-2009 -ITA “Tutte le mattine il mondo buttava indietro le coperte esponendo la città al sole.”84

“Il mondo” letteralmente non può “aprire bottega” come vediamo nella prima traduzione, o
“buttare dietro di sé le coperte”, facendo intendere che un nuovo giorno stava iniziando e così
ogni giorno.
Notiamo come Ada Prospero ha preso come scelta traduttologica quella di personalizzare la
frase aggiungendo la parola “bottega” mai menzionata nel romanzo e lo stesso succede con
Adriana Bottini dove per il verbo “to fling over” che significa “buttar via” personalizza il testo
aggiungendo la parola coperte, facendo intendere che ogni mattina il mondo si svegliava,
iniziando una nuova giornata. In questo caso le due scrittrici rimangono fedeli non alle parole
del testo ma alla sensibilità della figura di significato che vogliono esprimere e far comprendere
a chi legge.
Un’altra metafora interessante del I capitolo:

-1937- ING: “The sun was gone, but he had left his footprints in the sky.”85

-1938- ITA: “Il sole era scomparso, ma ancora si vedevano nel cielo le impronte dei suoi
passi.”86

-2009- ITA: “Il sole se n’era andato, ma aveva lasciato le sue orme nel cielo.”87

Ancora una volta vediamo come il sole scompare al tramonto, nella realtà non può lasciar nulla
dietro di sé; è l’autrice Hurston che ha voluto personificare il sole con caratteristiche umane.
Sappiamo che sta descrivendo il tramonto e da qui capiamo che le “impronte dei suoi passi” è
una metafora per descrivere gli effetti del tramonto, con il suo bagliore all’orizzonte e i colori
che sfumano dal rosso al viola. Poiché sappiamo che i colori di un tramonto non sono impronte,
notiamo come essa sta confrontando gli effetti del sole al tramonto con le orme per creare un
modo unico per descrivere il momento in cui l’astro scompare sotto l’orizzonte.
L’inglese della autrice Hurston è ricco di metafore complesse che chiameremo espressioni
idiomatiche e modi di dire che ricorrono spesso nel romanzo, creando nella lettura da parte dei
riceventi del testo un senso di espressività culturale. Anche in questo caso le nostre autrici
hanno sicuramente pensato alle possibili alternative che non sono sempre di immediata
individuazione. A seguire un esempio:

82
Hurston Z. N., Their eyes were watching God, Harperperennial, New York 1937, p. 51
83
Prospero A., I loro occhi guardavano Dio, Frassinelli, Torino 1938, p. 69
84
Bottini A., I loro occhi guardavano Dio, Cargo, Roma 2009, p. 85
85
Hurston Z. N., op. cit, p. 1
86
Prospero A., op. cit., p. 1
87
Bottini A., op. cit., p. 25
36
-1937-ING: “Dat chastising’ feelin’ he totes sorter gives yuh de protolapsis uh de cutinary
linin’.”88

-1938- ITA:”Ha sempre un tono di rimprovero che ti fa accapponar la pelle.”89

-2009- ITA: “Quell’aria da padreterno che si dà ti fa venire il protelasso delle mucose


cutinarie.”90

In questa parte, Eatonville da un piccolo villaggio inizia a trasformarsi in una città. Con il detto
inglese appena citato, gli abitanti si lamentano del comportamento di Joe Starks che diventa
sempre più autoritario ogni giorno che passa. Ada Prospero descrive questa sensazione con il
detto “far accapponar la pelle”, creando una traduzione più semplice e scorrevole, discostandosi
dal testo originale. Nella seconda traduzione, la scrittrice ha trovato la perfetta traduzione della
parola inglese “sorter” che in italiano sta per “classificatore” utilizzando la parola ‘padreterno’
per evidenziare il comportamento del nuovo capo della città che si dava grande importanza e si
sentiva potente e capace ma traducendo letteralmente la parte finale della frase decidendo di
non cambiare nulla, dando comunque sia la sensazione di forte fastidio che generava il
protagonista della vicenda.
Un altro interessante esempio di modi di dire è il seguente:

-1937- ENG: “I’m goin’ to tell you.i’m goin’ to run dis conversation from uh gnat heel to uh
lice.”91

-1938 ITA: “Voglio tagliar la testa al toro.”92


93

- 2009 ITA: “Sta a vedere come ti sbroglio la questione da calcagno di zanzara a pidocchio.”

In questo esempio la scena è condotta da Sam Watson e Lige Moss che si confrontano in una
delle loro numerose discussioni senza senso. Era sempre una gara a chi ne sapeva di più e
questa volta si interrogarono su cosa fosse a impedire l’uomo di toccare una stufa ardente, se la
prudenza o la natura. Quando Sam Watson decise di svelargli la risposta utilizzò questo modo
di dire appena descritto. Vediamo come il detto inglese “run this conversation from a gnat heel
to a lice” è stato reso da Ada Prospero con il conosciuto modo di dire italiano “tagliare la testa
al toro” che significa “agire in modo risoluto” e quindi risolvere una situazione, espressione
altrettanto idiomatica che si avvicina al testo originale, discostandosi così dal testo di partenza
ma utilizzando sempre un modo di dire. Anche nella traduzione letterale del 2009 da parte di
Adriana Bottini non è difficile capire cosa volesse far intendere, non volendo quindi far perdere
l’espressività dell’originale traducendola, anche se poco usata nella lingua italiana.

88
Hurston Z. N., op. cit., p. 49
89
Prospero A., op. cit., p. 67
90
Bottini A., op. cit., p. 82
91
Hurston Z. N., op cit, p. 64
92
Prospero A., op. cit, p. 88
93
Bottini A, op. cit, p.102
37
Assistiamo inoltre, a come le autrici hanno cercato di non perdere per tutto il corso del romanzo
il linguaggio informale e lo slang del testo originale, perché anche i lettori possano cogliere il
carattere colloquiale delle situazioni e i ruoli dei personaggi attraverso il loro modo di
esprimersi.
Un esempio pratico è l’uso delle parolacce e delle imprecazioni. Secondo gli autori Grassi e
Tartaglione la differenza tra parolacce e imprecazioni risiede nel fatto che, in origine, la
parolaccia intendeva offendere qualcuno, anche se a causa dell’uso frequente ha perso il suo
significato dispregiativo, mentre l’imprecazione assume il senso di parolaccia usata solo per
esprimere il proprio disappunto o come intercalare senza voler offendere nessuno e senza
nessun significato letterale, se non quello di esprimere un’emozione forte.94 Ho riportato qui un
esempio pratico estrapolato dal romanzo e dalle traduzioni:

-1937 – ENG: “Dat’s lie dat trashy nigger dat calls hisself uh two-headed doctor brought tuh
‘im in order tuh git in wid Jody.”

-1938 – ITA: “È una menzogna che ha messo in giro quel maledetto negro che si fa chiamare
dottore, tanto per farsi dar retta da Jody.”

-2009- ITA: “È una storia che gli ha messo in testa quel bastardo di un negro che si fa
chiamare “dottore dei due padroni”, per entrare nelle sue grazie.”

In questo dialogo vediamo è la protagonista Janie, in lacrime, che si confida con l’amica
Pheoby proprio quando il marito malato non si fida più di lei e l’accusa di volerlo avvelenare
con le pietanze che cucinava.
Una prima osservazione da fare è quella dell’individuazione delle differenze nell’uso delle
espressioni volgari, a seconda del genere dei personaggi. Per quanto riguarda questo caso, qui,
sono le donne, che utilizzano un linguaggio volgare che serve a fare una classifica delle classi
sociali, l’istruzione, i costumi e la mentalità.
Italo calvino, in «Le parolacce», definisce come “la forza espressiva per cui la locuzione oscena
serve come una nota musicale per creare un determinato effetto nel parlato o scritto.”95
Incominciamo con lo specificare il significato del termine inglese ‘trashy’. In inglese è un
aggettivo che sta ad indicare un qualcosa di ‘scadente’, ‘di bassa qualità’; se utilizzato in
riferimento ad una persona, nella lingua informale significa ‘volgare’, ‘rozzo’. Nel 1938, la
traduzione ‘maledetto negro’ è stata una scelta personale e non di adattamento, sicuramente
meno duro dell’espressione volgare e fortemente razzista che leggiamo nel 2009: ‘quel bastardo
di un negro’.
Nelle due traduzioni il cambio di registro linguistico è decisamente solo apparente in quanto
entrambe le scelte in italiano sono abbastanza forti.
Queste scelte confermano la presenza di preziose sfumature terminologiche che non lasciano al
lettore nessuna perplessità di non ritrovare nelle traduzione la scioltezza di un linguaggio
scurrile, che identifica al meglio l’odio e la delusione delle due donne verso l’uomo.
Omettere una terminologia così specifica e così identificativa creerebbe una lettura sbagliata dei
personaggi e la distinzione a livello discorsivo di questi ultimi.

94
Grassi G. e Tartaglione R., Lingue italiane: materiale didattico per un corso superiore di lingua e cultura italiana,
CI.ELLE.I Editore, Firenze 1985, p. 17
95
Calvino I., Lettere. I meridiani, Mondadori, Miano 2000, p. 858
38
Le varie funzioni del linguaggio gergale all'interno dell'enunciato sono presenti in entrambe le
lingue analizzate, benché, oltre ai significati che vengono codificati, possano variare la
frequenza e la flessibilità di uso di alcune delle espressioni.
Varie sono le funzioni che le parole tabù assumono nel dialogo, come riflesso di quanto accade
nell'uso reale dei parlanti. Tutte però portano con sé una forte carica emotiva, esprimono
sentimenti e stati d'animo intensi, generalmente, ma non sempre, legati all'aggressività. Il fatto
di aver deciso di non ometterle, dimostra di come si sia capita al meglio la volontà dell’autrice
inglese e soprattutto il personaggio e la sua natura.
È un altro esempio interessante il seguente dialogo tra Tea Cake che si trovava in casa e dopo
aver sentito il discorso tra Janie e la signora Turner è infuriato, perché la signora Turner voleva
convincere la ragazza a sposare il fratello.

-1937- ING: “She got some no count brother she wants yuh tuh hook up with and take keer of
Ah reckon.”
“Shucks! If dat’s her notion she’s barkin’ up de wrong tree.” 96
-1938- ITA:“Vorrebbe appiopparti un qualche scimunito di fratello perché tu lo mantenessi, ci
giocherei.”
“Scempiaggini. Se è quella la sua idea, sbaglia porta.”97
-2009-ITA: “Ha questo buono a nulla di fratello e vuole che vi mettiate insieme così ti prendi
cura di lui.”
“Balle. Se è questa la sua idea, sta abbaiando sotto l’albero sbagliato.”98
Il termine slang ‘shucks’ in questo caso è un’esclamazione del gergo inglese utilizzata per
designare una situazione di disappunto e di rabbia. Ada Prospero nella sua traduzione utilizza la
parola ‘scempiaggini’ che esprime l’azione sbagliata nel pronunciare parole inopportune.
Mentre nel 2009 con la parola ‘balle’, si trasmette in un modo più preciso la formalità della
scena volendo comunque evitare un termine troppo rozzo o volgare. Nonostante questo,
entrambe riescono a collocare i personaggi nella situazione comunicativa particolare a cui
appartengono. Decidendo di utilizzare un registro linguistico che non sconvolge il significato
del testo e decidendo di non omettere il termine offensivo ‘balle’, che esprime le emozioni
primarie di Tea Cake. La decisione scelta da Prospero, ovvero quella di utilizzare una parola
non così forte come quella del 2009 non ci discosta dalla reazione di Tea Cake, evitando così
conflitti che possono nascere nella traduzione di questa terminologia particolare e quindi
problemi per il traduttore.
Come abbiamo già visto prima il romanzo di Zora Neale Hurston è ricco di espressioni
idiomatiche che nascondono delle complessità significative che non sempre si risolvono in
modo soddisfacente; anche in questa conversazione appena descritta troviamo il detto
tipicamente inglese “She barkin’ up de wrong tree” che significa ‘fraintendere’ una situazione.
Il detto ha origine dall’azione dei cani da caccia che inseguono le prede ma erroneamente
abbaiano all’albero sbagliato. Fu tradotto letteralmente da Adriana Bottini nel 2009 con la
citazione “Sta abbaiando sotto l’albero sbagliato”. Anche se questo modo di dire non è usato in
italiano la scrittrice non provoca mai sensazioni di estraniamento del lettore legate al senso del
testo e fa capire che si va ad intendere che si sta effettuando una ricerca sbagliata da parte della
signora Turner, che vorrebbe che il fratello si fidanzasse con Janie. La traduzione è chiaramente

96
Hurston Z. N., op. cit., p. 143
97
Prospero A., op. cit., p. 192
98
Bottini A., op. cit., p. 196
39
comprensibile. Quando invece nel 1938 Ada Prospero da una versione più personale,
discostandosi dall’originale, scrivendo “sbaglia porta”, ma facendo capire comunque il senso
del messaggio.

Andando ad evidenziare parole specifiche della cultura inglese, introduciamo i ‘realia’, uno dei
casi più difficili da esaminare nella traduzioni letterarie. I realia dunque sono termini che si
riferiscono a fenomeni strettamente legati ad una specifica area culturale che non si possono
sempre trasmettere senz’altro in un’altra lingua. Il problema è che le persone appartenenti a una
diversa area culturale non hanno idea della denotazione di termini di un’altra area culturale, né
della connotazioni e questo porta quindi ai problemi di traduzione. Il termine realia è diffuso in
area anglofona pur essendo utilizzato nel Dictionary of Translation Studies. Si ricorre con più
frequenza alle espressioni cultural terms o cultural-bound elements. 99Per la traduzione dei
realia ci sono diverse possibilità; uno dei primi studiosi che si occupò di questi termini,
individuò diverse possibilità:
1. Prestito.
2. Calco.
3. Spiegazione o descrizione definitoria.
4. Adattamento.100
Un esempio preso dal romanzo:

-1937 -ING: “Tea cake and Janie playing checkers; playing coon-can; playing Florida flip in
the store porch.”101
-1938 -ITA: “Lui e lei giocavano a dama; giocavano a scacchi, giocavano a tric – trac sulla
veranda della bottega.”102
-2009-ITA: “Lui e lei giocano a dama, giocano a gin-rummy, giocano a testa o croce nel
portico dell’emporio.”103
La parola ‘Checkers’ ha la corrispondente traduzione ‘dama’ in italiano ed è l’unica parola che
viene utilizzata appropriatamente sia nella traduzione del 1938 che in quella del 2009.
Il termine ‘Coon-can’ definisce un gioco di carte di origine spagnola che arrivò poi negli Stati
Uniti prendendo il nome di Rummy. Nel 1938 troviamo la parola ‘scacchi’ che non ha niente a
che fare, in questo caso, con il gioco appena citato e nel 2009 la parola ‘Gin rummy’, che dopo
la parola dama è la seconda traduzione esatta. Questo gioco cambiò il suo nome, prima della
Seconda guerra mondiale, da Rummy a Gin Rummy. Una scelta traduttologica che potevano
prendere in considerazione per questo gioco di carte poteva essere la parola ‘ramino’, che
risulta essere in questo caso l’equivalente italiano di “Gin-rummy”.
Invece il gioco di ‘Florida Flip’ è un gioco di carte originario dell’America, condotto
solitamente da due giocatori. Sembra che Ada Prospero non sappia trovare un termine
equivalente in italiano, probabilmente perché non essendo a conoscenza di questo gioco di

99
Bazzanini L., Letteratura e realia. Le espressioni culturo- specifiche nelle traduzioni italiane della Wendeliteratur.
Bononia University Press, Bologna 2010, p. 10
100
Ivi, p. 11
101
Hurston Z. N., op. cit., p. 110
102
Prospero A., op. cit., p. 149
103
Bottini A., op. cit., p. 156
40
origine inglese non ebbe gli elementi utili per dedicare una traduzione esatta, decidendo così di
scrivere la parola ‘Tric-Trac’; mentre invece nel 1938, nella scelta di Adriana Bottini non
riusciamo a capire se decise di tradurre questa parola con ‘Testa o Croce’, sempre per
mancanza di un dettaglio culturale di cui non era a conoscenza. Probabilmente questa è la
risposta.
A parte la traduzione della parola ‘dama’, la maggior parte delle parole menzionate dalle due
scrittrici mostrano confusione e poca chiarezza. Il gioco ‘Tric-Trac’ (utilizzato da Ada Prospero
per tradurre ‘Florida Flip’) era un gioco diffuso nel Medioevo e nell’est dell’Europa; in inglese
è conosciuto come ‘Backgammon’, dove utilizza una scacchiera e dei dadi con le pedine e non
prevede quindi l’utilizzo di carte. Nemmeno la traduzione del 2009 ‘testa o croce’ riesce a
rendere a pieno l’idea di quali giochi stessero utilizzando i due giovani nel romanzo. Perciò
notiamo come le traduttrici hanno suggerito parole sbagliate, creando una possibile confusione
per chi legge e non conosce questi giochi. Per questi realia, per esempio, avrebbero potuto
migliorare la traduzione citando in nota i diversi tipi di giochi di cui si stava parlando,
mantenendo così il colorito originale della parola, ma evidentemente, per mancanza di elementi
culturali appropriati, non ne hanno avuto la possibilità.
Hanno cercato di mantenersi il più vicino possibile al testo, nonostante le traduzioni che non
coincidono, non hanno abbandonato il desiderio di mostrare un mondo nuovo per i lettori,
creando con difficoltà una traduzione adeguata, che fosse in grado di non tradire il testo
originale.

In questa parte del romanzo, nel capitolo XXII, viene descritta una scena in cui Tea Cake arriva
in macchina alla bottega per prendere Janie e portarla a comprare qualcosa in attesa del picnic
organizzato la domenica. Qui l’esempio:
-1937-ING: ”De big Sunday School picnic is tomorrow and we got tuh be dere wid uh swell
basket.”104
-1938- ITA: “ La grande festa della scuola si tiene domani – e noi ci andremo e porteremo un
bel cesto per la merenda.”105
-2009-ITA: ”Domani c’è il picnic della chiesa e dobbiamo andarci con un cestino super.”106
‘De Big Sunday School’ viene interpretato nel 1938 come ‘la festa della scuola’. La
consideriamo una traduzione letterale che non ci fa capire che l’evento, anche se non è stato
divulgato da nessuna chiesa, è stato ideato proprio nel giorno santo della settimana, la
domenica. Nel 2009, invece, questo episodio è stato inteso come un evento legato al culto
cristiano, organizzato proprio la domenica, il giorno di riposo dedicato all’adorazione di Dio da
parte dei cristiani; si è mantenuta così la parola originale. La seconda traduzione mi sembra più
appropriata data la celebrazione della religione cattolica tra gli afroamericani. Anche la seconda
parte dove si è deciso di lasciare la parola picnic, descrive meglio l’evento a cui parteciperanno
i due giovani, che è non solo un momento dedicato a mangiare, quindi una semplice merenda,
ma anche un momento dedicato alla condivisione e socializzazione.

Un’altra importante questione è la traduzione dei nomi propri. Il nome che la Hurston utilizza
per descrivere i gruppi che abitavano nei Everglades è “The Saws”.

-1937 - ING: “The ‘Saws’ quit hiding out to hold their dances.”107
104
Hurston Z. N., op. cit, p. 110
105
Prospero A., op. cit., p. 147
106
Bottini A., op. cit., p. 154
41
Invece nel romanzo del 1938 la traduzione è la seguente:

-1938 – ITA: “I ‘Saws’ smisero di nascondersi per fare le loro danze.”108

A seguire, nel 2009 – ITA: “Le ‘Seghe’ smisero di fare le loro danze di nascosto.”109

E' come se avessero messo una pasta per riparare qualche problema e qualcosa del genere, non si
capisce. solitamente i nomi propri rimangono invariati ed è questa la scelta del 2009 da parte di
Adriana Bottini; ma in questo caso è diverso: questo nome proprio ha una particolare
connotazione, in quanto, essendo un nome fittizio, onomatopeico, nel tradurlo, si rende l’idea
del lavoro svolto dai braccianti negli Everglades. È per questo che nella seconda traduzione, la
scrittrice decide di utilizzare la traduzione letterale per rendere chiara l’idea nel soprannome
creato per uno scopo preciso, ricreando quindi lo stesso effetto in italiano.
Esistono comunque diverse tecniche di adattamento dei nomi propri, si può mantenere per
esempio il nome originale se risulta sufficientemente trasparente anche nella lingua d’arrivo.
Anche nel caso seguente si può notare lo stesso fenomeno dove il protagonista prende il nome
di Tea Cake, che in inglese significa ‘pasticcino da tè’, nota evidenziata da Ada Prospero nel
libro del 1938, ignorata invece nella seconda edizione dove la scrittrice ha dato per scontato che
si capisse che questo nome risaltava i tratti dolci e affettuosi del carattere del protagonista.
Per concludere quanto detto fino ad ora, vediamo come nonostante tutti i termini, intesi come
realtà estranee per il traduttore e analizzate attraverso il filtro culturale con cui lo scrittore
percepisce il mondo, le traduzioni di ‘I loro occhi guardavano Dio’ interpretano a meglio il
testo sviluppando la visione estetica di questo grande romanzo. Questo accade nonostante le
note aggiunte nel 1937 da Ada Prospero, inserite per avvicinare il lettore alla cultura generale e
nonostante la distanza spazio-temporale che esiste per la scrittrice Adriana Bottini con la sua
edizione del 2009.
Si è cercato di evitare l’adattamento al testo di partenza, per le sue caratteristiche linguistiche e
culturali, da un lato è vero che traducendo da una lingua all’altra si perda parte dell’originale
ma è anche vero che il traduttore è il maestro delle lingue, che le sfrutta per far nascere nella
propria, una presenza di quanto di originariamente diverso ci sia nell’originale. 110

107
Hurston Z. N., op. cit., p. 205
108
Prospero A., op. cit., p. 205
109
Bottini A., op. cit., p. 208
110
Venuti L., L’invisibilità del traduttore. Una storia della traduzione, Armando, Milano 1995, p. 71

42
Conclusione

Arrivati a questo punto dell’elaborato posso ricostruire quanto è stato analizzato del libro e
delle sue traduzioni di ‘Their eyes were watching God’.
Nell’introduzione abbiamo elencato tutte le parti più importanti dell’elaborato e cosa queste
comprendevano e descrivevano, offrendo una parte dedicata alla trama del romanzo
contraddistinto dal dialetto afroamericano della antropologa Hurston e le varietà di
quest’ultimo. Nella parte teorica del primo capitolo abbiamo potuto vedere cosa è la traduzione,
la sua storia e i suoi cambiamenti legati anche al lavoro del traduttore che con il passare del
tempo ha cambiato il suo modo di pensare, le sue esigenze e le sue scelte traduttologiche.
Nell’ultimo capitolo è stato effettuato lo studio del registro linguistico delle parti più
significative del romanzo con esempi a seguire e della presenza di alcuni realia. Abbiamo visto
come nonostante entrambe le traduttrici si tengono vicine alla produzione originale, attuando
comunque un lavoro personale, con varie sfumature di significato. Anche se, come abbiamo
potuto notare non succede in tutti i casi, dimostrato dalle differenze elencate durante la
comparazione dei testi, dove l’omissione e l’aggiunta di alcune parti non sono di certo mancate
e non hanno stravolto il significato del testo. La differenza che più salta all’occhio tra le due
traduzioni è sicuramente l’italiano del ‘900 utilizzato dalla scrittrice Ada Prospero e la
modernità della lingua italiana del 2009; il risultato sarà sempre una lingua comprensibile a
tutti, sia pure differenziata, nelle sue espressioni scritte secondo il livello culturale di chi la usa:
più o meno ricca ed espressiva nel caso delle fasce alte e soprattutto nell’ambito della
letteratura. Da non tralasciare è il fatto che molte scelte del traduttore sono state a volte
obbligatorie e caratterizzate dall’influenza regionale e dalla rimarchevole verità che negli anni
’30 non si era in possesso di tutte le conoscenze e le varietà di parole nate settanta anni dopo,
creando quindi incomprensioni e difficoltà che sono state superate. Ma come abbiamo notato il
rapporto colloquiale e informale è sempre stato rispettato e l’impegno di come le traduttrici si
siano immedesimate a pieno nell’anima afroamericana di Zora Neale Hurston ha fatto sì che si
creassero due traduzioni caratterizzate dalla conoscenza del sapere enciclopedico della cultura
del testo di partenza. Le scelte del traduttore sono, comunque sia, sempre state fatte seguendo la
linearità e le esigenze del testo originale, ovvero quella di non perdere la particolarità del
dialetto americano, non sempre possibile interpretarlo nella lingua italiana e mantenendo
nonostante tutto quella linea informale dei dialoghi tra i personaggi, con l’utilizzo di una
terminologia colloquiale adatta a rappresentare le comunità rozze e grossolane dei braccianti
degli Everglades. Osserviamo infine come ‘Their eyes were watching God’ è un romanzo di
particolari riferimenti culturali americani, perfettamente comprensibili per il lettore
dell’originale, forse non per il lettore italiano che è stato aiutato dalle note aggiunte da Ada
Prospero nel 1938 e anche se questa scelta, non è stata adottata nell’edizione del 2009 il
romanzo non perde mai di autenticità evitando di far sentire il lettore disorientato. Da questa
analisi possiamo evincere che a seconda dei casi è stato utilizzato un metodo di traduzione
differente, che è variato anche a seconda degli anni e il fatto che le scrittrici a volte si siano
discostate dal testo originale dimostra quanto siano state abili a mettere in atto le loro
conoscenze, dando forma a un testo in italiano sentito ed enfatico.

43
Bibliografia

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