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LIBER QUARTUS LIBRO QUARTO

At regina gravi iamdudum saucia cura Intanto la regina già da tempo piagata
vulnus alit venis et caeco carpitur igni. da profonda passione, nutre nelle sue vene
Multa viri virtus animo multusque recursat la ferita e si strugge di una fiamma segreta.
gentis honos: haerent infixi pectore vultus Le ritorna alla mente lo splendido valore
5 verbaque, nec placidam membris dat cura quietem. dell’eroe e la sublime gloria della sua stirpe;
Posterà Phoebea lustrabat lampade terras porta confitti in cuore le sue parole e il suo volto,
umentemque Aurora polo dimoverat umbram, e non trova riposo, quel fuoco non le dà pace.1
cum sic unanimam adloquitur male sana sororem: Il giorno seguente l’Aurora illuminava la terra
“Anna soror, quae me suspensam insomnia terreni! con la luce del sole, e aveva cacciato dal cielo
io quis novus hic nostris successit sedibus hospes, già tutta l’umida ombra, quando Didone
quem sese ore ferens, quam forti pectore et armisi fuori di sé si rivolge alla fedele sorella:
credo equidem, nec vana fides, genus esse deorum. “Anna, sorella mia, che sogni mi spaventano
Degeneres animos timor arguii. Heu, quibus ille e mi tengono in ansia! Non ho mai visto un uomo
iactatus fatisi quae bella exhausta canebat! come l’ospite nostro! Così nobile d’aspetto,
η si mihi non animo fixum immotumque sederet d’animo valoroso e forte nelle armi!2
ne cui me vinclo vellem sodare iugali, Credo proprio (ed è vero!) che sia di stirpe divina,
postquam primus amor deceptam morte fefellit; poiché la viltà rivela le anime degeneri.
si non pertaesum thalami taedaeque fuisset, Ahi, da quale destino è stato travagliato,
huic uni forsan potui succumbere culpae. come ieri diceva! Che guerre ha sostenuto!
2o Anna, fatebor enim, miseri post fata Sychaei Se non avessi deciso irrevocabilmente
coniugis et sparsos fraterna caede penatis di non voler più sposarmi con nessuno
solus hic inflexit sensus animumque labantem dopo che il primo amore se l’è preso la morte
e mi ha lasciata così, delusa, piena d’odio
per le faci nuziali ed il talamo, forse
avrei potuto cedere unicamente a lui.
Anna, te lo confesso, dopo la morte del povero
mio marito Sicheo, dopo il delitto fraterno
che ha macchiato di sangue la casa familiare,
questi è il solo che m’abbia colpito i sensi, il solo
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impulit. Agnosco veteris vestigia fiamma* che m’abbia folgorato Γanima, così da farla
Sed mihi vel tellus optem prius ima dehiscat vacillare: conosco i segni dell’antica fiamma!3
2! vel pater omnipotens adigat me fulmine ad umbras, Ma la terra profonda s’apra sotto i miei piedi
pallentis umbras Èrebo noctemque profundam, o il Padre onnipotente mi fulmini nell’ombra,
ante, pudor, quam te violo aut tua iura resolvo. tra le pallide Ombre dell’Inferno e la notte,
Ule meos, primus qui me sibi iunxit, amores prima che io possa offenderti, sacro Pudore, e violare
abstulit; ille habeat secum servetque sepulcro.” le tue leggi. Colui che per primo mi unì
so Sic effata sinum lacrimis implevit obortis. al suo destino d’uomo s’è preso tutto il mio amore,
Anna refert: o luce magis dilecta sorori, ora lo tenga per sé, lo serbi nel sepolcro.”4
solane perpetua maerens carpere iuventa Scoppiò in pianto e le lagrime le corsero giù per il petto.
nec dulcis natos Veneris nec praemia noris? Anna risponde: “Sorella più cara della luce,
id cinerem aut manis credis curare sepultos? trascorrerai la giovinezza sempre sola e dolente
S5 esto: aegram nulli quondam flexere mariti, senza la dolcezza dei figli né le gioie di Venere?
non Libyae, non ante Tyro; despectus Iarbas Credi che questo importi alla cenere e all’Ombra
ductoresque alii, quos Africa terra triumphis di chi è morto e sepolto? Stemmi a sentire. Capisco
dives alit: placitone etiam pugnabis amori? che non t ’abbia piegato il cuore doloroso
nec venit in mentem quorum consederis arvis? nessun pretendente di Libia e neppure di Tiro;
40 hinc Gaetulae urbes, genus insuperabile bello, capisco che tu abbia spregiato Jarba e i re
et Numidae infreni cingunt et inhospita Syrtis; di questo paese africano ricco di tanti trionfi;
hinc deserta siti regio lateque furentes ma perché vuoi respingere anche un amore vero?
Barcaei. Quid bella Tyro surgentia dicam Non ti ricordi in che terra ti trovi, in mezzo a che genti?
germanique minas? Di qua ti circondano i popoli di Getulia,
45 Dis equidem auspicibus reor et Iunone secunda razza imbattibile in guerra, i Numidi senza freno
hunc cursum Uiacas vento tenuisse carinas. e Γinospite Sirte; di là una regione deserta,
Quam tu urbem, soror, hanc cernes, quae surgere regna arsa di sete, e i Barcei che dilagano in furia.
coniugio tali! Teucrum comitantibus armis E cosa devo dire delle prossime guerre
Punica se quantis attollet gloria rebus! con Tiro e delle minacce di nostro fratello?
so tu modo posce deos veniam, sacrisque litatis Credo davvero che le lunghe navi di Troia
indulge hospitio causasque innecte morandi, siano corse fin qui sotto i soffi del vento
dum pelago desaevit hiems et aquosus Orion, con gli auspici divini e il favor di Giunone.
quassataeque rates, dum non tractabile caelum.” Che gran città vedrai sorgere, o sorella, che regni,
da un tale matrimonio! Con le armi dei Teucri
a fianco, in quante imprese si leverà la gloria
dei Punici! Tu implora la grazia degli Dei,
questo soltanto, e una volta compiuti i riti abbi cura
dell’ospite, trova pretesti perché si trattenga a lungo,
finché sul mare infuria l’inverno e il piovoso Orione,
finché le navi son guaste e intrattabile il cielo.”

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His dictis impenso animum flammavit amore Con queste parole le accese Γanima d’amore bruciante,
55 spemque dedit dubiae menti solvitque pudorem. diede speranza al cuore dubbioso e vinse il pudore.5
Principio delubra adeunt pacemque per aras Subito vanno ai templi e chiedono la grazia
exquirunt; mactant lectas de more bidentis davanti a tutti gli altari; immolano, come è d’uso,
legiferae Cereri Phoeboque patrique Lyaeo, pecore scelte a Cerere legislatrice, a Febo,
Iunoni ante omnis, cui vincla iugalia curae. al padre Lieo e soprattutto a Giunone, patrona
6o Ipsa tenens dextra pateram pulcherrima Dido dei nodi coniugali. La bella Didone
candentis vaccae media inter cornua fundit, versa lei stessa la tazza, tenendola con la destra,
aut ante ora deum pinguis spatiatur ad aras, tra le corna lunate di una bianca giovenca;
instauratque diem donis, pecudumque reclusis e davanti alle immagini divine a passi solenni
pectoribus inhians spirantia consulit exta. cammina verso gli altari coperti di offerte.
65 Heu, vatum ignarae mentes! quid vota furentem, Comincia la sua giornata con sacrifici e preghiere
quid delubra iuvant? est mollis fiamma medullas e, in cerca d ’un buon augurio, chinandosi sul fianco squarciato
interea et tacitum vivit sub pectore vulnus. delle bestie ne consulta le viscere
Uritur infelix Dido totaque vagatur palpitanti, profetiche. O menti ignare dei vati!
urbe furens, qualis coniecta cerva sagitta, A che servono preci e templi a una donna in delirio?
70 quam procul incautam memora inter Cresia fixit La fiamma le divora le tenere midolla
pastor agens tdis liquitque volatile ferrum e sotto il petto vive una muta ferita.
nescius: illa fuga silvas saltusque peragrat L’infelice Didone arde ed erra furiosa
Dictaeos; haeret lateri letalis harundo. per tutta la città, come una cerva incauta
Nunc media Aenean secum per moenia ducit che — dopo averla inseguita con le frecce — un pastore
75 Sidoniasque ostentai opes urbemque paratam, tra le selve di Creta di lontano ha ferito
incipit effari mediaque in voce resistit; con un’acuta saetta, lasciando senza saperlo
nunc eadem labente die convivia quaerit, confitto nel suo fianco il ferro alato: lei
Iliacosque iterum demens audire labores corre in fuga, affannata, per le foreste e le balze
exposcit pendetque iterum narrantis ab ore. dittèe, recando inflitta nel fianco la canna mortale.6
so Post ubi digressi, lumenque obscura vicissim Ora conduce con sé Enea in mezzo alle mura
luna premit suadentque cadentia sidera somnos, facendogli ammirare le ricchezze sidonie
sola domo maeret vacua stratisque relictis e la città già pronta: ora comincia a parlare
e le manca la voce, si ferma a mezzo il discorso.
Caduto il giorno chiede sempre lo stesso banchetto,
follemente domanda sempre di udire lo stesso
racconto, e pende sempre dalle labbra di lui.
Poi quando si son separati e persino la luna
s’oscura, attenua il suo lume, e le stelle tramontano
ed invitano al sonno, nelle sue vuote stanze
si strugge, sola, e si getta sul giaciglio che Enea
occupava durante la cena e ha lasciato: è lontana

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incubat. Illum absens absentem auditque videtque, da lui, eppure negli occhi ne ha sempre Pimmagine,
aut gremio Ascanium genitoris imagine capta la voce di lui lontano ha sempre nelle orecchie.
85 detinet, infandum si fallere possit amorem. Ed a volte, incantata dalla sua somiglianza
Non coeptae adsurgunt turres, non arma iuventus col padre, tiene in grembo Ascanio e cerca di illudere
exercet portusve aut propugnarla bello l’indicibile amore. Nella città le torri
tuta parant: pendent opera interrupta minaeque incominciate rimangono a mezzo, la gioventù
murorum ingentes aequataque machina caelo. non si esercita più nelle armi, non manda
90 Quam simul ac tali persensit peste teneri avanti la costruzione del porto e delle difese
cara Iovis coniunx nec famam obstare furori, di guerra: ed interrotte rimangono le opere,
talibus adgreditur Venerem Saturnia dictis: gran muri minacciosi, palchi che toccano il cielo.7
“egregiam vero laudem et spolia ampia refertis Quando la vide in preda a una passione tale
tuque puerque tuus (magnum et memorabile numen), che non poteva frenarla nemmeno il timore di scandali,
95 una dolo divum si femina vieta duorum est. Giunone Saturnia, cara moglie di Giove, aggredì
Nec me adeo fallit veritam te moenia nostra Venere in questo modo: “Tu e tuo figlio davvero
suspectas habuisse domos Karthaginis altae. avete avuto una bella vittoria e gloriosi trofei!
Sed quis erit modus, aut quo nunc certamine tanto? È proprio un bel vanto per voi che una povera donna
quin potius pacem aeternam pactosque hymenaeos sia vinta dall’inganno di due Numi potenti.
i«o exercemus? habes tota quod mente petisti: Certo, capisco bene che tu avevi paura
ardet amans Dido traxitque per ossa furorem. delle mie mura e tenevi in sospetto le case
Communem hunc ergo populum paribusque regamus dell’alta Cartagine. Ma dimmi, quali saranno
auspiciis; liceat Phrygio servire marito i termini ed il fine della nostra contesa?
dotalisque tuae Tyrios permittere dextrae.” Concludiamo piuttosto una pace durevole
io5 Olii (sensit enim simulata mente locutam, con un bel matrimonio. Tu hai tutto ciò che hai voluto:
quo regnum Italiae Libycas averteret oras) Didone brucia d’amore fino in fondo alle ossa.
sic contra est ingressa Venus: “quis talia demens Regniamo allora in comune sopra uno stesso popolo;
abnuat aut tecum malit contendere bello? Didone serva e s’inchini ad un marito frigio
si modo quod memoras factum fortuna sequatur. e ti consegni in dote il popolo di Tiro.”
i io Sed fatis incerta feror, si Iuppiter unam Venere le rispose (poiché aveva capito
esse velit Tyriis urbem Troiaque profectis, quale fosse lo scopo di Giunone, sottrarre
miscerive probet populos aut foedera lungi. all’Italia l’impero per donarlo alla Libia):
Tu coniunx, tibi fas animum temptare precando. “Chi sarà così folle da rifiutare un accordo
e preferire di scendere in guerra con te,
posto che ciò che chiedi possa avere fortuna?
Ma sono incerta dei Fati, non sono sicura che Giove
consenta che Tiri e Troiani abbiano una sola città,
approvi che i due popoli stringano patti tra loro
e si mescolino. Tu sei sua moglie, a te sola
è lecito tentarne Panimo con preghiere.

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Perge, sequar.” Tum sic excepit regia Iuno: Va’ avanti, ti seguirò.” Allora Giunone regina:
ii5 “mecum erit iste labor. Nunc qua ratione quod instai “Sarà affar mio — disse. — Ascolta, ti spiegherò
confieri possit, paucis (adverte) docebo. in breve come si possa fare quel che ci preme.
Venatum Aeneas unaque miserrima Dido Enea con l’infelice Didone si prepara
in nemus ire parant, ubi primos crastinus ortus a andare a caccia nei boschi, domani, non appena
extulerit Titan radiisque retexerit orbem. il sole si alzerà rivelando il mondo coi raggi.
120 His ego nigrantem commixta grandine nimbum, Io, mentre i battitori s’affanneranno a distendere
dum trepidant alae saltusque indagine cingunt, reti sui passi montani, rovescerò dall’alto
desuper infundam et tonitru caelum omne ciebo. un nembo nero di grandine, rintronerò il cielo di tuoni.
Diffugient comites et nocte tegentur opaca: Si sperderanno i compagni coperti di opaca tenebra:
speluncam Dido dux et Troianus eandem Didone e il capo troiano troveranno riparo
i25 devenient. Adero et, tua si mihi certa voluntas, nella stessa caverna. Sarò presente, se tu
conubio iungam stabili propriamque dicabo. sei d ’accordo; unirò Didone a lui con un nodo
Hic Hymenaeus erit.” Non adversata petenti stabile, la farò sua. E ci sarà Imeneo.”
adnuit atque dolis risit Cytherea repertis. Venere annuì senza opporsi e rise alla bella trovata.8
Oceanum interea surgens Aurora reliquit. Intanto l’Aurora sorgendo abbandonava il mare.
no It portis iubare exorto delecta iuventus, Una gioventù scelta, nato il sole, s’affretta
retia rara, plagae, lato venabula ferro, fuori città: hanno reti e grandi maglie, lacci
Massylique ruunt equites et odora canum vis. e larghi giavellotti; i cavalieri massili
Reginam thalamo cunctantem ad limina primi galoppano tra le mute dei cani di fine odorato.
Poenorum exspectant, ostroque insignis et auro I capi punici attendono la regina che indugia
115 stat sonipes ac frena ferox spumantia mandit. nella sua stanza da letto: un cavallo fregiato
Tandem progredì tur magna stipante caterva d’oro e porpora aspetta mordendo il freno spumoso.
Sidoniam picto chlamydem circumdata limbo; Ma ecco che infine arriva, in mezzo a un folto corteo,
cui pharetra ex auro, crines nodantur in aurum, coperta da una clamide dall’orlo ricamato;
aurea purpuream subnectit fibula vestem. ha una faretra d’oro, ed una rete d’oro
h o Nec non et Phrygii comites et laetus Iulus sui capelli, una fibbia d’oro alla veste di porpora.
incedunt. Ipse ante alios pulcherrimus omnis Al tempo stesso avanzano i Frigi e Iulo, felice;
inferi se socium Aeneas atque agmina iungit. bellissimo su tutti Enea s’offre di scorta
Qualis ubi hibernam Lyciam Xanthique fluenta alla bianca Didone e unisce le due schiere.
deserit ac Delum maternam invisit Apollo Simile a Apollo, quando lascia la Licia invernale
M5 instauratque choros, mixtique altaria circum ed il fluente Xanto, torna a vedere Deio
Cretesque Dryopesque fremunt pictique Agathyrsi: materna e dirige i cori; misti intorno agli altari
ipse iugis Cynthi graditur mollique fluentem fremono i Driopi, i Cretesi, i dipinti Agatirsi;
fronde premit crinem fingens atque implicai auro, lui va per i gioghi del Cinto e raccoglie i capelli
tela sonant umeris: haud ilio segnior ibat fluenti adornandoli di flessibile fronda
e incoronandoli d’oro; i dardi gli suonano in spalla.
Non meno pronto e animoso veniva Enea, tanta

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m> Aeneas, tantum egregio decus enitet ore. bellezza gli splendeva sul nobilissimo volto.
Postquam altos ventum in montis atque invia lustra, Quando si giunse ai monti e ai covi inaccessibili,
ecce ferae saxi deiectae vertice caprae ecco le capre selvagge saltando giù dalle rocce
decurrere iugis; alia de parte patentis attraversare di corsa le alture; laggiù i cervi
transmittunt cursu campos atque agmina cervi corrono per la campagna alzando nubi di polvere,
115 pulverulenta fuga glomerant montisque relinquunt. in schiere compatte, in fretta lasciano la montagna.
At puer Ascanius mediis in vallibus acri Ed il fanciullo Ascanio in mezzo alle valli
gaudet equo iamque hos cursu, iam praeterit illos, galoppa furiosamente col cuore pieno di gioia
spumantemque dari pecora inter inertia votis oltrepassando in corsa gli animali sbrancati,
optat aprum, aut fulvum descendere monte leonem. spera con tutta l’anima che tra l’imbelle armento
i6o Interea magno misceri murmure caelum gli si pari davanti uno schiumante cinghiale
incipit, insequitur commixta grandine nimbus, o che un fulvo leone discenda giù dai monti.
et Tyrii comites passim et Troiana iuventus Intanto con un gran murmure il cielo si turba,
Dardaniusque nepos Veneris diversa per agros e arriva subito un nembo di pioggia mista a grandine:
tecta metu petiere; ruunt de montibus amnes. spaventati i Fenici, i giovani troiani
i65 Speluncam Dido dux et Troianus eandem e il dardanio nipote di Venere qua e là
deveniunt. Prima et Tellus et pronuba Iuno si disperdono in cerca d’asilo per i campi;
dant signum; fulsere ignes et conscius aether impetuosi torrenti precipitano dai monti.
conubiis, summoque ulularunt vertice Nymphae. Didone e Enea riparano in una stessa grotta.
Ille dies primus leti primusque malorum Per prima la Terra e Giunone pronuba danno il segnale:
n o causa fuit; neque enim specie famave movetur rifulsero lampi nell’aria a festeggiare l’unione,
nec iam furtivum Dido meditatur amorem: e sulle cime dei monti ulularono le Ninfe.
coniugium vocat, hoc praetexit nomine culpam. Fu quello il primo giorno di morte, la causa prima
Extemplo Libyae magnas it Fama per urbes, di tanti mali; Didone non pensa alle chiacchiere,
Fama, malum qua non aliud velocius ullum: non pensa al suo decoro e non teme lo scandalo,
ni mobilitate viget virisque adquirit eundo, ormai non coltiva più un amore segreto,
parva metu primo, mox sese attollit in auras lo chiama matrimonio, vela così la sua colpa.10
ingrediturque solo et caput inter nubila condit. Subito corre per tutte le città della Libia
Illam Terra parens ira inritata deorum la rapida Fama, il malanno più veloce che esista.
extremam, ut perhibent, Coeo Enceladoque sororem Vive di mobilità, acquista forze andando;
i8o progenuit pedibus celerem et pernicibus alis, piccolissima prima, timorosa, ben presto
monstrum horrendum, ingens, cui quot sunt corpore si leva alta nell’aria, tocca terra coi piedi
tot vigiles oculi subter (mirabile dictu), [plumae, e col capo le nuvole. Si dice che la madre
tot linguae, totidem ora sonant, tot subrigit auris. Terra abbia partorito questa sua ultima figlia,
sorella di Encelado e Ceo, per rabbia contro gli Dei.
È un mostro orribile, immenso, rapido d’ali e di piedi,
coperto di penne; sotto ogni penna c’è un occhio
che vigila, una lingua, una bocca sonora

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Nocte volat cadi medio terraeque per umbram e un orecchio rizzato. La notte vola a metà
i85 stridens, nec dulci declinai lumina somno; tra cielo e terra, stridendo nell’ombra, non chiude
luce sedet custos aut summi culmine tecti gli occhi nel dolce sonno; il giorno sta di vedetta
turribus aut altis, et magnas territat urbes, sul culmine dei tetti o in cima alle alti torri,
tam ficti pravique tenax quam nuntia veri. spaventa le grandi città, nunzia del vero e del falso.
Haec tum multiplici populos sermone replebat La Fama gongolando riempiva la gente di chiacchiere
rio gaudens, et pariter facta atque infecta canebat: dicendo il vero e il falso: raccontava che Enea
venisse Aenean Troiano sanguine cretum, nato di sangue troiano era venuto a Cartagine,
cui se pulchra viro dignetur iungere Dido; che la bella Didone s’era degnata di unirsi
nunc hiemem inter se luxu, quam longa, fovere con lui, e che passavano l’inverno nei piaceri
regnorum immemores turpique cupidine captos. l’uno attaccato all’altra, immemori dei loro regni,
i95 Haec passim dea foeda virum diffundit in ora. presi da turpe passione. La terribile Dea
Protinus ad regem cursus detorquet Iarban diffonde simili storie qua e là per le bocche degli uomini.11
incenditque animum dictis atque aggerat iras. Poi subito volge la sua corsa al re Jarba,
Hic Hammone satus rapta Garamantide nympha infiammandone Γanima e aizzandone l’ira.
tempia Iovi centum latis immania regnis, Costui, figlio di Ammone e di una Ninfa rapita
’ini centum aras posuit vigilemque sacraverat ignem, ai Garamanti, aveva alzato a Giove nell’ampio
excubias divum aeternas, pecudumque cruore suo regno cento immensi templi e su cento altari
pingue solum et variis florentia limina sertis. aveva consacrato un fuoco perenne, onore
Isque amens animi et rumore accensus amaro eterno per gli Dei: il suolo sempre madido
dicitur ante aras media inter numina divum del sangue delle vittime, le soglie erano sempre
205 multa Iovem manibus supplex orasse supinis: adorne di corone fiorite d’ogni specie.
“Iuppiter omnipotens, cui nunc Maurusia pictis Fuori di sé ed acceso dall’amara notizia
gens epulata toris Lenaeum libat honorem, si dice che levasse molte preghiere a Giove,
aspicis haec? an te, genitor, cum fulmina torques supplice, a mani giunte, davanti agli altari,
nequiquam horremus, caecique in nubibus ignes in mezzo alle venerate immagini dei Numi.
2 io terrificant animos et inania murmura miscent? “O Giove onnipotente cui il popolo mauro
femina, quae nostris errans in finibus urbem dopo aver banchettato sui letti ricamati
exiguam pretio posuit, cui litus arandum liba vino prezioso, vedi che cosa accade?
cuique loci leges dedimus, conubia nostra Non intervieni? O forse, padre, abbiamo paura
reppulit ac dominum Aenean in regna recepit. invano di te quando scagli i fulmini? Sono ciechi
2i5 Et nunc ille Paris cum semiviro comitatu, i fuochi che tra le nubi atterriscono gli animi,
non sono che vacui rombi? Una donna che, profuga
nel nostro territorio, fondò una cittaduzza
comperando il terreno, cui demmo un’arida spiaggia
da colonizzare e i diritti sul luogo, ha respinto le nozze
con noi accogliendo Enea come suo solo signore!
E adesso quella specie di Paride, accompagnato

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Maeonia mentum mitra crinemque madentem da mezzi uomini, la mitra meonia legata al mento,
subnexus, rapto potitur: nos munera templis la chioma profumata, gode la sua conquista.
quippe tuis ferimus famamque fovemus inanem.” Ah, che davvero offriamo ai tuoi templi dei doni
Talibus orantem dictis arasque tenentem inutili e alimentiamo un’inutile gloria!”12
220 audiit Omnipotens, oculosque ad moenia torsit Mentre diceva così, tenendo posata la mano
regia et oblitos famae melioris amantis. sull’altare, l’udì l’Onnipotente e volse
Tum sic Mercurium adloquitur ac talia mandat: gli occhi alle mura regali e agli amanti dimentichi
“vage age, nate, voca Zephyros et labere pennis di ogni fama migliore. Disse allora a Mercurio:
Dardaniumque ducem, Tyra Karthagine qui nunc “Va’, figlio, corri, chiama i venti, sollevati a volo
225 exspectat fatisque datas non respicit urbes, e parla al capo troiano, che perde tempo a Cartagine
adloquere et celeris defer mea dieta per auras. e non pensa alle terre che il Fato gli ha destinato,
Non illum nobis genetrix pulcherrima talem recagli tu per l’aria il mio alto comando.
promisit Graiumque ideo bis vindicat armis; Non ce lo promise così la bellissima madre,
sed fore qui gravidam imperiis belloque frementem non lo scampò per questo due volte alle armi dei Greci:
2 io Italiam regeret, genus alto a sanguine Teucri ma perché regga l’Italia gravida di imperi
proderet, ac totum sub leges mitteret orbem. e fremente di guerra, perché perpetui la razza di Teucro
Si nulla accendit tantarum gloria rerum dal nobile sangue, perché detti leggi al mondo.
nec super ipse sua molitur laude laborem, Se non lo accende l’onore di cose tanto grandi,
Ascanione pater Romanas invidet arces? se non vuol faticare né gli interessa la gloria,
2)5 quid struit? aut qua spe inimica in gente moratur perché proprio lui, suo padre, vuol defraudare Ascanio
nec prolem Ausoniam et Lavinia respicit arva? delle rocche romane? Cosa crede di fare?
naviget! haec summa est, hic nostri nuntius esto.” Che cosa spera indugiando tra gente nemica
Dixerat. Ille patris magni parere parabat senza pensare al futuro, alla grande progenie
imperio: et primum pedibus talaria nectit che un giorno avrà in Italia, ai campi di Lavinio?
240 aurea, quae sublimem alis sive aequora supra Navighi, questo è il mio ordine: siine tu messaggero.”
seu terram rapido pariter cum flamine portant. Disse. E Mercurio subito si prepara a obbedire
Tum virgam capit: hac animas ille evocai Orco al gran cenno del padre; prima s’allaccia ai piedi
pallentis, alias sub Tartara tristia mittit, i calzari d’oro, alati, che lo portano in alto
dat somnos adimitque, et lumina morte resignat. volando sopra i mari e sopra la terra, rapido
245 Illa fretus agit ventos et turbida tranat come il vento. Poi piglia la verga con cui evoca
nubila. Iamque volans apicem et latera ardua cernii le pallide Ombre dell’Orco, altre ne manda al Tartaro,
Atlantis duri caelum qui vertice fulcit, dà e leva il sonno, gli occhi suggella nella morte.
Atlantis, cinctum adsidue cui nubibus atris Munito della verga scaccia i venti, traversa
piniferum caput et vento pulsatur et imbri, le nubi burrascose. E già volando vede
la vetta e i fianchi ripidi del duro Atlante, che regge
il cielo con la testa; Atlante dal capo
pieno di pini, cinto sempre di nuvole nere,
battuto da vento e da pioggia; una distesa di neve

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«o nix umeros infusa tegit, tum flumina mento gli copre le spalle, i fiumi precipitano
praecipitant senis, et glacie riget horrida barba. dal mento del gran vecchio, l’ispida barba è ghiacciata.
Hic primum paribus nitens Cyllenius alis Qui si fermò dapprima il Cillenio, librandosi
constitit: hinc toto praeceps se corpore ad undas ad ali aperte; quindi si lasciò andare di peso
misit avi similis, quae circum litora, circum velocissimo verso le onde, come un uccello che vola
255 piscosos scopulos humilis volat aequora iuxta. basso, radendo il mare intorno agli scogli pescosi
Haud aliter terras inter caelumque volabat ed intorno alle spiagge. Così fendeva l’aria
litus harenosum ad Libyae, ventosque secabat tra mare e cielo Mercurio cillenio, lasciando
materno veniens ab avo Cyllenia proles. Atlante, suo nonno materno, volando
Ut primum alatis tetigit magalia plantis, verso la costa sabbiosa dell’arida Libia.13
26o Aenean fundantem arces ac tecta novantem Appena atterrò vicino ad antiche capanne
conspicit. Atque illi stellatus iaspide fulva vide Enea intento a dirigere la fondazione di torri
ensis erat Tyrioque ardebat murice laena e la costruzione di case; aveva una spada stellata
demissa ex umeris, dives quae munera Dido di fulvo diaspro, un mantello corto di porpora tiria
fecerat, et tenui telas discreverat auro. gli splendeva giù dalle spalle, opera delle mani
265 Continuo invaditi “tu nunc Karthaginis altae della ricca Diclone che aveva trapunto il tessuto
fundamenta locas pulchramque uxorius urbem di fili d’oro sottili. Subito lo investì:
exstruis? heu, regni rerumque oblite tuarum! “È così adesso tu lavori alle fondamenta
ipse deum tibi me darò demittit Olympo dell’alta Cartagine, schiavo di tua moglie, fai bella
regnator, caelum et terras qui numine torquet, la città e ti dimentichi del tuo destino e del regno!14
270 ipse haec ferre iubet celeris mandata per auras: Lo stesso re degli Dei, che con là sua volontà
quid struis? aut qua spe Libycis teris otja terris? ruota il cielo e la terra, mi comanda di darti
si te nulla movet tantarum gloria rerum per l’aria veloce questi ordini: cosa progetti? Con quali
[nec super ipse tua moliris laude laborem,] speranze perdi il tuo tempo nel paese di Libia?
Ascanium surgentem et spes heredis Iuli Se non ti sprona la gloria delle grandi promesse,
275 respice, cui regnum Italiae Romanaque tellus se non vuoi affrontare fatiche per la tua fama,
debetur.” Tali Cyllenius ore locutus pensa ad Ascanio che cresce, alle speranze di Iulo,
mortalis visus medio sermone reliquit al quale è dovuto il regno d’Italia e la terra
et procul in tenuem ex oculis evanuit auram. di Roma.” Mercurio a metà del discorso
At vero Aeneas aspectu obmutuit amens, si tolse al cospetto dei mortali, svanendo
280 arrectaeque horrore comae et vox faucibus haesit. lontano dagli occhi nell’aria sottile.
Ardet abire fuga dulcisque relinquere terras, Enea fuori di sé ammutolì a quella vista,
attonitus tanto monitu imperioque deorum. gli si drizzarono in testa per l’orrore i capelli,
Heu quid agat? quo nunc reginam ambire furentem gli si fermò la voce in gola. Smania di correre
audeat adfatu? quae prima exordia sumat? via, abbandonando le terre che pure gli sembrano dolci,15
percosso dall’alto monito e dal comando divino.
Ma come farà? Con quali parole adesso oserà
rivolgersi alla regina innamorata, furiosa?
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LIBER QUARTUS LIBRO QUARTO

w atque animum nunc huc celerem nunc dividit illue Di dove incomincerà il suo discorso? Volge
in partisque rapit varias perque omnia versat. rapidissimamente il pensiero qua e là,
Haec alternanti potior sententia visa est: ideando diverse soluzioni, pesandole
Mnesthea Sergestumque vocat fortemque Serestum, una per una. Infine, benché sia sempre in dubbio,
classem aptent taciti sociosque ad litora cogant, crede di aver trovato il partito migliore.
«o arma parent et quae rebus sit causa novandis Chiama Mnèsteo, Sergesto ed il forte Seresto;
dissimulent; sese interea, quando optima Dido armino zitti zitti la flotta e sulla riva
nesciat et tantos rumpi non speret amores, riuniscano i compagni, preparino ogni cosa
temptaturum aditus et quae mollissima fandi senza lasciar capire quale sia la ragione
tempora, quis rebus dexter modus. Ocius omnes di tanta novità; intanto lui, poiché
295 imperio laeti parent et lussa facessunt. Didone non sa nulla e crede che un amore
At regina dolos (quis fallere possit amantem?) così grande non possa spezzarsi, cercherà
praesensit, motusque excepit prima futuros il modo e l’occasione più adatta per parlarle.
omnia tuta timens. Eadem impia Fama furenti Tutti obbediscono lieti ed eseguono gli ordini.
detulit armari classem cursumque parari. Ma la regina (chi può ingannare chi ama?)
3oo Saevit inops animi totamque incensa per urbem presentì tutto e s’accorse per prima di ciò che accadeva:16
bacchatur, qualis commotis excita sacris timorosa com’era di tutto, persino di quello
Thyias, ubi audito stimulant trieterica Baccho che più pareva sicuro. L’empia Fama in persona
orgia nocturnusque vocat clamore Cithaeron. disse che si allestiva la flotta per la partenza.
Tandem his Aenean compellat vocibus ultro: Folle d’amore, l’anima smarrita, dà in ismanie,
305 “dissimulare etiam sperasti, perfide, tantum erra per la città fuori di sé, baccante
posse nefas tacitusque mea decedere terra? eccitata come una Menade quando infuria la festa,
nec te noster amor nec te data dextera quondam quando al grido di Bacco la stimolano le orge
nec moritura tenet crudeli funere Dido? che vengono soltanto ogni tre anni, quando
quin etiam hiberno moliri sidere classem il Citerone a notte la chiama con molto clamore.
no et mediis properas Aquilonibus ire per altum, Infine parla ad Enea per prima, così:17
crudelis? quid, si non arva aliena domosque “Perfido, e tu speravi persino di nascondere
ignotas peteres, et Troia antiqua maneret, tanto male e partire dalla mia terra in silenzio?
Troia per undosum peteretur classibus aequor? Non ti trattiene il nostro amore, la mano
mene fugis? per ego has lacrimas dextramque tuam te che un giorno ti fu concessa, Didone che sta
per morire di morte crudele? E invece tu
sotto le stelle invernali prepari la flotta
e ti affretti a solcare l’alto mare, tra i venti
terribili, o malvagio. E perché? Se corressi
non verso terre straniere, verso paesi che ignori,
ma fosse ancora in piedi l’antica Troia, andresti
a Troia con la flotta per l’ondoso mare?
Fuggiresti da me? Per questo mio pianto

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LIBER QUARTUS LIBRO QUARTO

M5 (quando aliud mihi iam miserae nihil ipsa reliqui), e per la tua mano, per gli Imenei incominciati
per conubia nostra, per inceptos hymenaeos, e per la nostra unione, se ho meritato di te
si bene quid de te merui, fuit aut tibi quicquam in qualche modo, se cara ti fu qualcosa di me,
dulee meum, miserere domus labentis et istam, abbi pietà della casa che crolla, lo vedi, e abbandona
oro, si quis adhuc precibus locus, exue mentem. questo pensiero, ti prego, se si può ancora pregarti.
i2o Te propter Libycae gentes Nomadumque tyranni Le genti di Libia mi odiano a causa di te,
odere, infensi Tyrii; te propter eundem i tiranni numidi mi odiano a causa di te,
exstinctus pudor et, qua sola sidera adibam, persino i Tiri mi odiano a causa di te;
fama prior. Cui me moribundam deseris hospes a causa di te il pudore è morto, è morta la fama
(hoc solum nomen quoniam de coniuge restat)? per la quale soltanto arrivavo alle stelle.
325 quid moror? an mea Pygmalion dum moenia frater A chi moribonda mi lasci? O Enea, ospite! Ospite!
destruat aut captam ducat Gaetulus Iarbas? Soltanto questo nome posso dare a colui
saltem si qua mihi de te suscepta fuisset che un tempo chiamavo marito. Ma allora?
ante fugam suboles, si quis mihi parvulus aula Forse attendo il fratello Pigmalione che bruci
luderet Aeneas, qui te tamen ore referret, le mie mura, o il re Jarba che mi porti in Getulia
53o non equidem omnino capta ac deserta viderer.” schiava? Oh, se prima della tua fuga avessi
Dixerat. Ille Iovis monitis immota tenebat avuto almeno un figlio da te, un piccolo Enea
lumina et obnixus curam sub corde premebat. che per le sale giocasse e ti ricordasse
Tandem pauca refert: “ego te, quae plurima fando all’aspetto! Oh, che allora, non mi parrebbe del tutto
enumerare vales, numquam, regina, negabo d’essere abbandonata e d’essere stata ingannata!”
335 promeritam, nec me meminisse pigebit Elissae Diceva cosi. Ma lui per gli ammonimenti di Giove
dum memor ipse mei, dum spiritus hos regit artus. teneva immobili gli occhi e con sforzo premeva
Pro re pauca loquar. Neque ego hanc abscondere furto dentro al cuore l’affanno. Alla fine risponde
speravi (ne finge) fugam, nec coniugis umquam con poche frasi: “Regina, non sarò io a negare
praetendi taedas aut haec in foedera veni. che hai tanti meriti quanti puoi contarne a parole,
34o Me si fata meis paterentur ducere vitam e non mi scorderò di te finché mi ricorderò
auspiciis et sponte mea componere curas, di me stesso. Ma ascolta.18 Io non sperai di nasconderti
urbem Troianam primum dulcisque meorum questa fuga, credilo pure, e del resto mai
reliquias colerem, Priami tecta alta manerent, ti tenni discorsi di nozze o pensai di sposarti.
et recidiva manu posuissem Pergama victis. Se i Fati permettessero che conducessi la vita
345 Sed nunc Italiani magnam Gryneus Apollo, come vorrei, secondo i veri miei desideri,
Italiani Lyciae iussere capessere sortes; sarei rimasto a Troia vicino alle dolci reliquie
hic amor, haec patria est. Si te Karthaginis arces dei miei, gli alti tetti di Priamo starebbero ancora
in piedi e con le mie mani avrei costruito ai vinti
una rinata Pergamo. Ma adesso Apollo grineo
mi comanda di andare in Italia: in Italia
mi ordinano di andare gli oracoli di Licia.
Questo è il mio amore, questa la mia patria. Se tu

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LlfiER QUARTUS LIBRO QUARTO

Phoenissam Libycaeque aspectus detinet urbis, che sei fenicia ami tanto le rocche di Cartagine,
quae tandem Ausonia Teucros considere terra questa tua bella città della Libia, perché
350 invidia est? et nos fas extera quaerere regna. impedisci che i Teucri abbiano alfine riposo
Me patris Anchisae, quotiens umentibus umbris nefia terra d’Italia? È lecito anche a noi
nox operit terras, quotiens astra ignea surgunt, cercare lidi stranieri. Tutte le volte
admonet in somnis et turbida terret imago; che la notte circonda le terre di umide ombre,
me puer Ascanius capitisque iniuria cari, tutte le volte che sorgono gli astri infuocati, in sogno
355 quem regno Hesperiae fraudo et fatalibus arvis. l’ombra del padre Anchise, turbata, mi rimprovera
Nunc etiam interpres divum love missus ab ipso e mi spaventa, con lui mi rimprovera Ascanio,
(testor utrumque caput) celeris mandata per auras povero bimbo, del torto che faccio al suo futuro,
detulit: ipse deum manifesto in lumine vidi poiché lo frodo del regno d’Esperia, dei campi fatali.
intrantem muros vocemque his auribus hausi. E proprio adesso Mercurio, messaggero dei Numi,
3éo Desine meque tuis incendere teque querelis; mandato da Giove (lo giuro per le nostre due vite)
Italiani non sponte sequor.” m’ha portato per l’aria rapida questo comando:
Talia dicentem iamdudum aversa tuetur — Naviga! — Ho visto il Dio in una luce chiarissima
huc illue volvens oculos totumque pererrat entrare per le mura e con queste mie orecchie
luminibus tacitis et sic accensa profatur: ne ho sentito la voce: — Naviga! — Dunque cessa
365 “nec tibi diva parens generis nec Dardanus auctor, di infuocare me e te con questi lamenti,
perfide, sed duris genuit te cautibus horrens io non vado in Italia di mia volontà.”19
Caucasus Hyrcanaeque admorunt ubera tigres. Mentre diceva così lei lo fissava bieca
Nam quid dissimulo aut quae me ad maiora reservo? già da un poco, volgendo gli occhi qua e là, misurandolo
num fletu ingepiuit nostro? num lumina flexit? tutto con taciti sguardi; alfine furente
370 num lacrimas victus dedit aut miseratus amantem est? prorompe: “Tua madre non è una Dea, la tua stirpe
quae quibus anteferam? iam iam nec maxima Iuno non viene da Dardano, ma il Caucaso selvaggio
nec Saturnius haec oculis pater aspicit aequis. aspro di rupi ti fece, ircene tigri allattarono
Nusquam tuta fides. Eiectum litore, egentem te da bambino. Ah, perché m’illudo, che cosa mi aspetto
excepi et regni demens in parte locavi. più di questo? Lui forse s’è commosso al mio pianto?
375 Amissam classem, socios a morte reduxi Non ha battuto ciglio: non ha emesso un sospiro:
(heu furiis incensa feror!): nunc augur Apollo, non ha avuto pietà dell’amante! Che cosa
immaginare di peggio? Ormai nemmeno la grande
Giunone e il padre Saturnio guardano con giustizia
a quanto avviene. Non c’è più alcuna buonafede,
in nessun posto. Lo presi morto di fame, gettato
sul lido dalla tempesta, lo misi a parte del regno,
pazza! Strappai la sua flotta dispersa all’estrema rovina
insieme ai suoi compagni. Ah, che furia m’avvampa!
Proprio adesso l’augure Apollo e gli oracoli lici

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LIBER QUARTUS LIBRO QUARTO

nunc Lyciae sortes, nunc et love missus ab ipso gli portano per l’aria questi ordini tremendi!
interpres divum fert horrida lussa per auras. Certo è stato mandato da Giove in persona il fulmineo
Scilicet is superis labor est, ea cura quietos messaggero dei Numi! Oh, davvero gli Dei
!8o sollicitat. Neque te teneo neque dieta refello: non hanno da occuparsi d’altro, se un tale pensiero
i, sequere Italiani ventis, pete regna per undas. turba la loro quiete! Ma non voglio ribattere
Spero equidem mediis, si quid pia numina possunt, le tue parole, non voglio neppure trattenerti.
supplicia hausurum scopulis et nomine Dido Parti, va’ via col vento in Italia, cerca il tuo regno
saepe vocaturum. Sequar atris ignibus absens attraverso le onde. Io spero soltanto,
585 et, cum frigida mors anima seduxerit artus, se i pietosi Celesti hanno qualche potere,
omnibus umbra locis adero. Dabis, improbe, poenas. che me ne pagherai il fio tra gli scogli, chiamando
Audiam et haec Manis veniet mihi fama sub imos.” spesso a nome Didone. Didone! Ma io lontana
His medium dictis sermonem abrumpit et auras ti perseguiterò con i fuochi infernali:
aegra fugit seque ex oculis avertit et aufert, e quando la fredda morte spoglierà delle membra
390 linquens multa metu cunctantem et multa parantem l’anima, in ogni luogo dove tu andrai ci sarò,
dicere. Suscipiunt famulae conlapsaque membra pallido spettro, fantasma venuto a turbarti.20
marmoreo referunt thalamo stratisque reponunt. Sconterai la tua pena, empio, ed io lo saprò:
At pius Aeneas, quamquam lenire dolentem questa bella notizia mi giungerà tra le Ombre.”
solando cupit et dictis avertere curas, Così dicendo tronca a mezzo il discorso, affranta
395 multa gemens magnoque animum labefactus amore fugge la luce del giorno, scappa via e si leva
lussa tamen divum exsequitur classemque revisit. dagli occhi d’Enea, lasciandolo dubitante, pauroso,
Tum vero Teucri incumbunt et litore celsas desideroso di dirle molte cose. Le ancelle
deducunt toto navis. Natat uncta carina, accorrono e la portano al suo marmoreo talamo;
frondentisque ferunt remos et robora silvis svenuta, le membra rigide, la posano sulle coltri.21
4oo infabricata fugae studio. Ma sebbene desideri alleviarle il dolore
Migrantis cernas totaque ex urbe ruentis. e consolarla, calmandone con parole l’affanno,
Ac velut ingentem formicae farris acervum benché sia intenerito dall’amore, dolente
cum populant hiemis memores tectoque reponunt, il pio Enea obbedisce all’ordine divino
it nigrum campis agmen praedamque per herbas e ritorna alla flotta. I Troiani s’affannano
405 convectant calle angusto: pars grandia trudunt a trarre le navi in mare dall’alto lido. Nuotano
le chiglie spalmate di pece, gli uomini dalle foreste
portano rami fronzuti e querele non lavorate,
han fretta di fuggire...
Sciamano precipitandosi
da tutta la città, come le nere formiche
quando, pensando all’inverno, saccheggiano un mucchio
di farro e lo mettono in serbo nelle loro dispense:
la bruna schiera cammina per i campi e convoglia
la preda attraverso l’erba per un sentiero piccino,

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LIBER QUÀRTUS LIBRO QUARTO

obnixae frumenta umeris, pars agmina cogunt parte a forza di spalle portano i chicchi più grossi,
castigantque moras, opere omnis semita fervet. parte dirigon la marcia, tengono a posto la fila,
Quis tibi tum, Dido, cernenti talia sensus, riprendono chi indugia, e tutta la strada è in fermento.
quosve dabas gemitus, cum litora fervere late Con che cuore o Didone guardavi tutto questo,
■fio prospiceres arce ex summa, totumque videres che gemiti mandavi vedendo dalla rocca
misceri ante oculos tantis clamoribus aequor! fremere tutto il lido in lungo e in largo e il mare
improbe Amor, quid non mortalia pectora cogis! intero riecheggiare di rumore e di grida!
ire iterum in lacrimas, iterum temptare precando Amore, spietato amore, a che cosa non spingi
cogitur et supplex animos summittere amori, i cuori dei mortali? Ecco Didone costretta
4i5 ne quid inexpertum frustra moritura relinquat. ancora alle lagrime, ancora a cercar di piegare
“Anna, vides toto properari litore circum: Enea con le preghiere più vili e a sottomettere,
undique convenere; vocat iam carbasus auras, chiedendo pietà, la fierezza alla passione; prima
puppibus et laeti nautae imposuere coronas. di darsi la morte non vuole lasciare nulla intentato.
Hunc ego si potui tantum sperare dolorem, “Anna, non vedi come s’afferrano sul lido,
42o et perferre, soror, poterò. Miserae hoc tamen unum accorsi da ogni parte; la vela chiama già i venti,
exsequere, Anna, mihi; solam nam perfidus ille i naviganti incoronano allegri le poppe.
te colere, arcanos etiam tibi credere sensus; Se ho potuto vedere avverarsi tanto dolore,
sola viri mollis aditus et tempora noras: o sorella, potrò sopportarlo di certo.
i, soror, atque hostem supplex adfare superbum: Pure, Anna, esaudisci la tua infelice Didone
425 non ego cum Danais Troianam exscindere gentem in una sola grazia: poiché quell’infame onorava
Aulide iuravi classemve ad Pergama misi, solo te e confessava a te anche i segreti più arcani,
nec patris Anchisae cinerem manisve revelli: e tu sola sapevi le vie più adatte e i momenti migliori
cur mea dieta negat duras demittere in auris? per chiedergli qualcosa. Va’ dunque tu da lui,
quo ruit? extremum hoc miserae det munus amanti: sorella, e supplice parla a quel nemico superbo.
4»o exspectet facilemque fugam ventosque ferentis. Digli che io non giurai in Aulide coi Greci
Non iam coniugium antiquum, quod prodidit, oro, di distruggere la razza troiana, né mandai
nec pulchro ut Latio careat regnumque relinquat: la flotta contro Pergamo, digli che non turbai
tempus inane peto, requiem spatiumque furori, o dispersi le ceneri e l’Ombra di suo padre.
dum mea me victam doceat fortuna dolere. Perché non vuole ascoltarmi? Dove corre? Conceda
4J5 Extremam hanc oro veniam (miserere sororis), almeno quest’ultimo dono alla misera amante:
aspetti per fuggire un momento migliore
e venti favorevoli. Non chiedo neanche più
l’antica unione tradita, né che rinunci al bel Lazio
ed al futuro regno; chiedo soltanto del tempo,
del vano tempo, una tregua finché il furore si calmi
e la Fortuna m’insegni a sopportare il dolore.
Quest’ultima grazia domando (abbi pietà della povera
tua sorella!), poi parta: se mai me la concede

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LIBER QUARTUS LIBRO QUARTO

quam mihi cum dederit cumulatam morte remittam.” gliela restituirò a usura con la mia morte.”
Talibus orabat, talisque miserrima fletus Così parlava; tali lamenti porta e riporta
fertque refertque soror. Sed nullis ille movetur l’infelice sorella. Ma Enea non si commuove
fletibus, aut voces ullas tractabilis audit; per nessun pianto né ascolta con pazienza nessuna
44o fata obstant placidasque viri deus obstruit auris. voce: s’oppone il Fato, un Dio gli chiude le orecchie.
Ac velut annoso validam cum robore quercum Come talvolta i venti alpini di qua e di là
Alpini Boreae nunc hinc nunc flatibus illinc soffiando a gara cercano di scalzare da terra
eruere inter se certant; it stridor, et altae una solida quercia dal fusto annoso: stridono
consternunt terram concusso stipite frondes; le alte fronde coprendo il terreno di foglie
445 ipsa haeret scopulis et quantum vertice ad auras a ogni scossa del tronco: ma l’albero è abbarbicato
aetherias, tantum radice in Tartara tendit: al suo macigno e di quanto s’innalza con la cima
haud secus adsiduis hinc atque hinc vocibus heros nell’aria celeste, di tanto s’affonda con le radici
tunditur, et magno persentit pectore curas; sino al Tartaro; così l’eroe è percosso di qua
mens immota manet, lacrimae volvuntur inanes. e di là da voci incessanti e nel gran petto contiene
450 Tum vero infelix fatis exterrita Dido il tremendo dolore, al quale non può dar retta,
mortem orat; taedet caeli convexa tueri. la mente rimane immobile, le lagrime scorrono invano.22
Quo magis inceptum peragat lucemque relinquat, Allora l’infelice Didone, atterrita
vidit, turicremis cum dona imponeret aris dal suo destino, chiama la morte; le dà fastidio
(horrendum dictu), latices nigrescere sacros la vista del cielo convesso. S’infiammò di più
455 fusaque in obscenum se vertere vina cruorem. nella sua decisione di abbandonare la luce
Hoc visum nulli, non ipsi effata sorori. quando vide (orribile a dirsi) l’acqua lustrale
Praeterea fuit in tectis de marmore templum intorbidarsi mentre poneva le offerte
coniugis antiqui, miro quod honore colebat, sugli altari fumanti d’incenso e i vini versati
velleribus niveis et festa fronde revinctum: cambiarsi in osceno, terribile sangue.
4M) hinc exaudiri voces et verba vocantis Non disse nulla a nessuno, nemmeno alla sorella.
visa viri, nox cum terras obscura teneret, Nel palazzo reale c’era un sacello di marmo
solaque culminibus ferali carmine bubo dedicato all’antico marito, che lei venerava
saepe queri et longas in fletum ducere voces; di culto particolare, cinto di candida lana
multaque praeterea vatum praedicta priorum e di fronde festose: di là le parve venissero
465 terribili monitu horrificant. Agit ipse furentem parole e le parve sentire la voce del marito23
in somnis ferus Aeneas, semperque relinqui che la chiamava mentre la nera notte occupava
tutte le terre; e le parve di sentire lagnarsi
dai comignoli, spesso, il gufo solitario
col suo lugubre canto, filando lunghissime note
di pianto; ed inoltre con monito terribile
la spaventarono molti presagi di sacri indovini.
Lo stesso Enea popolava le sue notti di orrori
comparendo feroce nei sogni di lei, folle

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LIBER QUARTUS LIBRO QUARTO

sola sibi, semper longam incomitata videtur di disperata passione; e sempre le pare
ire viam et Tyrios deserta quaerere terra, d’esser lasciata sola, le pare sempre di correre
Eumenidum veluti demens videi agmina Pentheus per una lunga lunga strada, senza nessuno,
470 et solem geminum et duplices se ostendere Thebas, cercando invano i Tiri per una contrada deserta.
aut Agamemnonius scaenis agitatus Orestes, Così Penteo impazzito vede la turba delle Eumenidi
armatam facibus matrem et serpentibus atris e il sole gli sembra doppio, doppia gli sembra Tebe;
cum fugit ultricesque sedent in limine Dirae. così sul palcoscenico s’agita Oreste, figlio
Ergo ubi concepii furias evicta dolore di Agamennone, quando fugge la madre armata
475 decrevitque mori, tempus secum ipsa modumque di fiaccole e neri serpenti, e le Vendicatrici
exigit, et maestam dictis adgressa sororem siedono minacciose sulle soglie del tempio.24
consilium vultu tegit ac spem fronte serenati Vinta dal dolore, invasa dalle Furie,
“inveni, germana, viam (gratare sorori) sicura di morire, esamina tra sé
quae mihi reddat eum vel eo me solvat amantem. il modo e il tempo di porre in atto la sua decisione;
480 Oceani finem iuxta solemque cadentem rivolta alla triste sorella nasconde però con l’aspetto
ultimus Aethiopum locus est, ubi maximus Atlas il suo proposito, e quasi sembrerebbe brillare
axem umero torquet stellis ardentibus aptum: d’una nuova speranza. “Ho trovato, sorella,
hinc mihi Massylae gentis monstrata sacerdos, rallegrati con me — le dice — la vera strada
Hesperidum templi custos, epulasque draconi per riavere il mio amore o per dimenticarlo.
485 quae dabat et sacros servabat in arbore ramos, Al limite dell’Oceano, verso il tramonto del sole,
spargens umida mella soporiferumque papaver. c’è il remoto paese degli Etiopi, dove
Haec se carminibus promittit solvere mentes il grandissimo Atlante ruota con le sue spalle
quas velit, ast aliis duras immittere curas, l’asse del cielo fitto di stelle rilucenti:
sistere aquam fluviis et vertere sidera retro, m’han detto che di là è venuta una strega
490 nocturnosque movet Manis: mugire videbis di stirpe massila, custode del tempio delle Esperidi,
sub pedibus terram et descendere montibus ornos. che dava il pasto al drago e sorvegliava i rami
Testor, cara, deos et te, germana, tuumque dell’albero sacro spargendo liquido miele e papavero.
dulce caput, magicas invitam accingier artis. Si vanta di liberare i cuori con i suoi incanti
Tu secreta pyram tecto interiore sub auras come vuole, versando in altri cuori gli affanni,
495 erige, et arma viri thalamo quae fixa reliquit di fermar l’acqua nei fiumi, di volgere indietro le stelle,
impius exuviasque omnis lectumque iugalem, di evocare i fantasmi notturni. Vedrai muggire
la terra sotto i tuoi piedi, scendere gli orni dai monti!
Te lo giuro, sorella cara, su tutti gli Dei
e su te, sul tuo dolce capo, che controvoglia
mi dedico alle arti magiche. Però segretamente,
ti prego, innalza un rogo, che si levi nell’aria
sopra un terrazzo interno: e su vi getterai
le armi di Enea, che l’empio ha abbandonato appese
al talamo, con tutte le sue reliquie, e il letto

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LIBER QUARTUS
LIBRO QUARTO

quo perii, super imponas: abolere nefandi d’amore che mi ha perduta. Così va fattoi^ la maga
cuncta viri monimenta iuvat monstratque sacerdos.” vuole che si distrugga ogni ricordo di lui.”25
Haec effata silet, pallor simul occupai ora. Ciò detto tace, le gote invase di pallore.
5oo Non tamen Anna novis praetexere funera sacris Ma Anna non può credere che la sorella con tali
germanam credit, nec tantos mente furores nuove magie nasconda un pensiero di morte,
concipit aut graviora timet quam morte Sychaei. non riesce a concepire una tale follia,
Ergo iussa parai. non teme avvenga di peggio che in morte di Sicheo.
At regina pyra penetrali in sede sub auras Così eseguisce gli ordini...
505 erecta ingenti taedis atque ilice secta, Appena sul terrazzo interno fu alzata nell aria
intenditque locum sertis et fronde coronat la gran catasta di pini e di tronchi di leccio
funerea; super exuvias ensemque relictum la regina la cinge di serti e l’incorona
effigiemque toro locat haud ignara futuri. di fronde funerarie; pensando alla tragedia
Stant arae circum et crinis effusa sacerdos a venire vi pone sopra la spada di lui
5io ter centum tonat ore deos, Erebumque Chaosque con tutti i suoi ricordi, e in cima il suo ritratto.
tergeminamque Hecaten, tria virginis ora Dianae. Sorgono intorno gli altari. La maga coi capelli
Sparserat et latices simulatos fontis Averni, sciolti chiama a gran voce tre volte i nomi di cento
falcibus et messae ad lunam quaeruntur aenis Dei, l’Èrebo, il Caos, la trigemina Ecate,
pubentes herbae nigri cum lacte veneni; la vergine Diana dai tre volti diversi.
5i5 quaeritur et nascentis equi de fronte revulsus Mesce dell’acqua che simuli il fonte d’Averno,
et matri praereptus amor. fa cercare erbe giovani mietute con una falce
Ipsa mola manibusque piis aitarla iuxta di bronzo sotto la luna, gonfie di nero veleno;
unum exuta pedem vinclis, in veste recincta, si procura l’ippomane strappato dalla fronte
testatur moritura deos et conscia fati d’un puledro, sottfatto all’avida cavalla.
52o sidera; tum, si quod non aequo foedere amantis La stessa Didone sparge il farro con mani pie:
curae numen habet iustumque memorque, precatur. e vicino agli altari, con la veste succinta
Nox erat et placidum carpebant fessa soporem e un piede scalzo, invoca gli Dei e le stelle che sanno
corpora per terras, silvaeque et saeva quierant il destino di tutti (lei che sta per morire!).26
aequora, cum medio volvuntur sidera lapsu, Infine prega il Nume, se mai ve n è uno,
525 cum tacet omnis ager, pecudes pictaeque volucres, che ha cura degli amanti non corrisposti, perché
quaeque lacus late liquidos quaeque aspera dumis faccia vendetta, perché sia memore, giusto, pietoso.
rura tenent, somno positae sub nocte silenti. Era notte: gli stanchi corpi prendevano sonno
tranquillamente per tutta la terra, riposavano
le selve e i mari selvaggi; era l’ora in cui tacciono
i campi, le stelle han percorso metà del loro cammino;
e tutti gli animali e i colorati uccelli,
quanti vivon nell’acqua limpida e nelle campagne
spinose di sterpi, coricati nel sonno
sotto la notte silente lenivano gli affanni
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L1BER QUARTUS LIBRO QUARTO

[Lenibant curas et corda oblita laborum.] ed i cuori obliosi di tutti i loro mali.27
At non infelix animi Phoenissa neque umquam Ma la Fenicia non dorme, addolorata, mai
5io solvitur in somnos oculisve aut pectore noctem si rilassa nel sonno o riceve negli occhi
accipit: ingeminant curae rursusque resurgens e nel cuore la dolce quiete notturna: il suo affanno
saevit amor magnoque irarum fluctuat aestu. cresce e imperversa di nuovo, risorgendo l’amore,
Sic adeo insistit secumque ita corde volutat: e oscilla indecisa tra grandi vampe di rabbia.
“en, quid ago? rursusne procos inrisa priores Così sempre di più s’arrovella, dicendo
5i5 experiar, Nomadumque petam conubia supplex, tra sé: “E adesso che cosa farò? Dovrò tentare
quos ego sim totiens iam dedignata maritos? coi vecchi pretendenti? Espormi alle loro beffe?
Iliacas igitur classis atque ultima Teucrum Supplice chiederò le nozze dei Numidi
iussa sequar? quiane auxilio iuvat ante levatos che tante volte ho sdegnato? Oppure seguirò
et bene apud memores veteris stat gratta facti? la flotta dei Troiani, starò ai loro comandi?
540 quis me autem, fac velie, sinet ratibusve superbis Ho fatto proprio bene ad aiutarli, un tempo,
invisam accipiet? nescis heu, perdita, necdum e loro me ne serbano molta riconoscenza!
Laomedonteae sentis periuria gentis? Ma se anche volessi partire con loro, chi mai
quid tum? sola fuga nautas comitabor ovantis? vorrà accogliermi, odiosa, sulle navi superbe?
an Tyriis omnique manu stipata meorum Ahimè, sciagurata, ancora non conosci gli inganni
545 inferar et, quos Sidonia vix urbe revelli, e gli spergiuri della stirpe di Laomedonte?
rursus agam pelago et ventis dare vela iubebo? E poi: me ne andrei sola coi naviganti gioiosi
quin morere ut merita es, ferroque averte dolorem. o mi porterei dietro tutte le schiere dei Tiri,
Tu lacrimis evicta meis, tu prima furentem che ho appena strappato alla città di Sidone,
bis, germana, malis orjeras atque obicis hosti. spingendoli ancora sul mare, spiegando le vele nel vento?
550 Non licuit thalami expertem sine crimine vitam Ah, muori come ti meriti, tronca il dolore col ferro!
degere more ferae, talis nec tangere curas; Sorella mia, sorella vinta dalle mie lagrime,
non servata fides cineri promissa Sychaeo.” sei stata proprio tu la prima, involontaria
Tantos illa suo rumpebat pectore questus: causa dei tanti mali che mi pesano addosso:
Aeneas celsa in puppi iam certus eundi tu m’hai fatto impazzire, m’hai consegnata al nemico.
555 carpebat somnos rebus iam rite paratis. Perché non ho vissuto feroce come una bestia
Huic se forma dei vultu redeuntis eodem selvaggia, in solitudine, senza amore né colpa,
obtulit in somnis rursusque ita visa monere est, senza soffrire così? Perché non ho mantenuto
omnia Mercurio similis, vocemque coloremque la fede un tempo promessa all’Ombra di Sicheo?”28
et crinis flavos et membra decora iuventa: Questi gravi lamenti le uscivano dal petto.
Enea stava sull’alta poppa, deciso a salpare,
preparata ogni cosa secondo l’uso: dormiva.29
E nel sonno gli apparve Γimmagine del Dio
che tornava, di nuovo gli parve che così
lo a m m o n isse (simile in tutto a Mercurio, per voce,
colorito, capelli biondi, bellezza

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560 “nate dea, potes hoc sub casu ducere somnos, giovanile del corpo): “O figlio di una Dea,
nec quae te circum stent deinde pericula cernis, in queste circostanze puoi abbandonarti al sonno?
demens, nec Zephyros audis spirare secundos? Pazzo, non vedi quali pericoli ti circondano,
illa dolos dirumque nefas in pectore versai non senti come gli zefiri ti spirano propizi?
certa mori, variosque irarum concitat aestus. Lei trama in cuore inganni e un atroce delitto;
565 Non fugis hinc praeceps, dum precipitare potestas? decisa a morire, ondeggia tra varie esplosioni di collera.
iam mare turbari trabibus saevasque videbis Fuggi di qui a precipizio finché hai il potere di farlo!
conlucere faces, iam fervere litora flammis, Presto vedrai la marina sconvolta dalle navi
si te his attigerit terris Aurora morantem. e lucente di fiaccole, presto vedrai la spiaggia
Heia age, rumpe moras. Varium et mutabile semper balenare di fiamme, se la prossima Aurora
570 femina.” Sic fatus noeti se immiscuit atrae. ti sorprenderà qui, fermo su queste terre.
Tum vero Aeneas subitis exterritus umbris Su, rompi gli indugi. La donna è mobile e varia
corripit e somno corpus sociosque fatigat sempre.” Ciò detto sparì confuso nella notte.30
praecipitis: “vigilate, viri, et considite transtris; Subito Enea atterrito da quell’Ombra veloce
solvite vela citi. Deus aethere missus ab alto strappa il corpo dal sonno sollecitando' i compagni:
575 festinare fugam tortosque incidere funis “Svegliatevi, guerrieri, prendete posto ai remi,
ecce iterum instimulat. Sequimur te, sancte deorum, sciogliete presto le vele! Di nuovo mi è stato mandato
quisquis es, imperioque iterum paremus ovantes. dall’alto cielo un Dio, ci incita a accelerare
Adsis o placidusque iuves et sidera caelo la fuga ed a tagliare le funi ritorte.
dextra feras. Dixit vaginaque eripit ensem O santo fra tutti gli Dei, noi ti seguiamo, chiunque
sso fulmineum strictoque ferii retinacula ferro. tu sia, e obbediamo in festa al tuo nuovo comando.
Idem omnis simul ardor habet, rapiuntque ruuntque; Assistici benigno e aiutaci, rendici amiche
litora deseruere, latet sub classibus aequor, nel cielo profondo le stelle!” Sguainò la spada fulminea
adnixi torquent spumas et caerula verrunt. ed impugnando il ferro tagliò deciso le funi.
Et iam prima novo spargebat lumine terras Un medesimo ardore prese tutti i Troiani,
585 Tithoni croceum linquens Aurora cubile. afferrarono i remi e via, lasciarono il lido;
Regina e speculis ut primam albescere lucem il mare sotto le navi fugge, a forza di remi
vidit et aequatis classem procedere velis, sconvolgono l’acqua spumosa, fendendo 1 onda azzurra.
litoraque et vacuos sensit sine remige portus, E già la prima Aurora spargeva nuova luce
terque quaterque manu pectus percussa decorum sulla terra, lasciando il letto color del croco
sm flaventisque abscissa comas “prò Iuppiter! ibit dell’antico Titone. Appena la regina
vide da un’alta torre biancheggiare la luce
e allontanarsi la flotta a vele spiegate, e il lido
deserto e il porto vuoto, senza più marinai,
si percosse il bel petto con le mani, furente,
tre volte, quattro, si strappò i biondi capelli:31
“O Giove — disse — Enea se ne andrà, uno straniero
si sarà preso gioco impunemente di me

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Hic,” ait “et nostris inluserit advena regnis? e del mio regno? Nessuno in tutta la città
non arma expedient totaque ex urbe sequentur, impugnerà le armi per inquisirlo, nessuno
diripientque rates alii navalibus? ite, farà uscire le navi dagli arsenali? Andate,
fette citi flammas, date tela, impellite remos! miei fedeli, correte, portate veloci le fiamme,
« 5 quid loquor? aut ubi sum? quae mentem insania mutat? munitevi di frecce, fate forza sui remi!
infelix Dido, nunc te facta impia tangunt? Ma cosa dico, dove sono? Quale pazzia
tum decuit, cum sceptra dabas. En dextra fidesque, ti sconvolge la mente o infelice Didone?
quem secum patrios aiunt portare penatis, Soltanto adesso ti offendono i mali che hai commesso?
quem subiisse umeris confectum aetate parentem! Sarebbe stato assai meglio che ti fossi sentita
eoo non potui abreptum divellere corpus et undis offesa così nell’ora in cui gli affidavi lo scettro.
spargere? non socios, non ipsum absumere ferro Eccola la lealtà di uno che dicono rechi
Ascanium patriisque epulandum ponere mensis? con se i patrii Penati, di uno che avrebbe portato
veruni anceps pugnae fuerat fortuna. Fuisset: sulle spalle, pietoso, il padre vinto dagli anni!
quem metui moritura? faces in castra tulissem Sarebbe stato meglio che lo avessi ammazzato
605 implessemque foros flammis natumque patremque e fatto a pezzi, gettando quei pezzi nel mare;
cum genere exstinxem, memet super ipsa dedissem. meglio sarebbe stato gli avessi ucciso i compagni,
Sol, qui terrarum flammis opera omnia lustras, gli avessi fatto mangiare il corpo di suo figlio.32
tuque harum interpres curarum et conscia Iuno, Dura la lotta, d’esito incerto? Tanto meglio:
nocturnisque Hecate triviis ululata per urbes che cosa potevo temere dovendo morire? Avrei dato
6 io et Dirae ultrices et di morientis Elissae, fuoco all’accampamento, avrei riempito di fiamme
accipite haec, meritumque malis advertite numen le navi, ucciso padre, figlio, tutta la stirpe,
et nostras audite preces. Si tangere portus e su quei morti io stessa sarei caduta morta!
infandum caput ac terris adnare necesse est, O sole, tu che illumini coi raggi le opere tutte
et sic fata Iovis poscunt, hic terminus haeret: del mondo, e tu Giunone che conosci e sei complice
6 i5 at bello audacis populi vexatus et armis, di questi duri affanni, e tu Ecate chiamata
finibus extorris, complexu avulsus Iuli con lunghe grida, a notte, nei trivi cittadini,
auxilium imploret videatque indigna suorum e voi vendicatrici Furie, e voi Dei protettori
funera; nec, cum se sub leges pacis iniquae della morente Elissa,33 ascoltate e esaudite
tradiderit, regno aut optata luce fruatur, le mie preghiere, volgendo sui Teucri la vostra potenza.
Se è scritto nel destino che quell’infame tocchi
terra ed approdi in porto, se Giove vuole così,
se la sua sorte è questa: oh, almeno sia incalzato
in guerra dalle armi di gente valorosa
e, in bando dal paese, strappato all’abbraccio di Iulo,
implori aiuto e veda la morte indegna dei suoi,
né, dopo aver firmato un trattato di pace
iniquo, si goda il regno e la desiderata
luce, ma muoia, in età ancora giovane,

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620 sed cadat ante diem mediaque inhumatus harena. rimanga insepolto su un’arida sabbia!
Haec precor, hanc vocem extremam cum sanguine fundo. Questo prego, quest’ultima voce esalo col sangue.
Tum vos, o Tyrii, stirpem et genus omne futurum E infine voi, miei Tiri, perseguitate la stirpe
exercete odiis, cinerique haec mittite nostro di lui, tutta la sua discendenza futura
munera. Nullus amor populis nec foedera sunto. con odio inestinguibile: offrite questo dono
625 Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor alla mia povera cenere. Nessun amore ci sia
qui face Dardanios ferroque sequare colonos, mai tra i nostri due popoli, nessun patto. Ah, sorga,
nunc, olim, quocumque dabunt se tempore vires. sorga dalle mie ossa un vendicatore, chiunque
Litora litoribus contraria, fluctibus undas egli sia, e perseguiti i coloni troiani
imprecor, arma armis: pugnent ipsique nepotesque.” col ferro e col fuoco, adesso, in avvenire, sempre
650 Haec ait, et partis animum versabat in omnis, finché ci siano forze! Io maledico, e prego
invisam quaerens quam primum abrumpere lucem. che i lidi siano nemici ai lidi, i flutti ai flutti,
Tum breviter Barcen nutricem adfata Sychaei, le armi alle armi: combattano loro e i loro nipoti.”34
namque suam patria antiqua cinis ater habebat: Così disse, pensando a tante cose, cercando
“Annam, cara mihi nutrix, huc siste sororem: come morire al più presto. E si rivolse a Barce
635 die corpus properet fluviali spargere lympha, nutrice di Sicheo (poiché la propria nutrice
et pecudes secum et monstrata piacula ducat. era rimasta, ormai nera cenere, laggiù a Sidone):
Sic veniat, tuque ipsa pia tege tempora vitta. “Ti prego, cara nutrice, corri da Anna, che venga
Sacra Iovi Stygio, quae rite incepta paravi, la mia dolce sorella, e dille che in gran fretta
perficere est animus finemque imponere curis si lavi con acqua di fiume e porti con sé
640 Dardaniique rogum capitis permittere flammae.” le vittime pel sacrificio, le offerte stabilite.
Sic ait. Illa gradum studio celebrabat anili. Tu stessa cingi le tempie di benda votiva.
At trepida et coeptis immanibus effera Dido Voglio sacrificare a Giove Stigiò, come
sanguineam volvens aciem, maculisque trementis è d’uso, porre fine a tutti i miei dolori
interfusa genas et pallida morte futura, ardendo insieme al rogo il ritratto di Enea.”35
645 interiora domus inrumpit limina et altos Barce accelerò il passo con affanno senile.
conscendit furibunda gradus ensemque recludit Allora Didone, tremante, esasperata
Dardanium, non hos quaesitum munus in usus. per il suo scellerato disegno, volgendo
Hic, postquam Iliacas vestis notumque cubile attorno gli occhi iniettati di sangue, le gote sparse
conspexit, paulum lacrimis et mente morata di livide macchie e pallida della prossima morte,
65o incubuitque toro dixitque novissima verba: irrompe nelle stanze interne della casa
e sale furibonda l’alto rogo, sguaina
la spada dardania, regalo non chiesto per simile scopo.
Dopo aver guardato le vesti lasciate da Enea
e il noto letto, dopo aver indugiato un poco
in lagrime e pensieri, si gettò su quel letto
lunga distesa e disse poche, estreme, parole:

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“dulces exuviae, dum fata deusque sinebat, “O reliquie, che foste così dolci finché
accipite hanc animam meque his exsolvite curis. 10 permettevano i Fati e un Dio: ora accogliete
Vixi et quem dederat cursum fortuna peregi, quest’anima, scioglietemi da tutti i miei tormenti.
et nunc magna mei sub terras ibit imago. Vissi, ho compiuto il cammino concessomi dalla Fortuna,
S55 Urbem praeclaram statui, mea moenia vidi, e adesso un’immagine grande di me andrà sottoterra.
ulta virum poenas inimico a fratre recepì, Fondai una grande città, vidi sorgerne alte le mura,
felix, heu nimium felix, si litora tantum vendicai mio marito, inflissi al fratello nemico
numquam Dardaniae tetigissent nostra carinae.” giuste pene: felice, ahi, troppo felice se solo
Dixit, et os impressa toro “moriemur inultae, non fossero mai arrivate ai nostri lidi sabbiosi
660 sed moriamur” ait. “Sic, sic iuvat ire sub umbras. navi dardanie!” Disse e premè la bocca sul letto.
Hauriat hunc oculis ignem crudelis ab alto ' “Moriamo senza vendetta — riprese — Ma moriamo.
Dardanus, et nostrae secum ferat omina mortis.” Così, anche così giova scendere alle Ombre.
Dixerat, atque illam media inter talia ferro U crudele Troiano vedrà dall’alto mare
conlapsam aspiciunt comites, ensemque cruore 11 fuoco e trarrà funesti presagi dalla mia morte.”’6
665 spumantem sparsasque manus. It clamor ad alta Tra queste parole le ancelle la vedono abbandonarsi
atria: concussam bacchatur Fama per urbem. sul ferro e vedon la lama spumante di sangue,
Lamentis gemituque et femineo ululatu vedono sporche di sangue le mani. Un grido si leva
tecta fremunt, resonat magnis plangoribus aether, per tutta la reggia, la Fama s’avventa
non aliter quam si immissis ruat hostibus omnis in furia per la città, le case fremono d’uria,
67o Karthago aut antiqua Tyros, flammaeque furentes di lamenti e di gemiti di donne, l’aria suona
culmina perque hominum volvantur perque deorum. di grandi pianti, come se Cartagine o Tiro
Audiit exanimis trepidoque exterrita cursu invase dai nemici crollassero, e rabbiose
unguibus ora soror foedans et pectora pugnis le fiamme s’attorcessero tra le case ed i templi.
per medios ruit, ac morientem nomine clamai: La sorella sentì la notizia e atterrita,
675 “hoc illud, germana, fuit? me fraude petebas? con una corsa affannosa, graffiandosi la faccia
hoc rogus iste mihi, hoc ignes araeque parabant? con le unghie, picchiandosi i pugni contro il petto,
quid primum deserta querar? comitemne sororem attraversa la folla chiamando la morente
sprevisti moriens? eadem me ad fata vocasses: per nome: “Sorella, per questo mi volevi? Che inganno
idem ambas ferro dolor atque eadem hora tulisset. doloroso! Per questo volevi il rogo, i fuochi
òso His etiam struxi manibus patriosque vocavi e gli altari? Che cosa dovrò pianger di più:
voce deos, sic te ut posita, crudelis, abessem? la tua morte o questo disperato esser sola
exstinxti te meque, soror, populumque patresque nella morte? Sorella, perché non m’hai voluta
tua compagna morendo? M’avessi tu chiamata
ad una stessa morte: un eguale dolore
ed una stessa ora ci avrebbe colte entrambe.
Ed io con queste mani eressi il rogo, invocai
gli Dei patrii, per essere da te lontana nell’ora
della morte! Sorella, hai ucciso te e me

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Sidonios urbemque tuam. date, vulnera lymphis e il popolo e i padri sidonii e tutta la tua città!
abluam et, extremus si quis super halitus errat, Ma adesso lasciatemi lavare la ferita,
685 ore legam.” Sic fata gradus evaserat altos, lasciatemi raccogliere con le labbra l’estremo
semianimemque sinu germanam amplexa fovebat suo alito, se ancora le aleggia intorno un soffio
cum gemitu atque atros siccabat veste cruores. di vita!” Precipitosa era salita sugli alti
Illa gravis oculos conata attoUere rursus gradini del rogo e abbracciata la sorella morente
deficit; infixum stridit sub pectore vulnus. la stringeva gemendo al seno e con la veste
69o Ter sese attollens cubitoque adnixa levavit, tentava di asciugare il nero sangue. Didone
ter revoluta toro est oculisque errantibus alto mentre cerca di alzare gli occhi che non riuscivano
quaesivit caelo lucem ingemuitque reperta. a stare aperti sviene; la ferita profonda
Tum Iuno omnipotens longum miserata dolorem nel petto stride. Tre volte riuscì a levarsi sul gomito,
difficilisque obitus Irim demisit Olympo tre volte ricadde sul letto: nell’alto cielo cercò
695 quae luctantem animam nexosque resolveret artus. con gli occhi erranti la luce, vedendola gemette.37
Nana quia nec fato merita nec morte peribat, Allora Giunone, pietosa del suo lungo dolore
sed misera ante diem subitoque accensa furore, e della straziante agonia, mandò giù dall’Olimpo
nondum illi flavum Proserpina vertice crinem Iride, che liberasse l’anima che lottava
abstulerat Stygioque caput damnaverat Orco. invano per svincolarsi dai legami del corpo.
7oo Ergo Iris croceis per caelum roscida pennis Poiché lei non moriva di giusta morte, decisa
mille trahens varios adverso sole colores dal Fato, ma anzitempo, in un accesso d’ira,
devolat et supra caput astitit. “Hunc ego Diti Proserpina non le aveva strappato ancora di testa
sacrum iussa fero teque isto corpore solvo.” il biondo fatale capello e non aveva ancora
Sic ait et dextra crinem secat: omnis et una consacrato il suo capo all’Inferno e allo Stige.
705 dilapsus calor atque in ventos vita recessit. La rugiadosa Iride con le sue penne di croco
brillanti contro sole di mille varii colori
volò attraverso il cielo e si fermò su di lei.
“Questo capello — disse — porto e consacro a Dite
per ordine divino, e ti sciolgo da queste
tue membra.” Con la destra strappò il capello: insieme
si spense il calore del corpo, la vita svanì nel vento.

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