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LA MAGNA CHARTA LIBERTATUM, UN’ANTENATA DELLE

COSTITUZIONI MODERNE
UN SIGNIFICATO ‘MODERNO’ E UN SIGNIFICATO ‘FEUDALE’
La Magna Charta Libertatum (Grande carta delle libertà), concessa nel 1215 dal re
d’Inghilterra Giovanni Plantageneto ai suoi vescovi, baroni e sudditi, è un
documento di grande importanza: infatti è considerata la carta alla base del
costituzionalismo inglese e anche un’antenata delle Costituzioni moderne, poiché
introduceva alcune limitazioni al potere del sovrano in materia fiscale e giudiziaria.
In particolare spiccava l’affermazione del principio dell’habeas corpus, cioè una
fondamentale tutela della persona, che non può essere sottoposta ad arresto o
molestata dall’autorità in modo arbitrario, ma esclusivamente in base a una
procedura giuridicamente fondata.
Tuttavia, se la Magna Charta assume per questo motivo un significato ‘moderno’,
resta pur sempre un documento del suo tempo: è profondamente radicata nella
tradizione giuridica feudale e, da questo punto di vista, non introduce elementi
‘moderni’ o ‘rivoluzionari’. La ‘Grande carta’ è piuttosto uno dei tanti patti giurati
che intercorsero fra re e baroni in età feudale, in questo caso determinato da una
particolare congiuntura che aveva stabilito un rapporto di forza favorevole ai
‘grandi’ del regno. A riprova di ciò, essa fu subito modificata e in seguito
progressivamente accantonata, quando i successori di re Giovanni furono in grado di
far valere di nuovo la loro forza sulla nobiltà e sul clero.
Fu per il successivo sviluppo del regno inglese che la ‘Grande carta’ assunse un
significato più importante. Nel corso delle rivoluzioni del Seicento, infatti, gli
oppositori della monarchia ne fecero un uso politico e ideologico, trasformandola in
una sorta di atto fondante del patto tra sudditi e sovrano: un documento a cui fare
riferimento per legittimare la radicale revisione dei rapporti politici all’interno del
regno.
CHE COSA SONO LE LIBERTA’ DELLA ‘GRANDE CARTA’
Fu in seguito alla sconfitta subita a Bouvines il 27 luglio 1214 che re Giovanni fu
costretto dall’alto clero e dai baroni del regno a concedere la ‘Grande carta delle
libertà’. Il sovrano riconosceva così alla nobiltà e alla Chiesa del suo regno alcune
fondamentali prerogative, o privilegi. Questo, infatti, è il senso del termine ‘libertà’
nel Medioevo. Il concetto astratto e universale sarebbe nato solo molto più tardi:
allora, invece, si parlava di ‘libertà’ al plurale, per indicare particolari prerogative
giuridiche e politiche di gruppi sociali. Oggi si definirebbero ‘privilegi’. Per questo,
secondo alcuni, la traduzione più corretta del titolo sarebbe ‘Grande carta delle
franchigie’, dove ‘franchigia’ è il termine del diritto medievale che designa appunto
un privilegio concesso dal signore ai suoi soggetti.
ARTICOLO 13
La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di
ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà
personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi
previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati
tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare
provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro 48 ore all’autorità
giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive 48 ore, si intendono revocati
e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone
comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce limiti massi della
carcerazione preventiva.
UN ACCORDO NEL SOLCO DELLA TRADIZIONE
Le richieste di clero e baroni rimanevano all’interno del quadro dei tradizionali
rapporti del diritto feudale: essi non intendevano – né potevano – ribellarsi al
sovrano, ma piuttosto esigevano la conferma e il rispetto dei diritti ottenuti nei
secoli dalla Corona. Si trattava dunque di ripristinare ‘libertà’ e privilegi che Giovanni
aveva violato. Inoltre, il re doveva essere ridotto, secondo la tradizionale visione, a
un primus inter pares (‘primo tra i pari’), cioè colui al quale era riconosciuta una
preminenza all’interno di un gruppo di pari.
È da notare che la Magna Charta non riguardava solo nobili e clero, ma faceva
esplicito riferimento ad altre categorie o ‘corpi’ di sudditi: ad esempio le istituzioni
comunali di Londra, di cui l’articolo 13 conferma le ‘antiche libertà e libere
consuetudini’, insieme a quelle di altre città, borghi e porti del regno; i mercanti e
soprattutto gli uomini liberi, cioè tutti coloro che, abitanti delle città o delle
campagne, pur non appartenendo agli ordini della nobiltà e del clero, erano esenti
da vincoli di servaggio. Si trattava peraltro di gruppi assai ristretti: la stragrande
maggioranza della popolazione era ‘esclusa’ e ‘non contemplata’ dai privilegi
concessi dalla Carta.
I PRIMI PASSI DELLA ‘NAZIONE’ E DEL ‘PARLAMENTO’
Si può comunque scorgere un altro aspetto di modernità nella Magna Charta: i
baroni, infatti, nella loro lotta contro il sovrano coinvolsero anche altri ceti sociali
presenti in Inghilterra. Si tratta, secondo gli storici, di un momento fondamentale
per la storia inglese, perché appunto intorno alla Carta si univano ceti urbani diversi,
perciò essa costituiva una prima rappresentanza della nazione inglese nel suo
insieme. Inoltre, l’assemblea dei baroni, altra tradizionale struttura feudale,
cominciò lentamente a trasformarsi, prendendo il nome di ‘Parlamento’, e ad
ampliarsi, aprendosi a rappresentanti ‘borghesi’, inviati dalle comunità e dalle città
del regno. Lo sviluppo del Parlamento si svolse nell’arco di secoli e procedette a fasi
alterne, secondo i rapporti di forza che di volta in volta si determinarono tra il
sovrano e gli altri ceti.
UN DOCUMENTO DALLA LUNGA VITA
La Magna Charta constava di 63 disposizioni, scritte in un latino grossolano, pieno di
parole francesi e inglesi latinizzate, ed enunciate l’una di seguito all’altra: sono le
successive edizioni moderne ad avere introdotto gli articoli numerati, per facilitare l
lettura e la comprensione. Dopo la morte di Giovanni, nel 1216, suo figlio e
successore Enrico III, salito al trono a soli 9 anni, confermò per tre volte la Magna
Charta, nel 1216, nel 1217 e nel 1225, apportandovi però alcune modifiche. In
particolare, furono aboliti tre articoli, tra cui proprio quello che limitava le
prerogative del re in materia fiscale. Il fatto è che Enrico III fu un sovrano molto più
forte e autorevole del padre: come si è già detto, il secolare conflitto tra monarca e
nobiltà procedette per fasi alterne, a seconda della capacità di farsi valere del
sovrano e dei baroni. Fu Edoardo I, nel 1297, a fissare il testo del 1225 come
definitivo; questa versione è entrata nella raccolta degli statuti fondamentali del
regno, che costituiscono tuttora la base del sistema politico inglese. L’Inghilterra – e
oggi la Gran Bretagna – infatti non si è mai dotata di una moderna Costituzione
scritta: il suo ordinamento è legato ai precedenti e alle decisioni del Parlamento. La
Magna Charta è dunque tutt’ora riconosciuta come uno dei documenti fondativi del
sistema inglese, anche se con valore esclusivamente simbolico.
LO STATUTO DE TALLAGIO NON CONCEDENDO
Insieme al testo definitivo della Magna Charta, Edoardo I dovette promulgare lo
Statuto de tallagio non concedendo, il cui primo articolo stabiliva che: “nessuna
taglia o contributo sarà imposta o prelevata da noi e dai nostri successori, nel nostro
regno, senza la volontà e il comune assenso degli arcivescovi, vescovi ed altri prelati,
conti, baroni, uomini d’arme, borghesi ed altri uomini liberi del regno nostro”. Il re,
dunque, non poteva imporre nessuna imposta senza il consenso dei suoi sudditi.
‘NESSUN UOMO LIBERO SARA’ ARRESTATO…’
In tutte le stesure della Magna Charta fu confermato il principio dell’habeas corpus,
che ne costituisce l’aspetto più moderno e ancora attuale.
“nessun uomo libero sarà arrestato, imprigionato, spossessato della sua dipendenza,
della sua libertà o libere usanze, messo fuori della legge, esiliato, molestato in
nessuna maniera, e noi non metteremo né faremo mettere la mano su lui, se non in
virtù di un giudizio legale dei suoi pari e secondo la legge del paese” (articoli 29 e 39
nella carta del 1215). Anche in questo caso veniva ripresa una norma stabilita dal
diritto inglese già nel XII secolo: si ingiungeva a chi deteneva un prigioniero di
dichiarare quando e perché era stato arrestato per impedire ogni detenzione
illegale. La Magna Charta confermava lo spirito di questa norma, le cui prime parole
erano “habeas corpus” (abbi il tuo corpo), nel senso della disponibilità del tuo corpo.
Il principio dell’habeas corpus a garanzia dell’inviolabilità personale sarebbe stato
poi sancito definitivamente in Inghilterra nel 600. L’espressione “habeas corpus” si è
quindi imposta nel linguaggio giuridico per indicare le garanzie delle libertà
personali del cittadino sancite costituzionalmente.
L’HABEAS CORPUS NELLA COSTITUZIONE ITALIANA
È la prima parte della Costituzione italiana dedicata ai Diritti e doveri dei cittadini, e
in particolare gli articoli dal 13 al 28 contenuti nel Titolo I, riguardante i Rapporti
civili, a enunciare le fondamentali libertà dei cittadini. Questi articoli configurano
soprattutto uno specifico tipo di libertà: riconoscono cioè gli spazi individuali e
privati in cui i poteri dello Stato (politico e giudiziario) non possono esercitare
nessuna interferenza. In questa serie di articoli si affermano, ad esempio,
l’inviolabilità del domicilio, la libertà di circolazione, la libertà di riunione e di
associazione, la libertà di culto, la libertà di manifestare la propria opinione e di
stampa. Ma è soprattutto nell’articolo 13 che è enunciato il principio dell’habeas
corpus: il testo sancisce l’inviolabilità della libertà personale, non ammettendo
alcuna restrizione che non sia motivata dall’autorità giudiziaria. Si noti quanto
questa formulazione aderisca al testo della Magna Charta, una volta stabilite le
debite differenze istituzionali. L’articolo 13 contempla inoltre casi di eccezionale
urgenza – che devono essere fondati sulla legge – per cui l’autorità può adottare
provvedimenti restrittivi provvisori, fissandone però i limiti temporali, e condanna
qualsiasi tipo di violenza perpetrata contro chi è sottoposto a restrizioni della libertà.
ARTICOLO 17
I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in
luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico
deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per
comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.
ARTICOLO 18
I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che
non sono vietati ai singoli dalla legge penale.
ARTICOLO 21
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad
autorizzazioni o censure.

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