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CRESCITA E FORMA DEGLI ALBERI

Andrea Borghi

Introduzione
La crescita delle piante è un processo molto più complesso e meno intuitivo di quello che appare a
un primo sguardo. Infatti osservando ad esempio la crescita di un animale, da un semplice insetto a
un animale superiore o all’uomo, si può affermare che da un certo momento in poi la struttura
corporea e l’aspetto esteriore raggiungono una forma definitiva, che non cambia più fino al
sopraggiungere della morte, fatta eccezione per piccole variazioni dovute alla normale maturazione
e invecchiamento dei tessuti e degli organi.
Un albero invece non raggiunge mai una forma definitiva: i rami sviluppano in continuazione nuovi
germogli, che a loro volta diventano rami i quali porteranno futuri germogli, e così via in un
processo di ripetizione e reiterazione che, di fatto, permette di affermare che una pianta non smette
mai di “crescere” finché non conclude il suo ciclo vitale. Certo, un albero una volta raggiunta la
maturità non va oltre una certa altezza, i suoi rami non si allontanano indefinitamente dal tronco e
dalle radici, eppure all’interno della sua chioma rami nuovi vengono continuamente prodotti, e il
tronco continua a ingrossare aggiungendo di anno in anno un sottile cerchio. Nel complesso la
quantità totale di vegetazione a un certo punto smette di aumentare, può anzi diminuire in età
avanzata a causa della perdita di alcuni rami vecchi o danneggiati. Eppure nuovi apici e nuove
foglie danno alla pianta, per quanto vetusta una veste sempre giovane.
Il segreto di questa “eterna giovinezza” è da ricercarsi nella struttura stessa dei tessuti vegetali, i
quali non sono organizzati in organi in senso “animale”, ma sono distribuiti in tutta la pianta in
modo più o meno omogeneo.

Crescita degli apici


L’apice di ciascun germoglio
contiene al suo interno delle
cellule embrionali, derivanti cioè
direttamente dall’embrione che
costituiva il seme della pianta. Tali
cellule indifferenziate sono dette
meristema primario, per via del
fatto che da esse si originano tutti
gli altri tipi di cellule adulte, aventi
le forme e le funzioni più
disparate. Una cellula iniziale
finchè resta indifferenziata può
solo suddividersi e dare origine ad
altre cellule iniziali, all’infinito.
Quando alcune cellule iniziali si
“differenziano”, allora da quel
momento in poi smettono di
moltiplicarsi e iniziano ad
accrescersi e a modificare la loro
forma a seconda del tessuto che andranno a formare: tessuti tegumentari (con funzione di
protezione), tessuti parenchimatici (fotosintesi ed accumulo di acqua o nutrienti), tessuti di trasporto
(xilema e floema), tessuti di sostengo (con funzione meccanica di resistenza). Questi tessuti iniziano
a differenziarsi dal meristema primario in prossimità dell’apice andando a formare una struttura,
detta gemma, composta da: bozze fogliari e internodi.
Quando una gemma inizia a crescere, dando vita a un germoglio, le sue cellule iniziano a dividersi e
ad accrescersi per distensione: le bozze fogliari andranno a formare le foglie, mentre gli internodi si
allungheranno, formando tratti di fusto privi di foglie compresi tra due “nodi” successivi.
All’interno di foglie e internodi vengono a formarsi dei fasci conduttori che hanno una doppia
funzione: trasportare acqua e microelementi dalle radici alla foglia (xilema) e trasportare la linfa
elaborata dalla foglia durante la fotosintesi, agli altri tessuti (floema ). Ciascun fascio conduttore
partendo dallo stesso nucleo di cellule iniziali, forma da una parte il floema e dall’altro lo xilema, e
la distribuzione di tali fasci all’interno del fusto riflette la disposizione di ogni singola foglia,
essendosi formati contemporaneamente a questa durante il differenziamento. I fasci sono disposti
nella zona periferica del fusto, subito sotto il tegumento, mentre tra un fascio e l’altro e nella zona
centrale del fusto il tessuto è di tipo parenchimatico, formato da cellule di riserva e accumulo di
acqua e sostanze energetiche elaborate dalle foglie.
All’ascella delle bozze fogliari si formano poi delle protuberanze dette “primordi di ramo”, questi
differenziandosi daranno poi origine a nuove gemme della generazione successiva, e sono di fatto
veri e propri apici esattamente come quello di partenza.
Questo insieme di componenti dell’apice vegetale prende il nome di Struttura Primaria, essendo
derivata direttamente dal meristema primario, ossia da cellule embrionali.
Anche l’apice di ciascuna radice è costituito da una struttura primaria simile a questa, anche se,
essendo diversa la funzione, risulta diversa anche la disposizione dei vari tessuti.

Crescita del legno


Quando il fusto primario raggiunge la maturazione, i suoi tessuti, ad eccezione dell’apice e delle
gemme laterali,
sono costituiti da
cellule ormai
differenziate e
adulte, le quali
non sono più in
grado di
rigenerarsi per
far fronte ad
un’ulteriore
crescita degli
apici. A questo
punto l’unico
modo che ha la
pianta per
mantenere in vita
gli apici e farne
crescere di nuovi,
è quello di
costruire una
nuova struttura:
alcune cellule
adulte del fusto
regrediscono allo
stato embrionale
e vanno a
formare un
meristema
secondario, così chiamato perché non derivato direttamente da quello primario, ma appunto da
cellule adulte. Negli spazi compresi tra i fasci conduttori primari, si forma così uno strato di cellule
detto “cambio”, che si chiude attorno al fusto formando una circonferenza (vista in sezione). Questa
in realtà si estende per tutta l’altezza del fusto, e forma quindi un cilindro cavo di cellule
meristematiche.
Il cambio inizia poi a duplicare le proprie cellule, sia verso l’esterno, formando un anello continuo
di floema (libro), sia verso l’interno formando un anello di xilema (legno): questi nuovi tessuti
garantiscono la continuità degli scambi tra le radici e gli apici in continuo accrescimento.
Via via che nuovi germogli si formano, i rami precedenti lignificano e iniziano l’accrescimento
secondario. Quindi con il passare del tempo, nei rami più vecchi e nel tronco, il cambio deve
continuare a produrre internamete nuovo xilema che si sovrappone a quello più vecchio via via che
questo si degrada e perde la sua funzione. Le cellule dello xilema quando muoiono rimangono nella
parte più interna del fusto, assumendo funzione di sostegno. Questo legno morto è chiamato
duramen, e per evitare che marcisca viene impregna to di tannini e altre sostanze prodotte dal legno
vivo.
Esternamente al cambio
avviene invece la
formazione di nuovo
floema. Solo che in questo
caso, l’espansione del
cambio fa sì che il floema
più recente spinga il più
vecchio verso l’esterno. La
sua capacità di espandersi è
però limitata, e lo strato di
cellule attive è sempre
molto sottile. Il floema più
esterno si de-differenzia
nuovamente, creando un
ulteriore tessuto
meristematico, il fellogeno :
questo va a formare delle
cellule tegumentarie: il
periderma e la corteccia in
cui la cui parete cellulare è composta da sughero. Il fellogeno ha però vita breve: venendosi a
trovare in una zona non più alimentata, le cellule della corteccia muoiono, e vengono spinte verso
l’esterno, deformandosi a causa della crescita, assumendo così un aspetto fessurato. Ogni anno
quindi un nuovo strato di fellogeno si forma più internamente a partire dal floema.
La quasi totalità delle piante che vivono in climi temperati freddi, ha ritmi di crescita che seguono le
stagioni e sono perciò discontinui: durante la stagione invernale la crescita subisce un arresto, per
poi riprendere in primavera.
La crescita primaverile è quella che richiede più acqua, grazie alla formazione di nuovi germogli e
nuove foglie, per tanto lo xilema formato in primavera è costituito da cellule molto più grandi e con
parete cellulare sottile, che consentono un maggior trasporto idrico, mentre durante l’estate la
nascita di nuove foglie rallenta, e di conseguenza le cellule xilematiche estive sono più sottili, e con
parete cellulare più spessa, con funzione di sostegno. Terminata la stagione vegetativa la pianta va a
riposo e smette di produrre nuovo legno fino alla primavera successiva: questa alternanza annuale
tra xilema primaverile ed estivo è ben visibile a occhio nudo in una sezione trasversale del tronco e
consente di valutare l’età di un albero dal conteggio del numero di cerchie annuali.
La struttura secondaria è tipica delle gimnosperme (conifere) e delle angiosperme dicotiledoni (altre
specie a fusti legnosi). La classe delle angiosperme monocotiledoni invece è caratterizzata
dall’avere solo una struttura primaria: essa comprende per lo più piante erbacee a ciclo annuale o
perenne, bulbose, rizomatose, e anche piante simili ad alberi, come le palme, caratterizzate
dall’avere un unico apice primario che si allunga senza avere accrescimento diametrale.

Fotosintesi
Per capire perché e come un albero cresce, occorre ricordare brevemente un’altra grande differenza
tra piante e animali: la fotosintesi. Grazie ad essa, le piante sono in grado di produrre tutto ciò di cui
hanno bisogno senza “nutrirsi” come invece fanno gli animali. La fotosintesi consiste nell’utilizzare
la luce del sole per trasformare acqua e anidride carbonica in glucosio, che è l’unità iniziale di
trasporto dell’energia, senza la quale è impossibile sintetizzare altre sostanze. Perciò, a una pianta
occorre acqua, che ricava dal terreno grazie alle radici, e CO2 presente nell’aria. Fisicamente,
l’acqua sale dalle radici lungo i condotti dello xilema, grazie alla depressione creata dalla perdita
stessa di acqua attraverso le foglie (traspirazione), che in questo caso funzionano come una pompa,
in grado di sollevare acqua contro la forza di gravità anche a decine di metri di altezza. Viceversa,
gli zuccheri prodotti dalle foglie scendono lungo i condotti del floema per trasporto attivo: essendo
più concentrati in corrispondenza delle cellule sorgenti, l’acqua viene richiamata per osmosi
portandoli in soluzione, e rendendoli così disponibili per tutte le cellule, soprattutto quelle che non
sono in grado di svolgere la fotosintesi. Gli zuccheri in eccesso vengono trasformati in amido allo
stato solido, pronto per essere idrolizzato in caso di necessità.
Le cellule infatti, per poter vivere, al pari di quelle animali, “bruciano” l’energia contenuta negli
zuccheri, facendo esattamente l’operazione inversa della fotosintesi, liberando nuovamente CO2 . Il
bilancio energetico deve quindi essere positivo: se così non fosse, sarebbe maggiore l’energia
consumata di quella prodotta, e la pianta morirebbe. Esiste per ciascun pianta una soglia minima di
luce, detta punto di compensazione, al di sotto della quale la pianta non è in grado di ottenere
sufficiente energia dalla fotosintesi, e non è perciò in grado di vivere a lungo. Sopra questa soglia
invece la pianta accumula energia, e mediante successive trasformazioni può generare nuovi tessuti
e crescere.
Esistono poi altri elementi, non meno importanti: azoto, fosforo, potassio, ferro ecc…, che si
trova no nel terreno, e servono assieme al carbonio introdotto con la CO2 , come materiale da
costruzione per le cellule, ma non possono essere considerati una fonte principale di nutrimento:
senza la luce del sole e la fotosintesi attuata dalle foglie sono del tutto inutili.

Forma naturale
La forma globale di un albero è plasmata dall’azione combinata di crescita primaria e secondaria, le
cui regole sono scritte nel genoma, quindi tipiche di una specie, ma soprattutto è dovuta all’età
fisiologica, intesa non come età effettiva, ma come stadio di sviluppo della struttura in cui si trova
la pianta in un dato momento della sua vita. Infine la forma, è influenzata anche dall’ambiente
esterno, soprattutto in quei casi estremi in cui la lotta per la sopravvivenza determina un
adattamento della forma a particolari agenti esterni.
Durante lo sviluppo di un germoglio si ha la formazione di foglie, internodi e gemme laterali.
Queste ultime, nella maggior parte degli alberi che vivono in climi temperati- freddi, non si attivano
prima della primavera successiva. Ma anche allora la possibilità di crescere e dare origine a un
nuovo germoglio, è fortemente influenzata da quella che viene detta “dominanza apicale”: la
gemma che si trova all’apice è la prima ad attivarsi, e le sue foglie in crescita producono ormoni
(auxine) che scendono lungo il ramo bloccando lo sviluppo delle gemme inferiori, convogliando di
fatto acqua e minerali esclusivamente verso l’apice. In tal modo, da un ramo nato in un certo anno,
si svilupperanno solo alcune delle gemme: talvolta solo quella apicale, determinando il semplice
allungamento del ramo senza produrre nuove ramificazioni; talvolta solo quelle immediatamente
sotto l’apice, oppure quelle più basse e lontane dall’apice, in quei casi dove la dominanza apicale ha
un’influenza limitata (piante basitone, per lo più arbusti)
Il meccanismo della dominanza apicale varia durante lo sviluppo: in primavera, quando la gemma
apicale sta per schiudersi, le auxine bloccano l’apertura delle gemme laterali, e concentrano le
energie e le risorse verso l’apice. In questa fase, per poter attivare le gemme laterali, è sufficiente
rimuovere la gemma apicale e immediatamente quelle sottostanti si attivano, determinando la
partenza di uno o più germogli, i quali poi ripristinano a loro volta la dominanza apicale sulle
gemme sottostanti. Più avanti in primavera, quando le foglie hanno raggiunto la maturità, non sono
più le auxine a bloccare le gemme, ma altri meccanismi legati alla presenza delle foglie adulte. In
questa fase, per attivare le gemme laterali non è più sufficiente rimuovere l’apice, ma è necessario
eliminare anche un certo numero di foglie adulte. Più avanti ancora, nel corso dell’estate, neppure la
defogliazione è in grado di eliminare l’inibizione delle gemme laterali, a causa di altre inibizioni
interne alla pianta.

Nella pratica bonsai è necessario ridurre o eliminare la dominanza apicale, al fine ad esempio
di evitare che un ramo si allunghi troppo, e di consentire lo sviluppo di germogli più arretrati.
Alla luce delle considerazioni viste, è facile comprendere che durante la primavera, con la
potatura dei rami e la successiva cimatura dei nuovi germogli, si stimola l’apertura delle
gemme più arretrate, inoltre mediante la defogliazione dei nuovi germogli è in molti casi
possibile ottenere la partenza anticipata di nuove gemme, cioè quelle sullo stesso germoglio
dell’anno in corso. Ma occorre tenere presente che dal mese di luglio in poi tali pratiche in
molti casi diventano perfettamente inutili e spesso dannose.

Bisogna a questo punto fare anche una distinzione tra diversi tipi di crescita dei germogli a seconda
delle specie. Ci sono specie la cui crescita è completamene predeterminata: in tali casi cioè, il
numero di foglie e internodi del singolo germoglio in un dato anno è già stabilita all’interno della
gemma: quest’ultima infatti l’anno precedente ha sviluppato un certo numero di bozze fogliari e
internodi, che si svilupperanno nell’anno in corso. Al termine della crescita, il germoglio formerà
una nuova gemma apicale che in condizioni naturali si aprirà solo l’anno dopo. Le piante di questo
tipo, dette aritmiche , in caso di buon vigore anziché produrre nuove foglie tendono a sviluppare un
aumento della dimensione delle foglie e un forte allungamento degli internodi.
Altre specie invece, hanno una crescita a flussi successivi nell’arco della stessa stagione vegetativa:
una volta che il germoglio sviluppa tutte le sue foglie, si interrompe per un breve periodo e poi la
nuova gemma apicale prosegue il suo sviluppo con nuove foglie e internodi. In queste piante, dette
ritmiche , in un anno possono svilupparsi diverse generazioni di foglie su uno stesso ramo, e un
eccesso di vigore si traduce in un maggior numero di foglie, le quali restano di dimensioni costanti
più piccole e con internodi più corti.
Sono specie aritmiche: aceri, frassini, platani, fichi ecc.. Sono invece specie ritmiche: querce, olmi,
olivi, meli, prunus, ecc…

Per questo motivo, piante come gli aceri allevati a bonsai, se non si tengono sotto controllo
annaffiature e concimazioni, soprattutto in primavera, tendono a sviluppare foglie molto
grandi e internodi lunghi, rendendo quasi obbligatoria la defogliazione. Addirittura alcune
specie, come l’Acer pseudoplatanus (acero di monte), oppure lo stesso platano, sono
estremamente difficili da tenere sotto controllo nonostante questi accorgimenti, al punto che
la loro coltivazione a bonsai è sconsigliata.
Altre piante invece, come ad esempio l’olmo, non necessitano di defogliazione perché essendo
ritmiche presentano foglie e internodi di dimensioni costanti: hanno bisogno invece di
continue cimature, grazie a uno sviluppo quasi ininterrotto di nuove cacciate.

La dominanza apicale, che agisce a livello delle gemme, determina poi un’influenza sulla crescita
dei rami una volta che una gemma si “sblocca” per dare origine a un nuovo germoglio. A livello
dell’intera pianta infatti, l’effetto delle auxine è quello di convogliare acqua e sali minerali
preferibilmente verso alcuni rami rispetto ad altri. Gli effetti di questa disparità tra rami
“dominanti” e “dominati” sono sostanzialmente tre:
Acrotonia: è lo sviluppo maggiore dei rami più alti rispetto a quelli bassi. Di fatto è il meccanismo
che permette agli alberi di crescere in altezza, distinguendoli da arbusti e cespugli che sviluppano
maggiormente rami bassi (basitonia).
Plagiotropismo : è la crescita dei rami in direzione orizzontale. Più un ramo è dominato, più tenderà
a svilupparsi preferibilmente in orizzontale, mentre i rami dominanti tenderanno a crescere inclinati
verso l’alto o verticali.
Simmetria orizzontale e ipotonia: mentre il ramo apicale è verticale e ramifica con simmetria
radiale (rami in tutte le direzioni), un ramo dominato tende a ramificare con una simmetria
orizzontale, ossia con rami disposti su un piano orizzontale (o inclinato) e ipotoni, ossia che
crescono verso il basso (o verso l’esterno), mentre non svilupperà rami verso l’alto o verso l’interno
della chioma.
La combinazione i questi fattori determina la crescita dell’albero e la sua forma.
La struttura di un albero non è statica e non è mai definitiva, in quanto si riferisce a un particolare
momento del suo sviluppo. Occorre quindi descrivere come evolve nel tempo la struttura di un
albero naturale. Esistono una decina di “fasi” dello sviluppo di un albero partendo dal seme fino ad
arrivare alla morte, ma si possono riassumere in tre “macro-fasi”: Crescita, maturità, vecchiaia.

Le fasi della crescita (da 1 a 4 in figura) sono


fortemente influenzate dalla dominanza apicale e
dagli effetti che abbiamo appena descritto: un
albero giovane è caratterizzato da un unico asse
verticale (ramo apicale) e da una serie di rami
fortemente dominati da questo. I rami più vicini
all’apice sono anche quelli più vigorosi (acrotonia ),
e inclinati verso l’alto, mentre via via che si scende
troviamo rami sempre più orizzontali che a loro
volta ramificano verso il basso (ipotonia). La
crescita di questo tipo è detta monopodiale.
Con lo sviluppo in altezza sempre maggiore, si ha
anche un conseguente allungamento del percorso
che deve fare l’acqua per salire dalle radici
all’apice contro la forza di gravità: si raggiunge
quindi un punto in cui l’apice perde via via la
propria dominanza sugli altri rami: le branche
subito sottostanti iniziano a prendere il
sopravvento, la loro crescita si orienta verso l’alto e
iniziano ad assumere una simmetria radiale
(isotonia): ciascun apice ripete il modello di
crescita dell’apice originario, e diventa
Foto 1- Quercus robur (farnia), la parte
superiore del tronco è suddivisa e non si
distingue più un apice unico (fase 6)
indipendente da questo, le sue ramificazioni finiscono a loro volta per prendere il sopravvento, e
così via (fasi 5 e 6).
La chioma assume la forma di una cupola, non si distingue più una linea del tronco, ma una serie di
tronchi secondari che ramificano progressivamente
(crescita simpodiale). I rami più bassi, nati per primi e
fortemente dominati, finiscono per morire
progressivamente. Siamo nelle fasi di maturità: ora lo
sviluppo in altezza termina, e i rami si rinnovano per
sostituzioni successive: la crescita li porta a inclinarsi
sotto il proprio peso, permettendo alle ramificazioni che
crescono verso l’alto di svilupparsi maggiormente
(epitonia): queste uccidono quelle sul lato inferiore e in
seguito l’asse principale stesso, andando a sostituirlo, e
così via (fasi 7 e 8).
Infine sopraggiungono le fasi della vecchiaia: prima o
poi comincia a venir meno il rapporto tra la vegetazione
e le radici, le parti verdi devono produrre una quota di
energia sempre più alta per nutrire tessuti non produttivi
(quelli del legno, che aumenta sempre a causa della
crescita secondaria di tronco, rami e radici), inoltre la
funzionalità delle radici è via via compromessa, perché
con l’accrescimento diametrale del tronco, la parte viva
si allontana sempre di più dal centro, e le radici più
interne finiscono per morire, limitando l’apporto idrico
Foto 2 - Acero di monte (Acer
pseudoplatanus) Madonna dell’Acero ai rami, soprattutto agli apici più lontani: da quel
(Corno alle Scale). L’albero ha più di 400 momento, il vigore della pianta si concentra sempre più
anni. Lo stato di deperimento generale verso la base dei rami e verso il tronco. I rami più esterni
denota la perdita di gran parte della vengono abbandonati e vecchie gemme quiescenti si
ramificazione originaria, e la formazione
riattivano, ricostruendo una ramificazione sempre più
di branche epitoniche direttamente dal
tronco e dal ramo rimasto (fase 9). interna (fase 9). Ma con il passare del tempo la
vegetazione diventa insufficiente a mantenere l’intera
struttura lignea: il cambio inizia a
diventare discontinuo formando dei
vuoti. L’attività del cambio si
concentra attorno alle ultime
ramificazioni rimaste, e forma nuove
radici nella parte più esterna, finchè
l’albero si suddivide in colonne
(ciascuna formata da branche, pezzi
di tronco e radici) completamente
separate e indipendenti l’una
dall’altra, di fatto individui
fisicamente separati da tratti di legno
morto (fase 10). Questa situazione è
comunque molto rara, perché nella
maggior parte dei casi l’albero muore
per altre cause patologiche dovute al
suo progressivo indebolimento.
Figura 3 -Platano di Ippocrate (Kos, Grecia). Ha più di 2500
anni. il tronco originale si è completamente separato e le sue
parti formano diversi esemplari indipendenti (fase 10). Queste fasi sono tipiche di tutti gli
alberi, angiosperme e conifere, anche
se per queste ultime ci possono essere delle differenze in termini di selezione dei rami: ad esempio,
mentre i pini tendono a seguire questo modello, gli abeti hanno una forte persistenza del germoglio
apicale per gran parte della loro vita, inoltre l’albero attua una preselezione dei rami, i quali non
hanno bisogno di essere rinnovati così di continuo, ma in ogni caso le fasi finali sono ben visibili.

Fattori ambientali
Le fasi di sviluppo che caratterizzano la crescita naturale sono un modello che l’albero segue
quando è libero di crescere e sussistono condizioni ottimali che ne favoriscono la sua naturale
espressione. Ma in natura non sempre le condizioni ambientali sono ideali, e in molti casi uno o più
fattori contribuiscono a disturbare la crescita, plasmando l’albero che per istinto di sopravvivenza
deve continuare a crescere adattandosi all’ambiente.

Foto 4 - Ginepri. Esposizione ai venti, salsedine e siccità hanno prodotto tronchi e rami avvolti a spirale e
vaste porzioni di legno secco.

Piante che crescono in zone particolarmente esposte al vento subiscono sia effetti meccanici (rotture
e piegature di rami, sradicamento del tronco), sia effetti termici o chimici (salsedine, essiccamento
di gemme dovute ai venti caldi o freddi), che provocano una crescita mono-direzionale della
vegetazione, o la morte di rami che poi seccano formando vere e proprie sculture. In ambienti
soggetti a smottamento o erosione del terreno si assiste a cambi di inclinazione o scopertura
dell’apparato radicale. Fulmini e incendi provocano cicatrici estese all’intera pianta. La presenza di
altri alberi vicini produce una crescita prostrata, con vegetazione che sfugge in cerca di luce. In
presenza di animali si può assistere a una “brucatura” costante dei nuovi germogli, che mantengono
quotidianamente cimata
la vegetazione. Insetti,
malattie o traumi
possono provocare la
morte di una zona del
tronco o delle radici,
lasciando vuoti che si
possono estendere a tutta
la struttura. Questi e altri
fattori esterni provocano,
con meccanismi a volte
ancora sconosciuti,
un’alterazione della
forma, non dovuta
soltanto alla causa in sè,
Foto 5 - Querce da sughero (Quercus suber) modellate dal vento (Sardegna)
ma anche all’effetto: la parte viva continua a crescere attorno alla parte morta e la combinazione di
causa ed effetto da come risultato una forma totalmente unica e irripetibile.
Così come un animale, una pianta non sceglie dove nascere, ma a differenza degli animali, le piante
non possono “migrare” e sono costrette loro malgrado a rimanere sempre nello stesso luogo,
subendone le conseguenze per tutta la vita.

Trasportando questo discorso a una pianta bonsai, dobbiamo innanzitutto chiarire che in
questo caso una pianta, può ispirare una forma all’artista, ma sarà poi l’artista stesso a
costruirla, basandosi su canoni estetici o su osservazione di forme naturali. In ogni caso, l’idea
è quella di ottenere una forma che ricordi un albero nella sua fase adulta, di maturità, il che a
seconda delle specie che stiamo utilizzando, porta a diversi tipi di impostazioni: nelle conifere
l’apice è sempre molto definito, così come l’asse principale del tronco, i rami laterali sono
orizzontali, o leggermente inclinati verso il basso, mentre nelle caducifoglie l’asse principale è
definito solo nella parte iniziale, la parte alta si divide in rami principali via via più biforcati
formando una chioma arrotondata, la parte bassa invece è caratterizzata da rami orizzontali,
che stanno ormai sfuggendo alla dominanza apicale e si allungano verso l’esterno uscendo
dall’ombra dei rami superiori, oppure in certi casi sono assenti, e l’intera chioma è
tondeggiante. Indipendentemente dallo stile adottato, ogni bonsai ripe te forme presenti in
natura, con variazioni sul tema che si riscontrano anche negli alberi naturali, e dipendono
dalla specie e dalle condizioni ambientali. Nella maggior parte degli esemplari allevati a
bonsai si cerca anzi di dare unicità a una pianta, riproducendo forme estreme, a volte
apparentemente impossibili, se non fosse che in natura si trovano esempi ancora più
incredibili.

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Fonti:
? Facoltà di agraria, università di Firenze: Lezioni di Botanica Generale
? Dipartimeno di Biologia Vegetale, Università di Torino: Struttura del Legno
? Pierre Raimbault: L’albero, un entità biologica

Foto:
Foto 1: Andrea Borghi
Foto 2: Andrea Borghi
Foto 3: Andrea Borghi
Foto 4: Bonsai Italia
Foto 5: Andrea Borghi

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