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“L’AUTONOMIA NEL PROCESSO

EDUCATIVO”

PROF.SSA MARIA GRAZIA SIMONE


Università Telematica Pegaso L’autonomia nel processo educativo

Indice

1 POTENZIALE UMANO E POTENZIALE EDUCATIVO ------------------------------------------------------------ 3


2 L’AUTONOMIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
3 I MODELLI --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 9
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 11

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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1 Potenziale umano e potenziale educativo


Il potenziale umano al quale abbiamo fatto riferimento parlando sinora di educazione, è dato

dall’insieme delle risorse della persona, dalla totalità delle sue connotazioni, dall’unità complessa

del suo essere e del suo manifestarsi. A questo potenziale umano si rivolge l’educazione per

portarlo alla luce, per metterlo a profitto, per accrescerlo e svilupparlo, per consentirgli il massimo

dispiegamento possibile.

Si tratta di farsi carico, nell’esercizio del processo educativo, di tutto quanto è racchiuso

nella persona, in termini di bisogni, desideri, interessi, motivazioni, ecc. e di assumere la persona

nella totalità delle sue manifestazioni: pensiero, linguaggio, motricità, relazionalità, affettività…e

poi ancora interiorità, anelito ai valori, capacità di meravigliarsi e di stupirsi, bisogno di libertà ecc.

Tutto questo è il potenziale umano della persona. E tutto questo diventa o può diventare potenziale

educativo e quindi contenuto, ragione ed obiettivo dell’educazione.

L’espressione “potenziale umano” e quella ad essa corrispondente di “potenziale educativo”

fondano la loro efficacia e la loro fortuna su almeno tre ordini di questioni.

Hanno, in primo luogo, una indubbia forza descrittiva, capace di condensare e riassumere

l’insieme complesso delle risorse della persona; richiamano, in secondo luogo, l’idea di potenzialità

che induce a ricordare dove stia la sorgente dinamica del processo, riproponendo quella centralità

della persona che la cultura tecnologica qualche volta trascura; e, per ultimo, fanno pensare ad una

sorta di mediazione esterna che permetta a ciò che è soltanto virtuale di diventare risorsa effettiva

ed effettivamente utilizzabile. Detto in altri termini: l’espressione potenziale educativo porta con sé

l’idea di integralità, l’idea della centralità della persona, quella di compito e quella di mediazione.

Passiamo ora a spendere qualche parola sul concetto di mediazione.

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Per realizzarsi, il processo educativo esige una mediazione, ossia un incontro produttivo di

due o più soggettività in qualche modo coinvolte in una relazione da cui nasce l’attivazione di

quelle energie della persona, in forza delle quali quest’ultima riesce ad esplicare il suo potenziale

umano.

L’incontro tra soggettività differenti è proficuo se, oltre alla percezione delle due distinte

identità che si incontrano (quella dell’Io e quella del Tu), si riesce anche ad avere una chiara

percezione del “Noi”, quale entità mediana che quelle due distinte identità (Io e Tu) intendono

diventare nello spazio che condividono.

La mediazione dispone di alcuni strumenti operativi per consentire l’incontro tra persone.

Uno di essi è il linguaggio che non soltanto permette lo scambio relazionale, ma anche la possibilità

di compiere esperienze attraverso il filtro narrativo o il medium della parola (orale o scritta che sia).

Nel contesto educativo, in altre parole, ci sono sì tanti singoli individui che si incontrano,

con lo scopo comune di imparare, di educarsi, ma che devono diventare una entità coesa, dinamica,

orientata dagli scopi comuni che si intende perseguire. In tal senso, nel processo di mediazione

l’educatore occupa un posto del tutto speciale: egli è chiamato a mettere in comunione le varie

individualità mediante un’azione di mediazione interpersonale collocandosi egli stesso tra quelle

persone e mettendosi in gioco, favorendo la conoscenza reciproca, il dialogo, la circolarità continua

dello scambio dei messaggi e delle interazioni comunicative.

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2 L’autonomia
Prendiamo ora in esame il problema dell’autonomia.

Va detto che nessuna potenzialità si sviluppa senza una congrua iniziativa esterna. A

conferma di questo assunto possono essere richiamate tanto l’esperienza empirica quanto la

riflessione filosofica, a partire da quella classica, di Aristotele. E tuttavia non c’è chi non riconosca

che l’educazione si compie fondamentalmente per l’iniziativa stessa di chi si educa. Non si tratta di

disconoscere il ruolo dell’educatore, ma di valorizzare adeguatamente lo sforzo personale del

soggetto in educazione, senza la cui determinazione si incepperebbe il processo educativo.

A tal proposito, si riporta un passaggio della voce “Educazione”, presente nell’Enciclopedia

Pedagogica di M. Laeng, che è particolarmente rappresentativa del discorso che andiamo

sviluppando in queste pagine:

“L’educazione vede il concorso di due ordini di fattori, che si possono chiamare endogeni e

esogeni. I primi sono insiti nel soggetto educando, solo in parte innati (in quanto derivati dal

corredo ereditario) e in parte invece prodotti dallo stesso sviluppo, che non è ‘performistico’ nel

senso deterministico, ma piuttosto ‘epigenetico’, nel senso che ogni tappa prepara ma non esaurisce

le successive, che aggiungono sempre qualcosa di nuovo (έπί, cioè ‘sopra’, in aggiunta). I secondi

sono invece di origine esterna, [provengono] dall’ambiente naturale o artificiale, o più spesso

dall’ambiente sociale che condiziona anche gli influssi dei primi due.

Poiché due ordini di fattori sono sempre compresenti, si spiega come l’esito dell’educazione

difficilmente dia un risultato prevedibile o scontato: né la forza dell’eredità né quella formazione

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bastano a piegare in un solo senso. Va aggiunto che, senza cooperazione dell’educando, ogni opera

esterna di rincalzo è inutile; ma è anche accertato che, senza cooperazione dell’educatore,

l’educando non svolgerebbe che in minima parte le sue potenzialità, restando in uno stato di

selvatichezza (come i bambini-lupo). Per questo si suol dire che l’“auto” e la “etero” educazione

sono mutuamente necessarie”1.

Oggi si è portati a ritenere che la formazione della personalità non possa prescindere dalle

stimolazioni culturali, le quali però non vengono subite passivamente dal soggetto, che è in grado di

utilizzare le sollecitazioni ambientali a suo vantaggio.

In passato il problema è stato affrontato con grande vivacità di discussione ed anche, occorre

dirlo, con qualche enfatizzazione che ha portato qualche volta a sottolineature eccessive e persino

fuorvianti. L’Idealismo italiano di inizio secolo, con la forte personalità di G. Gentile, ha spinto in

favore di tesi che sembrerebbero mettere in ombra il ruolo del maestro e, più in generale

dell’educatore, stante il fatto che l’educazione è sempre autoeducazione.

Nel rapporto educativo la mente del docente e quella dell’allievo divengono una mente sola,

ossia la mente oggettiva che viene costruendo la verità, poiché tutto si risolve nella vita spirituale

intesa come atto di autocoscienza, oltre che spirito universale e trascendentale, posto a fondamento

della realtà.

Il docente, nell’atto educativo, ripercorre la storia della sua completezza, della sua

autocoscienza e quindi della sua conoscenza piena. Nell’incontro con l’allievo, gli trasmette le

conoscenze e lo aiuta a seguire il processo dello spirito.

1
M. LAENG, Educazione, in ID. (a cura di), Enciclopedia pedagogica, La Scuola, Brescia 1989, vol. III, pp. 4221-4225.

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Per contro il Positivismo (valga per tutti il ricordo di R. Ardigò) concepì l’educazione come

esclusivo effetto di spinte sociali e di sollecitazioni ambientali, ponendo in ombra l’energia

autonoma della persona. Nel clima del Positivismo ottocentesco, Ardigò affermava che la cultura

del gruppo sociale, cui l’individuo appartiene, lo modella, trasmettendogli conoscenze, abilità,

atteggiamenti, valori, ecc. che sono propri di essa.

Sono le stimolazioni socio-culturali, in altre parole, che modellano la personalità, nel senso

che le danno forma, la conformano al modello culturale di cui sono portatori la famiglia, la società,

gli educatori.

In tale prospettiva, l’educazione viene concepita come azione “modellatrice” dell’uomo.

Si tratta di polarizzazioni dovute, da una parte, alla doverosa coerenza con le premesse

filosofiche da cui muovevano i diversi Autori, e, dall’altra, ad una sorta di vis polemica che andava

però progressivamente sfumando, man mano che ci si spostava dal piano pedagogico a quello

didattico. Tant’è che, trasferiti sul piano operativo, l’Idealismo ha sempre difeso l’identità e il

prestigio dell’insegnante e il Positivismo ha sempre saputo difendere il lavoro e l’iniziativa del

soggetto in educazione.

In questo modo, quella che veniva considerata come un’antinomia da sciogliere è andata

progressivamente presentandosi come problema da discutere e da affrontare (alludiamo

all’antinomia fra autoeducazione ed eteroeducazione).

Nessuno mette, oggi, in dubbio o misconosce la funzione primaria e fondamentale della

interiore partecipazione del soggetto alla sua educazione, e nessuno ignora o sottovaluta l’incidenza

della cultura, dell’ambiente, dell’insegnamento e, più in generale, delle stimolazioni esterne. Ma

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resta il problema, perché si tratta di capire e di spiegare come queste due risorse intervengano nel

processo educativo e come fra loro interagiscano.

Per una sorta di tacita convenzione, la ricerca pedagogica sta perciò abbandonando il

confronto sui termini dell’antinomia, che presi isolatamente rischiano di sovraccaricarsi di

significati (anche ideologici), preferendo ripiegare sul versante della processualità operativa dove,

tra l’altro, lo sforzo ermeneutico può anche assumere immediate valenze di effettiva produttività.

Un interessante recupero in questa prospettiva è dato dal discorso sui modelli.

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3 I modelli
La ricerca pedagogica usa la parola modello in almeno due distinti significati. Il primo

colloca il modello in prospettiva epistemologica: il modello è una rappresentazione del fenomeno in

esame, è uno strumento euristico appositamente costruito per facilitare la ricerca; è uno strumento

di produzione e di controllo delle conoscenze scientifiche. Il secondo significato, con una più lunga

tradizione d’uso nel discorso pedagogico, caratterizza il modello come un insieme coordinato e

coerente di elementi che vengono offerti al soggetto perché egli abbia a riprodurli, o a ricostruirli, o

a rielaborarli.

Molte delle situazioni didattiche (o forse l’intera proposta didattica) assumono il carattere

del modello. Tuttavia, perché davvero si possa parlare di modello occorre una proposta ordinata,

coerente, significativa...e questo chiama in causa la perizia dell’educatore; ed occorre anche la

disponibilità e l’interesse del soggetto in educazione che voglia assumere il modello come proposta

coinvolgente; occorre, anzi, che egli voglia e sappia riconoscere i diversi elementi della proposta

come un tutt’uno coordinato e coerente, ossia come modello.

Per questo possiamo dire che è l’educatore che dà coerenza alla sua proposta e la organizza

come modello; e possiamo, però, aggiungere che è l’allievo che elabora e fa proprio un modello.

Può dunque accadere che una proposta attentamente predisposta non venga raccolta, e può anche

accadere che una situazione confusa e priva di intenzionale progettualità venga letta dall’allievo

come modello, o comunque ricondotta ad uno schema cui confrontarsi.

Se ci portiamo ad un altro livello di analisi, il riferimento al modello ci fa anche capire come

mai sia sempre necessario, in educazione, fornire dei modelli, e come accada che a parità di modelli

vi possano essere esiti ed effetti diversi. Ci limitiamo, in questa sede a ricordare che l’autonomia

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della persona non è una prerogativa da vantare in termini astratti, ma è una condizione da

apprezzare come campo di iniziativa e di elaborazione: nulla viene assunto se non viene dal

soggetto ricostruito e rielaborato.

La ricerca va oggi affrontando, nello specifico delle diverse situazioni educative, lo studio

delle modalità di rielaborazione del soggetto in una prospettiva che tanto in sede pedagogica quanto

in sede didattica fornisce una diversa profondità all’antico confronto fra autonomia ed eteronomia.

Perché si possa giungere al possesso della cultura e alla socializzazione è necessario che la

persona possa disporre di “modelli”, senza dei quali la definizione del sé procederebbe in maniera

incerta e senza potersi avvantaggiare di tutto quanto il gruppo sociale ha accumulato in termini di

conoscenza e di esperienza. E tuttavia, anche l’assunzione di un modello non può mai essere

risposta passiva o automatica, dovendo implicare un’adesione selettiva ed una elaborazione

personalizzata. Questo suppone che il processo di apprendimento si possa collocare in un’area di

transizione costruttiva tra le esigenze di personalizzazione e le proposte culturali, di modo che

ciascun modello possa esser costruito o ricostruito o perlomeno riconosciuto dal soggetto

nell’ambito di una dimensione attiva di possesso culturale e quindi poi come possibile canone

oggettivo di comportamento e di conoscenza.

Tutto ciò richiede, tra gli altri aspetti, una certa capacità di decontestualizzare

l’apprendimento, ossia la capacità di mettere in atto un paziente lavoro che serva a sganciare

l’apprendimento dai vincoli interiori e dai condizionamenti esterni e ne consenta la fruizione in

maniera libera e creativa.

In ogni caso, l’assunzione di un modello non può mai essere risposta passiva o automatica,

dovendo implicare un’adesione selettiva ed una elaborazione personalizzata.

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Bibliografia

 Abete G., La pedagogia di Giovanni Gentile, Abete, Roma 1972.

 Blumenthal E., Guida pratica all’autoeducazione, Cittadella, Assisi 1980.

 Dalle Fratte G., Teoria e modello in pedagogia, Armando, Roma 2001.

 Del Noce A., Giovanni Gentile, Il Mulino, Bologna 1990.

 Hessen S., Fondamenti filosofici della pedagogia, tr. it., Armando, Roma 1956.

 Laeng M., Educazione, in Id. (a cura di), Enciclopedia pedagogica, La Scuola, Brescia

1989, vol. III.

 Schneider F., L’autoeducazione. Scienza e pratica, La Scuola, Brescia 1957.

 Wynne J. P., Le teorie moderne dell’educazione, tr. it., Armando, Roma 1966.

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