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IL BATTESIMO DI GESU’ NEL VANGELO DI GIOVANNI


Cosa si manifestò nel Battesimo sul Giordano? Che importanza ebbe per l’evoluzione
dell’umanità? Quali visioni spirituali si schiusero realmente a Giovanni Battista?

Il battesimo rituale nel Giordano, praticato già dagli Esseni - che consisteva
nell’immergere il battezzando nell’acqua sin quasi all’asfissia in modo che potesse giungere
ad uno stato di semi-incoscienza per avere una sia pur fugace percezione dell’esistenza
spirituale - agiva sull’anima del discepolo e si proponeva di far prendere atto all’uomo della
realtà spirituale da cui proveniva. Il corpo delle forze vitali (corpo eterico) si separava
parzialmente dal corpo fisico – fenomeno iniziale del processo di morte – e si presentava al
battezzato la visione della sua vita passata e l’anima umana aveva inoltre una visione del
mondo soprasensoriale simile a quella che avviene nella fase culminante di un rito di
iniziazione, diventando così in grado di scorgere la grazia redentrice del Cristo che stava
per incarnarsi e trarne la forza per un cambiamento interiore.
“Affinché potesse esistere un Cristo interiore e potesse nascere l’uomo superiore era
necessario un Cristo storico, l’incarnazione del Cristo in Gesù…. che è il più grandioso
evento dell'evoluzione dell'umanità”. (R. Steiner - Da Gesù a Cristo, 1911)
E’ perciò che diviene fondamentale comprendere in modo approfondito i pochi versetti
del Vangelo che descrivono questo sacro momento in cui lo Spirito del Cristo interviene
nella storia umana scendendo su Gesù per rimanervi congiunto in modo permanente.

-- o --

La breve ma intensa narrazione del battesimo di Gesù è preceduta nel Vangelo di


Giovanni dalla descrizione delle domande rivolte al Battista dai sacerdoti che volevano
comprendere chi egli fosse veramente nella sua natura spirituale.
Gv.1,19s.: Ecco ora la testimonianza resa da Giovanni, quando i giudei gli
mandarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti perché lo interrogassero su chi egli fosse,
ed egli non negò la verità, anzi la proclamò: “Non sono io il Messia”. E quelli insistettero:
“Chi sei allora? Sei forse Elia?”, egli rispose: “Non lo sono”. “Sei tu il Profeta?”, ed egli:
“No”… Essi gli chiesero ancora: “Perché dunque battezzi se non sei il Messia, né Elia, né
il Profeta?”. E Giovanni a loro: “Io battezzo in acqua, ma in mezzo a voi sta Uno che voi
non conoscete: è Lui che verrà dopo di me, ma io non sono degno di sciogliergli il legaccio
del calzare”.
Per apprezzare pienamente l’estrema importanza di questo brano e la grande
precisione con cui descrive l’accaduto, bisogna prima sapere che gli ebrei ortodossi
attendevano l’arrivo di un Messia-Re che li avrebbe liberati, ma esisteva anche un’antica
ma rilevante tradizione, principalmente di derivazione essena o comunque tra loro
maggiormente conosciuta, secondo la quale non era atteso un solo Messia (Mashiach in
aramaico e Christòs in greco, che pertanto, in molti casi, a seconda del contesto, non
andrebbe tradotto “Cristo” ma “Messia”), ma ne sarebbero giunti due a salvare il popolo
ebraico.
Dalle più recenti ricerche si è potuto determinare che uno dei fondamenti di questa
doppia attesa si trovava nella Regola della Comunità di Qumran (rotolo 1QS), uno dei testi
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più noti e studiati tra quelli scoperti tra il 1947 e il 1956 in undici grotte, vicino alle rovine
dell'antico insediamento di Khirbet Qumran, sulla riva nord-occidentale del Mar Morto.
Sono scritti di grande significato religioso e storico, e comprendono anche alcune fra le più
antiche copie rimasteci dei libri biblici e dei loro commenti.
La Regola della Comunità parla in un punto (cfr. 1QS IX, 9-11) della venuta del Messia
di Israele e del Messia di Aronne (due figure messianiche distinte), uno con caratteristiche
regali e l’altro con caratteristiche sacerdotali:
- Il Messia di Israele, discendente di Davide, della casa di Giuda, Messia “regale”,
che avrebbe dovuto avere le caratteristiche descritte nelle Scritture (Geremia 23,5-6,
Numeri 24,17, Salmo 2, ecc.): condottiero o sovrano potente e dominatore da un punto
di vista politico, Re glorioso di tutte le nazioni. Avrebbe fatto tornare in patria gli esuli
di Israele, instaurato un regno di pace senza fine, governando per sempre, senza
conoscere la morte. Tutto questo lo avrebbe reso riconoscibile dagli ebrei.
Questo Messia era anche chiamato “figlio di Davide”.
- Il Messia di Aronne (primo Sommo Sacerdote ebraico), invece Messia “sacerdotale”,
Profeta destinato a soffrire e ad essere ingiustamente accusato, che avrebbe
annunciato ogni verità [cfr. Gv.4,25] e portato il popolo ebraico verso un’era
messianica di pace sia per i vivi che per i morti, ma che sarebbe stato ucciso.
Questo Messia era anche chiamato “figlio di Giuseppe”.

Altra fonte in cui si trovano cenni dell’idea di due Messia è il Talmud, testo classico
dell'ebraismo, secondo solo alla Bibbia (peraltro tradotto integralmente in italiano solo nel
2016!), scritto in aramaico antico e che raccoglie gli insegnamenti su un arco di oltre
duemila anni, fino al V-VI secolo dopo Cristo. Si diceva che, se la Sacra Scrittura è il sole, il
Talmud è la sua luna che ne riflette la luce. Fu fissato per iscritto solo quando, con la
distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme, gli Ebrei temettero che le basi religiose
di Israele potessero sparire.
Il Talmud in particolare riferisce di due distinte figure messianiche, "Mashiach ben
Yosef" e "Mashiach ben David", il Messia figlio di Giuseppe, quello che sarebbe stato
perseguitato e ucciso, e il Messia figlio di Davide, quello trionfante che avrebbe regnato. E’
comunque da notare che il termine “figlio” aveva allora il significato generico di
“discendente”.
Inoltre, nel testo profetico “Sefer ha-Zohar” (“Libro dello Splendore”), importante libro
della tradizione cabalistica, si trovano passi come questo: “Il figlio di Davide e il figlio di
Giuseppe sono due, non uno… ma il figlio di Giuseppe si riunirà al figlio di Davide, però
sarà ucciso”. Questo ci fa capire come, almeno nelle correnti esoteriche più levate,
esistesse la conoscenza non solo di due Messia, ma anche del fatto che i due si sarebbero
riuniti in uno solo.
Infine anche nella Bibbia si possono trovare dei riferimenti al concetto dei due Messia,
in particolare in Zaccaria, quando egli riceve una visione da Dio in cui gli appaiono due
candelabri con accanto due ulivi ed il Signore stesso gliela spiega dicendo: «Questi sono i
due unti che stanno presso il Signore di tutta la terra» (Zc.4,14), cioè i due ulivi raffigurano i
due unti, ma “unti” in ebraico è “Mashiach”, quindi si tratta dei due Messia.
C'è poi una pagina nel libro del profeta Ezechiele al capitolo 37,15-19 che apre un
ulteriore spiraglio per far capire che i due Messia si sarebbero riuniti: "Mi fu rivolta questa
parola del Signore: Figlio dell'uomo, prendi un legno e scrivici sopra: Giuda e i figli d'Israele
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uniti a lui; poi prendi un altro legno e scrivici sopra: Giuseppe, legno di Èfraim, e tutta la
casa d'Israele unita a lui. Accostali l'uno all'altro in modo da fare un legno solo, che formino
una cosa sola nella tua mano. Quando i figli del tuo popolo ti diranno: Ci vuoi spiegare che
cosa significa questo per te? Tu dirai loro: Così dice il Signore Dio: Ecco, io prendo il legno
di Giuseppe, che è in mano a Èfraim, e le tribù d'Israele unite a lui, e lo metto sul legno di
Giuda per farne un legno solo; diventeranno una cosa sola in mano mia”.
In questo brano molti interpreti vedono profetizzato Gesù Cristo che prenderà due legni e li
unirà, figura della croce, e sarà Lui che in un'unica persona riunirà i due Messia e alla fine
si troverà vittorioso per sempre.

A questo punto, esaminando le genealogie evangeliche si può notare la loro


sorprendente consonanza con quanto detto sinora e la loro meravigliosa precisione.
Infatti la genealogia di Matteo (1,1) inizia proprio con l’indicazione:
“Gesù (il) Messia (*) figlio di Davide…”
e quella di Luca (3,23) con: “Gesù, figlio di Giuseppe…”,
quasi che i due evangelisti vogliano apertamente dichiararci, usando gli appellativi
dell’epoca, che descriveranno gli avvenimenti rispettivamente dal punto di vista del Messia
regale (Matteo) e di quello sacerdotale (Luca).

E, in effetti, nel corso del Vangelo di Matteo, Gesù è chiamato frequentemente ed


esplicitamente figlio di Davide (9,27 e 20,30 Ciechi di Gerico; 15,22 Donna cananea; 21,9
Osanna, ecc.), inoltre in Lc. 20,41s. è Gesù stesso che chiede agli scribi: “Come mai dicono
che il Messia è figlio di Davide…?”, anche se ciò è allo scopo di fare comprendere che Egli è
ben di più di un Messia regale.
Più raramente è usata nei Vangeli l’espressione “figlio di Giuseppe” (Lc.4,22, Gv.1,45 e
6,42) per indicare Gesù quale Messia sacerdotale, per il quale è invece talvolta adoperato
l’appellativo “il Profeta”. Così in Gv.4,19 la samaritana afferma: “Signore, vedo che tu sei il
Profeta!”, in Gv.6,14 la folla che è stata presente alla moltiplicazione dei pani, dice: “Questi
è veramente il Profeta che doveva venire nel mondo!” e in Gv.9,17 il cieco nato, a chi gli
chiede: “Tu che dici di chi ti ha donato la vista?”, risponde: “E’ il Profeta!”.
Ma un esempio di particolare importanza si ha in Lc.1,76s., dove sono gli Angeli stessi
ad annunciare: “E tu, Bambino , sarai chiamato il Profeta dell’Altissimo, perché
procederai innanzi al Signore, per preparare le sue vie, per portare al suo popolo la
conoscenza della salvezza, nel perdono dei peccati. Grazie al cuore misericordioso
del nostro Dio, è sceso a noi dall’Alto il Sole che sorge per illuminare chi giace nelle
tenebre e nell’ombra della morte e per dirigere i nostri passi sulla via della pace. E il
Bambino cresceva e si fortificava nello spirito”.
Qui gli Angeli ci rivelano, con grande esattezza e solenne grandiosità, che il Bambino
del Vangelo di Luca è “il Profeta dell’Altissimo”, cioè l’Essere purissimo, adamitico, che
discende da una linea ereditaria sacerdotale per partecipare al piano di salvezza
dell’umanità.

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(*) Matteo 1,1 è sempre stato tradotto “Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide”, ma è
evidente che il Cristo, in quanto Entità divina non ha una genealogia umana e che la traduzione
esatta e più significativa sia “Genealogia di Gesù il Messia figlio di Davide”.
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Quando invece, nel corso della narrazione dei Vangeli, è usato semplicemente il
termine “Messia” (Christos) si tratta normalmente, e conformemente al modo di pensare
allora prevalente, del Messia regale, anche se talvolta l’appellativo è ulteriormente
precisato con l’aggiunta del nome “Re”, come ad esempio, in Lc.23,1s ove si dice
esplicitamente:
“Tutta la numerosa assemblea si alzò e condusse Gesù da Pilato, e prese ad
accusarlo dicendo: ‘Abbiamo trovato costui mentre sobillava la nostra gente, proibiva di
dare i tributi a Cesare e affermava di essere il Messia Re’.” Pilato infatti poteva temere
solo un messia politico e non un messia profetico. Tanto è vero che poi Pilato chiede a Gesù:
“Sei tu il Re dei Giudei?”.

Riassumendo, nel linguaggio dei Vangeli, conformemente alla tradizione ebraica,


il Messia regale è chiamato “Messia” o “Figlio di Davide” o anche “Re dei giudei”,
invece il Messia sacerdotale è chiamato “il Profeta” o “Figlio di Giuseppe”.

Tuttavia, bisogna ritenere queste indicazioni non come un automatismo, ma come


chiavi di lettura che aiutano a chiarire il senso di molti brani del Vangelo. E soprattutto
quando Gesù è genericamente indicato come Messia (Christòs), è necessario fare un
esercizio di discernimento per comprendere se chi pronuncia tale appellativo intendeva
riferirsi, secondo il suo modo di pensare, al Messia regale o all’unico Messia che li aveva
riuniti entrambi o, infine, anche al Cristo stesso, inteso come Entità divina incarnatasi in
Gesù. Un esempio di quest’ultimo caso si ha con la professione di fede di Pietro, in Mt.16,15:
Gesù disse loro: “Ma voi, chi dite che Io sia?”. Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il
Figlio del Dio vivente”. E Gesù a lui: “Beato sei tu Simone, figlio di Giona, poiché questa
verità non te l’ha rivelata né la carne, né il sangue, ma il Padre mio che è nei Cieli”. Qui
Pietro è lodato proprio perché aveva capito quale fosse l’intima natura divina di Gesù.

Tornando all’argomento del Battesimo, alla luce di tutto questo appare chiaro che i
sacerdoti che interrogano Giovanni prima dell’arrivo di Gesù (vedi testo a pag.1), avevano
conoscenza della tradizione ebraica dei due Messia e vogliono sapere apertamente se egli
sia il Messia regale o quello sacerdotale, cioè “il Profeta”, ma Giovanni risponde di non
essere nessuno dei due e, aggiungendo: “…in mezzo a voi sta Uno che voi non
conoscete…”, fa anche intendere che, comunque, il Messia ormai era divenuto Uno, cioè
che Gesù, sin dai dodici anni era Colui che aveva riunito in sé il Messia regale e il Messia
sacerdotale, era cioè l’unione dei due Gesù. Forse il Battista non era chiaramente cosciente
di questa realtà, ma comunque è stato ispirato a manifestarla come testimonianza non solo
per i presenti ma anche per coloro che in futuro avrebbero ricercato le verità spirituali nel
Vangelo. Possiamo infine supporre che Giovanni risponda negativamente alla domanda se
egli sia la reincarnazione di Elia (rivoltagli perché la tradizione diceva che Elia “sarebbe
tornato”) in quanto egli stesso, nella sua personalità storica, non sapeva con certezza chi
era il suo vero Io, anche se percepiva comunque di essere ispirato dalla stessa Entità (il
Cristo) che aveva sempre guidato l’umanità e i profeti.

Il Vangelo poi prosegue:


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1,29 Il giorno dopo1 Giovanni vide Gesù 2 venire verso di lui e disse:
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1 Il giorno dopo la testimonianza di Giovanni ai sacerdoti e leviti, avvenne il Battesimo,


ma immediatamente prima del recarsi di Gesù verso il Giordano vi fu un colloquio di
fondamentale importanza, che Rudolf Steiner descrive così: “Si tratta di un colloquio
con la madre adottiva, durante il quale Gesù di Nazareth, quand’era con lei, lasciò
passare attraverso la propria anima tutto ciò che aveva vissuto dai dodici anni in poi.
In quella occasione egli poté raccontare ciò che aveva vissuto e che portava, in
solitudine, nella propria anima. Lo narrò in modo chiaro e penetrante… Nel corso di
questo colloquio l’intera anima di Gesù era unita al dolore. Nelle sue parole stava
tutto il suo io e, essendo egli così unito a quel che narrava, qualcosa uscì da lui e
passò alla madre adottiva. Insieme alle parole passò alla madre anche il suo Essere,
così che Egli era come fuoriuscito da se stesso, come se il suo Io se ne fosse andato.
Anche nella madre avvenne un completo cambiamento; mentre da lui l’Io era
uscito, la madre ebbe un nuovo io, che in lei si era trasferito. Divenne una
personalità nuova… [Circa la natura del meraviglioso mutamento avvenuto nella
Maria salomonica, vedi l’appendice a pag.11]
Per Gesù fu come se il suo Io lo avesse abbandonato; l’Io di Zarathustra era andato
nel mondo spirituale. Sotto l’impulso di fare qualcosa, spinto da necessità interiore,
egli andò nuovamente da Giovanni Battista”. (Quinto Vangelo - Amburgo, 16-11-1913)
“Diviene ora comprensibile che Gesù di Nazareth sia andato al Battesimo nel Giordano
spinto da un “impulso cosmico indefinito” e che quell’essere non sia da chiamarsi
essere umano nel senso comune del termine, dal momento che l’Io di Zarathustra se
ne era già andato da lui, continuando a vivere soltanto negli effetti della sua entità”.
(Quinto Vangelo - Berlino, 6-1-1914)

2 Gesù aveva 30 anni e riuniva ora in sé tutte le forze spirituali dei due Messia, quello
regale e quello sacerdotale, attesi secondo la tradizione ebraica, ed era quindi ormai
pronto ad offrirsi come calice sacrificale in cui potesse scendere l’Entità divina del
Cristo: l’Io di Gesù, che nel suo passato si era manifestato nella grande saggezza di
Zarathustra, avrebbe lasciato il corpo per far posto all’individualità del Cristo.
“L’incarnazione del Cristo poté avvenire solo grazie a una Entità che aveva potuto
raggiungere un grado di altissimo sviluppo, cioè Gesù di Nazareth, Egli era salito ad
un grado tanto alto che poté purificare, durante la sua vita, i suoi tre corpi (fisico,
eterico ed astrale) in modo che, giunto al trentesimo anno, poté abbandonarli,
lasciandoli capaci di continuare a vivere e di essere utilizzati da un’Entità
superiore… Ma non si può obiettare che questo non è un sacrificio perché non si può
immaginare qualcosa di più bello dell’abbandonare i propri corpi a un Essere così
elevato! Sì, è certamente molto bello, e il sacrificio può non sembrare tanto grande,
rappresentandolo così astrat-tamente, ma si vorrebbe rispondere: “Provatevi a farlo
voi stessi!”. Il sacrificio, tutti vorrebbero farlo, ma si tratta di esserne capaci! Occorre
possedere forze immani per poter purificare i propri corpi in modo da poterli
abbandonare lasciandoli ancora capaci di vita, e i sacrifici occorrono per acquistare
tali forze! Gesù di Nazareth, per poter far questo, doveva essere un’individualità
straordinariamente elevata”. (Steiner – Miti e misteri dell’Egitto – sett 1908)
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“Guarda l’Agnello di Dio,3

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3 Vedendo Gesù venire verso di lui, Giovanni sembra indicarlo ai suoi discepoli con
l’appellativo “Agnello di Dio”, ma viene da chiedersi a chi veramente si riferisse il
Battista. All’uomo Gesù di Nazareth o al Cristo che doveva incarnarsi in un uomo per
compiere la propria missione sulla terra? O qualcos’altro ancora?
Quest’Agnello di Dio non poteva però essere Gesù stesso, dato che, subito dopo,
Giovanni afferma di non riconoscerlo (v.1,31), mentre Gesù, di cui era cugino, gli era
ben noto, al punto che sin dal grembo della madre Elisabetta aveva sussultato di
gioia all’apparire di Maria, scorgendo già in lei la presenza di Gesù (Lc.1,41s). Inoltre
Gesù e Giovanni avevano condiviso anche la frequentazione delle comunità essene.
Forse allora Giovanni vuole alludere a quello Spirito divino (il Cristo) che, come gli
era stato predetto (v.1,33), sarebbe disceso su un uomo per rimanere in lui? Neppure
questo è possibile perché immediatamente dopo (v.1,30) quest’Agnello è definito “un
Uomo”, sia pure sorto prima di lui, ma non comunque un Essere divino.
Se non era né Gesù né il Cristo, cosa rappresentava allora l’Agnello di Dio?
Un indizio che può aiutarci l’abbiamo osservando che il termine “Guarda”, con cui il
Battista vuole aiutare i suoi discepoli ad aprirsi alla realtà spirituale che si manifesta in
Gesù, è il verbo greco ìde, imperativo, che indica un vedere spirituale, un guardare
interiore, infatti la parola “idea”, che deriva da questo verbo, designa anch’essa un
vedere spirituale, un’immaginazione. E’ un invito ad una percezione spirituale più alta.
Giovanni, che evidentemente ha avuto la precognizione di ciò che sarebbe accaduto
per la salvezza dell’umanità, ha la visione immaginativa della Missione, del
compito, che attendeva Gesù. L’Agnello di Dio è quindi l’immagine astrale che si
rende visibile all’occhio spirituale del Battista, e nella quale si esprime tutto il
percorso di offerta sacrificale che avrebbe accomunato Gesù e Cristo nella libera e
amorevole accettazione della volontà del Padre celeste.
Giovanni riconosce così di essere alla presenza dell’Offerta di un sublime sacrificio.
Già l’incarnazione dello stesso Creatore nel corpo fisico di un uomo è un olocausto
inconcepibile per la piccolezza della mente umana, ma anche la rinuncia a se stesso
da parte di Gesù che si era preparato lungamente “crescendo in sapienza, in forza e
grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc. 2,52), purificando i propri corpi fisico, eterico
ed astrale (vedi nota 2), per poter accogliere il Cristo, è una umile ma grandiosa
offerta, che è espressa dalla figura dell’Agnello. Egli, pur essendo un’individualità
elevatissima, non si presenta infatti come un Essere superiore, ma come Agnello,
simbolo della mitezza e dell’umiltà, perciò può dire: “Venite a Me, che sono mite e
umile di cuore...” (Mt.11,28s.).
L’agnello nella cultura ebraica ha infatti un significato ben preciso: è l’agnello
dell’immolazione pasquale che si offre docilmente, e viene ucciso senza aver colpa. Si
offre e non ha karma. Come gli ebrei hanno celebrato la Pasqua mangiando l’agnello
pasquale – la Pasqua era il passaggio dalla schiavitù dell’Egitto alla libertà del popolo
eletto – così la Missione del Cristo che stava per scendere in Gesù consisteva di
essere l’Agnello che fa celebrare la vera Pasqua di ogni essere umano quando prende
coscienza della propria realtà spirituale e accetta di iniziare il cammino verso la
propria Resurrezione.
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1,29 …Colui che prende su di Sé il peccato del mondo. 4

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Ricordando inoltre quanto detto alla nota 1, l’Essere che si recò dal Battista non era
più propriamente Gesù di Nazareth, in quanto privo del suo Io, che si era allontanato
nei Mondi spirituali, ma neppure ancora aveva in Sé il Cristo, perché il battesimo non
era avvenuto.
“L'Entità che si mise in cammino verso il Giordano era l'Uomo primordiale, il vero
Uomo, che per la prima volta dopo il peccato originale congiunse in Sé entrambe,
l'Immagine e la Somiglianza, per accogliere nella Coppa umana così formata, il
Supremo di tutti i mondi, cioè il Cristo”. (Steiner – Quinto Vangelo)
Quest’immagine della Coppa umana che rappresenta nel contempo il sacrificio di
Gesù che accoglie e del Cristo che si dona, è analoga a quella dell’Agnello che si offre
per la celebrazione della Pasqua di Resurrezione.
L’immagine stessa dell’ “Agnello di Dio” è d’altronde estremamente precisa da un
punto di vista spirituale, infatti Giovanni avrebbe potuto parlare, come in altri punti
del Vangelo, di “Santo di Dio” o di “Inviato di Dio” o di “Angelo di Dio”, ma se
teniamo presente che, al momento del Battesimo, in Gesù non vi era più un Io
umano, ma solo una sostanza animica pura, la figura dell’Agnello la rappresenta nel
modo migliore, in quanto l’agnello è un animale, quindi privo di io, ed è bianco,
simbolo di purezza. Viene poi definito “di Dio” perché in lui si apprestava a scendere
un Io divino, il Cristo.

4 Il Battista non poteva comunque percepire ancora con piena coscienza tutto quanto
sarebbe avvenuto ma ne aveva avuta quest’immagine che lui stesso cercava di
comprendere con più chiarezza e di riconoscere in quale Entità spirituale si sarebbe
sostanziata questa Missione di redenzione dell’umanità. Capiva però che poteva
essere compiuta solo da “Colui che prende su di Sé il peccato del mondo”, non tutti i
peccati, ma ‘il peccato’ primordiale, quello di Lucifero, origine della
disobbedienza prima dell’uomo, causa dell’inizio della sua discesa nel piano della
materia, offrendosi liberamente di sostenere, le conseguenze negative di quel
peccato per imprimere nell’umanità l’impulso vitale indispensabile a consentirle di
risollevarsi e iniziare la risalita verso la meta prefissatale sin dalla creazione.
Compito dell’Agnello di Dio è quello di prendere su di sé le conseguenze cosmiche
delle mancanze dell’uomo. Egli non ci libera dal nostro karma soggettivo, (non
cancella le nostre colpe individuali, perché questo sarebbe la negazione della nostra
libertà), ma libera l’umanità dalle conseguenze oggettive delle mancanze dell’uomo,
quelle che andrebbero ad "avvelenare" la Terra. L’uomo come essere terreno non può
estinguere le conseguenze cosmiche delle sue azioni, può solo pareggiare le
conseguenze karmiche. L’Essere cosmico che provvede alla redenzione della Terra
invece lo può fare. Questa azione però non avviene senza che l’uomo in qualche modo
vi collabori. In che modo? È necessario che gli uomini, giusti o peccatori che siano,
rivolgano il proprio sguardo al Cristo Gesù e che diventino consapevoli che Egli vive
anche dentro l’anima umana.
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1,30 Egli è Colui del quale ho detto: Dopo di me viene un Uomo 5 che è sorto
prima di me: perché prima di me Egli era.
1,31 Io però non lo riconoscevo 6 , ma affinché si manifestasse ad Israele, sono
venuto a battezzare in acqua”. 7
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5 L’Uomo a cui si riferisce il Battista è il primo Uomo creato, l’Adamo primordiale e
prototipo di perfezione di tutti gli esseri umani, ma è l’Adamo prima della caduta, non
l’Adamo dal quale discendono tutti gli esseri umani, a cui egli ha poi trasmesso un corpo
corruttibile. Una parte della purezza animica originaria di Adamo gli fu infatti tolta prima
che fosse tentato dal «Serpente», ossia da Lucifero, e trattenuta nel mondo spirituale per
preservarla insieme all’Albero della vita. Quest’anima è quell’anima che il vangelo di
Luca fa risalire attraverso la genealogia di Giuseppe fino a Davide, da questi ad Abramo
e fino ad Adamo, e infine a Dio stesso. È quell’anima adamitica purissima che s’incarnò per
la prima volta nel bambino Gesù di Nazareth, nato per opera dello Spirito Santo.
Di quest’Uomo adamitico incorrotto, mai contaminato da influssi luciferici, Giovanni
afferma “è sorto prima di me: perché prima di me Egli era” nell’essere. Non si tratta
solo di una precedenza temporale ma di una primordiale realtà spirituale operante sin
dall’origine, che costituisce il prototipo dell’Uomo, un archetipo di perfezione a cui
tendere liberamente e che veniva prima del Battista stesso che, come dice il Vangelo
(Mt.11,11), era il più grande “fra i nati da donna” ma inferiore al più piccolo nel Regno dei
cieli, proprio perché non nato in modo immacolato ma ereditando anch’egli un corpo
corruttibile. Nella sua visione Giovanni ha compreso che invece l’Agnello di Dio, per
svolgere la sua Missione di redenzione dell’umanità avrebbe dovuto possedere tutte le
caratteristiche dell’Uomo adamitico primordiale sopra descritte.

6 Giovanni non riconosce ancora l’Agnello nella sua essenza spirituale; scorge
quest’immagine di Agnello nell’interiorità di Gesù ma non è ancora in grado di identificare
quale Entità spirituale essa stia a rappresentare, né di affermare con certezza che Gesù sia
veramente l’Eletto destinato ad ospitare in se stesso il Cristo, il Figlio di Dio. Infatti non si
era ancora manifestato il segno che gli era stato predetto, e cioè che avrebbe visto, mentre
battezzava, non solo scendere lo Spirito divino ma anche dimorare, cioè rimanere
stabilmente, in Colui che era pronto ad accoglierlo come un calice vivente. Solo allora la
visione dell'entità del Cristo lo condurrà ad assolvere il suo compito di testimone della vera
Luce (Gv.1,7) e a riconoscere nel contempo anche la grandezza di Gesù.

7 Ora Giovanni rivela qual è il compito primario che ha ricevuto: essere strumento e
testimone dell’incarnazione del Cristo in un Uomo, evento che avrebbe dovuto accadere
durante e mediante la sua funzione di battezzatore. E’ qui usato il verbo greco “fanèin”,
(apparire, manifestare) da cui, con l’aggiunta del prefisso “epì” (dall’alto), deriva anche il
termine Epifania, quindi qualcosa che appare scendendo dall’alto in basso. Infatti il
senso più profondo dell’Epifania è il manifestarsi dello Spirito che scende sul Gesù che
Giovanni sta battezzando, per dimorare in lui.
Nel corso del tempo il cristianesimo ha perso di vista il modo in cui è avvenuta
l’incarnazione del Cristo: non è avvenuta alla nascita del bambino Gesù, ma al battesimo
nel Giordano. In seguito non s’è più capito quale evento cosmico si fosse manifestato al
battesimo: perciò si è spostata l’incarnazione del Verbo alla nascita del bambino Gesù.
Ma Marco e Giovanni cominciano invece il loro vangelo col battesimo nel Giordano, ai
trent’anni di vita di Gesù, proprio per far comprendere che quello è il momento in cui il
Cristo è sceso per farsi carne, congiungendosi a Gesù in un sublime evento spirituale.
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1,32 E continuò la sua testimonianza dicendo: “Ho veduto lo Spirito scendere


dal Cielo come Colomba 8 e rimanere sopra di Lui.

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8 Gli ebrei rappresentavano in forma di Colomba lo Spirito divino; “spirito” (‫חוּר‬, rùakh) in
ebraico è un nome femminile. Nel Cantico dei Cantici il gemito della colomba (2,12) è
interpretata come la voce dello Spirito che intercede per gli esseri umani.
Nella Genesi, dove lo “Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque”(1,2) e
irradiava, attraverso l’elemento calore, negli altri stati elementari, così come un volatile
irradia calore quando cova, abbiamo un’immagine che appare simile a quella della
Colomba, cioè all’essenza macrocosmica del Cristo, che “rimaneva sopra” Gesù,
aleggiante e irradiante, per un’ultima volta, la luce e le forze che sarebbero state
necessarie a Gesù per accogliere in sé la sostanza del Cristo e rimanerne compenetrato
per tre anni senza che la sua corporeità ne venisse distrutta.
Giovanni testimonia ai presenti di aver veduto la discesa dello Spirito nella forma
immaginativa della Colomba perché evidentemente nessun altro l’aveva potuta scorgere:
si tratta di una visione interiore che solo a lui è stata concessa grazie all’elevatezza
della sua anima.
Questa della Colomba è la seconda visione che appare al Battista, in precedenza aveva
infatti spiritualmente percepito in Gesù l’immagine dell’Agnello. E se quest’ultima
raffigura la Missione del Cristo Gesù, la Colomba è l’espressione dello Spirito cristico
macrocosmico, del Logos, che si libra sull’anima umana per attrarla nel Regno celeste,
che cova la Sapienza nell’intimo dell’essere e che effonde il suo soffio sulle anime per
alimentarvi la vita spirituale. Qui il Battista, che sta progressivamente acquisendo
coscienza della grandiosa realtà spirituale cui partecipa, comprende di essere in
presenza del Cristo cosmico che però non si è mai astratto dalla storia umana e, anche
prima della sua incarnazione, ha sempre sostenuto, aiutato e ispirato coloro che si
rivolgevano a Dio sinceramente e devotamente. La Colomba però è lo Spirito che ancora
rimane al di sopra e al di fuori dell’essere umano perché non trova le condizioni
necessarie per potervi dimorare stabilmente. Non è ancora il Cristo interiore
individualizzato nell’uomo. La Colomba pertanto non rappresenta qui lo Spirito Santo
come terza Persona della SS. Trinità, bensì è l’Impulso del Cristo che si libra
sull’umanità, giunta al punto più basso della sua caduta.
Fu allora necessario un potente impulso per farla risalire. Questo poté avvenire soltanto
perché un'entità delle gerarchie superiori, che indichiamo col nome di Cristo, nei mondi
superiori prese una decisione che per la propria evoluzione non occorreva prendesse.
L'entità del Cristo avrebbe infatti conseguito la propria evoluzione anche se avesse
percorso una via molto, moltissimo al di sopra di tutto ciò che gli uomini erano sul loro
cammino. L'entità del Cristo avrebbe potuto per così dire passare al di sopra
dell'evoluzione dell'umanità. Ma allora l'evoluzione dell'umanità, se non le veniva dato
l'impulso per risalire, si sarebbe svolta in modo da proseguire in via discendente. In tal
caso l'entità del Cristo avrebbe avuto un'ascesa, e l'umanità soltanto una caduta. Soltanto
perché l'entità del Cristo prese la decisione di unirsi con un uomo al momento degli
eventi di Palestina, di incarnarsi in un uomo e di rendere possibile all'umanità la via
dell'ascesa, soltanto per questo venne promossa l'evoluzione dell'umanità che possiamo
ora chiamare redenzione dall'impulso proveniente dalle forze luciferiche. Nella Bibbia
questo impulso viene indicato nell'immagine del peccato originale, nella tentazione del
serpente che ha prodotto il peccato originale. Il Cristo compi così un'azione che per il
Cristo stesso non era necessaria. Che azione fu? Fu un'azione di Amore divino!
(Steiner: “Da Gesù a Cristo”, 14/10/1911)
10

1,33 Io non lo riconoscevo ancora 9, ma Chi10 mi ha inviato a battezzare in acqua mi


aveva detto: ‘Colui sul quale vedrai lo Spirito scendere e dimorare11, Egli
battezza12 in Spirito Santo’13.

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9 Per la seconda volta Giovanni afferma di non riconoscerlo, cioè di non comprendere se
lo Spirito divino che ora vede sopra Gesù è proprio quello Spirito che, per la prima volta
nella storia umana, sarebbe non solo sceso sull’uomo, ma anche rimasto per sempre
nell’uomo per la redenzione dell’umanità. Infatti Giovanni, che era un alto iniziato, aveva
già potuto avere la visione, probabilmente proprio nel battezzare, dello Spirito divino che
scendeva irradiando luce e calore spirituali su quelle individualità che meglio si erano
predisposte ad accoglierlo, senza però che mai quest’ultime fossero anche compenetrate,
oltre che illuminate, dallo Spirito del Cristo. Neppure questa volta poteva perciò ancora
affermare di aver riconosciuto e contemplato il Figlio di Dio pronto a farsi carne.
Giovanni infatti sapeva che, affinché potesse nascere l’Uomo superiore, era necessaria
l’incarnazione del Cristo in Gesù”. Ma l’entità del Cristo avrebbe anche potuto continuare
ad aleggiare come Colomba sull’evoluzione dell’umanità, aiutandola e assistendola, ma
senza necessariamente unirsi con un uomo. E Giovanni era in attesa trepidante di capire
se era giunto il momento in cui ciò fosse permesso dal Padre e liberamente deciso dal
Figlio, perché questo avrebbe consentito la svolta nell’evoluzione dell’umanità, che
avrebbe potuto arrestare la propria caduta e avviare un cammino di ascesa spirituale.

10 Giovanni usa qui un modo di esprimersi simile a quello con cui il Figlio si riferisce al
Padre, del quale parla come se fosse un altro Essere, mentre invece è la sua stessa
Individualità. Infatti Chi ha inviato Giovanni a battezzare, ispirandogli tali parole, è il suo
stesso Io superiore, cioè quell’Elhoim che collaborò alla manifestazione della creazione e
che poi operò tramite Giovanni Battista, che era già sceso in aiuto dell’umanità
attraverso l’individualità di Elia, come afferma lo stesso Gesù (Mt. 11,14).
Chi lo ha mandato a battezzare, la fonte ispiratoria del Battista, è una Voce: la Voce del
suo Io eterno, era quindi Elia nel quale parla l’Elhoim.

11 È qui descritto lo straordinario irripetibile momento in cui il Cristo cosmico, il Verbo, il


Principio increato, discende in Gesù per consentirgli di compiere la propria missione
nella pienezza della sua umanità e divinità. È come se la Luce cosmica si condensasse
per un attimo nella forma della Colomba per poi scendere e rimanere in un corpo umano
dal quale effondersi nuovamente nell’umanità attraverso il filtro di un essere purissimo
ma comunque in modo più semplice e alla portata di ogni uomo di questo mondo.
Lo Spirito non solo rimane sul capo di Gesù, ma discende verso di Lui per infine
compenetrarlo e in quel momento risuona la voce del Padre, con le parole riportate da
Luca (3,22): “Tu sei il Figlio mio, il Diletto: Io oggi ti ho generato” e si compie la perfetta
unione della natura umana con quella divina e Gesù divenne da quell’istante
propriamente Figlio di Dio anche se continuò a designarsi come Figlio dell’uomo per
significare che tutto ciò ch’Egli faceva lo faceva come uomo e che ogni uomo avrebbe
potuto giungere anche lui a farlo. I cristiani dei primi secoli avevano compreso
l’importanza di questo avvenimento e festeggiavano il Natale non il 25 dicembre, giorno
della nascita di Gesù, ma il 6 gennaio, ricorrenza del battesimo nel Giordano e giorno
dell’incarnazione del Cristo.
11

Il primo ed unico incarnarsi della Divinità sulla terra è infatti avvenuto col battesimo di
Gesù nel Giordano e l’uomo Giovanni solo in virtù della Grazia che gli aveva illuminato la
mente, aveva potuto riconoscere la presenza del Creatore su questo piano terreno.
L’amore cosmico del Cristo discese così nel mondo e, all’interno di un corpo umano
“percorse l’infinita sofferenza, quale nessun pensare umano può immaginare, e
sperimentò sulla Croce il momento della massima impotenza divina, per generare
l’impulso che riconosciamo, nella successiva evoluzione dell’umanità, come l’Impulso del
Cristo”. (Steiner, Il quinto Vangelo)
“Al momento del Battesimo, il sommo Spirito del Cristo (che qui il Battista attesta di
avere visto scendere e rimanere) si ricongiunse appieno con la Terra. Prima agiva da
fuori, adombrava i Profeti e agiva nei Misteri. Ora s’incarna in un corpo fisico umano
sulla Terra stessa; e se qualcuno, da un punto lontano dell’universo, avesse potuto
osservare la Terra nel corso dei millenni, e non soltanto nel suo aspetto fisico, ma anche
nelle sue correnti spirituali, il suo corpo astrale e il suo corpo eterico, nel momento in
cui avvenne il Battesimo nel Giordano e nell’altro momento in cui sul Golgota il
sangue fluì dalle ferite del Cristo, egli avrebbe veduto effettuarsi avvenimenti
importantissimi. Il corpo astrale della Terra subì allora dei mutamenti radicali; assunse
nuovi elementi e nuovi colori; una nuova forza fu incorporata alla Terra. Ciò che prima
agiva da fuori, ora si riunì con essa; e con ciò la forza di attrazione tra il Sole e la Terra
divenne tanto forte che un giorno essi potranno nuovamente congiungersi e l’uomo
ritrovarsi fra gli spiriti solari”. (Steiner – Miti e misteri dell’Egitto – sett1908)
E fu il duplice sacrificio di Gesù (che aveva avuto il coraggio e la forza di purificare
totalmente i propri corpi per poi concederli al Cristo) e del Cristo stesso (che aveva
accettato di confinarsi in quei corpi per conoscere e vincere la morte) che diede alla terra
la possibilità di riunirsi un giorno col Sole e di ritrovarsi in seno alla Divinità.
E’ infatti importante comprendere un mistero profondo dell’evoluzione dell’umanità, e
cioè che “nel momento del battesimo nel Giordano, quando il Cristo entrò nel corpo di
Gesù di Nazareth, avvenne un fenomeno singolare: il sistema osseo di Gesù divenne
qualcosa di affatto diverso da ciò che è negli altri uomini. Fu un caso che prima d’allora
non s’era mai prodotto e che, anche in seguito, sino ad oggi, non si è mai prodotto, e che,
anche in seguito, sino ad oggi, non si è mai riprodotto. Con l’Entità del Cristo penetrò in
Gesù qualcosa che aveva potere sopra le forze che bruciano le ossa. Il costruire le ossa
non è oggi ancora in potere dell’uomo e della sua volontà. Ma la potenza cosciente del
Cristo afferrò l’uomo intero fino alle ossa; e ciò fa parte del significato del battesimo di
Cristo compiuto da Giovanni nel Giordano. Con ciò fu immesso nella Terra qualcosa che
si può chiamare il potere di dominare la morte; poiché solo con le ossa la morte è
penetrata nel mondo. E il superamento della morte è venuto nel mondo per il fatto che la
forza che domina le ossa penetrò nel corpo umano. Si pronuncia con ciò un profondo
mistero; per mezzo del Cristo qualcosa di sommamente divino, di profondamente sacro,
penetrò nel sistema osseo di Gesù di Nazareth. Ecco perché esso non doveva essere leso,
e non doveva compiersi quella parola della Scrittura che dice: “Nessun osso dovrà
essergli spezzato” (Gv.19,36). Poiché in tal caso il potere dell’uomo avrebbe ostacolato le
forze divine”.
(Steiner – Miti e misteri dell’Egitto – sett1908)
12

1,33 … ‘Colui sul quale vedrai lo Spirito scendere e dimorare, Egli battezza12 in
Spirito Santo’13.

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12 Tre sono i tipi di battesimo: con l’acqua, con il fuoco e con lo Spirito (Mt. 3,11; Lc. 3,16).
Il Battesimo con l’acqua è il battesimo retrospettivo, della memoria, con cui viene
purificata quella parte dell’uomo, principalmente il corpo eterico, che conserva l’eredità
del passato. Perciò questo battesimo, che è quello antico, ha lo scopo di far comprendere
all’uomo i propri errori passati e renderlo cosciente che l’unica salvezza è la riunione
con la Divinità, dandogli quell’impulso che muova la sua volontà al cambiamento
spirituale. Giovanni Battista, quando ancora non era stato messo in prigione, continuava
a battezzare perché la sua fama si diffondeva; e cercava di far capire che il battesimo con
l’acqua non è uno scopo in sé, ma solo un presupposto per divenire capaci del battesimo
del fuoco e dello Spirito. Quindi chi aveva fatto con Giovanni l’esperienza dell’immersione
totale nell’acqua, con la visione eterica possente di tutto il passato dell’umanità, dei
primordi pieni di luce nel grembo divino e poi della caduta in un mondo di tenebra, era
spinto da un anelito di redenzione e di ricerca della verità.
Il battesimo col fuoco è il battesimo che purifica la parte animica dell’uomo di tutte le sue
brame e delle sue passioni ardenti, riversando in esso un fuoco interiore, di cui la
stessa circolazione del sangue è un’espressione, e dandogli la possibilità di sentire
l’azione e il sos tegno della Grazia in sé.
Il battesimo dello Spirito, cioè l’incontro con il Cristo, è un’immersione nello Spirito
superiore, cioè nella realtà divina, mediante cui l’uomo può ritrovare la comunicazione
cosciente con il proprio Io superiore e quindi con il Creatore. Questo battesimo vuole non
solo far prendere coscienza all’uomo dei suoi limiti ma anche infondergli le forze
necessarie a superarli. Viene così anche spiegato in qual modo Gesù Cristo dà all’uomo la
possibilità di uscire dal peccato (v. 1,29): lo fa infondendo nell’uomo il Santo Spirito (v.
1,33), che comprende la conoscenza e la forza del Padre e del Verbo. Il battesimo dello
Spirito infatti proviene direttamente dal Cristo quale aspetto operante della Sapienza
immanifesta.

13 Soffermiamoci adesso sulle ultime parole di questo versetto: πνευματι αγιω (pnèumati
aghìo), Spirito santo. Alla parola Spirito viene adesso aggiunta la parola “santo”. Il
Battista vede lo Spirito scendere: finché è lo spirito del Cristo non c’è bisogno di dirlo
“santo”, perché il concetto di “santo”, di “sacro”, è quello di uno spirito non gestibile dal
di fuori, intoccabile. L’aggettivo “santo” subentra in riferimento allo spirito incarnato: è lo
spirito individualizzato che diventa il sacrario di ogni persona dove non è più permesso
ingerirsi dal di fuori. È sacro. Quindi lo spirito diventa sacro nella misura in cui si
interiorizza e individualizza: invece, nel momento in cui io intacco lo spirito di un altro
essere umano, lo dissacro, ne ledo il carattere di libertà. Spirito santo è lo spirito
individualizzato, così sacro che non è permesso a nessuno di disporne dal di fuori.
Tutti i peccati possono essere perdonati tranne quello contro lo Spirito santo: quello
bisogna pareggiarlo. È lo spirito della libertà individuale e ogni ingerenza è una
dissacrazione.
Circa il significato del Santo Spirito vedi le “Riflessioni sullo Spirito inviato all’Umanità
come effetto dell’Impulso creativo del Cristo Gesù”.
13

1,34 E io ho visto e reso testimonianza che è veramente Lui il Figlio di Dio 14.

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14 Giovanni vide e comprese: ora riconosce, ricevendone la conferma interiore, che


Gesù Cristo è la manifestazione diretta del Dio vivente, poiché come Figlio è il Padre
ad operare senza intermediazione alcuna. Non è solo una testimonianza è anche un
grido di esultanza, simile all’esultanza che Giovanni aveva provato, ancora nel
grembo della madre Elisabetta, all’incontro con Maria, riconoscendo in lei la
presenza di Gesù (Lc.1,41).
Secondo l’indagine spirituale, nello stesso tempo in cui il Cristo scendeva in Gesù,
avveniva un analogo meraviglioso avvenimento: in Maria scendeva la Sapienza divina
e da quel momento anche Lei inizierà ad annunciare le più profonde verità spirituali
alle devote donne che la seguivano e, dopo il trapasso di Gesù, guiderà
spiritualmente anche gli Apostoli.

Tre sono dunque le visioni avute da Giovanni Battista e descritte nella narrazione
del Battesimo.
La prima quando egli afferma: “Guarda l’Agnello di Dio!” (1,29), che è l’immagine
della Missione di Gesù, del compito che lo attendeva. L’Agnello di Dio è quindi la
percezione astrale che si rende visibile all’occhio spirituale del Battista, e nella quale
si esprime tutto il percorso di offerta sacrificale che avrebbe accomunato Gesù e
Cristo nella libera e amorevole accettazione della volontà del Padre celeste.
Questa visione poi si ripeté quando “il giorno seguente Giovanni se ne stava con due
suoi discepoli e, scrutando in Gesù che passava, disse: Guarda l’Agnello di Dio!”
(Gv.1,36). E’ qui altrettanto evidente che Giovanni, come in precedenza, non si
riferisce alla persona di Gesù, ma a quello che spiritualmente vedeva in Lui.
La seconda visione è quella della Colomba (1,32) che scende dal Cielo ma rimane
sopra Gesù ed è l’espressione dello Spirito cristico macrocosmico, del Logos, che si
libra sull’anima umana per attrarla nel Regno celeste, ma è ancora esterno
all’essere umano perché non vi trova le condizioni necessarie per potervi dimorare
stabilmente.
La terza visione è descritta al versetto 1,34, cioè lo Spirito che scende per dimorare
in Colui (Gesù Cristo) che battezzerà in Spirito Santo. E’ da notare che qui la
Colomba è denominata esplicitamente come “Spirito” perché si tratta dell’essenza
macrocosmica del Verbo che si sostanzia infine nel Cristo individualizzato in un
uomo.
Il sacrificio che l'entità del Cristo decise di compiere, in virtù del suo immenso
Amore, incarnandosi in un uomo era infatti necessario affinché avvenisse la
redenzione dall’impulso luciferico che l’umanità aveva accolto con la caduta nella
materia che viene definita nella Bibbia come Peccato originale.
14

Appendice 1

Cosa avvenne nel colloquio tra Maria e Gesù prima del Battesimo nel Giordano?

Nel corso di questo colloquio, mentre Gesù parlava alla madre, era come se dalle sue parole
risuonasse il senso dell’evoluzione dell’umanità, era come se tutto quanto era nel suo Sé
fluisse nelle sue parole, ed Egli seppe che con esse usciva qualcosa del suo essere, poiché le
sue parole erano diventate ciò che era lui stesso.
Fu come se quella donna cominciasse a divenire finalmente madre di quel figlio che,
corporalmente, era figlio della Maria natanica. Fu questo anche il momento in cui nell’anima
della madre adottiva, fluì l’entità animica che era vissuta nella sua madre carnale, la quale
era morta, per la Terra, dopo il passaggio dell’io di Zarathustra nel corpo dell’altro bambino
Gesù e che, dopo i dodici anni di Gesù, viveva nelle regioni spirituali.
 Da quel momento essa (Maria natanica) poté compenetrare del proprio spirito l’anima
della Maria salomonica, la quale visse così con l’io della madre carnale del bambi-no
Gesù natanico nella propria anima. Cosa si attuò con questa incorporazione?
Ci si rammenti che l’anima della Maria natanica, salendo al Devachan con la morte fisica, si
unì al corpo eterico - ormai libero e non dissoltosi nel mondo eterico - del fanciullo salomonico,
morto poco prima. Si può pensare che, tra quel corpo eterico e le crescenti forze dell’io di Gesù
di Nazareth, rimase un collegamento spirituale; ma si può anche supporre che esso fu integrato
dalle più pure forze eterico-animico-spirituali della Maria natanica, rinnovate e potenziate come
effetto del suo soggiorno nel mondo spirituale.
Nel momento stesso in cui lo spirito del Cristo s’immerse nel corpo di Gesù di Nazareth,
un’azione venne esercitata anche sulla madre salomonica di Gesù. Tale azione consistette nel
fatto che, al momento del battesimo di Giovanni, le venne ridata la sua verginità; vale a dire,
essa divenne nella sua organizzazione interiore come l’organizzazione femminile suole essere
prima della maturità muliebre.
 La madre (salomonica) di Gesù di Nazareth divenne vergine alla nascita del Cristo.
Ella, ritornata vergine per effetto del battesimo di Giovanni, ebbe nuovamente in sé le
fresche e germoglianti forze della verginità.
Non sembrerà strano che a un evento, come fu quello del battesimo di Giovanni, il mondo
spirituale partecipasse dalle sfere più lontane, e che molte, molte cose siano dovute accadere
affinché quell’evento potesse verificarsi.
Che la Maria salomonica tornò alla verginità fisica, fu un effetto mediato dal Cristo stesso
incarnantesi nel corpo eterico del Gesù natanico. È normale pensare che “il mondo spirituale
partecipasse”, ma è anche più normale pensare che il Cristo stesso, sin dall’inizio,
governasse tutti questi eventi, solo alcuni dei quali si riesce minimamente a ricostruire. Se
diciamo che soltanto dal terzo anno di vita, all’incirca, l’uomo può cominciare a ricordare, si dice
forse con questo che ciò che più tardi vive nell’uomo non era già prima in lui? Se si parla
dell’entrata del Cristo in Gesù, si nega con questo che il Cristo fosse legato al Gesù fin dalla
nascita? Altrettanto poco si nega questo, come si nega che l’anima è nel bambino, prima che
l’anima stessa si risvegli in questo bambino nel corso del terzo anno.
 Durante il colloquio con la madre adottiva, l’io di Zarathustra compì l’atto finale della
sua missione precristica: con le parole pronunciate, egli trasfuse in lei l’estratto più
maturo della sua saggezza.
Si ricordi però che tutto ciò avvenne attraverso e per mezzo delle sue parole divenute
viventi, divenute lui stesso: come non supporre che, in quelle parole, non risuonasse lo Spirito
del Verbo, del Logos? Come non pensare che l’incorporazione della Maria natanica (in quella
15

salomonica) sia avvenuta per e con la “partecipazione” del Cristo? Tutto, tutto avvenne come
preparazione necessaria alla Sua incarnazione e quando tutto fu compiuto, l’io di Gesù di
Nazareth sacrificò i suoi involucri corporei per offrirli al Dio celeste originario. Ma quell’Io non
abbandonò il dispiegarsi degli eventi massimi della Terra, lo si dovrebbe spiritualmente vedere
sempre a fianco alla “Maria Vergine” che, fedele alla saggezza e all’ideale in lei trasfusi, dalle
‘Nozze di Cana’ in poi seguirà silenziosamente, fin sotto la Croce e oltre, il Cristo. Lo seguirà per
metamorfosare se stessa a nuova Eva, redenta dal Cristo nell’Essere delle due Vergini Marie,
fuse per sempre nell’Amore-Saggezza.
Questi eventi preparatori e necessari, hanno permesso i passi successivi del Cristo, e si
dovranno esaminare altri fatti, ancora più importanti, dalle nozze di Cana all’atto finale del
Golgota, nel quale il Cristo lega per sempre la “Madre” al “Figlio”.
Questo essere della nuova Maria si farà sempre più ancella del Signore e dalle nozze di
Cana in poi, le parole del Cristo-Gesù in risposta alla richiesta della madre: “Questo scorre da
me a te”, sono illuminanti del rapporto esistente tra loro, secondo l’antica via del sangue che
doveva essere totalmente rinnovata dal Cristo. Fu il primo segno verificatosi (la trasformazione
dell’acqua in vino alle nozze di Cana), in esso la forza del Cristo si palesa in misura minima. A
essa occorre ancora un rafforzamento mediante l’unione con le forze della madre. Il Cristo si
servì delle forze elementari, ma anche delle forze che, attraverso il sangue, ancora agivano
potentemente tra madri e figli.
Da quando il Dio penetrò in Gesù col battesimo (e si ricorda che lo fece per mezzo del corpo
eterico di quest’ultimo), attraverso i sette segni descritti dall’evangelista; da Cana a Lazzaro
resuscitato, avviene un grandioso accrescersi delle capacità del Cristo-Gesù di operare nelle
anime, nella materia e nei corpi viventi. Per raggiungere ciò, col tempo l’Io del Cristo apportò
agli involucri corporei di Gesù di Nazareth (che avevano le qualità del Gesù nathanico) delle
potenti trasformazioni. Infatti, tutti i possenti traguardi raggiunti dall’io di Zarathustra,
fuoriuscirono e confluirono, come estratto essenziale, nel suo Io, quando abbandonò i suoi corpi
inferiori. Di essi Steiner dice: “Si tratta qui di una rinascita di quei tre involucri, in quanto essi
vengono compenetrati dalla sostanzialità del Cristo ”.
Nel Gesù salomonico la massima parte del corpo eterico era idonea per l’eternità. E l’intero
corpo eterico di quel fanciullo fu portato nel mondo spirituale dalla madre del Gesù nathanico.
Sennonché il corpo eterico è l’edificatore, il plasmatore del corpo fisico umano. Possiamo ben
immaginare la grande affinità che vi era tra il corpo eterico del Gesù salomonico, ora
trasportato nel mondo spirituale, e l’io di Zarathustra: nel pellegrinaggio terreno, infatti, fino ai
dodici anni, essi erano stati uniti. Quando dunque, per lo sviluppo raggiunto da Gesù di
Nazareth, l’io di Zarathustra abbandonò il suo corpo, quando per così dire quell’io uscì dal corpo
del Gesù nathanico, entrarono in azione le forze d’attrazione fra quell’io e il corpo eterico
proveniente dal bambino Gesù salomonico. Essi tornarono a unirsi e si costruirono un nuovo
corpo fisico. L’io di Zarathustra era tanto maturo da non aver bisogno di un ulteriore passaggio
attraverso il Devachan; e fu in grado, con l’aiuto di quel corpo eterico ora caratterizzato, di
ricostruirsi un nuovo corpo fisico dopo un periodo di tempo relativamente breve. Nacque così,
per la prima volta, un essere che ricomparve poi, sempre di nuovo, e sempre a intervalli
relativamente brevi fra ogni morte e ogni nascita. Come si può immaginare egli diventò il più
grande aiuto per coloro che cercavano di comprendere l’evento di Palestina. Questa
individualità è nota sotto il nome di ‘Maestro Gesù’ (da non confondere col Cristo). È lui a
guidare e a dirigere la corrente spirituale cristiana (quale grande Iniziato che si incarnerebbe
ogni cento anni). È lui l’ispiratore di coloro che cercano di comprendere l’evoluzione del
cristianesimo vivente”.

Tratto da varie conferenze di Rudolf Steiner (2-3 luglio 1909; 13/07/1914 e cicli di conf. sui Vangeli)
16

Appendice 2

Perché Gesù si fece battezzare? Era veramente necessario che l’incarnazione del
Cristo avvenisse tramite di Battesimo con l’acqua di Giovanni Battista?

Evidentemente Gesù, che era un’individualità straordinariamente elevata, non aveva


per se stesso bisogno di ricevere il battesimo con l’acqua e il Cristo avrebbe potuto
comunque scendere in Lui dal momento che Gesù aveva ormai del tutto purificato i propri
corpi (fisico, eterico ed astrale). Era però necessario che rimanesse un segno manifesto di
questo momento spiritualmente fondamentale per l’evoluzione dell’umanità, affinché si
potesse comprendere la realtà profonda di quanto stava accadendo ed esserne istruiti. In
questo senso la presenza del Battista era utile anche nella sua funzione di testimone, che lui
stesso sottolinea quando afferma: “Io ho visto e reso testimonianza che è veramente Lui il
Figlio di Dio” (Gv.1,34).
D’altronde, anche in altri episodi della vita di Gesù il Vangelo mette in risalto come gli
accadimenti siano stati necessari principalmente in funzione dei presenti, come in
Gv.12,20s., quando, al manifestarsi di una Voce dal Cielo, Gesù stesso spiega: “Non per me è
venuta questa Voce, ma per voi”.
Nel Vangelo di Matteo (3,13-15), Giovanni stesso, peraltro, comprendendo bene che
Gesù, di cui aveva detto: “Non sono degno di scioglierli il legaccio del calzare” (Gv.1,27),
non aveva di per sé la necessità di essere battezzato con l’acqua, non vorrebbe farlo e
afferma: “Ho bisogno io di essere battezzato da te, e Tu vieni da me?”. Ma Gesù gli
risponde: “ Lascia fare, perché ora è bene che noi così adempiamo ogni giustizia”.
Allora Giovanni lo lasciò fare .
E in questa risposta sono contenute profonde verità.
Bisogna però innanzitutto comprendere meglio cosa significhi “adempiere ogni
giustizia”, riscoprendo quale senso avesse in passato il vocabolo “giustizia”. Nell’antica
tradizione greca la giustizia esprime l’ordine dell’intero cosmo, in ragione del quale ogni
cosa occupa il proprio posto e svolge il compito che le è stato assegnato. Aristotele poi
afferma: “La giustizia nell’uomo consiste nel perfetto equilibrio delle parti dell’anima
(intelletto, parte irascibile e parte concupiscibile)”. La giustizia è quindi considerata la più
importante delle virtù, quella dell’ uomo “giusto”. Per gli ebrei l’unica “giustizia” valida era
compiere la volontà di Dio. Per la Chiesa cristiana antica è la prima delle virtù cardinali,
considerata come la rettitudine perfetta donata da Dio all'uomo prima del peccato originale.
Perciò, all’epoca dei Vangeli, “adempiere ogni giustizia” voleva dire: “Seguire
fedelmente l’impulso dell’ordinamento divino”.
Sorge ora una domanda: se Giovanni è invitato a “lasciar fare”, perché, dice Gesù, “noi”
dobbiamo adempiere ogni giustizia, a chi è riferito questo “noi”? Non può evidentemente
riguardare Giovanni, richiamato a lasciare ad altri l’iniziativa, perciò diviene chiaro che il
“noi” sottointende Gesù e il Cristo, i due reali attori del Battesimo, il primo perché ha reso
possibile l’incarnazione di un Dio in sé sacrificando la sua personalità e purificando tutto il
proprio essere, il secondo perché ha accettato di immergersi nella natura umana per
salvarci, per attrarci verso il Regno dei cieli. Gesù e Cristo sono allora i veri autori di questo
Battesimo, mentre Giovanni ne è solo lo strumento che si è reso disponibile ad una volontà
17

superiore. Tutto ciò è ancora più chiaro quando di pensi che non ci troviamo di fronte ad un
semplice Battesimo nell’acqua, ma al primo vero completo Battesimo di acqua, fuoco e
Spirito, col quale veniva sancito come Gesù avesse compiuto tutto il percorso necessario ad
accogliere lo Spirito cristico in se stesso .
Battesimo, quindi, di acqua, che, come detto alla nota 12, è il battesimo retrospettivo,
della memoria, con cui viene purificato il corpo eterico, che conserva l’eredità del passato,
perché Gesù era, sotto questo aspetto, giunto ad una grado di purezza tale da poter dire:
“Anche se Io rendo testimonianza di Me stesso, la mia testimonianza è veritiera perché Io
so da dove vengo e dove vado; voi, invece, non sapete da dove vengo, né dove vado”
(Gv.8,14). Conoscere ‘da dove si viene e dove si va’ è proprio il risultato della piena di
coscienza di sé, in quanto fa sì che l’uomo venga a ritrovare la propria lontana origine e
riconoscere che fu creato affinché divenisse pienamente ‘a immagine e somiglianza del
proprio Creatore’.
Inoltre Battesimo di fuoco perché Gesù aveva trasformato e spiritualizzato ogni
passione ed emotività; e Battesimo dello Spirito in quanto era stato in grado di elevarsi
verso il Divino per offrirsi alla discesa dello Spirito cosmico del Cristo. Così per la prima
volta nella storia dell’umanità si incarna in un essere umano un Io che non è umano, ma
divino e macrocosmico.
Il Vangelo di Matteo ci offre proprio l’immagine di questo duplice movimento che
compendia il senso del vero Battesimo, raffigurando l’immagine dell’umanità che compie lo
sforzo di salire verso il Divino e ciò consente a quest’ultimo di scendere verso di lei.
Mt.3,15-16: Appena battezzato, mentre Gesù saliva dall’acqua gli si aprirono i Cieli: e
vide lo Spirito di Dio che scendeva come colomba e venire su di Lui. Ed ecco si udì una
Voce dai Cieli: “Questi è il Figlio mio, il Diletto, nel quale mi sono compiaciuto di
manifestarmi”.

1/12/2020

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