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MAPPA UNITÀ E DIVERSITÀ

UNITÀ NELLA DIVERSITÀ è il motto dell'Unione europea, che è stato usato per la prima
volta nel 2000. Il motto sta ad indicare come, attraverso l'UE, gli europei siano riusciti ad
operare insieme a favore della pace e della prosperità, mantenendo al tempo stesso la
ricchezza delle diverse culture, tradizioni e lingue del continente.

Introduzione:
Le molteplici umanità hanno percorso una propria traiettoria evolutiva e sono nate da
una trasformazione della precedente. Sono diverse le cause che hanno caratterizzato la
condizione umana, originando un’asimmetria tra passato e futuro.
Le diverse possibilità realizzate dalla specie umana, nel tempo e nello spazio, sono ciò
che chiamiamo “culture”, generate da uno stesso bagaglio biologico e mentale della
nostra specie, anche se sono incompiute perché la nostra condizione umana è
incompiuta, in quanto radicata nel suo legame originario con la diversità, varietà,
molteplicità.
Noi (cioè la nostra condizione umana) non possiamo considerarci compiuti senza
considerarci inseriti in un mondo che è, n da sempre, caratterizzato da diversità e in
continuo cambiamento.
L’identità umana è complessa, incompiuta, in divenire e multipla. È sintesi
d’appartenenze e d’identità diverse. Occorre cogliere l’unicità nella diversità e viceversa;
così come è necessario cogliere l’identità nella molteplicità e la molteplicità nell’unicità.
Solo in questo modo si può delineare un nuovo umanesimo planetario, che non agisce
in maniera omologante e omogeneizzante bensì valorizza le diversità e la varietà delle
appartenenze individuali, sociali e culturali.
Solo attraverso l’umanesimo planetario si potranno gettare le basi per la realizzazione di
forme di cittadinanze terrestre, nate dalla consapevolezza di partecipare tutti alla stessa
comunità di destino planetaria.

IL MONDO DENTRO LA CITTÀ

Al giorno d’oggi infatti la città è lo spazio privilegiato per osservare la metamorfosi in


corso, per comprendere le tendenze, le traiettorie che stanno ridisegnando l’ordine
politico, economico, sociale e culturale. Dentro la città la globalizzazione accade
localmente. La città globale contemporanea si estende senza limiti, inglobando e
dissolvendo distanze, differenze, speci cità territoriali, essa tende a farsi mondo in
senso reale e metaforico.

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C’è un tratto che accomuna tutti questi accadimenti ed è l’ambivalenza. L’attuale
contesto globale manifesta, a livelli diversi e per fenomeni diversi, una complessa
dialettica fra forze contrapposte, fra incessante differenziazione e diffusa uniformazione;
fra eterogeneità e omogeneizzazione tecnica e mercantile, conformismo degli stili di
vita e di consumo; fra deterritorializzazione e riterritorializzazione. Di tutti i processi
possiamo raccontare un verso e il suo contrario e questi due tratti stanno insieme.
Questa è una caratteristica molto signi cativa. Per questo si dice che il nostro è il tempo
della complessità, un tempo che tiene insieme e intreccia tutte le dimensioni di tutti i
fenomeni.
Con ni – mobilità – consumo – spazi pubblici sono le categorie attraverso il quale si
interpretano i cambiamenti della forma – città nell’epoca globale:
• I con ni dapprima ben de niti sembrano dissolversi dentro la città in nita;
• La mobilità ride nisce lo spazio della socialità
•I ussi materiali e immateriali (persone, denaro, merci e informazioni) costruiscono e
ricostruiscono paesaggi inediti, trasformando i luoghi;
•Gli spazi pubblici non hanno più il signi cato che nelle città avevano nel passato,
tuttavia restano cmq luoghi di incontro e socializzazione.
La città è quindi uno spazio aperto alla creatività e imprevedibilità. Esprime la possibilità
di un’altra storia della globalizzazione, una storia che non sostituisce la “grande
narrazione” della globalizzazione ma che con questa si intreccia.
Le città contemporanee sono un vero e proprio ricettacolo di differenze (età, ricchezza,
occupazione, cultura ecc.): sono il luogo in cui prende forma l’esperienza dell’incontro
con l’altro.
La gura metaforica della città è la torre di Babele, secondo la storia raccontata dalla
genesi. Dio per punire la presunzione e superbia degli uomini che volevano costruire
una torre alta quanto il cielo, li disperse sulla terra provocando la confusione delle
lingue, gli uomini avendo lingue diverse non riuscirono a comunicare e la società andò
distrutta. È possibile un’altra interpretazione: la dispersione degli uomini e la confusione
delle lingue non fu una punizione quanto il rimedio contro un pericolo imminente, Dio
non punisce un gesto empio ma mette ne all’opera di omologazione e accentramento,
mette ne all’incubo di un universo omogeneo, una lingua, un popolo solo, una sola
cultura. La torre spezzata, la dispersione degli uomini, la confusione delle lingue, non
sono una maledizione ma il riconoscere una molteplicità e mescolanza come elementi
costitutivi dell’umanità.
La contemporaneità prende forma tra questa tensione all’omologazione, esigenza di
uni cazione e incessante differenziazione, mantenimento e valorizzazione delle
differenze. Gli incontri , in particolare negli spazi pubblici, sono tra persone portatrici di
modi di pensare, di leggere, di rappresentarsi il mondo non di culture in senso astratto.
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Cultura e identità sono quindi categorie dinamiche abitate da differenze, da alterità, e


sono in continuo divenire.
La città è lo spazio in cui le persone entrano in contatto e in cui le differenze di cui sono
portatrici vengono a contatto e dove questi fenomeni si incrociano, ma anche dove
nascono con itti e fratture che non si ricompongono.

EUROPA GLOBALE

Si può interpretare quindi la storia umana come la storia di una grande diaspora che ha
portato piccoli gruppi ad adattarsi ciascuno a un habitat differente. Tuttavia, questo
elevato grado di diversi cazione non ha diviso la nostra specie; anzi, la sua unità
biologica è stata conservata grazie ai costanti contatti con gruppi prossimi.
Le culture umane affondano le loro radici in questa grande diaspora planetaria. Hanno
un’origine ecologica: sono state modellate dalle conoscenze necessarie per
sopravvivere e per evolversi ciascuna in un particolare ambiente locale. D’altra parte,
ogni cultura si è modi cata nelle relazioni con altre culture, si può dire che ogni cultura
abbia una pluralità di radici. La maggior parte della sua avventura sul pianeta, l’umanità
l’ha vissuta in questa condizione diasporica.
L’Europa è un’entità storica in continua metamorfosi ed è da sempre impregnata in
diverse identità nazionali che si sono costantemente in uenzate tra loro, grazie alle
migrazioni, generando una comune cultura europea.
L’Europa ha sempre avuto un concetto di identità plurale ed è stata sempre
caratterizzata dalla tensione tra identità e molteplicità, tant’è che no al Rinascimento
era caratterizzata da un dualismo di identità: identità locale (identità agricoltori,
contadini, del popolo attaccati alle tradizioni locali) e identità europea (tipica di un élite
che comunicava solo tramite l’utilizzo della lingua latina), che apparteneva a stati diversi,
essi non sottolineavano l’appartenenza al proprio stato perché si sentivano parte di
questa grande entità storica che è l’Europa.

Con la nascita dello stato nazione e l’avvento dell’età moderna (lo stato nazione è esso
stesso un prodotto dell’Europa, come tentativo per far fronte alla tensione tra identità e
diversità, unità e molteplicità, locale e globale), emerge la gura di uno stato
monoetnico, che vuole far emergere i propri valori, culture e tradizioni omologando
tutto il territorio, quindi tutte le persone che appartengono a quel territorio avranno
stessi diritti e doveri (non fuori dai con ni però), che parlino la stessa lingua. Gli stati
nazione sono basati su un’idea di cittadinanza esclusiva in cui l’individuo può possedere
diritti all’interno del suo stato perché al contempo non ne possiede fuori e i territori
sono separati da con ni rigidi. Le relazioni di solidarietà tra i cittadini, legati da un

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comune destino, dovevano intercorrere in primo luogo all’interno del proprio stato. La
nazione si è evoluta come comunità identitaria in cui il senso di appartenenza comune
era espresso dalla condivisione di diritti, doveri, culture e memorie.
Le altre nazioni, culture e identità sono viste come estranee e straniere, tanto da arrivare
a considerarle come nemico potenziale.
Lo stato nazionale europeo, in realtà, ha contribuito sia a sempli care che a rendere
complesse le identità del nostro continente. Ha annullato antiche identità, ma ne ha
anche prodotte di nuove. In questo senso è segnato da un'ambivalenza storica
irriducibile. (Primi stati Francia, Inghilterra e Spagna).
Lo scoppio delle guerre mondiali rese evidente la natura sempre più interdipendente
dell’era planetaria, dimostrando che una crisi locale poteva degenerare facilmente in
una crisi globale.
Dalle macerie della seconda guerra mondiale, l’identità diventa più complessa: il
concetto di diversità riemerge, le diversità vengono valorizzate e non annientate e
l’uomo è visto con il concetto di Unitas Multiplex: abbiamo un’identità comune a tutta la
specie con caratteristiche genetiche, siche e comportamentali ma le stesse
caratteristiche sono anche quelle che ci rendono diversi l’un l’altro e che valorizzano
l’uno nel molteplice e la molteplicità dell’uno.
Per la prima volta, nella storia europea e nella storia dell’umanità tutta, il pericolo
comune imponeva il superamento della storia fatta di guerre. Ed è proprio in queste
drammatiche condizioni che si delineò la possibilità di un nuovo paradigma, fondato su
una prima, debole, embrionale coscienza di una comunità di destino.

MIO CARO NEANDERTHAL:

Se torniamo al passato, una prima esperienza di unità e diversità, l’abbiamo avuta con la
scoperta che tutti noi abbiamo tra l’1 e il 4 per cento di geni neanderthaliani, perché
l’estinzione dei Neanderthal da parte dei Sapiens non è stata una pulizia etnica, ma
nemmeno una fusione totale, diciamo che l’estinzione è venuta per ibridazione e che
l’uomo di Neanderthal si è integrato con l’Homo Sapiens, incrociandosi in Asia e in
Europa, circa tra 43.000 e 35.000 A.C.
L’uomo di Neanderthal è vissuto circa 350.000 anni fa, mentre noi ci siamo da circa
300.000 anni, ma noi Sapiens ci siamo diffusi in Africa, mentre il Neanderthal in Europa,
quindi la storia dei neanderthaliani è parallela alla nostra.
Quando si sono incontrati, in circa 5.000 anni i Neanderthaliani sono scomparsi.




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Il vantaggio dell’Homo sapiens è stato assicurato dalla concorrenza territoriale ed


alimentare, dalla capacità di organizzarsi in città e popolazioni con uno stile di vita più
ef ciente, maggiore organizzazione, mira di espansione e maggiori quantità di idee,
innovazioni e tecnologie e a una tta rete di relazioni.
Il Neanderthal ha affrontato climi diversi e crisi climatiche, il suo corpo era
estremamente ben adattato, grazie al naso prominente e al torace allargato. Sono
cacciatori-raccoglitori e gran mangiatori di carne, hanno bisogno di un apporto calorico
molto più importante di quello dei Sapiens (sia per il freddo che per il dispendio di
energie che consumano cacciando).
Vivono in piccoli gruppi di 20-25 persone e a volte si incontrano tra clan, per praticare
l’esogamia (serviva loro per mantenere l’omogeneità e la varietà genetica), la caccia era
sicuramente collettiva e organizzata con poche prove di ferite da parte del cacciatore.
Scelgono di cacciare animali grandi (cavalli, bisonti, uri, elefanti, mammut) per dar da
mangiare alla collettività.
Oltre alla carne mangiano piante, ori e radici, sfruttando benissimo l’ambiente in cui
vivono.
I Sapiens sono sicuramente stati più organizzati ed erano una popolazione che mirava
all’espansione (mentre il Neanderthal era concentrato nel sopravvivere), hanno avuto la
capacità di riunirsi in città e la comunicazione è stata un fattore vincente. Sono per lo più
stanziali e per questo sono anche più creativi, e creano una tta rete di relazioni, hanno
avuto una crescita demogra ca enorme.
Più grande è la rete di comunicazioni, più c’è la possibilità di sviluppare nuove
tecnologie e preservare le vecchie, un ambiente piccolo invece fatica a mantenere una
cultura.

ARMI, ACCIAIO E MALATTIE

Un altro esempio di unità e diversità si riscontra parlando di cacciatori-raccoglitori e


agricoltori e si possono distinguere alcuni fattori per i quali i cacciatori sono diventati in
massa degli agricoltori circa 10.000 anni fa:
1) declino di risorse naturali (con il tempo diventa sempre più dif cile vivere di caccia
per via delle specie sempre meno numerose)
2) aumento di specie domesticabili a scapito di quelle selvatiche
3) progressi tecnologici in settori dell’agricoltura (es. metodi di essicazione, manico di
legno e osso)
4) legame causa-effetto, tra l’aumento del n° della popolazione e quello della
produzione di cibo.
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L’agricoltura è nata a partire dal 8.500 A.C nel Vicino Oriente, da scelte inconsce. L’uomo
comincia a capire che alcune piante da seme crescono meglio nei terreni in cui è stato
appiccato il fuoco, e che dai tuberi selvatici, se si estrae solo la parte commestibile e si
lasciano invece nella terra i germogli, quest’ultimi ricrescono, oppure che scavare il
terreno lo areava, migliorando la produttività.
L'agricoltura e l'allevamento comparvero in modo spontaneo in poche aree del pianeta,
con tempi assai diversi, e si diffusero in due modi: tramite l'apprendimento delle
tecniche da parte di popoli con nanti, o con l'invasione da parte dei primi agricoltori.
In alcune aree l'agricoltura non nacque mai spontaneamente, ne fu portata in tempi
preistorici, e l'uomo vi continuò a vivere per millenni come cacciatore e raccoglitori no
a quando non venne in collisione con il mondo moderno.

All’inizio ci sono focolai indipendenti in cui la domesticazione di piante e animali è stata


spontanea: Mezzaluna fertile, Cina Settentrionale (lungo il ume azzurro e lungo il ume
giallo), Nuova Guinea, Mesoamerica, Ande\Amazzonia, Stati Uniti orientali.

I popoli che divennero agricoltori per primi si guadagnarono un grande vantaggio sulla
strada che porta alle armi, all'acciaio e alle malattie.
La storia è stata una lunga serie di scontri impari tra chi aveva qualcosa e chi no.
Una maggiore disponibilità di cibo implica una maggiore popolazione. Tra le piante e
gli animali presenti in natura, solo una piccola minoranza è commestibile o utile
all’uomo. Selezionando e coltivando quelle poche specie di cui possiamo nutrirci assai
maggiore. 1 ettaro di terra coltivata riesce a dar sostentamento a molti più contadini
(dalle 10 alle 100 volte) di quanto non riesca a fare un di terra vergine per i cacciatori
raccoglitori. Gli animali domestici hanno aiutato l'uomo a produrre più cibo in quattro
modi diversi: fornendo latte, carne, concime e forza motrice. Il bestiame sostituì la
selvaggina. Quindi la demisti cazione di piante e animali ha portato in modo diretto a
una maggiore concentrazione di popolazione. Esistono anche cause più indirette che
hanno a che fare con lo stile di vita sedentario imposto dalla coltivazione della terra. I
cacciatori raccoglitori devono condurre un'esistenza nomade, mentre gli agricoltori
sono legati i loro campi; la vita sedentaria fa aumentare la densità abitativa perché
permette di diminuire l'intervallo tra la nascita di due gli.
I cacciatori raccoglitori controllano le nascite in modo che tra un glio e l’altro passino
all'incirca quattro anni. I popoli sedentari, invece, non hanno il problema di dover
trasportare lattanti nel loro girovagare e possono allevare tutti i bambini che riescono a
sfamare.
Il surplus alimentare è l’input per la nascita e la proliferazione di quelle gure sociali non
dedite in permanenza alla produzione di cibo, gure che una popolazione nomade non

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può permettersi. Tra questi nuovi "specialisti" ci sono gli uomini di governo. Nelle
società di cacciatori raccoglitori, In genere paritarie, non si trovano ne monarchie
ereditarie ne apparati burocratici, E l'organizzazione politica non va oltre il livello della
banda o della tribù.
Le società piccole invece si organizzano in chefferies e quelle più grandi diventano veri
e propri stati. Queste strutture politiche complesse sono in grado di organizzare una
guerra di espansione. L'abbondanza di cibo e un sistema di tassazioni adeguate
permette l'esistenza anche di una classe di soldati di professione. Nelle società agricole
appaiono anche altre classi: sacerdoti, che danno alla guerra una giusti cazione
religiosa, artigiani, tra cui spadai e armaioli, scribi e intellettuali, cui spetta il compito di
conservare e tramandare l’informazione. C’è la nascita di classi sociali non dedite alla
produzione di cibo, non si lavora più esclusivamente per vivere.
Piante e animali domestici forniscono anche bre naturali che diventano vestiti, coperte,
reti o corde. In tutte o quasi le società agricole i cereali (orzo e grano in Europa, Riso in
Cina e Mais in America) erano af ancati da colture come cotone, canapa e lino; molti
animali erano allevati per lo stesso motivo: pecore, lama, alpaca. Gli animali domestici di
grossa taglia rivoluzionarono la storia dell’umanità anche perché furono gli unici mezzi
di trasporto terrestre. Il contributo più diretto di un animale domestico alle guerre di
conquista eurasiatiche venne dal cavallo, la cui domesticazione avviene intorno al 4.000
a.C nelle steppe a Nord del Mar Nero (si montarono anche asini, yak, renne e cammelli).
Un’altra arma nelle guerre di espansione furono gli agenti patogeni, che fecero la loro
comparsa nelle società agricole a causa della presenza degli animali. Virus come vaiolo
morbillo e in uenza sono mutazioni di virus ancestrali che colpivano gli animali. I pastori
furono le prime vittime delle nuove malattie, ma anche i primi a sviluppare forme di
immunità.
Il surplus alimentare e l'uso degli animali come mezzo di trasporto furono fattori che
portarono alla nascita di società politicamente centralizzate, socialmente strati cate,
economicamente complesse e tecnologicamente avanzate. La presenza di animali e
piante addomesticabili spiega perché gli stati centralizzati, le spade d'acciaio e i libri
comparvero prima in Eurasia e dopo, o mai, altrove.
La comunicazione tra Medio Oriente e Cina è molto più facile di quella in Africa e in
America perché l’Eurasia è vastissima e rimane più o meno nella stessa fascia climatica
(orizzontale) quindi con asse est-ovest mentre l’America e l’Africa sono più ampie
verticalmente, con asse Nord-Sud (quindi una pianta che cresce a nord, farà fatica a
crescere a Sud).
Anche le differenze geogra che tra i continenti condizionarono perciò il cammino
dell’agricoltura e quello di varie tecniche ed invenzioni. (Es: la ruota apparsa attorno al
3000 a.C. nel Vicino Oriente, si diffuse in gran parte dell'Eurasia nel giro di pochi secoli,

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mentre la stessa invenzione indipendente in Messico non arrivò mai no alle Ande).

14 specie erbivore di grossa taglia domesticate nell’antichità:


-  5 grandi: pecora, capra, bue, maiale, cavallo;
-  4 minori: dromedario, cammello, lama e alpaca, asino, renna, bufalo asiatico, yak (bue
tibetano), banteng domestico, mithan (specie di bue).
Distribuzione geogra ca: 1 in sud America; 0 in nord America, Australia e Africa sub –
sahariana; 13 in Eurasia

Fasi di domesticazione di piante nella mezzaluna fertile:


-   10.000 anni fa circa: grano, orzo e piselli, facili da immagazzinare; ermafroditi
suf cienti che si autoimpollinavano e trasmettevano ai discendenti i geni utili. Bastavano
poche mutazioni genetiche per renderli domestici.
-  4000 a.C.: prime varietà di frutto tra cui olive, chi, datteri, melograni e uva. Erano
facili da coltivare perché crescevano direttamente a partire dai semi o dai germogli
della pianta madre.
-  Mele, pere, prugne e ciliegie: alberi che non si propagano con i pollini e che non ha
senso far crescere a partire da un seme, ma è necessaria la tecnica dell’innesto, messa
appunto in Cina, e usato solo in epoca classica.

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