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PERCORSI DEI CLASSICI DANIELA GIONTA EPIGRAFIA UMANISTICA A ROMA CENTRO INTERDIPARTIMENTALE DI STUDI UMANISTICI MESSINA MMV PREMESSA Liimponente recensio dei codici epigrafici avviata a meth Otto- cento da Giovan Battista De Rossi per la realizzazione del Corpus inscriptionum latinarum portd alla luce ~& noto ~ una straordinaria quantita di sillogi elaborate tra Quattro e Cinquecento!. Eppure, nella storia degli studi umanistii, questa preziosa cava di materili 2 rimasta in larga parte inuilizzata: solo sotto forma di un disperso corpus di titulie di variant cristallizzate negli apparati del CIL so- pravvive infatt, oggi, l'impegno profuso dagli umanisti sul piano della lettura, della registrazione e della sistemazione di antiche iserizioni, Presto sfuggita alla categoria di prodotto letterario del- TUmanesimo, la ricerca quattrocentesca sui marmora & definitiva- mente confluita trai fontes epigratici e, ormai sradicata dal pit! am- io contesto degli studia humanitatis, &rimasta patrimonio esclusi- vo di studi settorial. Restano pereid incerte e nebulos per molte raccolte, paternita e coordinate cronologiche, mentre per altre non & stata tentata alcuna ricostruzione storico-critica mirata a indagare e a valorizzare il tes- suto culturale entro il quale esse presero vita. I manoscritt, censiti e utilizzati nel CIL alla stregua di meri contenitori di testimonianze sconosciute 0 di nuove recensiones del gid noto, raramente sono stati oggetto di illustrazione: non ne sono stati identificati i copisti, né le aree di committenza. Di fronte a prodotti di alto profilo arti- stico giustamente valorizzati come, ad es., i codici vergati da Felice Feliciano, un grigio mare di scritture si estende anonimo ¢ inesplo- rato, specimina di una tradizione, per ora assolutamente umbratile, che dovette tuttavia proliferare nei pid diversi contesti intellettuali della penisola, Ma, soprattutto, 2 mancato un approccio filologico in senso lato: "Lo studioso convogliava gi le sue prime rflessioni sui materiali umanistici in Le prime raccolte d’amtiche iscrcioni compilate in Roma trail fnire del secolo XIV ed il cominciare del XV rinvenutee dichiarate dal ca, G. B. De Rossi, «Gior- ale areadico», 127-28 (1852), 4-173, ‘ PREMESSA, per ogni singola raccolta quasi mai i testimoni sono stati tra loro col- Tazionati per indagame la struttura e documentame la costruzione, spesso difficile da definire nelle varie fasi dell’accrescimento, che talvolta configurano un vero e proprio sistema pluriredazionale. Una totale oscurita sembra insomma avvolgere, allo stato attuale della ri cerca, genesi, fasi ¢ criteri di allestimento di quasi tutte le sillogi umanistiche, dalle pid esigue a quelle pit) complesse e articolate, estese all'intero bacino del Mediterraneo come quella di Ciriaco, ra- mificate su tutto il territorio della penisola come in Giocondo da Ve~ rona o aperte ad accogliere, accanto ai rituli pagani, anche le testi- ‘monianze di Roma cristiana nel caso di Pietro Sabino. Ogni singolo testo epigrafico contenuto in queste raccolte risulta ormai adeguata- mente pubblicato ad ocum nei volumi del CIL. E solo torando ai manoscritt, spesso anelli parziali e intermedi di una catena tutta da ricostruire, & oggi possibile riprendere fisicamente in mano i corpo- +4 di Citiaco, Giocondo, Sabino cosi come essi furono concepiti ¢ allestiti dai loro autori. E urgente, insomma, rivendicare allo serit- toio degli umanisti le raccolte di iscrizioni — alla stregua delle com- pilazioni grammaticali o dei florilegi di auctores ~ per recuperate in ‘oto il loro metodo di lavoro in campo epigrafico, evidenziando tutte Je eventuali intersezioni con gli orientamenti linguistci,filologici e leterari di quegli autori che erano, allo stesso tempo, professori, Poet, editori di classici. Se, dunque, sara la silloge, e non pit il sin- golo documento epigrafico, a divenire oggetto di cure editorial, la prospettiva dovra cambiare, ¢ la filologia dei marmi potra in certa ‘misura riconfluire nell’alveo e nei metodi della filologia umanistica, Perché tra Quattro © Cinguecento le epigrafi furono essenziale elemento costitutivo del sapere degli umanisti, e questo a moltepli- Ci livelli alle iscrizioni si richiedevano certezze per Vortogratia, ¢ larga parte delle scritture degli umanisti elaborate nei bacini delle accademie e degli Studia risente di fort influssi, in genere arcaiz~ zanti, da parte dei marmora; nei primi decenni del secolo XVI poi Vortografia declinata sulle pietre e sui codici antichissimi ebbe una funzione determinante nel restauro del testo dei classici "Important osservazion a proposito in V. Pexa, Dai Miscellanea alle Castiga pensare all’eco che ebbe alla fine del Quattrocento nelI’intera peni- sola il ritrovamento nel Foro Traiano, sul basamento di una statua, dell iscrizione bilingue dedicata da Arcadio ¢ Onorio al poeta Claudiano (CIL 6, 1710): fu chiamato Pomponio a confermare 'i- dentita del destinatario dell’epigrafe, che venne subito collocata nell'impluviun di casa sua. E la nuova testimonianza epigrafica, ricea di un ampio spettro di informazioni, comincid presto a circo- lare tra Firenze e Venezia, e venne presto utilizzata, grazie a una trascrizione inviata da Bartolomeo Partenio, in un epigramma di Girolamo Bologni contro il Poliziano a proposito della grafia Ver- gilius'. Ma si ricorreva alle epigrafi anche per Ia prosopografia ¢ per il linguaggio tecnico: & esemplare il caso del lapis adrianeo do- ve gli umanisti potevano studiare la terminologia relativa alla pa- rentela (nepos, adnepos, pronepos) e, in un controllo incrociato ‘con altri dati, verificare itinerari genealogici. Ed & anche importan- te sottolineare il fatto che sullo scrittoio di ogni umanista che mira- va ad avere una visione globale dell’ antico le epigrafi si allineava- no alla pari con gli altri strumenti della tradizione scritt. La necessita di una capillare recensio dei testimoni per ogni sillo- ‘g¢ fu presto chiara a Mommsen ¢ a De Rossi: soprattutto per le epi tiones Virgilianae, in Umanisi bellunesi fra Quattro e Cinquecento, a cura di P Put.sckin, Firenze 2001, 133-34. Sul problema det dittonghi, ad es, Pol fleteva in un capitolo dei Miscellanea annettendo particolare valore alle testimo- nianze monetali calle epigraf. Ea proposite di caeruleo nell exposiio svetoniana (Cl. 20, 1) era dirimente il rcondo di un'epigrafe romana a Porta Maggiore: «aadhue extant Romae litere quaedam grandes, in porta [..] qua forte ducebatur ‘aqueductus ad illum fonter, in quibus ext sriptum caeruleus, sic, per ae diphton- ‘gon, unde notalur sic ese sribendunn»(V. Fea, Una ignota exposito Suetoni del Policiano, Messina 1983, 148) 'D. Giowta, I! Claudiano di Pomponio Leto, in Flologia umanisica. Per Gian vito Resta cura di V. Fea ¢ G, Pexsat, Padova 1997, 987-1032. CIL 6, 1256, Cosi Poliziano si avaleva del riscontro con questa lapide con- servata nel mausoleo di Adriano, che tramandava la gencalogia di Commodo. per argomentare ¢ chiar il termine abneptem in Svetonio (Ner. 35, 1: «adneptis re> spondet abavor nam hie est ordo: a¥us,proavus, abavus, attavus, trtavus,neptis, proneptis abneptis, atnepis, tinepis. Hic autem ordo est Rome, in Castello Sanc {i Angeli ubi scilicet maiores Comodiimperatoris numerantur» (Fea, Una ignota expositio Sueton... 207) o PREMESSA grafi non pid superstti, ma testimoniate dai soli codici, si prese su- bito la decisione di adottare una metodologia ricostruttiva di tipo fi- lologico, lavorando allinterno della tradizione manoseritta, Ma & possibile dimostrare come, disancorata dalla valutazione storica dei singoli codici ~ processo imprescindibile per la modema ecdotica medioumanistica -, l'applicazione del metodo filologico abbia dato uogo, nel CIL, a numerosi fraintendimenti, evidenziando, a mio av- il fatto che il tentativo di raggruppare i testimoni sulla base de- ali errori,o delle affinita congiuntive, non & di per sé suficiente. Un esempio emblematico riguarda la silloge tardoquattrocentesca di Pietro Sabino: un voluminoso codice fattizio allestito a Roma a ‘meta Cinguecento da Jean Matal ne tramanda un frustolo, che, forse per Ia seriorita del codice e del suo possessore rispetto all'epoca di composizione della silloge sabiniana, tha indotto De Rossi nelle ICUR a inquadrarlo come mero descriptus di un altro testimone, un codice ottoboniano trascritto nel primo Cinguecento!. 1! problema delle grafie, nell’ Ottocento, era naturalmente percepito con una sen- ‘DilitA tutta diversa rispetto a quella attuale: a fronte della venera- Zone per gli autografi dei grandi, da Petrarca a Poliziano, in genera- le possibile registrare un profondo disinteresse per la ricerca mi- ruta e a volte frustrante nell’orizzonte dei ‘minori’. Del resto fino ad oggi la scrittura e la stessa produzione umanistica di Pietro Sabi no, attivo a Roma tra lo Studium Urbis e gli ambienti pomponiani, sono rimaste del tutto sconosciute. Ma grazie al rinvenimento, in un codice di Berlino, di un carme da lui sottoscritto, @ emerso che l'a- nonimo frustolo epigrafico conservato tra le carte Matal era auto- ‘grafo, dal momento che le due testimonianze presentavano le stesse peculiari caratteristiche grafiche. La prospettiva & stata dunque ri baltata sul piano delle dinamiche filologiche, perché & chiaro che il frustolo epigrafico di Pietro Sabino va collocato all’origine del ra- ‘mo di tradizione rappresentato dal codice ottoboniano, e non vice~ versa. L'identificazione della scrittura, tra 'altro, ha permesso di rintracciare svariatifascicoli di carmi autografi, che aiutano a rico- \ nseriptioneschristianae Urbis Romae seprimo saeculo antiquores, el 10. B. De Ross, 1, Romae 1888, 407-08. ancora da studiare, si struttura a quanto pare in tre redazioni, due delle quali sono state in tempi diversi offerte dall’autore a Lorenzo de’ Medici ¢ a Ludovico Agnelli, Tutti casi nei quali a fenomeno- logia e la dinamica di trasmissione, ancorate a alcune fasi in sé per- fettamente definite, potrebbero anche autorizzare scelte editoriali circoscrite e specifiche. Per la silloge di Pietro Sabino, invece, particolarmente complessa forse mai approdata a uno stadio defi to evidenziato problemi che rendono arduo impostare un percorso editoriale: tra i sei testimoni (autografo, come si & visto, & assolu- tamente parziale), nessuno & copia dell’altro, e anzi ognuno & por- tatore di una redazione differente, sia per il progressivo inserimen- to di nuovi tituli, pagani € soprattutto cristiani, sia per la sempre pit precisa descrizione di alcune epigrafi, sia per la diversa dislo- cazione dei materiali. In una situazione di tale complessita, una ri- zzida applicazione del metodo stemmatico conduce evidentemente a risultati parziali: per individuare una dinamica evolutiva & stato ne- cessario studiare e valutare, oltre all’accumulazione dei nuovi titu- li, le variazioni, anche minime, relative alla presentazione dei sin- goli testi epigratici. In eta umanistica le frequenti traslazioni dei ‘marmora dai uoghi degli scavi alle private dimore o, per i muta- ‘menti dell’assetto urbano, il trasferimento di essi dall'uno all’altro sito era, & noto, assai comune; e questi spostamenti erano continua- mente registrati dagli umanisti nei propri quaderni epigrafici, nel tentativo di precisare al massimo i luoghi di conservazione delle singole epigrafi. Seguire la mappa di questi trasferimenti ha costi- tuito un primo significativo percorso all’interno della silloge, che ha portato a evidenziare un complesso itinerario redazionale, con- fermato poi anche dallo studio delle descrizioni iconografiche con Je quali spesso Sabino ha completato la registrazione delle epigrafi: il suo raffinato ideale antiquario contemplava, infatti, anche l’esi xgenza di tramandare la memoria delle scene impresse sui bassor lievi presenti sui monumenti che andava trascrivendo. Queste tes- sere preziose, che restituiscono un'iconografia spesso per noi per- uta, sono state in pitt di un caso inserite in un secondo tempo ac canto ai testi, ampliate o in seguito lievemente modificate, compi tivo, la collazione ha subi- PREMESSA 8 late progressivamente tanto da costituire un utile supporto nell'in- dividuazione delle strutture portanti della trasmissione del testo. Una linea fertile e gravida di implicazioni evidentemente, che tuttavia non basta a guidare l'editore moderno verso una scelta uni- voca; nel testimone che pid si avvicina, su tutti questi piani, a un ideale di completezza, non si ritrova, infati, un certo numero di iscrizioni presenti in alti codici che compongono la tradizione: un fenomeno tipico delle compilazioni epigrafiche pid! complesse, che ricorre anche nella terza redazione della raccolta di Giocondo e che attende di essere chiarto sino in fondo. In questo delicato frangen- te sarebbe forse opportuno pubblicare il manoscritto pid! completo, “tinforzando’ ’edizione con appendici di tituli provenienti da altri rami di tradizione che con certezza risalgano all’autore. La natura stessa, stratificata e, per cosi dire, ‘aperta’, di molte di queste raccolte ~ che per tanti versi le fa assomigliare a zibaldoni umanistici -, il metodo di accumulazione e di definizione dei mate- riali da parte dell'autore, che spesso inseriva aggiunte ¢ revisioni interfoliando un brogliaccio e preparando cosi la strada ad apografi non sempre corrett, il fatto che i codici configurano quasi sempre, nel loro complesso, materiali precari: questi gli elementi carateriz~ zanti che sono all’origine delle cospicue variazioni strutturali che in generale si riscontrano nei manoscritti epigrafici, spesso trascri- zioni cronologicamente distanti di raccolte in progress. Un testi- mone ordinato potrebbe pertanto rappresentare una fase primitiva o intermedia, mentre un codice magmatico pud consegnare un mo- mento burrascoso di revisione non approdato a definizione struttu- tale, E tutte queste costanti, che stiamo tentando di enucleare al- interno della fenomenologia delle sillogi, possono rivelarsiirte di idie per Veditore. Perché & possibile che lafflato antiquario che ispirava il desiderio di trascriversi e conservarsi materiali epigrafici abbiaimplicato in qualche caso I'intervento di chi ne traeva copia, sia nella sistemazione, sia nell’ampliamento dei documenti. Privi dello statuto di testo letterario in senso stretto,essi, infati, bene si prestavano ad essere in qualche modo rielaborati. E sarebbe impor- tante, in questa direzione di ricerca, recuperare specimina autografi di sillogi in feri, che potrebbero fornire importanti spunti di rifles- sione per ricostruire quelle dinamiche che a un livello oscuro confuso ritroviamo poi nelle copie: nulla infatti & ancora noto sui criteri dellallestimento ¢ della progressiva fusione delle testimo- nianze epigrafiche sullo scrittoio degli umanisti, che sicuramente ‘cominciarono ad elaborare modelli, poi comunemente adottati, per Ja stesura delle raccolte. Un discorso, questo della genesi delle sillogi, che porta in defini- tiva anche a rivedere alcune delle categorie che hanno finora ac- compagnato questo particolare tipo di produzione erudita, Le rac colte di iscrizioni sono spesso giunte sino a noi come insiemi disor- ‘ganici: si presentano talvolta come operazioni impenetrabili, mate- riali affastellati senza alcun ordine apparente dietro i quali 2 difficile intravedere una finalita, Ma 2 ragionevole ritenere — ad esempio nel caso della formazione delle sillogi di Timoteo Balbani ¢ Pietro Sabi- no che qui si vuole cominciare ad esplorare — che dietro molte di es- se ci siano scelte ben definite e un disegno, semplice o complesso, che ne governa la struttura. La piena definizione di questi obbiettivi nell’humus culturale entro cui le singole raccolte sono state conce- pite potrebbe condurre a guardare diversamente all'epigrafia umani- stica, o meglio a guardare ad essa per la prima volta attraverso gli ‘occhi degli umanist. E probabile, in effetti, che inizialmente le sil- logi nascessero da una raccolta occasionale di testimonianze, ma poi molto spesso si tramutavano in qualcosa d’altro: se il collettore si proponeva di divenire in qualche modo ‘autore’ della raccolta, es- se obbedivano a un criterio di sistemazione e, se opportuno, di sele~ zione. Ma il prodotto finale era soprattutto Mesito di una faticosa Lectura dei testi, dei quali 'umanista doveva farsi editore, proprio come quando trascriveva Cicerone, Livio o Virgilio. Una nuova consapevolezza, sempre pit vigile e attenta a riprodurre esattamente la facies dei testi iscriti sulle lapidi per meglio interpretati, si fece lentamente strada nel secondo Quattrocento: proprio Municita delle testimonianze invitava a una crescente cura documentaria, nel ri- spetto dell’*impaginazione delle iscrizioni, della divisione delle ti- ghe, delle grafie peculiari, nel corretto scioglimento delle sigle € delle complesse abbreviazioni, nella riproduzione stessa delle grafie monumentali, destinate ad essere imitate anche in contesti non epi- ‘grafici, ¢ infine nella descrizione degli aspetti decorativi del mar- ‘mor nel suo complesso. E appunto la specificita di questo impegno, che insieme mirava a contestualizzare in una trama organica I'edi zione di epigrafi in prosa e in versi, implica che il concetto di ‘auto- re" possa essere, sia pure cautamente, esteso anche a questo tipo di compilazioni Impossibilita di applicare cout court il metodo stemmatico tradi zionale, pluralita di redazioni, precarieta strutturale © possibili in- terventi dell’erudizione successiva: sono solo alcuni anelli della ri- flessione intorno ai problemi editoriali delle sillogi epigrafiche quattro-cinquecentesche. Rappresentano per® situazioni quotidiane per il filologo umanistico, non equiparabili, ma certamente parago- nabili a quelle di molte tipologie testuali per le quali occorre di vol- ta in volta equilibrare e affinare le strategie ecdotiche. Ma soprat- tutto, come si é visto, la specifica conoscenza delle dinamiche della letteratura umanistica non pud oggi non costituire Maltera pars del- la disciplina epigrafica nello studio delle sillogi di iscrizioni. An- che solo la recensio dei codici messa a punto nel CIL riserva anco- ra percorsi inesplorati per gli studiosi di umanesimo, una miniera di codici da perlustrare, di notizie da verificare, Non sono esclusi neppure impensabili ritrovamenti: ho potuto rintracciate in Biblio teca Laurenziana unico esemplare della silloge composta nel 1465 dal curiale Timoteo Balbani, finora considerata perduta, la prima nel Quattrocento ad essere interamente dedicata a Roma, con circa duecento rituli in un'epoca ancora lontana da quella delle im- ponenti raccolte di Giocondo e Sabino. Vista e apprezzata nel Set- tecento da Anton Francesco Gori, ¢ subito dopo inghiottta nel cit- cuito delle collezioni private, la silloge rimase inaccessibile ¢ non entrd mai tra i fontes del CIL, dove pure ne auspicavano il ritrova- ‘mento sulla base dell'accattivante profilo conservato tra gli appun- ti marucelliani dell’erudito, Anche di essa si vuole qui ripercorrere la storia: riemersa insieme al suo autore, ¢ riconquistata alla lettera- tura umanistica, essa sié rivelata ricca di novita pure sul piano epi- ‘grafico, perché, oltre a fornire una miriade di inedite notizie su titw i gid noti, tramanda anche un certo numero di antiche iserizioni fi no ad ora sconosciute, Senza parlare dei numerosi risvolti che la ri-

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