Nell’Estetica trascendentale Kant studia la sensibilità e le sue forme a priori. Egli
considera la sensibilità <<recettiva>>, perché essa non genera i proprio contenuti, ma li accoglie per intuizione dalla realtà esterna o dall’esperienza interna. Tuttavia la sensibilità non è soltanto ricettiva, ma anche attiva, in quanto organizza il materiale delle sensazioni (le intuizioni empiriche) tramite lo spazio e il tempo, che sono appunto le forme a priori (le intuizioni pure) della sensibilità. Lo spazio è la forma del senso esterno, cioè quella <<rappresentazione a priori, necessaria, che sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne>> e del disporsi delle cose l’una accanto all’altra. Il tempo è la forma del senso interno, cioè quella rappresentazione a priori che sta a fondamento dei nostri stati interni e del loro disporsi l’uno dopo l’altro, ovvero secondo un ordine di successione. Tuttavia, poiché è unicamente attraverso il senso interno che ci giungono i dati del senso esterno, il tempo si configura anche, indirettamente, come la forma del senso esterno, cioè come la maniera universale attraverso cui percepiamo tutti gli oggetti. Pertanto, se non ogni cosa è nello spazio, ad esempio i sentimenti, ogni cosa è però nel tempo, in quanto tutti i fenomeni in generale, ossia tutti gli oggetti dei sensi, cadono nel tempo. Kant giustifica l’apriorità dello spazio e del tempo sia con argomenti teorici generali (nella cosiddetta “esposizione metafisica”), sia con argomenti tratti dalla considerazione delle scienze matematiche (nella cosiddetta “esposizione trascendentale”). Nell’esposizione metafisica, Kant fa emergere il proprio punto di vista confutando sia la visione empiristica, che considerava spazio e tempo come nozioni tratte dall’esperienza (Locke), sia la visione oggettivistica, che considerava spazio e tempo come entità a sé stanti o recipienti vuoti (Newton), sia la visione concettualistica, che considerava spazio e tempo come concetti esprimenti i rapporti tra le cose (Leibniz). Contro l’interpretazione empiristica, Kant afferma che spazio e tempo non possono derivare dall’esperienza, poiché per fare un’esperienza dobbiamo già presupporre le rappresentazioni originarie di spazio e tempo. Contro l’interpretazione oggettivistica, Kant sostiene che qualora spazio e tempo fossero davvero dei recipienti vuoti, ossia degli assoluti a sé stanti, essi dovrebbero continuare a esistere anche nell’ipotesi che in essi non vi fossero oggetti. Ma come fare a concepire qualcosa che, senza un oggetto reale, sarebbe tuttavia reale? In verità, puntualizza Kant, spazio e tempo non sono dei contenitori in cui si trovano gli oggetti, bensì dei quadri mentali a priori entro cui connettiamo i dati fenomenici. Come tali, essi, pur essendo “ideali” o “soggettivi” rispetto alle cose in se stesse, sono tuttavia “reali” e “oggettivi” rispetto all’esperienza, ossia alle cose quali appaiono fenomenicamente. Per questo motivo, Kant parla di idealità trascendentale e di realtà empirica dello spazio e del tempo. Contro l’interpretazione concettualistica, infine, Kant afferma che spazio e tempo non possono essere considerati alla stregua dei concetti, in quanto hanno una natura intuitiva e non discorsiva