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Cartesio

Cartesio è ritenuto il fondatore della filosofia moderna. La filosofia cartesiana privilegia un


interesse scientifico e individua il suo punto focale nel nesso tra fisica e metafisica. Sia Cartesio
e Galilei criticano la fisica aristotelico-scolastica e assumono la matematica come strumento.
Cartesio si propone di dare un fondamento metafisico alla nuova visione della realtà.
Il Discorso sul metodo apre il corso della filosofia moderna. Vi sono esposti infatti molti dei più
importanti temi della filosofia cartesiana: le regole del metodo, i principi della metafisica,
intuizione meccanicista del mondo fisico, i precetti della morale provvisoria. L’opera è di
dimensioni ridotte e la prosa francese è trasparente (scelta per rivolgersi ad un pubblico più
ampio). Con un procedimento autobiografico delinea il proprio ideale scientifico. Nella prima
parte nega l’utilità per la soluzione dei problemi la storia e le lingue e letterature classiche. Egli
rileva che la filosofia non è stata in grado di fornire alcuna conoscenza certa. Secondo Cartesio,
la filosofia si risolve nell’abilità puramente retorica e priva di reale valore conoscitivo di
sostenere con successo le opinioni più disparate sul medesimo argomento. Sulla teologia le
verità rivelate sono superiori all’intelligenza umana, ma non è necessario essere dotti per
guadagnare la salvezza. Cartesio critica la logica peripatetica insegnata nelle scuole:
preoccupata solo dalla vuota coerenza formale dei sillogismi e delle inferenze.
Sulle discipline matematiche egli osserva come non costituiscano un sistema logicamente
coerente, e come le loro dimostrazioni appaiano “superficiali”, i loro risultati “scoperti in modo
casuale”, egli rileva anche l’eccessiva frammentazione dei diversi settori disciplinari. Questi
aspetti ne mortificano il ruolo di strumento per la conoscenza della realtà.
Cartesio è però convinto che le conoscenze matematiche hanno un grado di evidenza e di
certezza superiore a quello conseguito dalla filosofia e dalle altre scienze. La matematica
merita di essere assunta a modello nel rinnovamento di tutto il sapere, dalla metafisica alla
fisica, alla morale. Ciò comporta però che siano rimossi i difetti prima evidenziati. Cartesio
definisce la vera matematica mathesis univeralis. Egli osserva come le scienze matematiche
presentino un elemento che le accomuna: ciascuna di esse studia i rapporti di quantità o di
proporzionalità intercorrenti tra gli oggetti che vi sono compresi.
Le quattro regole fondamentali del metodo. Nella seconda parte Cartesio riassume il suo
metodo sotto forma di 4 precetti molto generali: 1)regola dell’evidenza- l’indicazione del
criterio di verità: devono essere accolte come vere solo quelle idee che si presentano alla
nostra mente chiare e distinte. Chiarezza di un’idea significa che essa è colta dalla mente in
forma compiuta ed esaustiva, senza che nessuno dei suoi aspetti resti nell’oscurità, Distinzione
significa che l’idea è ben delimitata rispetto alle altre. 2) regola dell’analisi- suggerisce di
dividere ogni problema o difficoltà nelle sue parti elementari. Nei problemi che si incontrano
nella ricerca, la prima operazione da compiere è quella di sciogliere (o risolvere) i problemi via
via più semplici per poterli considerare separatamente. 3) regola della sintesi- necessità di
disporre i pensieri in un ordine che procede da un minore a una maggiore complessità. Si
tratta del procedimento opposto al precedente (ricostruzione o ricomposizione dimostrativa o
deduttiva). 4) regola dell’enumerazione completa- fare dunque enumerazioni così complete e
revisioni così generali da essere sicuro di non aver omesso nulla. È una regola di verifica che si
avvale di tecniche mnemoniche, sia dell’analisi, sia della sintesi.
I trattati scientifici: la diottrica, le meteore e la geometria. Il discorso è concepito come
introduzione metodologica ai tre testi di argomento fisico e matematico insieme ai quali è stato
pubblicato: testi il cui contenuto non poteva essere scoperto senza adottare il metodo proposto
nel Discorso. Presentati come saggi del metodo, i trattati affrontano argomenti di filosofia, cioè
di fisica, come nel caso delle METEORE, di matematica- la GEOMETRIA- o tali da coinvolgere
entrambe le discipline- la DIOTTRICA- . Nella diottrica vengono formulate le leggi di rifrazione
della luce e spiegati meccanicisticamente i fenomeni luminosi. Nelle meteore viene proposta
tra l’altro un’innovativa spiegazione del fenomeno dell’arcobaleno. Nella geometria Cartesio
mira a superare, con la geometria analitica, limiti rilevati nella geometria tradizionale, costretta
a risolvere i problemi caso per caso: in particolare, l’introduzione degli assi, detti cartesiani,
offre lo strumento per una trattazione uniforme, in termini algebrici, dei problemi geometrici.
Meditazioni e metafisica cartesiana. Nelle meditazioni si tratta di trovare un criterio di
verità indubitabile, che garantisca l’universale applicabilità delle regole del metodo,
sottraendole a possibili obiezioni scettiche. Occorre risolvere, però, alcune grandi questioni di
metafisica generale ( l’esistenza di dio, l’immortalità dell’anima), al fine di mostrare la perfetta
compatibilità della scienza moderna con la fede cristiana. In tale impresa fu incoraggiato dai
settori della chiesa cattolica più sensibile alle istanze della nuova scienza.
Il dubbio e la facoltà del ben giudicare. La prima delle sei meditazioni espone le ragioni
per le quali possiamo dubitare generalmente di tutte le cose, e particolarmente delle cose
materiali, fino a che non avremo altri fondamenti nelle scienze. Cartesio parla della necessità
di un dubbio generale, esteso a tutte le conoscenze, unica via per acquistare una certezza nel
campo della scienza e della filosofia. Ma questa affermazione contrasta l’altra affermazione con
cui si apre il discorso sul metodo. Essa esprime una fiducia senza riserve nel buon senso o
ragione che è la cosa meglio ripartita, essendo uguale in tutti gli uomini; la diversità delle
opinioni e delle idee non deriva dal fatto che gli uni siano più ragionevoli degli altri, ma
solamente dal condurre i nostri pensieri per vie diverse e dal non considerare le stesse
cose. Dubbio scettico e dubbio metodico. Anziché come dubbio scettico, quello cartesiano è
dubbio metodico: un procedimento con cui si eliminano le opinioni di carattere incerto e
problematico, allo scopo di fornire tale edificio di un più saldo fondamento razionale. Con il
dubbio non sarà mai necessario aver sperimentato la falsità di un’opinione ma si dovrà
assumere come falsa qualsiasi opinione su cui sia possibile sollevare anche il minimo dubbio.
Nel processo dubitativo cartesiano possiamo distinguere due stadi fondamentali nel dubbio: il
primo si rivolge agli oggetti dei sensi, considerati la sorgente più comune e più certa del nostro
sapere. La verità di ragione e il genio maligno. Il secondo stadio si rivolge invece agli
oggetti dell’intelletto (es. cognizioni matematiche) che sembrano conservare il proprio valore,
sia che si sogni sia che si sia desti. Non è possibile che le verità manifestate possano essere
sospettate di falsità o di incertezze. Cartesio introduce l’ipotesi di un Dio ingannatore, il quale
potrebbe volere che la gente si inganni tutte le volte. E poiché tale idea contrasta con il nostro
concetto di un dio infinitamente buono, Cartesio ipotizza l’esistenza di un genio maligno. Il
dubbio sembra invincibile e universale lasciando aperta solo la strada della sospensione del
giudizio. Il cogito: penso, dunque sono. Nella seconda meditazione Cartesio perviene al
principio del cogito. Di tutto posso dubitare, tranne che del fatto stesso di dubitare, cioè di
pensare, quindi di esistere. Se il genio ingannatore inganna, il soggetto esiste in quanto
pensa. Cartesio giunge a un’importante conseguenza:l’identificazione dell’io o soggetto
pensante con una sostanza (res cogitans) e la conseguente separazione reale dell’anima dal
corpo. Debbo rinunciare ad attribuirmi quelle caratteristiche che ricadono sotto la scure del
dubbio. Posso dubitare di essere un uomo, posso dubitare di tutte le attività che compio grazie
al mio corpo; l’unica cosa di cui non posso dubitare di essere è il pensiero. Sono dunque una
cosa che pensa,cioè una cosa che dubita, intende, afferma, nega, vuole, non vuole, immagina
e sente.
Il dualismo di res cogitans e res extensa. Le qualità sensibili sono mutevoli e posso
dubitare della loro reale appartenenza all’essenza dei corpi. Rientra nella loro natura ciò che in
essi posso concepire a priori col pensiero: che sono cioè estesi, che occupano uno spazio, ecc.
se la natura del mio io è di essere una cosa pensante, quella del corpo è di essere una cosa
estesa. Se non ho difficoltà ad ammettere che nei corpi non vi sia altro all’infuori di ciò che
concepisco in essi con il pensiero, non dovrò dubitare che, quando l’anima conosce se stessa
indipendentemente dal suo rapporto con il corpo giunge a cogliere di sé l’attributo essenziale, il
pensiero. L’anima conosce se stessa indipendentemente dal suo rapporto con il corpo, giunge a
cogliere di sé l’attributo essenziale, il pensiero.
Il ruolo di dio nella metafisica cartesiana. Nelle meditazioni Cartesio enuncia che tutte le
cose che noi concepiamo molto chiaramente e molto distintamente sono vere. Solo se riuscirò
a dimostrare l’esistenza di Dio (essendo infinitamente buono non può volermi ingannare), avrò
sconfitto definitivamente il dubbio iperbolico e fornito una definitiva conferma metafisica del
criterio di verità.
Idee innate, avventizie e fittizie. Per dimostrare l’esistenza di dio, Cartesio parte dall’idea
innata di dio. Analizzando l’insieme dei nostri pensieri alcuni sono come le immagini delle cose
che hanno il nome di idea. Fra le idee, alcune sono innate, ossia connaturate alla mente: come
le idee di “cosa” (res). Altre sono avventizie e Cartesio ha ritenuto che venissero da cose
esistenti fuori di lui: come l’idea del sole o del calore. Altre ancora sono fittizie, ossia finzioni
prodotte da lui stesso, come l’idea delle sirene o degli ippogrifi. Tutte le idee sono modi del
pensiero, cioè dal punto di vista della loro realtà formale, o in quanto rappresentano qualche
cosa, cioè dal punto di vista della loro realtà oggettiva.
La prima dimostrazione dell’esistenza di dio. La distinzione tra idee tende a perdere il
significato, dal momento che io dubito dell’esistenza del mondo esterno. L’idea di dio ha più
realtà oggettiva dell’idea di una sostanza finita. Io potrei essere la causa di tutte le idee che
sono in me. Solo dell’idea di dio, ossia dell’idea di una sostanza infinita, non posso essere io la
causa che sono una sostanza finita. Dunque dio esiste.
La seconda prova e il concetto di causa efficiente. Se io stesso, che ho l’idea di Dio,
potrei esistere, se dio non esistesse?Da chi avrei l’essere? Forse da me stesso o dai miei
genitori o da qualche altra causa meno perfetta di dio (ma questa, a sua volta da chi l’avrebbe
ricevuto? Se il soggetto fosse l’autore del suo essere sarebbe dio perché non dubiterebbe, non
avrebbe desideri e avrebbe ogni perfezione. È più difficile darsi l’essere dal nulla che darsi delle
perfezioni. Queste infatti sono solo accidenti della sostanza, mentre il mio essere è l’essere di
una sostanza pensante. La terza prova: dio come essere perfettissimo. La terza prova è
un argomento a priori. Essa applica all’idea di dio il criterio di verità delle idee chiare e distinte.
Ho infatti l’idea di dio, cioè dell’essere perfettissimo, e vedo chiaramente e distintamente che
alla sua natura compete l’esistere sempre. L’esistenza è una perfezione, ora dio ha tutte le
perfezioni dunque dio esiste. Dio come garante dell’esistenza dei corpi materiali. Io non
penso di dover temerariamente ammettere tutte le cose che i sensi sembrano insegnarci, e
neppure di doverle revocare in dubbio tutte in genere. Che cosa so con certezza? So di essere
pensante e so che dio può fare tutto ciò che concepisco chiaramente e distintamente. Anche se
sono unito a un corpo, questo corpo è da me distinto, giacchè l’idea della sostanza corporea è
distinta dall’idea di sostanza pensante. Immaginazione e sensazione sono miei modi di essere,
mentre le facoltà di mutar luogo,di assumere figure diverse, ecc. sono modi di sostanza
estesa. Non sono io la causa di ciò che è sentito. Né tale causa potrebbe essere dio o uno
spirito creato, perché in tal caso dio m’ingannerebbe. Bisogna pertanto confessare che le cose
corporee esistono. Certo le cose non esistono così come le sentiamo poiché la sensazione
molte volte è oscura e confusa, e va quindi corretta con la luce delle nozioni chiare e distinte
della conoscenza matematica.

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