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STUDII BOEZIANI

Author(s): Luigi Alfonsi


Source: Aevum, Anno 19, Fasc. 1/2 (GENNAIO-GIUGNO 1945), pp. 142-157
Published by: Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/25819557
Accessed: 28-06-2021 05:27 UTC

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STUDII BOEZI ANI

I. CICERONE IN BOEZIO

Quanto e in che limiti Boezio aitinga da Cicerone non stato


cora sufficientemente chiarito (1). Giacch si tratta non solo di segn
qualche riscontro verbale o qualche esplicita citazione, ma di coglie
in profondit le influenze e le risonanze non tanto di pensiero filos f
quanto di idealit art stica e letteraria. Due opere di Cicerone s
espressamente richiamate da Boezio in due luoghi che potrebbero
rire come indicativi dei due momenti essenziali della Consolatio, e c
il Somnium Scipionis (20-22): aetate denique Marci Tulli, sicut ipse
quodam loco significat, nondum Caucasum montem romanae reipublice
ma trascenderat (II, 7, 30), a indicare la vanita di tutti i beni e glo
umane - e si ricordino i legami del Somnium ciceroniano con scrit
del giovane Aristotele (2)! - ; e il II De Dioinatione: Vetus, inquit, h
est de Providentia querela Mque Tullio, cum divinationem distribua
hementer agitata (V, 4, 1) riguardo all'altra sezione della Consolati
quella riguardante la provvidenza di Dio, e i problemi ad essa conne
Inoltre, per quanto non dichiarate, sono da tutti ammesse risonanze
r Hortensius di Cicerone (3) nella posizione essenziale del probl
beati certe omnes esse oolumus e nel disdegno di tutte le fallaci p
venze umane di fronte air nica realt della vita teor tica. Anzi ques

(1) Poche righe dedica aU'argomento anche P. GIOVANNI SEMERIA, // Cristianesi


di Seuerino Boezio riuendicato, Roma, 1900, pagg. 70-2 e pag. 96.
(2) Si veda ETTORE BIGNONE, L'Ari st ote le perd uto e ia formazione filos fica d
tipicuro, I, Firenze, 1936, pag. 237 e ss. e particolarmente 239 dove anche sulla s
del KLINGNER, De Boethii Consolatione philosophiae, in Phil. Unters. 1921 pa
ss. si vede come tutto il cap. 7 del libro II pa*afrasi si elementi aristotelici, ma dal S
nium Scipionis, togliendo quindi da Cicerone le parti pi interessanti alla sua dimostrazi
(3) Su ci si pu vedere oltre E. BIGNONE, op. cit., pag. 91 e 92 L. ALFONSI, S
composizione della " Philosophiae consolatio" boeziana in Atti R. Istituto V neto

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COMUNICAZIONI

uno degli aspetti pi profondi di tale influenza. L'idea della felicita,


beatitude*, come anelito supremo dello spirito, quasi ansioso di rendersi
simile agli dei stessi, punto di partenza sia dell' uno che deH'altro
trattato e da ad entrambi la direttiva per provare che la felicita vera
consiste nella vita spirituale, non materiale. Inoltre, se pure in altra for
ma, sembra che precisamente rivivano i problemi essenziali di alcuni li
bri delle Tusculanae: il de contemnenda morte, il de tolerando dolore, il
de aegritudine lenienda. Pure ciceroniana l'idea che la ratio possa at
tingere il vero e, pariendo da una soggettiva esperienza di dolore, giun
gere ai principi supremi: idea che anche se non dichiarata latente ad
ogni modo e impl cita in tutta 1'opera ciceroniana. Ma questi sono aspet
ti dottrinar su eui ripetiamo di non volerci soffermare. Noi studiamo
qui la t cnica letteraria. Ed appunto su questo terreno che gli incontri
di Cicerone con Boezio ci paiono pi significativi. Innanzitutto la mossa
iniziale. Boezio ritorna alla filosof a nel momento del dolore, oramai
lontano dai fastigi della vita pol tica, cosi come Cicerone nel Io libro
delle Tusculanae ci si presenta in atto di tornare ad ea studio quae re
tenta animo, remissa temporibus, longo interoallo intermissa (I, 1, 1). Da
c o consegue che in Boezio, non si consola l'uomo ricorrendo a massi
me per cosi dire spicciole, ma la filosof a stessa in persona interviene
a consolare chi a lei, nell'ora dello sconforto e dell'amarezza, si ri
volto dopo lungo oblio. E perci essa supera il frammentarismo di una
facile precettistica (1) per rivelarsi in tutta la sua complessit , come si
stema di conoscenze organizzate, culminanti in certezze supreme. Che
anche il caso delle Tusculanae abbraccianti i problemi maggiori dello
spirito. Ed precisamente questo che Cicerone afferma in Tuse. V, 2,
brano forse attinio da Posidonio (2), cuius in sinum cum a primis tempo
ribus aetatis nostra voluntas studiumque nos compulisset, his graoissimis
casibus in eundem portum ex quo eramus egressi, magna iactati tempe
st te confugimus. E c o ha determinato a svolgere in protrettico quella
che inizialmente altro non era che pura consolatio (3) : come a dire in
rivelazione totale della Filosof a in se (4) - non di una scuola sing la, -

(1) Cfr. ALFONSI, art. cit., pag. 5.


(2) Si veda H RTLICH, De exhortationum a Graecis Romanisque scriptarum historia
in Leipzigerstudien 1889, pag. 289 e ss.
(3) ALFONSI, art. cit., pag. 4.
(4) Come precisamente net Protrettico aristot lico e sulla sua scia nell* Hortensius
ciceroniano in eui non tanto si parlava in difesa di una particolare dottrina , quanto si
incitava tutti all'amore della filosof a (cfr. E. BIGNONE, op. cit., pag. 93).

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COMUNICAZIONI

nei suoi dati universali rna inquadrati ed ordinati, anzich in sporadiche


osservazioni e rilievi atti a sollevare lo spirito depresso. La filosof a vie
ne e si pone accanto a Boezio: e si inizia cosi quel dialogo, che aile
volte in realt piuttosto un monologo, tra il prigioniero che chiede de
lucidazioni, pone quesiti, all'inizio confida anzi se stesso esponendo le
sue sciagure, e la mulier reoerendi admodum uultus e tam imperiosae
auctoritatis che spiega, interpreta, chiarisce col tono di una saggia mae
stra. A parte l'allegoria (1), anche questa t cnica dialogica tra maestro e
allievo (e non soltanto concretati in singoli personaggi storici, ma del
tutto generici) proprio ciceroniana: basta ricordare VAuditor e il Ma
gister d lie Tusculane. Certo pi profondo il rappresentare s stesso
in atto di discutere dei supremi problemi, quasi nell'intensit di un vis
suto dramma spirituale, anzich esporre contrasti e discussioni altrui.
Comunque questo progredire del personaggio stesso dall'ignoranza alla
verit e questo darci con consapevolezza la storia ed il cammino dell'a
nima piuttosto risultato della nuova esperienza cristiana che ha dischiu
so e rivelato nuovi abissi del cuore umano (2): ma non si pu dimenti
care che il dialogo, forma art stica quant' altra mai opportuna ad esprimere
questi contrasti dell'anima, e sopratutto se d'intonazione filos fica, qui
in Boezio di tipo prettamente ciceroniano. Giacch esso qui non ha n
la viva contrastante atmosfera dei dialoghi platonici, in eui con l'abile
sccneggiatura esteriore ogni personaggio quasi ha un'idea e la difende
c discute, n d'altra parte un puro pretesto come pei dialoghi stoici
di Seneca. Viceversa due sono i personaggi attori, di eui per il princi
pale quello che pi a lungo parla: onde il tutto acquista un carattere
di intimit e meditazione, senza rinunciare al flusso della vita. Anche a
proposito di quest'opera si pu ripetere approssimativamente a ragione
che i personaggi veri sono sempre due: una coscienza che destinata
a esser vinta e a tramontare e una coscienza che sorge (3). Anche qui
nulla di esteriormente drammatico: ma il chiuso di un esilio (in has exilii
nostri solitudines I, 3, 3) che per si amplia a comprendere tutto il mon
do. E bene nel dialogo si espone cosi il nuovo intimo dramma, nei suoi

(1) Impl cita gi sia nel brano sopra citato di Cicerone, Tuse. V, 2 in eui ci si rivol
ge direttamente alla filosof a oitae dux eec. e si cir. anche Luciano, AA. 29.
(2) Interessante si presenta il richiamo particolarmente con le < Confessioni di San
t'Agostino in eui c' un monologo che insieme dialogo continuo, pieno di suggestivi ap
profondimenti spirituali.
(3) Si veda per ci AURELIO GIUSEPPE AMATUCCI, Storia della letteratura latina cri
stiana, Bari, Laterza, 1929, pagg. 250-1.

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COMUNICAZIONI

vari momenti, della conquista intellettuale e morale: termini estremi le


lagrime sfiduciate e Tatonia morale alTinizio, T imperativo morale, dato
dalia filosof a e impl citamente sottoscritto in p eno da Boezio, ad av
versare i vizi, onorare le virt , elevare T animo a rette speranze, innalzare
preghiere al cielo alla fine. E ci attraverso un progressivo distendersi e
rasserenarsi, ma anche un aderire e compartecipare sempre pi manifesto
alla discussione e un obliare sempre pi le tristezze delTora incombante.
E unito a questo c' un altro aspetto che ancor pi intimamente colle
ga Boezio a Cicerone: la eura dello stile, Timpegno dell*arte sentito
come sostanziale anche a un* opera che era insieme il testamento di una
vita e di una dottrina. Tutto qui sapientemente ordinato con chiara
volont : Talternarsi di prosa e di versi, la disposizione delle varie parti,
il tono complessivamente elegante del dettato. Orbene questa della fu
sione di retorica, di arte e di filosof a tradizione che risalente sia pu
re ad Aristotele per sostanzialmente ciceroniana. Si veda infatti nelle
Tusculanae I, 4: sed ut Aristoteles vir summo ingenio, scientia, copia,
cum motus esset Isocratis rhetoris gloria dicere docere etiam coepit
adulescentes et prudentiam cum eloquentia iungere, sic nobis placet nee
pristinum dicendi studium deponere et in hac maiore et uberiore arte
oersari (1). Si confrontino infatti le altre opere puramente filosofiche di
Boezio e si vedr che differenza di stile! Gli che in quelle egli si
sentiva nicamente filosofo, anzi dialettico (2), in queste eminentemente
uomo. La retorica, Tarte (e bene Dante ha mostrato di compr ndeme i
legami con Cicerone) (3) assolve in Boezio il compito di collegare la
realt col pensiero, di sfuggire ad ogni forma di intellettualismo esage
rato, di animare e dimostrare T efficacia e il valore della speculazione

(1) Si veda ancora in Tuse. II, 3: est enim quoddam genus eorum qui se philoso
phos appellari uolunt, quorum dicuntur esse latini sane mutti libri: quos non contem
no equi dem, quippe quos numquam legerim; sed quia profitentur i psi HU qui eos seri
bunt se neque distincte eque distribute eque eleganter eque ornate scribere, lectio
nem sine ulla delectatione neglego . . . Nobis autem oidetur quicquid litteris mandetur
id commendari omnium eruditorum lectioni decere . . . Itaque mihi semper Peripateti
corum Academiaeque consuetudo de omnibus rebus in contrarias partes disserendi
non ob earn causam solum placuit quod aliter non posset quid in quaque re veri si
mile esset inveniri, sed etiam quod esset ea maxuma dicendi exercitatio; qua princeps
usus est Aristoteles, deinde eum qui secuti sunt.
(2) Come ha affermato l'USENER; si veda PW. Real. enc. der cl. Alt. pag. 600 per
gli scritti teologici.
(3) Sui che si veda L. ALFONSI, Dante e la "Consolatio philosophiae" di Boezio,
Como, Marzorati, 1944, passim.

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Aevum- Anno XIX - 10

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COMLINICAZIONI

nella concretezza stessa della vita. Tutta la filosof a viene qui mostrata,
sulla scia di Cicerone, efficace ed attiva sulla vita, e ci non in astrat
to, ma in condizioni realmente effettive: nel forzato ritiro dall'attivita
pubblica per 1* Arp ate, nelle solitudini di un esilio per Boezio. Si veda
appunto come dalia circostanziata esposizione delle condizioni, degli an
tefatti, del processo, dal dolore espresso con lagrime sorga la discus
sione, in base alie domande poste dalia filosof a stessa: primum igitur
paterisne me pauculis rogationibus statum tuae mentis attingere atque
temptare, ut qui modus sit tuae curationis intellegaml Tu vero arbitrate,
inquam, tuo quae voles ut responsurum rogato. Tum illa: huncine inquit
mundum temerariis agi fortuitisque casibus putas, an ullum credis ei re
gimen inesse rationis?
lam scio, inquit, morbi lui aliam uel maximam causam: quid ipse
sis, nosse desist . Quare plenissime oel aegritudinis tuae rationem vel
aditum reconciliandae sospitatis inueni. Nam quoniam lui oblivione confun
dens, et exsulem te et expoliatum propriis bonis esse doluisti. Quoniam
aero quis sit rerum finis ignoras, nequam homines atque nefarios poten
tes felicesque arbitrons, quoniam aero quibus gubernaculis mundus rega
tur oblitus es, has fortunarum vices aestimas sine rectore fluitare: ma
gna e non ad morburn modo sed ad interitem quoque causae: sed sospitatis
auctori grates quod te nondum totem natura destitua. Habemus maximum
tuae fomitem salutis veram de mundi gubernatione sententiam, quod earn
non casum temeritati sed divinae rationi subditam credis. Nihil igitur per
timescas. lam tibi ex hac minima scintillula Vitalis calor inluxerit. Sed
quoniam firmiorihus remediis nondum tempus est et earn mentium constat
esse naturam ut quotiens abiecerint veras, falsis opinionibus induantur,
ex quibus orta perturbationum caligo verum ilium confunda intuitum, hone
paulisper lenibus mediocribusque fomentis attenuare temptabo, ut dimotis
fallacium affectionum tenebris splendorem verae luci's possis agnoscere
(1, 6). E cosi anche i versi che, seguendo la t cnica della Menippea (1),
Boezio ha intercalato ai brani prosaici sono come i cori nella tragedia,
i momenti di sosta nella intensit dell'indagine, voce di umanit , appello
di preghiera. . .
da pater augustam menti conscendere sedem
da fontem lustrare boni, da luce reperta
in te conspicuos animi defigere uisus.
Dissice terrenae nebulas et pondera moll's

(1) L. ALFONSI, art. cit., pag. 10 ss.

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COMUNiCAZIONl

atque tuo splendore mica: TU namque serenum


tu requies tranquilla pits, te cerner finis
principium nectar dux semita terminus idem
(III, 9, 22 ss.)

o sogno di eta beata


felix nimium prior aetas
contenta fidelibus ar is
nee i nert i per dit a luxu
facili quae sera solebat
ieiunia solvere glande
( II, 5 ss.)

o letificante invito di pace:


Hue omnes pa riter u en i te ca pt i
quos ligat fallax ros is catenis
terrenas habitons libido mentes
haec erif uobis requies laborum
hie portus placida martens quiete
hoc patens unum miser i s asilum
(III, io, l ss,)

in rapporto quasi sempre diretto col contesto dei brani prosaici. 1/ arte
ha quindi il compito preciso di rivelare Tumanita essenziale, nei suoi
aspetti veri e reali, all'indagine filos fica: il trapasso, per dir cosi, dal
molteplice delle cose all'unit del pensiero. Di fatti si veda come la fi
losof a cacciando po ticas Musas che hominum mentes assuefaciunt
morbo, non lib rant vuol lasciato aile proprie Muse (meisque ... Mu
sis ) il compito di curare e sanare Boezio: riconosce quindi la legitti
mit di un* arte che rivelando la schietta umanit , nelle sue condizioni
anche di inf riorit , proprio per questa candida e aperta confessione,
prepara la via alla ripresa. Non orpellando il male lo si eura, ma appro
fondendone bene la natura e i limiti, perch la sinc rit verso se stessi
e gli uomini il fondamento della v rit . In tale senso profondo la let
teratura vista come rivelatrice di humanitas e strumento ideale di ele
vazione : che sono gli ideali etico - artistici di Cicerone. E cosi essa
collaboratrice della filosof a, intimamente a quella legata, quasi rappre
sentatrice intr pida qui della nostra veritiera miseria umana nel suo par
ticolare, che la filosof a poi interpreta e da eui libera per avviare a
veraci ricchezze oltreumane. In questo assegnare air arte la funzione co
si importante di voce schiettamente umana e non gi in un* opera di fi

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COMUNICAZIONI

losofia spicciola, ma in un trattato quasi te rico - che pur prende avvio


anche al pensiero da dolorose contingenze occorse e narrate - indub
biamente la traccia maggiore del grande oratore e filosofo romano, che
a Boezio particolarmente presente dovette essere anche per T analog a
delle situazioni e del corso della vita nelle solitudini, preannunziatrici
di morte, del suo carcere (1).

II. RAPPORTI TRA PROSE E CARMI NELLA CONSOLATIO.

Interessante studiare e vedere come i singoli carmi boeziani corri


spondano del tutto ai capitoli in prosa che per lo pi li precedono o
seguono, ne colgano per dir cosi l'intonazione fondamentale, ne svilup
pino in forma fant stica ed immaginosa qualche aspetto. Cosi il carme
P pieno di elegiaca tristezza riflette perfettamente il senso di abbattimen
to delle prime righe della prosa, e serve quasi di introduzione alla pri
ma parte dell'opera tutta. Il carme II, cantato dalia stessa filosof a
( ... his versibus de nostrae mentis perturbatione conquesta est... ) che
appunto cacciando po ticas Musas aveva avocato alie u sue Muse " il
compito di curare e sanare Boezio, si basa sulla contrapposizione tra
colui che un tempo contemplava i misteri del mondo e ora giace effe

(1) Che Boezio abbia realmente tenuto presente Cicerone e ne abbia quasi voluto,
per la sua poca, ridare lui, in se, una rappresentazione (quasi una imitatio Ciceroni's)
puo essere provato dal suo sogno di tradurre i due maggiori filosofi greci in latino: che
corrisponde pure al disegno divulgativo, per dir cosi, di Cicerone: Boezio infatti (in iib. de
interpr. ed secunda I, 1) cosi esprimeva il suo programma scientifico: ego omne Aristo
te tis opus quodcumque in manus vene rit in romanum sty tum oe rf en s . . . omnesque
P/atonis di logos uertendo vet etiam commentando in latinam redigam formam. E Cas
siodoro lo lodava (Ep. I, 45) Graecorum dogmata doctrinam feceris Romanam. E di
fatti la Consolatio che fonde dottrine di Aristotele e Platone realizza anche in parte que
sto piano (SEMERIA, op. cit., pagg. 91-2). E si ricordi pure il proposito di Cicerone Tusc.
I, 1: et cum omnium artium quae ad redam vivendi viam pertinerent, ratio et discipli
na studio sapientiae, quae philosophia dicitur, contineretur, hoc mihi Latinis litteris
illustrandum putavi, non quia philosophia Graecis et litteris et doctoribus percipi non
posset, sed meum semper iudicium fuit omnia nostros auf accepta ab i/lis fecisse
meliora, quae quidem digna statuissent in quibus elaborarent. E in I, 3: philosophia
iacuit usque ad hanc aetatem nee ullum habuit lumen litter arum Latinarum: quae in
lustrando et excitando no bis est ut, si occup t i profuimus aliquid ci vi bus n osiris, pro
simus etiam si possumus otiosi, eec. . . .

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C MUNICAZI NI

to famine mentis (poes a II, v. 24): come appunto nella prosa impl cita
mente contenuto questo contrasto: hune vero eleaticis atque academia's
studiis innutrituml (prosa I, 36 7): anche nella prosa II: lethargum pati
tur, communem inlusarum mentium morburn. Sui paulisper oblitus est,
recordabitur facile si quidem nos ante cognoverit, quod ut possit, pau
lisper lum i na eius mo rta I i um rerum nube ca I iga nt i a t ergo m us. Ha ec di
xit oculosque meos fletibus undantes contracta in rugam oeste siccavit.
Il carme III precisamente l'albeggiare di questa speranza e il progres
sivo rischiararsi della mente. Nel carme IV esaltata la fermezza del
saggio conforme alFassunto della prosa III, essere il volgo clegli impro
bi nemico ed ostile ai buoni: qui si quando (l'esercito dei pessimi)
contra nos aciem struens valentior incubuerit, nostra quidem dux copias
suas in arcem contrahit, Uli aero circa diripiendas inutiles sarcinulas
occupantur, at nos desuper inridemus vilissima rerum quaeque rapientes
securi totius furiosi tumultus eoque vallo muniti quo grassanti stultitiae
adspirare fas non sit. E ai vv. 11-12 il richiamo ai fen tyranni forse
ispirato alla memoria di Seneca nella stessa prosa III (riga 30). Ma di
fronte alla te rica indifferenza del saggio c' il morso del dolore, e
Boezio quindi nel carme V canta, in contrasto all'ordine della natura, il
prevalere degli empi sugli innocenti: e canta proprio lui che nella prosa
IV, accennando alie proprie disgrazie conclude: videre autem videor ne
farias sceleratorum officinas gaudio laetitiaque fluitantes perditissimum
quemque novis delationum fraudibus imminentem, lacere bonos nostri di
scriminis terrore prostratos, flagitiosum quemque ad audendum quidem
facinus impunitate, ad efficiendum vero praemiis incitari, insontes autem
non modo securitate verum ipsa etiam defensione privatos (IV, 153-60).
Per proceder con un certo ordine bisogna graduare le cure: sed quoniam
plurimus tibi affectum tumultus incubuit diversumque te dolor ira maeror
distrahunt, uti nunc mentis es, nondum te validiora remedia (1) contin
gunt. Itaque lenioribus paulisper utemur, ut quae in tumorem perturbatio
nibus influentibus induruerunt, ad acrioris vim medicaminis recipiendam
tactu blandiore mollescant (V, 36 ss.), che ripreso nel carme VI con
signante a compiere ogni cosa con ordine e cautela.
A chiusura di questo primo libro, che veramente introduttivo all'o
pera, c' nel carme VII Tinvito a sgombrar 1'animo dalle passioni: gaudia
(1) Si veda al riguardo anche I, 6, 52, sed quoniam firmioribus remediis nondum
tempus est et earn mentium constat esse naturam ut, quoties abiecerint aeras falsis
opinionibus induantur, ex quibus orta perturbationum ca Ugo verum ilium con fun dit in
tuitum, bane paulisper lenibus mediocribusque fomentis attenuare temptabo . . .

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COMUNICAZI N!

peile I peile imorem / spemque f galo / nee dolor adsit (v. 25-8) con
forme alla prosa VI dove si parla di perturbationum morbus (riga 22) di
hi perturbationum mores, ea valentia est ut mooere qui dem loco hominem
possint, conveliere autem sibique totum exstirpare non possint (riga 28-30)
e infine . . . ex quibus orta perturbationum coligo verum ilium confundit
intuitum ... ut dimotis fallacium affectionum tenebris splendorem verae
luci's possis agnoscere.
Nel II libro la Ia prosa, come la prima poes a, si riferiscono alla
fortuna con corrispondenza quasi perfetta (e anche II, 27-9). Nel II car
me si parla degli uomini, che mai sono contenti della loro situazione
che sempre pi di quello che sarebbe loro proprio: ed in fondo Io
stesso pensiero della II prosa l dove la fortuna mostra che essa toglie
c o che solo suo, e non pi , ed anzi se mai non tota si allontanata
(riga 41) da Boezio: nunc mihi retrahere manum libet: babes gratiam ve
lut usus alienis, non babes ius querelae tamquam prorsus tua perdideris
(riga 13-4 e ancora cap. III, 13 ss.). E su questo motivo della caducit
e mutabilit di tutte le cose si insiste (ed ovvio dato il fatto perso
nale di Boezio) nel carme III: crede fortunis hominum caducis, / bonis
crede fugacibus. / Constat aeterno positumque lege est, / ut constet ge
nitum nihil che sviluppa con esempi desunti dalia natura quanto conte
nuto nelle ultime righe del cap. III, 43 ss.: ullamne humanis rebus inesse
constantiam reris, cum ipsum saepe hominem velox hora dissolvat?
Tranquillo sara colui che si accontenter di costruire sicuramente la
sua casa humili saxo canta Boezio nel carme V, svolgendo in forma
immaginosa quanto ha detto nella prosa IV su quelli che cercano la fe
licita o in questa o in quella cosa: quid igitur o mortales extra petitis
intra vos positam felicitatem? (IV, 67-8) Paucis enim minimisque natura
contenta est (V, 42); o praeclara opum mortatium beatitudo quam cum
adeptus fueris securus esse desist s (98-9) dice Boezio al cap. Vea
conferma canta poi dell'et dell'oro, tranquilla e serena nella sua sem
plicit . Felix nimium prior aetas / contenta fidelibus arvis / . . . Tanto
pi che la potenza, che uno dei beni pi anelati dagli uomini, pu
capitare anche ad empi come Nero ie, senza renderli in nulla migliori:
celsa num tandem valuit potestas / verter ignavi rabiem Neronis? (car
me IV, 14-15). E prosa VI, 3: quae si in improbissimum quemque ceci
der uni, quae fl am mis A etna e eructuantibus, quod diluvium tantas st rages
dederint? e 38 ss. ad haec si ipsis dignitatibus ac potestatibus inesset
aliquid naturalis ac proprii boni numquam pessimis provenirent; e 63:
postremo idem de tota concludere fortuna licet in qua nihil expeiendum

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COMUNICAZIONl

nihil natiuae boniiatis inesse manifestum est, quae nee se bonis adiungit
et bonos quibus fuerit adluncta non efficit. Altrettanto in questa nostra
esigua terra, nulla la gloria e pure sommersa dalia morte (carme VII):
che ripresa dal cap. VII, desunto in parte dal Somnium Scipionis co
me sopra si visto: videsne igitur quam sit augusta quam compressa
gloria quam dilatare ac propagare laboratis? (r. 32-34), e prima ancora
(19 ss.) in hoc igitur minimo pundi quodam puncto circumsaepti atque
conclusi de pervulgando fama de proferendo nomine cogitatis? ut quid
habeat am plum magnificumque gloria tam august is exiguisque limit ibus
artata? Chiude questo libro, di eui il problema della Fortuna stato al
centro, un canto all'amore che tutto unisce, e permette Fordinato avvi
cendarsi delle cose:
quod mundus stabili fide
concordes vari t vices,
quod pugnantia semina
foedus perpetuum tenent,

e il richiamo alla stabili fide sembra opporsi del tutto alla fortuna che
semper vera est cum se instabilem mutatione demonstrat (prosa Viii, ri
ghe 10-11). Ma la fortuna colle sue improvvise mutazioni ha il pregio
di mostrare a noi il vero volto degii amici: an hoc inter minima aesti
mandum putas quod amicorum tibi fidelium mentes haec spera haec hor
ribles fortuna detexit, haec tibi certos sodalium vultus ambiguosque se
crevit. . . desine amissas opes quaerere, quod pretiosissimum divitiarum
genus est, amicos invenisti (18-24): e anche percio si richiama nella
poesia VIII la legge dell'amore: hie (e cio F amore) fidis etiam sua
dict t iura sodalibus (v. 26-7). Ormai sgombrato F animo dai falsi beni,
Boezio pu addentrarsi decisamente nei pi ardui problemi, con tanto
maggior gaudio quanto pi prima la sua mente era ottenebrata dal cuo
re: cosi comincia il III libro: tu quoque falsa tuens bona prius / incipe
coila iugo retrahere. / Vera dehinc animum subierint (carme I, v. 11-13).
E questo pensiero, che cio tanto pi si gode il bene quanto pi si
visto il male, espresso pure nella prima prosa: sed quae tibi causa no
tior est, earn prius designare verbis atque informare conabor, ut ea per
specta cum in contrariam partem flexeris oculos, verae beatitudinis spe
ciem possis agnoscere (righe 21 e ss.). E si noti altresi che dell'uomo,
della sua pi vera natura, la ricerca del bonum: omni's mortalium eura...
diverso quidem calle procedit, sed ad unum tarnen beatitudinis finem nititur
pervenire (cap. II, righe 2-5): est enim mentibus hominum veri boni natura

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liter inserta cupiditas, sed ad falsa devius error abducit (righe 13-15). Bo
num est igitur quod tam diversis studiis homines petunt; in quo quanta sit
naturae vis facile monstratur, cum licet variae dissidentesque sententiae
tarnen in diligendo boni fine consentiunt (72 ss.) e nella seguente prosa
III (righe 4-5) eoque vos et ad verum bonum naturalis ducit intentio et
ab eodem multiplex error abducit. Su questo pensiero discute e si ferma
la poesia II nel sostenere che ogni essere anche se tempor neamente
sviato, finisce per per seguir sempre la sua natura: cosi il leone sen
te ridestarsi Tantico animo, anche se addomesticato, alla vista del san
gue; cosi Tuccellino in gabbia anche se sta bene, silvas tantum maesta
requirit, cosi la canna moment neamente piegata ... si curvans dextra
remisit, / recto spectat v rtice caelum. Infatti non sono adatti a dare al
la natura umana felicita le ricchezze (1); il terna del carme III e della
prosa III: quod si neque id valent (sc. pecuniae vet honores) efficere
quod promittunt bonisque pluribus carent, nonne liquido falsa in eis bea
titudinis species deprehenditur? . . . Atqui, inquam, libero me fuisse ani
mo quin aliquid semper angerer, reminisci nequeo (r. 11-19) e riga 52-4:
quare si opes nee summovere possunt indigentiam et ipsae suam faciunt,
quid est quod eas sufficientiam praestare credatis? Neppure gli onori
honorabilem reverendumque eui provenerint reddunt. Num vis ea est ma
gistratibus ut utentium mentibus virtutes ins rant, vitia depellant? (righe
1 ss.) e la poesia IV, riprendendo un motivo di II, VI ricorda Nerone
luxuriae . . . saevientis. Non parliamo poi della potentia (III, V) che
fonte anzi di novelle angustie: quae est igitur haec potestas quae solli
citudinum mor sus expeliere, quae formidinum ac leos vitare nequit? atqui
vellent ipsi vixisse securi, sed nequeunt: e la poesia III, V ribadendo il
concetto della prosa (v. 8-10) . . . atr s pellere curas / miserasque fu
gare quer las j non posse potentia non est completa che vera potenza
vincere i perversi istinti: qui se volet esse potentem / nimos dornet
Hie feroces / nee vieta lib dine coila / foedis summittat habenis (v. 1-4).
ltrettanto fallace la gloria, inane e futile nobilitatis nomen (prosa VI
r. 20 ss. ): quae si ad claritudinem refertur, aliena est. Videtur namque esse
nobilitas quaedam de meritis veniens laus parentum: sostanzialmente tutti
abbiamo gli stessi natali, avverte il carme VI; quid genus et proavos sire
pitis? si primordio vestra / auetoremque deum species, nullus degener
exstat, j ni vitiis peiora fovens proprium deserat ortum. N tanto meno
(1) Si noti che in questa sezione del III libro si ripetono se pure con altro atteggia
mento motivi sull'inutilit della potenza, ricchezze, eec. del II libro: onde si potrebbe pen
sare alla fusione di due parti (cfr. pure SEMERIA, op. cit., pag. 62).

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dan felicita i piaceri, quorum appetentia quidem plena est anxietatis, sa


tietas poenitentiae (prosa VII, 2-3) . . . tristes vero esse voluptatum exi
tus, quisqu s reminisci libidinum suarum volet, intelliget. Infatti simile alie
api, la voluptas, ubi grata mella fudit, / fugit . . . immaginosamente si
esprime il carme VII. Eppure sanno dove si trovino tutti i beni vani, sed
quonam lateat quod cupiunt bonum, / nescire caeci sustinent (poesia VIII,
v. 15-16), giacch ricchezze onori gloria eec. sono devia quaedam . . .
nee perducere quemquam eo valeant ad quod se perducturas esse pro
mittunt (prosa VIII, 2-4) e riga 29-30: ex quibus omnibus illud redigere
in surnmam licet, quod haec quae nee praestare quae pollicentur bona
possunt nee omnium bonorum congregatione perfecta sunt, ea nee ad
beatitudinem quasi quidam calles ferunt nee beatos ipso perficiunt.
Chiarito cosi nella prosa IX che la beatitudo non puo essere data
da ci che in his mortalibus caducisque rebus (riga 84), la filosof a
invoca nel carme IX divinum praesidium:
da pater augustam menti conscendere sedem (v. 22).

La vera beatitudo in Dio, in eui c' pace e quiete: haec erit vo


bis requies laborum, / hie portus placida manens quiete, I hoc patens
unum miseris asylum (1) (carme X, 4-6) e prosa X, 33 ss.: sed perfec
tum bonum ver am esse beatitudinem const ituimus: ver am igitur beatitudi
nem in summo deo sitam esse necesse est; 71 ss.: atqui et beatitudinem
et deum summum bonum esse collegimus, quare ipsam necesse est sum
mam esse beatitudinem quae sit summa dioinitas, e 133 sed deum veroni
que beatitudinem unum atque idem esse monstravimus.
Un generale finalismo presiede aila vita delle cose e si quid est ad
quod universa festinant, id erit omnium summum bonorum (prosa XI, r.
109-10). In questa affermazione e conclusione di Boezio la filosof a ri
conosce l'affiorare di una celata verit : in hoc patuit tibi quod ignorare
te paulo ante dicebas: e la poesia corrispondente XI tratta plat nicamen
te deir av avr,^; (2): quod quisque discit immemor recordatur, dal che
traggono spunto anche le prime righe del successivo capitolo XII . . .
Piatoni, inquam, vehementer assentior, nam me horum iam secundo com
m moras, primum quod memoriam corp rea contagione, dehinc cum m ae
ro n's mole pressus amisi. Chiude questo III libro, quasi riassumendone il

(1) Per eventuale reminiscenza dal Vangelo, Matteo XI, 28, si veda SEMERIA, op- cit.,
pag. 104.
(2) Sulla reminiscenza sempre si veda SEMERIA, op. cit., pag. 86.

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contenuto e additandone il senso profondo, un canto che, con spiriti


virgiliani, definisce felix qui potuit boni / fontem visere lucidum, ma av
verte in pari la difficolt di raggiungere senza deviazioni la verii : e si
ricordi, riguardo al conseguimento della m ta, anche la prosa XII, 25 :
cum haec inquit ita sent as, parvam mihi restare operam puto, ut feli
citous compos patriam sospes revisas.
Il IV libro si preannuncia subito nel I carme con un volo di pinnae
volucres che portano in patria : ed immagine, questa, ripresa proprio
dalle ultime righe della I prosa: et quoniam verae formam beatitudinis
me dudum monstrante vidisti, quo etiam sita sit agnovisti, decursis omni
bus quae praemittere necessarium puto, viam tibi quae te domum revehat
ostendam. Pinnas etiam tuae menti quibus se in allum tollere possit adfigam
ut periurbatione depulsa sospes in patriam meo ductu mea semita mei's
etiam vehiculis revertaris. Ma solo i saggi possono compiere i loro deside
ri, il conseguimento cio del bonum, mentre i malvagi non hanno il potere
di raggiungerlo, pur sospirando continuamente variam per cupiditatem (II
prosa, righe 61-2) ad esso: non facit quod optat ipse (tyrannus) domini's
pressus iniquis (carme II, v. 10), e prosa 11,135 ss.: veramque Ulam Pla
tonis esse sententiam liquet solos quod desiderent facer posse sapientes.
Solo un'apparenza il potere dei tiranni, nella realt essi sono schiavi
delle pi diverse passioni: libido, ira, maeror, spes come canta sempre
il canto II: e rincalza la prosa II, righe 106 ss.: sed possunt, inquies, ma
li. Ne ego quidem negaverim, sed haec eorum potentia non a viribus sed
ab imbecillitate descendit. Possunt enim mala, quae minime valeren!, si
in bonorum efficientia manere potuissent. Quae possibilitas eos eviden
tius nihil posse demonsirat. E del resto perspicuum est numquam bonis
proemio, numquam sua sceleribus d esse supplicia (III, 3): tutto ci anzi
che si allontana dal bene cessa di essere, particolarmente Y uomo si
abbassa ai livello degli animali: ita fit ut qui probitate deserta homo es
se desierit, cum in divinam condicionem transir non possit, vertatur in
beluam (III, r. 64-6): e il carme esemp fica con gli esempi dei compa
gni di Ulisse trasformati nei pi svariati animali. Per eui i cattivi sono
degli infelici, e tanto pi quanto pi impunemente esercitano la loro
malvagit : onde non meritano odio, ma compassione da parte dei saggi:
quo fit ut apud sapientes nullus prorsus odio locus relinquatur. Nam bo
nos quis nisi stultissimus oderit? Malos vero odisse ratione caret. Nam
uti corporum languor ita vitiositas quidam est quasi morbus animorum ;
cum aegros corpore minime dignos odio sed potius miseratione iudicemus,
multo magi's non insequendi sed miserandi sunt quorum mentes omni lan

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guore atrocior urgei improbitas (III, righe 138 ss.). Il saggio quindi che
ama i buoni, come ovvio, e ha piet dei mali annuila per s ie ragio
ni delle guerre, mezzo di sterminio escogiiato dagli uomini eui non ba
sia essere esposti a rischi d'ogni genere, e che pare vogiiano affreiiare la
morie, come se essa non sopraggiungesse gi naturalmente: ecco come il
IV carme completa la prosa corrispondente. Ma Boezio non sa f cilmente
rassegnarsi che in un ordine provvidenziale: osserva che scelerum. . . sup
plicia bonos premant, praemia uirfutum mali rapiant, e la filosof a allora ri
sponde nee mirum, inquit, si quid ordinis ign rala ratione temerarium confu
sumque credatur (prosa V, r. 22-3), perch , come ribadisce il carme V,
le cause latentes peciora turbant (v. 18 ss.) e noi ci meravigliamo delle
cose che non comprendiamo (e si cfr. anche l'inizio del cap. Vi). Qui la
discussione si amplia, la filosof a riconosce la difficolt deirargomento,
e Ia considerazione s'appunta sui problema dell7 ordine di tutte le cose:
omnium generatio rerum cunctusque mutabilium naturarum progressus et
quidquid aliquo movetur modo, causas ordinem formas ex dioinae men
tis stabilitate sortitur (VI, righe 21 ss.); ordo namque fatalis ex providen
tiae simplicitate procedit (41); ea series caelum ac sidera mouet, elemen
ta in se invicem temp r t et alterna commutatione transformat (77 ss.);
quo fit ut iametsi vobis hunc ordinem minime considerare ualentibus con
fusa omnia perturbataque uideantur, nihilo minus tarnen suus modus ad
bonum dirigens cuneta disponat (89 e ss); hie iam fit illud fatalis ordinis
insigne mi raoul um cum ah sciente geritur quod stupeant ignorantes (117
ss.); hie igitur quidquid citra spem videos geri, rebus quidam rectus ordo
est, opintoni vero tuae perversa confusio (125 ss.); ordo enim quidam
cuneta complectitur (182-3) e anche 190-95: hoc tanium perspexisse suf
ficiat, quod naturarum omnium proditor deus idem ad bonum dirigens cun
da disponat, dumque ea quae proiulit in sui similitudinem reti ere festinat
malum omne de rei publicae suae termini's per fatalis Seriem necessito
us eliminet: e il carme VI canta immaginosamente F ordine c smico. A
confermare la legge generale d'ordine c' il carme VII che promette,
dopo e in ricompensa degli sforzi, il trionfo: . . . sup rala tellus / sidera
donal', onde riceve rilievo quanto detto nella prosa VII cum omnis for
tuna vet iucunda vel spera tum remunerandi exercendive bonos tum pu
niendi corrigendive improbos causa deferatur, omni's bona (righe 4 ss.);
e 30 ss.: ex his enim, ait, quae concessa sunt, evenit eorum quidem qui
[vel] sunt vel in possessione vel in provecta vel in adeptione virtutis,
omnem quaecumque sit bonam,. . . quare. . . ita vir sapiens moleste ferre
non d bet, quotiens in fortunae certamen adducitur. ut virum fortem non de

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cet indignan, quotiens increpuit bellicus tumultus. Utrique enim huic quidem
gioriae propagandae HU vero conformandae sapientiae difficultas ipsa ma
teria est. Insomma ogni fortuna o lieta o triste in fondo buona perch
permette ai saggi di provare ia loro virt e raggiungere cosi il trionfo.
Il V libro concerne quasi esclusivamente il difficilissimo problema della
concordia tra libero arbitrio e prescienza divina: e premette nel I capi
tolo una discussione sui caso: ma anche questo non contrasta alla ge
nerale legge di ordine che si vista presiedere aile cose, perch , come
avverte il carme I, 11-12: sic quae permissis fluitare oidetur habents /
fors patitur frenos ipsaque lege meat che rida, hoc igitur fortuitu quidem
creditur accidisse; verum non de nihilo est, nam proprias causas habet
quorum improvisus inopinatusque concursus casum oidetur operatus (ri
ghe 40 e ss.) e (50 e ss.): licet igitur definir casum esse inopinatum ex
confluentibus causis in his quae ob aliquid geruntur eoentum. Concurrere
vero atque confluere causas facit ordo Ule ineuitabili conexione proce
dens, qui de prooidentiae fonte descendens cuneta suis locis temporibus
que disponit. Ma Iddio, magni conditor orbis, tutto vede uno mentis in
ictu (carme II, v. ll); quae tarnen Ule ab aeterno cuneta prospiciens pro
oidentiae cernit intuitus (prosa II, r. 26 ss.). Sicch sorge naturale la do
manda come si conciliino prescienza divina e libero arbitrio umano: e la
nostra ignoranza ma insieme curiosit di approfondire oeri... tectas no
tas si spiegherebbero coila reminiscenza (1): igitur quisque oera requi
rit I neutro est habitu: nam neque nooit / nee penitus tarnen omnia n es cit
(25 ss.): si veda al riguardo di questa difficolt la prosa III, 3 ss.: Ni
mium, inquam adoersari ac repugnare oidetur praenoscere unioersa deum
et esse ullum libertatis arbitrium e sulle cause di essa III, 6-8: cuius ca
liginis causa est quod humanae ratiocinationis motus ad dioinae prae
scientiae simplicitatem non potest ammooeri. La difficolt maggiore sta
nel fatto che noi compariamo alla nostra la conoscenza divina, come se il
conoscere fosse una pura passivit - quale era ritenuto dagli stoici -
e non anche attivit del conoscente (2): cuius erroris causa est, quod
omnia quae quisque nooit ex ipsorum tantum oi atque natura cognosci
aestimat quae sciuntur. Quod totum contra est. Omne enim quod cogno
scitur non secundum sui oim sed secundum cognoscentium potius com
prehenditur facultatem (prosa IV, 69 ss.) e 110 ss.: oidesne igitur ut in
cognoscendo cuneta sua potius fac ltate quam eorum quae cognoscuntur

(1) SEMERIA, op. cit., pagg. 86-7.


(2) SEMERIA, op. cit., pagg. 87-88.

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COMUNICAZIONI

utantur? eque id iniuria: nam cum omne iudicium iudicantis actus existai
necesse est ut suam quisque operam non ex aliena sed ex propria pote
state perficiat e il carme IV ripete questo concetto, polemizzando con
gli obscuri senes del porticus. E Topera termina con un appello alTuo
mo - preso da tradizione retorico - protrettica - di guardare sempre
alTalto, come sembra comandargli il suo stesso corpo eretto:
Unica gens hominum eel sum le oat al Hus cacumen
atque levis recto stat corpore despicitque terras

( Carme V, ll ss. )

e di superarsi quasi nel divino:


Haec, nisi terrenus male desipis ammonet figura
qui recto caelum vultu petis exerisque frontem
in sublime feras animum quoque, ne graoata pessum
inferior s i dat mens corpore celsius leuato

e an logamente la prosa V conclude: quare in illius summae inteilegen


tiae cacumen si possumus erigamur e la prosa VI ultima delT opera con
clude precisamente con T invito a sollevare T animo a rette speranze ed
a porgere umili preghiere all'alto .
Concludendo, i carmi corrispondono in tutto ai brani di prosa da
eui sono preceduti, talvolta anche, anticipando i brani seguenti, servono
di collegamento: essi sviluppano e trattano gli argomenti non solo mar
ginali, ma anzi i centrali dei singoli capitoli prosastici, e mentre in que
sti la discussione puramente te rica, nelle po sie si ha per lo pi una
pratica esemplificazione, incarnando in figure, fatti, ed immagini (molto
spesso desunte dalia natura: cielo, stagioni, eec.) gli asserti puramente
filosofici: vivificando la esposizione e insieme mostrando anche per que
sta via quel l game tra pensiero e vita, tra speculazione e attivit , che
uno degli aspetti caratteristici della consolatio. Essi carmi sono come
Taccompagnamento musicale, in ogni sua gamma e vibrazione, della di
scussione: sono Teco e i! riflesso quasi sensibile e tangibile delle im
pressioni che suscita nell' anima la rivelazione delle supreme verit .

LUIGI ALFONSI

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