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NON RECIPIT MENDACIUM VERITAS, NEC PATITUR RELIGIO IMPIETATEM

LA REAZIONE DI ILARIO DI POITIERS CONTRO LA


LEGISLAZIONE DELL’IMPERATORE COSTANZO

Introduzione

Come risulta dal titolo stesso la ricerca va condotta sul significato del
termine religio nel pensiero di Ilario. Vorrei porre l’attenzione soprattutto
sui testi presi dalla sua opera Contra Constantium (Contro l’imperatore
Costanzo), dal quale è stata tratta la citazione che fa parte del titolo,
sebbene gli stessi significati della parola religio, in parte si possono
incontrare anche in altre opere del vescovo di Poitiers. L’indagine su
questo testo ci farà capire la complessità del problema e dei rapporti che
c’erano tra il potere imperiale e le autorità ecclesiastiche rappresentate
dai vescovi, nonché la comprensione ilariana della fede cristiana in quanto
concepita come la vera ed autentica religione. Si potrà ravvisare anche in
che modo Ilario vede i campi di rispettiva competenza tra la Chiesa e lo
Stato, ossia quello dei vescovi e quello dell’imperatore. La ricerca perciò
sarà articolata in tre punti: innanzitutto bisogna esporre il quadro storico-
politico e le vicende nelle quali è stato coinvolto anche sant’Ilario a causa
delle decisioni dell’imperatore Costanzo. Il secondo momento è quello di
esaminare l’intervento del Vescovo di Poitiers, per poterne dare alla fine,
come terzo punto, una valutazione teologica.

1. Il contesto e il presupposto storico-teologico

Prima di tutto, per poter valutare rettamente la posizione di Ilario


presa contro l’imperatore Costanzo nell’opera intitolata proprio Contra
Constantium1, bisogna inserire questo scritto nel contesto storico precisando le
vicende che l’hanno motivato. Il vescovo di Poitiers appunto, si è trovato

1
Cf. Hil. Pict., Contra Constantium imperatorem Liber Unus (PL 10, 577-606). Mi
servo pure della traduzione italiana: Ilario di Poitiers, Contro l’imperatore Costanzo,
Roma 1997 (trad., introduzione e note a cura di L. Longobardo).
2 IVAN BODROŽIĆ

di fronte delle decisioni politiche dell’imperatore nei confronti della


Chiesa stessa che hanno provocato la sua reazione. E quindi è stata scelta
quest’opera come la più indicativa delle opere ilariane dalla quale si potrà
capire meglio lo scontro che è avvenuto tra l’autorità ecclesiastica e quella
imperiale, nonché si potrà analizzare il perché dell’opposizione dei
vescovi alle decisioni dell’imperatore.
Dopo una serie di perturbazioni politiche, e una volta diventato
padrone esclusivo e assoluto dell’impero (nel 353), Costanzo si schiera
apertamente e interamente dalla parte ariana, o più precisamente
cominciando a favorire la teologia dei cosiddetti omei2. Una volta
raggiunti gli scopi politici anche la sua politica ecclesiastica si radicalizza
cosicché comincia a perseguitare l’ortodossia intendendo estendere la
propria competenza a un campo che è prettamente religioso, a patto pure
che sottometta sia la nuova che la vecchia religione al potere imperiale3. In
tale contesto diventa l’avversario tenace della formula nicena che
professava Figlio, la seconda persona della Trinità, consustanziale al Padre.
Si servì del potere imperiale per fare pressione sui vescovi, obbligandoli a
sottoscrivere le formule di fede elaborate dai circoli di vescovi e teologi
ariani. Lui come legislatore dell’impero voleva essere anche il legifero
della Chiesa imponendosi come arbitro in materia religiosa.
Dal momento in cui Costanzo s’impadronisce del potere fino alla
redazione di quest’opera ilariana, si sono verificati diversi interventi che
hanno spinto Ilario a redigere il suo Contra Constantium. Questi momenti
cruciali li possiamo riassumere in due serie. I suoi primi interventi erano
piuttosto disciplinari e riguardavano la condanna di Atanasio, che
Costanzo voleva ottenere ad ogni costo da tutti i vescovi cattolici.
Nonostante si trattasse piuttosto di sinodi disciplinari, tuttavia non erano
senza ripercussioni dottrinali. Per quanto riguarda questi, possiamo
elencare alcuni eventi più importanti: inizio 353, Sinodo di Arles; inizio
355, Sinodo di Milano; fine 355, papa Liberio esiliato; primavera 356,
Sinodo di Béziers. Dopo questi sinodi, per la disobbedienza all’imperatore,
sono stati esiliati rispettivamente i vescovi Paolino di Treviri, Lucifero di
Cagliari, Eusebio di Vercelli, Dionigio di Milano, lo stesso Ilario.

2
Cf. L. Ayres, Nicea and Its Legacy: An Aproch to Fourth-Century Trinitarian
Theology, Oxford 2004, 133-140; M. Simonetti, Omei, in Nuovo Dizionario Patristico e di
Antichità Cristiane, Genova-Milano 2007, 3599-3600.
3
Per i dettagli vedi P. Siniscalco, Il cammino di Cristo nell’Impero romano, Roma-
Bari 1987, 205-206. L’autore arriva alla conclusione che in sostanza l’imperatore
sopprime la vecchia, mentre opprime la nuova religione.
LA REAZIONE DI ILARIO DI POITIERS CONTRO LA LEGISLAZIONE DELL’IMPERATORE COSTANZO 3

In seguito poi ci sarà un’altra serie di sinodi, piuttosto dottrinali che


disciplinari, maneggiati e manipolati dallo stesso imperatore. In questa
seconda serie di sinodi l’imperatore ha provato a creare altre formule di
fede per sopprimere o sostituire quella nicena. Così si ebbero i sinodi a
Sirmio (estate 357), Ancira (Pasqua 358), Sirmio (358), Sinodo datato di
Sirmio (22 maggio 359), Seleucia e Rimini (estate-autunno 359). Nei
suddetti sinodi la “teologia imperiale” proibiva di parlare della sostanza
(Sirmio, 357), sopprimeva le parole homoousios e homoiousios dando ampi
spazi agli acaciani che professavano la somiglianza tra il Padre e il Figlio4.
Lo stesso Ilario, coinvolto come vittima dall’inizio, direttamente nelle
decisioni imperiali, è stato testimone e partecipe anche delle vicende
posteriori. Non volendo firmare la condanna di Atanasio, chiesta ai vescovi
e imposta già dal 351, Ilario è stato mandato in esilio (356-360) per volontà
dell’imperatore filoariano. Essendo stato in Frigia ha avuto l’opportunità
di assistere e seguire da vicino le discussioni al concilio di Seleucia (359) e
di Costantinopoli (360). In questo periodo Costanzo, volendo per forza
sopprimere l’homoousios del concilio di Nicea e l’homoiousios degli
omeousiani e per forza sostituirla con altre formule, ossia con l’espressione
homoios (‘simile’), decide altri provvedimenti contro la Chiesa e contro i
vescovi cattolici5. Siccome i vescovi occidentali riuniti al concilio di Rimini
avevano ceduto alle pressioni dell’Imperatore e avevano sottoscritto la
sottoposta formula, Ilario, scosso e costernato da tali notizie, decise di
reagire più apertamente chiedendo dapprima di sostenere un pubblico
dibattito con Saturniro di Arles (cf. Ad Const. II)6. Non essendo stata
esaudita la sua richiesta egli attacca l’imperatore con un altro opuscolo
intitolato Contra Constantium.

2. Il concetto di religio nel Contra Constantium

In questo contesto Ilario accusa l’imperatore per l’empietà inaudita,


ossia per l’irreligiosità di massimo grado denunciando il suo atteggiamento
come inammissibile. Il vescovo di Poitiers lo paragona addirittura ai
persecutori più feroci della Chiesa quali Nerone, Decio e Massimiano7.

4
Cf. H. Jedin, Velika povijest Crkve II (Grande storia della Chiesa, edizione croata),
Zagreb 1995, 42-47; Hil., Contra Const. 14.
5
Cf. Hil., Contra Const. 14-15.
6
M. Simonetti, Ilario di Poitiers e la crisi ariana in Occidente, in Patrologia, vol. 3,
Milano 1978, 36-37.
7
Cf. Hil., Contra Const. 4; 7; 8.
4 IVAN BODROŽIĆ

Mentre nelle opere precedenti, Ilario puntava il pungolo sui suoi cattivi
consiglieri8, in quest’opera invece egli accusa direttamente l’imperatore,
coraggiosamente e senza risparmiarlo, di inaudita falsità religiosa. Proprio
il termine religio ci può aiutare a capire di che tipo di scontro si trattava,
perché l’imperatore Costanzo ha agito in nome della religione e in base ai
suoi doveri nei confronti della religione, ritenendo un proprio dovere
ristabilire l’unità religiosa dell’impero. Secondo l’interpretazione di Ilario,
l’Imperatore fingeva soltanto di essere cristiano e di avere la vera pietà
(religio), ma non credendo nella divinità di Cristo combatteva la fede di
coloro che credevano in lui:
T’insinui con il falso nome (sc. di cristiano), uccidi con lusinghe, consumi
l’empietà sotto l’apparenza della religione, falso predicatore di Cristo
distruggi la fede in Cristo9.
Secondo Ilario tale comportamento perverso è veramente diabolico e
più pericoloso per la Chiesa dalla stessa persecuzione cruenta perché non
esita ad ingannare i fedeli con i mezzi più raffinati e subdoli trascinandoli
via dalla retta fede e dall’unica Chiesa di Dio:
Non lasci agli sventurati neanche la giustificazione di subire per il loro
giudice eterno le pene e le cicatrici dei loro corpi dilaniati, affinché siano
discolpati per la loro debolezza. Sei il più scellerato dei mortali, tu che
regoli così bene i mali della persecuzione da escludere sia il perdono per i
peccatori che il martirio per i confessori. Ma quel padre tuo, artefice della
morte degli uomini, ti ha insegnato a vincere senza opposizione, sgozzare
senza spada, perseguitare senza disonore, odiare senza sospetto, mentire
senza smascherarti, professare la fede senza la fede, lusingare senza
benevolenza, fare quello che vuoi senza manifestare le tue intenzioni10.
Come si vede dal testo citato Ilario è consapevole che il metodo di cui
si serviva l’imperatore era assai scorretto e malizioso e perciò ha provato a
smascherarlo con il suo scritto, avvertito e istruito dalle parole dello stesso
Signore che insegnava ad essere attenti anche a coloro che non
perseguitano apertamente, ma fanno tanti danni spirituali ai fedeli11. Uno
dei trucchi ingannevoli dei quali si serve l’imperatore è di accusare i

8
Cf. Hil., Ad Const. II, 2-3. Ilario scarica la colpa soprattutto sul vescovo
Saturnino di Arles.
9
Hil., Contra Const. 8: Subrepis nomine, blandimento occidis, specie religionis
impietatem peragis, Christi fidem Christi mendax praedicator exstinguis.
10
Ibid. 8.
11
Cf. Ibid. 10. Ilario cita il monito del Signore che invita i suoi discepoli a
guardarsi dai falsi profeti che vengono in veste di pecora, ma dentro sono i lupi
rapaci (cf. Mt. 7, 15-16).
LA REAZIONE DI ILARIO DI POITIERS CONTRO LA LEGISLAZIONE DELL’IMPERATORE COSTANZO 5

cattolici di introdurre le inammissibili novità dottrinali a differenza degli


ariani che avrebbero mantenuto la fedeltà alla dottrina tradizionale della
Chiesa. Per Ilario non c’è nessun dubbio che l’imperatore in realtà, sotto
la scusa delle “novità” teologiche sopprimeva le formule di fede ortodossa,
mentre nello stesso tempo ne accettava le novità inammissibili che si
inventavano gli ariani:
Quando si offre un’occasione d’empietà, la novità viene ammessa; quando
invece si tratta dell’unica e massima difesa della fede (religionis cautela),
viene esclusa12.
È ovvio dal testo citato che, secondo Ilario, la difesa della fede (religionis
cautela) debba essere unica e massima e non gli dà fastidio l’intervento
come tale dell’imperatore, ma piuttosto il suo intervento inconsistente ed
arbitrario. Ogni intervento in materia religiosa, sia teologico che imperiale,
avrebbe dovuto prendere l’avvio dalla professione della retta fede della
Chiesa e poggiare su di essa. Se Ilario ammette la possibilità, o meglio non
nega che l’imperatore ha il potere di intervenire, precisa che il suo
intervento non dovrebbe prescindere dalle regole interne che sono da
rispettare. In tal senso, l’imperatore stesso, consapevole che avrebbe
dovuto richiamarsi anche lui alla regola della fede se avesse voluto passare
per imperatore cristiano, ha ideato la propria formula di fede, definita
invece da Ilario una “scaltra professione”:
Com’è scaltra la tua professione di fede che afferma che il Figlio è simile al
Padre secondo le Scritture, quando l’uomo soltanto è stato fatto a
immagine e somiglianza di Dio13.
Ovviamente la professione di fede che non corrisponde ai canoni della
verità della Chiesa conduce a un falso e perverso modo di onorare Dio
(religio), perché il culto si offre a Dio sulle basi di ciò che si crede. E se la
professione di fede è perversa e falsa, tutto il culto e il rapporto con Dio è
altrettanto perverso e falso. A questi testi nei quali Ilario non specifica
molto a che tipo di religione e di professione di fede si riferisce, bisogna
aggiungere gli altri nei quali Ilario ricorre al concetto religio con degli
appellativi specifici. In primo luogo è esplicito nel dire che si tratta della
religione divina. Controbattendo Costanzo e gli ariani che negavano la
reale figliolanza del Figlio nei confronti del Padre, Ilario si appella alla
rivelazione divina avvenuta nel momento del battesimo di Gesù e della sua

12
Ibid. 16: Ubi impietatis occasio patet, novitas admittitur: ubi autem religionis maxima
et sola cautela est, excluditur.
13
Ibid. 21: Quae ergo callida religionis tuae professio est, similem secundum scripturas
Patri Filium dicere; cum ad imaginem et similitudinem Dei homo tantum factus sit?
6 IVAN BODROŽIĆ

trasfigurazione sul monte (cf. Mt. 3, 17; 17, 5; 2 Pt. 1, 17) quando la voce
paterna ha chiaramente confermato la reale esistenza del Figlio:
Lui afferma chiaramente: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono
compiaciuto, e tu stabilisci che non c’è né figlio né padre, ma solo nomi di
adozione, appellativi esteriori e, novello persecutore della religione divina,
introduci un Dio che dice tutte cose false su se stesso14.
Oltre all’argomentazione sul piano dottrinale, è interessante notare
come Ilario in questo testo ci fa capire la propria idea della religione. Egli,
infatti, designando la religione cristiana con un appellativo molto
indicativo, cioè “divina”, fa capire che ormai questo concetto è carico di
un significato aggiuntivo rispetto ai tempi passati quando per religione si
intendeva la religione pagana. Dal momento che il cristianesimo è definito
“religione divina”, è chiaro che i suoi contenuti non sono mutevoli né
sottoposti all’arbitrarietà umana. Soltanto chi è temerario e sfacciato
avrebbe osato incidere su di essa in maniera inadeguata e, a suo avviso, è
proprio ciò che fa l’imperatore Costanzo, che di conseguenza viene
ritenuto e chiamato “persecutore” della medesima fede invece di
diventarne difensore. Il vescovo di Poitiers conosce la religione rivelata,
che proviene da Dio stesso e che diventa misura di ogni comportamento
religioso. Costanzo, per il fatto di non volerlo prendere sul serio, passa
quindi per persecutore e avversario della religione divina:
Intendi la santa comprensione delle parole, intendi la fede professata da
tuo padre, intendi la fiduciosa certezza della speranza umana, intendi la
coscienza del popolo che condanna eresia, e comprendi che sei l’avversario
della religione divina, il nemico della memoria dei santi e un ribelle contro
la retta fede di tuo padre15.
Ilario quindi gli elenca tutte le possibili istanze autorevoli che si
accordano in una testimonianza armoniosa e alle quali l’imperatore
avrebbe dovuto prestare ascolto. Tutto ciò risultava perché l’imperatore
non badava né al messaggio scritturistico né all’autorità della Chiesa né
all’esempio di suo padre Costantino né ci teneva al senso dei fedeli che
condannava come eresia né ravvisava che, rinnegando la divinità di Cristo,

14
Ibid. 9.
15
Ibid. 27 (PL 10, 583): Audi verborum sanctam intelligentiam, audi Ecclesiae
imperturbatam constitutionem, audi patris tui professam fidem, audi humanae spei
confidentem securitatem, audi haereticae damnationis publicum sensum, et intellige te
divinae religionis hostem, et inimicum memoriis sanctorum, et paternae pietatis haeredem
rebellem.
LA REAZIONE DI ILARIO DI POITIERS CONTRO LA LEGISLAZIONE DELL’IMPERATORE COSTANZO 7

avrebbe reso vane le speranze umane della salvezza, realizzata per mezzo
dell’opera salvifica dello stesso Cristo.
Alla fine c’è un ultimo testo dal quale si potrebbe dedurre che il punto
culminante arriva nel momento in cui Ilario afferma: «La verità non
ammette menzogna, la religione non sopporta l’empietà»16. Dalle parole
del Vescovo di Poitiers si ravvisa che egli intende la religione come un
dovuto modo di onorare Dio, in spirito e verità come dice il vangelo, che
non solo si distingue dall’empietà, ma non la ammette neanche
minimamente. Se nella religione si prescinde dalla verità, per di più si
tratta di verità divina e rivelata, si compie già un atto di empietà. Per poter
parlare rettamente della religione e della religiosità non si può escludere il
termine chiave quale “verità”, sia dal punto di vista oggettivo di un
determinato gruppo che in un certo modo onora Dio, sia dal punto di
vista soggettivo inteso come sentimento religioso di qualcuno. Sia uno che
l’altro senso si trovano presenti nel pensiero di Ilario perché la parola
religio ha tale valenza. Avviandoci alla conclusione si ravvisa che per Ilario
la vera religione/religiosità dista da quella falsa tanto quanto dista la verità
dalla menzogna.
Non solo è chiaro questo paragone, ma anche tutto il contesto della
polemica, testimonia quale importanza dava Ilario alla verità che non
andava per niente trascurata. Se esiste la verità divina circa gli argomenti
trattati, allora la vera religiosità, sia dal punto di vista personale che
ufficiale, non può fare a meno di cercare di capirla. Se poi esiste tale verità
bisogna sapere anche qual è l’autorità competente cui spetta di definirne i
contenuti. Ilario era dell’avviso che tale compito spettasse all’autorità
ecclesiastica e non a quella imperiale che si arrogava tali mansioni.
Proprio dal fatto che alla Chiesa spetta l’obbligo di insegnare la verità
divina, scaturisce la fermezza di Ilario che ormai non poteva tirarsi
indietro né mollare.

3. Osservazioni teologiche

3.1. Il rapporto tra Ilario e Costanzo

Ci si è chiesti il motivo di una reazione così violenta da parte di Ilario


contro l’imperatore Costanzo, visto che nelle opere precedenti non si è
mai spinto in una polemica così eccessiva. Anzi, prima è stato molto
riverente nei confronti dell’imperatore onorandolo con gli attributi

16
Ibid. 25 (PL 10, 582): Non recipit mendacium veritas, non patitur religio impietatem.
8 IVAN BODROŽIĆ

“buono e religioso” oppure “pio” e “il più dignitoso”17, invece adesso è


come se Ilario scatenasse tutto il suo furore contro di lui chiamandolo
addirittura “precursore dell’anticristo” e “figlio del diavolo”18. Gli studiosi
moderni tendono a discolpare l’imperatore dicendo che non era così
atroce come spesso si diceva di lui, ma piuttosto era sinceramente
interessato ai problemi della Chiesa ed ha condotto una politica assai
pragmatica e moderata, eccetto alcune decisioni (ad esempio la condanna
di Atanasio)19. L. Longobardo ritiene che i suoi attacchi violenti contro
l’imperatore mirino a difendere la fede in Cristo e mettere in guardia i
vescovi occidentali contro l’ipocrisia e la duplicità di Costanzo piuttosto
che a distruggere la reputazione e l’autorità dell’imperatore20. Questo è
confermato dalla cura e la premura con la quale agisce, una volta tornato
dall’esilio, impegnandosi per l’emendatio dei vescovi caduti nell’errore
come vittime della politica imperiale21.
Volendo mettere in guardia i vescovi dell’occidente dalla fede
incostante e inconsistente di Costanzo, il vescovo di Poitiers ha usato il
linguaggio retorico molto comune in quel periodo per trasmettere più
chiaramente il proprio messaggio al momento in cui aveva ormai perso
ogni speranza che avrebbe potuto correggere l’imperatore dall’errore in
cui era caduto lasciandosi trascinare dalle reti degli ariani. A quel punto a
Ilario non resta altro che richiamarsi alla verità sia quella storica che
quella teologica che Costanzo trascurava e ignorava. Ossia cerca di
insegnargli come dovrebbe essere il vero atteggiamento religioso e anche
il dovere e le competenze nei confronti della religione cristiana. Con il
chiaro intento di correggere l’imperatore dettandogli un altro quadro in
cui si deve muovere il suo intervento, Ilario fa capire che la religione
cristiana ormai non può essere sottoposta al potere civile in maniera
assoluta come nei tempi pagani.
L’imperatore era convinto di avere il dovere di intervenire nelle
questioni religiose impegnandosi a trovare una soluzione accettabile per
tutte le parti, che sarebbe stata poi imposta da firmare e da osservare.
Ilario da parte sua non contesta il diritto dell’imperatore ad intervenire,
ma contesta la sua presunta competenza per intervenire in modo
17
Cf. ibid. II, 1-3.
18
Cf. ibid. 7-8.
19
Cf. L. Ayres, Nicea and Its Legacy: An Aproch to Fourth-Century Trinitarian
Theology, Oxford 2004, 133-134.
20
Cf. L. Longobardo, Introduzione, in: Ilario di Poitiers, Contro l’imperatore
Costanzo, Roma 1997, 19-24.
21
Cf. Y.-M. Duval, La “manoevre fraudulese” de Rimini, in Hilaire et son temps. Actes
du colloque de Poitiers 29 septembre-3 octobre 1968, Paris 1969, 52.
LA REAZIONE DI ILARIO DI POITIERS CONTRO LA LEGISLAZIONE DELL’IMPERATORE COSTANZO 9

adeguato. Più precisamente, il vescovo di Poitiers ritiene che l’ambito


della definizione della fede non è di competenza del potere civile, bensì
della Chiesa. Ilario, se mai avesse auspicato un intervento imperiale, lo
avrebbe atteso in coerenza con le regole di fede, fissata addirittura dagli
stessi apostoli. Se l’imperatore voleva passare per il difensore della fede,
prima di tutto doveva professare quella fede retta ed unica, la fede
vincolante anche per il suo intervento legislativo nei confronti della
religione.
Ilario non si aspettava solo una specie di tolleranza, ma il rispetto della
verità. Egli, mentre biasima Costanzo, loda Costantino e non lo loda
perché era tollerante, ma perché, secondo il nostro, fu promotore
dell’ortodossia che aveva professato la vera fede. Quindi, nella società la
posizione di un imperatore poteva essere neutrale22, per quanto Ilario non
avesse chiesto nessun tipo di intervento, ma comunque non doveva essere
contraria alla verità divina. In tal senso non competeva all’imperatore
definire ciò che è vero e ortodosso. Caso mai poteva favorire la religione
del vero, ma non spettava a lui decidere arbitrariamente sulle verità della
fede. Ovviamente Ilario non intendeva la tolleranza dell’imperatore come
completa neutralità, ma piuttosto come tolleranza di coloro che sono
incaricati di definire la retta fede. Una volta definita la fede, la tolleranza
consisteva nell’accettarla. Così il dogma definito della Chiesa sarebbe
diventato il punto di partenza per ogni successiva azione della legislazione
civile in ambito religioso.
Perciò Ilario denuncia il perverso e subdolo atteggiamento
dell’imperatore Costanzo, che da una parte interviene come protettore
della Chiesa23, ma dall’altra, spingendo all’unità forzata varie frazioni, si
ostina a riconoscere che il punto di partenza dovrebbe essere la fede
definita al concilio di Nicea. Secondo Ilario, la sua massima empietà
consiste nel rinnegare la verità di Dio e obbligare i vescovi all’empietà
servendosi di vari strumenti di pressione, ossia fa di tutto per demolire la
retta fede della Chiesa.

22
Probabilmente gli imperatori stessi avrebbero accettato difficilmente tale
neutralità. Essi avevano una responsabilità precisa nei confronti dell’impero che
poteva essere detta universale, perché si sentivano responsabili in ogni campo della
vita dell’impero e non avrebbero accettato di lasciarsene sottrarre uno così
importante.
23
Con un editto del 341 egli comincia a sopprimere il culto pagano definito
superstizione, per arrivare al punto di togliere l’altare della Vittoria dall’aula del
Senato nel 356 (cf. H. Jedin, Velika povijest Crkve, 35-36).
10 IVAN BODROŽIĆ

3.2. I nuovi criteri per parlare di religio

Il termine religio aveva una vasta gamma di significati24, e vediamo che


anche Ilario lo usa in diversi sensi. Infatti può essere riferito ad un
atteggiamento di ossequio religioso personale, detto pietà, ma può
assumere anche un significato più impegnativo ed essere inteso nel senso
della professione di fede religiosa di un determinato gruppo, in questo
caso della religione cristiana. La religio intesa come fede cristiana, non è
stata lasciata appunto all’arbitrio del potere imperiale come una volta era
il paganesimo di cui l’imperatore era il pontifex maximus, ma è stata affidata
alla Chiesa che ne doveva tutelare i contenuti e difendere la veridicità dei
dogmi. La religio christiana, perciò, aveva una diversa valenza rispetto alla
religione pagana, perché la sua fonte era divina e non umana. Prima di
tutto c’è la consapevolezza che la verità cristiana non è umana ma rivelata
da Dio e di conseguenza va definita ed osservata con cura. I contenuti
rivelati hanno un'autorevole carica noetica alla quale la ragione non può
rinunciare. Le verità divine sono irrevocabili e non ammettono la
provvisorietà umana. Essendo la religione cristiana una religione divina,
non è lecito neanche all’imperatore di decidere delle sue verità. Ormai la
legge imperiale non poteva essere decisiva nel definirne i contenuti della
religione (di fede), perché tale compito spetta ai vescovi. Ossia tali
contenuti sono stati rivelati agli apostoli e la Chiesa li proclama
semplicemente.
Per Ilario, ammesso questo, il concetto di religio sottintende piuttosto
una diversa pietas che la distingue dalla vanità pagana, dove l’esigenza di
vera pietà era completamente assente avendo lasciato posto, piuttosto, alla
superstizione e al formalismo civile. Così la pietas e la veritas diventano due
elementi essenziali di ogni discorso sulla religio25, assenti nell’ambito della
religione pagana e ritenuti superiori alla legge civile che invano
continuava a presentarsi come padrona esclusiva della religio. Ilario insiste
testimoniando che ormai la religione divina si regola sulla verità divina e

24
Cf. Forcellini, Lexicon Totius Latinitatis (edizione anastatica di Furlanetto a
cura di Giuseppe Perin che risale al 1940), Padova 19654, 68-69. Nel senso proprio la
religione è tutto ciò che si riferisce alle cerimonie e al culto degli dei o della natura
divina e può essere detta anche pietà. In particolar modo si riferisce al culto
divino, ossia ai riti con i quali si onora Dio/divinità. Nel senso traslato può
significare la paura di offendere gli dei, ma può significare anche sia la
superstizione che la fede e la veridicità.
25
Chi non conosce la vera natura di Dio per forza cade nell’empietà della
menzogna (cf. Hil., De Trin. V, 25).
LA REAZIONE DI ILARIO DI POITIERS CONTRO LA LEGISLAZIONE DELL’IMPERATORE COSTANZO 11

non sulle leggi umane, mentre gli eretici sotto il nome della religione
corrompono la religione stessa26. La religione pagana aveva solo il nome di
religione, niente di contenuto veramente religioso e neanche l’apparenza
di religiosità vera. Con il cristianesimo la religione non viene definita alla
stregua del paganesimo, ma piuttosto con uno spettro di significati nuovi.
Dalle vicende avvenute e dai testi di Ilario si conclude che il concetto di
religione in questo periodo assume ormai anche un nuovo significato
semantico, ossia presuppone, nei confronti della religione pagana
(precedente) e dell’eresia (attuale) un nuovo contenuto. Ormai non si
può parlare di religio a prescindere dalla verità divina e da tale prospettiva
la religio è indicata come “divina” per sottolineare come la legge statale
non può e non deve definirne i contenuti né imporre le credenze. Tutto
ciò spetta alla Chiesa, altrimenti si cade in empietà sfacciata.
Per Ilario non si può definire neanche la religione nel senso della pietà
o sentimento religioso come un fatto personale o un sentimento personale
privato. Anche tale sentimento necessariamente deve tener conto della
verità divina. Se si trascura o viola la verità, ormai non si può parlare di
pietà o religione. Proprio avendo tale chiarezza il cristianesimo si è
imposto nei tempi precedenti nei confronti della religione pagana come la
religio vera, distinguendosi perché era consapevole di possedere la pienezza
della verità. Dio andava adorato con la verità rivelata e in modo degno di
lui, solo questo poteva essere detto religione degna di Dio e la legge
umana non doveva vincolare il diritto divino, cioè il diritto di onorare Dio
in modo eccelso.
In questo periodo bisognava ribadire i criteri teologici da rispettare che
per Ilario erano molto chiari. Il punto di partenza è l’immutabile fede
battesimale, confermata poi dalle decisioni dal concilio di Nicea, alla quale
Ilario si appellava già nell’Ad Constantium27. Tale fede non è sottoposta né

26
Cf. Hil., De Trin. V,10 (PL 10, 135).
27
Cf. Hil., Ad Const. II, 4 (PL 10, 544-545): Oportuerat enim, humanae infirmitatis
modestia, omne cognitionis divinae sacramentum illis tantum conscientiae suae finibus
contineri quibus credidit, neque post confessam et iuratam in baptismo fidem in nomine Patri
set Filii et Spiritus sancti, quidquam aliud vel ambigere, vel innovare. Sed quorum dam aut
praesumptio, aut facilitas, aut error, apostolicae doctrinae indemutabilem constitutionem
partim fraudulenter confessa est, partim audacter egressa: dum in confessione patri set Filii et
Spiritus sancti veritatem naturalis significationis eludit, ne id maneret in sensu, quod in
regenerationis sacramento est confitendum. Ob hoc penes quorum dam conscientiam nec Pater
pater, nec Filius filius, nec Spiritus sanctus spiritus sanctus est. Sub cuius necessitatis
tamquam improbabili occasione, scribendae atque innovandae fidei exinde usus inolevit. Qui
post quam nova potius coepit condere, quam accepta retinere; nec veterata defendit, nec
12 IVAN BODROŽIĆ

alle ambigue interpretazioni né alle innovazioni teologiche ma possiede la


propria chiarezza e immutabilità. Per quanto possa sembrare arbitrario
l’intervento di Ilario per lui non lo è. Egli si attiene ai criteri della verità
cattolica, ossia ritiene di stare sulla linea della retta fede e non quella
illecita o illegale. Quando poi loda l’imperatore Costantino lo fa perché
convinto cha ha saputo rispettare la fondata decisione del concilio niceno
e ha saputo professare la retta fede.
L’imperatore invece poteva professare la retta fede della Chiesa ma
non fissarne i contenuti. Anche Costanzo ne era consapevole e perciò
faceva pressione sui vescovi perché firmassero le professioni preparate dal
gruppo palatino. In tal senso egli dipendeva da un gruppo dal quale si
lasciava influenzare. Ilario riteneva invece che ci fosse qualche punto
fermo a prescindere dagli influssi personali, uno dei quali rappresenta
anche il credo di Nicea. La fede della Chiesa non era incerta e indefinita,
ma ben chiara ai padri conciliari. Opporsi all’autorità del concilio di Nicea
voleva dire opporsi all’autorità della Chiesa. Se la fede della Chiesa non
fosse stata definita in precedenza, allora certamente qualunque
interpretazione poteva essere quella giusta. E l’autorità civile avrebbe
potuto schierarsi da qualsiasi parte, a seconda del proprio parere.
Siccome però, la fede era definita già dagli apostoli, allora l’intervento
dell’autorità doveva essere secondo le regole, che dovevano essere
scoperte e rispettate. Il punto fermo era proprio la fede del concilio di
Nicea, conferma e continuazione della fede apostolica.

Conclusione

Come si vede dall’analisi del Contra Costantium, Ilario, scontratosi con


l’imperatore Costanzo, usa il concetto di religio con un significato assai
preciso dietro il quale c’è l’idea cristiana di religione e non quella pagana.
Mentre nel periodo di Costantino il termine religio aveva il significato di
sentimento religioso nei confronti della suprema divinità, che a volte
confinava con la superstizione, nel tempo di Ilario, il significato semantico
è ormai cambiato. In tal contesto non può essere definito religioso nel
senso stretto ciò che non corrisponde ai criteri della vera religiosità
testimoniata dai cristiani. Per quanto riguarda tali criteri, essi sono fondati
sulla verità rivelata da Dio e fedelmente predicati dalla Chiesa apostolica.
In base a tutto ciò la religione cristiana, a differenza di tutte le altre,

innovata firmavit: et facta est fide temporum potius quam Evangeliorum, dum et secundum
annos describitur, et secundum confessionem baptismi non tenetur.
LA REAZIONE DI ILARIO DI POITIERS CONTRO LA LEGISLAZIONE DELL’IMPERATORE COSTANZO 13

comprese le comunità eretiche, può essere definita come la religione


divina. Avviandosi poi alle conclusioni successive vuol dire che Ilario anche
per l’atteggiamento religioso (pietas) intende una cosa diversa rispetto a
ciò che si pensava prima, perché può essere detto religioso soltanto chi
rispetta la verità rivelata.
Ovviamente tutto questo vale non soltanto per i semplici fedeli, ma
anche per l’imperatore il cui compito dovrebbe essere quello di rispettare
ciò che è veramente religioso, ossia divinamene ispirato, e non di imporre
le convinzioni eretiche per le professioni di fede. Con questo scontro tra
l’autorità ecclesiastica e il potere imperiale cominciano a delinearsi i
campi di rispettiva competenza, sebbene dovranno passare ancora quasi
vent’anni perché i rapporti tra la Chiesa e l’impero si regolassero
pienamente. Il frutto dell’impegno di Ilario e di altri vescovi, colonne
della Chiesa in questo periodo, sarà il crearsi della legittima autonomia e il
mutuo rispetto che dominerà nei tempi successivi, che poi presenteranno
altri problemi che non rientrano però nell’ambito di questa ricerca.

IVAN BODROŽIĆ

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