Viviana Schiavo
Nel secolo intercorso tra la nascita della Jamāʻt al-tablīgh fino ad oggi,
il movimento islamico missionario di origini indiane ha assistito a una ra-
pida diffusione globale, diventando una delle esperienze musulmane trans-
nazionali di maggior successo. Tra i principali Paesi di diffusione della
Jamāʻt figura indubbiamente il Bangladesh.1
Il presente articolo intende analizzare la presenza del movimento
pietista nel Paese asiatico, illustrandone la nascita nella regione indiana
di Mēwāt e la sua espansione nel subcontinente indiano, fino all’arrivo
nella zona del Bengala. Partendo dal Bangladesh, la sua islamizzazione
e le ragioni del successo della Jamāʻt nella regione,2 l’articolo si foca-
lizzerà su un’altra area di diffusione del movimento, l’Europa, con un
particolare focus sull’Italia. La mancanza di letteratura riguardante la
presenza tablīgh nel Bel Paese3 ha reso necessario la realizzazione di
una ricerca sul campo, svolta tra gli aderenti del movimento residenti a
Roma, Lecce e Cosenza.4
1
B. Siddiqi, Becoming “Good Muslim”, p.4
2
Principale opera di riferimento è la pubblicazione di Bulbul Siddiqi, Becoming
“Good Muslim”, che attraverso una ricerca sul campo analizza la Jamāʻt al-tablīgh nel
suo sviluppo in Bangladesh e in Gran Bretagna.
3
Tra le poche pubblicazioni segnaliamo Islam Metropolitano di Alessandra Caragiuli,
che ha dedicato a questo movimento una parte della sua ricerca sull’Islam romano.
4
Parte delle interviste sono state realizzate tra il 2019 e il 2020 per conto della Fon-
dazione Internazionale Oasis all’interno della ricerca «Islam in Italia. Un’identità in for-
mazione» e raccolte nella pubblicazione che ne è conseguita, intitolata «L’Islam a Roma,
tendenze e nazionalità: una ricerca sul campo (2019-2020)». Ulteriori interviste sono state
realizzate autonomamente nell’anno in corso, 2021.
5
R.M. Eaton, The Rise of Islam and the Bengal Frontier, pp. XXI-XXII e p.4.
6
Cfr. R.M. Eaton, The Rise of Islam and the Bengal Frontier, pp.22-70.
7
Termine che indica le classi aristocratiche musulmane costituite da commercianti,
letterati, capi militari e amministratori immigrati in Bengala insieme ai nuovi governanti.
8
Cfr. R.M. Eaton, The Rise of Islam and the Bengal Frontier, pp.194-267.
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LA JAMĀ ʻT AL TABL Ī GH TRA IL BANGLADESH E L ITALIA
9
Si tratta di una corrente eterodossa del Visnuismo Tantrico molto diffusa nel Bengala,
che si proponeva come controparte dell’ortodossia induista, tendendo ad agire in opposi-
zione alle scritture scolastiche. Scopo di questo percorso controcorrente era la scoperta del
vero sé. Dasgupta spiega dettagliatamente le assonanze tra tale tradizione e il sufismo. Cfr.
A. Dasgupta, «Islam in Bengal: Formative period», p.31 e 35-38.
10
A. Dasgupta, «Islam in Bengal: Formative period», pp.35-36.
11
A. Dasgupta, «Islam in Bengal: Formative period», p.38.
12
Tra i pionieri del rinnovamento della fede musulmana e del ritorno ad un islam più
ortodosso, emerge Shāh Walī Ullāh (1703-1762), che dopo un viaggio a Medina introdusse
lo studio degli hadīth nel subcontinente indiano. Lo stesso ebbe una particolare influenza
sui movimenti revivalisti che sorgeranno successivamente nella regione del Bengala. B.
Siddiqi, Becoming “Good Muslim”, p.35.
13
B. Siddiqi, Becoming “Good Muslim”, p.36
14
Movimento sunnita riformista nato in India nel XIX secolo in reazione alla colo-
nizzazione inglese. Deve il suo nome al seminario della città indiana di Deoband, suo
principale centro di formazione religiosa e tra i più importanti di tutto il mondo islamico.
I deobandi sono diffusi soprattutto in India e in Pakistan.
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VIVIANA SCHIAVO
15
B. Siddiqi, Becoming “Good Muslim”, p.3.
16
Intervista a Ahmed Berraou, 04/03/2021.
17
Entrambi i termini hanno un posto di rilievo nella tradizione islamica. La radice ver-
bale del termine tablīgh, b-l-gh, indica il raggiungimento di un luogo, di un obiettivo o di
un’età. Si trova spesso nel Corano seguita dalla parola risāla (messaggio), intendendo l’atto
di comunicare il messaggio divino. Lo stesso termine tablīgh, nella tradizione islamica, può
trovarsi insieme a risāla o in alternativa a daʻwa indicando in quest’ultimo senso la comu-
nicazione dell’invito (a Dio). In epoca moderna, tablīgh viene utilizzato con il significato
di “proselitismo”, mentre nel movimento missionario indiano è considerato un dovere che
ricade su tutti i musulmani. La parola daʻwa deriva invece dalla radice d-ʻ-w, letteralmente
“invitare, chiamare”. Nel Corano viene utilizzata col significato di “invitare le persone a
Dio”. Nell’uso moderno, tablīgh e daʻwa sono spesso utilizzati come sinonimi.
18
Intervista all’imam di Lecce Saifeddine Maaroufi, 01/03/2021.
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LA JAMĀ ʻT AL TABL Ī GH TRA IL BANGLADESH E L ITALIA
19
Intervista all’imam Saifeddine Maaroufi, 01/03/2021.
20
M. K. Masud (a cura di), Travellers in faith, pp. 21-24.
21
B. Siddiqi, Becoming “Good Muslim”, p.36.
22
F. Dassetto, Le tabligh en Belgique, p. 10.
23
M. K. Masud (a cura di), Travellers in faith, pp. 13-17.
185
VIVIANA SCHIAVO
sessioni di taʻlīm, ossia di studio del Corano e degli hadīth. A questo sco-
po, i principali testi di riferimento sono il Fazail-e-amaal (la virtù del-
le azioni)24, del dotto Muhammad Zakarīyyā Kāndhlawī, e i tre volumi
dell’Hayat-e-Sahaba (Le vite dei compagni), di Yūsuf Kāndhalawī. En-
trambi ribadiscono l’importanza data dalla Jamāʻt all’esempio, non solo
del Profeta ma anche dei suoi primi seguaci: «I compagni del Profeta erano
come noi, quindi non possiamo dire che non ce la facciamo, perché anche
loro erano degli esseri umani e ce l’hanno fatta».25 L’obbligo della daʻwa,
ossia l’azione di uscire per invitare dei musulmani a vivificare la loro fede
e a entrare a far parte del movimento, è da compiersi sia a livello locale
(ogni giorno in famiglia per due ore e mezzo e una volta a settimana nella
zona intorno alla moschea), che nel corso di viaggi di predicazione, ap-
prendimento e ritiro spirituale (ogni mese per tre giorni, una volta all’anno
per quaranta giorni e una volta nella vita per quattro mesi tra India, Ban-
gladesh e Pakistan).26
Per il loro approccio e la determinazione nei contatti diretti, i tablīgh sono
spesso stati comparati ai “testimoni di Geova”. In generale, l’islamologo
pakistano Masud sottolinea come l’invito al rinnovamento della fede sembri
essere un fenomeno comune a quasi tutte le religioni nel XX secolo. In alcu-
ni casi sono sorti dei movimenti che condividono un’enfasi sul ritorno alle
scritture e un’avversione alla modernizzazione, come alcuni gruppi puritani
o evangelici.27 Sulla stessa scia, il politologo Tozy, che ha studiato il movi-
mento in Marocco, associa la Jamāʻt ai gruppi cristiani evangelici “conver-
sionisti” (riprendendo una classificazione dei movimenti religiosi fatta dal
sociologo Wilson). Si tratta di un’espressione che indica i gruppi evangelici
guidati dalla convinzione che il mondo sia corrotto perché lo è l’uomo: cam-
biando l’essere umano si può quindi cambiare il mondo. Caratteristiche di
tali gruppi sono il revivalismo e la predicazione. Tozy ravvisa dei punti in
comune con i predicatori musulmani anche nella facilità di linguaggio e nel
dinamismo attivo dei suoi membri.28 È necessario, tuttavia, sottolineare che
nel movimento indiano queste attività e il fervore pietista non sono rivolti
alla conversione dei non musulmani ma al riavvicinamento dei musulmani.
In merito al rapporto con le altre religioni, la Jamāʻt non fornisce particolari
24
Si tratta di una raccolta di racconti basati sugli hadīth.
25
Intervista all’imam Saifeddine Maaroufi, 01/03/2021.
26
B. Siddiqi, Becoming “Good Muslim”, pp. 2-3; Muhammad Khalid Masud (a cura
di), Travellers in faith, pp. 26-27.
27
M.K. Masud (a cura di), Travellers in faith, p. XVII.
28
M. Tozy, Sequences of a quest: tablīghī jamāʻt in Morocco, in M. K. Masud (a cura
di), Travellers in faith, 161-173, p. 164.
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LA JAMĀ ʻT AL TABL Ī GH TRA IL BANGLADESH E L ITALIA
La Jamāʻt in Bangladesh
L’arrivo dei tablīgh nell’attuale Bangladesh è attestato nel 1927, anno in
cui un gruppo di predicatori entrò nella regione del Bengala dalla parte set-
tentrionale dell’India. Il movimento riscontrò fin da subito un enorme suc-
cesso e il Paese divenne in poco tempo una delle sue principali culle, come
dimostra l’enorme partecipazione alla Bishwa Ijtema, la riunione annuale
del movimento che ha luogo a Tongi. Ogni anno attrae milioni di persone
da tutto il mondo, costituendo ormai il secondo raduno musulmano più
partecipato, subito dopo l’hajj: «mai nella mia vita mi è capitato di vedere
così tante persone insieme. Non litigavano mai, si dedicavano esclusiva-
mente alla preghiera e parlavano solo di daʻwa. Mi sembrava impossibi-
le», ricorda l’imam Mahfuz che ha partecipato all’evento diverse volte, a
partire dal 2004.30 Alcuni dei partecipanti non fanno parte del movimento,
ma sono ugualmente convinti che la partecipazione a questo evento porti
la benedizione di Dio. L’ijtema non è un concetto nuovo nell’islam, in cui
indica qualsiasi riunione di massa tra musulmani. Tuttavia, col tempo è
diventata una pratica associata alla Jamāʻt. Il movimento non la considera
un pellegrinaggio, ma un momento di riunione durante il quale poter ap-
prendere e discutere diversi aspetti, dai più propriamente religiosi a quelli
maggiormente pratici e organizzativi. È inoltre un momento propizio per
mandare nuovi gruppi di aderenti a realizzare la daʻwa. Per alcuni l’ijtema
diventa infatti una via preferenziale di avvicinamento al movimento, un
momento di trasformazione, in cui vengono spronati a iniziare un viaggio
di predicazione.
In Bangladesh, la prima ijtema ha avuto luogo nel 1954 a Dakha: da
allora il numero dei partecipanti è salito al punto da dover spostare diverse
volte il luogo della riunione, fino ad arrivare, nel 1966, all’attuale località
permanente: Tongi. Ciononostante, nel 2011, l’ulteriore aumento dei parte-
cipanti ha portato alla realizzazione della riunione in due diversi momenti.
29
Intervista a Ahmed Berraou, 04/03/2021.
30
Intervista all’imam Mahfuz della moschea Quba di Roma, 25/03/2021.
187
VIVIANA SCHIAVO
31
B. Siddiqi, Becoming “Good Muslim”, pp. 77-83.
32
B. Siddiqi, Becoming “Good Muslim”, pp.39-40.
188
LA JAMĀ ʻT AL TABL Ī GH TRA IL BANGLADESH E L ITALIA
La Jamāʻt in Italia
L’attestazione di rispetto a livello pubblico è anche ciò che ha colpito
l’imam Mahfuz, arrivato giovanissimo in Italia dal Bangladesh. È a Paler-
mo, sua prima città italiana di residenza, che ha conosciuto il movimento.
33
Per esempio, il modo popolare di festeggiare lo shab-e-barat, la 15° notte del mese
di Shaʻbān, considerata benedetta. Tradizionalmente i bangladesi la celebrano pregando e
preparando e condividendo del cibo con i più poveri, ma per i tablīgh la cucina distoglie
dalla concentrazione richiesta dalla preghiera. Allo stesso modo considerano un’innova-
zione sufi il Milad Mahfil, la pratica di lodare in gruppo Dio e il Profeta.
34
Cfr. B. Siddiqi, Becoming “Good Muslim”, pp.61-68.
189
VIVIANA SCHIAVO
35
Intervista all’imam Mahfuz, 25/03/2021.
36
Intervista a Moni, 05/03/2021.
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37
Intervista all’imam Mahfuz, 25/03/2021.
38
Intervista a Ahmed Berraou, 04/03/2021.
39
Si tratta di una delle organizzazioni rappresentative dei musulmani italiani, particolarmente
legata alla Grande Moschea di Roma e al Regno del Marocco. Consultare Massimo Abdallah
Cozzolino, La Confederazione islamica e “gli Islam” italiani, «Fondazione Oasis», 12/12/2019,
https://www.oasiscenter.eu/it/confederazione-islamica-italiana-cozzolino-abdallah-massimo.
40
Per un approfondimento, vedi V. Schiavo, «L’Islam a Roma, tendenze e nazionalità:
una ricerca sul campo (2019-2020)».
41
Stefano Allievi, La guerra delle moschee, pp. 79-83.
42
Per approfondimenti si veda A. Frisina, The Union of Islamic Communities and
Organisations and related groups in Italy, in Peter, F., Ortega, R., Islamic Movements of
Europe, 115-118, p. 116.
191
VIVIANA SCHIAVO
43
Alessandra Caragiuli, Islam Metropolitano, p. 37.
44
Nella provincia di Roma sono undici le moschee aderenti al movimento. Si tratta del-
le moschee: Omar (Roma quarticciolo), al-Nur (Roma Pigneto), Makki (Roma Pigneto),
Quba (Roma Tor Pignattara), Roma (attualmente chiusa, Roma Torpignattara), al-Wahid
(Velletri), Moschea Central (Roma Piazza Vittorio), di S. Vito (Roma Piazza Vittorio),
di via Tolemaide (Roma Ottaviano), di Lavinio, di Ardea, di Aprilia. Intervista all’imam
Bistarine Tayeb, 04/12/2019.
45
Intervista a Ahmed Berraou, 04/03/2021.
46
Intervista all’imam AbdulHamid Saydawi, 20/12/2019.
47
La componente femminile è parte integrante del movimento tablīgh. Per le donne
sono previsti degli specifici momenti di riunione e predicazione. Per approfondimenti vedi
B. D. Metcalf, Tablīghī Jamāʻat and Women, in M. K. Masud (a cura di), Travellers in
faith, pp. 44-58; A. De Féo, Femmes du Tabligh en Asie du Sud-Est.
48
Intervista all’imam AbdulHamid Saydawi, 20/12/2019.
192
LA JAMĀ ʻT AL TABL Ī GH TRA IL BANGLADESH E L ITALIA
Conclusioni
I casi del Bangladesh e dell’Italia, seppur con caratteristiche e numeri
differenti, sono illustrativi di alcune delle ragioni della grande diffusione
della Jamāʻt al-tablīgh a livello internazionale. In particolare, si riscontra-
no motivazioni di ordine individuale e sociale. Alcune delle persone che
si sono avvicinate al movimento raccontano di essere state inizialmente
attratte dalla mitezza dei predicatori: «La prima volta che ho incontrato
i tablīgh, in Marocco, sono rimasto affascinato dal loro modo di parlare
bellissimo, misericordioso, quasi magico. Le loro parole ti rimangono nel
cuore».51 Altre caratteristiche particolarmente attrattive delle modalità co-
municative della Jamāʻt sono l’importanza data alla prospettiva escatolo-
gica e la semplicità del linguaggio utilizzato: le regole esposte sono chiare
e lo stile comprensibile da tutti, anche dalle persone meno istruite.52 «La
Jamāʻt al-tablīgh ti dà una precisa linea di condotta, da seguire per tutta la
vita. La sua facilità lo rende accessibile a tutte le categorie sociali», confer-
ma Ahmed Berraou.53 Vediamo dunque i risvolti sociali della metodologia
comunicativa e della pratica del Movimento, che fin dalla sua nascita ha
mostrato una particolare predilezione verso le categorie più disagiate del-
la società. Alla facilità di comprensione si unisce la preminenza data dal
gruppo all’uguaglianza tra i suoi membri, aspetto che porta a un sovverti-
mento delle tradizionali classificazioni sociali: ricchi e poveri condividono
gli stessi spazi e svolgono i medesimi compiti. Caratteristica che si va ad
aggiungere al grande senso di rispetto pubblico percepito dai nuovi ade-
renti, che li spinge a proseguire lungo il percorso tracciato dalla Jamāʻt.
A livello generale, aspetto peculiare del movimento è la capacità di
adattabilità al contesto.54 L’imam Saifeddine, per esempio, racconta come
in Tunisia, quando lui ha iniziato a praticare il tablīgh, questo fosse tolle-
rato e non autorizzato dallo Stato. Per questa ragione la predicazione era
sempre limitata a una sfera privata ed era richiesta una lunga fase di forma-
49
Intervista all’imam Saifeddine Maaroufi, 01/03/2021.
50
Intervista all’imam Mahfuz, 25/03/2021.
51
Intervista a Ahmed Berraou, 04/03/2021.
52
Gilles Kepel, Foi et pratique: tablīghī jamāʻt in France, in M. K. Masud (a cura di),
Travellers in faith, 188-205, pp. 188 e 194.
53
Intervista a Ahmed Berraou, 04/03/2021.
54
Vedi F. Dassetto, Le Tabligh en Belgique. pp. 10-11.
193
VIVIANA SCHIAVO
zione, della durata di sei mesi, prima di poter uscire per praticare la daʻwa,
al fine di conoscere la situazione del Paese e sapere come comportarsi: «In
questo si fa sempre riferimento alla prima epoca dell’islam. Il Profeta ha
vissuto tredici anni alla Mecca, in cui lui e i suoi seguaci erano oppressi e
non avevano la possibilità di fare la daʻwa in pubblico. Si parla infatti di
Paesi meccani, cioè Paesi in cui i musulmani si trovano nella stessa con-
dizione dei primi fedeli dell’islam a Mecca».55 È proprio in un contesto
in cui l’islam è minoritario che nasce il movimento tablīgh: da qui anche
l’importanza del gruppo, la jamāʻat per l’appunto56. In molti Paesi europei
il movimento ha inoltre avuto un ruolo fondamentale nella formazione di
una coscienza socio-religiosa tra le minoranze57, affermandosi in momen-
ti di particolare crisi sociale e identitaria, all’interno di una popolazione
marginalizzata, caratteristica questa che è indubbiamente riscontrabile
anche nel caso italiano. Tale ruolo traspare anche dall’elevato numero di
moschee costruito dal movimento nei diversi Paesi europei, così come in
Marocco58: la moschea, come abbiamo visto, è infatti il fulcro dell’attività
della Jamāʻat al-tablīgh. Il forte accento sull’adattabilità è probabilmente
tra le principali ragioni del considerevole successo della Jamāʻat a livello
mondiale, una caratteristica che, insieme ad altri fattori, ne ha fatto un mo-
vimento transnazionale in grado di essere presente in Paesi con condizioni
politiche, culturali e sociali differenti, come il Bangladesh e l’Italia.
Bibliografia
Allievi, S., La guerra delle moschee. L’Europa e la sfida del pluralismo religioso,
Marsilio, Venezia, 2010.
Dasgupta A., «Islam in Bengal: Formative period», Social Scientist, Vol. 32, N.
3-4, Marzo-Aprile, 2004, pp. 30-41
Caragiuli, A., Islam Metropolitano, Edup, Roma 2017
Dassetto, F., Le tabligh en Belgique. Diffuser l’Islam sur les traces du Prophète,
Academia – Sybidi Papers, Louvain-la-Neuve, 1988
De Féo, A., «Femmes du Tabligh en Asie du Sud-Est», Les Chaiers de L’Orient
83 iii (2006)
55
Intervista all’imam Saifeddine Maaroufi, 01/03/2021.
56
M. Tozy, Sequences of a quest: tablīghī jamāʻt in Morocco, in M. K. Masud (a cura
di), Travellers in faith, 161-173, p. 164.
57
M. K. Masud (a cura di), Travellers in faith, p. XI.
58
M. Tozy, Sequences of a quest: tablīghī jamāʻt in Morocco, in Muhammad Khalid
Masud (a cura di), Travellers in faith, 161-173, p. 162.
194
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