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Percorsi Giuffrè - Esame avvocato 2013 - Il fondo patrimoniale è oppon... http://www.percorsi.giuffre.it/psixsite/esercitazioni/pareri/Diritto civil...

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Il fondo patrimoniale è opponibile al terzo solo con l’annotazione dell’atto costitutivo a margine dell’atto di
matrimonio. Possibilità per il creditore dei coniugi di esperire l’azione revocatoria, ex art. 2901 cod. civ., al fine
della dichiarazione d’inefficacia del fondo medesimo e di attuare, ex art. 170 cod. civ. l’esecuzione sui beni vincolati
in fondo patrimoniale.

Traccia

Tizio e Caia, coniugi in regime di separazione dei beni, con atto pubblico del 12.12.2010, hanno costituito un fondo patrimoniale
per i bisogni della famiglia conferendo allo stesso, tra gli altri beni, un immobile, di proprietà di entrambi, gravato da ipoteca
volontaria iscritta il 10.10.2006 a garanzia di un contratto di mutuo in virtù del quale la Banca Alfa aveva erogato a Tizio e Caia
l’importo di euro 250.000, per l’acquisto di quello stesso bene, importo che i due mutuatari avrebbero dovuto restituire
onorando il pagamento di rate semestrali per la durata di 15 anni.
L’atto pubblico di costituzione del fondo patrimoniale è stato trascritto il 15.12.2010 ed annotato nei registri dello stato civile il
15.01.2011.
A far data dal gennaio 2012 Tizio e Caia si sono resi morosi nel pagamento delle rate di mutuo.
Il candidato, assunte le vesti del legale dell’istituto di credito, illustri le questioni sottese al caso in esame evidenziando in
particolare che natura abbia il fondo patrimoniale, quale incidenza assume la costituzione dello stesso fondo patrimoniale in
relazione alle possibili azioni della banca mutuante.

Giurisprudenza

o Cassazione Civile, Sezioni Unite, 13 ottobre 2009, n. 21658. L’annotazione, di cui al comma IV dell’art. 162 cod.
civ. è l’unica forma di pubblicità idonea ad assicurare l’opponibilità della convenzione matrimoniale ai terzi, mentre la
trascrizione di cui all’art. 2647 cod. civ. ha funzione di mera pubblicità-notizia. L’opponibilità ai terzi dell’atto di
costituzione del fondo patrimoniale (avente ad oggetto beni immobili) è quindi subordinata all’annotazione a mergine
dell’atto di matrimonio, a prescindere dalla trascrizione del medesimo atto, ex art. 2647 cod. civ.
o Cassazione Civile, sez. III, 17 gennaio 2007, n. 966. Il negozio costitutivo del fondo patrimoniale, anche quando
proviene da entrambi i coniugi, è atto a titolo gratuito, che può essere dichiarato inefficace nei confronti dei creditori a
mezzo di azione revocatoria ordinaria; ne consegue che, avendo l’actio pauliana la funzione di ricostituire la garanzia
generica fornita dal patrimonio del debitore, per l'integrazione del profilo oggettivo dell'eventus damni non è necessario
che l'atto di disposizione del debitore abbia reso impossibile la soddisfazione del credito, determinando la perdita della
garanzia patrimoniale del creditore, ma è sufficiente che abbia determinato o aggravato il pericolo dell'incapienza dei
beni del debitore, e cioè il pericolo della insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la
maggiore difficoltà od incertezza nell'esazione coattiva del credito medesimo; quanto al requisito soggettivo, quando
l'atto di disposizione è successivo al sorgere del credito è necessaria e sufficiente la consapevolezza di arrecare
pregiudizio agli interessi del creditore (scientia damni), e cioè la semplice conoscenza da parte del debitore (e, in ipotesi
di atto a titolo oneroso, anche del terzo) di tale pregiudizio, a prescindere dalla specifica conoscenza del credito per la cui
tutela viene esperita l'azione, e senza che assumano rilevanza l'intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale
generica del creditore (consilium fraudis) né la partecipazione o la conoscenza da parte del terzo in ordine alla intenzione
fraudolenta del debitore.

Svolgimento

La risoluzione del caso in esame merita brevi cenni sulla natura e sulla efficacia dell’istituto del c. d. fondo patrimoniale.
Quest’ultimo, disciplinato dagli art. 167 e segg. cod. civ., è un patrimonio di destinazione, ossia un complesso di beni (immobili,
mobili registrati o titoli di credito) che vengono destinati, mediante un atto posto in essere dai coniugi o da un terzo, prima o
durante il matrimonio, al soddisfacimento dei bisogni della famiglia.
Il fondo patrimoniale rappresenta una parte separata del patrimonio dei coniugi, vincolata al soddisfacimento dei bisogni della
famiglia.
Esso gode di una particolare disciplina, essendo un atto di liberalità vale a dire un atto a titolo gratuito.
Infatti, i coniugi non possono disporre dei beni che formano il fondo per scopi estranei agli interessi della famiglia né i creditori
particolari dei coniugi (per obblighi sorti per scopi estranei ai bisogni della famiglia) possono soddisfare i loro diritti sui beni
oggetto del fondo patrimoniale stesso.
Il fondo patrimoniale può essere costituito da: a) un solo coniuge; b) entrambi i coniugi; c) un terzo: sia con atto pubblico (è
necessaria l’accettazione di entrambi i coniugi per la costituzione del fondo), sia con testamento.
Per costituire un fondo patrimoniale occorre essere sposati.
Il fondo può essere costituito in vista di un futuro matrimonio, ma in tal caso l’atto costitutivo sarà condizionato alla
celebrazione del matrimonio stesso e occorre distinguere: 1) costituzione effettuata da un terzo a favore dei due fidanzati: l’atto
è valido con l’indicazione delle generalità degli sposi, si perfeziona con la loro accettazione ed è efficace con la celebrazione del
matrimonio; 2) costituzione realizzata direttamente da uno dei fidanzati: è necessario che anche l’altro futuro sposo partecipi
alla stipulazione dell’atto e la sua efficacia sarà subordinata alla celebrazione del matrimonio.
Possono formare oggetto del fondo patrimoniale beni immobili, mobili registrati e titoli di credito vincolati rendendoli nominativi
mediante annotazione del vincolo o, comunque, tutti i beni che permettono la pubblicità (ossia lo strumento predisposto – cd.
annotazione – per rendere facilmente conoscibili determinati fatti, dando agli interessati la possibilità di venirne a conoscenza)
del vincolo cui sono sottoposti.
Si deve precisare che oggetto del vincolo non è il bene ma un diritto sul bene, che può essere un diritto diverso della proprietà
come l’usufrutto, la superficie, l’enfiteusi, la nuda proprietà.
I beni conferiti ad un fondo patrimoniale non possono formare oggetto di più fondi destinati alla soddisfazione di più famiglie: il
vincolo di destinazione, infatti, può riguardare i bisogni di una sola famiglia.
Anche i frutti prodotti dai beni destinati al fondo patrimoniale entrano a far parte dello stesso.
Per quanto riguarda i beni che appartengono ai coniugi in regime di comunione legale, essi possono essere conferiti nel fondo

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patrimoniale ad eccezione di quelli che la legge esclude che possano ricadere nella comunione.
La costituzione del fondo con atto tra vivi effettuata da un terzo si perfeziona con l’accettazione dei coniugi.
L’accettazione può essere fatta anche con atto pubblico posteriore.
L’amministrazione del fondo patrimoniale è regolata dalle stesse norme che disciplinano l’amministrazione della comunione
legale.
Occorre distinguere: 1) ordinaria amministrazione: l’amministrazione dei coniugi è disgiunta; 2) straordinaria amministrazione:
spetta ad entrambi i coniugi congiuntamente.
Per il compimento di determinati atti di disposizione dei beni del fondo, è necessario il consenso di entrambi i coniugi e se vi
sono figli minori è necessario chiedere l’autorizzazione del giudice.
In caso di rifiuto di uno dei coniugi a prestare il proprio consenso al compimento di un atto di straordinaria amministrazione,
l’altro coniuge può ricorrere al giudice per ottenere l’autorizzazione se il compimento dell’atto è nell’interesse della famiglia.
Nella stessa misura, se un coniuge è lontano o impedito, l’altro può chiedere l’autorizzazione al giudice per amministrare il
fondo.
Se uno dei coniugi non può amministrare o ha male amministrato, l’altro coniuge può chiedere al giudice di escluderlo
dall’amministrazione.
Se entrambi i coniugi hanno male amministrato i beni del fondo o non possono amministrarli perché, ad esempio, sono incapaci,
si ritiene che chiunque abbia interesse possa ricorrere all’Autorità Giudiziaria e ottenere l’esclusione di entrambi.
È importante evidenziare che i beni del fondo e i relativi frutti non possono essere sottoposti ad esecuzione forzata (cioè non
possono essere liquidati per soddisfare un creditore) per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei
ai bisogni della famiglia.
La costituzione del fondo patrimoniale e le sue eventuali modifiche devono essere annotati a margine dell’atto di matrimonio
conservato nei registri del Comune in cui il matrimonio è stato celebrato.
In particolare devono essere indicati la data del contratto, il notaio rogante e la generalità dei contraenti.
All’annotazione deve procedere il notaio nel più breve tempo possibile: se non lo fa è tenuto a risarcire i danni patiti dalle parti.
Tale forma di pubblicità ha natura dichiarativa e rende, cioè, l’atto costitutivo di fondo patrimoniale opponibile ai terzi che
vogliano acquistare diritti sullo stesso.
È necessario poi trascrivere il vincolo di destinazione imposto ai beni immobili e mobili rispettivamente nei registri immobiliari e
mobiliari.
Per i titoli di credito bisogna effettuare l’annotazione del vincolo sul documento.
Una volta costituito il fondo può essere modificato sia relativamente alla disciplina sia per quanto riguarda la composizione.
Le modificazioni alla disciplina richiedono il consenso di tutte le persone, o dei loro eredi, che sono state parti nell’atto
costitutivo.
Le variazioni circa la composizione possono essere accrescimenti o diminuzioni e sono soggette alla disciplina relativa
all’amministrazione del fondo.
L’incremento del fondo non richiede necessariamente la costituzione di un solo fondo: nulla vieta di costituirne più di uno, anche
con discipline diverse, per soddisfare le esigenze della famiglie.
ll fondo patrimoniale, invece, si estingue per: a) annullamento; b) scioglimento; c) cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Il fondo, tuttavia, se si è in presenza di figli minori, dura fino al raggiungimento da parte loro della maggiore età.
Nel caso oggetto del presente parere, occorre innanzi tutto verificare se l’atto di costituzione del fondo patrimoniale costituito
dai coniugi Tizio e Caia ed avente oggetto un bene immobile, rappresenti o meno una convenzione matrimoniale, ai fini
dell’applicabilità della disposizione di cui all’art. 162, comma IV, cod. civ., concernente l’opponibilità ai terzi e, in caso
affermativo, se la citata opponibilità sia subordinata all’annotazione a margine dell’atto di matrimonio, a prescindere dalla
trascrizione del medesimo atto, imposta dall’art. 2647 cod. civ.
Secondo un principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, la costituzione del fondo patrimoniale prevista
dall’art. 167 cod. civ. e comportante un limite alla disponibilità di determinati beni con vincolo di destinazione per fronteggiare i
bisogni familiari, va compresa tra le convenzioni matrimoniali (cfr. Cass. Civ., sez. I, 5 aprile 2007, n. 8610).
Il dibattito in ordine alla pubblicità dei negozi patrimoniali familiari non pare essere sopito, particolarmente con riguardo al
fondo patrimoniale, che crea uno specifico vincolo di destinazione su determinati beni, per far fronte ai bisogni della famiglia.
Essendo, di conseguenza, consentita l’esecuzione sui beni del fondo solo per i debiti contratti per tali bisogni, si parla, al
riguardo, di inespropriabilità relativa degli stessi.
Di qui, assume rilievo il regime di pubblicità a cui tali beni sono soggetti.
A una posizione dottrinaria, sostenuta da una giurisprudenza minoritaria (cfr. Trib. Modena, 19 luglio 1996), che ritiene
indimostrata la natura di convenzione matrimoniale del fondo, fa da contraltare altra nutrita dottrina, confortata dalla
giurisprudenza prevalente, secondo cui, invece il fondo medesimo è soggetto al particolare regime pubblicitario di cui all’art. 162
cod. civ., richiedendosi, per la sua opponibilità ai terzi, l’annotazione del relativo contratto a margine dell’atto di matrimonio,
mentre la trascrizione del vincolo per gli immobili, ai sensi dell’art. 2647 cod. civ., resta degradata a pubblicità-notizia (inidonea
ad assicurare detta opponibilità).
Sul tema, sono intervenute anche le Sezioni Unite della Suprema Corte di legittimità, secondo le quali “la mancata annotazione
del fondo patrimoniale a margine dell’atto di matrimonio comporta che il fondo medesimo non è opponibile ai creditori, che
abbiano iscritto ipoteca sui beni del fondo, essendo irrilevante la trascrizione dello stesso nei registri della conservatoria dei beni
immobili” (Cass. Civ., Sez. Un., 13 ottobre 2009, n. 21658).
A confortare tale assunto, anche l’art. 206 della Legge n. 151/’75, che ha abrogato il IV comma dell’art. 2647 cod. civ., il quale
considerava la trascrizione del vincolo familiare requisito di opponibilità ai terzi.
Da qui, secondo le Sezioni Unite, si desume la volontà del legislatore di degradare la trascrizione del fondo nei registri
immobiliari a pubblicità notizia e di riservare l’opponibilità del vincolo rispetto ai terzi all’annotazione di cui all’ultimo comma
dell’art. 162 cod. civ.
Il fondo patrimoniale, dunque, sarebbe soggetto a una doppia forma di pubblicità: annotazione nei registri dello stato civile
(funzione dichiarativa) e trascrizione (funzione di pubblicità notizia). Infatti, quando la legge non ricollega alla trascrizione un
particolare effetto ben determinato, si è in presenza di una pubblicità notizia.
Per cui, in base al descritto quadro normativo, il terzo interessato deve non solo consultare i registri immobiliari, per verificare
la situazione relativa a un determinato immobile, ma anche verificare se il titolare è coniugato e, in caso affermativo,

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controllare se a margine dell’atto di matrimonio sia stata annotata una convenzione derogatoria al regime della comunione
legale.
A conferma di quanto sopra delineato, è da segnalare la sentenza della Corte Costituzionale n. 111 del 6 aprile 1995, la quale
ha dichiarato infondata, con riferimento agli artt. 2 e 29 Cost., la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto
degli artt. 162, ult. comma, 2647 e 2915 cod. civ., nella parte in cui non prevedono che, per i fondi patrimoniali costituiti sui
beni immobili a mezzo di convenzione matrimoniale, l’opponibilità ai terzi sia determinata unicamente dalla trascrizione dell’atto
sui registri immobiliari, anziché pure dall’annotazione a margine dell’atto di matrimonio.
L’onere della doppia consultazione, sia presso i registri immobiliari, sia presso i registri dello stato civile, secondo il Giudice delle
leggi, non è eccessivamente gravoso, non solo rispetto al principio di tutela in giudizio, ma anche rispetto agli artt. 29 e 3 Cost.,
poiché tale pubblicità cumulativa trova giustificazione nel generale rigore, che il legislatore ha previsto per le deroghe al regime
legale (comunione legale tra i coniugi), contemperando l’interesse alla conservazione del patrimonio a favore dei figli con le
esigenze dei creditori, rispetto ai quali, l’uso distorto dell’istituto del fondo patrimoniale può costituire un danno alle loro
garanzie.
Pertanto, dall’assunto che precede, consegue come l’annotazione di l'annotazione di cui all'art. 162 c.c., comma IV, cod. civ.
(norma speciale) sia l'unica forma di pubblicità idonea ad assicurare l'opponibilità della convenzione matrimoniale ai terzi,
mentre la trascrizione di cui all'art. 2647 cod. civ. (norma generale) abbia funzione di mera pubblicità-notizia (cfr. Cass. Civ.,
Sez. Un., 13 ottobre 2009, n. 21658, conf. Cass. Civ., sez. I, 25 marzo 2009, n. 7210 e Cass. Civ., sez. III, 8 ottobre 2008, n.
24798).
Nel caso di specie, dunque, essendo stato l’atto di costituzione del fondo annotato tardivamente a margine dell’atto di
matrimonio di Tizio e Caia, e dopo l’iscrizione ipotecaria accesa dalla banca Alfa, il fondo medesimo non sarà opponibile alla
stessa banca creditrice, essendo irrilevante la trascrizione nei registri della conservatoria dei beni immobili.
Ulteriore problematica che emerge nel caso de quo, riguarda la possibilità di assoggettare ad un’eventuale azione revocatoria,
ex art. 2901 cod. civ., da parte della banca Alfa, il fondo patrimoniale costituito dai citati coniugi.
Tradizionalmente, l’azione revocatoria, o actio pauliana, viene definita come strumento legale di conservazione della garanzia
patrimoniale consistente nel potere del creditore (c. d. revocante) di domandare giudizialmente l’inefficacia nei suoi confronti
degli atti di disposizione del patrimonio a mezzo dei quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni.
La stessa è da ricondursi, pertanto, al genus dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale e si caratterizza per la
peculiare funzione rivolta essenzialmente alla tutela del creditore contro gli atti dispositivi del debitore che potrebbero minare la
garanzia patrimoniale dello stesso.
Condizione fondamentale dell’esercizio dell’azione in parola, da parte del creditore, è l’esistenza di una posizione creditoria,
latamente intesa, in capo allo stesso, posizione questa che può sostanziarsi anche in un credito sottoposto a termine o
condizione ovvero addirittura illiquido. Ulteriore presupposto dell’azione pauliana è l’esistenza di un pregiudizio arrecato alle
ragioni del creditore (c. d. eventus damni), che si sostanzi in un pericolo attuale e concreto che i beni del debitore diventino
insufficienti o ancora più insufficienti a soddisfare le ragioni del creditore revocante. Ulteriore condizione, per così dire a
carattere soggettivo, dell’azione revocatoria ordinaria è la consapevolezza del debitore di pregiudicare il soddisfacimento delle
ragioni dei creditore, attraverso gli atti di disposizione sui propri beni (c. d. scientia damni).
Oltretutto, ai fini della revoca dell’atto, vi può esser la necessità che anche il terzo sia consapevole del pregiudizio che possa
essere arrecato alle ragioni del creditore qualora l’atto di disposizione compiuto dal debitore sia un atto a titolo oneroso (c. d.
consilium fraudis) posto che se, invece, l’atto di disposizione si appalesa quale atto a titolo gratuito, il requisito della
consapevolezza da parte del terzo diviene superfluo.
Da ultimo, se l’atto da revocare sia anteriore al sorgere del diritto di credito del revocante, la revoca è ammessa qualora lo
stesso sia stato preordinato in danno del creditore ( c. d. animus nocendi).
Giurisprudenza risalente, per quanto concerne il rapporto tra la suddetta azione e la costituzione di un fondo patrimoniale,
ritiene che quest’ultimo, quale atto a titolo gratuito, possa essere dichiarato inefficace in quanto rende i beni conferiti nel
fondo, aggredibili solo alle condizioni di cui all’art. 170 cod. civ., limitando di fatto le garanzie spettanti ai creditori sul
patrimonio dei costituenti (cfr. Cass. Civ., sez. I, 18 marzo 1994, n. 2604, Cass. Civ., sez. III, 9 aprile 1996, n. 3251 e Cass.
Civ., sez. I, 2 settembre 1996, n. 8013).
Peraltro, altra parte della giurisprudenza, opina che il negozio costitutivo del fondo patrimoniale possa essere revocato in
presenza delle sole condizioni di cui alla ipotesi n. 1) dell’art. 2901 cod. civ. e, cioè, che sia sufficiente per la revoca la
sussistenza dei presupposti di scientia damni (consapevolezza del debitore di pregiudicare il soddisfacimento delle ragioni del
creditore attraverso gli atti di disposizione sui propri beni) ovvero dell’animus nocendi (cfr. Cass. Civ. n. 6017/1999).
La costituzione del fondo patrimoniale è atto a titolo gratuito, suscettibile di essere revocato attraverso il mezzo di cui all’art.
2901 cod. civ., tuttavia la ulteriore problematica in esame pone degli interrogativi in ordine alla sussistenza del requisito della
scientia damni e sul presupposto della esistenza del pregiudizio cagionato dai coniugi Tizio e Caia alle ragioni creditizie della
banca Alfa, relativamente alle rate del mutuo non riscosse, a far data dal gennaio 2012.
Sulla questione è intervenuta la Suprema Corte regolatrice che, oltre a richiamare gli orientamenti giurisprudenziali sopra
menzionati, ha contribuito a ridisegnare con maggiore compiutezza il nesso applicativo del binomio azione pauliana e
revocabilità dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale.
I giudici di P.zza Cavour hanno non solo statuito che la funzione dell’actio pauliana non è soltanto quella di ricostituire la
garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, bensì, altresì, quella di assicurare uno stato di
maggiore fruttuosità e speditezza dell’azione esecutiva, ma ha oltretutto provveduto a ridefinire le categorie dei presupposti
dell’azione di cui all’art. 2901 cod. civ. (cfr. Cass. Civ., sez. III, 17 gennaio 2007, n. 966, conf. Cass. Civ., sez. III, 5 luglio 2013,
n. 16825).
La Corte ha positivizzato un fondamentale principio per il quale, in ordine alla sussistenza dell’eventus damni, non è necessario
che l’atto di disposizione, compiuto dal debitore sul proprio patrimonio, abbia reso impossibile la soddisfazione delle ragioni
creditorie, determinando la perdita totale della garanzia patrimoniale del creditore, bensì può ritenersi sufficiente il fatto che lo
stesso abbia determinato o aggravato l’incapienza dei beni del debitore.
Sarebbe quindi idonea, per tale orientamento giurisprudenziale, a pregiudicare le ragioni del creditore anche una variazione
semplicemente qualitativa del patrimonio del debitore realizzata magari mediante la sostituzione di un bene con altro bene
aggredibile con maggiore difficoltà in sede esecutiva.
Ulteriore opinione del Supremo Collegio di legittimità ha ulteriormente statuito come l’azione revocatoria possa essere proposta

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non solo a tutela di un credito certo, liquido ed esigibile ma, in coerenza con la sua funzione di conservazione dell’integrità del
patrimonio del debitore, anche a tutela di una legittima aspettativa di credito (cfr. Cass. Civ., sez. III, 5 marzo 2009, n. 5359).
Per completare il quadro argomentativo delineato sulla questione, è opportuno sottolineare che la giurisprudenza di legittimità
ha rafforzato il principio secondo il quale, in punto di onere probatorio, spetta al convenuto in sede giudiziaria, fornire la prova
dell’insussistenza del pregiudizio così come, sotto il profilo della prova della scientia damni la stessa può essere fornita anche
attraverso presunzioni, senza che rilevino l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore né
la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo (cfr. Cass. Civ., sez. III, 17 gennaio 2007, n. 966, conf. Cass. Civ.,
sez. III, 23 settembre 2004, n. 19131).
L’azione revocatoria ordinaria presuppone, infatti, secondo quanto statuito dalla recente giurisprudenza degli ermellini di P. zza
Cavour, per la sua concreta esperibilità in riferimento alla costituzione di fondo patrimoniale in epoca successiva alla
costituzione di ipoteca volontaria su immobile, l’animus nocendi. Siffatto elemento psicologico va provato dal soggetto che lo
allega, e può essere accertato anche mediante il ricorso a presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito, ed è
incensurabile in sede di legittimità, in presenza di congrua motivazione (cfr. Cass. Civ., sez. III, 7 ottobre 2008, n. 24757).
Pertanto, con riferimento alla vicenda de qua, ben potrà affermarsi che la Banca Alfa non avrà particolari problemi a far valere –
con atto di citazione ex artt. 2901 cod. civ. e 163 c. p. c. – il suo diritto a rendere inefficace, tramite azione revocatoria
ordinaria, il negozio di costituzione del fondo patrimoniale stipulato dai coniugi Tizio e Caia, dovendo dimostrare, secondo la
giurisprudenza della Cassazione, solo la sussistenza dell'eventus damni e della scienza damni e non del c. d. consilium fraudis.
Nel caso in esame vi è sicuramente l’eventus damni, rappresentato dall'immissione nel fondo patrimoniale dell'immobile
sottoposto ad ipoteca volontaria dalla Banca Alfa a garanzia del mutuo concesso a Tizio e Caia anteriormente alla costituzione
del fondo; e vi è altrettanto sicuramente anche consilium fraudis, ovvero la consapevolezza (dolo generico) da parte di Tizio e
Caia di ledere le ragioni della Banca Alfa, immettendo nel particolare regime del fondo patrimoniale un immobile gravato da
ipoteca.
Lo stesso Istituto di credito, ai fini della riscossione delle somme di denaro non corrisposte dai coniugi ed oggetto del mutuo
quindicinnale, potrà attivare procedura esecutiva ex art. 170 cod. civ. per l'immobile vincolato nel fondo patrimoniale dinanzi il
Tribunale competente, notificando agli stessi debitori relativo atto di precetto, ex art. 480 c. p. c., in forza dell'ipoteca iscritta e
dello stesso contratto di mutuo, costituente titolo esecutivo valido ed efficace, ai sensi di quanto codificato all'art. 474 c. p. c.,
finalizzato al successivo pignoramento dell’immobile stesso; tuttavia, in tal caso, Tizio e Caia – ai fini di una ipotetica
opposizione all’esecuzione – dovranno provare come il fondo sia stato regolarmente costituito e che l'acquisto dell'immobile
facente parte del fondo sia rimasto estraneo ai bisogni familiari.
Infatti, ai sensi del citato art. 170 cod. civ., l'esecuzione sui beni vincolati in fondo patrimoniale "non può avere luogo per debiti
che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia". Dunque sono due sono i presupposti
richiamati nella norma: il primo, di natura oggettiva, consiste nell'estraneità del debito ai bisogni della famiglia; il secondo, di
natura soggettiva, è rappresentato dalla conoscenza, da parte del creditore, della predetta estraneità.
Riguardo al primo requisito - l'estraneità del debito ai bisogni della famiglia - sembra ragionevole ritenere che, nel caso in
esame non sussista, in quanto l'acquisto di un immobile fatto da entrambi i coniugi ben potrebbe rientrare tra il novero dei beni
che rappresentano i bisogni della famiglia anche alla luce della giurisprudenza dominante.
Al tal riguardo, infatti, la giurisprudenza di legittimità, identifica i "bisogni della famiglia" ai fini dell'art. 170 cod. civ., nella
"inerenza diretta ed immediata" degli scopi per cui i debiti sono stati contratti ai bisogni della famiglia. Si è precisato che il
concetto di "bisogni della famiglia" non deve essere inteso in senso restrittivo, non deve cioè essere riferito solo alla
soddisfazione delle necessità indispensabili del nucleo familiare bensì deve essere letto come formula atta a ricomprendere tutte
le esigenze volte al pieno mantenimento e all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità
lavorativa, restando escluse solo le esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da intenti meramente speculativi (cfr. Cass.
Civ., sez. I, 7 gennaio 1984, n. 134).
Riguardo al secondo requisito - conoscenza da parte del creditore dell'estraneità del debito ai bisogni della famiglia - anche
questo, può ragionevolmente ritenersi escluso. La banca Alfa, infatti, era a conoscenza che il mutuo era stato fatto per l'acquisto
di un immobile da parte di entrambi i coniugi e tale singola ragione già di per sé basterebbe a considerare detto acquisto
ricollegabile ai bisogni della famiglia di Tizio e Caia.
Gli Ermellini, fugando ogni dubbio di sorta, in una recentissima sentenza hanno sancito che: "l'onere della prova dei presupposti
di applicabilità dell'art. 170 c.c., grava sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo
patrimoniale, la quale deve provare non soltanto la regolare costituzione del fondo e la sua opponibilità nei confronti del creditore
pignorante, ma anche che il debito per cui si procede venne contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia, essendo questi
ultimi sia quelli essenziali del nucleo familiare, sia altre esigenze, purché il loro soddisfacimento sia funzionale alla vita della
famiglia" (Cassazione Civile, Sez. III, 19 febbraio 2013, n. 4011).
Ergo, aderendo a siffatto ultimo orientamento giurisprudenziale, incomberà sui debitori Tizio e Caia, in sede di procedura
esecutiva attivata dalla Banca Alfa, ex art. 170 cod. civ., il citato onere probatorio.

(di Giuseppe Potenza)

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