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Con l’obiettivo di definire il ruolo e il senso complessivo degli edifici ad Aula - rispetto al Renato Capozzi

Renato Capozzi
chiarimento e avanzamento dei vari temi (ideazione), dei tipi costruttivi assunti e delle
procedure compositive adottate - questo studio muove da un assunto teorico di fondo:
la possibile identificazione del tema dell’edificio pubblico con il tipo architettonico dell’Aula.
L’ipotesi di una concreta identificazione tra gli edifici pubblici con il tipo dell’Aula è Le architetture ad Aula:
esemplarmente rinvenibile nelle architetture civili di Mies van der Rohe, ove la presenza
di un unico spazio indiviso a carattere rappresentativo domina la composizione. il paradigma Mies van der Rohe

Le architetture ad aula: il paradigma Mies van der Rohe


Ideazione, costruzione, procedure compositive
Nella Convention Hall, nella Crown Hall, nel Teatro di Mannheim, sino al Museo di Berlino
- analizzati con ridisegni critici/interpretativi - Mies, adoperando una procedura compositiva Ideazione, costruzione, procedure compositive
di tipo tettonico - sintattico, produce una profonda erosione/riformulazione del tema
dell’edificio pubblico. La scelta sintetica dell’Aula non impedisce a tali manufatti di affermare
la loro ragione costitutiva, ma consente, in tutti i casi presi in esame, di realizzare un
notevole avanzamento nella precisazione dei caratteri e dei temi collettivi affrontati.
Le Aule di Mies vogliono selezionare una parte speciale della “stanza smisurata” della
natura riproducendo nel finito l’idea di “spazio universale” completamente aperto e
attraversato dalla natura o dai contesti urbani in cui questi edifici si collocano, realizzando
sub specie architetturae quella “vertigine del vuoto” tanto presente nelle opere di Malevic, ˘
attingendo al contempo alle non transitorie regole e principî del Classico inteso non come
replica acritica di forme desunte dalla storia, ma come “aspirazione” alla generalità e
all’intelligibilità della costruzione architettonica adeguata al nostro tempo.

Renato Capozzi (Napoli 1971), architetto, allievo di Salvatore Bisogni con cui ha collaborato
in diverse ricerche universitarie su temi inerenti l’architettura della città e la composizione
architettonica degli edifici collettivi, ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in
Composizione Architettonica presso lo IUAV di Venezia ed è specializzato in Progettazione
Architettonica e Urbana. Attualmente è professore a contratto di Teorie della ricerca
architettonica contemporanea presso al Facoltà di Architettura di Napoli e di Composizione
Architettonica presso la Scuola Superiore di Architettura Urbana promossa dalla Fondazione
Studi Superiore di Architettura. Ha preso parte in ambito universitario a numerosi seminari
teorici e progettuali e ha curato numerose pubblicazioni, convegni e mostre. Per i tipi della
CLEAN nel 2008 ha pubblicato con F. Visconti il volume Architettura Razionale >1973_2008>.

euro 20,00
Io non sto solo lavorando sull’architettura, io sto lavorando
sull’architettura come un linguaggio, e penso che si debba
avere una grammatica per avere un linguaggio. Lo si può
usare per proposte formali, ed allora si parla in prosa.
Se si è bravi in questo, allora si può parlare una
meravigliosa prosa. Se poi si è veramente bravi, allora si
può essere un poeta.

Mies van der Rohe

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Copyright © 2010 CLEAN
via Diodato Lioy 19, 80134 Napoli
Questo testo trova origine nella ricerca condotta presso l’Istituto
Universitario di Architettura di Venezia, all’interno del Dottorato di
INDICE
telefax 0815524419-5514309 Ricerca in Composizione Architettonica - XVI ciclo con il titolo
www.cleanedizioni.it Il Tema dell’Aula nelle architetture di Mies van der Rohe.
info@cleanedizioni.it Ideazione, costruzione e procedure compositive sotto la guida del
professore Armando Dal Fabbro, che ne è stato relatore, con il
Tutti i diritti riservati sapiente contributo critico del professore Gianugo Polesello, che
È vietata ogni riproduzione ne è stato controrelatore, e con l’attento tutoraggio della
ISBN 978-88-8497-165-4 professoressa Martina Landsberger. La tesi è stata discussa nel
2004 dinanzi alla commissione costituita dai professori
Editing Gianni Fabbri, presidente, Marino Narpozzi e Fabrizio Spirito.
Anna Maria Cafiero Cosenza

Grafica con l'egida di


Costanzo Marciano
Università IUAV di Venezia
Dottorato di Ricerca in
Composizione Architettonica

RINGRAZIAMENTI
Desidero ringraziare per il contributo fondativo offerto a questo 6 MIES E LA SUA SCUOLA
lavoro i professori: Arntonio Monestiroli

Salvatore Bisogni il mio maestro, che ha ispirato questo studio 7 PRESENTAZIONE


Gianugo Polesello
Armando Dal Fabbro
Antonio Monestiroli, che da ‘allievo’ di Mies ha apprezzato
questo studio scrivendone l’introduzione
Carlos Martí Arís 8 PREMESSA
Armando Dal Fabbro per aver orientato e condiviso la struttura
della ricerca
Martina Landsberger per aver riletto e corretto il testo della ricerca 13 IL TIPO DELL’AULA
14 Definizione del tipo architettonico dell’Aula in rapporto agli edifici pubblici
Il collegio dei docenti del DRCA dello IUAV e in particolare: 38 Affinità e distinzione tematica degli edifici pubblici ad Aula
Luciano Semerani - coordinatore, per aver concesso l'egida del 41 Il ruolo della costruzione negli edifici ad Aula
DRCA a questa pubblicazione 49 Procedure compositive: sintassi e paratassi
Gianni Fabbri
Gino Malacarne
Renato Rizzi 59 GLI EDIFICI AD AULA DI MIES VAN DER ROHE
Antonella Gallo 60 La ricerca di Mies van der Rohe sull’Aula
88 La Crown Hall presso l’IIT di Chicago, 1950-1956
I dottorandi del DRCA 95 Il Teatro Nazionale di Mannheim, 1952-1953
101 La Convention Hall di Chicago, 1953-1954
Patrizia Terlizzi per il conforto e l’aiuto prezioso che ha reso 110 La Neue Nationalgalerie di Berlino, 1962-1968
possibile questo lavoro
Ilario Boniello per le discussioni su Cartesio
Carolina Cigala per i continui incoraggiamenti che mi ha fornito 131 IL CLASSICO COME ‘FUTURO’ DELL’AULA
Claudio Finaldi Russo per aver condiviso e ampliato molti 132 Attualità/inattualità del tipo ad Aula, Mies van der Rohe e la questione del classico
ragionamenti
Massimiliano Fraldi per le estenuanti e pazienti discussioni sulla 139 RIDISEGNI ANALITICI, PROCEDURE COMPOSITIVE, ASSETTI COSTRUTTIVI
costruzione
Esther Giani per l’ospitalità rara
Ciro Iacobelli per la collaborazione alla redazione dei 186 BIBLIOGRAFIA
rididesegni critici 188 INDICE DEI NOMI
Fritz Neumeyer che mi onora della sua amicizia 190 INDICE DELLE OPERE
Valeria Pezza per le occasioni ulteriori che mi ha offerto di
riflettere sul tema
Federica Visconti per avermi convinto a pubblicare questo studio
e per aver avuto la pazienza di leggere e discutere il merito
del testo.
MIES E LA SUA SCUOLA PRESENTAZIONE
Antonio Monestiroli Armando Dal Fabbro

Quando penso alle aule di Mies mi torna alla mente un brano di un filosofo a me caro sul Duomo di Colonia che ho letto Composizione e costruzione animano le scelte di campo del lavoro di Renato Capozzi.
tanti anni fa e che mi ha molto impressionato: «In un simile Duomo c’è posto per tutto un popolo. Infatti qui la comunità di Composizione assunta come regola e rigore figurativo, costruzione intesa come principio (procedimento) logico,
una città e dei suoi dintorni deve raccogliersi al suo interno. Lo spazio nella sua vastità non è suddiviso in parti fisse ma come aspirazione all’assoluto tettonico. La ricerca indaga il lavoro di Mies Van der Rohe; in particolare il “valore”
ognuno va e viene indisturbato, affitta per l’uso momentaneo uno scanno, si inginocchia, recita le preghiere, se ne va. ideativo, compositivo e costruttivo degli edifici ad Aula per i quali invenzione spaziale e soluzione tecnica coincidono.
Se non è l’ora della grande messa le cose più diverse avvengono senza incomodo nello stesso tempo. Qui si predica, Gli esempi presi in esame rappresentano i progetti più maturi del periodo americano dell’opera di Mies: la Crown
là si porta un malato, contemporaneamente si svolge una lenta processione, qui avviene un battesimo, in un altro luogo Hall dell’IIT di Chicago del 1950-1956; Il Teatro nazionale di Mannheim del 1952-1953; la Convention Hall a Chi-
ancora un prete legge la messa oppure benedice un matrimonio e per ogni dove persone sparpagliate stanno inginoc- cago del 1953-1954; la Neue Nationalgalerie a Berlino del 1962-1964.
chiate di fronte agli altari e alle immagini dei santi. Tutte queste cose sono racchiuse in un unico e identico edificio. Noi Lo studio muove da un assunto teorico di fondo: la possibile identificazione del tema dell’edificio pubblico con il tipo
non abbiamo qui da ricercare una rispondenza a un fine particolare ma una rispondenza al di sopra di ogni singolarità architettonico dell’Aula. E l’ipotesi di una concreta coincidenza tra gli edifici a carattere collettivo e l’Aula è signifi-
e finitezza» (Hegel, Estetica, Berlino 1838, Milano 1963). cativamente rinvenibile nelle architetture di Mies, ove la presenza di un unico spazio indiviso domina la composizione.
Mies progettando le sue aule parte dallo stesso punto di vista. Nel caso della Crown Hall, attraverso la conoscenza delle Renato Capozzi affronta con rigore metodologico il tema dell’Aula, a partire dalla costruzione di una “genealogia”
funzioni della scuola, Mies arriva a definire un’idea generale di scuola e, fra le tante possibilità tipologiche e costruttive di opere tesa a rintracciare e chiarire i caratteri distintivi e specifici di tali manufatti. Dall’origine etimologica del ter-
che offrono i materiali e le tecnologie a disposizione, sceglie per un unico grande spazio indiviso, un’aula, un unico mine “Aulé” all’identificazione, da parte della cultura ellenistica e poi romana, dell’Aula con il tema dell’edificio col-
grande spazio trasparente e luminoso, in cui in un solo colpo d’occhio tutte le attività della scuola sono visibili e manife- lettivo. Compiendo una perlustrazione molto accorta, la prima parte del saggio indaga l’evoluzione del tipo ad Aula
stano il valore che le accomuna: quello del lavoro collettivo di studenti e docenti. Mies insegnava in questo grande spa- ed il suo significato semantico, e come questo si è modificato nel tempo. Sarà Hilberseimer, prima con Großstadt Ar-
zio luminoso, in una comunità per la quale aveva voluto costruire uno spazio rispondente. Mies in questo caso non ha chitectur (1927) e soprattutto con HallenBauten (1931) - che costituirà il primo contributo teorico di riferimento, per
costruito solo una bella scuola dunque ma ha definito anche una bella idea di scuola. Questi due fatti sono inscindibili. questa classe di manufatti - con il quale il tema dell’edificio pubblico ad Aula riceverà un notevole sviluppo e ap-
La scuola e l’idea di scuola sono legati indissolubilmente in quella struttura fatta dai quattro grandi portali che danno una profondimento. In forma quasi manualistica, Hilberseimer promuove e anticipa quelli che saranno i temi su cui si ba-
forma alla scuola. Possiamo dire una forma monumentale. Il passaggio dall’idea di scuola alla sua struttura fisica è un pas- serà la ricerca miesiana, anche in relazione alla costruzione della città moderna.
saggio difficile da insegnare. In questo passaggio noi siamo aiutati dalla profondità e chiarezza dell’idea di scuola. Gli esempi presi in esame, della Crown Hall, del Teatro nazionale di Mannheim, della Convention Hall di Chicago
Quanto più chiara e profonda sarà quest’idea tanto più facile sarà definire la ragione ultima dell’edificio e trovare la e della Neue Nationalgalerie di Berlino, sono studiati e indagati, di volta in volta, nei loro aspetti ideativi, costruttivi
forma ad essa rispondente. Ma quale è la ragione degli edifici? Quella deducibile dai valori del tempo o quella tratta dal e compositivi. Disegni grafici, comparazioni in scala, interpretazioni geometrico-compositive, concludono, all’oggi,
nostro personale punto di vista sull’epoca in cui viviamo? Tale questione è in realtà una questione attuale e controversa. la ricerca sul tema dell’Aula nei progetti di Mies.
Lo stesso Mies in un primo periodo dice che l’architettura è la cristallizzazione dei valori dell’epoca. Una affermazione In conclusione, lo studio, ponendosi su un piano espressamente compositivo, rintraccia alcune invarianti sintattico-com-
che asseconda il suo desiderio di oggettività delle scelte, una sorta di astensione dal giudizio di chi progetta. Questo è positive per questa classe di manufatti, segnalando l’attualità del tema della Aula/edificio pubblico e la sua capa-
un atteggiamento oggi molto diffuso. Solo più tardi Mies rovescerà la questione riconoscendo la volontà di chi progetta, cità di porsi come uno dei capisaldi urbani per la costruzione e l’infrastrutturazione della città contemporanea. Così
(la Kunstwollen di Riegl) il suo peso determinante nell’opera, e affidando a chi progetta il compito di riconoscere i valori come, il valore nelle opere di Mies, andrebbe studiato e sviluppato in una ricerca più ampia, riferita sostanzialmente
dell’epoca attraverso un suo personale punto di vista. Così, anche senza rinnegare un procedimento razionale portato alle al forte legame che Mies istituisce fra Moderno e Classico in architettura. Un rapporto con la storia, per nulla no-
sue estreme conseguenze, Mies riconosce l’impossibilità di un processo deduttivo dall’epoca all’opera. È necessario che stalgico, ma sempre legato alla necessità di esprimere la modernità, l’architettura del proprio tempo, una nuova e
l’opera risulti dalla definizione dei valori di un’epoca, che vanno riconosciuti da chi progetta. Dunque il progetto è attività antichissima bellezzà. In altre parole: nova sed antiqua. È la modernità del classico che ritorna trasfigurata nei pro-
conoscitiva della realtà, un’attività che procede dal concreto all’astratto, dalla materia all’idea, attraverso le funzioni pro- getti di Mies, nei modi di cogliere l’architettura e di trasmetterla.
prie di un’epoca storica. Un punto di vista profondamente realista eppure proiettato verso una realtà nuova, una realtà che
ancora non si conosce. A partire da questa volontà di conoscenza Mies fonda il suo progetto su un’idea di movimento
dal concreto all’astratto, procedendo dal particolare al generale. È in questo movimento del pensiero dalla materia all’idea
che il progetto prende forma. Attraverso tre livelli della conoscenza: dallo studio dei materiali, attraverso l’analisi delle fun-
zioni, fino alla conoscenza dei valori. Al centro di questo processo ci sono le funzioni. Le funzioni della nostra vita civile.
Funzioni che rendono praticabile la nostra vita, che danno senso alla nostra vita. Queste funzioni vanno analizzate nella
loro particolarità ma, come abbiamo visto, è necessario andare oltre tale particolarità.
Questo è il punto centrale dell’insegnamento di Mies: il passaggio necessario dalla funzione al suo valore generale.
Tutto questo Renato Capozzi lo ha capito a fondo e restituito attraverso la sua attenta e profonda analisi del lavoro di Mies
che ha eletto a suo principale maestro.

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PREMESSA riflessione sulla loro identità possibile in relazione alle possibilità della costruzione e della geometria, alla scelta di
opportune procedure compositive e sintattiche. Chi inventa percorre sentieri ancora inesplorati, e in questo senso l’in-
venzione è alla base dell’opera d’arte: «Nel triangolo tra scienza, arte e filosofia, chi ne occupa il vertice più alto?
Il metodo è necessario alla ricerca della verità
Il livello di problematicità può aumentare là dove ci si chiede: la scienza è soltanto scire per leges? E l’arte è solo fa-
Descartes, regle IV
cere per inventiones? Il significato del termine “inventio” è lecitamente rinviabile a “venire in”, cioè alla “penetrazione”
nella res e quindi alla scoperta filosofica della sua verità»10. L’ideazione tiene per così dire insieme, in termini sinte-
tici, gli aspetti costruttivi e le regole compositive. L’ideazione chiarisce i pesi ammissibili delle scelte geometriche, pro-
porzionali, costruttive, stilistiche e infine linguistiche.

Costruzione - Essa va intesa come il fondamento epistemologico dell’architettura. La costruzione in quanto principio
dell’architettura concorre assieme al tipo che realizza il tema e attraverso la composizione a determinare il carattere11
degli edifici. È nel continuo confronto della costruzione tettonica con le geometrie, gli elementi dell’architettura, i prin-
Questo studio si occupa di definire le regole compositive, in rapporto alle scelte costruttive, delle architetture di Mies cipî compositivi e le proporzioni che si realizza l’architettura. Questi mondi formali e tecnici appaiono nelle opere
van der Rohe caratterizzate dalla presenza dominante della grande Aula, vale a dire di un unico spazio continuo a migliori intimamente connessi e indissolubili. Non si è inteso certo qui ridurre gli edifici ad Aula a mero atto costrut-
carattere rappresentativo che governa l’intera composizione. In termini più generali il libro tende a definire il ruolo e tivo, ma chiarire i legami tra gli elementi architettonici, le soluzioni statico-costruttive che tali edifici esigono e l’idea
il senso più complessivo degli edifici pubblici caratterizzati dalla presenza dell’Aula, rispetto al chiarimento del tema, architettonica che li sottende nel tentativo di segnalare e approfondire le svolte rispetto al problema della costruzione
delle sue ragioni costitutive, dei tipi costruttivi assunti e delle procedure compositive adottate. Il tentativo è stato quello e delle tecniche che queste architetture fanno intravedere e tenendo conto che - come aveva intuito Benjamin - è pro-
di fissare e sistematizzare alcuni elementi stabili dell’edificio ad Aula, classificare le sue tipologie, comprenderne il prio nel campo delle tecniche costruttive che da sempre si manifesta l’innovazione. Le soluzioni costruttive nella loro
rinnovato carattere architettonico e costruttivo, individuarne le parti architettoniche compiute ricorrenti ed eccezionali. ‘verità’ determinano gran parte dell’identità degli edifici ad Aula, potendo contrastare con il loro realismo quasi ‘etico’
L’ipotesi di una possibile coincidenza tra gli edifici a carattere pubblico con il tipo architettonico dell’Aula è chiara- ogni deriva formalistica. La possibilità di coprire grandi luci in ambienti di varie forme e dimensioni è insita in tali ar-
mente rinvenibile nelle architetture di Mies van der Rohe, ove la presenza di un unico spazio indiviso, cui sono su- chitetture. Rafael Moneo ci ricorda che «solo accettando o patteggiando i limiti e le restrizioni che l’atto del costruire
bordinate tutte le altre articolazioni, domina la composizione. «Queste architetture vogliono costruire un grande interno: comporta, l’architettura (l’opera) diviene ciò che essa è realmente»12. La forma non è data e non è il fine, ma è il ri-
un ambiente unico e a luce unica, in cui è possibile contenere un grande numero di persone e diverse attività essen- sultato di un serrato confronto con i dati e le possibilità della tecnica: usando le parole di Mies «Noi non abbiamo
zialmente di tipo rappresentativo»1. Come afferma lo stesso Mies «la creazione di uno spazio comune presuppone problemi di forma ma soltanto problemi costruttivi. La forma non è l’obiettivo ma soltanto il risultato del nostro lavoro.
la condivisione di valori comuni»2. Vi è una relativa indifferenza distributiva rispetto ai vari usi previsti, spesso con pochi Non esiste una forma valida in sé. La forma più perfetta è sempre condizionata, nasce assieme alla funzione, è
adattamenti facilmente intercambiabili. L’elemento distintivo è l’Aula, la sua costruzione, pur essendo differenti i modi l’espressione più elementare della sua soluzione. La forma come fine è formalismo, e noi la rifiutiamo. Allo stesso modo
e le forme che la realizzano. L’obiettivo è anche quello di cogliere l’attualità di questo tema, che non sembra aver ri- lo stile non è un nostro obiettivo»13. Per Mies infatti la costruzione diventa ‘struttura’, nel senso più alto del termine: or-
cevuto da parte della ricerca architettonica moderna e contemporanea, con l’eccezione di pochi maestri, un ade- dine espressivo.
guato approfondimento. Non è un caso, infatti, che i progetti o gli edifici pubblici ad Aula costruiti nel secolo scorso
siano pochi, e di questi solo alcuni realmente innovativi, mentre i numerosi costruiti agli inizi di questo millennio sono Composizione - Per gli edifici pubblici ad Aula sono state investigate le procedure compositive adottate e sperimen-
prevalentemente esercizi formali o esibizioni ipertecnologiche. Il riferimento al tema primigenio - inteso come ciò che tate e in che modo tali regole interagiscono con le ipotesi figurative, con la precisazione del tema e con i dati tec-
domina una qualsivoglia composizione architettonica - quello del ricovero, della delimitazione con la formazione di nico-costruttivi: con l’obiettivo dell’individuazione degli elementi stabili o meno stabili di tali architetture, il ruolo sintattico
un luogo ai fini di un suo uso collettivo, implica una continua riflessione sul senso ultimo da attribuire a tali manufatti loro assegnato, e i rapporti di dipendenza, di necessità o d’inclusione tra gli elementi ricorrenti presenti in tali ma-
in diretta relazione con la natura e da essa distinti in quanto artifax. Si è cercato di chiarire i nessi tra il momento nufatti e l’Aula. Il tentativo è stato quello di definire se esista la permanenza di alcuni temi e principî compositivi e in-
ideativo, come disvelamento e avanzamento del tema specifico, della ragione3 di ogni edificio, le tecniche costrut- dividuare gli avanzamenti possibili, rispetto alle nuove esigenze organizzative e di senso. Sono state approfondite
tive e le procedure compositive adoperate. Sebbene il tema architettonico dell’Aula sia fissato, molteplici sono i modi le relazioni tra le parti, i sistemi di controllo proporzionale, le articolazioni volumetriche, il ruolo delle questioni di-
per esplicitarlo in rapporto ai differenti tipi di edifici pubblici. Non tutti gli elementi e le forme sono idonei a rappre- mensionali evidenziando come le norme compositive si adeguano e spiegano le tecniche per creare un senso ap-
sentare l’identità e l’individualità dei manufatti: proprio nella selezione delle forme necessarie (grammatica) e nella propriato al rinnovato apparato costruttivo. Si è evidenziato come le procedure compositive adottate in tali manufatti
disposizione (sintassi) degli elementi sta il primo atto ideativo da cui muovere. Gli aspetti ideativi e innovativi dovranno in generale possono essere di tipo sintattico quando le varie parti costituenti l’edificio sono riassunti in un unico vo-
contemperarsi con quelli tecnico-costruttivi e con i modi della composizione al fine di ritrovare una nuova unità ed equi- lume o di tipo paratattico quando alla precisazione e gerarchizzazione degli elementi e delle parti costitutive fa ri-
librio, un moderno nihil addi capace di «nuove sintesi estetiche adeguate alle nuove esigenze e pulsioni contempo- scontro una loro individuazione in volumi distinti e/o accostati. «Comporre significa usare ciò che si sa (Gaudet): il
ranee, non per registrarle semplicemente, ma per ricondurle a un ordine possibile oltre che auspicabile»4. ciò che si sa non va inteso come complessivo bagaglio di soluzioni preformate ma come conoscenza e riconosci-
Parafrasando le categorie vitruviane, spesso ridotte e banalizzate da un’ottica ingenuamente funzionalista, si è inteso mento di regole all’interno di un più vasto procedimento logico»14. I materiali della composizione sono per l’appunto
prima esplicitare il significato attribuito alle tre questioni dell’ideazione, della costruzione e delle procedure compo- gli elementi dell’architettura di là da una loro possibile interpretazione semantica. L’operazione analitica di discretiz-
sitive5 attraverso le quali si è poi analizzato e specificato, dal punto di vista architettonico, il tema dell’edificio pub- zazione in elementi dell’oggetto architettonico, per sua natura continuo, è utile innanzitutto per ritrovare le leggi che
blico e dell’ipotesi della sua costituzione in quanto Aula. presiedono alla concatenazione e alla proporzione di tali parti o sistemi di parti, che ne costituiscono l’ossatura com-
positiva. Il chiarimento del passaggio dal sistema classico auto-commisurato degli ordini alla scomposizione, tutta mo-
Ideazione (Invenzione) - Ci si riferisce non tanto alla creazione di forme inedite ex nihilo 6, quanto piuttosto al disve- derna, dell’oggetto architettonico in piani, punti e rette quali ‘figure individue’ è in tal senso fondamentale. Gli elementi
lamento di principî organizzativi sintattici ed espressivi, alla definizione e reificazione di un’idea che esige una pro- sono ridotti a solidi: piani, volumi, sostegni che, solo a partire dalla loro messa a contrasto, determinano un tutto ar-
fonda conoscenza della ragione degli edifici pubblici per costruire architetture che siano condivise e riconoscibili. Per chitettonico e si emancipano dalla loro ovvietà e individualità astratto-geometrica per nominarsi e identificarsi come
ideazione si intende la ricerca di nuove forme necessarie, di nuovi temi e di più progrediti assetti stilistici7 ed estetici atti della costruzione. È di primaria importanza il passaggio tra la disposizione e l’individuazione planimetrica degli
capaci di produrre «nuove sintesi formali»8. L’innovazione tematica o re-invenzone avviene nel senso di in-venio, cioè elementi e la loro rappresentazione tridimensionale. Tema, questo, cruciale nella storia delle teorie compositive, come
di trovare nella ‘cosa’9, e ciò implica una conoscenza profonda del senso da attribuire a tali manufatti assieme a una traspare dalle osservazioni di Palladio sulla maniera di ‘voltare le stanze’ e sulle loro corrette proporzioni. L’obiettivo

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deve rimanere quello di costruire edifici dotati di finezza e concisione, ma al tempo stesso proiettati allo spazio na- dell’Aula come «forma architettonica capace di rappresentare il loro carattere collettivo, una sorta di Ur-tipo, di tipo
tura intesa come «nuovo contesto generale dell’architettura e della città»15. originario, in cui le articolazioni funzionali sono poste in secondo piano»22. La scelta sintetica dell’Aula non impedi-
sce tuttavia a tali manufatti di affermare la loro ragione costitutiva ma, al contrario, consente, in tutti i casi presi in
La costruzione di nuove ipotesi sintattico-costruttive e di senso per edifici ad Aula necessita di un’attenta analisi co- esame, un notevole avanzamento nella precisazione dei temi che i vari edifici affrontano. La loro caratterizzazione
noscitiva sia del tema architettonico, a partire dalle formulazioni illuministe, sia delle opere costruite o progettate nel e individualità tematica è realizzata attraverso le adeguate soluzioni costruttive in stretto rapporto con le procedure
corso di questo secolo innanzi tutto dai maestri del Movimento Moderno «questo non per ricavarne immediatamente compositive adottate23. Cambiano cioè in modo relativo le maniere con cui sono costruiti, ma con variazioni che ri-
delle soluzioni preformate sia sotto il profilo compositivo che linguistico, ma per verificare l’ipotesi di una progressi- guardano più l’affinarsi delle tecniche e del linguaggio che il senso particolare e il valore di ogni edificio. Tali ma-
vità della ricerca architettonica»16. Non si vuole assumere il rapporto analisi-progetto in termini deterministici quanto nufatti - infrangendo dogmi, canoni e convenzioni - rappresentano delle discontinuità profonde e aprono la strada alla
piuttosto costruire una genealogia di opere tesa a chiarire i caratteri distintivi e specifici di tali manufatti, un sistema costruzione di nuove regole. L’avanzamento, la deroga - come ci ricorda Apollinaire - produce una discontinuità ma
ordinato e intellegibile per puntare al dis-velamento del senso attuale dei manufatti e delle forme con cui rappresen- sempre rispetto a qualcosa, ha bisogno di una serie di materiali già sedimentati da cui partire, determina sì una frat-
tarlo. Per questo motivo il libro è articolato in due parti principali distinte ma tra loro correlate in senso circolare ed tura ma che attende di essere ricomposta conoscendo le regole che si vorrebbero violare.
euristico17. Le architetture ad Aula di Mies sono state analizzate utilizzando le tre categorie dell’ideazione, della costruzione e
La prima parte si occupa della definizione, in sede teorica, dei caratteri invarianti ed essenziali del tipo architetto- della composizione e contemporaneamente attraverso il metodo del ‘rilievo critico’ ovvero la riduzione alla stessa
nico dell’Aula, del rapporto tra i vari temi di edifici pubblici e l’assunzione unificante dell’Aula; dell’approfondimento scala, il ridisegno con la medesima grafia dei progetti e le rielaborazioni grafico/interpretative dell’assetto compo-
delle tecniche costruttive e delle procedure compositive presenti in tali manufatti. In tale ambito sono individuati e messi sitivo, proporzionale/modulare e costruttivo, cercando di chiarirne le regole e i principî che essi sottendono.
a confronto alcuni exempla della storia e della modernità. L’adozione metodologica dei riferimenti ha lo scopo di in- L’approfondimento degli exempla programmaticamente prescinde dalle particolari valenze o collocazioni di tipo ur-
dagare le procedure compositive, le strutture organizzative e le soluzioni tecniche attraverso le quali tali edifici di volta bano, partendo dal presupposto che parlare di contesto per queste architetture risulta inadeguato in quanto esse non
in volta hanno selettivamente specificato e chiarito la loro ragione, dando via via risposte più avanzate e adeguate commentano un luogo, un tessuto ma, al contrario, lo determinano, lo sintetizzano, ne riformulano i caratteri e le re-
alle necessità che il loro tempo esprimeva. Gli exempla indagati/studiati, ordinati secondo un orizzonte sincronico, lazioni d’ordine24. Il vero contesto entro cui tali edifici si pongono può tornare piuttosto a essere il ‘tutto aperto’ del
vogliono restituire nel loro complesso un’idea di architettura ben orientata, in cui l’identità tra architettura e costruzione territorio, la dimensione «marcatamente estensiva»25 della città contemporanea. Così, individuate le norme che que-
sia manifesta e siano manifesti, enumerabili, descrivibili e quindi intellegibili, principî sui quali tale idea si fonda e si sti edifici sottendono nella loro costituzione e autonomia, si è poi verificata nei vari casi la loro capacità di orientare
rivela nell’opera. Il riconoscimento di un’idea di architettura è nell’identificare un sistema di regole che stanno alla base e influenzare i particolari contesti urbani in cui sono collocati, constatando che spesso tali manufatti, assieme con altri
del fare e che gli oggetti esemplari riflettono e spiegano: significa riconoscere la necessità di una teoria, di un pro- di pari grado, sono capaci di relazionarsi tra loro secondo tensioni di natura topologica, di influenzare e riassumere
getto d’ordine condiviso, cioè di un progetto stilistico che è ineffettuale «al di fuori dell’esperienza classica»18. Non il tessuto urbano circostante.
si vogliono dedurre le opere dalla teoria - intesa come insieme ordinato di proposizioni che affermano l’esistenza di Infine il libro, riprendendo e riferendosi ad altre esperienze26 e verificando l’attualità del tema, ha voluto identificare
relazioni stabili tra determinati concetti - né viceversa assegnando solo al ‘fare’ la primazia ma stabilire una circola- alcune regole compositivo-architettoniche e nuove possibili risposte e riformulazioni tematiche per la costruzione degli
rità efficiente tra exempla (gli osservati) e principia (l’osservazione), tra praxis e Theoria. La Theoria infatti ‘osserva’ edifici pubblici ad Aula basate sulla loro capacità di porsi ancora come ‘capisaldi’, come ‘punti fissi’ per la costru-
le opere e da esse trae le sue regole, tali regole vanno poi verificate e anche emendate nel continuo confronto con zione e l’infrastrutturazione della città contemporanea riproponendo una riflessione sul futuro del classico come risposta
l’esperienza. La scelta di limitare a pochi maestri e quindi a poche ‘architetture esatte’ il campo di investigazione alla disarmante condizione di questi anni.
muove dal convincimento che esse, anche se in differenti epoche, hanno rappresentato e continuano a rappresen-
tare un preciso modo di intendere l’architettura (da Vitruvio a Lukács) e il suo farsi collettivo, che non punta alla esi-
bizione di forme gratuite ma che parte dalla conoscenza della ragione dei manufatti, dalla possibilità di riconoscere
dei tipi trasmissibili e delle forme riconoscibili.
La seconda parte, che logicamente sviluppa e verifica la prima, ma che allo stesso tempo ne ha guidato e chiarito
la struttura, riguarda lo studio approfondito delle architetture ad Aula di Mies van der Rohe e in particolare: la Con-
vention Hall di Chicago (1950-1956); il Teatro Nazionale di Mannheim (1952-1953); la Crown Hall presso l’IIT
di Chicago (1953-1954) e la Neue Nationalgalerie di Berlino (1962-1968).
La scelta metodologica è stata quella di analizzare - scomporre il tutto in parti e ricomporre le parti nel tutto19 - le ar-
chitetture civili di Mies dopo averne definiti i caratteri generali attraverso un punto di vista orientato: il ‘filtro selettivo’
dell’Aula. In tal senso, lungi dal voler proporre una ennesima esegesi di tipo storico-critico sull’opera di Mies, si è in-
teso selezionare e individuare alcune questioni teoriche e snodi problematici a partire dalle sue architetture, attraverso
la loro misurazione e il riconoscimento dei sistemi di regole che ciascuna di esse propone, partendo dal presuppo-
sto - come si è anticipato - che in architettura non si dà Theoria, che è ‘visione razionale’ delle forme, senza le opere,
le quali come ci ricorda Carlos Martí Arís «sono le autentiche depositarie della conoscenza tanto in architettura quanto
in qualsiasi attività artistica»20. Questo non per negare l’importanza e il ruolo della teoria ma sottolineando la necessità
che essa sia in qualche modo ‘estratta’ dagli esempi concreti dell’architettura nel suo farsi concreto e non ‘astratta’21
da esse recuperando, in ciò, la fondamentale distinzione operata da Giorgio Grassi tra i due modi di costruzione
teorica del ‘trattato’ e del ‘manuale’. Rendere evidenti le identità tematiche delle varie architetture selezionate in rap-
porto ai luoghi in cui si collocano, alle relazioni che esse stabiliscono con la costruzione complessiva della città, alle
procedure compositive che sottendono in stretta e insopprimibile relazione con le scelte costruttive e con i caratteri ar-
chitettonici che mettono in scena è stato l’obiettivo di questo lavoro nella convinzione che le opere debbano essere
continuamente interrogate secondo l’ipotesi che non esistono punti di vista oggettivi ma solo ‘letture profonde e con-
sapevoli’. Gli edifici studiati, nel declinare ognuno differenti temi, forme e dimensioni, sono accomunati dalla scelta

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1. Cfr. L. Lanini, Mies van der Rohe lost ARK, in “Progetto”, n. 15, aprile 2003.
2. Intervista in “Mies” un film di M. Blackwood, New York, NY 1985.
3. Cfr. A. Monestiroli, La ragione degli edifici. La scuola di Milano, Milano 2010.
4. Cfr. S. Bisogni, Introduzione alla ricerca MURST, Funzione e senso, 2003.
5. Le tre categorie interpretative adottate sono state individuate e proposte dal prof. S. Bisogni.
6. «È necessario intendersi chiaramente sul significato del termine ‘invenzione’. [...] le invenzioni architettoniche sono scelte tra materiali che
esistono. [...] qualunque discorso architettonico si basa su delle convenzioni, su dei topoi che sono comuni a chi parla e chi ascolta [...], e
che queste parole preesistono al singolo edificio e che proprio per questo possono essere invenzione, nel senso di ritrovamento,
convenzionamento basilare di qualsiasi discorso», in L. Semerani, Il trattato incompiuto, in Id., L’altro moderno, Torino 2000 e ancora lo
stesso Semerani precisa «Il tipo architettonico è un’invenzione, esso costituisce una delle più importanti esperienze trasmissibili», in
L. Semerani, L’architetto del principe, in Id., L’altro moderno, Torino 2000.
7. «Accademico, in senso deteriore, significa accettare una tecnica costituita, per qualsiasi arte, rinunciando all’invenzione. Ma rinunciare
all’invenzione significa nel contempo rinunciare ad approfondire la soglia che divide, o è semplicemente liminare, tra esperienza personale e
esperienza artistica. Non esiste arte che non sia autobiografica»; da A. Rossi, Introduzione a Boullée, in E.L. Boullée, Architettura, saggio
sull’arte, Venezia 1967, p. 18.
8. S. Bisogni, op.cit., 2003. IL TIPO DELL’AULA
9. «Io credo che l’invenzione, la capacità inventiva, non faccia parte della dotazione necessaria di un architetto (e neppure, ritengo di un
artista in generale). Il suo strumento principale è l’immaginazione [ideazione] che si applica sempre su cose note; queste cose deve prima di
tutto possederle con sicurezza».
da G. Grassi, Invenzione e accademia, in Id., 6 risposte a 2C, in “2C - Construcion de la ciudad”, n.10.
10. Cfr. F. Carnelutti, Arte e scienza,1959.
11. Cfr. A. Monestiroli, Questioni di metodo, in “Domus”, n. 727, maggio 1991 et Id., La metopa e il triglifo. Rapporto tra costruzione e
decoro nel progetto di architettura, in “QA”, n.13, 1992.
12. Cfr. R. Moneo, La solitudine degli edifici, in “Casabella”, n. 666, Milano 1999.
13. Cfr. Mies van der Rohe, Baukunst und Zeitwille, in “Der Querschnitt”, 1924, tr. it., in L. Hilberseimer, Architettura a Berlino negli anni ’20,
prefazione di G. Grassi, Milano 1967.
14. Cfr. F. Spirito, Il tema di architettura e la sua messa in opera, in “Progettazione urbana”, bollettino DPU, Università degli Studi di Napoli
Federico II, n. 0, gennaio 1993, p. 28.
15. A. Monestiroli, op.cit., 1992.
16. S. Bisogni, op.cit., 2003.
17. “Euristica” è una parola moderna derivata dal verbo greco eurisco, che significa ‘trovare’. L’euristica è l’arte di pervenire a nuove scoperte o
invenzioni, nella filosofia della scienza designa l’arte della ricerca, del promuovere e condurre rettamente la ricerca. Il problema di un
metodo che, oltre a regolare la classificazione del sapere, fosse soprattutto uno strumento di ricerca e di scoperta fu affrontato, nel XVII
secolo, da Francesco Bacone, che all’antica logica di Aristotele, basata sulla deduzione, oppose un approccio sperimentale e induttivo ai
fatti d’esperienza (le opere). Nel sistema di circolarità ermeneutica ci si vuol riferire a un continuo andirivieni dalla teoria alla prassi e
viceversa di modo che entrambe siano alimentate vicendevolmente l’una dall’altra.
18. Cfr. A. Monestiroli, Necessità della teoria, in AA.VV., Il progetto di architettura, Roma 2002, et, A. Monestiroli, Continuità dell’esperienza
classica, in E. D’Alfonso, Ragioni della storia e del progetto, Milano 1985.
19. R. Barthes afferma che tale procedura analitica, tale divisione e riunione dell’oggetto osservato restituisce la struttura, «[...] produce del nuovo
e questo nuovo è nientemeno che l’intellegibile generale [...]», in R. Barthes, ‘’L’attività strutturalista, in Id., Saggi critici, Torino 1966,
p. 246.
20. Cfr. C. Martí Arís, La cimbra y el arco. Una nota sobre la investigacíon en arquitectura, in “Circo”, n. 93, novembre 2001.
21. Cfr. V. Pezza, La materia del progetto, lezione, novembre 2001.
22. L. Lanini, op.cit., 2003.
23. Cfr. A. Monestiroli, Le forme e il Tempo, introduzione a L. Hilberseimer, Mies van der Rohe, Milano 1984.
24. Cfr. I. de Solà-Morales, Mies van der Rohe e il grado zero, in “Lotus”, n. 81, 1994.
25. G. Grassi, Introduzione, in L. Hilberseimer, L’architettura a Berlino negli anni Venti, Milano 1967.
26. Ci si vuol riferire sia a ricerche teoriche esemplari sul tema dell’aula - e in particolare agli scritti di S. Bisogni, C. Martí Arís, A. Monestiroli,
R. Neri - sia a sperimentazioni progettuali strettamente legate a tali elaborazioni che in alcuni casi ne rappresentano la verifica/premessa e
in particolare ai recenti progetti di Aule di S. Bisogni, G. Grassi, A. Monestiroli.

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DEFINIZIONE DEL TIPO ARCHITETTONICO DELL’AULA esigenze individuali e sociali. È proprio tale atto primario di divisione [di ana-lisi, di temno] che consente lo sviluppo
IN RAPPORTO AGLI EDIFICI PUBBLICI successivo della vita individuale e associata, lo sviluppo di una cultura, la nascita della civiltà. L’architettura a recinto
è all’origine della civiltà ed è antica quanto l’uomo. Ma se separandosi dalla natura naturalis, ostile, l’uomo conquista
uno spazio sicuro, nel contempo egli perde quel rapporto che lo legava alla Natura, che lo legava al mondo come
un tutto: egli perde, come propria casa, la ‘stanza smi-surata e superba’ della Natura; e comincia a sentire l’atto in
sé creativo della separazione, come atto violento, contro di sé, e - forse - come atto blasfemo […] Allora l’uomo, es-
sere filosofico e poetico a un tempo, tenta di recuperare all’interno della casa [Aula], di quell’angusto spazio che ha
inventato ed eletto a sua dimora a similitudine delle grotte e delle tane, quella complessità e quella bellezza di cui è
capace; tenta di recuperare la bellezza e l’infinitezza, sempre varia, della Natura; il senso di totalità che la anima.
Tenta di recuperare, sia in senso letterale che simbolico, ciò che ha perso. E incorpora all’interno della casa fram-
menti di spazio aperto, corti, frammenti di natura (l’albero, l’acqua, l’uccello, il vento e lo stormire delle foglie) nel
contempo realtà e simbolo; e moltiplica, rende vario, ricco di spazi e di presenze, lo spazio interno, per renderlo in
L’ipotesi di un’identificazione concreta tra edificio pubblico e il tipo dell’Aula, metodologicamente, presuppone la de- qualche modo simile agli spazi della Natura, e più adatto a se stesso come totalità, corpo e spirito, nel quadro delle
finizione della natura e dell’origine del termine del lemma ‘Aula’. Tale necessità etimologica1 muove dal convincimento nuove esigenze. L’uomo capisce che il suo nuovo utensile, casa, o stanza che dir si voglia, non è come gli altri (la
che il corretto uso dei termini e dei concetti deve muovere da una chiara comprensione del senso originario o, in altri ruota, il carro), ma qualcosa di diverso e di più; comprende che essa, stanza [Aula], tende inevitabilmente a farsi
termini, del significato vero, reale (etimos) più profondo delle parole2. Questo non per un mero gusto filologico ma, mondo, doppio del mondo»10.
al contrario, per fondare su quella verità insita nel contenuto primo delle parole una ipotesi di futuro consapevole. La L’invenzione dell’Aula, dello spazio separato e alter dalla natura rappresenta la volontà di ricostruire una porzione
definizione restituisce oltre al significato primo, alla genesi, anche ‘l’evoluzione interna delle cose’. La parola Aula speciale di quella ‘stanza smisurata’, di ricostruire un mondo e di conoscerlo, di ritrovare nel finito e nell’artificiale
deriva dal greco αυλή, (da αυσλή, cfr. antico indiano vas, vásati, rimane in un luogo, si ferma, pernotta) che può l’idea d’infinito (ápeiron), del senza misura. La ricerca di questo mikrós kósmos11 - che è ordine e decoro - equivale
indicare il cortile chiuso davanti alla casa, le parti costituenti di una Corte principesca: θάλαµος και δωµα και secondo Shelling alla ricerca della bellezza che è appunto «la percezione dell’infinito nel finito»12,in cui «la proget-
αυλή, il muro del cortile, υψηλή δέδµητο…ερίδροµος αυλή, l’abitazione, capanna, dimora, αυλή µεκύων, tazione dell’edificio - come affermava Louis Khan - deve iniziare con l’incommensurabile, quindi passare attraverso il
o può coincidere con il palazzo principesco, Ζηνος αυλή3. È utile sottolineare fin da ora uno stretto legame del ter- misurabile per finire ancora nell’incommensurabile». Non è un caso che Goethe definisca l’architettura come «una
mine con il tema della casa a corte (dimora) nei suoi differenti sviluppi dal privato (casa) al pubblico (palazzo). An- seconda natura costruita a fini civili», una natura razionale e ordinata che vuole riprodurre e alludere analogicamente
tonio Monestiroli ci ricorda che «Fustel De Coulanges descrive l’atto originario di costruzione della casa antica come alla perfezione e all’assolutezza dello spazio infinito che ci circonda.
atto di recinzione attorno all’altare degli dei della famiglia: in questo atto è contenuto tutto il significato dell’abitare In tal senso Martin Heidegger, a proposito del significato della nozione di Raum (spazio), lo riporta all’originario Rum
che va ben al di là della sua funzione (peraltro molto complessa nella forma evoluta della Domus) e fissa in modo che denota un luogo reso libero per permettere un insediamento di coloni o un accampamento: «un Raum è qualcosa
univoco il rapporto fra la casa e il luogo, che diviene il luogo proprio della famiglia, il luogo con cui questa si iden- di sgombrato, di liberato, e ciò entro determinati limiti, quel che in greco si chiama péras. Il limite non è il punto in cui
tifica per più generazioni»4. una cosa finisce, ma, come sapevano i Greci, ciò a partire da cui una cosa inizia la sua essenza dove è il principio
Come è riportato dal DEAU5 «l’Aulé era generalmente lastricata, con porta d’ingresso a mezzogiorno, e chiusa a nord della presenza della forma»13. Il riparo ‘naturale’ è trovato, il riparo ‘sgombrato’ (vuoto) è opera, è la sua prima Raum-
da un portico (pastàs) spesso a due piani, sul quale si affacciava il megaron, seguito dal ginecoide; nelle case di gestaltung (spazio figurato), prodotto dell’uomo è ‘luogo fondato’ reso abitabile, «salvifico del dolore e della morte,
Olinto altri ambienti d’abitazione (andròn) e magazzini si aprivano lateralmente alla corte. In età ellenistica l’Aula è che premette un Ordinamento eterno e divino del mondo»14. In tale accezione lo spazio diviene un vuoto non nel senso
generalmente sostituita dal peristilio». Analogamente il termine tedesco Halle, dal verbo hehlen (che a sua volta de- scientifico della fisica ma in quanto luogo o interno - denso di valore - definito artificialmente, o meglio architettonica-
riva dai latini occulere e celare e dai greci καλυτειν e κρυτειν) «denotava in origine un ambiente coperto da mente, e costruttivamente da una metrica, da un sistema di rapporti e commensurazioni. Come precisa Valeria Pezza
struttura a luce unica aperto e, accanto al significato di portico (Vorhalle), successivamente indicherà un ambiente cin- l’interno, l’architettura è «il vuoto ricondotto ad una misura […] l’architettura è fatta di gesti, eseguiti nel vuoto, che sono
tato sui quattro lati destinato alle adunanze»6. Dal termine Aula deriverà significativamente l’aggettivo aulico (dal gr. divenuti misura del vuoto stesso: su questi l’architettura ha costruito un mondo di forme autonomo ma coerente con la
aulikòs, e lat. aulicus, -a, -um) che significa letteralmente appartenente alla corte, principesco, di linguaggio o stile vita reale (che si svolge in essi ed in essi si rappresenta), adeguato ad essa, anzi capace di ‘evocare adeguatezza’
nobile, e, in senso traslato, è secondo Dante uno degli attributi del volgare letterario, «degno di risuonare nella reg- [Monestiroli da Lukács]»15. I ‘gesti’ cui allude Pezza sono gli elementi dell’architettura composti per definire un tutto che
gia [Aula]» , riportando in tal modo il senso ed il valore alla forma immanente del luogo rappresentativo. non si realizza come mera sommatoria di parti ma attraverso dei principî, dei ‘legami’, che li tengono assieme in
La radice aul- denota «il sito dell’accampamento, che normalmente viene mantenuto da un inverno all’altro segnando modo chiaro e intellegibile. Il vuoto inteso come interno, come individuazione intenzionale, normata e misurata di un
il luogo con una cinta di pietre, e scelto in funzione del riparo dei venti dominanti, presso alberi o a ridosso di basse luogo e delle attività reali che vi avvengono che rimandano «alla nostra presenza nel mondo»16 è insieme il luogo se-
colline; il recinto per le mandrie è circondato da incannucciate o da fosse scavate nel terreno» (Guidoni)7. A partire parato del témenos, della casa/focolare, del rito del tempio o della recita del teatro, è spazio ordinato nel senso della
da questa ultima accezione si può rintracciare uno stretto legame non solo etimologico tra l’Aula ed il recinto (téme- Raumkunst (arte di costruire lo spazio). Lo spatium determinato dall’Aula è inteso in quanto σταδιου (distanza) e cioè
nos), tra il luogo rappresentativo unitario, il suo costituirsi come manufatto, e l’atto primordiale della delimitazione dello intervallo, porzione finita di uno spazio non misurabile e per definizione smisurato che è quello della natura17. In ge-
spazio distinto dalla natura, in quanto ostile, ma anche nel senso di sottrarne una parte. Sostituendo «alla natura una nerale - nell’interpretazione di Cacciari - «si può parlare di architettura quando si comprende che un progetto affronta
natura più o meno estratta dalla prima» (Valéry)8. compositivamente il problema del vuoto…come comporre il vuoto»18. Secondo Calvino «il vuoto è altrettanto concreto
L’atto del recingere, di separare, di dividere, ci ricorda la Arendt9, «significa costruire un muro che si dirà nomos (da che i corpi solidi (Lucrezio), il vuoto non è il nulla, il niente, il vuoto è la condizione base del mondo, come noi lo co-
cui témenos), cioè legge, norma che regola e misura lo spazio. L’atto di recingere e quello di ripararsi sono il pre- nosciamo, lo percepiamo: se si può costruire il mondo è perché non fa ostruzione, perché c’è spazio, è vuoto». Il vuoto
supposto della possibilità di esperire una conoscenza, di realizzare un’esperienza». è esso stesso un pieno denso di significati ma anche forma architetturata, quindi è dotato di ordine. Un’analoga con-
Di particolare rilievo e interesse riguardo al tema dello spazio cintato sono le riflessioni di Giovanni Di Domenico: cezione spaziale è quella di ma, che nella tradizione giapponese indica lo ‘spazio nel mezzo’ ossia l’intervallo di
«[...] far architettura è essenzialmente fare recinti. Il significato essenziale dell’architettura sta forse nel suo essere re- tempo fra diversi fenomeni, ma anche la distanza degli oggetti nello spazio. Il vuoto è inteso come intervallo pregno
cinto, nel costruire un ambito di spazio controllato separando un interno da un esterno tramite un muro. Costruendo di significato, attorno cui si costruisce il senso dell’opera19.
un muro - un recinto chiuso - intorno a sé, l’uomo sottrae una porzione di spazio allo spazio ostile della Natura, la fa La ‘capanna primitiva’, il rifugio primordiale sarà interpretato da Schmarsow20 come una vera e propria matrice spa-
propria, la pone sotto il proprio incontrastato dominio, rendendola innanzitutto sicura e poi adatta a sé, alle proprie ziale definendola Raumgestalterin, creatrice dello spazio, vista come ‘principio guida soggiacente’ a ogni figurazione

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e forma architettonica. In questo senso si può parlare per l’Aula in quanto ‘riparo primordiale’ di άρχετύος, ovvero ma anche la dea del centro, dell’omphalos 28, della casa e in senso più ampio della riunione, della comunità e dello
di referente formale, di modello originario ideale e primitivo delle cose, del quale le manifestazioni sensibili della re- stare insieme. Il centro rappresenta ciò che è conosciuto a differenza di ciò che è nel mondo circostante ed è inco-
altà non sono che filiazioni o imitazioni. Gli archetipi rivelano condizioni fondamentali dell’essere o meglio sono in noscibile o addirittura minaccioso, in generale il centro (omphalos/mvndvs) è «la scoperta o la proiezione di un punto
diretto contatto con gli universali (Platone), in tal senso le forme archetipiche sono intrinsecamente pubbliche perché fisso che è equivalente alla creazione di un mondo» (Mircea Eliade). L’uomo, ogni volta che definisce un centro, rico-
capaci di una «ricezione generalizzata» (Benjamin). Questo è spiegato forse anche dal fatto che il termine Aula è di struisce il proprio mondo, crea cioè un ‘artefatto’29. L’insistenza sull’idea di centro sul piano architettonico general-
tipo autologico cioè contiene in sé, simultaneamente, la sua spiegazione spaziale e il suo significato. Rappresenta l’idea mente equivale alla scelta di organizzazioni spaziali di tipo centrale, con almeno due assi di simmetria tra loro
che contiene in sé il senso generale dell’edificio. L’archè è idea prima, ciò che sta all’inizio del tempo ma è anche ciò ortogonali, in cui l’idea dello ‘stare’ sia manifesta nella forma stessa che organizza lo spazio che non ha una orien-
che si impone in quanto evidente, logico ed elementare costituendo il «tramite attraverso cui si attua il rapporto fra idee tazione prevalente ma un centro da cui si dipartono infinite direzioni. Ma immediatamente, a tale scelta di individuare
e forme» (Monestiroli). Secondo Giorgio Grassi, infatti, «l’archetipo è rappresentato dalle forme semplici ed origina- un vuoto dotato di centro, fa riscontro la necessità di coprirlo con un tetto che ne consenta l’utilizzo. Se per la casa
rie dell’architettura, da quelle forme cioè […] che sembrano esibire il contenuto stesso e la motivazione umana. Tali l’atto fondativo è l’erezione di un muro, per l’edificio pubblico è l’erezione e il sostegno di un tetto, di una «copertura
forme non soltanto rappresentano i principî immutabili secondo cui è nata l’architettura, ma essi ne costituiscono altresì sovrana» (Perret) che è insieme impresa tecnica e sforzo collettivo. A tal riguardo è paradigmatica l’evoluzione del Te-
le norme in quanto l’architettura deve ritornare a tali forme nel suo [continuo] processo di rifondazione»21. lesterio di Eleusi, ove ‘attorno’ alla cella - l’Anaktoron - che conteneva il tesoro della polis, derivata dallo schema ori-
L’ideazione deve procedere a partire da materiali che pre-esistono, nella consapevolezza che ex nihilo nihil fit (dal ginario del megaron, si costruiranno differenti ipotesi conformative che riassumeranno di volta in volta i vari tipi del
nulla non si genera nulla) e il nulla «non produce l’essere; altrimenti il nulla sarebbe l’essere […] tutto ciò che si ge- teatro, della sala ipostila e del portico, sino alla soluzione, o per meglio dire all’esempio di Ictino, che supera in ter-
nera è già prima nell’archè, da cui tutto procede e tutto ritorna»22. L’architettura, nel suo farsi, deve continuamente mini sintetici e generalizzanti tali referenti e fonda un nuovo tipo architettonico: l’Aula civica. L’Aula di vaste dimensioni
confrontarsi con gli archetipi interpretandoli continuamente e nuovamente pena il rifiuto delle forma che propone. La (m 51,56x49,44), di forma pressoché quadrata, con un piano mezzanino che si affaccia sul vuoto centrale a dop-
variazione, combinazione, reinterpretazione è la vera ‘attività poietica’’ insita nell’architettura, il vero avanzamento pia altezza, è coperta da un tetto con capriate lignee - con la grande apertura dell’opeion «da cui entrava la luce del
possibile in un sapere che è innanzitutto ‘sublime ricapitolazione’ (Eco) del già noto. I tipi che permangono nel tempo mattino»30 - poggiato su un doppio peribolo di sostegni interni circondato da gradinate su tutto il perimetro, e per un
«grazie al carattere di generalità si rendono quindi archetipi» (Norberg Schulz). lato scavate nel banco tufaceo. La grande Aula è delimitata da un muro di forma quadrata cui fa da contrappunto
L’Aula denota un particolare archetipo, o per meglio dire una ‘sintetica idea spaziale’, che combina e unifica diversi una semi peristasi esterna particolarmente fitta - come nel Tempio - che serve a dichiarare, a mettere in scæna il suo
archetipi preesistenti e il suo ruolo di modello, di paradigma, è più concettuale che materiale. Del resto il contrario carattere rappresentativo. Ictino, come aveva già sperimentato nel Partenone, propone di liberare quanto più possi-
dell’archetipo è proprio la copia: come si è detto, la vera mimesis che l’Aula propone è quella con la natura con la bile lo spazio interno dagli appoggi, non intralciando la vista degli spettatori verso il centro che è occupato dall’an-
sua infinitezza e armonia e inoltre con quelle «architetture certe»23 che ne hanno colto l’essenza. Non è un caso che, tico santuario/megaron da cui si era sviluppato per successivi ampliamenti il telesterio. L’Aula effettivamente realizzata
in tutta l’architettura classica, si assegni a tale ‘referente spaziale’ il compito di rappresentare una moltitudine di temi da Filóne oltre a semplificare l’organizzazione interna eliminando il mezzanino, ridurrà la semi peristasi a un portico
collettivi. Il passaggio dal Recinto Sacro di Micene al Palazzo di Cnosso a Creta, alla lunga precisazione del tipo in antis (Atrio di Filóne) ma soprattutto proporrà un notevole infittimento degli intercolumni dei sostegni interni da 4x4
del Tempio a partire dall’identificazione del megaron e poi del naos, della cella, e della peristasi è concettualmente a 6x6, scontando così le notevoli difficoltà tecniche legate alla considerevole luce da coprire e riproducendo di fatto
lineare. La cella del tempio forse rimanda in termini analogici alla «dimora più splendente e radiosa del mondo: il una sala ipostila e non più uno ‘spazio sgombrato’. Questo limite tecnico, e la sua ricaduta sull’organizzazione spa-
palazzo degli dei del cielo, invisibile ai mortali, dove ogni divinità ha la sua personale residenza, luminosa come ziale, mostra l’insopprimibile e difficile rapporto con il ‘fatto costruttivo’ che questo tipo di edifici, fin dal loro apparire,
un diamante, dove c’è la casa di Zeus, con una sterminata sala [Aula], dove gli dei si riuniscono intorno a lui per conterranno. Forse questa di Eleusi è la prima Aula pubblica coperta della storia e costituirà il modello per la Curia
prendere decisioni, per giudicare, per sedersi a banchetto bevendo e mangiando in coppe e piatti d’oro. La mensa romana sino alla Camera dei Comuni inglese31. Lo schema dell’edificio è semplice e assoluto (il quadrato), non vi sono
poggia come tutto l’edificio sulle nuvole. [...] [la] città celeste, al di sopra della quale la volta del cielo stellato (Urano) sub-articolazioni distributive, lo spazio interno coincide con il volume esterno e la sua forma generale è determinata e
fa da tetto alla grande sala, la mitica assemblea degli Dei il αντήεoν»24. In tal senso il Mito riveste un carattere governata dalla geometria ordinatrice e riduttiva dell’architettura come la matematica lo è della natura intera (Galilei).
di esperienza e di ricerca delle ragioni ultime dell’universo e delle leggi profonde che regolano la vita degli uomini, Anche rispetto ai prodromi dei bouleteria, il Telesterio, nella linearizzazione delle gradinate perimetrali al centro che
è «materia in movimento suscettibile di continue trasformazioni verso il logos». I miti archetipici in special modo pri- assecondano la centralità della pianta quadrata, si emancipa dalla mera replicazione a scala ridotta del teatro se-
vilegiano e consentono l’intellegibilità e l’ermeneusi del mondo. In ultima analisi «il carattere saliente della civiltà micircolare, risolvendo in tal modo notevoli difficoltà compositive relativamente all’attacco tra forme e figure a matrice
greca - come afferma Benevolo - è lo spirito di universalità cioè la capacità di astrarre dalle formulazioni contingenti curvilinea e pareti rettilinee. In sostanza nell’Aula ‘prima’ di Eleusi, realizzando una nuova sintesi, vengono combinati
e impostare i problemi in senso generale e assoluto, sottomettere ogni atto architettonico particolare al sistema di re- il tipo del teatro (forma) e quello della sala ipostila (tecnica) che era prevalentemente direzionata. Tale sintesi tende a
gole e rapporti universali valido al di sopra del tempo»25. liberare quanto più possibile lo spazio interno per ritornare all’antico archetipo del témenos, spazio ‘ritagliato’ e ‘sgom-
Dal Tempio - l’edificio che rappresenta per eccellenza la civiltà greca e i suoi ideali estetici - deriveranno, in maniera brato’ (sacro o domestico), scoperto dove tutti potevano vedere in ogni punto l’estensione dello spazio e dove l’uomo
diretta, tutti gli edifici collettivi nei quali si rappresenterà la polis, con la fondamentale differenza di valore e di senso riaffermava la sua presenza nel mondo separandosi dalla natura circostante. Si assiste, per la prima volta nella cul-
riguardo alla necessità di costruire un interno non come la Casa del Dio - e quindi inaccessibile e inattingibile - ma tura greca, a un lavoro sull’invaso interno che nel Tempio era ridotto e celato dalla cella. Tale rivoluzione concettuale
come luogo di riunione di una koinè, di una ekklesia, di una collettività. Nel Tempio infatti la cella è un luogo ‘riser- viene portata alle estreme conseguenze nel Therlsirion di Megalopolis. Qui infatti al principio di commensurazione det-
vato’ che ospita la statua del Dio, il suo simulacro, ed è ‘visibile’ solo ai sacerdoti. Le funzioni religiose ‘pubbliche’, tato dal canone governato da una geometria e da una metrica proporzionale di tipo relativo (rapporto canonico) si
come sacrifici o matrimoni, avvengono all’esterno sulle are scoperte, solitamente poste davanti al naos. In alcuni sostituisce una liberazione degli elementi da vincoli modulari, controllati da un sistema proiettivo polare per certi versi
casi, come l’Ara di Ierone II a Siracusa, tali altari votivi si rendono addirittura autonomi dal tempio e divengono essi analogo a quello adoperato negli spazi aperti per la collocazione dei grandi edifici dell’Acropoli. Nel Therlsirion si
stessi degli enormi spalti gradinati e distinti dal suolo cui si rivolge la comunità, radunata nello spazio antistante la- parte dal quadrato centrale per poi determinare la posizione dei sostegni attraverso l’intersezione dei raggi che si di-
sciato sgombro per assistere ai riti propiziatori. Non è un caso se alcuni autori26 hanno suggerito una stretta affinità ramano dal centro del quadrato e si intersecano con archi di cerchio di diametro crescente, corrispondenti forse a delle
degli edifici collettivi della città greca con il tipo del teatro intravedendo una più complessa interazione tra il sistema gradinate, secondo una progressione di tipo logaritmico e di rettangoli anch’essi con una dilatazione progressiva di
naos/peristasi e quello della cavea teatrale a sua volta inteso come riformalizzazione dell’areopago. tipo polare. Lo spazio punteggiato che si determina, pur mantenendo una relativa gestibilità/controllabilità delle luci,
Il Bouleuterion, il Telesterion, le sale ipostile (Persepoli, Delo), i pritanei, ma anche la stoà, combineranno in modi dif- offre, con il complesso sistema di disassamenti dei sostegni, una inedita moltiplicazione prospettica del vuoto che
ferenti e a volte contrapposti gli elementi - o solo alcuni di essi - già presenti nel modello del tempio periptero e nel vuole in qualche modo riprodurre in questo riparo l’infinità del bosco. Infine, quasi a ribadire fisicamente una filiazione
teatro. Il pritaneo, ad esempio, è il luogo dove si esercita la più alta magistratura, si conservano gli archivi antichi della dal teatro, è significativo il rapporto posizionale con la grande cavea soprastante.
città e il fuoco sacro della polis rappresentato da Hèstia27, la dea del focolare, l’inventrice dell’arte di costruire le case, Edifici di varia natura, civile o religiosa, destinati alla riunione, alla celebrazione di un qualche rito, alla rappresen-

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tazione di eventi o spettacoli, ma anche alla conservazione del sapere, saranno accomunati dal costante riferimento sia il tema del ‘recingere’’ che del ‘coprire’, in tal modo attivando la dialettica delle due coppie oppositive: delimi-
all’archetipo dell’Aula. La Biblioteca di Efeso, la Boulè di Pergamo, il Pantheon, la Basilica di Massenzio, le Terme tazione/apertura e concisione/estensione. L’Aula è il presupposto e assieme la ‘norma’ dalla quale muove l’ideazione
di Caracalla, il Teatro coperto di Pompei, i Mercati Traianei, pur nei differenti ruoli, usi e dimensioni saranno acco- dell’edificio pubblico, la sua ‘intuizione eidetica’, in senso bergsoniano, che ha già in sé, nella sua essenza, il senso
munati dalla scelta costante dell’Aula, quale elemento capace di esemplificare l’idea stessa del luogo pubblico nel del tema che si deve rappresentare.
quale si riconosce un’intera comunità. Questo luogo definito a partire dall’identificazione di un interno, che può es- Il palazzo municipale medievale, perfezionato dal Palazzo della Ragione a Padova, viene successivamente svilup-
sere coperto, semicoperto o addirittura scoperto e più o meno confinato, contiene un significato che va oltre le sin- pato, in maniera più consapevole, da Palladio nella Basilica di Vicenza: uno dei pochi edifici civili di tutto il Rina-
gole funzioni particolari e si configura innanzi tutto come il ‘grande riparo’ collettivo immerso nella natura, che avrà scimento/Manierismo. La Basilica di Palladio, come il Palazzo della Ragione, affida il suo carattere rappresentativo
«il compito di rappresentare la vita civile degli uomini, la loro attività e il loro ruolo in una libera società organizzata»32. alla soluzione e ostentazione del tetto a carena di nave rovesciata che, all’interno, consente una notevole amplifica-
Da questo momento la cultura greca, e poi quella romana, identificheranno con l’Aula il tema dell’edificio collettivo. zione dello spazio della sala e, all’esterno, per la forma che mostra, fa riconoscere il ruolo civile del manufatto. Dal
Il Pantheon, in particolare, riassume e supera tutti gli edifici ad aula prodotti dall’architettura romana diventando il pro- punto di vista dei caratteri architettonici in quest’edificio - che si rifà selettivamente al modello romano della Basilica
totipo successivo dell’idea stessa di centralità continuamente ribadita nelle sue proporzioni (diametro pari all’altezza - come nelle ‘Scuole grandi’ veneziane, non si cerca una contrapposizione sintattica e volumetrica tra la sala delle
43m), nella decorazione nobilissima a cassettoni rastremati della volta e nell’oculo che rappresenta allo stesso tempo adunanze e il ‘Broletto’ quanto una giustapposizione tra parti in un’unità complessiva ottenuta attraverso l’esatta scan-
il luogo geometrico che fissa la regola della costruzione, la fonte di luce che si proietta sulla cupola e il rimando al sione dei moduli e delle partiture architettoniche che irrigimentano l’intera costruzione. Il caso delle ‘Scuole grandi’
divino. L’assolutezza della volta è tale che, per ribadirne l’autonomia formale, figurale e di senso, la partizione dal veneziane è particolarmente significativo proprio per i modi con cui questi edifici risolvono il rapporto tra il piano terra,
tamburo dei cassettoni non è multipla di quella che definisce il sistema delle cappelle absidate. In tal modo si vuol di solito a tre navate, e la sala superiore e il problema della loro connessione verticale. Spesso la scala diviene un
trasferire a tale elemento monolitico - e alla grande impresa tecnica di cui è testimone - il compito di rappresentare vero e proprio volume accostato all’Aula: è il caso della Scuola di San Rocco in cui il corpo dello scalone, disposto
la singolarità e l’unicità dello spazio che contiene. Tali edifici rappresentativi, nel loro comporsi a formare Agorà o normalmente rispetto all’Aula, assume un’identità costruttiva e rappresentativa propria che risolve l’irregolarità del
Acropoli, determineranno quei luoghi centrali, eccezionali e singolari, attorno ai quali si costruiranno la città e il ter- lotto. La Scuola, costretta nel tessuto fitto delle calli veneziane da cui emerge soprattutto per la dimensione del vuoto
ritorio, distinti dalla ripetizione ovvia e consueta della residenza. che contiene, non potendo offrire una ricezione autonoma rispetto alla ripetizione della residenza che la circonda,
Carlos Martí Arís con grande chiarezza individua una stretta relazione e identificazione tra l’edificio pubblico e gli affida la rappresentazione del suo carattere alla decorazione della facciata in cui le campate che individuano l’Aula
elementi archetipici e per questo ‘certi’ del portico e del muro. I due elementi sono complementari: «il muro stabilisce presentano due ordini di colonne a rilievo che ne ribadiscono l’organizzazione. Altro è il caso della Scuola Grande
un limite orizzontale allo spazio e costruisce il recinto, il portico lo delimita in senso verticale e costruisce il suo tetto»33. della Misericordia di Jacopo Sansovino in cui la posizione di tangenza rispetto al canale omonimo sposta l’attenzione
Dal comporsi e dalla differente relazione topologica di tali elementi - secondo Martí Arís - si generano i tipi del tem- dalla decorazione della facciata al suo rapporto assoluto del quadrato, alla precisazione sintattica del volume (m
pio e della stoà che inverano due modi differenti e complementari di definire lo spazio: «gli elementi sono gli stessi, 53x24 alto 24m) libero su tre lati e ai suoi rapporti costitutivi, con un chiaro riferimento al Tempio, relegando il corpo
cambia solo il loro rapporto topologico. Nel tempio periptero il portico avvolge il muro che delimita il recinto della della scala a un ruolo tecnico accessorio che non intacca l’integrità e l’assolutezza del manufatto.
cella e costruisce così un deambulatorio, o pteron. In questo caso il portico gira intorno a un nucleo chiuso e genera Nell’Illuminismo - a partire dal dibattito precedente sull’autorità degli antichi, con la Querelle des ancient et de mo-
uno spazio di forma convessa. Nella stóa il portico costruisce un percorso parallelo all’elemento murario, costituito dernes e poi con la disputa tra Goethe e l’abate Laugier sulla capanna primitiva - ritorna il tema della nascita del-
in questo caso da una lunga navata che contiene diversi locali (negozi, uffici, ecc.). Quando si compongono due o l’architettura, del suo fondamento teorico e del riferimento agli archetipi. Secondo Quatremere de Quincy attraverso
più stóa si forma uno spazio pubblico circondato da portici: questa è l’origine dell’agorá e del foro. Allora il portico la capanna primitiva «l’architettura si inventa un modello che non aveva», che rappresenta sia l’origine dell’arte del
racchiude un grande vuoto e costituisce uno spazio di forma concava»34. costruire sia il suo fondamento logico-razionale. Gli scritti e i progetti di Boullée sulla nozione di carattere e sul rap-
Il ‘muro’ che, come aveva segnalato Choisy, «è il tipo dell’ordine»35, costruisce e custodisce un interno, mentre il ‘por- porto con la Natura, tema centrale della cultura settecentesca, riaffermano l’identificazione tra i rinnovati temi civili
tico’ definisce e delimita un esterno. Come si vedrà di seguito «nella ricerca miesiana si trovano molti riferimenti al della Rivoluzione: il Museo, la Biblioteca, il Municipio e il tipo dell’Aula.
tema del portico come elemento di identificazione dello spazio pubblico»36. L’Aula dunque combina i due elementi Nel progetto per una Biblioteca pubblica, come ha rilevato Aldo Rossi «Boullée “volta” una grande corte creando
in un’unità finita più complessa ma, se possibile, più adatta a riflettere il tema dell’edificio pubblico, poiché lo rias- quello spazio centrale coperto che costituirà la costante tipologica degli edifici pubblici moderni; la soluzione diventa
sume in un unico assetto formale e spaziale e quindi in un τύος cioè «un enunciato che descrive una struttura for- esemplare nelle architetture pubbliche urbane»41. La sala di lettura, che misura 300 piedi per 90 (m 88,8x26,67)
male»37 che contiene al suo interno un’idea di architettura. L’enunciato si può descrivere a questo punto come uno nel rapporto quasi di 1/3, circondata da gallerie colonnate, è pensata come una enorme cascata di libri in cui, si-
«spazio unitario, preferibilmente continuo, e capace di accogliere un certo numero di persone in vista di un uso col- gnificativamente, come nella “Scuola di Atene” di Raffaello, è mostrata simultaneamente la cultura umana, la sua ac-
lettivo»38. L’interpretazione, o messa in opera di un tipo, si realizza attraverso un esercizio di articolazione/variazione cumulazione, la sua ricerca. La grande copertura a cassettoni non strutturale, che mima una volta in muratura, si
che ordina e individua al suo interno - dal punto di vista formale - gli elementi costitutivi immutabili e le parti subordi- inscrive, come nel Pantheon, in un ideale quadrato di 27 metri di lato e vuole sottolineare la sacralità e la nobiltà di
nate (secondarie) e le regole della loro composizione relativa. Tale attività di relazione tra elementi e parti, tra ele- questo ‘scrigno’ di libri. Ma anche nel Museo o “Monumento alla riconoscenza pubblica”, l’intera composizione è
menti fissi e variabili non deve compiersi come attività combinatoria ma deve puntare a un ordine che non faccia determinata dall’enorme Aula voltata, che ponendosi anche qui come una ‘seconda natura’ - anche come cultura -
perdere l’identità al tipo e la riconoscibilità del suo referente, cioè l’essere recinto topologico che realizza e rappre- non contiene una funzione espositiva, risolta peraltro nelle quadrerie disposte ai quattro angoli, ma l’idea stessa di
senta la comunità. Lo spazio dell’Aula trova la sua ragione costitutiva nella «destinazione collettiva delle attività che Museo come ‘Casa delle Muse’, recuperando, nell’organizzazione sintattica, gli elementi descritti da Strabone per
accoglie»39. Il lavoro sul tipo deve produrre quelle «variazioni necessarie [e solo quelle] nei secoli affinché un testo il Museo di Alessandria: una grande Aula, gallerie colonnate, un recinto, un’esedra e un piccolo recinto corrispon-
[un’opera] si componga, dando vita in sé a un kosmos, a un ordine, […]»40. L’Aula si configura come una parte au- dente a un tempietto circolare, contenente le tombe degli uomini illustri. In tale ‘spazio assoluto’ di tipo newtoniano,
tonoma, composta di vari elementi a partire dall’identificazione di un unico principio conformativo: quello dello spa- come nel Cenotafio a Newton - Tempio da dedicare alla Ragione-Natura come riformulazione laica del Pantheon -
zio unico rappresentativo. Tale parte può coincidere o non con l’intero manufatto ma in ogni caso ne costituirà il nucleo si deve rappresentare la ragione dell’edificio e la sua essenza ultima. Tale immenso invaso si pone a un livello più
e il principio compositivo generale, ‘dominante’ e gerarchizzante, cui le altre parti e il sistema dei caratteri si dovranno alto rispetto ai quattro accessi sottolineando ancora una volta la sua condizione sacrale. Le architetture di Boullée sono
subordinare. Lo stesso Arís, nel ripercorrere la genealogia dei vari tipi di edifici pubblici, riporta l’esempio del Palazzo pensate come «monumenti aperti alla profondità del bosco» (Rossi), immerse cioè, senza mimesi, nella natura, di-
Municipale medioevale in cui all’Aula sopraelevata, destinata alla riunione, alle decisioni politiche e all’amministra- chiarando la loro diversità con l’ambizione di rendere quella natura infinita uno spazio misurabile, intellegibile e rap-
zione della res pubblica come nelle basiliche romane, corrisponde al piano terra il portico (arengario) destinato a presentabile nel gioco di volumi, di ombre e di luci. Per Boullée «l’architettura consiste nel porre in opera la natura»:
mercato, cui è demandato il rapporto con la città. Non è chi non veda, in tale esempio, la conferma dell’assunto ini- da qui la scelta di collocare questi manufatti, composti ancora di corpi ‘semplici e regolari’, in diretto rapporto con
ziale che fa coincidere l’Aula con l’edificio pubblico e della sua capacità di contenere e di assorbire al suo interno il territorio e non all’interno di un tessuto consolidato, che consente di svincolarne la ragione e l’organizzazione da

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imprecisate e forse imprecisabili relazioni contestuali per approfondire innanzi tutto le regole di costruzione interna, che coincide con quello strutturale delle capriate e di tipo triangolare per la determinazione delle proporzioni dei fronti
imponendo una disciplina ancor più forte all’uso degli elementa, alla loro forma, al loro senso e alla loro commen- e la disposizione delle bucature.
surazione. Gli edifici pubblici di Boullée, quindi, rappresentano non solo un importante avanzamento stilistico rispetto Gli altri edifici pubblici prodotti nel ‘secolo breve’ si dispongono per lo più ai margini del tessuto consolidato aprendo
alle precedenti esperienze tardo-barocche, ma divengono i capisaldi del riordino e del ripensamento illuminista del- nuove direttrici di sviluppo e di espansione verso il territorio. È questo il caso, ad esempio, della Biblioteca Centrale
l’intera struttura urbana delle capitali europee. Saranno proprio i progetti di Boullèe e di Ledoux a rifondare i nuovi di Stoccolma di Asplund: uno dei primi edifici moderni che assumono in termini esemplari il tema dell’Aula. L’edifi-
tipi civili per la città, divenendo il presupposto della ricerca del Moderno sull’architettura e sull’idea di città. cio, costruito a ridosso di un parco pubblico extra moenia, lavora sull’accostamento al volume cilindrico della sala
Di contro la cultura ottocentesca - nella costruzione degli edifici pubblici che per lo più si riferivano a modelli classici di lettura di tre corpi riuniti a formare una corte aperta. L’Aula dei libri, più alta del blocco delle sale di lettura, si im-
- non ha assegnato all’Aula il compito di rappresentare il senso di tali manufatti. Isolato è il caso di Schinkel che, a pone per la sua forma e per la sua dimensione a voler denunciare la ragione dell’edificio: la conservazione e la dif-
partire da una riflessione generale sulla città di Berlino, costruisce alcuni manufatti civili per la capitale tedesca che, fusione della cultura. Utilizzando l’ipotassi per individualizzare le parti dell’edificio il procedimento risulta essere
nel loro complesso e nella loro triangolazione, restituiscono una nuova ipotesi urbana in cui le grandi architetture rap- inverso rispetto a quello di Schinkel nell’Altes Musem in cui l’attenzione è rivolta più alla definizione del volume esterno
presentative, come dei ‘solitaire’, si liberano dalle trame indifferenziate delle caserme d’affitto e costruiscono una in rapporto al grande colonnato urbano che alla necessità di evidenziarne le parti rappresentative interne. Nella bi-
nuova acropoli per la città di Berlino in cui «ogni edificio deve essere puro, perfetto, autonomo. E qualora vi si ac- blioteca di Stoccolma invece le parti vengono prima scomposte, definite per forma e per ruolo, e poi ri-assemblate
costi un edificio d’altra natura, sia anch’esso autonomo e cerchi un rapporto col primo collocandosi nel sito e sotto a partire dalla chiara evidenziazione della rotonda centrale di 27 metri di diametro volumetricamente più alta (28m)
l’angolo più opportuni»42. La procedura compositiva è del tutto simile a quella del campo dei Miracoli a Pisa, in cui rispetto ai corpi perimetrali – subordinati - disposti ad U attorno ad essa. Il carattere dell’edificio è affidato essen-
corpi autonomi estremamente concisi stabiliscono rapporti a distanza determinando un centro che è innanzitutto un zialmente alla predominanza del volume dell’Aula dei libri che ne racconta la ragione e il movente. La ricerca di
vuoto, un vuoto che coordina le relazioni tra architetture che in esso dialetticamente si rappresentano. Tutti gli edifici Asplund sull’edificio pubblico proseguirà con il Woodland Crematorium nel Cimitero di Stoccolma (1935-1940). La
civili dell’architetto del principe - dalla Singakademie alla Elisabethkirke, dalla Schauspielhaus all’Altes Museum pas- grande Aula esterna (41,16x29,4 m) nel rapporto 1/√2, destinata alle cerimonie all’aperto, coordina i differenti vo-
sando per le Bauakademie - ricercano la loro forma e il loro carattere distintivo sovrapponendo alla costruzione mu- lumi e le parti distinte43 che costituiscono il complesso: la Cappella, il Crematorio, la Croce. L’enorme atrio, posto di
raria e alla finitezza del volume un sistema trilitico articolato di membrature in cui ogni elemento concorre, per la parte fronte alla Cappella, è pensato come un grande ‘riparo’ definito da un portico gigante trabeato in cemento armato
che gli è propria, alla descrizione del tema. Tale atteggiamento analitico restituisce e ‘spiega’ la teoria delle scelte rivestito in pietra e da un tetto in struttura mista in legno rinforzato in ferro rivestito all’intradosso da travi e terziere in
congruenti, il procedimento compositivo, rendendolo intellegibile. Particolare attenzione è rivolta alle soluzioni d’an- legno che confluiscono in un impluvium centrale tetrastilo, orientato normalmente alla direzione prevalente del tetto,
golo che devono rafforzare o attenuare l’idea di massa e di unità. con un chiaro rimando all’atrio della domus romana. Questo spazio, completamente libero, aperto e fluttuante e pure
Gli schemi tipologici combinatori per gli édifices publiques e le griglie modulari di Durand, invece, sviliscono e im- così conciso nelle forme e nei rapporti tra gli elementi, riassume il senso della morte e del raccoglimento e lo proietta
poveriscono le invenzioni illuministe, riprese poi dai progetti di Schinkel per lo stato Prussiano. Si pensi ad esempio al- all’esterno naturale. Nella ricerca di Asplund, in definitiva, si confrontano senza agglutinazioni, due principî com-
l’enorme differenza di valore tra il progetto di Boullée per la Biblioteca e quello effettivamente realizzato da Labrouste. positivi complementari che risulteranno fondamentali per la definizione formale dell’Aula: quello ‘tettonico’ nel Cre-
Saranno le nuove architetture tecniche - i mercati, le grandi esposizioni, le stazioni ferroviarie - scevre da esigenze rap- matorio e quello ‘stereotomico’ nella Biblioteca. In Italia Adalberto Libera costruirà il Palazzo dei Ricevimenti e dei
presentative che recupereranno, attraverso le nuove possibilità costruttive, il tema del grande spazio. Non è un caso Congressi che ripropone il principio dell’Aula dominante riferendosi anche dimensionalmente all’architettura del Pan-
che Viollet-le-Duc riproponga, nel progetto di una “Sala con tremila posti a sedere” del 1872, l’idea primigenia del- theon più volte meditata nei suoi studi sulla spazialità e la costruzione dei monumenti della romanità. Al volume ste-
l’Aula indivisa, sperimentando l’utilizzo dei nuovi materiali combinati alla pietra. «Si deve rifiutare ogni forma - diceva reometrico contenente i due atri porticati, gli uffici e la sala dei congressi, fa da contrappunto e contrasto il solido
- che non sia retta dalla struttura». In generale, fatte salve alcune insulae monumentali, anche il ruolo ordinatore del- cubico completamente cieco della grande Aula per i ricevimenti concluso da una ieratica copertura a crociera con
l’edificio pubblico nella città viene ridimensionato e costretto all’interno delle maglie pervasive e illimitate del tracciato una struttura in acciaio. Negli stessi anni Edoardo Persico, nel raffinato Salone d’Onore per la Triennale di Milano -
viario della ‘città di pietra’, rinunciando così a ogni possibile apertura alla natura e al territorio. con delle inaspettate affinità con gli studi di Mies sulla Neue Wache - e Franco Albini, con il progetto per il Palazzo
I pochi edifici pubblici progettati o costruiti dagli architetti del Movimento Moderno, invece, riflettono e approfondi- dell’Acqua e della Luce che declina il tema della sala ipostila sollevata dal suolo, riproporranno il tema dell’Aula in
scono i temi e i problemi posti dagli illuministi, a scale, tecniche e forme diverse, fondando nuovi tipi adatti alle do- relazione alla costruzione di edifici rappresentativi. I grandi progetti di Giuseppe Terragni punteranno invece più sulla
mande che il loro tempo poneva, ma con la stessa carica ideativa e innovatrice, riaffermando ancora una volta ricerca di un reticolo cartesiano governante l’intero manufatto che sull’individuazione di parti rappresentative discrete,
l’identità di tali manufatti con il tipo ad Aula. La natura naturata ritorna a essere elemento e materia e, al tempo frequentemente assorbite in quanto solidi puri all’interno delle maglie pervasive della griglia.
stesso, sfondo della costruzione dell’architettura e della città. Proprio questa rinnovata esigenza di rapportarsi allo spa- Sarà soprattutto in Germania, dove negli stessi anni si stava costruendo la grande città moderna sotto la spinta della
zio natura produrrà sovente una rielaborazione dei due principî conformativi della delimitazione (recingere) e della riunificazione nazionale, che il tema dell’edificio pubblico ad Aula riceverà un notevole sviluppo e approfondimento
protezione (coprire) scarnificando il primo e amplificando il secondo. Il problema del confinamento dello spazio sarà registrato puntualmente da Hilberseimer nella Großstadtarchitektur e in particolar modo in HallenBauten 44, che senza
risolto frequentemente attraverso grandi superfici vetrate filtrando la tradizione delle halle ottocentesche o molto tra- dubbio costituisce il primo contributo teorico di riferimento per questa classe di manufatti. Come afferma Salvatore Bi-
forate, con lo scopo di mostrare e di denunciare - di rendere esplicite e visibili - le attività che si svolgono all’interno sogni nell’introduzione a questo ‘trattato/manuale’ «Hilberseimer muove da un’assunzione univoca e tutt’altro che ac-
e allo stesso tempo relazionarle in modo diretto all’esterno. Le possibilità della tecnica e della scienza delle costru- cettata nei dibattiti e nelle propensioni dell’avanguardia di quegli anni: quella di poter costruire tali grandi manufatti
zioni e l’utilizzo dei nuovi materiali artificiali (cemento armato e ferro) consentiranno la progressiva amplificazione di- (gli edifici pubblici) a partire dall’Aula che li contraddistingua, non solo rispetto ad altri edifici pubblici a ‘Sale’, ma
mensionale dello spazio interno sempre più libero da sostegni interni. Saranno proprio i manufatti civili a ordinare il caratterizzati dal ruolo ‘dominante’ dell’Aula, rispetto ad altri locali che essa comprende o a cui si accostano.[…]
territorio e a misurare la città moderna. Sono rari i casi di edifici pensati all’interno della città della storia: il problema Ciò che coerentemente interessa Hilberseimer è la formulazione quasi manualistica dei nuovi dati organizzativi per
diventa invece quello di infrastrutturare la Großtadt a una scala differente e nuova. La Borsa di Amsterdam di Hen- il grande edificio pubblico ad Aula. In tale prospettiva, sottesa e non dichiarata, sulla possibilità di costruire nuovi
drik Petrus Berlage, pur situandosi in prossimità del centro consolidato - l’Altestadt -, si pone come nuovo polo di rior- monumenti della condizione contemporanea si chiarisce il senso della definizione, assunta da Hilberseimer, dell’Aula
ganizzazione urbana a scala più vasta. La grande Borsa è costruita attorno a tre grandi aule, tutte nel rapporto 1/2 come scelta prioritaria del comporre, per il suo valore evocativo delle grandi architetture e per misurarsi con esse.
(borsa merci, borsa valori, borsa cereali), coperte da una struttura metallica reticolare a tre cerniere. Le aule maggiori […] Nuovi Palazzi dall’Aula ‘dominante’ rispetto ai locali ricorrenti, oppure essa stessa comprendente l’intero manu-
sono disposte in sequenza e possono ospitare anche manifestazioni politiche, feste o cerimonie ufficiali. fatto, illuminato e aperto al territorio, ma ‘delimitato’; prolungato nella natura circostante e, in pari tempo, ‘conciso’
Tutte le parti destinate a uffici e locali ricorrenti si affacciano tramite ballatoi continui in questi spazi a tutta altezza per essere dotato di stabile identità e armonia. Principî e condizioni che fanno di nuovo posare i manufatti sul suolo
determinandone il carattere di esterni urbani significativamente connessi da un passage voltato a botte. L’edificio è libero e aperto, che fanno esibire un ordine dimostrabile delle forme architettoniche e ugualmente dotati di una nuova
governato dall’adozione di complessi tracciati regolatori a matrice quadrata (3,8x3,8 m) per l’assetto planimetrico rappresentatività estetica che contenga ancora il rimando a un tutto nuovo della periferia e del territorio, compreso il

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caso, artificiale o di natura che sia»45. Questi manufatti - ci ricorda ancora Bisogni in un’altra occasione46 - sono «privi
di ogni naturalità, in quanto essi stessi contenenti la natura come ordine astratto e in pari tempo reale». Hilberseimer,
prima di addentrarsi nei problemi organizzativi e costruttivi dei vari tipi di edifici ad Aula che classifica (StadtHallen,
Festhallen, Sporthallen fino ai complessi espositivi), riporta varie architetture d’elezione: il Pantheon, la Basilica di
Massenzio, Santa Sofia, la Chiesa di San Pietro a Roma e il Palazzo della Ragione a Padova. Tali riferimenti devono
essere tutti in qualche modo superati e trascesi in un processo di ideazione/invenzione, in una continua semplifica-
zione e in un asciugamento delle forme di queste opere paradigmatiche al punto da renderle irriconoscibili in quanto
referenti originari. L’ambizione è quella di costruire dei manufatti che contengono, rinnovandole, tutte le architetture
con le quali, faticosamente e volontariamente, ci si è misurati. Le forme della storia vanno selettivamente giudicate,
la storia è «il territorio delle scelte», delle affinità e non del rifugio. Hilberseimer assume esplicitamente l’identità tra
Aula ed edificio pubblico e gli esempi a lui contemporanei che riporta - il concorso per la Società delle Nazioni di
Hannes Meyer e di Le Corbusier, la Jarhunderthalle di Max Berg, la Stadhalle di Magdeburgo di J. Göderitz, la Halle
Stadt und Land di Bruno Taut o la splendida Fiera di Breslavia dello stesso Berg - verificano tale ipotesi di partenza.
Questi progetti, assieme ai grandi edifici tecnici come la Turbinenfabrik AEG di Peter Behrens47 o quelli destinati allo
sport, svelano le enormi possibilità espressive e tecniche insite nell’adozione dell’Aula e apriranno agli approfondi-
menti successivi compiuti innanzi tutto da Mies van der Rohe in maniera quasi assiomatica e apodittica ma anche da
alcuni progetti di Le Corbusier come il Parlamento e l’Alta Corte di Giustizia a Chandighar o la Chiesa del Convento
de la Tourette. Questi due ultimi progetti, in particolare, definiscono due atteggiamenti compositivi entrambi presenti
nell’opera di Le Corbusier. Nell’Alta Corte di Giustizia il corposo e fitto sistema delle sale d’udienza, articolato at-
torno ad una promenade architecturale, viene limitato dal grande ‘gesto a reazione poetica’ del portico di ingresso
in modo analogo al lucernario tronco conico del Parlamento che denunciava nel corpo stereometrico dell’edificio la
presenza dell’aula assembleare. La grande ‘tenda risvoltata’ rappresenta l’intero manufatto che, composto di ricor-
renze e ripetizioni, si mostra come un’unica grande copertura - una sorta di emblema - che contiene e supera le ar-
ticolazioni interne definendo il carattere unitario e rappresentativo dell’istituzione. Di contro, nel Convento de la
Tourette, recuperando la memoria delle sale capitolari, lo stesso Le Corbusier assume il tema dell’identificazione di
un unico volume ad altezza costante molto verticalizzato, quasi totalmente cieco, e con forte carattere stereotomico
al quale vengono giustapposti due volumi più bassi subordinati, la sacrestia e soprattutto la cripta che adotta, per
contrappunto, forme sinuose più complesse senza mettere in discussione l’autorevolezza e la primazia sintattica del
grande invaso per la liturgia. A sottolineare tale intangibilità del volume, la chiesa si accosta significativamente alla
C del Convento senza trovare alcuna connessione, se non di tipo funzionale, che possa omologarlo al sistema ite-
rativo delle celle dei religiosi, volendone in qualche modo rappresentare la riassunzione.
A tali esempi (paradigmatici) proposti dai maestri seguiranno altri non meno significativi (emblematici) sviluppati a par-
tire dall’immediato dopoguerra. Valgano per tutti alcuni edifici di Arne Jacobsen come il Municipio e la Biblioteca di
Rödrove in cui, in temi differenti e usi collettivi distinti, si sperimentano ulteriori modi di comporre l’Aula con le parti ri-
correnti. Nel Municipio di Rödrove la Sala del Consiglio si individualizza in un volume autonomo affacciato sul grande
prato antistante, chiuso su due lati, vetrato sui restanti e collegato alla lama degli uffici comunali in corrispondenza del-
l’atrio di ingresso a tutta altezza. Nella Biblioteca invece si accorda il sistema della piastra-recinto - un grande rettan-
golo aureo completamente chiuso all’esterno che contiene con i depositi le sale di lettura affacciate su patii interni -
con quello dell’Aula centrale quadrata per le manifestazioni collettive, definita da una copertura emergente rastremata
ai bordi e sorretta da quattro esili colonne. Il tetto in tal modo si pone quale elemento plastico fortemente espressivo,
staccato sull’intero perimetro, librandosi sul volume lapideo sottostante, completamente rivestito in marmo nero, quasi
a volersi riferire, come era avvenuto nel Crematorio di Asplund, all’idea del grande atrio tetrastilo della domus. An-
cora il Padiglione dei Paesi Scandinavi alla Biennale di Venezia di Sverre Fehn sviluppa il tema dello spazio indiviso
attraversato dalla natura e non presenta sistemi subordinati relazionati all’Aula dominante ma lavora sull’identifica-
zione di un grande vuoto - porzione definita del suolo naturale - coperto da un tetto traforato che non occlude la vista
del cielo e il passaggio della luce. Si tratta ancora una volta di un grande riparo semi-aperto incassato per due lati
nel terreno e per altri due completamente aperto o vetrato definito da una copertura libera da appoggi interni in travi
lamellari di cemento precompresso molto ravvicinate ma non collegate all’estradosso che, significativamente, riman-
dano a una costruzione in legno. Le travi secondarie poggiano su una grande trave trasversale che scarica, a sua volta,
su di un setto contro terra e un pilastro composito. La chiarezza del sistema costruttivo, l’estrema trasparenza della co-
pertura - che consente anche l’irruzione di alcuni tronchi degli alberi lasciati in situ - riproduce l’idea di uno spazio na-
turale ma allo stesso tempo artificiale, ‘selezionato e misurato’ e, per questo, conoscibile.

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AFFINITÀ E DISTINZIONE TEMATICA DEGLI EDIFICI PUBBLICI AD AULA sibile assumendo lo stesso principio spaziale, declinare adeguatamente la ragione, la destinazione, di ogni edificio
particolare? È evidente che un teatro deve essere diverso da un museo o da una biblioteca ma è pur vero che tale
differenza non è sostanziale ma attiene prevalentemente a condizioni d’uso e non di senso. Tutti gli edifici pubblici,
Ogni progetto di architettura è una soluzione diversa, più avanzata, di un tema di architettura. Nel tema di architettura è racchiuso tutto un distinti per ruolo e dimensione dalla ripetizione ovvia della residenza ma anche dalle attrezzature collettive e tecni-
patrimonio di conoscenze e aspirazioni di una collettività […] Ogni tema viene posto dalla collettività cui appartiene storicamente e torna,
che, sono caratterizzati - come ricorda Antonio Monestiroli - da un’unica ‘funzione generale’: quella appunto di con-
dopo essere stato nuovamente svolto, alla collettività stessa
Antonio Monestiroli
tenere un grande numero di persone ai fini di una loro comune attività collettiva. Quest’ultima può consistere in una
rappresentazione o in un rito, nella ricerca e trasmissione del sapere, dell’arte e, in senso generale, della cultura o
L’architettura è l’espressione visibile di un punto di vista che altri desiderano condividere nell’esercizio di un diritto, nell’amministrazione della res pubblica: pratiche che, come si è visto, sul piano logico e
Mies van der Rohe del significato si equivalgono e si integrano.
Il problema dell’architettura quindi sarà di manifestare con le forme necessarie, non contingenti, e nella maniera più
adeguata, tale esigenza di fondo. Saranno alcuni elementi caratteristici dei manufatti a manifestare le varie destina-
zioni specifiche. Nel teatro, ad esempio, la sottolineatura del ‘rapporto topologico’ tra scena e platea determinerà
Nell’importante saggio sull’abitare C. N. Schulz48, sulla scia delle riflessioni di Heidegger in Costruire, abitare, pen- gran parte del carattere dell’edificio. Allo stesso modo nel museo e nella biblioteca gli oggetti della rappresentazione,
sare, opera una distinzione fondamentale tra i differenti modi dell’uomo di costruire il suo rapporto con il mondo e le opere o i libri e la loro conservazione, dichiareranno il tema particolare così come, nelle sale assembleari, sarà
la vita associata individuando tre articolazioni principali: l’abitare privato, l’abitare collettivo e l’abitare pubblico. Nel- la visione della moltitudine a manifestare con immediatezza la motivazione e il ruolo dell’edificio. I modi della co-
l’abitare privato, dove l’uomo deve ricostruire un micromondo e dove l’individuo deve potersi ‘realizzare’, il luogo struzione in rapporto alle differenti esigenze dimensionali e, non ultimi, il sistema dei caratteri e il principio del ‘de-
che consente e premette tale possibilità è la casa. Nell’abitare collettivo il problema è quello di scambiare idee e coro conveniente’ dichiareranno opportunamente la ragione di ogni manufatto. Resta il fatto, tuttavia, che è sempre
prodotti e il teatro di questo scambio è essenzialmente la città, nel suo complesso, e i suoi luoghi civili, la piazza, le possibile ricondurre tutti questi temi a un unico referente compositivo - l’Aula appunto - in grado di generalizzarne la
strade e lo spazio urbano. Nell’abitare pubblico, infine, si premette l’adesione e condivisione di valori comuni in cui funzione particolare ponendo in secondo piano gli elementi non necessari e le articolazioni secondarie per ricercare
riconoscersi: il luogo della rappresentazione di tali valori, attraverso una specifica istituzione è l’edificio pubblico e un’identità superiore da declinare ogni volta. Il problema rimane quello di costruire manufatti rappresentativi e in
in senso ampio il monumento. Il senso del collettivo è il raduno, è l’assemblea, è l’appropriazione di un luogo in cui quanto tali riconoscibili non tanto per le loro differenze ma innanzi tutto per la loro generalità che è quella di mettere
l’incontro non è casuale bensì strutturato e organizzato. Ciò premette un ‘accordo’ che, a sua volta, implica il rico- in scena l’idea, la forma e l’ethos della collettività. La forza del principio dell’Aula e l’insistenza sulla sua capacità di
noscimento di valori condivisi e pone le basi per la vita associata. Da tale esigenza si genera la necessità di un luogo, rappresentare la comunità sta proprio nella possibilità di rinunciare all’obsoleta classificazione degli edifici secondo
di un ‘foro’, un ‘consesso’ dove le motivazioni comuni vengono manifestate. Tale luogo è l’istituzione in quanto ‘es- le varie destinazioni operata dalla manualistica ottocentesca per puntare invece a principî e regole più alti e profondi.
sere’ e l’edificio pubblico è l’ente che la reifica e la rappresenta nel reale. L’edificio pubblico che contiene ed esibi- Il criterio della classificazione ridiventa quello essenzialmente formale: alla ricerca di invarianti e di strutture d’ordine
sce tali valori dovrebbe mostrarsi come «spiegazione visibile di un mondo comune […] non è un simbolo astratto, ma soggiacenti da interpretare e adattare alle varie evenienze particolari.
poeticamente mette in relazione il perenne con il comune»49 allo stesso modo in cui in Heidegger la ‘Casa nella Fo- L’impossibilità o l’incapacità della città contemporanea di costruire nuovi monumenti, «nuove figure potenti che co-
resta Nera’ «fonda il luogo» ed è «raduno (Versammlung) di un mondo». struiscono un mondo»52, nuove «forme simboliche più forti della loro funzione» (Rossi), di costruire cioè i propri luoghi
Nell’impostazione esposta si supera la classica distinzione tra manufatto pubblico e collettivo secondo cui il primo è rappresentativi, forse è dovuta proprio alla confusione e all’indebita sovrapposizione tra ruolo e uso, tra ragione e
accessibile a tutti e il secondo rivolto a una comunità selezionata, allargandone il senso e legandolo alla rappresen- funzione, tra principio e risultato, all’incapacità di penetrare e rappresentare la realtà e i suoi caratteri non transitori.
tazione di valori e operando lo stesso passaggio che compie Mies dalla «funzione al valore» (Monestiroli). L’edificio Secondo Giedion infatti «la monumentalità origina dal bisogno ricorrente della gente di creare dei simboli per le sue
pubblico così inteso si pone ancora una volta come il ‘centro significativo’ dello spazio esistenziale collettivo della polis attività e per il suo destino, per le sue credenze religiose e le sue convenzioni sociali. […] la riconquista della espres-
ma anche del tessuto costruito della città riassumendone la ragione, è «una figura cospicua che raduna e spiega l’am- sione monumentale rappresenta il terzo passo dell’architettura moderna, dopo la formazione della casa e il restauro
biente»50. Il centro è spaziale e, al tempo stesso, è nucleo germinale/generativo (Panofsky)51 della forma e topos si- dell’urbanistica»53 e allo stesso modo «Il monumentale - per Berlage - è la qualità delle opere di architettura, una qua-
gnificativo del tema. È in questo centro, luogo dello stare, presupposto del vuoto misurato, che la singola istituzione si lità che contiene il senso di collettività, e che riposa su un ordine razionale informato alla necessità e alla chiarezza;
mostra e si distingue, di volta in volta, da altre consimili o differenti ed è da questo nucleo che ricava la ragione delle il monumentale è proprio della classicità»54. L’edificio pubblico essendo l’espressione del generale diviene monu-
forme con cui si rappresenta il suo carattere ‘riconoscibile e distintivo’ all’esterno in stretta relazione con la scelta co- mento che stabilisce «un chiaro legame tra costruzione e figurazione» (Grassi), esso determina il ‘sito’, il contesto ur-
struttiva che ha consentito la possibilità di realizzare tale vasto interno. L’istituzione, che è posta prima dell’opera da bano o naturale in cui si colloca, la sua organizzazione circostante, trasformandolo così in ‘luogo’. Attraverso la
una collettività, definisce il tema che l’ideazione deve assorbire e rendere riconoscibile attraverso il carattere appro- costruzione il luogo viene descritto e delimitato e il suo significato viene spiegato e reso evidente.
priato che riflette la specifica destinazione, la sua «funzione splendente» (Semerani). In altri termini si può riaffermare I grandi manufatti civili della storia e della modernità stanno a testimoniare che è proprio la rappresentazione ade-
la differenza relativa, non sostanziale, tra il pubblico e il collettivo, nel senso che l’istituzione si rappresenta in un luogo guata della loro condizione collettiva, a prescindere dalle particolarità d’uso, ciò che rende loro ‘esemplari’ e per
e la collettività si riconosce in questo. Il collettivo, così inteso, contiene altresì una definizione più ampia del senso della questo capaci di realizzare quel ‘rispecchiamento’ e quell’adeguatezza alla realtà e alla vita nelle forme dell’Arte di
riunione ma al tempo stesso rimane meno formalizzata e più disponibile a interpretazioni di tipo simboliche, mentre il cui parlava Lukács55. Tale aspirazione deve guidare la ricerca della ragione ultima e più autentica degli edifici pub-
pubblico, che presuppone una struttura sociale organizzata, necessita di una formalizzazione concreta che, nell’ipo- blici che «non va ricercata al di fuori della realtà, […] ma è da conoscere in essa, nella vita reale degli uomini che
tesi qui avanzata, coincide con l’Aula. L’Aula cioè definisce quegli edifici pubblici, civili (da cives), ipostasi del col- l’architettura racchiude»56.
lettivo, che muovono dall’idea dello stare assieme, di una collettività che si riunisce e in quest’atto si riconosce. Come osserva Agostino Renna «(per Boullée) il risultato dell’architettura non è dato dalla padronanza del processo
I caratteri generali dell’edificio pubblico saranno determinati dalla necessità di rendere evidente la specialità di tali ma- di progetto, quanto dalla grandezza dell’invenzione che, una volta trovata, serve da modello a tutte le costruzioni
nufatti attraverso il riferimento al tipo ad aula. È facile vedere che la scelta dell’Aula come forma rappresentativa e sin- dello stesso tipo. Da un nucleo emozionale di riferimento la costruzione passa attraverso un’immagine complessiva e
tetica dell’edificio pubblico, in quanto imago Mundi, pone immediatamente il problema della distinzione tematica tra i l’analisi tecnica conclude la costituzione dell’opera» e ancora «Per certi versi è l’aspetto più affascinante di una pra-
vari tipi di edifici a carattere rappresentativo. Il tema non deve essere confuso con l’uso: negli edifici ad aula ciò che è tica di apprendimento del progetto indagare come i grandi maestri e le grandi architetture hanno, di volta in volta,
preminente per la precisazione del tema è il loro carattere rappresentativo e la loro ragione collettiva. La definizione risolto il problema di rendere specifico, parlante, in un edificio quei contenuti universali che l’edificio intendeva pos-
formale tipologica rimane stabile mentre gli usi, il programma e le funzioni possono sovrapporsi e/o modificarsi. sedere; come hanno trasformato il vetro in cristallo»57.
I vari temi riassunti con l’Aula in che termini condizioneranno la sua figurazione e il suo carattere? Come sarà, pos- Nella linea indicata da Boullée - si vedrà - Mies van der Rohe spingerà alle estreme conseguenze questa identifica-

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zione tra edificio pubblico e Aula al di là delle particolari destinazioni d’uso. Egli, infatti «[...] porta le analisi della IL RUOLO DELLA COSTRUZIONE NEGLI EDIFICI AD AULA
funzione a un grado di approfondimento che supera ogni particolarità, andando alla ricerca non tanto dei tipi dei
diversi edifici pubblici come il teatro, il museo ecc. quanto di un tipo che li comprenda. O per lo meno sembra che
Mies voglia riconoscere negli edifici pubblici che studia un’unica funzione generale, che è quella della riunione di La tecnica è molto più che un metodo essa costituisce di per sé un mondo
Mies van der Rohe
un gran numero di persone intente a un’attività che le accomuna. [...] La costruzione di un edificio pubblico è un’im-
presa collettiva che deve rappresentare un valore generale. Quando questo non traspare, la costruzione, per quanto Dovunque la tecnica trovi il suo reale adempimento la si eleva alla sfera dell’architettura
perfetta essa sia, non darà nessuna gioia. Mies decide per il tipo ad aula e su questo inizia la sua lunga ricerca. La Mies van der Rohe

corrispondenza tra Aula e luogo collettivo è antica. L’Aula contiene in sé il valore, la sua forma sarà evocativa di que- La tecnica non è semplicemente un mezzo. La tecnica è un modo del disvelamento62
sto»58. Ogni edificio pubblico ha un suo significato e deve ricercare una sua identità. L’architetto dovrà rendere espli- Martin Heidegger
cito questo significato attraverso le forme e i caratteri dell’architettura. Secondo Quatremere infatti «l’arte di Ogni tecnica sottende una metafisica
caratterizzare ogni edificio, vale a dire di rendere sensibili colle forme materiali e di far comprendere le qualità e le Jean-Paul Sartre
proprietà inerenti alla sua destinazione, è forse di tutti i segreti dell’architettura il più prezioso a possedersi, e nel tempo
stesso il meno facile a essere indovinato»59. Un edificio pubblico deve distinguersi dalla casa e con le sue forme rap- Intimamente connesso al tema dell’Aula è il problema della sua costruzione. Sin dai primi esempi costruiti di questi
presentative, che sono metafora della sua costruzione, deve essere disvelamento di quel mondo complesso e condi- ‘vasti spazi’ le soluzioni statico-costruttive hanno rappresentato un dato ineludibile del problema: l’invenzione spaziale
viso che lo ha determinato che va svelato, cioè reso ‘vero’ (aletheia) e quindi intellegibile. e formale va di pari passo con quella tecnica. Sospendere nel vuoto grandi carichi per superare ampie luci per la
Gli edifici pubblici progettati o costruiti da Mies operano appunto il disvelamento attraverso il principio della tra- copertura di vasti ambienti «ha da sempre rappresentato un desiderio innato dell’uomo, e un impegno collettivo di ri-
sparenza che ‘offre’ tale interno simultaneamente alla città e alla natura. Le sue architetture ad aula affideranno, nella sorse umane e materiali»63. Gli edifici ad aula, per le loro cospicue dimensioni, hanno costituito un terreno di speri-
teoresi di Monestiroli, gran parte del loro carattere ai modi di costruzione dell’Aula in cui, appunto, la soluzione co- mentazione e d’invenzione notevolmente fertile. Rimane aperto il problema di un corretto rapporto tra le ipotesi formali
struttiva e la sua espressione architettonica realizzano il passaggio dal ‘tipo al carattere’. Come suggeriva ai suoi stu- e figurative e le soluzioni costruttive. Appare chiaro, tuttavia, che l’approfondimento degli assetti strutturali è condi-
denti dell’IIT lo stesso Mies, nella ricerca delle forme appropriate da selezionare per i nuovi manufatti collettivi bisogna zione necessaria ma non sufficiente per la determinazione della forma architettonica dell’Aula. La verità delle solu-
seguire un metodo (una direzione ordinata) che passa dall’analisi della funzione alla forma: «Esamineremo una per zioni tecniche rappresenta certamente un dato insopprimibile e contiene al suo interno un complesso di norme e
una ogni funzione di ogni edificio e la useremo come base della forma»60 in un «continuo trasferimento della forma regole che non necessariamente coincidono o spiegano le norme e le regole della composizione. Del resto il signi-
attraverso la resistenza del reale»61 (Grassi). La tesi che - attraverso le categorie dell’ideazione (tema), della costru- ficato letterale di construere è quello di mettere insieme, cioè di comporre - cumpònere - nel senso di ordinare una
zione e delle procedure compositive - si è inteso dimostrare per le architetture di Mies e induttivamente (retroattiva- materia indistinta dandole una forma. Per analogia in matematica ‘costruire’ rappresenta l’atto di determinare una gran-
mente) per la generalità degli edifici pubblici ad aula, è che l’assetto costruttivo diviene uno - certamente decisivo - dezza a partire da altre. Tale grandezza si ottiene compiendo una serie di operazioni, non soltanto attraverso cal-
ma non l’unico dei fattori determinanti il carattere dell’edificio pubblico, in vista di una distinzione tematica partico- coli numerici, ma anche concretamente con la costruzione di figure geometriche. L’architettura è «chiarezza costruttiva
lare all’interno della classe generale degli edifici ad aula. La questione della costruzione dovrà cioè equilibrarsi e con- portata fino alla sua espressione esatta»: in questa definizione di Mies van der Rohe sono compresi due aspetti fon-
frontarsi con le scelte formali-geometriche e con l’esaltazione di alcuni elementi stabili distintivi di ogni tema. Solo con damentali dell’ideazione architettonica, quello rappresentativo e quello costruttivo. La scelta tecnica diviene consa-
la soluzione dialettica del difficile rapporto tra costruzione, forma e topologia compositiva degli elementi, in un com- pevole quando è derivata e connessa al senso dell’edificio e al suo intento rappresentativo (espressivo). L’atto del
plesso sistema di regole compositive e proporzionali, l’Aula diviene simbolo, espressione o meglio ‘sintesi figurativa costruire è connesso a quello dell’inventare e rappresenta in termini generali una specifica azione dell’intelletto, com-
della collettività’. piuta disponendo le diverse parti secondo uno schema sintattico, secondo un ordine logico e razionale che opera
una ratio cioè un rapporto consistente tre elementi noti.
«Il sistema costruttivo origina anche un altro sistema, il mondo della forma, autonomo e al tempo stesso derivante e
dipendente dalla costruzione, o, per essere esatti, un sistema estetico […]»64. Il problema della tekné cioè del ‘come’
e il problema della poiesis, della capacità di un manufatto di rendersi ‘riflettente’ di un tema, di reificare un’idea, di
produrre emozioni, è chiarito dalla definizione di tecnica data da Platone nel Simposio (205 b-c), come la «causa
che conduce una qualsiasi cosa dall’essere non ente all’essere ente». Boullée precisa opportunamente - in aperta po-
lemica con la nota definizione di Vitruvio - che «la concezione dell’opera ne precede l’esecuzione. I nostri antichi padri
costruirono le loro capanne dopo averne creata l’immagine. È questa produzione dello spirito che costituisce l’ar-
chitettura e che noi di conseguenza possiamo definire come l’arte di produrre e di portare fino alla perfezione qual-
siasi edificio… In che cosa consiste questa perfezione? Nell’offrirci una decorazione relativa a quel tipo di costruzione
alla quale si trova applicata; ed è attraverso una distribuzione conveniente alla sua destinazione che si può presu-
mere di portarla alla sua perfezione»65. In tale definizione si afferma una priorità dell’atto ideativo rispetto a quello
esecutivo-costruttivo, coniugandola inoltre alla questione del decoro e quindi al sistema dei caratteri architettonici, pro-
ponendo in tal modo il primato della composizione come categoria autonoma. Qui l’idea di perfezione è ancora
quella di rispondenza tra ragione del manufatto e forme con le quali esso si mostra, concordanza e relazione tra le
parti e il tutto identificando la bellezza come ‘sistema di rapporti’ (Diderot). «È impossibile combinare bene due cose
senza una terza: ci vuole tra esse un legame che le colleghi. Non c’è miglior legame che, di se stesso e delle cose
che unisce, fa uno solo ed unico tutto. Ora, tale è la natura della proporzione» (Platone, Timeo), in tal senso non vi
è contraddizione con l’esattezza delle proporzioni e dei rapporti cui si riferisce Mies. Secondo Raffaella Neri66, in
un recente saggio sugli edifici ad Aula, il progetto di un edificio ad aula presenta essenzialmente due questioni da
risolvere: la prima attiene alla soluzione tecnica della copertura di spazi di vaste dimensioni generalmente indivisi,
la seconda, strettamente connessa alla prima, riguarda i modi (le forme) attraverso i quali rendere espliciti il loro ruolo

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collettivo ed ‘il valore cui sono destinati’. La costruzione e la rappresentazione sono intimamente connessi muovendo zione tra ingegneria e architettura. Quando gli elementi della costruzione, superato il problema costruttivo di cui sono
dall’assunzione che le forme dell’architettura da cui si determina il carattere dell’edificio sono la traduzione attraverso il risultato, si pongono tra loro in rapporto, ovvero ‘in composizione’, con l’obiettivo di rappresentare le loro identità
il principio del decoro67 delle forme della costruzione che devono rendersi espressive per emanciparsi dalla loro ra- in rapporto al tutto, allora si dispiega un ordine riconoscibile: si installa una ‘architettonica’. L’architettura, in qualche
gione tecnica e per conferire dignità e bellezza all’architettura. La decorazione è propria dell’architettura e conferi- modo, rappresenta attraverso gli elementi l’atto costruttivo, e non coincide strettamente con esso, cioè «la forma tec-
sce senso all’edificio, è una qualità ‘aggiunta’ agli elementi costruttivi rispondente al carattere e alla destinazione degli nica (affinché possa avere per noi un significato) ha bisogno di essere traslata» (Oud)75.
edifici o meglio dei monumenti, essa «deve essere e parere necessaria» (Quatremere). È proprio il principio del de- Come è stato anticipato, la ‘soluzione ottima’ dal punto di vista meramente tecnico di norma non coincide con l’ot-
coro, inteso come disvelamento e identificazione della forma e del comportamento strutturale dell’edificio e delle sue tima soluzione architettonica. «Le forme tecniche devono rendersi espressive» (Monestiroli) per diventare forme archi-
membrature, che realizza il passaggio dall’ovvietà e neutralità delle forme tecniche all’espressività di quelle architet- tettoniche e sono proprio le relazioni e le scelte di tipo proporzionale e compositivo che rendono possibile questo
toniche, «l’ornamento (decor) è il segreto che la Baukunst assume per consentire al Tekton di dispiegare i valori di cui passaggio. Saranno le procedure compositive a determinare tali scelte, a volte prescindendo dalle semplici ma
egli è custode»68. astratte regole del calcolo, assecondando altre regole non meno esatte e necessarie76. Il ruolo dei vari elementi potrà
La relazione indissolubile e il continuo contrasto dialettico tra costruzione e forma è chiarito dalla distinzione propo- utilmente essere chiarito, anche dal punto di vista formale, proprio dal loro comportamento strutturale. Le forme co-
sta da Karl Bötticher 69 tra Kenform (forma nucleo) e Kunstform (forma artistica), cioè «tra la forma “ontologica” della struttive sono condizione necessaria e irrinunciabile ma non sufficiente per la determinazione della forma architetto-
tecnica e la forma “rappresentativa”, che oscilla tra il rivelare e il dissimulare, tra la volontà [e necessità] di esprimere nica. Nelle parole di Schinkel «Il pratico, l’utile, l’adeguato, portato a bellezza, è compito dell’architettura; questa
la struttura (tettonica) e quella di ricoprirla con un apparato descrittivo con rivestimento rappresentativo»70 che ne sveli parola deve avere tale significato, al contrario della semplice costruzione, che designa solo l’adeguato il forte, il so-
il meccanismo e che possa rendersi espressivo secondo una precisa intenzionalità estetica. Bötticher in sintonia con lido, l’utile, non ancora pervaso di un elemento di bellezza. […] L’architettura differisce dalla costruzione, perché si
le tesi di Viollet-le-Duc e poi di Choisy sostenne che ogni nuovo principio spaziale e stilistico sarebbe stato prodotto distingue e si eleva, attraverso il sentimento estetico, al di sopra della costruzione. A ogni costruzione appartiene un’ar-
da innovazioni strutturali Werkform e dall’utilizzo di nuovi materiali. In particolare sarebbe stato il tipo di copertura a chitettura»77. La ‘Capanna primitiva’ di Laugier, più volte identificata come l’inizio dell’architettura, è ancora tutta co-
determinare il nuovo stile come è avvalorato dai grandi monumenti della storia71. La stessa Neri propone come cri- struzione e bisognerà attendere molti secoli prima che assi o piedritti ricavati con buonsenso dalla materia informe e
terio classificatorio degli edifici ad aula di tipo tassonomico quello di ordinarli non tanto secondo la loro destinazione diveniente divengano pilastri e travi prima e colonne poi, composti insieme con ordine razionale ed estetico. I prin-
d’uso (relativa e intercambiabile), la conformazione spaziale o il sistema di costruzione delle strutture verticali, ma piut- cipî costruttivi della capanna e del tempio sono analoghi, quello che cambia, oltre alla materia, è la necessità espres-
tosto secondo la tipologia e i materiali della loro copertura. In tal modo si ristabilisce un confronto tra tipologia co- siva delle forme della costruzione: nel Tempio dorico anche elementi che sono destituiti di un effettivo ruolo costruttivo
struttiva e tipologia architettonica partendo dal presupposto teorico che «la decorazione è la qualità delle forme che come i triglifi (pietrificazione delle teste delle travi di legno) permangono e vengono ripetuti anche sui lati minori in
rende la costruzione espressiva»72, è «ciò che conviene, che si addice alle cose, perché il decere è ciò che rende quanto necessari al decoro dell’edificio, le metope invece vengono aggiunte al sistema architettonico non per meta-
degno l’edificio, perché in esso si mostra l’ordine di cui è conseguenza»73. forizzare comportamenti costruttivi ma per raccontare allegoricamente le “storie degli Dei e degli Eroi”. In tale diffe-
Sovente, negli edifici ad aula, ma raramente in quelli di Mies, la decorazione che metaforizza l’atto costruttivo, mette renza di senso si chiarisce la contrapposizione tra «decoro e ornamento»78. La colonna, come «metafora dell’atto del
in opera un principio costruttivo che non è quello effettivamente operante, al fine di ritrovare nelle forme che mo- sorreggere» (Hegel)79, non è più un pilastro o peggio un sostegno ma diviene per Alberti «la più bella decorazione
strano un’adeguatezza rispetto al carattere che il manufatto deve avere. Esemplarmente si pensi ai soffitti lignei a cas- dell’architettura destinata agli edifici più importanti della città: i Templi». ll passaggio logico che impone agli elementi
settoni delle cattedrali o a quello lapideo del naos del Tempio in cui la mono-direzionalità del sistema architravato un ordine superiore per diventare forme nominabili dell’architettura classica premette una concezione estetica che go-
lapideo diviene ancora, analogicamente, il graticcio ligneo del Tempio arcaico. Il progetto teorico di Le Corbusier verni la disposizione degli elementi «visti come cose in sé secondo la loro natura» (Mies) e il loro ruolo nell’ambito
per la Maison Dominò, volto a indagare le possibilità della tecnica in relazione ai cinque punti da lui formulati, sem- dell’unità complessiva del manufatto, da un lato recuperando l’ideale aristotelico dell’accrescimento organico della
bra contenere, almeno in potenza, il pericolo di una dissociazione tra l’apparato costruttivo portato all’interno e la forma80, dall’altro tendendo a riflettere la perfezione degli universali introdotti da Platone. Gli elementi primari del-
relativa libertà nell’impaginazione della facciata. Ben altro è l’uso di Perret74 (di cui Le Corbusier è pur stato allievo) l’architettura moderna, lontani da quelli auto-commisurati e regolativi del sistema degli ordini, ma debitori della sem-
della costruzione intelaiata in cemento armato: la costruzione ‘deve’ essere mostrata, deve essere «portata ad orna- plificazione e individuazione delle membrature operata dalla cultura gotica (in quanto struttura logica della
mento». Premesso che nell’elaborazione di Le Corbusier - al tipo della Maison Dominò in cui si utilizza il sistema pun- distribuzione degli sforzi), rimandano linearmente al ‘repertorio’ degli elementi costruttivi. Gli elementi dell’architettura
tiforme corrisponde in maniera equivalente il tipo della Maison ‘Citrohan’ ove si esperisce il sistema continuo murario, si specializzano per ruolo e per senso: i piani, i punti e le rette della geometria diventano coperture, pilastri, muri,
e che le facciate libere si dotano in tutti i progetti di un apparato regolativo e proporzionale molto serrato - rimane, pareti che attraverso le procedure antiche della ripetizione, della variazione, della congiunzione e della combina-
nel distacco operato tra la pelle (la scocca) e l’ossatura del manufatto, il pericolo di un arbitrio figurativo. Tale arbi- zione, conformano lo spazio e, allo stesso tempo, ne consentono la costruzione. Il problema rimane quello di ritro-
trio ha prodotto la dissociazione delle forme architettoniche da quelle della costruzione riducendo le prime a mera vare nuove leggi adeguate, insieme tecniche ed estetiche, che sappiano mettere in relazione stabile e non gratuita
espressione figurativa, una reductio ad imago, simulacro - phanthasmata - di una forma pellicolare/spettacolare le parti.
priva di consistenza. Rispetto a tale impostazione, nelle aule di Mies, si assiste a un’interpretazione del tutto rovesciata: In tal senso è importante osservare - a proposito delle reciproche influenze tra il momento tecnico e quello sintattico
il sistema delle membrature e degli elementi della costruzione si identifica con l’architettura stessa, cioè diventa sistema ideativo - che nella distinzione semperiana81 tra ‘tettonico’ e ‘stereotomico’ è facile intravedere una stretta analogia
di rappresentazione stabile della ragione dell’edificio e in definitiva del suo carattere mentre le parti interne sono fles- tra due modi distinti di comporre: quello che lavora ‘per elementi’ (piani e punti) e parti distinte, e quello che lavora
sibili. Gli elementi della costruzione sono mostrati nel loro comportamento effettivo e vengono didascalicamente or- ‘per volumi’ e ‘per masse’. Infatti costruzione tettonica sono tutte le strutture a scheletro in cui si possono individuare
dinati rispetto al ruolo gerarchico che ognuno di essi assume secondo sistemi di proporzionamento meno sofisticati e isolare gli elementi costruttivi, che finiscono per coincidere con quelli architettonici, e invece per costruzione ste-
di quelli di Le Corbusier, come il modulor con successioni decimali, ma forse più intellegibili. Il controllo è dato dal- reotomica si intendono quelle parti, come il crepidoma, che formano singolarmente masse omogenee e indivise,
l’adozione di moduli organizzativi ‘interi’ sopratutto della pianta e poi dell’alzato. Viceversa una relativa libertà è af- analogamente al gioco dei volumi e delle masse nelle forme dell’architettura. Sul piano dei caratteri e del decoro è
fidata agli elementi conformativi interni - pareti, setti, vetrate - destituiti di ruolo strutturale che si possono adattare ai facile vedere che il problema del ‘rivestimento’ e della ‘pelle’ dell’edificio deve misurarsi con i dati della struttura, che
differenti usi che uno spazio sovraordinato può contenere. È proprio Mies a contestare la indebita dissociazione ope- nel nostro caso è già essa stessa forma.
rata da Le Corbusier ribaltandola: la struttura messa in evidenza è stabile, rappresenta il carattere permanente del Nell’ambito delle soluzioni costruttive, per la copertura di ambienti di varie forme e dimensioni, il passaggio dal si-
manufatto e allo stesso tempo definisce un vuoto misurato all’interno del quale possono articolarsi in maniera non anar- stema arcaico trilitico o ligneo (greco) a quello voltato (romano) rende possibile nuove ipotesi spaziali e compositive.
chica, in quanto relazionata alla modularità generale, la disposizione degli elementi. La costruzione diviene il pre- Il rapporto con la geometria si fa più necessario, le forme planimetriche adottate e le loro regole proporzionali fis-
supposto invariante di tale ‘libertà controllata’. sano direttamente la gamma delle soluzioni statiche opportune. Negli edifici ad aula, soprattutto nei casi di compo-
«L’architettura nasce quando si supera il problema tecnico» (Mies): in ciò probabilmente sta la fondamentale distin- sizione sintattica, si può affermare che la soluzione del tetto, essendo preponderante per la definizione dello spazio

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rispetto alle membrature della strutture perimetrali di sostegno sia puntiformi che continue, diventa risolutiva dell’intero sforzo. Le immagini dei progetti di Wachsmann, nella loro chiarezza costruttiva, per l’introversione della struttura ver-
edificio, della sua forma generale e della sua ‘ricezione’. Appare evidente che la liberazione dello spazio interno ticale che libera la pelle più similmente al sistema Domino, rimandano, dal punto di vista strettamente formale, ad al-
da sostegni e la sua proiezione all’esterno è impensabile senza l’utilizzo di materiali e tecniche capaci di sopportare cuni progetti e disegni di Hans Poelzig o Bruno Taut nell’Alpine Architektur. Va sottolineato che, come nel sistema
gli sforzi e le sollecitazioni innescate dai carichi in gioco. Le soluzioni tecniche per la struttura della copertura risul- domino, le possibilità insite nell’adozione del reticolo spaziale (portato alle estreme conseguenze) hanno prodotto,
tando quasi sempre ‘in vista’ determinano in gran parte l’espressione architettonica e la forma dell’edificio. anche di recente, una notevole ‘liberazione’ in senso espressionista delle forme esposte, frequentemente disgiunte dal
In generale i modelli costruttivi adoperati per la copertura degli edifici ad aula sono riconducibili a tre tipi fondamentali sistema costruttivo, con esiti formali che sovente mimano figure organiche difficilmente riferibili o deducibili da prin-
dai quali derivano varie sottoclassi. cipî prettamente architettonici ma quanto riconducibili a un formalismo ostentato, reso possibile, ma non orientato, da
Il primo sistema è quello trilitico, sia nella versione ‘isostatica’ di trave con due appoggi sia in quella ‘iperstatica’ con una costruzione altamente flessibile. Tale liberazione formalistica trova una fonte di ispirazione non tanto e non solo
telai rigidi - portali - ripetuti in funzione ovviamente dell’elasticità e dell’inerzia specifica dei materiali in gioco. È fa- nelle forme naturali, ma quanto in una misinterpretazione e indebita trasposizione di alcune eteronome teorie filoso-
cile vedere che questa tipologia strutturale - che astrae e precisa il dispositivo della campata gotica rendendolo fiche ed estetiche (Derrida) e in una lettura distorta e superficiale della fisica quantistica post-newtoniana, della geo-
schema modulare - premette un suo utilizzo unidirezionale limitando così fortemente la dimensione trasversale del ma- metria non euclidea e delle tecnoscienze in generale.
nufatto rispetto a quella longitudinale. In questa categoria costruttiva, anche con un differente comportamento deter- È singolare il fatto che le opere della cosiddetta ‘terza avanguardia’ (da Gehry e Libeskind a Zaha Hadid) dal punto
minato dalla presenza di sollecitazioni spingenti, vanno aggiunte le strutture voltate unidirezionali e i sistemi a capriata di vista formale e delle soluzioni costruttive quantunque celate da scocche a curvatura variabile di varia natura e con-
lignea. sistenza in definitiva si assomiglino così tanto. L’utilizzo di modellatori solidi altamente avanzati - gli unici capaci di
Il secondo sistema è quello voltato a cupola realizzata con murature a cassa vuota di laterizi e malta o, come nel gestire, costruire e al fine generare queste geometrie complesse - combinati con algoritmi di calcolo strutturali itera-
Pantheon e nelle Terme di Baia, con vari strati di cementa, dalle pietre, ai mattoni, alle pomici, resi solidali con malte tivi, fatalmente forniscono, paradossalmente, soluzioni costruttive identiche perché ottimizzate solo sul minimo sforzo
pozzolaniche. La cupola, a differenza dell’arco, consente di superare luci più ampie e presuppone una figura pla- in modo univoco e non già su principî formali. In tali esibizioni e sperimentazioni la composizione e le sue regole ce-
nimetrica ‘centrale’ poligonale o circolare. Nel caso del Pantheon in particolare la decorazione a lacunari oltre a con- dono il passo a una incessante e inconsapevole ‘modellazione’. Di ben altra natura sono le invenzioni spaziali di
notare e descrivere la curvatura della volta, a differenza della decorazione sovrapposta degli ordini presa in prestito Mies che producono direttamente delle intuizioni85 costruttive controllate e regolate dalle proporzioni e dai rapporti
dall’architettura greca che mima un comportamento non effettivo della costruzione per esigenze rappresentative, rea- armonici tutti ancora governabili con la mano86 e quindi ancora con il pensiero.
lizza un accordo tra le necessità auliche e il comportamento della struttura. È facile vedere che i lacunari rastremati
realizzano un notevole alleggerimento della massa muraria, già affidata a una costruzione per strati di differente
densità e spessore, individuando delle linee principali di trasmissione dei carichi secondo meridiani e paralleli che
anticipano le recenti acquisizioni sul comportamento di tale tipologia costruttiva82.
Il terzo sistema, che sviluppa concettualmente il primo e integra il secondo, è quello della struttura bidirezionale a pia-
stra o a graticcio di travi, che sfruttando opposte e duali sollecitazioni (flessione e torsione) consente di coprire am-
bienti di notevoli dimensioni con spessori ridotti. In tale ultima tipologia costruttiva divengono fondamentali le differenti
modalità di scarico a terra della copertura. La piastra che ha una sua rigidezza nel piano potrà essere solo appog-
giata o incastrata in modo più o meno continuo sul suo contorno o nelle sue prossimità. Variante importante di que-
st’ultimo modello costruttivo è quello dei reticoli spaziali, che sfruttando le sole sollecitazioni normali, ottenute dalla
decomposizione di quelle flessionali, consente la copertura di luci grandissime con altezze esigue, con un peso pro-
prio relativamente basso, consente agevolmente di individuare elementi semplici (aste e nodi) variamente combina-
bili e facilmente assemblabili.
È facile vedere che a tali modelli corrispondono alternativamente differenti classi di materiali idonei a sopportare i vari
regimi sollecitativi che si producono. L’utilizzo di materiali lapidei non resistenti a trazione sarà limitato ai sistemi trili-
tici e a quelli voltati o a cupola, mentre materiali elastici (legno) o addirittura isotropi, quali cemento armato o pre-
compresso e soprattutto acciaio, potranno essere adoperati per le strutture intelaiate e per quelle bidirezionali e spaziali.
Le architetture ad Aula di Mies spingono alle estreme conseguenze i modelli costruttivi sopra elencati, ponendosi esse
stesse come degli avanzamenti di quelle tecniche. Mies nei suoi progetti adopererà sia il sistema a telaio ripetuto su
grandi luci (Crown Hall, Mannheim) sia quello a piastra nervata ‘ortotropa’83 (Bacardi, Neue Nationalgalerie) ma
anche il reticolo spaziale (Convention Hall). Le soluzioni da lui proposte sono sempre innovative e spesso coincidono
con le acquisizioni contemporanee della ricerca più avanzata della scienza e della tecnica delle costruzioni: basti pen-
sare alle soluzioni esatte per le piastre di Grashof e di Thimoshenko o agli studi di Wachsmann sui reticoli spaziali.
In particolare il lavoro di Konrad Wachsmann si segnala per un’importante innovazione a proposito delle tecniche
costruttive basate sul principio dei tetraedri spaziali che, oltre a ottimizzare il comportamento dei singoli elementi
messi in gioco ottenendo soluzioni sempre più rarefatte, quasi prive di massa, consentiranno, con spessori ridotti, un
notevole aumento dimensionale delle luci copribili. Tale ricerca - effettuata innanzitutto dal punto di vista costruttivo -
propone di fatto, come avverte Argan84, una ipotesi formale/costruttiva complementare a quella di Mies, con una
potenziale espansione infinita degli invasi, chiaramente rinvenibile nelle proposte utopiche di Buckminster Fuller e di
Yona Friedman. Il sistema delle aste e dei nodi diluisce la massa costruttiva in esili linee di forza che singolarmente
sono trascurabili rispetto al loro assemblaggio continuo ma che, complessivamente, realizzano un tipo di spazio le-
vitante rapportato al suolo da pochi ancoraggi filiformi, una sorta di trespoli tentacolari, che combinano gli stessi ele-
menti e geometrie utilizzati per le coperture risultando quindi orientati secondo angoli predeterminati di massimo

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PROCEDURE COMPOSITIVE: SINTASSI E PARATASSI

Nell’affrontare il tema dell’edificio pubblico - e più in generale ogni tema di architettura a partire dalla casa - è ne-
cessario determinare il peso ammissibile tra le parti rappresentative/eccezionali e quelle ricorrenti, muovendo dalla
considerazione che l’individuazione delle parti è «prioritaria all’atto del comporre» (Boullée). Tale rapporto, tale re-
lazione sintattica, non è solo scalare o banalmente funzionale ma determina in gran parte il destino, la configurazione
finale dell’intero edificio. Nelle architetture ad aula si rintracciano chiaramente due possibili e complementari proce-
dure compositive differenti: la paratassi e la sintassi. Le procedure compositive per la costituzione di tali manufatti pos-
sono essere di tipo sintattico quando i vari elementi e le varie parti costituenti l’edificio sono riassunti in un unico
volume, o di tipo paratattico quando all’individuazione e gerarchizzazione degli elementi e delle parti costitutive fa
riscontro una loro individuazione in volumi distinti accostati. Nel primo caso si tende a restituire un’immagine sinte-
tica definita e ‘rivolta all’interno’ nella quale tutte le parti contribuiscono alla definizione del tutto. Nel secondo caso
le parti distinte per forma e dimensioni divengono ‘corpi autonomi’ che stabiliscono tra loro delle tensioni volumetri-
che che per accostamenti o compenetrazioni definiscono, soprattutto all’esterno, il senso del manufatto.
Nella paratassi le parti dell’edificio sono rese evidenti e autonome nella loro costituzione formale e figurale, in quanto
«silenziosi oggetti» (Tafuri). Il posizionamento e il rapporto reciproco avviene, per così dire, a distanza e il sistema
differenziato dei caratteri concorre alla determinazione della loro autonomia volumetrica e formale. In tal senso di-
ventano fondamentali da un lato la distanza e il vuoto tra i corpi, il modo in cui le masse si fronteggiano o si giu-
stappongono, senza mai fondersi, e dall’altro l’equilibrio complessivo che esse devono determinare. Come rileva Ezio
Bonfanti - a proposito delle architetture di Aldo Rossi - «la paratassi (procedimento additivo), che attenua o elimina le
connessioni e le mediazioni, è in effetti un procedimento caratteristico della letteratura, dell’arte, e anche dell’archi-
tettura moderna (dove è collegabile a una tendenza già emersa nel Settecento che il Kaufmann ha notoriamente sot-
tolineato, [...] rilevandovi la scomparsa di alcuni requisiti fondamentali del “sistema del Rinascimento e del Barocco”,
e in primo luogo del criterio della “gradazione”)», essa è contrapposta a «procedimenti basati sull’amalgama o sulla
mediazione»87. La paratassi quindi è un ‘ordine tra pari’, tra singolarità che rimanda, nell’etimo, alla disposizione delle
navi greche schierate in battaglia (ut castrorum acies ordinata).
Nella sintassi i vari elementi e le parti dell’edificio pur essendo riconoscibili sono riuniti e tenuti insieme da un princi-
pio d’unità e di concinnitas. L’obiettivo, in questo caso, è trovare una forma sintetica, capace essa stessa di affermare
l’identità dell’intero manufatto. I caratteri avranno il compito di rendere evidente tale unità e saranno perciò quanto
più uniformi possibili. Il procedimento sintattico lavora essenzialmente sulla finitezza e fa coincidere l’intero edificio
con l’Aula, da sola in grado di riassumere il tema e mostrare la ‘cosa’. Vi è una sostanziale indifferenza distributiva,
non si vuole raccontare il funzionamento dell’edificio, il manufatto è ridotto a oggetto significante di per sé, per l’au-
torità della forma generale e sintetica che lo rappresenta. L’Aula intesa come grande invaso che contiene il tutto, ipo-
stasi del vuoto, la si può definire, in termini strutturalistici, come un’architettura ‘segnica’88 cioè - come afferma De Fusco
- un’architettura che «non contiene articolazioni seconde, un’architettura in cui il significante ed il significato sono uni-
vocamente individuati, in qualche modo sono talmente liminari che finiscono per coincidere». La paratassi e la sin-
tassi, complementari e omologhe procedure compositive, trovano selettivamente un loro impiego in relazione alle
differenti condizioni topologiche e tematiche che i vari manufatti affrontano. Sono i rapporti con la condizione natu-
rale o urbana al contorno che fanno adottare l’uno o l’altro sistema. Il continuo e il discreto non servono a commen-
tare un luogo, ma a ridefinirne e reinterpretarne i caratteri e le relazioni d’ordine. Il procedimento paratattico denuncia
l’articolazione dell’edificio per parti e lo relaziona al contesto, quello sintattico invece lavora sulla costruzione di un
elemento primario (monumento) che coordina e riformula le relazioni tra i sistemi morfologici in cui si colloca. Vi sono
casi in cui l’Aula è dominante rappresentando sinteticamente il senso dell’intero edificio e a essa vengono sottoposti

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(ipotassi) gli elementi ricorrenti. In altri casi le parti che concorrono alla definizione del tema vengono, per così dire, cita innanzitutto sulle masse e sulla loro caratterizzazione superficiale: «Il volume e la superficie sono gli elementi me-
isolate nella loro individualità sia sfigurale che volumetrica per poi essere ricomposte per accostamento semplice, per diante i quali l’architettura si manifesta. Un volume è avvolto in una superficie, superficie che è diversa secondo le
giustapposizione, o per interpenetrazione. Frequentemente agli elementi ricorrenti proiettati all’esterno o disposti lungo linee generatrici e direttrici del volume, mettendo in risalto l’individualità di questo volume»92.
il perimetro fa da contrappunto, anche in termini scalari, il volume dell’Aula che diviene per così dire contraffortato In conclusione si può affermare che, relativamente alla posizione e al peso dell’Aula nell’ambito della composizione
da parti accessorie che hanno una loro autonomia formale e architettonica e che, in alcuni casi, sono addirittura stac- complessiva dell’edificio, si possono presentare alternativamente tre differenti condizioni: l’Aula coincide con l’intero
cate dal volume principale. Non mancano inoltre dei casi in cui si assiste alla combinazione di sistemi sintattici e pa- manufatto e ne determina la forma e il carattere complessivo (sintassi); l’Aula emerge per la posizione dominante oc-
ratattici con disposizione libera delle parti e degli elementi. Entrambe le tecniche su esposte saranno dominate dal cupata nell’articolazione volumetrica accostandosi ad altre parti che le sono subordinate (ipotassi); l’Aula si rende del
principio della finitezza, dalla proporzione e dalla regolarità. tutto autonoma e distinta da altre parti riunite sintatticamente in una sorta di montaggio in cui non vi è nessuna ge-
In tale interpretazione e classificazione ‘binaria’ per la costituzione degli edifici ad aula sono esemplari due progetti: rarchia compositiva (isotassi). Vi sono poi dei casi abbastanza discutibili (Plec̆ nik nella biblioteca di Lubiana) in cui
lo “studio per un edificio, coperto e aperto sui lati, con colonnato monumentale” per la Festhalle all’interno di una l’Aula non è definita attraverso un’autonoma configurazione volumetrica, ma si dichiara soprattutto attraverso la va-
Colonia balneare a Rügen (1936) di Heinrich Tessenow ed il progetto di Hilberseimer per la Stadthalle a Norim- riazione e l’amplificazione del sistema dei caratteri e della decorazione.
berga89. Gli edifici ad Aula di Mies invece adotteranno, senza mediazioni, il procedimento sintattico ‘elementarista’ puntando
Il primo edificio, una vera e propria piazza coperta, è pensato ancora una volta come un ‘grande riparo’ costituito alla definizione di manufatti che, pur non realizzando dei volumi classicamente intesi, riescono a essere fortemente
da una semplice copertura piana, quasi quadrata, di 125 metri di lato, sorretta da esilissimi sostegni disposti su concisi e unitari anche nella loro articolazione in corpi fortemente individualizzati, lavorando essenzialmente su un
quattro file. La maestosa Aula è attraversata in tutte le direzioni dalla natura, ‘pietrificando’ il disegno della foresta sofisticato controllo proporzionale di tipo relativo di tutti gli elementi e della figura complessiva. Questo controllo è
dello stesso Tessenow. Il riparo, pensato come una grande sala ipostila, ricorda, nella disposizione concentrica dei realizzato attraverso la commensurazione delle singole parti col tutto e mediante la ripetizione finita e la formalizza-
sostegni che si diradano verso l’interno, il Therlsirion di Megalopolis sviluppandone i modi di controllo geometrico zione gerarchizzata delle membrature costruttive che determinano, senza iati, il carattere e l’aspetto del manufatto.
polare, introducendo - attraverso complessi ribaltamenti e proiezioni - tre ulteriori fuochi esterni alla figura. L’Aula ipo- L’assunzione sintattica operata da Mies, la scelta di costruire delle aule liberate dal problema del rapporto con le parti
stila di notevole altezza (36 m) sorprende per la sua modernità figurativa e per le proporzioni notevolmente dilatate subordinate - di solito ricavate all’interno del volume neutro del basamento sia esso entro o fuori terra - riduce il pro-
ed esasperate. Vi è una discretizzazione assoluta degli elementi che si emancipano didascalicamente dalla loro na- blema della definizione architettonica del manufatto alla selezione di concise figure planimetriche riconoscibili e no-
tura astratto-geometrica solo per il modo in cui sono composti. L’edificio non si costituisce in quanto volume, la co- motetiche (quadrato/rettangolo) adeguate per questo a rappresentarne l’assolutezza. Questo passaggio dall’assemblaggio
pertura e i sostegni semplicemente delimitano un luogo, selezionano una parte della natura e la rendono abitabile, di volumi alla determinazione di un vuoto confinato dagli elementi della costruzione, declinati in relazione alle di-
confermando l’intuizione di Hegel: «Un interno che non abbia un esterno (cui riferirsi), non sarebbe neppure un in- mensioni e ai rapporti della figura planimetrica, determina la necessità di stabilire una connessione logica tra tale fi-
terno». Quasi a volerne giustificare l’audacia - nelle parole di Tessenow che riecheggiano quelle di Heidegger – l’Aula gura e la tipologia costruttiva: l’adozione di piante centralizzate o unidirezionali fisserà, a un tempo, il tasso di
delle feste è «un maestoso e monumentale ridosso nella natura circostante in cui […] il modello di riferimento utiliz- rappresentatività del manufatto e la sua espressione costruttiva.
zato è quello di uno dei più naturali e antichi spazi destinati alle grandi adunanze, cioè la Waldlichtung [radura del Dal punto di vista strettamente compositivo la scelta di misurarsi con figure regolari a simmetria bilaterale - rettangoli
bosco], uno spazio che in sé offre una protezione certo approssimativa dalle intemperie, che sicuramente possiede aurei o dinamici - o con figure a simmetria radiale - il quadrato - produce, a sua volta, un problema di disposizione
tutta una serie di difetti come ambiente per le feste e per le adunanze, ma che pure unisce altrettanta bellezza al suo delle parti, degli elementi, degli accessi in accordo con tale assetto planimetrico. Gli elementi della costruzione a
essere antico»90. loro volta nel comporsi costruiscono una sintassi - un sistema di relazione interno alle cose - in cui ogni singolo ele-
La Stadthalle di Norimberga, invece, lavora sul principio del volume stereometrico, sulla compiutezza e sulla giu- mento viene individuato nel suo ruolo costruttivo specifico. Tutto ciò determina di fatto un ‘Ordinamento’, Ordmung
stapposizione delle forme. L’Aula gradonata domina la composizione e a essa si accostano altri corpi che la radi- che guida «secondo la intima natura delle cose» la opportuna collocazione e relazione tra gli elementi per il grado
cano al suolo. Anche la tecnica rappresentativa91 adoperata da Hilberseimer, con il gioco delle ombre proprie e dei e il ruolo superiore equivalente o inferiore che ognuno può assumere nella definizione del tutto. L’equivalenza produce
pieni e dei vuoti, accentua questa condizione gerarchica e di gioco delle masse messe a contrasto. la ripetizione, la supremazia produce l’eccezione o la ripetizione non uniforme di grado maggiore.
Questi due progetti quindi contengono due modi compositivi differenti rispetto all’Aula che svelano due mondi formali,
due principî spaziali e compositivi: quello che lavora per piani e per punti, che elementarizza le sue parti costitutive
sinteticamente rappresentate in un tutto, e quello che si costruisce con masse giustapposte, per volumi semplici e puri
fortemente caratterizzati. Sono due concezioni complementari della composizione. la prima - che abbiamo già de-
finito delle masse stereotomiche - in cui si demanda all’accostamento o compenetrazione dei volumi puri l’espressione
parlante dell’architettura; la seconda elementarista-tettonica in cui le materie da comporre sono gli elementi della co-
struzione (pilastri, travature, coperture, bucature) ordinati dal ruolo costruttivo e dai rapporti proporzionali relativi. Inol-
tre in questi due progetti si raffrontano l’idea progressiva di trasparenza e leggerezza consentita dall’ordinamento degli
elementi con l’idea classica di pieno, di volume, di massa e di severità. Il tema dell’identità e della semplificazione
degli elementi e quello delle masse e dei volumi puri sono al centro del progetto stilistico dell’architettura moderna.
Le ricerche e le opere di Boullée e Ledoux prima, e di Mies e Le Corbusier poi, esemplificano questi due atteggia-
menti. Boullée e Ledoux, accomunati dal rifiuto della norma degli ordini che sono utilizzati come citazioni o allego-
ricamente, sono contrapposti da una differente interpretazione dell’ordine murario che, nel primo, coincide con i
corpi e i solidi della geometria euclidea e, nel secondo, viene scomposto in parti autonome (il basamento, il fusto e
il coronamento). La posizione di Laugier, concettualmente simile a quella di Ledoux, lavora essenzialmente sul sistema
trilitico in cui gli elementi sono quelli propri della costruzione e la loro relazione mutua è determinata dal regime degli
sforzi e dei carichi agenti. Schinkel, a sua volta, opera una sintesi tra il sistema murario e il suo ordinamento per fasce
caratterizzate e l’analiticità di quello trilitico della connessione e distinzione degli elementi. Per Mies, come per Schin-
kel, la composizione è innanzitutto composizione di elementi costruttivi che possono determinare anche un volume ma
non in modo univoco, per Le Corbusier - memore della sua “Lezione di Roma”- di contro l’attività compositiva si eser- 1. ετυµολογία, ας, η (ετυµο-λόγος e questo da έτυµος e λέγω) spiegazione etimologica, derivazione, etimologia; έτυµος (ετέος) ep.

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poet. 1. vero, reale 2. corporale, visibile, chiaro; ετοίµος, att. anche έτοιµος 1. reale, effettivo, giunto ad effettuazione, ad esecuzione 2.
pronto, allestito, preparato, esistente. G. Gemoll, Vocabolario greco-italiano, Palermo-Milano, 1922.
2. L’esigenza di partire dal significato fondativo delle parole muove da una necessità metodologica indicatami dal prof. Gianugo Polesello, che
ringrazio. A tale riguardo si vedano anche:
- P. Odifreddi, Le menzogne di Ulisse, l’avventura della logica da Parmenide ad Amartya Sen, Milano 2004;
- S. Di Natale, Parole della filosofia o dell’arte di meditare, Milano 2004;
- Enciclopedia Multimediale delle scienze filosofiche, voce ‘Lemmi’, in www.rai.it.
3. G. Gemoll, Vocabolario greco-italiano, Palermo-Milano 1922.
4. A. Monestiroli, L’architettura della realtà, Milano 1979.
5. Voce “Aula”, Dizionario Enciclopedico di Architettura e Urbanistica (DEAU), a cura di P. Portoghesi, Roma 1968.
6. Cfr. A. Maglio, nota del traduttore, in L. Hilberseimer, Hallenbauten, Napoli 1998, p.13 sgg.
7. Voce “Aula”, op.cit., Roma 1968.
8. P. Valéry, Eupalinos ou l’architecte, Paris 1924, tr. it. Eupalino o dell’architettura, Pordenone 1986.
9. Cfr. H. Arendt, Vita activa, Milano 1989, p. 251.
10. G. Di Domenico, L’idea di recinto, Roma 1998, p. 8 e sgg.
11. Nel senso di conoscenza del mondo edificato dall’uomo. Si veda R. Masiero, Estetica dell’architettura, Bologna 1999, p. 29 e sgg.
12. F.W.J. Schelling, Philosophie der Kunst, in G. Pigafetta-R. Masiero, Arte senza Muse, Milano 1988.
13. M. Heidegger, Costruire abitare pensare, in Saggi e discorsi, a cura di G. Vattimo, Milano 1976-80.
14. E. Severino, Raumgestaltung, in Id., Tecnica e architettura, Milano 2003, p. 87.
15. Cfr. V. Pezza, voce “Vuoto”in Id., Misura e forma del territorio storico, in Id. La costa orientale di Napoli, Milano 2002.
16. Ibidem.
17. Cfr. K. Frampton, Tettonica e architettura, Milano1999.
18. Cfr. M. Cacciari, citato in V. Pezza, voce “Vuoto”in Id., op.cit., 2002.
19. Cfr. E. Palazzotto, Elementi di teoria nel progetto di architettura, Palermo 2002.
20. Cfr. A. Schmarsow, Das Wesen der architektonischen Schöpfung, Leipzig 1894.
21. Cfr. G. Grassi, La costruzione logica dell’architettura, Padova 1967, p. 98 sgg.
22. Cfr. E. Severino, La Filosofia Antica, Milano 1984.
23. L’espressione «architetture certe» è stata proposta da Salvatore Bisogni nell’ambito della ricerca MURST Funzione e senso, 2004.
24. Cfr. R. Caporali, D. Forconi, Miti Greci, Firenze 2002.
25. Cfr. L. Benevolo, Disegno storico dell’architettura religiosa in occidente, in P. Carbonara, Architettura Pratica, vol. III tomo 1°, Torino 1958.
26. Si veda il saggio di P. Grandinetti, Tipi architettonici e regole compositive nell’architettura e nella città antica, IUAV, Venezia 1981.
27. «Estia è una divinità del fuoco come Efesto, ma di un fuoco diverso. Estia governa il fuoco dalla fiamma tranquilla che arde in ogni focolare
domestico, dalla casupola (capanna) al grande palazzo. Estia è anche patrona del focolare pubblico: le città e gli stati non sono altro che fa-
miglie più grandi, che si reggono su uguali principi, primo fra tutti quello della civile concordia. Anche le città greche hanno allora il loro fo-
colare pubblico, il cui fuoco viene custodito in una casa particolare chiamata ‘pritaneo’ o palazzo del consiglio. E nelle varie città, il fuoco,
con tutto il suo contenuto simbolico trasferito dal privato nella società, viene alimentato dai magistrati (più alti) chiamati ‘pritani’. Estia ha un suo
speciale pritaneo anche nella dimora di Zeus, dove arde l’eterno fuoco celeste. Forse proprio da questo fuoco, [...], Prometeo ruba la scintilla
da donare agli uomini sulla Terra», da R. Caporali, D. Forconi, Miti Greci, Firenze 2002.
«Estia è la dea del focolare e sia delle case private e sia dei luoghi pubblici […] inventò l’arte di costruire le case, il simbolo era il braciere che
a Delfi divenne l’ombelico che si supponeva fosse il centro del mondo», da R. Graves, I miti greci, Milano 1963.
28. «La grande Madre in una grotta o in una capanna alimentava il focolare che fu il [...] primo centro sociale. Ecco perché la prima vittima di un
sacrificio pubblico greco veniva sempre offerta a Estia del Focolare. Il bianco simulacro aniconico della dea, il più diffuso dei suoi emblemi,
che troviamo a Delfi come omphalos o ombelico, rappresentava forse, [...], il bianco cumulo di cenere ammucchiato sopra la brace viva che
è il sistema più facile per conservare acceso il fuoco senza fumo», da R. Graves, I miti greci, Milano 1963.
29. Il termine artefatto e la sua relazione con il mondo è di R. Neri, Saggio sulla costruzione. Una ricerca sul ruolo della costruzione nel progetto
di architettura in rapporto a tipologia e decorazione. DRCA IUAV, V Ciclo 1989-1992.
30. Cfr. G.E. Mylonas, Eleusis and the Eleusinian Mysteries, Priceton-London 1961 et F. Noack, Eleusis, die Baugeschichtliche entwicklung des He-
ligturns, Berlin-Leipzig 1927.
31. Cfr. R. Martin, Architettura greca, Milano 1988, p.120.
32. Cfr. A. Renna, Qual è l’architettura del nostro tempo, in Id., L’illusione e i cristalli, Roma 1980.
33. Cfr. C. Martí Arís, Il portico ed il muro come elementi dell’edificio pubblico, in R. Neri, P. Viganò (a cura di), La modernità del classico, Ve-
nezia 2000.
34. Ibidem.
35. Cfr. A. Choisy, Historie de l’architecture, Paris 1899. Su Choisy si veda M. Leushergar, La lezione di Auguste Choisy, in “Parametro”, n. 255,
gennaio-febbraio 2005.
36. Cfr. C. Martí Arís, op.cit., in R. Neri, P. Viganò (a cura di), La modernità del classico, Venezia 2000.
37. Cfr. C. Martí Arís, Le variazioni dell’identità. Il tipo in architettura, Milano 1990.
38. Cfr. C Martí Arís, voce “Tipo”, in AA.VV., Dizionario critico illustrato delle voci più utili all’architetto moderno, diretto da L. Semerani, Venezia
1993.
39. Cfr. R. Neri, Edifici ad Aula, Facoltà di architettura civile-Politecnico di Milano, Milano 2003.
40. Cfr. R. Barthes, Variazioni sulla scrittura, Torino 1996.
41. Cfr. A. Rossi, Introduzione a Boullée, pp.17-18 in E.L. Boullée, Architecture. Essai sur l’art, ed. it. Boullée, Architettura. Saggio sull’arte, Padova
1967.
42. Cfr. K.F. Schinkel, cit. in W. Hegemann, La Berlino di Pietra, 1930.

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43. Sulla distinzione tra pezzi e parti e sulla composizione additiva si veda E. Bonfanti, Elementi e costruzione. Note sull’architettura di Aldo Rossi, cemente organico alla rispondenza intellettuale ad un fine e da questa si approssima all’organico. È stato qui necessario citare questo doppio
in “Controspazio”, n.10, ottobre 1970. punto di partenza dell’architettura, il bisogno vero e proprio e l’autonomia sciolta da ogni rispondenza, perché il vero è dato dall’unione di en-
44. L. Hilberseimer, Hallenbauten, trad. it. a cura di L. Lanini e A. Maglio, introduzione di S. Bisogni, Napoli 1998. trambi i principi. La bella colonna parte dalla forma naturale, che viene poi trasfigurata a sostegno, a forma regolare ed intellettuale».
45. Cfr. S. Bisogni, Introduzione, in L. Hilberseimer, op.cit., Napoli 1998, p. 7 sgg. 80. «Principio è quel che di necessità non deve essere dopo altro […] Ciò che è bello, sia un animale sia ogni altra cosa costituita di parti, deve
46. S. Bisogni, Lectio magistralis per l’inaugurazione dell’anno accademico 2008-2009 del corso di Laurea Magistrale in Architettura, Facoltà di avere non soltanto queste parti ordinate al loro posto, ma anche una grandezza che non sia casuale; il bello infatti sta nella grandezza (mi-
Architettura Napoli settembre 2008. sura) e nell’ordinata disposizione delle parti», Aristotele, La Poetica.
47. Sull’opera di Behrens, si veda A. Moro, Peter Behrens: la ricerca della bellezza, Padova 2010. 81. Cfr. C. van de Ven, Space in Architecture, Assen 1978.
48. C. Norberg-Schulz, L’abitare, Milano 1984. 82. Cfr. S. Di Pasquale, L’arte del costruire, Padova 2000.
49. Ibidem. 83. Si veda il saggio di M. Losasso sulla costruzione della Galleria di Berlino, in “Restauro”, n. 139, 1997.
50. Ibidem. 84. Cfr. K. Waschmann, Una svolta nella costruzione, pref. di G.C. Argan, Milano 1960. Sull’opera di Wachsmann si veda anche: AA.VV.,
51. E. Panofsky, La prospettiva come forma simbolica, Milano 1959, p. 5. Forme e tecniche dell’architettura contemporanea, pref. di P. Buccarelli, catalogo della mostra tenuta alla Galleria di Arte Moderna di Roma -
52. R. Schwarz, Vom bau der Kirche, Würzburg 1938. Valle Giulia 20 marzo-20 luglio 1950, Roma 1959.
53. Cfr. S. Giedion, Architecture you and me, Cambridge 1950. 85. A questo proposito Argan afferma che: «sarebbe un errore supporre che l’intuizione (statica N.d.A.) porti con sé sempre qualcosa di improvvi-
54. Cfr. H.P. Berlage, Amsterdam e Venezia, 1883, in AAVV, Architettura, urbanistica ed estetica, Bologna 1985. sato o di arbitrario, si sottragga ad ogni controllo o disciplina […]; l’intuizione è anch’essa una tecnica della mente umana, […] che si com-
55. Cfr. G. Lukács, Estetica, Torino 1970. pie secondo un processo o un suo metodo; […] si può giungere sino a pensare che l’intuizione rappresenti il superamento dei limiti tradizionali
56. Cfr. A. Monestiroli, op.cit., Milano 1977. del pensiero logico e tenda quindi a sostituirsi ad esso come una logica nuova, comprensiva di un’assai più vasta serie di fenomeni e quindi
57. Cfr. A. Renna, Il progetto, in Id., L’illusione e i cristalli, Roma 1980. risultante da una più complessa e vitale esperienza», in G.C. Argan, Progetto e destino, Milano 1977, p.246.
58. Cfr. A. Monestiroli, Le forme e il tempo, intr. a L. Hiberseimer, Mies van der Rohe, Milano 1984, p. 12. 86. Cfr. H. Focillon, Elogio della mano, in Id., La vita delle forme, Milano 1976.
59. Quatremere de Quincy, voce ‘carattere’ del Dizionario storico di architettura, Mantova 1842. 87. E. Bonfanti, op.cit., pp. 19-28.
Sulla nozione di carattere si veda E. Mantese, voce “carattere” in AA. VV., Dizionario critico illustrato delle voci più utili all’architetto moderno, 88. Si veda R. De Fusco, Segni storia e progetto dell’architettura, Roma-Bari 1983.
diretto da L. Semerani, Venezia 1993 ed inoltre il fondamentale saggio di G. Grassi, Il carattere degli Edifici, in “Casabella”, n.772, Milano 89. Cfr. S. Bisogni, Prefazione, in L. Hilberseimer, op.cit., Napoli 1998.
2004. 90. Citato in M. De Michelis, Heinrich Tessenow, Milano 1991.
60. Citato da M. Caja in Id, Mies van der Rohe: architect as educator. Una mostra e un convegno, in “QA”, Quaderni del Dipartimento di Pro- 91. Si veda, R. Capozzi, La composizione ‘essenziale’ nelle architetture di Hilberseimer, in L. Hilberseimer, Grosstadtbauten e altri scritti di arte e
gettazione dell’Archiettura del Politecnico di Milano, n.14, ottobre 1992. di architettura, a cura di M. Caja, Napoli 2010.
61. Questa espressione a proposito di Mies è usata da Giorgio Grassi nella sua “Introduzione a Hilberseimer”, in L. Hilberseimer, Un’idea di piano, 92. Le Corbusier, Verso un’architettura, 1923, p. 35 e p. XXXVIII.
Padova 1967.
62. «Il disvelamento che governa la tecnica moderna ha il carattere dello Stellen, del ‘richiedere’, nel senso della provocazione. Questa provoca-
zione accade nel fatto che l’energia nascosta nella natura viene messa allo scoperto, ciò che così è messo allo scoperto viene trasformato, il
trasformato immagazzinato e ciò che è immagazzinato viene a sua volta ripartito e il ripartito diviene oggetto di nuove trasformazioni. Mettere
allo scoperto, trasformare, immagazzinare, ripartire, commutare sono i modi del disvelamento», da G. Nardi, Le nuove radici antiche. Saggio
sulla questione delle tecniche esecutive in architettura, Milano 1986, p. 33.
63. Cfr. E. Sicignano, Grandi coperture, Roma 2000.
64. M. Ginzburg, Costruzione e forma in architettura. Il costruttivismo, in AA.VV., Saggi sull’architettura costruttivista, 1924.
65. E.L. Boullée, Architecture. Essai sur l’art. Ed. it., trad. e introd. di A. Rossi, Boullée, Architettura. Saggio sull’arte, Padova 1967.
66. R. Neri, op cit., Milano 2003.
67. Cfr. A. Monestiroli, La metopa e il triglifo. Rapporto tra costruzione e decoro nel progetto di Architettura, Milano 1989, ora in Id., La metopa
e il triglifo, Roma-Bari 2002, et, R. Neri, Saggio sulla costruzione. Una ricerca sul ruolo della costruzione nel progetto di architettura in rap-
porto a tipologia e decorazione. DRCA IUAV, V Ciclo 1989-1992.
68. F. Dal Co, Figures of Architecture and Thought: German Architecture Culture, 1880-1920, New York 1990.
69. Cfr. K. Bötticher, Die Tektonick der Hellenen, Postdam 1844-1852, in W. Hermann, G. Semper, In Search of Architecture, Cambridge 1984,
trad it. Stralci in F. Dal Co, Teorie del moderno. Architettura Germania 1880-1852, Roma-Bari 1985.
70. K. Frampton, Costruzioni pesanti e leggere. Riflessioni sul futuro della forma architettonica, in “Lotus”, n. 99, Milano 1998.
71. Egli infatti scrive: «[…] tutti i modi possibili in cui si poteva usare la pietra per coprire uno spazio sono stati sfruttati, e questi hanno completa-
mente esaurito le possibili applicazioni strutturali di tale materiale. […] Un nuovo sistema di copertura, finora sconosciuto (che naturalmente por-
terà con sé un nuovo mondo di forme artistiche), può fare la sua comparsa soltanto se si adotta un materiale sconosciuto, o piuttosto un materiale
che finora non è stato utilizzato quale principio guida. Dovrà essere un materiale che consenta grandi campate e che presenti un peso minore
ed una resistenza maggiore rispetto alla pietra […] Un materiale di questo tipo è il ferro […] che diverrà la base per il sistema di copertura del
futuro e […] introdurrà nell’architettura l’ultima delle tre forze, vale a dire la resistenza assoluta», da K. Bötticher, The Principles of the Hellenic
and Germanic Way of Building, discorso per la Schikelfest (1846), in W. Hermann, G. Semper, op.cit., p. 158.
72. R. Neri, op.cit., Milano 2003.
73. Cfr. E. Severino, Raumgestaltung, in Id., Tecnica e architettura, Milano 2003, p. 95.
74. «Colui che dissimula una qualsiasi parte della struttura si priva del solo legittimo ornamento dell’architettura. Colui che dissimula un pilastro com-
mette un errore. Colui che fa un falso pilastro commette un delitto», da A. Perret, Contribution a un théorie de l’architecture, 1952.
«È la base stessa dell’architettura se la struttura non è degna di restare in vista (di apparire), l’architetto non ha assolto alla sua missione», da
A. Perret, Le Musée Moderne, in “Museion”, dicembre1929.
75. J.J. P. Oud, in Bauwelt, 1926 tr. It in W. Hegemann, op.cit., p.20.
76. Cfr. A. Monestiroli, op.cit., Napoli 1994.
77. K.F. Schinkel, cit., in W. Hegemann, La Berlino di Pietra, 1930.
78. Cfr. A. Monestiroli, La metopa e il triglifo. Rapporto tra costruzione e decoro nel progetto di Architettura, Milano 1989, et, A. Loos, Ornament
und Verbrechen, tr. it. Ornamento e delitto, in Id., Parole nel vuoto, Milano 1972.
79. Hegel nell’Estetica afferma che la colonna «non ha altra determinazione che quella di sorreggere» e di seguito «ed è grande bellezza dell’ar-
chitettura classica non erigere più colonne di quanto non siano in effetti necessarie per sorreggere una travatura e ciò che su di esso poggia,
le colonne destinate a semplice ornamento, nell’architettura vera e propria non possiedono vera bellezza, per cui la colonna, quando se ne sta
puramente per se stessa, non risponde alla sua vocazione. In tal modo nella colonna l’architettura vera e propria passa da ciò che è sempli-

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GLI EDIFICI AD AULA DI MIES VAN DER ROHE
LA RICERCA DI MIES VAN DER ROHE SULL’AULA vero» per Sant’Agostino) e non banalmente analogica delle tecniche, in un’opera che spinge la struttura alle sue
estreme possibilità, allo stesso modo del Pantheon o della Cupola di Brunelleschi. La verità (alétheia) è ciò che non
è nascosto e la forza delle architetture di Mies sta proprio nel non nascondere, come in Wittgenstein, niente dietro
Nel silenzio del grande spazio sorge non l’anelito a perdersi, ma la speranza di ritrovare se stessi alle cose, nel ricercare continuamente una sintonia profonda con la realtà dell’epoca, una corrispondenza, un’armonia
Rudolf Schwarz1
come adaequatio rei et intellectus (S. Tommaso)10. La tecnica non è un fine ma un mezzo per ottenere le forme ar-
Credo che l’architettura abbia poco a che vedere con la creazione di forme ‘interessanti’ è un arte oggettiva che nasce dallo spirito del tempo
chitettoniche: l’architettura di Mies, nel voler rappresentare l’aspetto artistico come significato in sé (Malevic̆ e Ad Rein-
Mies van der Rohe hardt,) non vuole ricordare niente al di fuori di essa, non vuole essere monumento ma espressione esatta del proprio
tempo (Zeitgeist).
Il grado zero di Mies, il beinahe nichts (quasi niente) delle sue architetture manifesta lo sforzo di pervenire attraverso
l’architettura e le sue semplici ma antichissime regole alla definizione del manufatto, in un processo di continua ridu-
zione delle forme. La perfezione logica dei suoi edifici costruiti, la loro apparente banalità cela un lavoro paziente
su pochi ma essenziali ‘elementa’ non ulteriormente scomponibili che, di volta in volta, sono messi a ‘contrasto’ a par-
Mies sfugge a classificazioni troppo schematiche, a etichette critiche, e rappresenta e ha rappresentato per intere ge- tire da regole e relazioni d’ordine chiaramente espresse. Parlare di contesto nell’opera di Mies risulta improprio, le
nerazioni di architetti lo ‘scheletro nell’armadio’2 con cui misurarsi continuamente. Criticato dagli amanti di un ritorno sue opere non commentano un luogo, non si relazionano ad esso, ma al limite lo determinano. Le architetture di
alle forme del passato e allo stesso tempo frainteso e tradito dagli innovatori a ogni costo, Mies - per il complesso Mies - come nelle parole di San Tommaso - sono «disposizioni libere» in cui è possibile «[...] vivere».
della sua riflessione sui fondamenti della disciplina - costringe a un confronto con la sua ricerca, con la sua idea di In un importante saggio11 sull’opera di Mies, Ignasi de Solà-Morales, richiamando alcune tematiche suprematiste o
architettura (principia), con le sue opere (exempla). Egli viene spesso considerato come ‘l’architetto della tecnica’ o minimaliste, afferma che «parlare di contesto nell’opera di Mies significa introdurre un paradigma concettuale altret-
peggio della tecnologia, riducendo così l’enorme portata del suo contributo alla costruzione del complessivo progetto tanto inadeguato. Le sue opere non sono costruite in relazione al contesto né costituiscono un commento o una mi-
stilistico del Movimento Moderno. Come è stato evidenziato da Antonio Monestiroli3 invece, tra i maestri Mies è forse mesi al luogo in cui si trovano. [...] In Mies l’architettura non è mai un monumento. Non lo è nel senso etimologico
quello che più di ogni altro contribuisce alla costruzione di questo ‘stile’, o meglio, ‘ipotesi stilistica’, di ‘tendenza verso della parola monumento: l’opera che si riferisce ricorda qualcosa al di fuori di se stessa, cioè un fatto, un tempo sto-
lo stile’ (Rogers), conciliando nella sua ricerca le tre principali questioni: il rapporto con la natura, il rapporto con la rico, la collettività, alle origini, i valori civili o morali. L’opera d’arte è autoreferenziale perché comincia e finisce in
tecnica, il rapporto con la storia. se stessa e si spiega solo con la sua materialità, la sua fattualità, la sua evidenza. [...] la sua architettura è autore-
La volontà di misurare e misurarsi con la natura e di renderla conoscibile si traduce in leggi, regole, moduli, misure, ferenziale. Spiega se stessa e fa della sua presenza l’atto primordiale della sua significazione».
in elementi, piani, sostegni di cui Mies si serve per portare alla perfezione, come avrebbe detto Boullée, i suoi edi- L’assolutezza delle architetture miesiane e la loro individualità sono tradotte e spiegate in modo evidente nel famoso
fici. Le sue architetture sono immerse nella natura, ne rappresentano la condizione di intelligibilità, ne selezionano una schizzo di Le Corbusier sulle differenti condizioni posizionali di alcune grandi architetture della storia in rapporto
parte che «ad essa viene sottratta e ad essa deve essere restituita» (Bisogni). Le architetture di Mies rappresentano la quasi di intercambiabilità rispetto alle particolari localizzazioni o collocazioni di esse. Gli edifici ad aula di Mies non
sintesi di una ricerca più ampia che è quella del moderno in architettura, riferendosi al contempo agli esempi della si adattano né si mimetizzano nel contesto, ma si costruiscono come oggetti autonomi e solitari a partire dalle rela-
classicità, della Sala ipostila, del Tempio e della Casa romana. «Assolutamente classico nei principî ma lontano dalle zioni a distanza che essi stabiliscono, trasformano il contesto in luogo dominato e misurato dall’architettura. Nel Kul-
sue forme consuete»4 il suo rapporto con la storia non è affatto nostalgico ma sempre legato alla necessità di espri- turforum di Berlino ad esempio, come nel Campo dei Miracoli a Pisa, i corpi ‘puri’ sono poggiati sul suolo naturale
mere la modernità, l’architettura del proprio tempo, una «nuova e antichissima bellezza». Per Strawinsky infatti «la vera e la qualità dello spazio è determinata dalle relazioni topologiche o ‘prossemiche’ che tali solidi innescano, dalle
tradizione non è testimonianza di un passato ormai concluso, ma forza viva che anima e forma di sé il presente»5, loro tensioni reciproche e dal vuoto che è frapposto tra le cose. Lo spazio tra le cose, tra gli oggetti, si conforma at-
essa va interrogata, va sottoposta a critica per estrarne dei principî razionali. Vi è in Mies la convinzione che solo traverso la natura degli elementi visti come ‘corpi in sé’, il loro disporsi e la loro capacità di attrazione o repulsione
un oblio selettivo delle forme del passato ci consente di progredire, di affermare la nostra identità e di riflettere la no- relativa. Il vuoto è esso stesso un pieno nel quale si situano i vari manufatti, stabilendo un rapporto analogo a quello
stra condizione. Come è intuibile ‘l’oblio selettivo’ non vuol dire dimenticare il passato e le architetture che ci ha la- della ricerca artistica contemporanea dove il fondo del quadro diventa esso stesso progressivamente o alternativa-
sciato, vuole bensì significare la necessità di una selezione consapevole e colta dei riferimenti sui quali costruire la mente figura.
propria arte. Come in Adorno «non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze»6 e «il meglio Le fabbriche di Mies sottendono un’ipotesi di città condivisa con Hilberseimer, dove le architetture civili strutturano non
del nuovo corrisponde a un antico bisogno, le opere autentiche sono allora delle critiche di quelle passate»7. La re- solo parti urbane consolidate ma anche intere porzioni di territorio e di natura. Tali architetture per il loro carattere di
interpretazione delle forme, o meglio dei fondamenti del classico, non è mai banale, è sempre espressiva, spiazzante, perentorietà e finitezza e per la loro dimensione multiscalare riformulano le relazioni d’ordine tra la città, il suo en-
è sempre alla ricerca dei presupposti di quelle forme della loro intima ragione, del ‘che cosa’ (la motivazione pra- troterra e la natura.
tica, il tema) per trovare ‘un come’ (l’esecuzione, il sistema delle scelte, il tipo, gli elementi adottai, il carattere). Apo- Le architetture civili di Mies sviluppano tutte il tema della coincidenza tra edificio pubblico e Aula senza mediazione
ditticamente, in tal senso, Mies afferma che «ogni come è sostenuto da un cosa»8. Mies giudica il ruolo della alcuna. «Il carattere specifico delle sue architetture è la loro grande apertura, che li relaziona direttamente allo spa-
costruzione determinante e al tempo stesso determinato dalle proporzioni e dal senso degli edifici, la costruzione non zio natura e rende possibile osservare e denunciare le attività umane e civili che vi si svolgono senza il tramite di segni
è autonoma, non è la ragione delle forme, l’architettura si realizza attraverso un uso consapevole delle tecniche che architettonici o di parti aggiunte»12. La tendenza all’apertura non impedisce, in alcuni casi, quando il tema e la ra-
sono rese espressive attraverso principî quali la misura e la proporzione: ciò che lo interessa concretamente è in- gion pratica lo richiedono, di costruire dei sistemi di confinamento che selezionano nell’edificio ciò che è giusto mo-
nanzitutto una ‘costruzione chiara’. L’architettura è per Mies, ancora una volta, la Baukust, l’arte del costruire che ini- strare o attraversare e ciò che è giusto celare perché il senso dell’edificio richiede raccoglimento: e non mi riferisco
zia dal modo ‘accurato’ di mettere insieme due mattoni. Il ruolo fondamentale ma subordinato della tecnica in Mies agli elementi tecnici addensati all’interno o sistemati nelle parti basamentali quanto piuttosto alla specialità delle atti-
è sintetizzato chiaramente nelle parole di Hilberseimer per il quale «la tecnica è sempre solo un mezzo dell’architet- vità che attengono al significato e alla destinazione del manufatto. Sono paradigmatici il Ginnasio e la Cappella del-
tura, mai può diventare un fine in sé, […] certo le pure costruzioni tecniche non sono ancora architettura, sebbene l’IIT o il recinto della Convention Hall. Nel ginnasio le gradinate sono serrate all’esterno da un basamento leggermente
anche nei semplici edifici tecnici sia difficile stabilire il confine tra ciò che è formalmente ordinato e ciò che non lo è arretrato dalla parete vetrata in aggetto che lascia intravedere le travi reticolari della copertura. Nella Cappella del-
[…] una costruzione si trasforma in arte sempre e unicamente attraverso misura e proporzione»9 e inoltre «la struttura, l’IIT i lati lunghi sono in mattoni, limitano l’apertura della vetrata di ingresso e celano alla luce l’altare e il presbiterio.
se non è ancora architettura, è lo strumento della sua costruzione e diventa architettura se colui che costruisce com- Nella Convention Hall poi, in particolare, il recinto è l’edificio stesso che solo all’attacco a terra offre una relativa
prende il principio che ordina ogni parte secondo il suo valore». trasparenza. La riduzione operata sugli elementi è connessa linearmente alla riduzione dell’architettura, dell’arte del
Il rapporto con la costruzione per la prima volta trova un’estetica adeguata e rigorosa, ‘vera’ («il bello è la luce del costruire, a pochi principî essenziali. Gli elementi o le parti ricavate da questo processo di selezione estrema fisse-

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ranno il carattere del manufatto. I principî sono di due tipi: spaziali e compositivi. Quelli spaziali diventano la diffe- l’interno della casa verso lo spazio natura. A tal proposito è interessante il confronto con i contemporanei studi di Theo
rente interpretazione del vuoto definibile o come un tetto o come un recinto mentre quelli compositivi si sintetizzano van Doesburg (Ritmo di una danza russa) o di Mondrian. Tuttavia il confronto, le affinità o la presunta derivazione di
in ordine, proporzione e misura. Le forme con le quali questi edifici si costruiscono dall’interno come dall’esterno strutture formali dalle avanguardie figurative vanno attentamente ponderati e non sopravvalutati: il rapporto con le avan-
sono sempre riconoscibili e al tempo stesso adeguate al ruolo e alla ragione di ogni manufatto, per Mies «le nostre guardie può essere costruttivo solo se è filtrato dalle specificità disciplinari ed è tanto più fecondo se temporalmente
strutture utilitarie si trasformeranno in architettura solo quando, soddisfatto il loro scopo, diventeranno strumenti dello limitato alle fasi di rivolgimento stilistico. Le tesi dell’avanguardia vanno ridiscusse sub specie architetturae, pena la
spirito dell’epoca (Zeitwille). Lo scopo [ragione] di un edificio è il suo reale significato. Gli edifici di tutte le epoche gratuità delle forme ‘derivate’ da un loro trasferimento acritico. Non è un caso che Mies abbia negato, anche nel
hanno assolto a dei compiti, a compiti reali. Questi compiti, tuttavia, erano diversi per tipo e carattere. Lo scopo era periodo del Novembergruppe, qualsivoglia influenza da parte degli artisti a lui contemporanei, primo fra tutti Mon-
sempre decisivo per l’edificio. Esso determinava il sacro e il profano»13, il problema del valore è decisivo, «noi dob- drian. L’avanguardia, per sua stessa natura, quando si realizza in opere costruite, perde la sua carica rivoluzionaria
biamo porre nuovi valori»14. e al più, nel migliore dei casi, può generare una nuova tradizione (del moderno). Perché l’ansia di novità in sé non
Mies, dal Teatro di Mannheim alla Biblioteca dell’IIT, sino al Museo di Berlino, adoperando una procedura compo- produce innovazione, cioè avanzamento della conoscenza18.
sitiva di tipo sintattico, produce una profonda erosione/riformulazione del tema dell’edificio pubblico, al pari di Nel Padiglione di Barcellona del 1928 le pareti non sostengono più le lastre del tetto ma, ridotte di spessore, ser-
quanto era avvenuto da parte degli architetti illuministi. Come ricorda Frampton «Analogamente a Viollet le Duc, Mies vono solo a ripartire lo spazio o a cingere gli spazi esterni assieme alle pareti di vetro. Il sostegno della copertura è
considerava il “grande spazio” come la testimonianza definitiva del livello raggiunto da una data civiltà»15. Le aule affidato a una teoria di esilissimi pilastri cruciformi in acciaio cromato, quasi invisibili, anche per la loro lucentezza
di Mies si pongono quindi come nuove architetture civili per rappresentare le società democratiche. Nell’affrontare e riflettenza, ma che in definitiva stanno a punteggiare l’ordine compositivo che legittima e consente il posizionamento
la descrizione degli edifici ad aula di Mies sembra opportuno, ripercorrendone il regesto dei progetti e delle realiz- o lo slittamento delle pareti in marmo che frequentemente non raggiungono il soffitto. Vi è un‘ipotesi di spazio mai
zazioni, segnalare quelle opere, che pur non riguardando strettamente edifici pubblici, ne anticipano alcune soluzioni visto nell’architettura sino ad allora, vi è l’ordine costruttivo-compositivo, vi è il tetto, il recinto semiaperto, vi sono le
sia sul piano linguistico che compositivo. Tale necessità muove dalla convinzione che in tutta l’opera di Mies si possa pareti opache o trasparenti: tutti questi elementi non si sovrappongono mai, le parti dell’edificio si discretizzano, si
rintracciare una coerenza ricorsiva e un’ostinazione davvero impressionante nel continuo riproporsi di alcuni temi. In passa, come direbbe Le Corbusier, dal Plan Paralysé al Plan Libre. Una plan libre ancora più vero e spiazzante di
altri termini, si può affermare che ogni progetto riassume e ‘supera’ i precedenti, spostando sempre più avanti il grado quello di Corbù ma pur sempre vincolato dal sistema cartesiano della costruzione in cui, con le parole di Mies «la
di perfezione delle sue architetture e manifestando una linea di ricerca che nel suo sviluppo avrà, con successivi ac- pianta flessibile e la costruzione chiara non sono separabili l’una dall’altra, […] la struttura è la spina dorsale del-
corgimenti e senza ripensamenti, un approdo assolutamente consistente con le premesse. La meditazione continua e l’insieme senza la quale la pianta non sarebbe libera ma caotica e bloccata»19. Non si dà pianta libera senza vin-
ostinata di Mies sulla precisazione delle soluzioni di dettaglio - da cui l’aforisma ripreso da Flaubert e Warburg «Dio coli, senza disciplina, la libertà non può esistere al di fuori di un ordine regolativo. Il Padiglione, che rimanda all’idea
sta nei particolari» - è confrontabile [della stessa natura] con la ricerca più generale verso definizione degli elementi di casa, è pur tuttavia un edificio pubblico nell’accezione di voler riflettere, rappresentare una istituzione o, in questo
e sui tipi che li devono sintetizzare, in una ‘tensione’ sempre nuova ma sempre profonda verso l’essenza (ousia) delle caso, una nazione. Ancora una volta, come osserva Martí Arís, il «Padiglione di Barcellona può essere descritto
cose. Il lavoro sul dettaglio non è mai slegato né potrebbe esserlo dal sistema generale. Nel progetto, epistemolo- come una piattaforma disposta sopra un basamento, che si chiude mediante un muro di cinta e si copre parzialmente
gicamente, l’approfondimento delle soluzioni del particolare rimette ogni volta in gioco l’equilibrio compositivo ge- mediante un portico. Basamento, recinto e portico sono dunque i principali elementi dell’architettura del Padiglione»20.
nerale: la dote necessaria dell’architetto sta nel prevedere o vincolare la perturbazione prodotta localmente da una Queste tecniche di giustapposizione o accostamento degli elementi verranno riprese in vari progetti di quegli anni
soluzione particolare sull’intero manufatto. Mies governa il particolare verificando e assicurandosi della sua consistenza quali la Casa Tugendhat del 1930, in cui l’articolazione interna per piani e per punti è ricomposta all’esterno con
logica con i principî compositivi che regolano l’intero sistema, un tutto (holos) che non è mai la mera e meccanica volumi stereometrici sovrapposti e affacciati alla natura. Il concorso, ancora degli stessi anni, per un monumento ai
sommatoria delle sue parti. caduti nella Neue Wache di Schinkel, dal significativo titolo “Raum”, con la presenza di un grande vuoto confinato
Le prime opere di Mies risentono del portato del Novembergruppe e di tutta la poetica espressionista. Nel Monu- da pareti in marmo di Tinos con al centro una grande urna dedicata ai morti (Den Toten), preannuncia, a scala ri-
mento a Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg alla perfetta costruzione e tessitura muraria fanno da contrappunto i di- dotta, gli spazi assoluti degli edifici pubblici successivi. Il progetto di una Casa a tre corti del 1934, pur utilizzando
sassamenti e le rientranze dei volumi, come pure nei bellissimi disegni per le torri di Friedrichstrasse dove, nelle il sistema sostegni-pareti, manifesta, nella sua volontà di cingere una porzione ben definita di spazio natura, un at-
facciate poliedriche o curvilinee, si riflette e si giudica la convenzionale città ottocentesca che aveva omologato le teggiamento complementare e inverso a quello della Casa in mattoni. Definito il recinto, la porzione di suolo della
differenze e si era costruita indifferente rispetto alle identità dei luoghi. casa, il problema è articolare i luoghi dell’abitazione in senso gerarchico rispetto a questo suolo. Le tre corti sono
Ludwig Hilberseimer nel suo L’architettura a Berlino negli anni Venti rappresenta in modo chiaro la tensione e gli scon- l’affaccio di differenti parti della casa e di queste solo il soggiorno si apre sia sul grande patio di ingresso sistemato
tri che in quegli anni fecero spaccare il fronte espressionista di Scharoun, Mies, Gropius, Taut contrapponendolo alla a giardino sia su quello retrostante lastricato. Questo è un progetto importante per due aspetti: sotto il profilo distri-
nascente tendenza della Neue Saclickeit (nuova oggettività) attorno alla quale si ritrovarono coloro che saranno i mae- butivo Mies riesce, nell’articolazione delle pareti con funzioni di schermo, a definire e a separare i locali tecnici della
stri riconosciuti del razionalismo architettonico. casa da quello rappresentativo del soggiorno e da quello intimo dell’enorme stanza da letto nascosta dietro una pa-
Gli ‘elementaristi’ - e primo tra tutti Mies - produrranno una selezione ed elementarizzazione delle forme dell’archi- rete di onice o da un dipinto di Braque; è uno dei primi progetti nel quale Mies adotta esplicitamente un sistema di
tettura attraverso le forme della costruzione come nel ‘rasoio di Occam’ in cui, se si deve scegliere tra due spiega- proporzionamento di tipo aureo in cui il lotto e le tre corti sono misurati da un tracciato regolatore molto attento. Le
zioni, di norma si dovrebbe scegliere la più semplice (non la più ovvia) escludendo ciò che è complesso o per meglio varie parti della casa non sono affatto casuali nella loro forma, dimensione e posizione.
dire ‘complicato’16. Come sottolinea Hilberseimer «La necessità di plasmare una massa eterogenea, spesso gigan- La partenza per gli Stati Uniti, nel 1938, segna una svolta nella produzione di Mies: il nuovo mondo gli consente di
tesca di materiali, secondo una legge formale che sia valida per ciascun elemento, comporta una riduzione della esperire realmente le intuizioni che aveva elaborato in Germania, e rappresenterà la maturazione compiuta (Acmè)
forma architettonica all’essenziale, al necessario, al generale, cioè una riduzione alle forme geometriche cubiche, della sua ricerca sull’architettura.
che sono gli elementi fondamentali di ogni architettura. E qui assume tanto maggior rilievo quella che è la qualità es- Il Museo per una piccola città del 1942, elaborato su invito della rivista “Architectural Forum”, rappresenta in tal senso
senziale dell’architettura: il senso dei volumi e delle loro proporzioni, la capacità organizzativa. Plasmare grandi uno snodo importante. Infatti, in questo progetto, Mies adotta un sistema di piani in successione e di piedritti dispo-
masse secondo una legge generale, dominando la molteplicità, è ciò che Nietzsche intende per stile. Il caso gene- sti secondo maglie quadrate in cui alla grande e sottile copertura rettangolare continua - che presenta una piccola
rale, la legge sono venerati e posti in primo piano, l’eccezione invece è messa da parte, la sfumatura cancellata, corte aperta per due lati alla natura - fanno riscontro due patii semichiusi disposti sui lati corti. Al di sotto del tetto,
trionfa la misura, il caos è costretto a diventare forma, una forma logica, inequivocabile, che è matematica e legge»17. che si prolunga sino a lambire uno dei patii, trovano posto forme libere che contengono i vari padiglioni, un piccolo
È con il progetto della Casa in mattoni del 1923 che Mies, mutuando ricerche De Stijl, si allontana dai suoi ‘neces- auditorium, e la parte espositiva definita da pareti slittate. Significativamente la planarità del tetto viene interrotta da
sari’ e ‘mai sopiti’ esordi espressionisti, approdando a un’elementarizzazione, a un neoplasticismo scarno fatto di piani due travi reticolari estradossate necessarie per assorbire l’amplificazione dei moduli strutturali in corrispondenza del-
e di pareti in mattoni di varie lunghezze variamente disposte che si prolungano da un centro, quasi a voler proiettare l’auditorium. Questa variazione, anche se denuncia e descrive all’esterno una parte eccezionale del manufatto, d’al-

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tro canto manifesta chiaramente la difficoltà di coniugare il reticolo cartesiano omnicomprensivo con la presenza di le tecniche compositive da lui utilizzate in Europa. Nella distinzione tassonomica operata da Carter, come sottolineato
ambienti di dimensioni e ruolo eccezionali. da Carlos Martí Arís, si verifica la coincidenza tra la tipologia strutturale e il tipo architettonico, partendo dal pre-
Il dissidio tra l’Aula e il reticolo modulare-costruttivo viene in parte composto nel progetto, purtroppo non realizzato, supposto che in Mies la scelta costruttiva, una volta irreggimentata da un controllo proporzionale, definisce diretta-
per la Biblioteca del Campus dell’IIT. L’edificio si costruisce attorno all’Aula occupata interamente dai libri (o per me- mente la struttura formale recuperando in modo inedito, attraverso elementi discreti, il rapporto di necessità tra
glio dire allo scrigno dei libri) cui corrisponde in negativo il patio scoperto di analoghe dimensioni. Attorno a tali vuoti organizzazione spaziale e assetto tettonico. Come in Wittgenstein «la forma è la possibilità della struttura»24. La ri-
si accostano le sale di lettura regolate da un sistema di appoggi puntiformi che si iterano longitudinalmente. Nella cerca della semplicità dell’espressione formale e dell’esattezza della costruzione garantiscono la riconoscibilità e la
Biblioteca, l’Aula viene ricavata all’interno di un sistema periferico che non ne consente la ricezione immediata. I ca- condivisione dei valori contenuti nelle sue architetture.
ratteri esterni, distinti sui vari fronti, non la denunciano in maniera univoca. Il sistema costruttivo adottato è sostan- Nell’opera americana di Mies progressivamente si passa, con grande determinazione, dal reticolo discreto dei so-
zialmente iterativo, la modularità organizzativa di 24 piedi è ancora troppo angusta per determinare la possibilità stegni disposti su maglie ordinate, dai piani-parete e dal tetto-lastra a un’ipotesi conformativa ancor più radicale: i
di uno spazio continuo rappresentativo per cui, in corrispondenza dello spazio centrale, i partiti strutturali sono ‘ce- sostegni vengono portati all’esterno, la copertura diviene un piano continuo potenzialmente infinito, l’edificio così è
lati’ da una parete continua. Ciò non toglie che, in generale, la regola metrica e proporzionale rappresentata dalla completamente aperto all’esterno o meglio contiene una sezione ‘particolare’ della natura. L’obiettivo di Mies, in tutti
griglia «pone alla ragione dei limiti, aprendo allo stesso tempo alla libertà la dimensione del possibile». Il reticolo in- questi progetti, è di realizzare con le forme dell’architettura, attraverso le necessarie scelte costruttive, ancora una volta
fatti non impedisce, attraverso opportuni accorgimenti scalari, di assorbire l’eccezionalità delle parti rappresentative l’idea archetipica di ‘spazio universale’, cioè di uno spazio a-dimensionale o per meglio dire multiscalare quasi privo
che possono trovare una loro chiara distinzione e individualità all’interno del manufatto. di massa, completamente aperto e attraversato dalla natura o dai contesti urbani in cui questi edifici si collocano, rea-
Caso abbastanza isolato nella produzione di Mies è la Cappella all’IIT (1952) ove, assecondando la necessità di lizzando sub specie architetturae quella ‘vertigine del vuoto’ tanto presente nelle opere di Malevic̆. Queste architet-
proteggere il luogo destinato alla meditazione e alla preghiera, Mies si appunta essenzialmente sulla definizione di ture contengono solo spazio sgombrato in cui si rappresentano le attività umane in cui è possibile «vivere in stato di
un volume parallelepipedo estremamente scarno in cui la soluzione del tetto non è significativa se non come decoro libertà» (Tommaso d’Aquino).
interno. La Cappella di Mies, fin dalla scelta della figura planimetrica affidata a un rettangolo aureo ≈5/8 e del pro- Il primo progetto nel quale si sperimenta in termini astratti lo ‘spazio universale’ è la Concert Hall del 1942, che sem-
porzionamento in alzato secondo il rapporto 1/2, si pone come un vero e proprio teorema compositivo esatto e con- bra isolare, assolutizzandolo, il piccolo teatro contenuto nel Museo per una piccola città. Gli elementi del teatro ven-
ciso, apodittico nelle regole che propone. Come in altri casi, Mies erode profondamente il tema assolutizzandolo ma gono sintetizzati in piani diafani, sospesi nel vuoto e significativamente montati in un famoso collage all’interno della
rendendolo sempre conoscibile e comprensibile. La riduzione all’essenziale, a pochi e semplici elementi, produce ar- fabbrica di aeroplani di Albert Kahn: volendo in questo ‘prestito’ rimandare a successivi approfondimenti il problema
chitetture apparentemente dissacranti della tradizione e delle forme del già noto ma che, a ben vedere, ripropongono costruttivo.
una riflessione sapiente e raffinata, nova sed antiqua, sui principî universali della classicità. In questo piccolo edifi- La Casa Farnsworth del 1945 rappresenta una prima verifica di tali intuizioni: le pareti si addensano in un volume
cio, intriso (come quelli di Schwarz) delle letture e della filosofia di Guardini e così vicino nelle proporzioni generali tecnico, i pilastri dipinti di bianco sono proiettati all’esterno e sostengono sia il pavimento, sollevato dal suolo, che
alla Neue Wache di Schinkel (per il quale Mies come si è detto aveva progettato una bellissima sistemazione a sa- la copertura, la parete vetrata perimetrale non determina volume, la natura è il vero sfondo di questa prima Aula. La
crario), il luogo sacro ‘avviene’ e si ‘manifesta’ all’interno di un unico ambiente indiviso così come era stato agli casa si basa su alcuni principî chiaramente espressi «semplicità di costruzione, chiarezza dei significati tettonici e pu-
esordi del cristianesimo. Il volume in muratura portante, completamente cieco sui lati lunghi, richiede un trattamento rezza del materiale saranno elementi della nuova estetica». È interessante la successione delle piattaforme che dal
molto austero. La Cappella, nelle parole di Mies, «ha un aspetto nobile, è costruita con materiali buoni ed ha buone suolo naturale man mano si artificializzano e si sollevano dal suolo. Si passa così dal primo ripiano di poco solle-
proporzioni. Troppo spesso noi pensiamo all’architettura in termini spettacolari. In questa Cappella non c’e nulla di vato dal prato (scoperto-aperto) alla loggia d’ingresso (coperta-aperta) sino alla casa (coperta-chiusa). Come ha os-
spettacolare […] si voleva che fosse semplice e di fatto è semplice. Nella sua semplicità non è rozza, è invece no- servato Carlos Martí Arís25, la Casa Farnsworth è solo accidentalmente una casa, mentre il Padiglione di Barcellona
bile e nella sua piccolezza è grande: di fatto è monumentale»21. Il rapporto con l’esterno-natura è affidato alla sola è in effetti una casa.
vetrata d’ingresso serrata dai risvolti delle pareti longitudinali, quelle che erano le parti costituenti della Cappella La Casa Caine di quegli stessi anni è forse più ambigua di Casa Farnsworth in quanto presenta file di sostegni sia
sono ridotte a elementi diafani non ulteriormente elidibili ma pur sempre carichi di un’espressività ed evocazione del sui bordi che al centro della copertura. È nel 1950, con la casa 50 x 50 e le sue varianti dimensionali (15x15 e
sacro. «Tutto ormai è compiuto», scompaiono quegli elementi non decisivi alla definizione del tema della chiesa, 18x18 metri), che il tema dell’apertura completa verso l’esterno e della perdita del volume viene messo a punto fa-
come il nartece o il transetto mentre vengono assolutizzati o reinterpretati quelli determinanti. L’assemblea dei fedeli cendo per la prima volta ricorso al quadrato come forma planimetrica. La copertura cassettonata (8 moduli x 8 mo-
e il complesso del presbiterio, con l’altare e il tabernacolo posti su di un podio, hanno come fondale ieratico un sem- duli) è sostenuta da soli 4 pilastri disposti nel centro di ogni lato. Anche qui le pareti tendono a condensarsi in un
plice e candido tendaggio, così colto nel rimandare agli antichi retables o al conopèo posto a schermo del taber- nucleo tecnico e pur tuttavia vi sono due mobili-parete liberi con funzione di schermo al pranzo e al letto.
nacolo, e che al tempo stesso conclude la direzionalità del popolo dei fedeli in un’abside omessa’ intrisa di misticismo, Il progetto non realizzato per la Sede della Bacardi a Cuba (1957), per la consistenza delle elaborazioni/variazioni,
pressoché immateriale nella sua consistenza e per questo più adatta a riflettere l’ascesa al divino e a sorreggerne il sondando differenti se non opposte soluzioni costruttive e figurali, rappresenta nella sua forma definitiva la fondazione
simbolo. Le parti accessorie come i confessionali e una piccola sacrestia sono significativamente raggruppati e con- di un nuovo tipo d’Aula a pianta centrale e una nuova sintassi degli elementi messi in gioco. Infatti da una prima so-
densati oltre questo limite invalicabile22. L’altare e la tenda con la croce si possono osservare dall’esterno, così come luzione rettangolare con pilastri sul contorno in corrispondenza dei moduli costruttivi a meno degli angoli, subito scar-
può essere ‘vista’ l’intera assemblea dei fedeli denunciando con tale espediente il tema svolto. tata da Mies, si passa a uno schema quadrato con solo otto appoggi centrati sui lati. Contemporaneamente fu
Lo studio di Peter Carter - aveva collaborato con Mies prima come laureando e poi nel suo studio a partire dal 1958 considerato un numero molto grande di alternative, da quella con due travi estradossate su pianta quadrata o ret-
sino al 1968 - sollecitato dallo stesso Hilberseimer e intitolato: Mies van der Rohe at Work, rappresenta il primo con- tangolare, a quella a portali paralleli sino a una versione molto simile a quella già indagata nella Convention Hall
tributo, quasi esaustivo in termini documentari, dell’opera di Mies successiva alla sua venuta in America nel 1938 in (1953). Anche le soluzioni di appoggio riceveranno una estrema raffinazione da alcune varianti molto espressive: a
qualità di Direttore della Facoltà di Architettura dell’IIT. È un testo importante sia perché è stato redatto a partire dal- mezza luna o a setti binati fino a pilastrature a ombrello incastrate al colmo e incernierate alla base. Preliminarmente,
l’osservazione diretta del modo di lavorare di Mies, sia perché tenta una prima sistematizzazione della sua produ- per la vicinanza del mare e per le condizioni di caldo umido, viene escluso l’uso dell’acciaio e allo stesso tempo l’uso
zione americana utilizzando un metodo descrittivo non di tipo storico-critico ma essenzialmente interpretativo/ non protetto di vetrature continue. Il tema dell’edificio è quello della sede rappresentativa di una grande compagnia
compositivo. Una interpretazione analitica dell’opera più matura del maestro di tipo ‘formale e costruttivo’ e non ba- di liquori che, nelle stesse richieste del committente, doveva contenere uno spazio indiviso libero da ‘ostruzioni’ vi-
nalmente figurativa. La Biblioteca, la Cappella e il Museo, cui si è accennato assieme agli altri progetti che Mies con- sive. Nella Bacardi Mies riprende il tema formale dell’Aula quadrata a cassettoni completamente aperta all’esterno
cepì dopo la sua partenza per gli Stati Uniti, saranno classificati da Carter23 nei tre tipi: High-rise skeleton frame ma con un’importante innovazione: la parete vetrata non è a filo di copertura ma si arretra determinando una sorta
buildings (edifici alti con struttura a scheletro), Low-rise skeleton frame buildings (edifici bassi con struttura a schele- di portico di mediazione. L’individuazione di questo luogo esterno che circonda l’intero edificio (peràs) conferma, se-
tro), e Clear span buildings (edifici con struttura senza appoggi interni), categorie che modificheranno, raffinandole, condo Arís, il carattere periptero delle architetture miesiane26 e il suo referente archetipico del Tempio, ribadito dalla

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relazione tettonica tra le colonne (come egli stesso amava chiamarle) e il fronte del tetto. Tale relazione è analoga, stiti federale) a Des Moines (1960-63), opera ‘manierista’ nella migliore accezione del termine, realizza una difficile
confrontabile, ma a ben vedere non coincidente, con quella che sussiste tra la ripetizione dei triglifi e delle metope, mediazione tra il piccolo Cantor Drive-in (l’ante-fatto) ed il grande Teatro di Mannheim (il fatto), proponendo un avan-
qui omesse, e la testa delle colonne, qui prive dell’echino. La relazione è attinente soprattutto alle corrispondenze pro- zamento di entrambi sia in senso rappresentativo che costruttivo. Anche in questo caso viene riformulato il tema del-
porzionali tra le scansioni del tetto (non più architrave), la sua altezza e le colonne. Le forme, come i materiali, sono l’edificio: la banca, quando diviene istituzione pubblica, non è più uno scrigno impenetrabile e inconoscibile. L’edificio
cambiati: quello che non muta è la necessità di costruire relazioni stabili tra elementi composti secondo una regola pubblico, come nelle torri a piano terra, in tutta la sua estensione è completamente trasparente da terra al soffitto: gli
evidente. I pilastri cruciformi, posti a filo della copertura, sono leggermente rastremati verso l’alto per alloggiare le unici elementi che interrompono tale attraversabilità sono i nuclei marmorei dei montacarichi per l’intera altezza e le
cerniere sferiche che li collegano alla lastra di copertura. Il fronte della copertura è ritmato dalle teste delle travi che due coppie di scale che servono la galleria. In questo caso i monoliti che collegano la parte del piano di ingresso
ribadiscono il modulo organizzativo. A questo proposito si è parlato forse impropriamente di un ‘ordine miesiano’. con il mezzanino degli uffici e con il caveau interrato, nel loro trattamento nobile e nella loro ieraticità dichiarata, ri-
Tale affermazione è imprecisa per due aspetti. In primo luogo l’ordine è qualcosa di normativo che genera un me- mandano in maniera sintetica alla ragione ‘preziosa’ del manufatto. Viene recuperata una relativa centralità del-
todo di composizione fisso; in Mies ogni problema viene continuamente riformulato ancorché ricondotto a un archi- l’edificio a base rettangolare attraverso il ricorso a un rapporto di pianta 2/3 (un quadrato più ½) ottenuto con dei
vio di materiali selezionati e distillati nel tempo attraverso continui affinamenti. In secondo luogo l’ordine determina moduli quadrati 24x16 che mitiga l’eccessiva longitudinalità del Mannheim e mediante l’introduzione di un piano
una struttura formale abbastanza ferrea in cui le variazioni sono minime, gli elementi in gioco e le forme che li de- mezzanino, una sorta di loggiato costruito attorno a una corte interna, già indagato in una versione iniziale per la
vono rappresentare sono fissi; in Mies l’espressione formale invece è sempre condizionata dal materiale e dal ruolo Crown Hall e nell’edificio per la compagnia Bacardi in Messico28 (1957-61), che delimita lo spazio interno realiz-
sintattico dell’elemento riguardo al tutto, non produce né può produrre - a valle - una riproduzione acritica delle forme zando un vuoto centrale a doppia altezza. Inoltre tali rapporti di pianta consentono un uso dei due cavalletti retico-
che egli stesso ha individuato. Paradigmatica in questo senso è la ‘variazione continua’ rappresentata in uno studio lari (come nel Cantor Drive-in) in senso normale agli ingressi contrapposti che (come nel Mannheim) sono serrati da
per i pilastri della Bacardi e poi nel Museo Schäfer in cui al variare del materiale variano sensibilmente le forme, le due setti marmorei che si arretrano rispetto al volume sospeso definito dal mezzanino.
dimensioni e le proporzioni degli elementi indagati, spiegando, come sarà chiaro in seguito, la ragione dell’artico- Dal punto di vista costruttivo, pur lavorando sull’aporia di ordire le travature principali nel senso della maggiore esten-
lazione formale dei sostegni isolati tra la Bacardi e la NNG, tra la Convention Hall e il Padiglione di Toronto. La so- sione al pari del Drive-in, si recupera un’uniforme distribuzione del carico su ogni cavalletto al punto da far ruotare
luzione della copertura 54x54 metri consiste in una piastra nervata in cemento armato precompresso ottenuta anche la direzione di inerzia prevalente sia dei pilastri che dei profilati della reticolare anche per avere sui pilastri
dall’incrocio di travi a sezione variabile scalettate per avere la massima inerzia (flessionale e torsionale) al centro della un profondo effetto chiaroscurale determinato dall’ombra delle ali sull’anima del profilato. Il piano del mezzanino è
piastra e disposte su una griglia di 18 moduli x 18 moduli poggiata in solo 8 punti con due pilastri per lato a inter- in parte sostenuto dai setti continui longitudinali e in parte dai nuclei degli ascensori che svolgono anche una funzione
valli di 5-8-5 moduli. La posizione dei pilastri, come aveva intuito Mies fin dai primi disegni sul comportamento della conformativa orientando il vuoto centrale, cinto dal mezzanino aggrappato alla lastra di copertura dalla sequenza
piastra, è l’ottima per avere momento flettente minimo e deformata minima al centro della piastra, coincide anche con dei montanti verticali di facciata. Il vuoto è perfettamente centrato sulla figura generale e, riducendone l’estensione
rapporti aurei, secondo lo sviluppo intero della successione di Fibonacci27, e rimarrà inalterata in altri progetti che ri- di tre moduli sui lati corti e di cinque su quelli lunghi, risulta avere una proporzione di ≈1/√2 (10 x 14 moduli) che
prenderanno lo stesso schema. La deformata della piastra conseguente a tali condizioni di appoggio è sorprenden- rappresenta un raffinamento della figura principale. Tale rapporto dinamico determina la forma della doppia altezza
temente analoga - per gli stati di equilibrio tensionale interno che si innescano - a quella di una piastra poggiata in centrale per riduzione e allo stesso tempo la figura generale dell’edificio per accrescimento geometrico, in una pro-
maniera continua su tutto il contorno. La deformata assume la caratteristica forma dello sferoide capovolto che sotto- gressione armonica di sorprendete semplicità ed equilibrio. Allo stesso modo il rapporto tra la posizione dei caval-
linea ancora una volta la centralità dell’edificio e dello spazio interno che delimita. letti, il loro interasse e gli sbalzi si fa più esatto: si passa da una proporzione di 1/3 o, considerando il semi-interasse,
L’Aula bianca è poggiata su un blocco basamentale che contiene gli archivi, gli uffici e i locali tecnici. Al piano prin- di 2/3 (come nella Crown Hall e nel Mannheim) a 3/10 o a quella aurea di 3/5 (assumendo il semi-interasse). In
cipale sono collocati i locali di rappresentanza e gli uffici ripartiti dalle consuete pareti variamente disposte ma con- altre parole, proseguendo nella successione di Fibonacci, ci si approssima sempre di più fino all’infinito mantenendo
formi al modulo organizzativo generale di 1x1 metro. Gli unici elementi conformativi interni al piano del podio sono però moduli interi (razionali) al rapporto aureo (irrazionale). Questa proporzione consente di riprodurre poi la stessa
due pareti basse disposte tra loro ‘normalmente’ che stabiliscono una tensione topologica con il setto monolitico degli ratio del vuoto centrale sul fronte, nel rettangolo 1/√2 che si determina tra i due cavalletti misurati in tutta la loro al-
impianti e rimandano ai semi-recinti che definiscono la sistemazione esterna. Ancora una volta questi elementi dia- tezza. La concisione del manufatto, pur essendo direzionato, è estrema, esso non può estendersi indefinitamente. At-
fani risultano fondamentali nel loro disporsi e nella possibilità di essere traguardati dall’esterno per conferire il carat- traverso l’assetto tipologico, l’evidenza del sistema costruttivo, l’estremo e semplice decoro determinato dai due portali
tere conforme all’edificio manifestandone con chiarezza la distinzione e identità tematica. In questo progetto inoltre che dichiarano all’esterno la presenza di uno spazio continuo29, l’edificio recupera all’interno un centro significativo
è interessante notare che l’Aula vera e propria, delimitata dalle vetrate, presenta un controsoffitto che maschera le strut- (l’Aula vera e propria) - pur relazionato all’esterno a vari livelli - intorno a cui gravitano armonicamente le attività che
ture a sezione variabile della copertura, giudicate troppo grevi e discontinue al punto da compromettere l’unitarietà vi si svolgono e vi si rappresentano.
dello spazio continuo sottostante. Nel Chicago Federal Centre (1960) e soprattutto nel Toronto Dominion Centre (1968) si sperimenta un nuovo ine-
Nel 1960 Mies è incaricato di redigere un progetto per un Museo a Schweinfurt in Germania per accogliere la col- dito rapporto tra il tipo ad Aula indagato nei progetti antecedenti con il tipo a torre che aveva subîto parallelamente
lezione Schäfer. Nelle prime versioni del progetto si prevedeva una copertura poggiata su sedici pilastri orditi secondo lo stesso processo di precisazione e semplificazione a partire dal Seagram, a sua volta preceduto dai Lake Shore
una maglia 3x3, tre esterni per lato e quattro al centro, che definivano un volume compatto senza sbalzi laterali. Il Drive Apartaments. La relazione figurale e volumetrica tra le torri e l’Aula produce una serie di combinazioni e va-
Museo al centro presentava una corte interna, anch’essa quadrata, che connetteva il piano di ingresso con quello riazioni posizionali che sottendono una lettura molto profonda della città americana. Mies comprende, come nel
interrato. Tale soluzione, che pure risolveva il programma funzionale, fu giudicata troppo ovvia e poco espressiva: Seagram, che la strada americana non è percepita come lo spazio pubblico della città per due ragioni fondamen-
tal che la soluzione definitiva che Mies propose è del tutto simile al progetto per la Bacardi che giudicava ormai una tali: in primo luogo nella downtown per la sua sezione tipica rispetto agli edifici che la bordano, di norma notevol-
sorta di ‘prototipo’. L’assolutezza di questo spazio può consentire diversi utilizzi, dall’esposizione di opere d’arte alla mente verticalizzati rispetto alla loro impronta a terra, la percezione è tendenzialmente orizzontale, e in secondo
sala per concerti, non intaccando minimamente l’autorità delle forme che propone. A Schweinfurt la struttura invece luogo per la considerazione che la parte dei grattacieli che è fruibile in senso pubblico è essenzialmente quella ba-
di essere in calcestruzzo armato come a Cuba è in acciaio brunito a sezione costante e le colonne, anch’esse in ac- samentale. È proprio nei basamenti, a partire dagli edifici di Sullivan, che si concentrano le attività rappresentative
ciaio, sono composte da due profilati IPE incrociati. Ancora una volta, all’interno dell’Aula, la nervatura del tetto è come la lobby, e non a caso i basamenti vengono investiti del maggiore carattere rappresentativo, soprattutto in ter-
mascherata da un controsoffitto piano, per il passaggio degli impianti e per l’alloggiamento di pennellature acusti- mini decorativi e nell’impiego di materiali nobili.
che, e il basamento è ridotto a un semplice piano di posa lastricato. I problemi tecnici e rappresentativi posti dal Il basamento è una delle parti della classica composizione delle torri di Sullivan che in relazione al fusto (sistema ite-
Museo Schäfer e dalla Bacardi, come si vedrà di seguito, verranno risolti e riformulati a Berlino nella Neue Natio- rativo degli uffici) e al coronamento definiscono il carattere generale dell’edificio alto che cela in sé un prodigio tec-
nalgalerie. nico. La riformulazione sul tipo a torre operata da Mies produce molteplici e importanti innovazioni di senso. Il
Il progetto, sorprendentemente poco indagato, per l’Home Federal Saving and Loan building (Cassa depositi e pre- basamento viene eliminato e sostituito da un portico trasparente dal quale senza mediazioni sorge il fusto che diviene

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un volume stereometrico ritmato dalle membrature del curtain wall che svelano il sistema costruttivo metallico operante ciate - anche in modo compiaciuto - nelle tavole comparative che Mies fa predisporre dal suo studio. Vengono ridi-
all’interno. In luogo del basamento, che accoglieva le attività collettive dell’edificio, Mies propone un piedistallo la- segnati alla stessa scala i tre progetti analoghi per Cuba, Schweinfurt e Berlino, distinti per forma e sistema costrut-
stricato che recupera una proporzione accettabile dell’edificio rispetto alla strada e determina uno spazio di relazione tivo, con l’indicazione in pollici e in metri delle variazioni dimensionali che sottostanno allo stesso principio
esterno che la città americana non aveva. Tale rivoluzione riesce a essere tanto profonda da incidere sui regolamenti proporzionale che lega i vari elementi in modo stabile. La dimensione modulare della griglia varia da 2 a 3,6 metri
edilizi di New York consentendo in cambio dell’arretramento dalla strada maggiori altezze a parità di sedime. e la grandezza del tetto da 54 a 64,80 metri, lo spessore del tetto da 1,50 a 1,80 metri, l’altezza libera interna
Nel Dominion Centre di Toronto, opera realizzata postuma, Mies porta alle estreme conseguenze questa innova- da 7 a 8,40 metri. Le proporzioni degli elementi rimangono fisse, lo spessore della copertura è sempre 1/36 della
zione: il basamento in quanto luogo collettivo si eleva dalla strada e la originaria lobby coperta viene estratta dal luce massima tra gli appoggi ed 1/10 rispetto allo sbalzo (1:1:60), allo stesso modo dello spessore della copertura
basamento dell’edificio e individualizzata in un corpo autonomo ad aula che si compone al di sopra di questo piano rispetto all’altezza della colonna (1:4:67). Va sottolineato che la soluzione costruttiva e formale è la stessa pur essendo
incontaminato con gli edifici a torre. L’Aula non è più isolata come nelle città europee, come a Berlino, ad esempio, differenti i temi affrontati: questo a conferma del fatto che la sola scelta costruttiva non definisce in modo univoco il
in cui il problema dell’irregolarità del lotto viene assorbito dal basamento per consentire l’integrità e assolutezza del- tema, se non intervengono il principio del decoro, che determina il carattere, e un’accentuazione denotativa di al-
l’Aula che nella sua trasparenza dialoga a distanza con altri edifici civili e con la città nel suo complesso. cuni elementi o parti specifici del manufatto.
Nella città americana l’Aula deve rapportarsi con gli altri edifici, pur necessari, che la circondano e principalmente In definitiva si può affermare che ogni edificio pubblico o rappresentativo ha un suo antefatto ‘sperimentale’ ma allo
con le torri per uffici che giacciono in pari grado sul basamento civico separato dal caos e dal traffico delle strade. stesso tempo ‘teorico-astratto’ (conoscitivo) in progetti di scala e di impegno più modesto, soprattutto nei progetti di
L’Aula non può essere un tetto che levita, deve configurasi come un volume autonomo massivo, trasparente ma non case. Il luogo dell’abitazione è pensato in stretto rapporto con la natura. Essa può essere cintata (case a patio), os-
inconsistente, per potersi relazionare alla verticalità dei volumi delle torri che a essa si giustappongono. Il significato servata (case in vetro o torri), o intesa come luogo degli edifici collettivi che ordinano e costruiscono la città. Come
di questa operazione è di grande importanza: l’Aula diventa, come nei disegni di Schinkel, una ‘loggia urbana’ dalla afferma Frank Schulze32, tutti gli antecedenti riconoscibili sono di volta in volta riunificati e perfezionati per definire
quale osservare non tanto gli altri edifici di scala troppo dilatata ma lo spazio pubblico ‘ritrovato’. Il paesaggio ur- quello che Mies chiamava ‘organismo’. L’architettura per Mies «non è un cocktail […] non si inventa ogni lunedì mat-
bano, tendenzialmente informe come nella natura (a-peiron), per essere conoscibile deve essere ricondotto a un or- tina» bensì è frutto di una lunga e paziente ricerca sui fondamenti e di una continua riproposizione, sempre nuova,
dine misurabile, deve essere inquadrato cioè reso ‘idilliaco’ (incorniciato) come in Lukács in cui «l’uomo si contrappone degli stessi elementi. L’atteggiamento conoscitivo di Mies è di tipo deduttivo/induttivo al contempo o se si vuole di
alla natura come potenza autonoma»30. Si tratta di un grande riparo ‘finito’ potenzialmente traforato dal quale os- tipo evolutivo33. Ciò è riconfermato non solo dai disegni comparativi dei suoi edifici ad aula più rappresentativi (nu-
servare la città. Lo ‘spazio universale interno’ dell’Aula ha il suo equivalente nello ‘spazio universale urbano’ del merati e disposti in ordine cronologico) ma soprattutto dal confronto dimensionale sia in pianta che in alzato propo-
piano pubblico31. Tale necessità di costruire una pergola urbana aperta confligge però con l’esigenza di avere una sto da Peter Carter34 tra la casa 50x50 e la Convention Hall di 720x720 piedi per esemplificare la loro intima
copertura continua di notevoli dimensioni. La soluzione tecnica del tetto, nel padiglione di Toronto, pensato come una relazione sia concettuale che formale, nonostante la loro estrema differenza scalare. L’investigazione che Mies opera
piastra nervata del tutto analoga a quella di Berlino ancorché incastrata puntualmente su tutto il contorno, non con- sulle figure elementari del rettangolo (e le sue possibili variazioni proporzionali) e del quadrato è legata a due pro-
sente qui la realizzazione di un sistema di lucernari. Infatti la piastra superiore, qui in lamiera grecata, date le note- cedure compositive complementari: quella ‘gotica’ che utilizza come principio d’ordine generale la ripetizione delle
voli sollecitazioni flettenti, non è più solo compressa ma soggetta a momenti anche negativi e ciò, assieme alle membrature costruttive, esaltata dalla direzionalità dell’impianto (come il ritmo delle travi, le partiture della grandi ve-
necessarie canalizzazioni impiantistiche, impedisce una sua agile foratura all’estradosso. Mies, per risolvere tale pro- trate del Teatro di Mannheim e della Crown Hall), e quella ‘classica’ che lavora su parti finite e autonome non ulte-
blema, porta avanti il discorso della decorazione in modo del tutto analogo, concettualmente, al rapporto tra la strut- riormente scomponibili (come il tetto e la colonna della Neue Nationalgalerie o il recinto della Convention Hall),
tura in acciaio - annegata nel getto protettivo di cemento - delle torri e degli edifici bassi con il sistema di assolutizzata dalla scelta di una pianta centrale35.
‘rappresentazione’ dell’atto della costruzione. Mies decide di sostituire i lucernai con dei diffusori artificiali sospesi La scelta di Mies di concentrarsi su tali figure elementari è tutt’altro che priva di conseguenze. Il rettangolo e il qua-
alla copertura che occupano esattamente i lacunari tra le ali inferiori delle travi. Queste variano significativamente di drato evocano due qualità spaziali nettamente distinte e complementari. Il rettangolo determina, in relazione allo
larghezza ispessendosi verso il centro secondo una progressione costante di 3/2 determinando un’anamorfosi di una squilibrio dimensionale più o meno accentuato delle sue dimensioni, uno spazio comunque direzionato e orientato.
sfera proiettata (prodotta dalla pressione di una sfera su un graticcio) nel piano, congruente con il regime deforma- Il quadrato (caso particolare e matrice/generatore del rettangolo) di contro determina in maniera più sottile dello stesso
tivo. Questi corpi illuminanti realizzano all’interno una sensazione di trasparenza che smaterializza la copertura e la cerchio uno spazio che si relaziona a un centro. Infatti il passaggio dall’ovvietà e naturalità ancestrale del cerchio
riduce all’incrocio delle putrelle divenute fasce opache tra campi di luce, eliminando l’effetto di grevità del tetto a cas- (non misurabile) al rettangolo (il misurabile) e poi al quadrato (la centralità misurabile) è di grande livello logico. Esi-
settoni. Ma l’operazione all’interno dell’Aula non è sufficiente, è necessario trovare una nuova decorazione adeguata stono infiniti al quadrato (∞2 ) rettangoli con infinite proporzioni differenti perché determinati dal rapporto variabile tra
per l’esterno superiore del tetto - la quinta facciata rappresentativa dell’edificio - partendo dalla constatazione che la i lati da ricercare ogni volta in modo opportuno e adeguato, viceversa topologicamente esiste un solo quadrato che
città americana, oltre alla condizione bassa dei basamenti, consente una ricezione simultanea dall’alto dei roof o può solo ampliarsi o contrarsi ma mantiene fisse le sue proporzioni. Il riflesso dell’adozione e selezione di figure qua-
anche degli n-piani di cui sono composte le torri. Il tetto non è più visto solo dal basso ma deve offrire un carattere drangolari è l’utilizzo di un modulo organizzativo ‘cubico’ che le misuri e le proporzioni sia in pianta che in alzato.
distintivo anche dall’alto. Mies a questo punto decide di rivestire, o meglio di tassellare, l’estradosso della copertura I moduli, sia nel caso dei rettangoli che dei quadrati, si possono relazionare alla figura generale o assumendone la
con grandi formelle di vetro bianco a massello non trasparente intervallate da giunti elastici in neoprene che ribadi- ragione proporzionale (Casa Farnsworth, Mannheim, NNG e Convention Hall) o configurandosi come una sua astra-
scono l’organizzazione costruttiva sottostante. Il sotto è analogo al sopra, direbbe Cacciari «esercizio teoretico ma- zione. In quest’ultima accezione rientra il caso del Home Federal Saving and Loan in cui il rettangolo viene ricondotto
xime». Sono tali nobilissime formelle che risolvono una limitazione tecnica in arte a determinare il carattere a misura attraverso moduli quadrati generando un rapporto adimensionale tra numeri interi. Come in Pitagora in cui
rappresentativo dell’Aula conferendogli una forza espressiva addirittura più intensa delle torri che la circondano. il ‘numero’, nel suo senso astratto e indivisibile ma al tempo stesso concreto, determina il tutto: costruisce l’ordinamento
Come si è visto le soluzioni tecniche e i principî spaziali sperimentati a scala ridotta in Casa Farnsworth e nella casa del mondo e di ciò che sembra inattingibile.
50x50 rappresentano il paradigma formale e costruttivo dei grandi edifici collettivi ad aula continua. Dalla Casa Far- L’esigenza di liberare lo spazio interno da sostegni produce, come si è detto, una estroflessione progressiva della mem-
nsworth, costruita sul principio del telaio ripetibile, deriveranno, passando per il Cantor Drive-in del 1946-47 a In- brature costruttive. Le soluzioni costruttive sono prevalentemente di due tipi: il sistema a telai paralleli con travi estra-
dianapolis (nel quale per la prima volta le grandi travi della copertura sono denunciate all’esterno), la Crown Hall, dossate ordito secondo la dimensione trasversale (in alcuni casi in senso longitudinale) e il sistema bidirezionale
il Teatro di Mannheim e l’Home Federal Saving and Loan building. Dalla casa 50x50 discenderanno, attraverso suc- piano nelle sue sub-articolazioni a graticcio di travi o a reticolo spaziale. Le strutture primarie si portano all’esterno
cessive riformulazioni e innovazioni, la sede della Bacardi, il Museo Schäfer e infine il Museo di Berlino con la va- del volume nel caso dei sistemi unidirezionali mentre nel caso dei sistemi bidirezionali a pianta quadrata definiscono,
riazione del padiglione di Toronto. Dalla suggestione spaziale dell’interno ‘continuo’ della Concert Hall deriverà in essi stessi, il limite dell’edificio. Nel primo caso il rapporto tra i pilastri e il sistema descrittivo dei montanti di chiusura,
maniera diretta la Convention Hall. anch’essi con un ruolo strutturale ma di ordine inferiore, si articola a sua volta in due possibilità sintattiche. Nella Crown
Queste strette relazioni tra progetti anche diversi per ruolo, per senso e collocazione vengono riaffermate e denun- Hall il pilastro appartiene al piano della facciata e si distingue dagli altri profilati che ritmano le vetrate per la sua di-

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mensione dilatata e per l’ovvia circostanza di emergere dal terreno presentando una maggiore altezza che supera
il piano della copertura per accogliere la trave parete. Nel Teatro di Mannheim come nel Home Federal Saving and
Loan building viceversa il grande profilato composto del pilastro si distacca dal piano delle vetrate, probabilmente
per determinare un attacco alla travatura reticolare più complesso (doppio pendolo) di quello di una trave a parete
piena, dialogando a terra con la parete marmorea dello zoccolo, arretrata a formare un portico. Il rapporto tra i so-
stegni e la facciata nel caso dei sistemi bidirezionali è anch’esso duplice.
Nella Bacardi o nel Museo di Berlino la perimetrazione è affidata a un sottosistema indipendente ma congruente con
i moduli dell’edificio che definisce le pareti vetrate, mentre i pilastri si distaccano completamente da queste ultime de-
terminando un portico continuo e stabilendo la propria relazione innanzitutto con la copertura. Nella Convention
Hall le membrature costruttive si omogeneizzano con quelle del tetto, definendo i campi da saturare con paramenti
lapidei, realizzano un volume che è poggiato su una teoria di plinti tozzi che ancora una volta determinano un por-
tico basso definito dalle vetrate d’ingresso. La soluzione sintetica dei due sistemi sopra enunciati è rappresentata dal
Padiglione di Toronto. Vengono eliminate i montanti secondari e i sostegni diventano essi stessi membratura e ritmo
recuperando, sia nella forma cruciforme sia nel complesso attacco con la copertura che ridiventa trabeazione, il loro
ruolo di colonne. Come si può agilmente osservare l’utilizzo di componenti preformati prodotti industrialmente (profi-
lati a doppio T) e la loro combinazione impongono la costruzione di una grammatica e il rispetto di definite regole
sintattiche di relazione tra gli elementi. Di volta in volta questi sono composti secondo il loro specifico ruolo gerar-
chico sia in termini costruttivi che espressivi, trasformando in tal modo il ferro in acciaio e il vetro in cristallo.
L’intenzione didascalica di distinguere gli elementi e la possibilità di rendere conoscibile il loro comportamento li af-
francano dalla loro ovvietà costruttiva per farli appartenere a un ordine intellegibile per ritrovare le ragioni essenziali
della loro forma, della loro misura e della loro proporzione. Infine vale la pena di fare alcune considerazioni sull’uti-
lizzo della simmetria bilaterale o polare nelle architetture di Mies. In tutti i casi presi in esame l’assetto simmetrico è
determinato sia dalla figura adottata che dal sistema degli accessi, esso non è mai una pre-condizione formale ma
è sempre desunto dall’organizzazione e dalla disposizione degli elementi, è un punto d’arrivo (e non di partenza) di
un sistema costruttivo e compositivo. Lo stesso Mies, facendo tornare alla memoria le affermazioni di Tessenow sul-
l’uso del tetto a falde, interrogato a proposito afferma «Perché gli edifici non dovrebbero essere simmetrici? […] gli
edifici diventano simmetrici quando è naturale. Ma a parte questo, noi non poniamo il minimo accento sulla simme-
tria»36.

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LA CROWN HALL PRESSO L’IIT DI CHICAGO, 1950-1956 Procedure compositive
Mies considerava questo edificio «La struttura più chiara che abbiamo progettato e che meglio esprime la nostra fi-
losofia». Tale chiarezza è evidente non solo per l’esattezza costruttiva ma soprattutto per la sottile trama di rapporti
Se l’insegnamento ha qualche significato generale è quello di formare e di spingere all’impegno e proporzioni che regolano l’intero edificio. Significativamente tra tutti gli edifici del campus irrigimentati da una ma-
Mies van der Rohe
glia omnipervasiva di 24x24 piedi in orizzontale e di 12 piedi in verticale, la Biblioteca e la Crown Hall sono gli
unici a derogare da tale modulo ordinatore. Tale variazione vuole ribadire il differente ruolo gerarchico assunto da
tali manufatti rispetto a quelli più ripetitivi in cui l’organizzazione spaziale modulare e iterativa non varia.
La Crown Hall, inoltre, pur essendo stata realizzata in una posizione defilata rispetto all’asse di attraversamento prin-
cipale del Campus ne ha spostato la polarità ponendosi come un nuovo centro ordinatore dell’intero complesso. Il
grande rettangolo di base generato da una raffinata ‘duplicazione’ di un rettangolo aureo è tripartito dai grandi telai
paralleli esterni che mitigano, centralizzandolo, il notevole sviluppo longitudinale. Molti critici hanno visto nella Crown
Hall una stretta analogia con l’Altes Museum di Schinkel. Se ciò è condivisibile per le proporzioni generali e per il
Ideazione sistema di ripetizione degli elementi, lo è molto meno per l’impianto tipologico interno. Infatti, a differenza dell’Altes
Si tratta di un edificio destinato alla Scuola di Architettura e design costruito da Mies al termine del suo mandato di Museum, in quest’edificio, che pur presenta una chiara tripartizione, il centro è continuamente sfuggente e difficilmente
direttore della Scuola di Architettura, situato all’interno del Campus dell’IIT progettato con Hilberseimer e realizzato identificabile. I setti marmorei non strutturali contenenti i condotti per gli impianti e la sequenza dei piani verticali, pari
a partire dal 1949. Nella Crown Hall si realizza una rivoluzione non solo linguistica, rispetto agli altri padiglioni uni- a circa la metà dell’altezza complessiva, contenente le coppie di scale e il blocco dei servizi, per la loro posizione
versitari e agli altri progetti coevi, ma soprattutto nella ricerca di un nuovo principio spaziale37 da molto tempo ricercato e distanza reciproca, dilatano progressivamente lo spazio.
e ambito da Mies, ma mai realizzato in modo compiuto e in tali dimensioni. La simmetria di tale disposizione non è il fine ma solo il risultato di un chiaro procedimento logico. Costruendo una
L’edificio propone attraverso questa ‘invenzione’ una nuova e progressiva idea di edificio per lo studio, la ricerca e la fitta sequenza di sovrapposizioni di quinte, in cui ogni elemento è autonomo e fluttuante pur così radicato e giustifi-
trasmissione del sapere. Il grande piano continuo consente molteplici combinazioni dei tavoli per il disegno e le eser- cato nella sua posizione e direzione, Mies non vuole in nessun modo compromettere il principio unificante del piano
citazioni. Mies riformula completamente il tradizionale assetto tipologico fatto di aule singole per le lezioni ex cathe- sottile del tetto e della grande apertura dell’involucro vetrato. Il rivestimento dell’edificio è assolutamente tettonico
dra, servizi e luoghi collettivi, annullando tutte queste sub-articolazioni all’interno dal grande invaso continuo, nella ripetizione dei suoi partiti modulari. Con la prevalenza dei montanti verticali Mies bilancia l’eccessiva oriz-
promuovendo in tal modo l’interazione tra gli allievi e il continuo confronto tra questi ultimi e i professori. Con questo zontalità del volume che viene reso continuo e omogeneo dalla liberazione degli angoli mediante l’arretramento
edificio e la filosofia che esso sottende, Mies anticipa di decenni quello che sarà il sistema pedagogico dei labora- della struttura principale.
tori didattici generalmente adottato per l’insegnamento dell’architettura. Lo studio e l‘applicazione singola o collettiva Il rapporto con il suolo è mediato attraverso la doppia piattaforma simmetrica della scala, con una soluzione certa-
richiedono spazi flessibili ma non intercambiabili. Non è un caso che le esigue partizioni interne determinano con mente meno poetica di Casa Farnsworth, ma forse giustamente più enfatica, dato il ruolo rappresentativo dell’edifi-
grande chiarezza tre grandi parti intercomunicanti: quella centrale con l’ingresso e l’area destinata alle esposizioni col- cio. Nella Crown Hall, nella casa della Baukunst, il caos del contesto urbano e artificializzato viene, per così dire,
lettive permanenti (ciò che è prodotto) e le due aree laterali più luminose per le attività di laboratorio (dove si produce). riportato a un ordine, a una quiete. La città con la quale si confronta è una realtà convulsa che richiede una regola
Le parti destinate alle attività di laboratorio sono opportunamente schermate dall’esterno da vetrate satinate che con- e un principio di costruzione chiari e intellegibili.
sentono una soddisfacente illuminazione diffusa senza tuttavia distrarre le attività degli allievi. La ragione dell’edificio
è sinteticamente rappresentata, come avveniva per i libri nella Biblioteca di Boullée, dalla presenza degli studenti che,
assieme all’esposizione dei loro lavori, divengono i protagonisti di questo grande spazio unitario, di questo enorme
portico/riparo immerso nella natura. Il sapere e la sua trasmissione si autorappresentano in modo chiaro e senza ac-
centi retorici, proprio nell’atto di compiersi in questo involucro ’trasparente’.

Costruzione
L’enorme tetto di 120x220 piedi (36.60x67.30 metri) è sospeso a quattro travi estradossate a parete piena di ac-
ciaio con un profilo ad I ispessito nelle ali in corrispondenza delle sezioni maggiormente sollecitate a momento flet-
tente. A questi cavalletti distanziati di circa 18 metri, attraverso pendenti in acciaio, viene ancorata la struttura del
tetto, composta di travi in metallo ad ali larghe ordite secondo la dimensione trasversale. Questa soluzione spetta-
colare, calcolata da Frank J. Kornacker, che elimina con tali grandi luci ogni sostegno interno, consente la realizza-
zione dello spazio assoluto che Mies ricercava. Qui la costruzione è l’edificio. La parete vetrata perimetrale, lungi
da essere solo una pelle, assolve attraverso dei montanti secondari a una funzione stabilizzante del piano di coper-
tura ancorandolo saldamente al piano seminterrato - significativamente riservato alla scuola di design (opportunamente
sottoposta e subordinata alla scuola di architettura) - avente una struttura intelaiata convenzionale in calcestruzzo ar-
mato che offre una notevole inerzia roto-traslativa. L’impiego dei grandi portali paralleli, mutuati dalla costruzione dei
ponti, resa qui innovativa dall’inversione a-tettonica (solo dall’interno) della posizione delle travi estradossate, è as-
solutamente perfetto dal punto di vista statico. Infatti le travi più estreme, assorbendo il carico dello sbalzo oltre a quello
comune con le travi contigue (area di influenza), si trovano a essere sollecitate nella medesima maniera di quelle cen-
trali sia in termini flessionali che di carichi sui piedritti, soggetti prevalentemente a sforzo assiale e flessionale e non
pressoflessionale o deviato. Questo è uno dei rari casi in cui in una struttura in carpenteria metallica gli elementi por-
tanti non sono dimensionati e unificati su quello più sollecitato, ma sono tutti egualmente ottimizzati. Ancora una volta,
come è evidente dalle foto del cantiere, la vista della struttura senza tamponamenti spiega l’intero manufatto.

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IL TEATRO NAZIONALE DI MANNHEIM, 1952-1953

Ideazione
Il progetto elaborato in occasione di un concorso a inviti rappresenta il culmine di una riflessione sul tema del teatro
che occupa Mies a partire dal progetto ‘teorico’ per la Concert Hall sino al progetto ‘didattico/sperimentale’ per l’au-
ditorium nel Museo per una piccola città. Infatti nel famoso collage per la Concert Hall tutti gli elementi denotativi del
teatro - l’atrio, la cavea, il palcoscenico - appaiono astratti e diafani, vengono quasi sospesi, levitanti nella loro in-
dividualità formale, in quanto figure della composizione, all’interno del grande spazio indiviso grazie alle enormi tra-
vature reticolari della fabbrica Glenn Martin Company di Albert Kahn.
Nel Museo, come si è già anticipato, la parte destinata alle rappresentazioni teatrali e alle conferenze deroga dal
principio modulare a base quadrata proponendo uno scarto dimensionale reso possibile dall’utilizzo di travi estra-
dossate che non interagiscono con le partiture murarie e allo stesso tempo si distinguono dal reticolo discreto dei so-
stegni. Tale ‘Aula prima’ verrà assolutizzata in un altro collage che testimonia un approfondimento successivo in cui
Mies lavora alla precisazione del rapporto topologico tra vari elementi fissi prima individuati, alla loro autonomia for-
male e figurativa e alla possibilità di racchiuderli in un prisma trasparente neutro. Tale involucro nella sua semplice ar-
ticolazione in moduli e scansioni è il necessario contrappunto alla espressività delle forme invocate e per la cavea e
per il sistema di rifrazione del suono che, sospeso al soffitto, riproduce invertita e disarticolata la sezione della platea.
In tal senso è evidente il contrasto tra la regolarità della griglia vetrata, la plasticità della cavea pensata come un grande
vassoio proiettato nel vuoto e ancorato al suolo in un sol punto, i piani slittati del boccascena e il velario del sistema
di diffusione acustica. Nel disegno di sezione che sintetizza questo ulteriore avanzamento nella precisazione del tema
l’attenzione è rivolta più ai rapporti tra i vari elementi e la loro carica relazionale che alla soluzione costruttiva ade-
guata a tale invaso. L’individuazione delle parti distintive e stabili del tipo e delle figure relative consente a Mies di ri-
combinarle in un programma più complesso in occasione del concorso per il doppio teatro di Mannheim. Come nello
studio dell’interno, il prisma vetrato viene sollevato dal suolo e, attraverso le partiture strutturali, si garantisce la sua uni-
formità e finitezza. I due teatri, specchiati rispetto al nucleo centrale del doppio palcoscenico e dei locali tecnici, sono
contenuti in questo volume trasparente e sono misurati dal piano delle gallerie che fissa la loro posizione e misura re-
lativa, al tempo stesso ‘separandoli’, ‘relazionandoli’ e ‘proiettandoli’ all’esterno. L’Aula sospesa risolve poi, come
nello studio citato, il suo rapporto con il suolo attraverso lunghe pareti di notevole spessore rivestite in marmo di Tinos
che opportunamente sono arretrate sui lati lunghi accentuando lo stacco dal suolo e prolungate sui lati corti sottoline-
ando gli ingressi alle due cavee. Viene così scardinata la tipologia tradizionale del teatro in cui la scena e la platea
determinano la forma dell’edificio. Tutti gli elementi rappresentativi (foyer, platee, gallerie, palcoscenici) vengono ri-
concettualizzati, assolutizzati, erosi e poi ricomposti all’interno dell’Aula. I due teatri sono molto differenti sia per de-
stinazione che per senso. Il primo più grande (1.300 posti), per il teatro di prosa e la lirica, sviluppa gli studi precedenti
della grande cavea-vassoio a sbalzo e risulta più vicino al modello del teatro greco che alla tradizione del teatro ot-
tocentesco elisabettiano; il secondo (500 posti), per la musica concertistica, leggermente incassato nel piano della gal-
leria, risulta più convenzionale nella sua conformazione e molto simile alle tipiche sale a ventaglio dei Buoleteria. Le
richieste del bando e in particolare la necessità della doppia sala, la mole dei locali accessori, racchiusi e celati nel
basamento, finiscono per limitare la chiarezza degli studi sul tema del teatro. La presenza della torre scenica e del cor-
poso blocco centrale tra i due palcoscenici compromette la possibilità di cogliere simultaneamente l’intera estensione
dell’Aula limitando fortemente l’idea dello spazio continuo vuoto nel quale sono disposti i vari oggetti - i topoi - deno-
tativi del tema. Probabilmente l’unico elemento che tenta una difficile ricomposizione del tutto è il sistema delle galle-
rie ‘dei passi perduti’ perimetrali che, non a caso, nella pianta di concorso sono evidenziate dal disegno della
pavimentazione lasciando in secondo piano le parti più interne legate alla macchina scenica o ai servizi di supporto.

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Costruzione
La soluzione costruttiva proposta in questo edificio di notevole estensione (160x80 metri) amplifica quella dell’audi-
torium del Museo per una piccola città ma soprattutto, per proporzioni e impegno, quella per il Cantor Drive-in at-
traverso l’iterazione di sette portali in acciaio inossidabile con passi di 24 metri, realizzati con piedritti di grande
spessore tipo HE a lamiere composte e con travature reticolari simmetriche di 8 metri d’altezza ottenute dall’assem-
blaggio di profilati correnti ad ali larghe saldate nei nodi. A tali travature sono sospesi sia il piano di copertura con-
tinuo sia, attraverso gli irrigidimenti forniti dai montanti della parete vetrata, il piano della galleria che sfrutta anche
l’appoggio sui setti perimetrali. Il sistema ripetitivo dei profilati che danno il ritmo alle superfici vetrate nel complesso
della struttura assolvono a due compiti principali: di sostenere lo sbalzo delle gallerie perimetrali controbilanciando
quello interno e di irrigidire l’enorme pilastro ad ali larghe che, pur avendo una considerevole dimensione trasversale,
potrebbe incorrere nel fenomeno dell’instabilità da svergolamento. All’interno della struttura perimetrale principale vi
è una sottostruttura a maglia rettangolare, verosimilmente in cemento armato, che sostiene il primo impalcato, spesso
assorbita e celata all’interno delle partizioni murarie del nucleo ‘opaco’ più interno. Anche in questo caso, come nella
Casa Farnsworth o nella Crown Hall, la distribuzione dei portali è centrata rispetto all’estensione longitudinale la-
sciando a sbalzo le parti estreme della copertura al fine di ripartire uniformemente il carico della lastra di copertura
a tutte le travature, trasferendo in tal modo ai pilastri un carico verticale perfettamente centrato. Il riferimento tecnico
di questo tipo di costruzione, ancora una volta, è più vicino alle costruzioni navali o dei grandi ponti a travature re-
ticolari sospese che ai convenzionali edifici industriali in acciaio. Il particolare attacco a doppio pendolo tra le travi
reticolari e i pilastri esterni risolve egregiamente il problema degli sforzi di taglio ed evita l’antinomia dell’appoggio
semplice sui sostegni denunciando il comportamento a telaio iperstatico. Completamente differente è la soluzione co-
struttiva della cavea grande: si tratta di una grande trave a mensola relativamente sottile, presumibilmente in cemento
armato, incastrata al piede lungo una superficie curvilinea corrispondente alla fossa per l’orchestra, che sfrutta util-
mente le rigidezze per forma derivate dal profilo a doppia curvatura.

Procedure compositive
L’intero edificio è definito dalla contrapposizione tra la ricorrenza degli elementi tettonici discreti (struttura di coper-
tura) e di chiusura (vetrate e moduli di facciata) e le relazioni che essi consentono tra gli elementi continui ed ecce-
zionali come le cavee, le pareti basamento, le pareti quinte del boccascena. Si produce ancora una volta la dialettica
tra il continuo e il discreto, tra la ripetizione e la singolarità. La scelta della forma planimetrica piuttosto allungata nel
rapporto di ½ , la disposizione degli elementi, il ritmo delle membrature, la collocazione degli oggetti plastici ten-
dono a enfatizzare senza tentare improbabili mediazioni questo rapporto di necessarietà e di interdipendenza. Il tea-
tro è costruito per strati compositivi differenti. La parte basamentale di 4 metri (¼ dell’intera altezza) mostra un
consistente e articolato apparato distributivo governato dal sotto-modulo della struttura secondaria e serrato dai lun-
ghi setti perimetrali. Il piano della galleria di 12 metri pari ai ¾ dell’altezza viene eroso dalla presenza delle cavee
e si apre come un mezzanino in corrispondenza del foyer. È proprio il grande foyer di ingresso che ha la forma di
un rettangolo aureo a mettere in scena tutti gli strati e i modi compositivi dell’edificio. Esso infatti è l’unico ambiente
che riunifica l’intera altezza dell’edificio contenendo anche l’irruzione del vassoio della platea grande protesa nel
vuoto. Per dirla con le parole di Mies «il grande teatro sporge fuori dalla sua base di cemento come una mano dal
polso». All’esterno vi è la giustapposizione di articolazioni volumetriche autonome sia per carattere che per ruolo sin-
tattico. Sul basamento, quasi inaccessibile, viene poggiata l’enorme ‘massa apparente’ dell’Aula, una ‘grande teca’
completamente vetrata, sormontata dalle grandi costole delle travi parete che attenua con le partiture verticali tra i
piani sottili della copertura e della galleria l’eccessiva orizzontalità del manufatto.

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LA CONVENTION HALL DI CHICAGO, 1953-1954

Ideazione
Il progetto per La Convention Hall ebbe origine all’interno di un più ampio piano di rinnovamento urbano (South Side
Planing Board) in cui era previsto un edificio polifunzionale per convention politiche, manifestazioni sportive, spetta-
coli musicali, o esposizioni capace di ospitare 50.000 persone. La scala dell’intervento e la flessibilità del pro-
gramma funzionale spinsero Mies a immaginare un grande spazio quadrato di 720x720 piedi (circa 216 metri),
circondato da gradinate continue, completamente libero da appoggi interni. Gli studi preliminari scartano soluzioni
con coperture a volta o con archi a tre cerniere perché avrebbero comportato notevoli altezze con una grande quan-
tità di spazio inutilizzato.
La soluzione, che verrà approfondita in una serie di varianti successive, sviluppa il tema del grande spazio continuo
sollevato dal suolo avente copertura piana reticolare a doppia orditura. I primissimi modelli mostrano varie soluzioni
costruttive per raccordare l’enorme copertura a pochi sostegni disposti sul perimetro mutuando alcuni studi prodotti
da Mies per la Palestra del campus dell’IIT.
Come afferma Arthur Drexler «La Convention Hall è la più monumentale immagine che l’architettura del XX secolo
abbia prodotto fino ad ora»38. In questo enorme invaso viene in qualche modo riprodotto un vero e proprio micro-
cosmo o come amava dire Mies «un’aula di questa dimensione non dipende dal suo ambiente, crea il suo ambiente».
Questo forse spiega la schematicità del progetto a scala urbana che riprende le direttrici del piano redatto nel 1909
da Daniel Burnham con l’indicazione sommaria di altri quattro volumi accessori disposti simmetricamente e di un
grande vuoto antistante di dimensione equivalente all’Aula destinato a parcheggio. Il progetto inventa un nuovo tipo
edilizio, quello del grande spazio flessibile per manifestazioni di massa, che avrà poi tanta fortuna in America con
i Drome, gli stadi coperti, gli edifici fieristici o grandi manufatti per la distribuzione commerciale. È un edificio-mondo,
pensato come una piccola città completamente auto-sufficiente, connesso ai grandi sistemi infrastrutturali sotterranei
e dotato, al suo interno, di vari servizi accessori quali ristoranti, servizi per il pubblico, aree espositive e capace, con
pochi adattamenti, di accogliere eventi di qualunque genere accomunati solo dalla presenza ‘volontaria e organiz-
zata’ di un gran numero di persone.
Il famoso collage fatto predisporre da Mies ai suoi studenti esemplifica uno dei possibili utilizzi di tale aula/città mo-
strando una folla densa assiepata sulle gradinate perimetrali e sul parterre che in qualche modo viene protetta dal-
l’enorme parete di marmo di Tinos che avvolge l’intero edificio. L’Aula è ancora una volta interpretata come un luogo
di riunione, del raduno, confermando il legame antico dell’Aula con i Theatra. Come ha sottolineato Antonio Mone-
stiroli39 la perentorietà di questo paramento continuo - ancorché sospeso - fissa il carattere dell’edificio sottolineando
ancor di più con le forme dell’architettura la ragione tematica: l’idea della riunione di grandi folle all’interno di un re-
cinto protetto.
Ancora una volta Mies produce un avanzamento del tema o una sua re-invenzione sempre con un riferimento sottile,
in filigrana, con i grandi archetipi della classicità. Si pensi alla stretta relazione non solo formale ma anche analo-
gica con il Telesterion di Eleusi dove la grande Aula coperta viene ricavata sezionando il banco calcareo a cui sono
addossate le gradinate, volendo in qualche modo proteggere e preservare l’atto stesso del riunirsi. Tale riferimento è
supportato da un viaggio in Grecia di Mies nel 1951. La soluzione costruttiva della copertura in questo caso viene
posta in secondo piano, quasi mascherata. L’edificio è un tutt’uno, le parti anche se chiaramente identificabili non si
possono disgiungere: prevale il grande volume chiuso, lo scrigno, simile per senso alle grandi mura di città. Il muro
rappresenta la necessaria separazione da un esterno informe per ricreare un vuoto denso di leggi «in cui non ci si
può muovere a caso, ma conformemente alla struttura geometrica, ossia a un ordine che viene percepito come as-
soluto e immutabile»40.

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Costruzione
Gli studi e le soluzioni costruttive per la Convention Hall mostrano un continuo e serrato confronto con le contempo-
ranee ricerche di Wachsmann - che dopo la collaborazione con Gropius si era trasferito all’IIT diretto da Mies - sulle
strutture reticolari spaziali che Mies non prediligeva preferendo quelle a parete piena. I numerosi disegni preliminari
rappresentano una semplificazione e riduzione delle infinite possibilità combinatorie e geometriche di tali tecniche in-
novative. La struttura è concepita come un unico involucro modulato su una maglia quadrata di 9,14 metri (30 piedi)
che regola, sia in pianta che in alzato (modulo cubico), la posizione e la proporzione delle membrature costruttive.
La grande copertura, il cui spessore coincide con un modulo, poggia ed è parte essa stessa del grande paramento
murario corrispondente alla misura di tre moduli (27,42 metri). Lo schema statico di riferimento è quello di un gratic-
cio di travi reticolari in acciaio bidirezionali a base quadrata incastrato su tutto il contorno rappresentato dalle quat-
tro pareti perimetrali che, opportunamente controventate lungo le direttrici di maggiore sollecitazione, trasferiscono
l’intero carico a un peribolo di 24 sostegni tronco-conici alti 6 metri disposti ogni tre moduli, lasciando liberi, in que-
sto caso, i quattro vertici per due moduli. Per bilanciare il trasferimento di carico sugli appoggi puntiformi, la parete
esterna risvolta all’interno ancora per un modulo determinando un portico perimetrale a sbalzo che viene sorretto da
cavi d’acciaio ancorati alle travature di copertura. Tale accorgimento, oltre a determinare un arretramento delle ve-
trate d’ingresso, rappresenta al piano d’appoggio un’utile cerchiatura che irrigidisce orizzontalmente l’intero sistema.
Sia le travature reticolari che le controventature verticali sono previste in profilati normali in acciaio di tipo HE mentre
gli appoggi sono in cemento armato anche se vi è una soluzione in cui i pilastri sono ottenuti mediante l’assemblag-
gio di profilati in acciaio. Il piano d’ingresso, le gradinate e la grande piattaforma centrale sono in cemento armato
su una teoria di pilastri anch’essi in cemento armato disposti secondo la maglia generale di 9.75x9.75 disposta in
modo anulare su tutto il contorno. Alcuni disegni mostrano una successione di variazioni sulla posizione più ade-
guata sia delle controventature sia del passo dei pilastri, mentre altri studi si occupano dell’opportuno ispessimento
delle ali delle travi di copertura in relazione alle zone maggiormente sollecitate. La soluzione costruttiva nei suoi vari
sviluppi ha sinteticamente chiarito ed esaltato il principio compositivo generale evitando eccessive esibizioni tecno-
logiche presenti nei primissimi studi che utilizzavano un modulo rettangolare e appoggi a mensola con pilastri rami-
ficati che avrebbero potuto compromettere, in quanto troppo espressivi, l’unità complessiva.

Procedure compositive
La scelta di una pianta centrale quadrata determina in gran parte le scelte compositive dell’intero organismo: dalla
collocazione degli ingressi, alla forma delle gradinate, alla misura opportuna del grande piano lastricato più basso.
All’adozione della maglia omnipervasiva e riduttiva a base quadrata, che fissa sia in pianta che in alzato le pro-
porzioni del manufatto, fa da contrappunto la continuità del grande paramento murario che, al tempo stesso, assorbe
e denuncia la sub-articolazione modulare generativa. Il problema compositivo fondamentale rimane quello di trovare
la giusta proporzione tra queste due masse così diverse per carattere e ruolo. Il piano di ingresso di circa 6 metri è
sensibilmente più basso del modulo che misura il recinto perché deve esaltare la proporzione tozza dei pilastri ra-
stremati ritrovando, nel portico perimetrale, un rapporto più adeguato alla scala umana. La grande massa lapidea
tripartita, che in alcune varianti è proposta con pannelli microforati in alluminio di due tonalità, viene significativamente
staccata dal suolo realizzando un portico di mediazione che drammatizza ancor di più questo effetto di leggerezza
amplificato dalle vetrate continue degli ingressi. Le due soluzioni proposte per il tamponamento della struttura peri-
metrale determinano altrettanti caratteri architettonici per l’edificio. La soluzione in lastre di marmo (18 per ogni mo-
dulo) lavora su un principio di uniformità che dissolve la separazione tra il paramento e la fascia di copertura. La
variante metallica, viceversa, sottolinea la tripartizione del manufatto in fasce sovrapposte restituendo un’immagine
di tessitura graticciata a losanghe (triangoli isosceli 2/4) che, a spese del paramento, dà risalto per densità di trama
e varietà chiaroscurale al coronamento.

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LA NEUE NATIONALGALERIE DI BERLINO, 1962-1968 la sua opera più discussa, la più amata e odiata al tempo stesso, rappresenta il suo ‘canto del cigno’, nonché la summa
del suo modo di intendere l’architettura. La forza di quest’opera sta nell’essere sintetica di una ricerca - che è quella del
moderno in architettura - riscontrando il riferimento ai temi della classicità, della Sala ipostila, del Tempio e della Casa
romana o, in maniera equivalente, alle architetture di Schinkel che di queste sono una prima sintesi.

Costruzione
La scelta di costruire un enorme tetto quadrato sostenuto in maniera discreta su soli otto appoggi determina la necessità
di trovare la corretta disposizione di tali sostegni sia dal punto di vista statico per ottimizzare le deformazioni e sia
dal punto di vista delle proporzioni che le campate dovevano assumere in rapporto allo spessore della copertura. La
copertura, calcolata da Roger Dienst, consiste in una piastra ortotropa nervata di 180 cm di spessore (1/36 della
luce libera) strutturata su 18x18 moduli e che misura 64,80x64,80 metri. Il modulo-base dell’intera costruzione, sia
in pianta che in alzato, è di 1,20x1,20 metri. Il tetto in acciaio Krupp, montato a piè d’opera per parti compiute
Ideazione pre-assemblate (con saldature continue a completo ripristino) e sollevato da otto martinetti idraulici fino alla quota di
Nel 1962 la municipalità di Berlino affida a Mies van der Rohe l’incarico di redigere un progetto per la costruzione 8,40 metri, pesa circa 1.280 tonnellate. Queste cifre danno conto dell’importanza e dell’eccezionalità di que-
di una Galleria del XX secolo (Neue Nationalgalerie) da costruirsi in un’area devastata dai bombardamenti dell’ul- st’opera, tenendo presente anche che a tutt’oggi non è stata costruita una copertura con tale luce libera e con simili
tima guerra, e dove collocare, in base a un piano urbanistico di Scharoun, una serie di edifici rappresentativi della condizioni d’appoggio. L’enorme copertura poggia su soli otto pilastri ed è levitante al pari della sezione ideale
città e dell’intera Germania dell’ovest: il Museo suddetto, la nuova Biblioteca di Stato, la nuova Filarmonica. Il nuovo della trave rappresentata nella scienza delle costruzioni solo dalle ali del profilato a doppio T, senza l’anima che in
Kulturforum di Berlino voleva proporsi come antipolo del centro neoclassico realizzato da Schinkel. L’incarico a Mies realtà serve a connetterle. I pilastri sono disposti secondo la sequenza 5-8-5 che risulta essere l’ottima per avere mo-
è dato senza limiti di spesa. Il Museo è il centro di un luogo ‘naturale aperto’ di grande valore urbano e civile, un mento flettente minimo e deformata minima al centro della piastra, sequenza che coincide anche con rapporti aurei
luogo da ricomprendere e riordinare secondo rapporti a distanza, differente dalle trame urbane ordinate dal tessuto sia in pianta che in alzato, verificando una corrispondenza tra gli aspetti compositivi e proporzionali e quelli statico-
residenziale che attorniano la Convention Hall di Chicago. Nel Museo di Berlino l’ideazione41 vuole ‘vedere’, con costruttivi. I pilastri - o meglio le colonne come li chiamava Mies - ottenuti dall’intersezione di due profilati a doppio
gli occhi della mente, la ragione prima dell’edificio e proporre una nuova ipotesi di spazio e di museo ribaltando T, sono leggermente rastremati verso l’alto per accogliere su una piastra cruciforme la cerniera sferica che li connette
completamente i modi con i quali tale manufatto era stato concepito dalla cultura ottocentesca ovvero come manu- alla copertura. È una procedura tettonicamente inversa a quella della colonna dorica nel senso che all’allargamento
fatto che custodiva ma al tempo stesso celava il sapere (in quanto arte) e la cultura. Vengono superate di colpo l’or- dell’echino e del dado si sostituisce l’appoggio puntiforme per sottolineare l’autonomia e la sospensione del tetto, pe-
ganizzazione convenzionale del Museo con il sistema atrio, quadrerie e successioni di sale, come codificato negli raltro già evidente grazie alla liberazione degli angoli con gli sbalzi. L’erosione o reductio (nel senso di Husserl) delle
schemi combinatori di Durand dai quali non fu immune lo stesso Schinkel nell’Altes Museum, ma anche le contem- forme del classico, la loro riconcettualizzazione, produce una nuova modanatura, una legge formale (nomos) ade-
poranee ricerche di Le Corbusier o di Wright sul museo-percorso, puntando invece a ricomprendere e a rinnovare guata alle tecniche e che contiene in sé il suo referente archetipico. È da segnalare che la simmetria della pianta e
l’idea di luogo della memoria e della ‘riconoscenza pubblica’ di Boullée. Tale scelta ideativa e di senso diviene su- la simmetria degli appoggi, oltre a consentirne un calcolo semplificato altrimenti notevolmente oneroso per gli ela-
bito scelta architettonica: l’Aula, il grande spazio rappresentativo unitario. Questo spazio continuo - ‘spazio univer- boratori allora a disposizione, determina in modo univoco una uniforme ripartizione dei carichi sulle colonne che sop-
sale’ - rappresenta la natura e anche il luogo delle Muse, della ‘memoria’, il luogo che custodisce ed espone le portano, anche se in regime iperstatico, esattamente 1/8 del carico complessivo. A sottolineare il comportamento
opere dell’ingegno umano ampliandone la conoscenza e la comprensione del mondo. L’idea di questo spazio uni- della piastra, all’interno dei cassettoni al disotto della lamiera di chiusura delle anime delle travi che risulta essere a
versale è particolarmente evidente nell’unico schizzo di Mies per Berlino, spesso erroneamente scambiato per un sua volta una piastra compressa, vengono saldati alcuni profili piatti (ribs) nelle due direzioni che si infittiscono nella
progetto di Concert Hall, in cui sinteticamente si concentra l’ideazione del manufatto e vengono individuati la forma parte centrale per garantire maggiore rigidezza flessionale nella parte più sollecitata. Inoltre l’intero graticcio delle
dell’edificio, il tetto, il sistema che lo sostiene e lo spazio ‘inesprimibile’, analogo della natura, denso dei valori che travi viene serrato sui bordi da travi maggiorate e inspessite in prossimità agli appoggi riducendo in tal modo le per-
contiene. Quello scarno disegno contiene simultaneamente: il tema, la costruzione, l’evocazione. La struttura e la turbazioni indotte dalle reazioni vincolari e consentendo una deformata complessiva nel piano della piastra corri-
forma generali sono stabili, gli usi interni sono variabili nel tempo, addirittura inesprimibili - come nello schizzo - nella spondente a una sezione sferica42 come è chiaramente verificabile dalla distribuzione circolare delle acque meteoriche
loro condizione mutevole. Nel Museo vi è un‘ipotesi di ‘forma dello spazio’ mai raggiunta nell’architettura sino ad sull’estradosso di copertura. Il fronte del tetto è ritmato e decorato dalle teste delle travi che ribadiscono il modulo or-
allora, vi è l’ordine costruttivo-compositivo, vi è il tetto, vi sono le pareti opache o trasparenti. Il tetto, in particolare, ganizzativo del graticcio. È da notare che la struttura dell’Aula risulta chiaramente leggibile anche a livello inferiore
domina l’intera composizione e determina uno spazio diafano nel quale i vari elementi architettonici, le pareti, le ve- pur non essendo denunciata, è ‘centrata’ e indipendente rispetto ai moduli dei pilastri. Il podio su quale è posto il
trate, nelle rispettive relazioni topologiche e prossemiche, sono oggetti autonomi, abitatori dello spazio che però ren- Museo è realizzato attraverso una maglia omnicomprensiva (7,20x7,20) di pilastri in cemento armato con solaio in
dono conoscibile il vuoto inteso come assenza, come ciò che consente l’apertura. La grande copertura, da sola, soletta strutturale.
conferisce dignità all’interno ‘radunato’ che copre la sua semplice proiezione a terra e segna il passaggio liminare,
denso di carica espressiva, da un esterno urbano ad un luogo civile. Procedure compositive
Le primissime soluzioni per il Museo, di cui si conservano pochi disegni e un plastico, configurano due versioni princi- La fabbrica sintetizza e contiene tutte le architetture di Mies, tutti i suoi modi di comporre. L’edificio risulta dalla giu-
pali: la prima riguarda un’Aula quadrata coperta da una piastra nervata in cemento armato precompresso di 20x20 stapposizione di due parti distinte: lo spalto concepito come un volume compatto di tipo stereotomico, che risolve la
moduli (XX secolo?) sostenuta da un colossale pilastro centrale a sezione variabile; la seconda di pianta rettangolare ri- relazione con il lotto e più in generale con il sito e l’Aula a sua volta composta di parti ed elementi distinti quali la co-
propone per così dire una trance della Crown Hall o del Teatro di Mannheim con l’introduzione di un portico perime- pertura, i pilastri e la parete vetrata che confermano però, nelle loro partizione, l’assetto tettonico e sintattico. Il crepi-
trale e una copertura sorretta da sei pilastri che, attraverso tre telai paralleli con travi-parete, sostengono la soletta doma, in senso classico, ha il ruolo di distinguere l’edificio dal contesto, di rimarcare la sua alterità e intangibilità
cassettonata. Rapidamente queste due iniziali ipotesi sono scartate e Mies ritorna (com’era suo solito) alle soluzioni spe- adeguate al suo ruolo. Il podio in granito, di altezza differente data l’acclività del sito, misura circa 105x110 metri e
rimentate nella Bacardi e nel Museo Schäfer, riuscendo in definitiva a sintetizzarle e superarle mirabilmente. Del primo consta di due quadrati traslati e sfalsati in corrispondenza delle scale d’accesso con l’aggiunta di un rettangolo 80x20
riprende il basamento nel quale alloggiare le collezioni permanenti del museo e del secondo la struttura a sezione co- che contiene un patio per le sculture. Osservando la pianta del piano posto a quota -4,00 metri dal calpestio dell’Aula
stante in acciaio, forse il materiale più idoneo a rappresentare l’era tecnica. La Neue Nationalgalerie, l’ultima opera e collegato per mezzo di due scale simmetriche in acciaio, si può notare, a meno dell’ala degli uffici, una perfetta
realizzata da Mies, esemplifica una ricerca ostinata durata alcuni decenni sui fondamenti dell’architettura come arte. È simmetria distributiva, organizzata sul modulo di 7,20x7,20 metri con pilastri quadrati e scandita da una sequenza

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di spazi ben definiti. Al piano inferiore sembra quasi di ritrovare - come in una ‘archeologia del sapere’ - l’assetto ti-
pologico di una domus con la successione vestibolo-atrio tetrastilo-peristilio ma sorprendentemente, superato l’atrio
quadrangolare, si incontra una sala ipostila 4x11 moduli che, nelle prime versioni, doveva essere liberamente attra-
versata da pareti disposte in vario modo ma distaccate dai pilastri che erano lasciati in vista. Questa sala ipostila si
apre su di un patio destinato all’esposizione protetta delle sculture. Ritornano in mente il progetto per la Casa a tre corti
ma anche e soprattutto quello per il Museo per una piccola città. Nelle parti più interne o nelle pareti contro terra ven-
gono sistemati gli uffici, i servizi igienici e i locali tecnici, a sinistra trova posto una rampa per il carico e lo scarico
delle opere. Il trattamento degli spazi è assolutamente neutro: le pareti sono dipinte di bianco al fine di far emergere
le opere esposte, che riguardano le avanguardie artistiche del Novecento, con una specifica sezione sull’espressio-
nismo tedesco. A questa densità e articolazione distributiva, necessaria al funzionamento del museo, fa riscontro, al
piano superiore che poi è il piano di ingresso, una quasi totale assenza di partiture e di segmentazioni: vi è un podio
nobilissimo in granito e una grande e severa copertura d’acciaio sostenuta da otto pilastri. Verrebbe quasi la voglia
di non aggiungere altro a tale perentorietà e assolutezza. Siamo per così dire al quadrato nero (l’Aula) su fondo
bianco (lo spalto) di Malevic̆. A cosa serve, cosa vuole significare questo enorme vuoto? Che cosa si vuole rappre-
sentare attraverso questo prodigio tecnico? Premesso che l’utilizzo pratico di tale spazio è abbastanza evidente nel-
l’essere destinato ad atrio di ingresso e sede di mostre temporanee, di cui la più famosa fu quella inaugurale dedicata
a Mondrian, questo spazio diafano a cosa vuole alludere? Per rispondere a questi interrogativi è forse necessario ana-
lizzare la successione delle differenti condizioni spaziali che ‘avvengono’ e si succedono sul podio. Si passa da uno
spazio sollevato dal suolo, ma completamente aperto, a uno spazio coperto ma aperto ben definito dalla parete ve-
trata e dai pilastri che lasciano coerentemente liberi gli angoli, fino a ritrovarsi in uno spazio coperto da questa enorme
piastra fluttuante, locus a rigore confinato, chiuso dalla parete vetrata ma a ben vedere completamente proiettato al-
l’esterno, un esterno che è quasi più concettuale che reale. È l’esterno della Philharmonie o della Biblioteca di Scha-
roun ma è anche l’esterno del ‘tutto natura’43, dello spazio infinito cosmico, dell’Aperto e della Quadratura (Heidegger)
del quale questo è una parte speciale, solo una porzione, che però riesce a dar conto del tutto e delle sue leggi: nel
patio la natura è circoscritta, sul podio-Tempio diviene totalizzante. Nella NNG è necessario rapportarsi al contesto
urbano per farlo entrare in gioco nell’architettura modificandolo e riconcettualizzandolo. Nella Convention Hall, di con-
tro, il contesto è convenzionale e la scelta di definire l’Aula come un recinto, oltre ad assecondare la ragione del-
l’edificio, vuole creare al suo interno un suo proprio contesto ordinato e artificiale. L’immensa copertura è una singolarità
inelidibile, è una concrezione (anche se fatta con travi d’acciaio) che non può crescere, né è atomizzabile, allo stesso
modo del Pantheon di cui riprende la perentorietà della forma perfetta e la nobile decorazione a cassettoni renden-
dola ancor più vera ed efficiente con l’incrocio delle travi in acciaio. Essa è un monolito. La scelta di lasciare liberi gli
angoli, oltre a equilibrare i carichi e le deformazioni della piastra per quelle condizioni di appoggio, tende a rendere
ancora più autonomo e riconoscibile il tetto cui è affidata la descrizione del tema. L’individualità del tetto a cassettoni,
notoriamente non riducibile a un sistema architravato, si rende incombente per la sua completa attraversabilità oriz-
zontale, per l’esiguità degli appoggi e per l’assenza dei sostegni angolari con i conseguenti estesi sbalzi (18 metri)
che volutamente non consentono l’individuazione di un volume ma solo degli elementi. Questa scelta espressiva risulta
inversa a quella di Schinkel nell’Altes Museum in cui i pilastri d’angolo sono talmente evidenziati e messi in rilievo che
l’intera copertura sembra poggiarvi. La modularità generale ordina il sistema costruttivo della copertura e della di-
sposizione dei sostegni e al contempo diviene regolativa delle proporzioni generali dell’edificio sia in pianta con l’in-
crocio e scomposizione di vari rettangoli aurei e l’identificazione di quadrati di dimensione decrescente dal centro ai
quattro angoli; sia in alzato con la successione di rettangoli con proporzioni progressivamente coincidenti verso il cen-
tro con la sezione aurea44 [3x5(5/5) - 3x8(5/8) - 3x5(5/5)]. Tali rapporti pervasivamente ordinano anche le spec-
chiature delle vetrate (3/2) e delle metope del tetto (1/2 - 3x3/2) in una continua concatenazione che garantisce
una euritmia delle parti con il tutto e viceversa. Il sistema proporzionale, apparentemente forzato, che Mies impone a
quest’architettura con l’obiettivo di ricercare le forme necessarie vuole ribadire la non arbitrarietà delle scelte compo-
sitive: anche nel fare un ‘semplice quadrato’ ci si deve porre il problema dei rapporti armonici, delle relazioni tra le
parti, del controllo trasmissibile e verificabile dello spazio. Il Museo è una proposizione di tipo apodittico, contiene in
sé le sue leggi e la sua dimostrazione, come in Summerson45 in cui le forme razionali del classico «contengono la loro
spiegazione». In ciò sta probabilmente la grandezza di quest’opera: nell’essere assoluta e raffinata, nelle relazioni con
i mondi formali e tecnici che invoca e nell’essere pur così concreta, così mondana, così costruita con arte. Alla sua
inaugurazione, come è riportato da Bruno Zevi nelle sue Cronache 46, un radicale berlinese disse: «È un edificio che
rende furiosi perché si è costretti ad ammetterne la perfezione».
1. R. Schwarz, Vom Sterben der Anmut, in “Die Schildgenossen”, VIII, 3,(1927-28) p. 289.

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Disegni interpretativi di Augusto Romano Burelli Disegni interpretativi di Augusto Romano Burelli

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2. Devo questa espressione al prof. Salvatore Bisogni.
3. Si veda A. Monestiroli, Le forme e il tempo, pref. a L. Hiberseimer, Mies van der Rohe, Milano 1984.
4. Cfr. R. Neri, op.cit.
5. I. Stravinsky, Poetica della Musica, Milano 1983.
6. Th. W. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, Torino 1980.
7. Th. W. Adorno, Teoria estetica, Torino 1975.
8. L. Mies van der Rohe, Rundschau: Zum neuen Jahrgang (an Dr. Riezler), 1927, citato da A. Monestiroli, in Id., Le forme e il tempo, intr. a L.
Hilberseimer, Mies van der Rohe [1956], Milano 1984.
9. L. Hilberseimer, J. Vischer, Beton als Gestalter, Stoccarda 1928.
10. Cfr. F. Irace, Mies, l’enigma del ‘900, in “Domenica” supplemento “il Sole 24 Ore”, 17-6-2001.
11. I. de Solà-Morales, Mies van der Rohe e il grado zero, in “Lotus”, n. 81, 1994.
12. L. Lanini, Mies vander Rohe lost ARK, in “Progetto”, n.15, aprile 2003.
13. Mies van der Rohe, Baukunst und Zeitwille, in Der Querschnitt, 1924, tr. It. L. Hilberseimer, Architettura a Berlino negli anni ’20,1967.
14. Mies van der Rohe, La nuova epoca, in “Die Form”, 1930, cit. in F. Neumeyer, The artless Word, 1986, p. 309.
15. K. Frampton, Tettonica e architettura, Milano 1999.
16. Su semplice e complesso si veda C. Martí Arís, Silenzi eloquenti, a cura di S. Pierini, Milano 2002.
17. L. Hilberseimer, Groszstadt Architektur, Stuttgard 1927, trad.it. L’architettura della grande città, Napoli 1998, p. 98.
18. Cfr. C. Martí Arís, La tradizione moderna, in Id., op.cit, Milano 2002.
19. C. Norber- Schulz, Un colloquio con Mies van der Rohe, riportato in F. Neumeyer, Mies van der Rohe, the artless world, tr. it. Mies van der
Rohe. Le architetture, gli scritti, a cura di M. Caja, M. De Benedetti, Milano 1996, p. 323
20. C. Martí Arís, Il portico ed il muro come elementi dell’edificio pubblico, in AA.VV, La modernità del classico, R. Neri, P. Vigano (a cura di),
Venezia 2000.
21. Mies van der Rohe, A Chapel. IIT, in “Arts and Architecture”, IXX, 1,Chicago1953, p. 19.
22. Cfr. R. Capozzi, La Chiesa ad Aula, in V. Pezza (a cura di), La forma del sacro, Napoli 2004.
23. Cfr. P. Carter, Mies van der Rohe at Work, New York 1974.
24. L. Wittgenstein, Tractatus logico-filosoficus, Londra 1961, tr. it. Torino 1964, enunciato 2.033.
25. Cfr. C. Martí Arís, Mies in chiave tipologica, in Id., Le variazioni dell’identità. Il tipo in architettura, Milano 1990.
26. Ibidem e inoltre, si veda il saggio citato dallo stesso Arìs: V. Brosa, La razón como relación y el eco de Atenas, tesi di laurea, Barcelona 1987.
27. La successione di Fibonacci F(i+2) = F(i+1) + F(i) ed in particolare il limite del rapporto F(i+1)/F(i) per (i) che tende all’infinito (i ∞) uguaglia il
valore Ø = 1.618033…numero aureo, di natura irrazionale [(1+√5 )/2] e quindi difficilmente compatibile con l’utilizzo di una griglia modu-
lare intera. Il pregio della successione di Fibonacci [0,1,1,2,3,5,8,13,21,34…] sta proprio nella possibilità di approssimare il rapporto aureo
con una buona precisione utilizzando numeri (moduli) interi 8/5, 13/8, 21/13. Cfr. M. Livio, La sezione aurea, Milano 2003.
28. Quest’edificio pur non essendo strettamente un’aula e un edificio collettivo in senso stretto, rappresenta un’importante riflessione sul principio di
centralità, precisata e superata per dimensioni e valore nel Home Federal Saving and Loan building. In tal senso si rimanda all’esaustiva ana-
lisi sulla sede Bacardi condotta da Martí Arís in Mies in chiave tipologica, in Id., Le variazioni dell’identità. Il tipo in architettura, Milano 1990
pp. 158-160.
29. Cfr. Martí Arís in Mies in chiave tipologica, in Id., op.cit., Milano 1990 pp. 158-160.
30. Devo questa intuizione a Pierpaolo Gallucci a sua volta desunta da un’interpretazione della nozione di «Bellezza naturale come elemento della
vita» nell’Estetca di G. Lukacs, op.cit., Torino 1970, cap. XII, par. 2., p. 721.
31. Cfr. A. Micillo, New York e Mies van der Rohe, in www.architettare.it.
32. Cfr. F. Schulze, Mies van der Rohe, Milano 1989.
33. Cfr. C. Martí Arís, Mies in chiave tipologica, in Id., Le variazioni dell’identità. Il tipo in architettura, Milano 1990.
34. Cfr. P. Carter, op.cit., New York 1974.
35. Cfr. Ph. Lambert, Mies in America, New York 2002.
36. C. Norberg-Schulz, Un colloquio con Mies van der Rohe, in F. Neumeyer, op.cit., 1996, p. 324.
37. «L’aspirazione di questo artista si è esercitata sui temi maggiori dell’arte nuova del costruire: dalla ricerca di una linea originale, all’afferma-
zione di un nuovo concetto di spazio» da E. Persico, All’estremo della modernità, Mies van der Rohe, in “La Casa Bella”, novembre 1931.
38. A. Drexler, Mies van der Rohe, New York 1960.
39. Cfr. A. Monestiroli, La metopa e il triglifo. Rapporto tra costruzione e decoro nel progetto di Architettura, Milano 1989, ora in Id., La metopa
e il triglifo, Roma-Bari 2002.
40. E. Severino, Raumgestaltung, in Id., Tecnica e architettura, Milano 2003, p. 90.
41. Idea (ideazione) è una delle radici - Id. del verbo όράω (io vedo) nel significato di conoscere. Cfr. E. Panofsky, ‘Idea’, Contributo alla storia
dell’estetica, Firenze 1996 (1924).
42. Devo questa constatazione alla luce delle verifiche effettuate agli elementi finiti e alle inesauribili e feconde discussioni con l’arch. Massimiliano
Fraldi, ricercatore di Scienza delle Costruzioni presso il Politecnico di Napoli.
43. Cfr. S. Bisogni, Considerazioni sull’Arte e la Scienza del costruire, in “Restauro”, n.139, 1997.
44. Queste relazioni modulari paragonabili a una serie continua sono espresse in modo estremamente chiaro nei disegni interpretativi (riconduci-
bili A.R. Burelli) che ho trovato riprodotti nel Dizionario critico illustrato delle voci più utili all’architetto moderno, diretto da L. Semerani, Vene-
zia 1993 .
45. J. Summerson, Il linguaggio classico dell’architettura, Torino 1970.
46. B. Zevi, La Galleria Berlinese di Mies, 29 dicembre 1968, in Id., Cronache di Architettura, Roma-Bari 1970-73.

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IL CLASSICO COME ‘FUTURO’ DELL’AULA

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ATTUALITÀ/INATTUALITÀ DEL TEMA DELL’AULA, quadrate spingono più avanti il problema della loro costruzione facendola diventare un’impresa collettiva.
MIES VAN DER ROHE E LA QUESTIONE DEL CLASSICO Nelle Aule di Mies l’attività riduttiva sul repertorio degli elementi e sui tipi tratti dallo spessore storico e dalla tradi-
zione dell’architettura, si arresta un attimo prima che sia impossibile riconoscerne il referente. Si produce una sem-
plificazione, un’astrazione, che non riduce gli elementi alla geometria ma tende a una sintesi estrema che vuole
Il classico che scrive la sua tragedia osservando un certo numero di regole che egli conosce è più libero del poeta che scrive quello che gli ritrovare il significato essenziale delle cose. Al pari dei numeri primi, che nella matematica possono ‘costruire’ tutti gli
passa per la mente ed è schiavo di altre regole che ignora altri numeri, gli elementi e le parti che individua Mies nei suoi edifici possono - come materiali disponibili - ricombi-
Raymond Queneau1
narsi e in senso generale generare tutti i tipi successivi. La definizione dell’Aula, come si è visto, compone e seleziona
Se si volesse inventare ogni giorno qualcosa, non si arriverebbe da nessuna parte. Inventare forme interessanti non costa niente, ma ci vuole due elementi archetipici differenti - il tetto e il recinto - e conseguentemente due principî spaziali contrapposti: quello
molto tempo per elaborare a fondo una cosa
che tende all’apertura e quello che tende alla delimitazione. L’atto di recingere e quello di ripararsi sono il presup-
Mies van der Rohe
posto di una conoscenza, della possibilità di realizzare un’esperienza. La scelta di selezionare o combinare tali at-
Osservare la legge per raggiungere la libertà teggiamenti di fondo determina univocamente la relazione dell’edificio con la città o la natura, ma immediatamente
George Simmel
anche la qualità dell’interno e dell’esterno e del sistema dei caratteri con cui tale invaso si rappresenta. La scelta cioè
Questo saggio che qui si conclude ha tentato di chiarire le seguenti questioni ritenute fondamentali riguardo il tipo non è arbitraria ma è condizionata dal tema e dal senso dell’edificio. Il diverso orientamento possibile - chiusura o
dell’Aula e le architetture di Mies van der Rohe che lo sviluppano esemplarmente: apertura - rispetto al contesto, in relazione al senso del manufatto e al suo ruolo ordinatore, produce in Mies due al-
la possibilità concreta di assumere l’identificazione della generalità dei temi pubblici (a carattere collettivo) con il tipo ternative rappresentate dalla Galleria di Berlino che svolge il tema del tetto e dalla Convention Hall che si definisce
ad Aula; a partire da un recinto. Declinando e sintetizzando di volta in volta i modelli dell’Acropoli e dell’Agorà3, che pre-
la definizione in sede teorica, ma con il continuo ricorso alle opere, dei caratteri distintivi dell’Aula, delle sue forme suppongono due idee di città differenti - la prima riconducibile alla città contemporanea (aperta) e alla sua necessità
caratteristiche, delle sue parti invarianti rispetto all’ideazione, alla composizione e alla costruzione, individuando le di ritrovare dei ‘centri’ in rapporto alla natura, e il secondo alla città della storia, alla città consolidata, al suo costruirsi
procedure compositive possibili per questa classe di manufatti (sintassi/paratassi); a partire da un impianto per addizioni compiute - il rapporto dell’edificio ad aula con la città in generale può essere
i modi attraverso cui l’edificio pubblico ad Aula può specializzare i caratteri distintivi della molteplicità dei temi ar- di tre tipi. Nel primo caso l’Aula concorre, assieme ad altri manufatti civili di pari grado, alla definizione del luogo
chitettonici che assorbe; pubblico su un piano di parità ed equivalenza: il problema è la costruzione non banale delle relazioni e tensioni a
far vedere come la ricerca di Mies van der Rohe, selettivamente indagata rispetto al principio spaziale/formale del- distanza di tali manufatti come nel caso del Kulturforum a Berlino. Nel secondo caso l’Aula è isolata nella natura o
l’Aula, sia decisiva a un ulteriore chiarimento del tipo in esame, delle sue possibilità e potenzialità. Mostrare come all’interno stesso della città e risolve il suo rapporto con il contesto attraverso la soluzione del basamento o con uno
le sue architetture civili siano esemplari dell’identificazione con l’edificio pubblico e al tempo stesso depositarie delle spalto che assorbe le irregolarità del sito e permette la costruzione autonoma dell’edificio in senso autoreferente. Lo
regole e dei principî che presiedono alla composizione, alla costruzione e al significato che tali edifici devono as- spalto diviene un piano neutro dove ‘accadono fenomenicamente’ gli oggetti, le architetture e le loro relazioni a di-
sumere in rapporto alla città e alla natura; stanza. È il caso della Nationalgalerie e del Teatro di Mannheim in ambito urbano o della sede della Bacardi nel
dimostrare l’attualità del tema dell’Aula come elemento di costruzione della città contemporanea. contesto naturale. Nel terzo caso l’Aula è all’interno di una modularità più generale che irrigimenta altri edifici o può
In termini più espliciti si può affermare che l’assunzione dell’Aula come principio spaziale di riferimento deve neces- essere inserita all’interno di una trama urbana ripetitiva in cui il salto scalare delle sue dimensioni e dei suoi caratteri
sariamente e continuamente passare per una comprensione e innovazione del tema da svolgere. L’aspetto generale ne distingue il ruolo.
dell’Aula è quello di una risposta unica, ‘tipica’, a temi differenti accomunati dal senso del collettivo. Ma l’adozione Nei vari casi sopra esposti l’edificio pubblico rimane un’eccezione capace di distinguersi per ruolo e per senso, che
dei tipi non è immutabile, i temi vanno continuamente reinterpretati e i tipi che li reificano devono modificarsi in ra- tenta di ordinare e di riassumere il contesto in un rapporto biunivoco che non ne attenui il valore.
gione di tale riformulazione, di tale confronto con «l’inerzia del reale» (Mies). Lo sforzo è stato quello di provare a Nella Neue Nationalgallerie si utilizza il referente dell’Acropoli per rapportarsi agli altri monumenti che la circondano.
svelare il «segreto di queste architetture» (Grassi), di osservare il modo con cui sono costruite, i sistemi di rapporti che Per legittimare la distanza e il vuoto che li separa è necessario rapportarsi al contesto urbano per farlo entrare in gioco
utilizzano, il riconoscimento delle forme necessarie ed adeguate che adoperano. L’adozione dell’Aula come tipo che nell’architettura trasfigurandolo. Nella Convention Hall invece si produce al suo intorno un grande spazio equivalente
riassume sinteticamente la pluralità dei temi collettivi deve, allo stesso modo, rifondarsi ogni volta per non celare riferibile al foro perché il contesto è convenzionale e la scelta di definire l’Aula come un recinto, oltre ad assecon-
l’identità e la ragione specifica del manufatto, sia attraverso le forme necessarie cui affidare la sua figura sia nel con- dare la ragione dell’edificio, vuole creare al suo interno il suo environment, il suo campo di pertinenza. Questo at-
tinuo trasferimento e iniezione di senso degli elementi della costruzione sia nella identificazione delle parti distintive teggiamento è particolarmente evidente in uno dei progetti didattici ispirati da Mies all’IIT che sviluppava il tema del
e caratterizzanti che deve mostrare, mettere in scæna con chiarezza e immediatezza. grande spazio di dimensioni eccezionali. Questa SportHalle - un enorme spazio libero quadrato che sposta al limite
Nella proposizione dei tipi e nella potenza di tale atteggiamento metodologico vi è un chiaro rimando a una impo- le possibilità dimensionali dell’Aula, coperto da un tetto a cassettoni sostenuto da tre giganteschi pilastri per lato, quasi
stazione classica che si fonda su principî descrivibili e motivabili in senso razionale, logico. Le forme della tradizione a mimare una seconda volta del cielo - contiene al suo interno uno stadio, piste di atletica e alcuni campi per varie
vanno sottoposte a critica nel senso di operare su di esse un giudizio (kritiké tekné - arte di giudicare - da krisis) di discipline. La grande copertura segna un luogo, determina ancora una volta un microcosmo significativo: un ‘dop-
valore capace di svelarne i principî ricercando universali sempre più astratti, ma sempre verificati nei casi concreti, pio del mondo’. Gli edifici ad aula nel loro complesso (gli exempla), in particolare quelli prodotti da Mies van der
nelle architetture, di scoprire la loro verità e non di replicarne le forme. Come afferma Emanuele Severino «Il modo Rohe, e la teoria che sottendono rappresentano una continua fonte di insegnamento, una lezione di dottrina: non un
più sicuro di non affrancarsi dal passato è il dimenticarlo. L’autentico oltrepassamento del passato richiede che lo si repertorio di forme o soluzioni da replicare (pena la caduta nel ridicolo) ma un metodo da riprodurre. Le opere esem-
conosca a fondo e che ne si tutelino le vestigia»2. Il rapporto con la tecnica deve essere serrato e appropriato al pro- plari costringono al confronto con esse. La loro descrizione critica riesce a darne una versione interpretativa, erme-
prio tempo senza operare una sostituzione indebita delle forme dell’architettura con quelle della tecnica che presup- neutica, che è sempre un ampliamento della conoscenza (mathos) che si dà o per analogia o per opposizione («omne
pongono una loro interpretazione espressiva e sono subordinate alla composizione e alle sue regole di misura e quod cognoscitur, coscoscitur per suam similitudinem vel per suum oppositum» - Tommaso d’Aquino). Tale descrizione
proporzione. Il carattere distintivo dei vari temi pubblici risolti con l’Aula non si ottiene solo attraverso la soluzione co- deve essere in grado di cogliere una parte delle regole di cui sono depositarie le opere, del modo con il quale sono
struttiva adeguata ma anche con i modi di rappresentazione delle istituzioni, in cui gli elementi o le parti stabili (stoi- state ideate e costruite, deve saper riconoscere le soluzioni e le forme che hanno adoperato/mostrato per risolvere
cheia), nel comporsi e nel collocarsi all’interno del vuoto determinato dall’Aula, radicano e svelano all’esterno le il loro rapporto con il mondo di cui erano l’espressione. Le Aule di Mies e la sua opera in generale, come una ma-
ragioni del manufatto. In questo ambito la selezione delle figure planimetriche e l’autorità di quelle a pianta centrale, tura e consumata riflessione sui principî universali dell’architettura, l’elogio della lentezza nella ricerca e soluzione del
non direzionata, è del tutto evidente e chiaramente confermata dal lavoro di Mies in cui i temi più aulici, cioè più dettaglio, il suo continuo confronto con le grandi architetture del passato, l’insistenza su alcuni tipi fondamentali e il
densi di valore, adottano il quadrato come forma generale che li rappresenta. Non è un caso che proprio le Aule riferimento analogico alla natura, sollevano la questione dell’operatività e della permanenza dei principî del classico

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in architettura4. Classico inteso come il contrario del creativo, ciò che modera la fantasia, che tende all’oggettivo, al- L’avanzamento produce una discontinuità ma sempre rispetto a qualcosa, rispetto a un retaggio, a una traditio: il nuovo
l’impersonale che ‘non ha niente a che vedere con la ricerca di forme interessanti’ destinate a sorprendere, purtroppo determina sì una frattura, ma che va ricomposta. Il riconoscimento di un ordine non impedisce la ricchezza e la va-
tanto presenti nei progetti di questi anni. Come ci ricorda Mies «[...] i templi antichi, le basiliche romane, come pure rietà delle interpretazioni ma ne consente il confronto e la possibilità di applicare le regole in esso contenute con con-
le cattedrali medioevali, non sono l’opera di singole personalità, ma la creazione di tutta un’epoca. Chi, di fronte a sapevole responsabilità. Non si tratta di proporre un ‘ritorno all’ordine’ ma una ‘andata all’ordine’, allo stesso modo
questi edifici, chiede il nome del costruttore? Che significato può avere la sua personalità, determinata dal caso? Que- non si deve ritornare alle origini ma ‘andare alle origini’14. Il carattere specifico del classico15 - come hanno dimo-
ste costruzioni sono per loro stessa natura assolutamente impersonali. Esse sono pura espressione dello spirito di strato le architetture di Mies - è di essere contemporaneamente sovra-storico e, in quanto tale, pervasivo della storia.
un’epoca»5. Non c’è una seconda Odissea ma l’unica e irripetibile, sub specie aeternitatis, che sempre più conosciamo e inter-
Il classico fondato sui principî e non sulle forme riesce ad avere un valore universale. Per ‘tendere al classico’, come pretiamo, ma che proprio per questo ha aperto la strada e il solco ‘ancora fertile’ a tante opere degne dello spirito
aspirazione limite, si deve ricostruire un ordine che legittimi gli atti del comporre, che li riporti a delle regole che ne umano.
consentano l’intellegibilità e che renda possibile riconoscere dei tipi trasmissibili e delle forme riconoscibili. La defi-
nizione e il riconoscimento dei principî e la loro riduzione all’essenziale amplia il loro grado di generalità e di uni-
versalità determinando in tal modo uno ‘statuto’, un corpus definito e trasmissibile. In questo senso il lavoro sul classico
è cosa seria, comporta un impegno etico che rende l’architettura un vero lavoro collettivo in cui ci si possa ricono- Solo un folle può dire che il nostro tempo non ha una sua grandezza
scere e non una soggettiva e individualistica pretesa di trasformare l’architettura in un semplice veicolo immaginifico Mies van der Rohe
di messaggi promozionali. L’architettura si propone ancora una volta come arte, cioè in grado di spiegare il mondo,
di rendersi una ‘attività conoscitiva’6, di ‘penetrare nella conoscenza’ (Schiller), di aspirare a un’unità contrapposta
alla frammentarietà e alla dissoluzione. Le realizzazioni degli ultimi anni, prodotte da un’equivoca ambizione avan-
guardista, si caratterizzano per una estraneità ai contesti, un’eccessiva esibizione tecnologica e una netta disconti-
nuità con la storia e i caratteri della città. Queste grandi esibizioni ed esercizi formali non sono semplicemente
auto-referenti rispetto alla città, sono oggetti avulsi che non vogliono spiegare niente al di fuori del linguaggio del pro-
prio autore e del mercato che lo produce. Il loro obiettivo è la ricerca dell’inedito, di ciò che deve sorprendere e cat-
turare l’attenzione. Sono essi stessi prodotti di consumo di quella che Adorno chiamava la mercificata «industria
culturale», non prodotta da una Bildung e da una Kultur ma da una inconsapevole, alienante e acritica Halbbildung7.
La filosofia sottesa a questi oggetti di design è la perdita di ogni fiducia nell’uomo e nella sua capacità di auto-de-
terminarsi con altri nel mondo. Ciò ha comportato la negazione della costruzione collettiva dell’architettura con uno
sfoggio individualista e onanistico di cifre autobiografiche, dimenticando ciò che afferma Borges nella Ricerca di Aver-
roè in cui «l’immagine che un solo uomo può formare non tocca nessuno»8 o il monito di Seneca riportato da Aldo
Rossi: «stolto è colui che inizia sempre punto e a capo e non svolge in modo continuo il filo della propria esperienza».
La deriva delle forme, queste sì veramente autocratiche di certa architettura contemporanea, può solo produrre una
infinita moltiplicazione di messaggi e di forme a-morfe impossibili da motivare o meglio incomprensibili al di fuori di
una sperimentazione linguistico-formale schizofrenica, resa possibile dalle potenzialità pressoché infinite della tec-
nica e delle tecniche, e che tende in sostanza a un nichilismo individualista9. Come sottolinea Kurt Forster «gli ordini
classici, i principî statici dello spazio assoluto non hanno più senso in una realtà del caos, del flusso, dello spazio in-
curvato» ma la architettura è il contrario del caos, è una costruzione intellegibile di cui si deve poter dare ragione.
Le forme contemporanee, pur nella loro apparente varietà avanguardista, tendono in definitiva a somigliarsi e - scom-
parendo elementi identificativi e riferimenti stabili - si tende sempre più alla indifferenziazione dei tipi o per meglio
dire a una loro ibridazione. La rottura con il principio tipologico, come sottolineato da Gianni Fabbri10, produce
sempre più edifici-mondo, edifici-microcosmo, ben più confusi e confondenti: irrimediabilmente lontani da quelli pre-
conizzati da Mies. In tali concrezioni indifferenziate, che presentano all’interno la più articolata distinzione funzionale
possibile, è sempre più difficile, se non impossibile, riconoscere il tema che svolge l’Aula rispetto a tali parti interne,
che nel sovrapporsi confuso fanno ‘ostruzione’. Questi corpi ‘fluidi’ o ‘volumi liquidi’ dalle geometrie più stravaganti
sono come degli arredi di lusso che non trovano misura e radicamento e, sovente, occludono il vuoto che li contiene
riducendo l’Aula, la sua costruzione, a una ‘bolla’, a una semplice scocca di protezione. «Il classicismo [si legga clas-
sico] inteso come sistema formale stabile, chiuso, come insieme di norme di immediata applicazione non è più ope-
rante. Il classicismo inteso come ricerca di regole per il progetto, come tentativo di ridare intellegibilità al mondo delle
forme è ancora valido ed è presente nel lavoro di alcuni architetti contemporanei»11. Il futuro del classico12 deve pre-
supporre un projectus: non è pensabile al di fuori di un sistema di regole condivise (e non di leggi immutabili), di un
ordine, di obiettivi di fondo, di un affondare nelle radici prime delle forme, dei valori e della tradizione, che siano
‘riflettenti’ il presente, lo spieghino, ne siano l’adempimento, per poi pro-iettarsi (da prohoran - guardare innanzi) in
un futuro degno di essere vissuto. Si deve, per così dire, salire sulle spalle dei giganti per scorgere il futuro, per «ve-
dere realmente il mondo»13. «Ogni epoca - sottolinea Salvatore Settis - per trovare identità e forza, ha inventato
un’idea diversa di classico. Così il “classico” riguarda sempre non solo il passato ma il presente e una visone del fu-
turo. […] Per dar forma al modo di domani è necessario ripensare le nostre molteplici radici».

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1. R. Queneau, Segni, cifre e lettere, tr. it. G. Bugliolo, Torino 1981.
2. E. Severino, Tecnica e Architettura, a cura di R. Rizzi, Milano 2003.
3. Cfr. S. Giedion, Spazio tempo e architettura, Milano 1984, et A. Monestiroli, L’arte di costruire la città, in Id., op.cit., Roma-Bari 2002 .
4. Su questo tema si rimanda al fondamentale saggio di M. Cacciari, Il “classico” di Mies van der Rohe, in “Casabella”, n. 629, dicembre 1995,
in cui viene svelato il senso profondo e l’universalità della ricerca miesiana in aperta polemica, qui totalmente condivisa, con l’interpretazione
minimalista fattane da I. de Sola Morales in Mies van der Rohe e il grado zero, in “Lotus”, n. 81, 1994, in cui, non evitando alcune contrad-
dizioni, tra l’altro si afferma: «In Mies non esiste un riferimento alla totalità del kosmos con cui l’arte classica costruiva il significato, gli ordini, i
tipi, le proporzioni, la prospettiva. Non ha senso dunque definire Mies come l’ultimo classicista. [...] l’opera di Mies non parte dalle immagini,
ma dai materiali. Materiali nel senso forte della parola. Parte dalla materia con cui sono costruiti i suoi oggetti. Da una materia astratta, gene-
rale, tagliata geometricamente, liscia e pulita, ma consistente, evidente, solida. Ma anche da una materialità più ampia che abbraccia la gra-
vità e il peso degli elementi costruttivi, le tensioni dei loro comportamenti statici, la durezza o la fragilità, dalla artificiosità materiale della
tecnica che prepara e manipola gli elementi con cui si costruisce l’edificio».
Si veda inoltre: E.N. Rogers (firmato E.N.R), Classicità di Mies van der Rohe, in “Casabella”, n. 228, 1959 e A. Monestiroli, Continuità del-
l’esperienza classica, in E. D’Alfonso, Ragioni della storia e del progetto, Milano 1985.
5. Ludwig Mies van der Rohe, Baukunst und Zeitwille, in “Der Querschnitt”, IV, 7924/1; trad. it., Architettura e volontà dell’epoca, in M. De Be-
nedetti e A. Pracchi (a cura di), Antologia dell’architettura moderna. Testi, manifesti, utopie, Bologna 1988.
6. Cfr. A. Monestiroli, La metopa ed il triglifo, lezione/dibattito tenuto al Dottorato di Ricerca in Composizione Architettonica presso lo IUAV, con
interventi di G. Fabbri, C. Martí Arís, L. Semerani, G. Malacarne, ottobre 2003.
7. Th. W. Adorno, Teoria dell’Halbbildung, a cura di G. Sola, Genova 2010.
8. Cfr. C. Martí Arís, Silenzi eloquenti, Milano 2003.
9. Cfr. E. Severino, op.cit., Milano 2003.
10. Cfr. G. Fabbri, Appunti e riflessioni sullo stato dell’arte, in AA VV, La cultura del progetto, a cura di A. D’Agostino, F. Visconti, U. Siola, Potenza
2003.
11. C. Martí Arís, op.cit., in R. Neri, P. Viganò (a cura di), La modernità del classico, Venezia 2000.
12. S. Settis, Il futuro del classico, Torino 2004.
13. L. Wittgenstein, Tractatus logico-filosoficus, Londra 1961, tr. it. Torino 1964.
14. Cfr. A. Monestiroli, La metopa ed il triglifo, lezione/dibattito tenuto al Dottorato di Ricerca in Composizione Architettonica presso lo IUAV et R.
Masiero, Prima e dopo il Classico, Sull’architettura di L. Vacchini, in Id., Livio Vacchini. Opere e progetti, Milano 2003.
15. Sulla questione del ‘classico’ si veda inoltre si veda il saggio G. Fusco, Il classico nel moderno, Firenze 2008.

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RIDISEGNI ANALITICI,
PROCEDURE COMPOSITIVE, ASSETTI COSTRUTTIVI

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BIBLIOGRAFIA
INDICI DEI NOMI E DELLE OPERE

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Cortina, Milano 2003. novembre 1985.

186 187
INDICE DEI NOMI Corner, Donald, 187bibl. Gropius, Walter Adolph, 62, 102, 187bibl. Micillo, Aldo, 187bibl.
D’Agostino, Angela, 137n Guardini, Romano, 64 Mies van der Rohe, Ludwig, 1, 4, 7, 8, 9, 10, 11, 12n, 18, 21,
D’Alfonso, Ernesto, 12n, 137n Guidoni, Enrico, 14, 186bibl. 22, 38, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 50, 51, 56, 60, 61, 62, 63,
Dal Co, Francesco, 56n, 187bibl. Hadid, Zaha, 45 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71-87, 88, 89, 90-94, 95, 96,
“Ad” Reinhardt, (Adolph Frederick Reinhardt), 61 Dal Fabbro, Armando, 4, 7, 186bibl. Hartoonian, Gevork, 186bibl. 97-100, 101, 102, 103-109, 110, 111, 112, 113-128,
Adorno Wiesengrund, Theodor Ludwig, 60, 129n, 134, 137n Dante, (Dante Alighieri), 14 Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, 43, 50, 56n, 129n, 132, 133, 134, 135, 136, 137n, 140-183, 186bibl.,
AEG., (Allgemeine Elektricitäts-Gesellschaft), 22 De Benedetti, Mara, 129n, 137n Hegemann, Werner, 55n, 56n 187bibl.,
Agostino da Ippona (Aurelius Augustinus Hipponensis), 61 De Fusco, Renato, 49, 57n Heidegger, Martin, 15, 38, 41, 50, 55n, 112, 186bibl. Mikellides, Byron, 187bibl.
Alberti, Leon Battista, 43 DEAU (Dizionario Enciclopedico di Architettura e Urbanistica),14, Heller, Robert, 186bibl. Mondrian, Piet (nato Pieter Cornelis Mondriaan), 63, 112, 72
Albini, Franco, 21, 34 55n, 186bibl. Hermann, Wolfgang, 56n Moneo, Rafael, 9, 12n, 186bibl.
Apollinaire, Guillaume, Denti, Giovanni, 187bibl. Hilberseimer, Ludwig Karl, 7, 12n, 21, 22, 50, 52, 53, 55n, 56n, Monestiroli, Antonio, 4, 12n, 14, 15, 16, 38, 39, 40, 43, 55n,
Arendt, Hannah, 14, 55n Derrida, Jacques, nato Jackie, 45 57n, 60, 61, 62, 64, 88, 129n, 186bibl., 187bibl. 56n, 60, 101, 129n, 137n, 186bibl., 187bibl.
Argan, Giulio Carlo, 44, 57n, Di Bona, Enrico, 187bibl. Hirdina, Karin, 187bibl. Montella, Concetta, 187bibl.
Aristotele, 12n, 57n, Di Domenico, Giovanni, 14, 55n Husserl, Edmund Gustav Albrecht, 111 Moro, Alessandra, 56n
Asplund, Erik Gunnar, 21, 22, 32, 33 Di Natale, Salvatore, 55n Iacobelli, Ciro, 4 Mylonas, George E., 55n
Averroè, pseud. di Ibn-Rushd, 134, Di Pasquale, Salvatore, 57n, 186bibl. Ictino (Iktìnos),17 Nardi, Guido, 56n, 186bibl.
Bacardi, (Bacardi y Compania S.A.), 44, 65, 66, 67, 68, 70, Diderot, Denis, 41 IIT (Illinois Institute of Technology), 7, 10, 40, 61, 62, 64, 71, 88, Narpozzi, Marino, 4, 186bibl.
110, 129n, 133, 186bibl. Dienst, Roger, 111 101, 102, 129n, 133 Neri, Raffaella, 12n, 41, 42, 55n, 56n, 129n, 137n, 186bibl.
Barthes, Roland, 12n, 55n Doimo, Martino, 186bibl. Il collegio dei docenti del DRCA dello IUAV, 4 Nervi, Pier Luigi, 186bibl.
Behrens, Peter, 22, 36, 56n, 186bibl. DPU Dipartimento di Progettazione Urbana, 12n Irace, Fulvio, 129n, 187bibl. Neumeyer, Fritz, 4, 129n, 186bibl., 187bibl.
Benevolo, Leonardo, 16, 55n DRCA Dottorato di Ricerca in Composizione Architettonica, 4, 55n, IUAV (Università IUAV di Venezia), 4, 55n, 56n, 137n, 186bibl. Newton, Isaac Sir, 19, 45
Benjamin, Walter, 9, 16, 56n, 137n, 186bibl., 187bibl. Jacobsen, Arne Emil, 22, 37 Nietzsche, Friedrich Wilhelm, 62,
Berg, Max, 22, 36 Drexler, Arthur, 101, 129n, 187bibl. Jarzombek, Mark, 187bibl. Noack, Ferdinand, 55n
Bergdoll, Barry, 187 bibl. Durand, Jean-Nicolas-Louis, 20, 110, Johnson, Philip, 187bibl. Norberg-Schulz, Christian, 16, 38, 56n, 129n,
Bergson, Henri Louis, 19 Eco, Umberto, 16 Jordy, William H., 187bibl. Occam, (Guglielmo di Ockham), 62
Berlage, Hendrik Petrus, 20, 31, 39, 56n, Eliade, Mircea, 17 Kahlfeldt, Paul, 187bibl. Odifreddi, Piergiorgio, 55n
Bill, Max, 186 bibl. Eliot, Thomas Stearns, 186bibl. Kahn, Albert, 65, 76, 95, Oud, Jacobus Johannes Pieter, 43, 56n
Bisogni, Salvatore, 4ring., 12n, 21, 22, 55n, 56n, 57n, 60, Engel, Klaus, 47, 186bibl. Kandinsky, (nato Vasilij Vasil’evi Kandinskij), 76 Palazzotto, Emanuele, 55n
129n, 186bibl. Estia o Hèstia,16, 55n Kaufmann, Emil, 49, 186bibl. Palladio, Andrea, 9, 19,
Blackwood, Michael, 12n Fabbri, Gianni (Giovanbattista), 4, 134, 137n Khan, Louis, 15 Panofsky, Erwin, 38, 56n, 129n
Blake, Peter, 186bibl. Farnsworth, Edith, 65, 68, 69, 89, 96 Koenig, Giovanni Klaus, 187bibl. Papi, Lorenzo, 187bibl.
Blaser, Werner, 186bibl. Fehn, Sverre, 22, 37 Koeper, Fredrick, 187bibl. Parmenide di Elea, 55n
Bogliolo, Giovanni, 137n Fibonacci, (Figlio di Bonaccio) pseud. di Leonardo Pisano Bigollo, Kornacker, Frank J., 88 Pause, Michael, 187bibl.
Bonfanti, Ezio, 49, 56n, 57n, 186bibl. 66, 67, 129n Kostof, Spiro, 187bibl. Pawley, Martin, 187bibl.
Boniello, Ilario, 4 Filóne di Eleusi, 17 Krupp Ltd, (Essen), 111 Perret, Auguste, 17, 42, 56n,
Borges (Acevedo), Jorge (Francisco Isidoro) Luis, 134 Finaldi Russo, Claudio, 4 Kubler, George, 186bibl. Persico, Edoardo, 21, 34, 129n, 187bibl.
Bottero, Maria, 186bibl. Flaubert, Gustave, 62 Kundera, Milan, 186bibl. Pevsner, Nicolaus Sir, 186bibl.
Bötticher, Karl Gottlieb Wilhelm, 42, 56n, Focillon, Henri, 57n, 186bibl. Labrouste, Pierre-Francois-Henri, 20 Pezza, Valeria, 4, 12n, 15, 55n, 129n,
Boullée, Étienne-Louis, 12n, 19, 20, 30, 39, 40, 41, 49, 50, 55n, Forconi, Daniele, 55n Lambert, Phyllis, 129n, 187bibl. Pica, Agnoldomenico, 187bibl.
56n, 60, 88, 110, 186bibl. Forster, Kurt W., 134 Lampugnani, Vittorio Magnago, 187bibl. Pierini, Simona, 129n,
Braque, Georges, 63 Fraldi, Massimiliano, 4, 129n, Landsberger, Martina, 4, 55n Pigafetta, Giorgio, 55n
Brosa, Victor, 129n Frampton, Kenneth, 55n, 56n, 62, 129n, 186bibl., 187bibl. Lanini, Luca, 12n, 56n, 129n, 187bibl. Pitagora di Samo, 69
Brunelleschi, Filippo, 61, Friedman, Yona, 44 Laugier, Marc-Antoine, 19, 43, 50 Pizzigoni, Vittorio, 187bibl.
Bucarelli, Palma, 186bibl. Fusco, Gaetano, 137n Le Corbusier, pseud. di Charles-Edouard Jeanneret-Gris, 22, 35, 42, Platone, 16, 41, 43
Buckminster Fuller, Richard, 44 Fustel De Coulanges, Numa Denis, 14 50, 57n, 61, 63, 110, Plec̆nik, Jože, 51
Buddensieg, Tilmann, 186bibl. Galilei, Galileo, 17 Ledoux, Claude-Nicolas, 20, 50 Poelzig, Hans, 45
Burelli, Augusto Romano, 126-127, 129n Gallo, Antonella, 4 Leoni, Giovanni, 187bibl Polesello, Gianugo, 4, 55n, 186bibl.
Burnham, Daniel Hudson, 101 Gallucci, Pierpaolo, 129n Libera, Adalberto, 21, 34 Pone, Sergio, 186bibl.
Cacciari, Massimo, 15, 55n, 68, 137n, 186bibl. Gärtner, Artur, 187bibl. Libeskind, Daniel, 45 Portoghesi, Paolo, 55n
Caja, Michele, 56n, 57n, 129n, 187bibl. Gaudet, Jean-Louis, 9 Liebknecht, Karl, 62, 72 Pracchi, Attilio, 137n
Calvino, Italo, 15, Gehry, Frank Owen Goldenberg, 45 Linazasoro, José Ignacio, 186bibl. Quatremère de Quincy, Antoine Chrysostome, 19, 40, 42, 56n
Canella, Guido, 186bibl. Gemoll, Wilhelm, (Guglielmo), 55n Livio, Mario, 129n Queneau, Raymond, 132, 137n
Cao, Umberto, 186bibl. Ghyka, Prince Matila Costiesco (nato Matila Costiescu), 186bibl. Losasso, Mario, 57n, 186bibl. Raffaello, (Raffaello Sanzio), 19
Caporali, Renato, 55n Giangreco, Elio, 47 Lukács, György, 10, 15, 39, 56n, 68, Ramos, Fernando, 187bibl.
Capozzi, Renato, 7, 57n, 129n, 187bibl. Giani, Esther, 4 Luxemburg, Rosa, pseud. di Rozalia Luksenburg, 62, 72 Renna, Agostino, 39, 55n, 56n, 186bibl.
Caracalla pseud. di Lucius Septimius Bassianus, 18 Giedion, Siegfried, 39, 56n,137n Maglio, Andrea, 55n, 56n, Ricasso, Pablo, 76
Carbonara, Pasquale, 55n Ginzburg, Moisei Yakovlevich, 56n, 186bibl. Malacarne, Gino, 4, 137n Riley, Terence, 187bibl.
Carnelutti, Francesco, 12n Glaeser, Ludwig, 187bibl. Maldonado, Tomás, 186bibl. Rizzi, Renato, 4, 137n, 186bibl.
Carpanelli, Francesco, 187bibl. Glenn Martin Company, 95 Malevic̆, Kazimir (o Kasimir) Severinovi , 61, 65, 112, 136 Rogers, Ernesto Nathan, ENR, 60, 137n, 187bibl.
Carter, Peter, 64, 65, 69, 107, 129n, 187bibl. Göderitz, Johannes Gustav Ludwig, 22, 36 Mantese, Eleonora, 56n Rossi, Aldo, 12n, 19, 39, 49, 55n, 56n, 134, 186bibl.
Ching, Francis D. K., 187bibl. Goethe, Johann Wolfgang von, 15, 19 Martí Arís, Carlos, 4, 10, 12n, 18, 55n, 63, 65, 129n, 137n, Salvadori, Mario, 186bibl.
Choisy, Auguste, 18, 42, 55n, Grandinetti, Pierluigi, 55n 186bibl., 187bibl. Samonà, Giuseppe, 186bibl.
Cigala, Carolina, 4 Grashof, Franz, 44 Masiero, Roberto, 55n, 137n, Sansovino, Jacopo (nato Jacopo Tatti), 19
Cirici, Cristian, 187bibl. Grassi, Giorgio, 10, 12n, 16, 39, 40, 55n, 56n, 132, 186bibl., Massenzio (Marcus Aurelius Valerius Maxentius), 18, 27 Sartre, Jean-Paul Charles Aymard, 41
Clark, Roger H., 187bibl. 187bibl. Mertins, Detlef, 186 bibl. Savio, Andrea, 187bibl.
Cohen, Jean-Louis, 187bibl. Graves, Robert von Ranke, 55n Meyer, Hannes, 22 Scharoun, Bernhard Hans Henry, 62, 71, 110, 112,
Conte, Marco, 187bibl. Gregotti, Vittorio, 186bibl. Miano, Pasquale, 187bibl. Schiller, Johann Christoph Friedrich von, 134

188 189
Schinkel, Karl Friedrich, 20, 21, 50, 55n, 56n, 63, 64, 68, 89, INDICE DELLE OPERE Casa in campagna in mattoni, s.l., (Mies van der Rohe), 62, 63, 72 Padiglione dei Paesi Scandinavi alla XI Biennale, Venezia, (Fehn), 22
110, 111, 112, Casa nella Foresta Nera, Todtnauberg, (Heidegger), 38 Padiglione della Germania, Barcellona, (Mies van der Rohe), 63,
Schmarsow, August, 15, 55n, Casa Tugendhat, Brno, (Mies van der Rohe), 63, 73 65, 72, 73, 187bibl.
Schulze, Franz, 69, 129n, 187bibl. Cenotafio a Newton, Parigi, (Boullèe), 19 Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi, Roma, (Libera), 21, 34
Schwarz, Rudolf, 56n, 60, 64, 129n “Aulé” (cortile principesco), 7, 14 Chiesa di San Pietro, Roma, (Bramante_Michelangiolo_Maderno), Palazzo dell’Acqua e della Luce all’E’42, Roma, (Albini), 21, 34
Scortecci, Chiara, 186bibl. “Aule a confronto”, disegno, (Mies van der Rohe), 69, 82, 87 22 Palazzo della Ragione, Padova, (Giovanni degli Eremitani), 19, 22,
Seagram Company Ltd, 67 “Composizione”, dipinto, (Kandinsky), 76 Chiesa di Santa Sofia, Costantinopoli, 22 29
Sekler, Eduard F., 186bibl. “Composizione”, dipinto, (Mondrian), 63, 112 Chiesa e Convento di Santa Maria de La Tourette, Éveux, (Le Palazzo della Società delle Nazioni_Concorso, Ginevra, (Meyer),
Semerani, Luciano, 4, 12n, 38, 55n, 56n, 129n, 137n, 186bibl. “Concert Hall”, collage e disegno di studio, (Mies van der Rohe), Corbusier), 22, 35 22
Semper, Gottfried, 43, 56n, 65, 68, 95, 110, 76,97 Convention Hall, Chicago, (Mies van der Rohe), 5, 7, 10, 44, 61, Palazzo di Cnosso, Creta, 16
Sen, Amartya Kumar, 55n “Dipinto”, (Braque), 63, 74 65, 66, 68, 69, 70, 71, 81, 87, 101-102, 103-109,110, Palazzo Municipale, 18
Settis, Salvatore, 134, 137n “Guernica”, dipinto, (Picasso), 76 112, 123, 133, 140-151, Pantheon, Roma, (Apoloddoro da Damasco), 18, 19, 21, 22, 28,
Severino, Emanuele, 55n, 56n, 129n, 132, 137n, 186bibl. “Le differenti condizioni delle architetture”, disegno, s.l., (Le Corte principesca o Palazzo principesco, Grecia, (Dedalo?), 14, 44, 61, 112,
Sharp, Dennis, 187bibl. Corbusier), 61, 71 Crematorio_Woodland, Stoccolma, (Asplund), 21, 22, 33 Parlamento, Chandigarh, (Le Corbusier), 22, 35
Shelling, Friedrich Wilhelm Joseph von, 15 “Lezione di Roma”, disegno, (Le Corbusier), 50 Crown Hall, IIT Chicago, (Mies van der Rohe), 5, 7, 10, 44, 67, Portico (riparo_tetto), 14, 15, 16, 17, 18, 21, 22, 50, 55n, 63,
Sicignano, Enrico, 56n, 186bibl. “Mannaia”_”Featuring Alba”, scultura, Barcellona, (Kolbe), 73 68, 69, 84, 85, 87, 88-89, 90-94, 140-149, 152-160, 170, 65, 68, 70, 88, 102, 110, 129n, 186bibl.
Simmel, Georg, 132 “Mies”, film, (Blackwood), 8, 12n 179-182, 186bibl. Recinto Sacro, Micene, 16
Siola, Uberto, 137n “Mostra alla NNG”, dipinti, Berlino, (Mondrian), 124 Cupola di Santa Matia del Fiore, Firenze, (Brunelleschi), 61 Sala con tremila posti a sedere, Parigi, (Viollet-le-Duc), 20, 30
Solà Morales Rubió, Ignasi, 12n, 61, 129n, 137n, 187bibl. “Quadrato nero su fondo bianco”, dipinto, (Malevic̆),136 Curia Julia, Roma, (Faustus Sulla), 17, Sala ipostila, Delo, 16, 23
Spaeth, David A., 187bibl. “Ritmo di una danza russa”, dipinto, (van Doesburg), 63, 72 Dominion Centre, Toronto, (Mies van der Rohe), 66, 67 68, 70, 83, Sala ipostila_”delle cento colonne”, Persepoli, (Dario), 16
Speyer, A. James, 187bibl. “Scuola di Atene”, cartone Biblioteca Ambrosiana_Milano - affresco 150, 175, 176, 178-179, 180-181, 183 Salone d’Onore alla VI Triennale, Milano, (Persico), 21, 34
Spirito, Fabrizio, 4, 12n Stanza della Segantura, Palazzi Vaticani_Roma, (Raffaello), 19, 30 Elisabethkirke, Berlino, (Schinkel), 20, 27 Schauspielhaus, Berlino, (Schinkel), 20
Strabone, 19 “Studi di Aule”, disegno, (Mies van der Rohe), 87 Federal Centre, Chicago, (Mies van der Rohe), 60, 83 Scuola Grande della Misericordia, Venezia (Sansovino), 19
Stravinsky (Stravinskj), Igor’ Fëdorovi , 60, 129n, 186bibl. “Studio dei tracciati regolatori della Nuova Galleria di Berlino”, Festhalle_Colonia balneare, Rügen, (Tessenow), 50, 52, 54 Scuola Grande di San Rocco, Venezia, (Bon_Lombardo_Abbondi_dè
Stucky, Monica, 186 bil. disegno, (Burelli), Festhallen, 22 Grigi), 19
Sullivan, Louis, 67 “Studio per la Nuova Galleria di Berlino”, schizzo, (Mies van der Fiera, Breslavia, (Berg), 22, 36 Seagram building, New York, (Mies van der Rohe), 67
Summerson, John Newenham, Sir, 112, 129n, Rohe) 110, 115 Filarmonica di Stato, Berlino, (Sharoun), 71, 110, Sede della Compagnia Bacardi, Cuba, (Mies van der Rohe), 44,
Tafuri, Manfredo, 49 “Studio per un edificio, coperto e aperto sui lati, con colonnato Ginnasio all’IIT, Chicago, (Mies van der Rohe), 61 65, 66, 67, 68, 69, 70, 77-79, 81, 82, 87, 110, 129n,
Taut, Bruno, 22, 45, 62 monumentale”, disegno, (Tessenow), 50, 52 Halle Stadt und Land_progetto, Magdeburgo, (Taut), 22, 36 133, 186bibl, 150-151, 178-181, 183
Terlizzi, Patrizia, 4 162-167, 178-181, 183 Home Federal Saving and Loan building, Des Moines, IA (Mies van Singakademie, Berlino, (Schinkel), 20
Terragni, Giuseppe, 21, 186bibl. Acropoli, (tipo), 17, 18, 20, 71,133 der Rohe), 66,-67, 68, 69, 70, 129n, 86, 152-153, 173, Sporthallen, 22
Tessenow, Heinrich, 50, 57n, 70, 52, 54 Agorà, (tipo), 18, 24, 71,133 177, 179-182 Sporthalle, progetti didattici all’IIT, (Mies van der Rohe), 133, 136
Timoshenko (Tymoshenko), Stephen Prokopovych, 44 “Alpine Architektur”, disegno di città ideale, (Taut), 45 Jarhunderthalle, Breslavia (Berg), 22, 36 Stadhallen, 22, 36
Tommaso d’Aquino, santo, 61, 65, 133 Alta Corte di Giustizia, Chandigarh, (Le Corbusier), 22, 35 Kulturforum, Berlino, (Sharoun_Mies), 61, 110, 133, 71, 120, 124 Stadthalle, Magdeburgo, (Göderitz), 22, 36
Traiano (Marcus Ulpius Nerva Traianus),18, 27 Altes Museum, Berlino, (Schinkel), 20, 21, 89, 110, 112 Maison Citrohan, s.l., (Le Corbusier), 42 Stadthalle, Norimberga, (Hilberseimer), 50, 52-53
Trebbi, Giorgio, 187bibl. Anaktoron, 17 Maison Dominò, s.l., (Le Corbusier), 42, 45 Stoà, 18
Tugendhat, Ernst, 63, Ara di Ierone, Siracusa, (Ierone II), 16 Megaron, 14, 16, 17 Teatro coperto, Pompei, (Marco Artorio Primo), 18, 25
Urano (Ouranós),16 Basilica di Massenzio, Roma, (Costantino), 18, 27, 28 Mercati Traianei, Roma, (Apoloddoro da Damasco), 18, 27 Teatro Nazionale, Mannheim, (Mies van der Rohe), 5, 7, 10, 12n,
Vacchini, Livio, 137n Basilica, Vicenza (Palladio), 19, 29 Monumento a Karl Leibknecht e Rosa Luxemburg, Berlino, (Mies van 44, 62, 67-68, 69, 70, 95-96, 97-100, 110, 129n, 133,
Valéry, Paul, 14, 55n, Bauakademie, Berlino, (Schinkel), 20 der Rohe), 62, 72 140-149, 152-153, 155-160, 171-172, 177, 179-187, 187
van de Ven, Cornelis, 57n Biblioteca Centrale, Stoccolma, (Asplund), 21, 22, 32 Municipio, Parigi, (Boullèe), 19, 20, bibl.
van Doesburg, Theo, pseud. di Christian Emil Marie Képper, 63, 72 Biblioteca Comunale, Rödrove, (Jacobsen), 22, 37 Municipio, Rödrove, (Jacobsen), 22 Teatro nel Museo per una piccola città, 65, 75
Vattimo, Gianni, 56n Biblioteca di Sainte-Geneviève, Parigi, (Labrouste), 20 Museo per una piccola città, s.l., (Mies van der Rohe), 63, 65, 75, Telesterion, 16
Viganò, Paola, 55n, 186 bibl. Biblioteca Nazionale ed Universitaria, Lubiana, (Ple nik), 51 76, 95, 96, 112, Telesterion, Eleusi, (Ictinos_Filóne), 17, 101, 24, 26, 106
Viollet-le-Duc, Eugène Emmanuel, 20, 30, 42, 62 Biblioteca Nazionale, Parigi, (Boullèe), 19, 20, 30, 50, 88 Museo Schäfer, Schweinfurt, (Mies van der Rohe), 66, 68, 69, 110, Témenos (muro_recinto), 14, 15, 16, 17, 18, 19, 55n, 61, 62,
Vischer, Julius, 129n Biblioteca, Efeso, 11 80 63, 69, 101, 102, 112, 129n, 133, 186bibl.
Visconti, Federica, 4, 137n Borsa, Amsterdam, (Berlage), 20, 31 Museo, Alessandria d’Egitto, (Tolomeo I), 19 Tempio (tipo),16, 17, 18, 19, 42, 43, 60, 65, 111, 112, 134,
Vitruvio Pollione, Marco, 10, 41 Boulè, Pergamo, 18 Museo_”Monumento alla riconoscenza pubblica”, Parigi, (Boullèe), Tempio in àntis, 17
Wachsmann, Konrad, 44, 45, 57n, 102, Bouleteria, Mileto, Piene, Heracleia, Termessos, Assos, Kretopolis, 19, Tempio periptero, 16, 17, 18, 65, 102
Wachter, Gabriela von, 187bibl. 17, 25 Neue Nationalgalerie_NNG, Berlino, (Mies van der Rohe), 5, 10, Terme di Baia, Bacoli_Pozzuoli,
Wagner, W. F. Jr, 187bibl. Bouleterion, 16 44, 57n, 62, 64, 66, 68, 69, 70, 110-112, 113-128,133, Terme di Caracalla, Roma, (Aureliano)
Warburg, Aby Moritz, 62 Broletto, Lombardia, 19 140-151, 161, 163-167, 174-176, 178-179, 183, 186bibl., Thersilion, Megalopolis, 26
Whiffen, Marcus, 187bibl. Camera dei Comuni, Londra, 17 187bibl. Turbinenfabrik AEG, Berlino, (Behrens),
Wittgenstein, Ludwig Josef Johann, 61, 65, 129n, 137n Campo dei Miracoli, Pisa, 20, 61 Neue Wache, Berlino, (Schinkel), 21, 63, 64
Wright, Frank Lloyd, 110, 187bibl. Cantor Drive-in, Indianpolis, IND (Mies van der Rohe), 67, 68, 96,
Young, Jenny, 187bibl. 85, 152, 153, 169, 177, 179, 180, 182
Zeus, 16, 55n Capanna primitiva, (Laugier), 14, 15, 19, 43, 55, 23
Zevi, Bruno, 112, 129n, 187bibl. Capanna primitiva, (Le Cobusier), 14, 55, 23
Zucchi, Cino, 186bibl. Capanna primitiva, (Semper), 23
Zukowsky, John, 187bibl. Cappella all’IIT, (Mies van der Rohe), 61, 64, 129n, 168
Cappella, Stoccolma, (Asplund), 21, 33
Movimento Moderno, 10, 20, 60 Casa 50x50, s.l., (Mies van der Rohe), 65, 68, 69, 74, 81, 87,
Neue Saclickeit, 62 140-151, 161, 163-167, 180-181, 183
Novembergruppe, 62, 63 Casa a tre corti, s.l., (Mies van der Rohe), 63, 112, 187bibl., 74
De Stijl, 62 Casa Caine, Winnetka, IL (Mies van der Rohe), 65, 74
Casa Farnsworth, Plano, IL, (Mies van der Rohe), 65, 68, 69, 84,
87, 89, 96, 140-149, 152-154, 156-160, 180-182

190 191
Finito di stampare a Napoli
nel mese di dicembre 2010
per conto delle edizioni CLEAN
nelle Officine Grafiche Francesco Giannini e figli s.p.a.

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