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Abbreviazioni

AASL Archivio Storico dell’Accademia Nazionale di San Luca


ASF Archivio di Stato di Firenze
ASR Archivio di Stato di Roma
BnF Bibliothèque nationale de France
INO-CNR Istituto nazionale di ottica del Consiglio Nazionale di Ricerca
MdP Mediceo del Principato
ARTE DAL NATURALE

a cura di
Sybille Ebert-Schifferer, Annick Lemoine,
Magali Théron, Mickaël Szanto

CAMPISANO EDITORE
QUADERNI DELLA BIBLIOTHECA HERTZIANA
2
a cura di
Tanja Michalsky
Tristan Weddigen

Responsabile della redazione


Marieke von Bernstorff

Cura redazionale del volume


Caterina Scholl

Marie Caillat
Michela Corso

in copertina
Pieter Paul Rubens, Paesaggio al chiaro di luna,
1635-1640, olio su tela, 117,7 × 90,8 cm.
Londra, The Courtauld Gallery (foto The Samuel
Courtauld Trust, The Courtauld Gallery, London)

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può essere riprodotta o trasmessa
in qualsiasi forma o con qualsiasi
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00155 Roma, viale Battista Bardanzellu, 53
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campisanoeditore@tiscali.it
www.campisanoeditore.it
ISBN 978-88-85795-13-6
INDICE

pag. 7 INTRODUZIONE
Sybille Ebert-Schifferer, Annick Lemoine,
Magali Théron, Mickaël Szanto

9 L’HÉLÈNE DE ZEUXIS : UN PORTRAIT D’APRÈS NATURE ?


Emmanuelle Hénin

35 MODELS AND NATURES IN THE CARRACCI ACADEMY


Gail Feigenbaum

53 “DAL VIVO TRAHENDO”: ACADEMIES AND LIFE DRAWING


IN EARLY MODERN ITALIAN ART
Donatella Livia Sparti

71 NATURE ET DÉVOTION : LA MADONE À LA GUIRLANDE


DE JAN BRUEGHEL POUR FEDERICO BORROMEO
Elinor Myara Kelif

93 DIPINGERE DAL MODELLO NELLA NATURA MORTA ROMANA


DI PRIMO SEICENTO. DA CARAVAGGIO AGLI INIZI DI MARIO DEI FIORI
Patrizia Cavazzini

115 L’IMITAZIONE SCIENTIFICA DELLA NATURA


E LA TECNICA DI CARAVAGGIO
Filippo Camerota

129 THEORY AND PRACTICE REVISITED: FRANCESCO SCANNELLI


BETWEEN GIOVANNI BATTISTA AGUCCHI AND CARLO CESARE MALVASIA
Elizabeth Cropper

INDICE 5
151 LA NATURE LAIDE : DU PLAISIR PARADOXAL
DE L’IMITATION À LA BARBARIE DU « D’APRÈS NATURE »
Magali Théron

177 L’ARTISTE EN BERGER D’ARCADIE :


LE PAYSAGE « D’APRÈS NATURE » DE DÜRER À POUSSIN
Denis Ribouillault

209 POUSSIN D’APRÈS NATURE : LE FRAGMENT


COMME RÉFÉRENCE ET RÉMINISCENCE
Alain Mérot

223 DU RÉALISME SOCIAL À LA REALPOLITIK. CLAUDE GELLÉE


LE LORRAIN, SCÈNE DE PORT DE 1639
Frédéric Cousinié

245 NATURA SVELATA. LA «SVOLTA COMUNICATIVA»


NEI RITRATTI A BUSTO DI GIOVANNI LORENZO BERNINI
E LA RIVOLUZIONE SCIENTIFICA DEL SEICENTO
Damian Dombrowski

271 « GOÛT NATURE ». L’ ÉLOGE DE L’ART DE PEINTURE


DE PHILIPS ANGEL (LEYDE, 1642)
Léonard Pouy

291 LE NATUREL, OUI, MAIS QUELLE NATURE ? PITTORESQUE,


PEINTURE ET JARDIN DANS L’ANGLETERRE DU XVIII E SIÈCLE
Jan Blanc

313 INDICE DEI NOMI


6 INDICE
L’IMITAZIONE SCIENTIFICA DELLA NATURA
E LA TECNICA DI CARAVAGGIO
Filippo Camerota

Secondo una nota opinione di Leonardo, la storia delle arti è scandita da ri-
nascite e decadenze direttamente commisurate all’interesse degli artisti per lo
studio della natura. Più precisamente, l’arte attraversa periodi di declino
quando gli artisti imitano i maestri, mentre vive le glorie della rinascita quan-
do gli stessi scelgono come guida non altri che la natura 1. L’ultima rinascita
per Leonardo era stata ad opera di Masaccio che, come Giotto prima di lui,
aveva appreso i segreti della propria arte «dalle cose naturali». Una successi-
va rinascita, se volessimo proiettare in avanti il ragionamento vinciano, la do-
vremmo individuare nell’opera di Caravaggio che, come Masaccio, faceva
sembrare le cose «vive e vere» e considerava bravi pittori solo coloro che sa-
pevano «imitar bene le cose naturali». Il naturalismo del Merisi ebbe un ef-
fetto dirompente sulla cultura accademica del tempo, riflettendo con straor-
dinario tempismo l’analogo effetto che nel campo delle scienze avrebbe avuto
in quegli anni la filosofia naturale di Galileo.
Quando Caravaggio usciva di scena, nel 1610, il mondo scientifico veniva
scosso da un rinnovato sguardo sulle cose naturali; uno sguardo potenziato
da uno dei più efficaci strumenti per l’osservazione della natura, il cannoc-
chiale di Galileo, che quasi immediatamente divenne anche un mezzo per l’i-
mitazione della natura. In tal modo lo usò lo stesso Galileo per illustrare gra-
ficamente i risultati delle proprie osservazioni; Keplero ne fece un nuovo
strumento per la topografia e la pittura di paesaggio; ma le potenzialità pitto-
riche del telescopio furono dimostrate soprattutto da Lodovico Cigoli quan-
do dipinse il primo ritratto dal vero della Luna galileiana nella cappella Paoli-
na di Santa Maria Maggiore (fig. 1) 2.
Tra Masaccio e Caravaggio si colloca ovviamente lo stesso Leonardo, il di-
scepolo della natura per eccellenza, il maggior fautore dell’imitazione scienti-
fica della realtà e uno dei più raffinati teorici della prospettiva lineare, la di-
sciplina geometrica che, in quell’arco temporale di circa due secoli, aveva con-
ferito all’imitazione della natura una dimensione matematica senza preceden-
ti. Ciò spiega il credito che Galileo diede alla pittura nella documentazione

L’IMITAZIONE SCIENTIFICA DELLA NATURA E LA TECNICA DI CARAVAGGIO 115


1. Lodovico Cardi Cigoli,
Immacolata concezione,
affresco, 1612. Roma,
Santa Maria Maggiore,
Cappella Paolina (foto
Museo Galileo, Firenze)

visuale delle osservazioni astronomiche. Da quando gli artisti e i matematici


cominciarono a occuparsi di prospettiva lineare, vale a dire di applicazione
delle leggi dell’ottica alla rappresentazione pittorica, l’imitazione della natura
divenne un problema scientifico. Imitare la natura non significava solo ripro-
durre l’aspetto esteriore delle cose ma ricreare la formazione delle immagini
dall’interno, «dalle radici stesse della natura», come scriveva Leon Battista
Alberti 3; ricreare, cioè, il modo in cui la Natura dipinge se stessa proiettando
l’ombra delle cose, rispecchiandosi sulla superficie dell’acqua o lasciando fil-
trare un raggio di sole sulla parete di una camera oscura.

116 FILIPPO CAMEROTA


Ricreare dall’interno la formazione delle immagini significava appropriarsi
del modello geometrico che governa la visione e la propagazione della luce,
ed è sulla scorta di quel modello, ben delineato dalle fonti ottiche medievali,
che gli artisti furono in grado di elaborare la regola fondamentale della nuova
arte: il taglio della piramide visiva o del fascio luminoso con un piano corri-
spondente al quadro del pittore. Sul quadro – come su un muro esposto al
sole, sulla superficie dell’acqua o sulla parete di una camera oscura – le imma-
gini si disegnavano in base a una legge naturale di cui il pittore conosceva i
fondamenti geometrici e fisiologici.

Le regole geometriche si potevano applicare alla rappresentazione di qual-


siasi oggetto – come aveva dimostrato Piero della Francesca con la rappresen-
tazione analitica della testa umana 4 – ma nei casi più difficili era necessario
un lavoro improbo che mal si adattava alle necessità pratiche dei pittori. L’o-
perazione si poteva invece semplificare, senza perdere la legittimità geometri-
ca richiesta al disegno, facendo uso di appositi strumenti che riproducevano
meccanicamente il modello geometrico della rappresentazione prospettica.
Tali strumenti intervenivano soprattutto quando l’artista doveva inserire nel-
la composizione prospettica elementi copiati dal vero, solitamente oggetti
complessi e figure umane. Secondo il Cigoli, che sperimentò l’applicazione
pittorica del cannocchiale e dedicò agli strumenti un intero trattato di pro-
spettiva, la riproduzione meccanica della natura era necessaria quanto la co-
noscenza delle regole geometriche, poiché i pittori fallivano proprio nel mo-
mento in cui abbandonavano le regole per operare «a occhio e a caso» nel
disegno delle figure e dei paesaggi 5.
Gli strumenti erano prevalentemente meccanici; avevano varie forme e va-
rie applicazioni ma tutti operavano secondo lo stesso modello geometrico.
In alcuni casi il modello geometrico era sottinteso, come nel velo di Alberti o
nel vetro di Leonardo, in altri era del tutto esplicito, come nello sportello di
Albrecht Dürer, che anche a questo deve la sua fama per i due secoli successi-
vi 6. Alcuni strumenti consentivano di disegnare oggetti inesistenti, solo im-
maginati e progettati, come il prospettografo di Wentzel Jamnitzer, altri per-
mettevano di riprodurre fedelmente città e territori per ricavarne la pianta in
vera forma, come il prospettografo militare di Baldassarre Lanci 7. Altri an-
cora consentivano di disegnare anamorfosi, trasportare i disegni sulle pareti
e sulle volte, e perfino di riprodurre le immagini viste allo specchio o in una
camera oscura, cioè rovesciate, come il prospettografo universale di Lodovi-
co Cigoli 8.
Tra gli strumenti ‹matematici› che materializzavano i parametri fonda-
mentali della prospettiva – l’occhio, i raggi visivi e l’intersezione della pirami-
de visiva – ve ne erano alcuni che potremmo definire ‹naturali› in quanto re-
plicavano i tre modi menzionati in cui la natura dipinge se stessa; si tratta del-

L’IMITAZIONE SCIENTIFICA DELLA NATURA E LA TECNICA DI CARAVAGGIO 117


2. Rappresentazione prospettica di un rinfrescatoio
attraverso la proiezione dell’ombra secondo
Piero della Francesca (De prospectiva pingendi,
libro III, prop. XI), modello a cura di F. Camerota
(dalla mostra Piero della Francesca. Il disegno
tra arte e scienza, Reggio Emilia)
3. Ricostruzione virtuale del metodo descritto da
Daniele Barbaro (La pratica della perspettiva,
Venezia 1568, parte V) per disegnare le immagini
anamorfiche attraverso la proiezione luminosa
(a cura di Filippo Camerota; grafica Fabio Corica)

118 FILIPPO CAMEROTA


la proiezione delle ombre, dello specchio e della camera oscura. Questi proce-
dimenti naturali, proprio perché non erano ‹matematici›, trovarono posto
solo marginalmente nei trattati di prospettiva ma furono certamente praticati
nelle botteghe, ed è a tali strumenti, o almeno ai primi due, che Caravaggio
sembra aver rivolto la sua attenzione per osservare e dipingere al meglio le co-
se naturali.
I tre modi naturali in cui la natura si trasforma in immagine sono tutti in-
dicati dalle fonti come i fenomeni che avrebbero dato origine alla pittura. La
proiezione dell’ombra è menzionata da Plinio il Vecchio che attribuiva l’in-
venzione della pittura alla leggendaria fanciulla di Corinto, la quale avrebbe
disegnato il primo ritratto della storia seguendo il contorno dell’ombra della
persona amata proiettata sul muro dalla luce di una lanterna o dalla luce sola-
re 9. Il primo disegno, dunque, non ritraeva un oggetto dal vero ma una sua
immagine già ridotta in due dimensioni; era, cioè, il calco di un disegno ge-
nerato dalla Natura. La proiezione dell’ombra seguiva gli stessi principi geo-
metrici dell’intersezione dei raggi visivi, tanto che lo stesso Alberti ne suggerì
l’applicazione per disegnare speditamente la prospettiva di un cerchio, facen-
do però attenzione a collocare «il corpo quale facesse ombra» – nel caso
specifico un disco orizzontale – «con sua ragione in suo luogo» 10.
Tracce di questo metodo sono evidenti anche in chiusura del De prospectiva
pingendi, dove Piero della Francesca insegna a disegnare quelle che più tardi
diverranno note come anamorfosi (fig. 2) 11. La rappresentazione, ottenuta
proiettando l’oggetto su un piano posto al di là di esso, è l’ombra allungata
dell’oggetto stesso che torna ad assumere le proporzioni del corpo a cui ap-
partiene solo quando l’occhio la guarda dal punto in cui si trova il lume che
l’ha prodotta. Riferendosi forse alle proposizioni di Piero, Daniele Barbaro
insegnò per primo a disegnare le immagini anamorfiche con un procedimen-
to pratico fondato sulla proiezione luminosa di un disegno bucherellato «co-
me per fare uno spolvero» (fig. 3). L’ombra risolveva i problemi più difficili
delle proiezioni geometriche, tanto che anche il planisfero tolemaico si spie-
gava meglio attraverso la proiezione dell’ombra di una sfera armillare (fig. 4).
La pratica di bottega in questo caso è ben documentata da un noto disegno
del Codice Huyghens (fig. 5) e da un passo dell’autobiografia di Benvenuto
Cellini in cui l’autore indica la proiezione delle ombre come un procedimen-
to diffusamente applicato dai più grandi maestri. «Noi pigliavamo un uomo
giovane di bella fatta» – scrive Cellini – «di poi in una camera, dove fussi
imbiancato [...] messogli un lume a ragione di dietro [...] lo mettevamo con
quella discrezione che ci mostrava il più bello ed il più vero. E veduto quel-
l’ombra che esso faceva nel muro, facendolo star fermo, prestamente si proffi-
lava la detta ombra; da poi facilmente si faceva passare alcune linee, le quali
non mostrava l’ombra [...]. Adunque questo modo del disegnare è quello che
ànno usato i migliori maestri» 12.

L’IMITAZIONE SCIENTIFICA DELLA NATURA E LA TECNICA DI CARAVAGGIO 119


4. François d’Aguillon (Aguilonius),
Opticorum libri sex, Anversa 1613,
libro VI: il disegno del planisfero come
proiezione dell’ombra di una sfera
armillare (foto Museo Galileo, Firenze)
5. Carlo Urbino, Cod. Huygens, fol. 90r:
Del foco. Terza per l’ombra
dimostratione, ca. 1570. New York,
The Morgan Library & Museum,
inv. 2006.14:90 (foto The Morgan
Library & Museum)

120 FILIPPO CAMEROTA


Fatto il profilo sul contorno dell’ombra, il riempimento dell’area circoscrit-
ta veniva poi eseguito «facilmente» osservando il modello dal vero. Come
suggeriva anche Annibale Carracci ai suoi allievi, «fate dapprima un buon
contorno e poi (qualunque cosa vi facciate dentro) sarà un buon quadro» 13.
Caravaggio sembra che ne abbia fatto un vero e proprio metodo di lavoro.
Come rivelano le recenti indagini diagnostiche sulle opere del maestro, le so-
le tracce grafiche riferibili a un disegno preparatorio sono le linee di contor-
no delle figure dipinte 14.
Sembrerebbe cioè che il pittore usasse disporre i suoi modelli davanti alla
tela, o dietro un tessuto sottile utilizzato come supporto preparatorio, rical-
cando il profilo delle loro ombre per ottenere velocemente un disegno pro-
spetticamente e proporzionalmente corretto (fig. 6). Data la grandezza delle
figure, quasi sempre al naturale, si direbbe però che l’artista non si sia servito
di una lanterna, che avrebbe prodotto ombre più grandi, ma piuttosto di uno
specchio, che, convogliando sulle figure la luce del sole, non ne alterava le di-
mensioni. Il riempimento delle sagome era poi affidato all’osservazione diret-
ta del modello, abbigliato e illuminato come in un teatro di posa. Secondo
un’ipotesi ormai di lunga data, anche la fase dell’osservazione diretta sarebbe
stata affidata a uno specchio, che in questo caso avrebbe avuto lo stesso ruolo
dell’ombra proiettata, ossia fornire una pittura naturale che mostrasse l’ogget-
to già ridotto nelle due dimensioni.
Un caso particolare in cui Caravaggio potrebbe aver usato la proiezione
dell’ombra è la Medusa degli Uffizi, delineata replicando il disegno già ese-
guito per la cosiddetta Medusa Murtola. Le due Meduse, come è noto, sono
identiche nella forma ma non nelle dimensioni; quella degli Uffizi è legger-
mente più grande e fu eseguita senza alcun disegno preparatorio. La Medusa
Murtola, invece, presenta un disegno preparatorio molto dettagliato e tor-
mentato che sembra tradire una difficoltà operativa, forse dovuta al supporto
convesso della rotella su cui è dipinta. L’ipotesi che ho avanzato in altra sede
per spiegare la perfetta coincidenza delle due immagini, pur di dimensioni di-
verse, è che l’artista abbia dapprima ridisegnato i lineamenti della prima Me-
dusa su un vetro, seguendo il procedimento di Leonardo e Albrecht Dürer, e
successivamente proiettato l’ombra di quel disegno sulla seconda rotella,
adattando l’immagine alla grandezza del nuovo supporto (fig. 7) 15.
Non è da escludere che lo stesso procedimento possa essere stato usato per
disegnare sulla grande tela del Martirio di San Matteo lo sfondo architettoni-
co che compare solo nella prima versione poi abbandonata del dipinto, e che
riproduce con notevole esattezza alcuni particolari ricomposti del disegno di
Bramante per la cosiddetta incisione Prevedari. L’ipotesi presuppone ovvia-
mente che Caravaggio possedesse una stampa, o un disegno ricavato dall’inci-
sione durante il suo periodo milanese, e che ne abbia ricalcato alcune parti
sulla superficie del vetro, componendole a suo piacimento 16.

L’IMITAZIONE SCIENTIFICA DELLA NATURA E LA TECNICA DI CARAVAGGIO 121


6. Ipotesi del procedimento usato
da Caravaggio per disegnare
la sagoma dei modelli con
la proiezione dell’ombra
(a cura di Filippo Camerota;
grafica Fabio Corica)
7. Ipotesi del procedimento usato
da Caravaggio per ingrandire
la testa della Medusa sulla rotella
degli Uffizi (a cura di Filippo
Camerota; grafica Fabio Corica)

Per garantire la nitidezza del segno nella proiezione dell’ombra, che in que-
sto caso vede il supporto piuttosto lontano dal disegno sul vetro, il pittore
potrebbe aver usato lo specchio convesso menzionato nell’inventario dei suoi
beni e raffigurato nella Conversione di Maddalena. Quel tipo di specchio, in-
fatti, proietta un’ombra più grande, perché i raggi riflessi sono divergenti, ma
estremamente nitida. Nell’inventario citato, si legge anche di uno specchio
piano di grandi dimensioni che il pittore avrebbe potuto usare in vari modi:
per riflettere la luce del sole, per osservare i modelli o per ritrarre se stesso in
scorcio dal basso durante la preparazione dei disegni per l’affresco del Casino
Ludovisi 17. Giovanni Baglione ci informa di alcune piccole composizioni ri-

122 FILIPPO CAMEROTA


tratte allo specchio 18, e certamente allo specchio l’artista convalescente ritras-
se se stesso nelle vesti del cosiddetto Bacchino malato.
Al di là del mito di Narciso, considerato già da Alberti come l’origine della
pittura 19, che forniva comunque un elemento carico di suggestione, lo spec-
chio rappresentava una sorta di pittura naturale che poteva insegnare più di
quanto si potesse ricavare dai maestri. Secondo un’opinione ampiamente con-
divisa, sulla scorta dei precetti di Leonardo, lo scopo del pittore era «far figu-
re a imitazione del naturale». Lo sostiene ad esempio Paolo Pino che indica
proprio nello specchio uno strumento adatto allo scopo: «e quel modo di ri-
trare li paesi nello specchio, (come usano li Tedeschi) è molto al proposi-
to» 20. Specchi scuri leggermente convessi, di metallo, di ossidiana o di pietra
nera – come più tardi lo ‹specchio di Lorraine› – permettevano di visualiz-
zare ampie vedute paesaggistiche smorzando il bagliore della luminosità dif-
fusa ed esaltando i mezzi toni; i contorni apparivano più morbidi e gli scuri
rinvigoriti. «L’arte nostra» – scrive ancora Paolo Pino parafrasando Leonar-
do – «fa l’effetto che fa lo specchio il qual riceve in sé quella forma che se gli
oppone dinanzi» 21. Secondo Leonardo era proprio dall’osservazione delle
cose negli specchi che si poteva imparare «il chiaro e l’oscuro e lo scorto di
qualonche obbietto [...]» 22, elementi decisivi nell’opera di Caravaggio, dove
il contrasto tra luce e ombra corrisponde a quanto si può osservare sulla su-
perficie di uno specchio, che mostra l’immagine sempre più cupa di quella
reale e i contrasti luminosi più accentuati.
Anche Galileo si servì del paragone con lo specchio per spiegare il fenome-
no della luminosità della Luna, dimostrando che la superficie lunare è aspra e
opaca e non liscia e lucida come si credeva per tradizione 23. Uno specchio ap-
peso a una parete illuminata dal sole, spiegava Galileo, appare sempre più scu-
ro della parete stessa, salvo nell’unico caso in cui l’occhio di chi guarda si alli-
nea con la direzione riflessa dei raggi solari.
Allo specchio era anche attribuita una funzione di verifica dei difetti del
disegno, come suggerisce ancora Leonardo: «Quando tu voi vedere se la
tua pittura tutta insieme à conformità colla cosa ritratta di naturale, abbi
uno specchio e favvi dentro specchiare la cosa viva, e paragona la cosa spe-
chiata colla tua pittura [...]. Lo specchio si de’ pigliare per suo maestro [...];
la tua pittura parrà ancora lei una cosa naturale vista in uno grande spec-
chio» 24. E perfino «l’ingegno del pittore», spiegava Leonardo, era para-
gonabile allo specchio, «il quale sempre si trasmuta nel colore di quella co-
sa ch’egli ha per obbietto, e di tante similitudini s’empie, quante sono le co-
se che gli sono contrapposte [...] le quali non saprai fare se non le vedi e ri-
trarle nella mente» 25. Tenere «l’oggetto tanto a lungo esposto ai propri oc-
chi nel proprio studio» 26, come faceva Caravaggio secondo Joachim von
Sandrart, serviva proprio a fissare l’immagine nella mente nel senso inteso
da Leonardo.

L’IMITAZIONE SCIENTIFICA DELLA NATURA E LA TECNICA DI CARAVAGGIO 123


Non possiamo escludere che Cavaraggio abbia anche attentamente studia-
to le caratteristiche dell’immagine prodotta dalla luce in una camera oscura.
Il fenomeno era noto e riprodotto artificialmente nelle botteghe, come di-
mostra un bel disegno di Giulio Parigi (fig. 8), ma è difficile credere che gli
artisti possano averne tratto giovamento in modo analogo alla proiezione
delle ombre o all’uso dello specchio, salvo nel caso della pittura di paesaggio.
La luce che penetra in una stanza buia attraverso un piccolo foro proietta sul-
la parete prospiciente forme, colori e chiaroscuro delle cose situate all’ester-
no; l’immagine, però, non ha profondità di campo e, mentre mostra benissi-
mo le cose lontane, riproduce solo parzialmente a fuoco quelle vicine. I vedu-
tisti del Settecento ne trassero enorme giovamento perché l’oggetto dei loro
dipinti era tutto perfettamente a fuoco, ma i pittori come Caravaggio che di-
pingevano oggetti vicini non ne avevano alcun vantaggio poiché la messa a
fuoco doveva essere continuamente corretta, con conseguente perdita dei
rapporti proporzionali tra le cose.
Secondo Lodovico Cigoli, l’ipotesi che il primo dipinto della storia fosse
stato eseguito ricalcando un’immagine di questo genere era più credibile del-
l’aneddoto riportato da Plinio: «poi che l’ombra i termini estremi solo dimo-
stra, e questa non solo gl’estremi, ma le parti di mezzo, con ogni maggior pro-
prietà, che in artifiziosa pittura si possa desiderare» 27. Nonostante questo,
tuttavia, e nonostante l’esperienza che l’artista ne fece per rilevare le macchie
solari in collaborazione con Galileo, la camera oscura non fu inclusa tra gli
strumenti ad uso degli artisti diffusamente illustrati nel suo trattato. Il feno-
meno naturale, invece, gli servì per spiegare il meccanismo della visione: co-
me in una stanza buia, spiega il Cigoli sulla scorta di Keplero 28, la luce penetra
nell’occhio attraverso la pupilla e, rifratta dalla lente cristallina, è accolta dalla
retina, dove l’immagine si forma come sulla superficie bianca e liscia di una
parete. Proprio questo paragone permise a Keplero di identificare l’immagine
retinica come «pictura», per distinguerla dall’immagine incorporea delle co-
se che secondo l’antica dottrina atomistica occupa lo spazio che ci circonda.
Nella descrizione di Daniele Barbaro – l’unico a includere la camera oscura
tra gli strumenti ad uso degli artisti – il fenomeno è presentato come un «mo-
do naturale di mettere in prospettiva» 29. La variante artificiale che trasforma-
va il fenomeno in uno strumento per l’imitazione della natura era una lente da
occhiali montata nel foro d’ingresso della luce. La lente, opportunamente dia-
frammata, serviva a intensificare i colori e la nitidezza dell’immagine ma non
risolveva il problema della scarsa profondità di campo. Barbaro se ne occupò
sotto lo stimolo dei suoi interessi scientifici che sicuramente riflettevano i con-
temporanei studi di Ettore Ausonio sullo specchio concavo sferico, tra le cui
qualità c’era anche quella di raddrizzare l’immagine capovolta della camera
oscura 30. Negli stessi anni, Giovanni Battista Della Porta ne aveva fatto uno
dei temi più spettacolari della sua Magia Naturale, suggerendone anche l’uso

124 FILIPPO CAMEROTA


8. Giulio Parigi, Taccuino di schizzi di
architettura militare, geometria, meccanica,
ecc., sec. XVII. Proiezione della cupola del
duomo fiorentino in una camera oscura.
Washington, The Library of Congress,
Rosenwald Collection, Ms. 1363, c. 249r
(foto The Library of Congress)
9. Giulio Parigi, Taccuino di schizzi di
architettura militare, geometria, meccanica,
ecc., sec. XVII. Washington, The Library of
Congress, Rosenwald Collection, Ms. 1363,

L’IMITAZIONE SCIENTIFICA DELLA NATURA E LA TECNICA DI CARAVAGGIO 125


ai pittori dilettanti per eseguire i ritratti 31. Il raddrizzamento dell’immagine
con uno specchio concavo, in quel caso, era di grande utilità e sembra che di
fatto, almeno in forma sperimentale, alcuni artisti ne abbiano fatto uso.
Lo specchio concavo illustrato nel già citato taccuino di Giulio Parigi è
quasi certamente da mettere in relazione all’uso della camera oscura presenta-
to nella pagina precedente (fig. 9). La mancanza di note esplicative non lo
conferma ma i due disegni in successione sembrano dire proprio questo. La
combinazione della lente e dello specchio concavo, inoltre, aveva il potere di
ingrandire le immagini ed è proprio sperimentando l’uso della camera oscura
che alla corte medicea, sul finire del Cinquecento, Raffaele Gualterotti mise
a punto un cannocchiale pregalileiano ad uso militare 32.
Di queste sperimentazioni era certamente al corrente il cardinale Francesco
Maria Del Monte, sia per i suoi interessi scientifici sia per la sua vicinanza alla
corte medicea. Per Caravaggio, suo protetto, Del Monte sarebbe stato l’inter-
locutore ideale qualora il pittore avesse coltivato simili interessi. L’ipotesi che
Caravaggio abbia fatto uso della camera oscura, invece, contrasta nettamente
anche con il silenzio del suo protettore, che nella sua fitta corrispondenza
scientifica ne avrebbe certamente fatto cenno. Al di là di questo, tuttavia, lo
strumento poneva seri problemi pratici. Le immagini prodotte dalla luce en-
tusiasmavano i filosofi naturali anche perché erano in movimento, ma per i
pittori il risultato non era tale da garantire una rappresentazione migliore o
di più facile esecuzione rispetto al copiare dal vero, salvo nel caso delle vedute
architettoniche. Lenti e specchi, poi, dovevano essere di alta qualità per ga-
rantire una proiezione soddisfacente, e alla fine del Cinquecento questo re-
quisito non era ancora uno standard. Nel suo importante trattato di ottica
del 1604, Keplero ricorda di aver visto a Dresda una camera oscura con una
lente di ben un piede di diametro (33 cm), ma era un caso raro che richiedeva
un processo di lavorazione difficile 33. Il controllo della focale richiedeva una
pasta vitrea molto raffinata, un’assoluta precisione della curvatura della lente
e una politura omogenea, requisiti che non furono soddisfatti se non dopo la
diffusione del cannocchiale. Vermeer forse ne trasse vantaggio ma Caravag-
gio certamente no.
Nello specifico, né lenti né specchi concavi furono trovati in casa di Cara-
vaggio nella perquisizione del 1605 34. Nessun oggetto, mobile o suppellettile
elencato nell’inventario redatto in quella occasione fa pensare all’allestimento
di una camera oscura. Non c’era un tessuto nero, ad esempio, che avrebbe do-
vuto separare la zona illuminata con i modelli in posa dalla zona oscurata in
cui avrebbe dovuto lavorare il pittore. E del resto, l’illuminazione dei modelli
attraverso un lucernario non era sufficiente a proiettare un’immagine abba-
stanza chiara. Barbaro e Della Porta parlano esplicitamente di oggetti esposti
al sole, fortemente illuminati, condizione necessaria affinché l’immagine
proiettata potesse risultare chiara e nitida. Altra condizione era che lo ‹scher-

126 FILIPPO CAMEROTA


mo› – foglio, tela o muro – fosse bianco, mentre Caravaggio dipingeva pre-
valentemente su una preparazione bruna; l’eventuale immagine proiettata,
quindi, non sarebbe stata sufficientemente leggibile. Ma anche nel caso della
proiezione su fondo bianco, la nitidezza dell’immagine non uguagliava quella
riflessa da uno specchio piano, che in ultima analisi resta, con la proiezione
delle ombre, lo strumento più probabile del naturalismo di Caravaggio.

Note
1
Il Codice Atlantico della Biblioteca Ambrosiana di Milano, trascrizione diplomatica e critica di Augu-
sto Marinoni, 12 voll., Firenze 1973-1980, vol. 5, 1977, pp. 103-105, fol. 387r. Il passo è citato in Paolo
Galluzzi, Leonardo e i proporzionanti, XXVIII Lettura Vinciana, 16 aprile 1988, Firenze 1989, pp. 29s.
2
Filippo Camerota, Linear Perspective in the Age of Galileo. Lodovico Cigoli’s Prospettiva pratica, Fi-
renze 2010, pp. 5s.
3
Leon Battista Alberti, De pictura (redazione volgare), a cura di Lucia Bertolini, Firenze 2011, p. 204
(Prologus): «Vederai tre libri: el primo, tutto matematico, dalle radici entro dalla natura fa sorgere
questa leggiadra e nobilissima arte [...]».
4
Piero della Francesca, De prospectiva pingendi, a cura di Giusta Nicco Fasola, Firenze 1942 (ried.
1974), libro III, prop. VIII.
5
Camerota 2010 (nota 2), pp. 285s.
6
Lo «sportello» – «türlein» nel testo di Dürer (Underweysung der Messung, Norimberga 1525, IV)
– è descritto nei trattati di prospettiva fino al XVIII secolo.
7
Filippo Camerota, Il distanziometro di Baldassarre Lanci: prospettiva e cartografia militare alla corte
dei Medici, in Musa Musaei. Studies on Scientific Instruments and Collections in Honour of Mara Mi-
niati, a cura di Paolo Galluzzi, Marco Beretta e Carlo Triarico, Firenze 2003, pp. 79-92.
8
Camerota 2010 (nota 2), pp. 66s.
9
Plinio il Vecchio (Plinius Secundus), Storia Naturale, 5 voll., Torino 1982-1988, ed. critica a cura di
Antonio Corso, Rossana Mugellesi e Giampiero Rosati, vol. 5, 1988, pp. 307s.: «Non si sa certo, ne
anche fa al proposito nostro, quando la pittura avesse principio. Ma gli Egitij affermano, che essi ne
furono inventori sei mila anni innanzi ch’essa passasse in Grecia, ma non v’è dubbio alcuno, ch’essi
dicono il falso. I Greci alcuni dicono, ch’ella fu trovata a Sicione e alcuni a Corintho, ma tutti s’ac-
cordano, che fosse trovata dall’ombra, tirandovi le linee intorno».
10
Alberti 2011 (nota 3), libro II, 10, p. 267.
11
Piero della Francesca 1942 (nota 4), libro III, propp. X-XII; cfr. Piero della Francesca. Il disegno tra
arte e scienza (catalogo della mostra Reggio Emilia), a cura di Filippo Camerota et al., Milano 2015,
pp. 281s.
12
Benvenuto Cellini, Sopra l’arte del disegno, in La vita, i trattati, i discorsi, a cura di Pietro Scarpelli-
ni, Roma 1967, pp. 562s.
13
Giuseppe Carpani, Del bello ideale e delle opere di Tiziano. Lettere di Giuseppe Carpani, Padova
1820, pp. 86s: «Che il colorito sia la parte più essenziale della pittura, il sostiene il sig. cavaliere; ma
così al certo non la pensava quell’Annibale Carracci (quantunque entusiasta quant’altri mai del Ti-
ziano), allorché predicava a’ suoi scolari: ‹buon contorno ed una meta nel mezzo, e fatto avrete un
bel quadro›».
14
Mi riferisco alle indagini eseguite sulla Cena in Emmaus dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze
e dall’INO-CNR, nonché alle indagini svolte da Emmebi Diagnostica Artistica, Roma, su altre
opere di Caravaggio; cfr. Caravaggio. Opere a Roma: tecnica e stile, a cura di Rossella Vodret et al.,
Cinisello Balsamo 2016.
15
Filippo Camerota, Perseo e Caravaggio: la mano guidata dalla scienza, in La prima Medusa. Cara-
vaggio, a cura di Ermanno Zoffili, Milano 2011, pp. 120-147.
16
Il tempio del martirio, in Caravaggio. La Cappella Contarelli (catalogo della mostra Roma), a cura
di Marco Cardinali e Beatrice De Ruggeri, Roma 2011, pp. 43-46, 117-122.

L’IMITAZIONE SCIENTIFICA DELLA NATURA E LA TECNICA DI CARAVAGGIO 127


17
Nel caso ipotetico dell’uso dello specchio per disegnare figure in scorcio tengo a precisare che, se
così fosse stato, l’artista lo avrebbe potuto fare solo nel suo studio, per redigere disegni preliminari,
non direttamente nel casino Ludovisi dove la presenza dei ponti di servizio non avrebbe potuto con-
sentirlo. Questa nota intende correggere quanto mi viene attribuito (senza che io lo abbia mai soste-
nuto) in Sybille Ebert-Schifferer, «Caravaggio e la luce nell’atelier», in Lumen Imago Pictura. La
luce nella storia dell’ottica e nella rappresentazione visiva da Giotto a Caravaggio, a cura di Sybille
Ebert-Schifferer, Pietro Roccasecca, Andreas Thielemann, Roma 2018, p. 63, nota 83.
18
Giovanni Baglione, Le Vite de’ Pittori, Scultori et Architetti. Dal Pontificato di Gregorio XIII del
1572 in fino a’ tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642, Roma 1642, p. 136.
19
Alberti 2011 (nota 3), libro II, 2, p. 251.
20
Paolo Pino, Dialogo di pittura (Venezia 1548), a cura di Ettore Camesasca, Milano 1954, p. 70; cfr.
anche Trattati d’arte del Cinquecento, a cura di Paola Barocchi, 3 voll., Bari 1960-1962, vol. 1, 1960,
pp. 93-139.
21
Pino 1954 (nota 20), p. 23.
22
Leonardo da Vinci, Libro di pittura. Codice Urbinate lat. 1270 nella Biblioteca Apostolica Vaticana,
a cura di Carlo Pedretti, trascrizione critica di Carlo Vecce, 2 voll., Firenze 1995, vol. 2, parte terza,
§ 410, p. 303. Fino al XVIII secolo gli specchi erano fabbricati con un amalgama di stagno e mercu-
rio che restituisce un fondo più cupo rispetto a quello prodotto dall’argentatura in uso dopo la metà
dell’Ottocento.
23
Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Giornata prima, in Le opere di Gali-
leo Galilei, Edizione Nazionale a cura di Antonio Favaro, 20 voll., 1a ed. 1890-1909, Firenze 1929-
1939, vol. 7, 1934, pp. 97s.: Salviati: «Dite, signor Simplicio: se voi aveste a ritrar quel muro, con
quello specchio attaccatovi, dove adoprereste voi colori più oscuri, nel dipignere il muro oppur nel
dipigner lo specchio?». Simplicio: «Assai più scuri nel dipigner lo specchio». [...] Sagredo: «effet-
to [lo splendore della luna] che risponde a capello a quel del muro, che, riguardato da qualsivoglia
luogo, apparisce egualmente chiaro, e discorda dallo specchio, che da un luogo solo si mostra lumi-
noso e da tutti gli altri oscuro».
24
Leonardo da Vinci 1995 (nota 22), vol. 1, parte terza, § 408, p. 302.
25
Leonardo da Vinci 1995 (nota 22), vol. 1, parte seconda, § 56, pp. 171s.
26
Joachim von Sandrart, Academia Nobilissimae Artis pictoriae, Norimberga 1683, parte seconda, li-
bro II, cap. XIX, p. 181. Su questa testimonianza, cfr. le osservazioni di Ferdinando Bologna, L’incre-
dulità del Caravaggio e l’esperienza delle “cose naturali”, Torino 1992, pp. 152s.
27
Camerota 2010 (nota 2), p. 119 [c. 6v].
28
Johannes Kepler, Ad Vitellionem Paralipomena, Francoforte 1604, cap. V, p. 168.
29
Daniele Barbaro, La pratica della perspettiva, Venezia 1568, parte IX, cap. V: Modi naturali di met-
tere in Perspettiva.
30
Ettore Ausonio, Di una nuova invenzione d’uno specchio, Milano, Biblioteca Ambrosiana, m.s. A
71 Inf., foll. 20r-21v, in Sven Dupré, Galileo, the Telescope and the Science of Optics in the Sixteenth
Century. A Case Study of Instrumental Practice in Art and Science, PhD, Università di Gand, 2002,
Appendix I, pp. 323s. (online: https://lib.ugent.be. Accesso 12.10.2017).
31
Giovanni Battista Della Porta, Magiae naturalis, sive De miraculis rerum naturalium libri IIII, Ro-
ma 1558 (edizione ampliata in 20 libri, Napoli 1589), Libro IV, II: «Quisque picturae ignarus, rei ali-
cuius effigiem stylo descrivere possit». Ed. italiana, De i miracoli et marauigliosi effetti dalla natura
prodotti libri IIII / di Giouanbattista Porta...; nouamente tradotti di latino in lingua uolgare & con
molta fatica illustrati con due tauole, l’una de’ capitoli, l’altra delle cose piu notabili, Venezia 1560, Li-
bro IV, II, p. 142.
32
Raffaele Gualterotti, Lettera a Galileo, 24 aprile 1610, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Ms
Gal. 88, c. 126r: «Hora 12 anni sono io feci uno strumento, ma non già a fine di veder gran lonta-
nanze, e misurar le stelle, ma per benefizio d’un cavaliere in giostra, e in guerra, e lo proposi al
Ser.mo Gra’ Ferdinando, et insieme all’Ill.mo et Eccl.mo Sig. Duca di Bracciano Don Virginio Orsi-
no, ma parendomi debol cosa lo trascurai».
33
Kepler 1604 (nota 28), cap. V, prop. V, p. 181.
33
Maurizio Marini e Sandro Corradini, «‹Inventarium omnium et singulorum bonorum mobi-
lium› di Michelangelo da Caravaggio ‹pittore›», Artibus et Historiae, 14, 28 (1993), pp. 161-176.

128 FILIPPO CAMEROTA

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