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La comparsa dei sintomi è solitamente acuta, ma può presentare più raramente un andamen-
to fluttuante o progressivo. Un’evoluzione graduale dei sintomi in più giorni o settimane è inu-
suale, tranne che nel caso della trombosi dei seni venosi o in alcuni casi di ictus vertebrobasi-
lare.
Circa il 20%-40% dei pazienti con ictus ischemico possono presentare un peggioramento
spontaneo nelle ore successive e fino ad una settimana dall’esordio dei sintomi.11 Circa il
10%-20% dei pazienti presenta un peggioramento del quadro neurologico entro le 24 ore.12
Una progressione dei sintomi è più frequente nei soggetti con ischemia nel territorio verte-
brobasilare.
L’insieme dei sintomi riflette il territorio cerebrale colpito. Raramente sono presenti sintomi
riferibili a territori vascolari differenti. Al deficit neurologico focale possono accompagnarsi
nausea, vomito, cefalea, crisi convulsive o alterazioni dello stato di coscienza.13
Nausea e vomito sono più comuni in presenza di emorragia intraparenchimale ma possono
essere presenti anche nel caso di lesioni ischemiche nel territorio vertebrobasilare (cerebellari
o del tronco dell’encefalo). Sono rari in caso di ictus emisferico. La cefalea di grado lieve-
moderato è presente nel 16%-34% dei pazienti con ictus ischemico. La presenza di cefalea
intensa è invece suggestiva di emorragia intraparenchimale o subaracnoidea.
Lo stato di coscienza può essere obnubilato o soporoso nei pazienti con ictus maggiore.
Nell’ictus emisferico la depressione dello stato di coscienza compare solitamente dopo alme-
no 24 ore dall’esordio dei sintomi. La rapida comparsa di uno stato di coma è presente più fre-
quentemente nei pazienti con emorragia intraparenchimale o ictus maggiore nel territorio ver-
tebrobasilare.
Si distinguono:
• ictus ischemico: ictus con evidenza di lesione ischemica o TC normale e clinica indicativa di
ictus;
• ictus ischemico con infarcimento emorragico o infarto rosso: ictus con evidenza di lesione
ischemica con emorragia nel proprio ambito;
• ictus emorragico o emorragia intracerebrale primaria: ictus con evidenza di lesione pura-
mente emorragica.
L’ischemia cerebrale rappresenta oltre l’80% di tutti i primi ictus e l’emorragia intraparenchi-
male meno del 15%; questo rapporto è simile in tutti gli studi nei quali esso è stato verificato
mediante l’uso della TC cerebrale in fase acuta.
Varie scale di valutazione sono state proposte per differenziare clinicamente l’ictus ischemico
da quello emorragico.14-16 Tuttavia, benché il rapporto fra ictus ischemico ed emorragico sia
di circa 8:1 è improbabile che ciascuna di queste scale abbia un grado di affidabilità maggio-
re del 90%, mentre la differenziazione fra ictus ischemico ed emorragico è fondamentale per
le ovvie differenze di trattamento, ivi compresa la inopportunità di somministrazione di tera-
pie antitrombotiche a pazienti con emorragia cerebrale come accaduto negli studi IST 17 e
CAST.18
Le caratteristiche cliniche che possono orientare nella diagnosi differenziale tra ictus ischemi-
co e ictus emorragico sono:
ictus ischemico: • deterioramento a gradini o progressivo deterioramento;
• segni neurologici focali corrispondenti ad un singolo territorio vascolare;
• segni indicativi di una lesione focale corticale o sottocorticale;
ictus emorragico: • precoce e prolungata perdita di coscienza;
• cefalea importante, nausea e vomito;
• rigidità nucale;
• emorragie retiniche;
• segni focali che non corrispondono ad un territorio vascolare preciso.
Tuttavia i soli dati clinici non sono sufficienti a distinguere in modo assoluto l’ictus ischemico
da quello emorragico. Sebbene molti dei sintomi legati alla emorragia cerebrale appaiano chia-
ramente distinguibili da quelli osservabili nell’ictus ischemico, numerosi studi dimostrano
come anche sindromi lacunari o quadri con rapida risoluzione dei segni neurologici possano
essere l’espressione clinica di un’emorragia. Pertanto il ricorso alle neuroimmagini è indi-
spensabile ai fini di tale diagnosi differenziale ed il metodo più adeguato per distinguere tra
ischemia ed emorragia rimane la TC cerebrale.
Per quanto complessa, l’interazione fra valutazione clinica neurologica e dati strumentali di
laboratorio rappresenta un momento cruciale nella rapida definizione topografica, eziologica
e patogenetica dell’ictus ischemico.
L’ictus ischemico deve essere sospettato allorché il paziente abbia presentato un esordio
improvviso di segni neurologici focali (Tabella 9:I),19 i quali poi possono stabilizzarsi rapida-
mente (in circa il 63% dei casi), o progredire nelle successive 1-24 ore (30% circa dei casi) o
essere fluttuanti nella fase precoce (6% circa dei casi).20 Esso inoltre comporta segni e sinto-
mi che possono consentire con una elevata probabilità la definizione del territorio vascolare
interessato anche quando, a causa della precocità di esecuzione, altre indagini non forniscono
informazioni di rilievo.
Tabella 9:I – Sintomi riferibili a ictus ischemico in fase acuta
(da Cook et al., adattata)19
multicentrici, dal Publication Committee dello studio Trial of ORG 10172 (danaparoid) in
Acute Stroke Treatment (TOAST). L’accuratezza di tale classificazione è stata validata in uno
studio prospettico dello stesso gruppo TOAST,24 ma viene ora messa in discussione in quan-
to utilizzare il fattore di rischio che si presume sia tipico per la sindrome per definire la sin-
drome stessa come nel TOAST, introduce un bias (come già indicato in § 9.1.1.3 a proposito
delle sindromi lacunari).34,35,40 In effetti, nello studio di validazione dei criteri TOAST la defi-
nizione clinica iniziale dell’eziologia è stata confermata solo nel 62% dei casi sulla base della
determinazione finale a tre mesi dall’evento acuto e dopo il completamento di tutte le indagi-
ni di laboratorio e strumentali. Ogni sottotipo può essere identificato come probabile o pos-
sibile a seconda del maggiore o minore grado di certezza della diagnosi, basato sul grado di
concordanza per la stessa dei dati clinico-strumentali (Tabella 9:VII).
Una serie di criteri per la diagnosi probabilistica dell’ictus ischemico è stata proposta dal
Baltimore-Washington Cooperative Young Stroke Study.41 La classificazione proposta ha una
buona riproducibilità, per quanto, essendo stata creata per un registro dell’ictus nel giovane,
essa ha dato più enfasi alle alterazioni dell’emostasi (diagnosi ad elevata priorità) rispetto agli
ictus lacunari (diagnosi a bassa priorità). Essendo stata disegnata per la definizione delle cause
nell’ictus giovanile e per la possibilità di applicarla solo in fase subacuta, tale classificazione
viene trattata per esteso nel capitolo 5 (Inquadramento diagnostico clinico).
I principali meccanismi patogenetici dell’ictus ischemico sono rappresentati dall’embolismo,
dall’aterotrombosi e dalla patologia dei piccoli vasi. Studi angiografici recenti, effettuati a
poche ore dall’ictus hanno dimostrato come l’embolismo da una arteria prossimale o dal cuore
rappresenti la causa di circa il 70%-80% degli infarti cerebrali acuti nell’ambito del circolo
anteriore.42,43 Il meccanismo emodinamico legato alla trombosi della arteria carotide interna e
la patologia delle piccole arterie sono nel complesso meno frequenti, nell’ordine del 20%-30%.
Va anche ricordato come spesso i fattori eziopatogenetici dell’ictus rimangano imprecisati.44
9.1.1.6 Identificazione di fattori di rischio e di patologie concomitanti che possono aiutare
nella definizione del meccanismo fisiopatogenetico e/o nella previsione
di complicanze mediche e/o neurologiche precoci
La raccolta dei dati anamnestici deve riguardare anche l’eventuale presenza di quei fattori di
rischio di rilevanza per il trattamento nella fase acuta dell’ictus. L’anamnesi potrà essere arric-
chita successivamente con i dati necessari per impostare una prevenzione secondaria.
Dovrà quindi essere ricercata la presenza o meno di ipertensione arteriosa, diabete mellito,
fibrillazione atriale, patologie valvolari cardiache, infarto miocardico pregresso, patologie
broncopolmonari, trombosi venose profonde, pregressi TIA e/o ictus e patologie mediche
multisistemiche. Inoltre, considerando le cause meno frequenti di ictus si dovranno ricercare
eventuali fattori precipitanti quali traumi (dissecazione), esecuzione di manovra di Valsalva
(embolia paradossa), o assunzione di sostanze stupefacenti.
Un’anamnesi positiva per patologia cardiaca e/o per sintomi riferibili ad ischemia miocardica
o ad aritmia, così come per eventi precedenti in territori differenti possono indirizzare verso
una patogenesi cardioembolica.
Andranno inoltre registrati tipo e posologia dei farmaci eventualmente assunti, come ad esem-
pio i contraccettivi orali.
L’emorragia cerebrale, responsabile dell’8%-13% di tutti gli ictus, riconosce una molteplicità
di cause (Tabella 9:VIII).
La causa più frequente è l’emorragia intraparenchimale nelle sedi anatomiche riconosciute
come “tipiche” (nuclei della base, talamo, capsula interna, cervelletto, ponte) e correlata alla
presenza di lipoialinosi e microaneurismi che colpiscono i vasi perforanti nei pazienti ipertesi.
Le localizzazioni “atipiche”, lobari, sono più frequentemente associate a cause diverse dall’i-
pertensione. Tuttavia nella maggior parte dei pazienti si registra una concomitanza di fattori
di rischio che, sia pure singolarmente di minore importanza, possono nell’insieme essere deci-
sivi in presenza di un fattore maggiore (Tabella 9:IX).
Tuttavia l’incidenza delle diverse cause e, quindi l’importanza dei diversi fattori, varia a secon-
da dell’età (Tabella 9:X). In linea di principio, le malformazioni arterovenose sono la causa pri-
maria nel giovane; le patologie degenerative dei piccoli vasi (lipoialinosi e microaneurismi),
correlate all’ipertensione arteriosa, rappresentano la causa principale nei soggetti di mezza età
e negli anziani; l’angiopatia amiloide è una causa rilevante negli anziani.
Tabella 9:VI – Classificazione su base fisiopatologica dei sottotipi dell’ictus ischemico (criteri del TOAST, 1993)
Aterosclerosi dei vasi di grosso calibro
Cardioembolia (possibile/probabile)
Occlusione dei piccoli vasi
Ictus da cause diverse
Ictus da cause non determinate a. identificazione di due o più cause
b. valutazione negativa
c. valutazione incompleta
Tabella 9:VII – Sottotipi di ictus ischemico e correlati clinico-strumentali (criteri del TOAST, 1993)
Caratteristiche aterosclerosi cardio- lacunare altri
dei TSA embolismo
Cliniche disfunzione corticale o cerebellare + + – +/–
sindrome lacunare – – + +/–
Neuroradiologiche infarto corticale, cerebellare o subcorticale >1,5 cm + + – +/–
infarto subcorticale o del tronco encefalico <1,5 cm – – +/- +/–
Indagini strumentali stenosi della carotide interna extracranica + – – –
sorgente cardioembolica – + – –
altre anomalie – – – +
• Età
• Razza (asiatici, ispano-americani, neri)
• Ipertensione arteriosa
• Fumo di sigaretta
• Bassi livelli di colesterolemia
• Abuso di alcol
• Droghe (cocaina, amfetamine)
• Farmaci anticoagulanti
• Farmaci antiaggreganti
• Trattamento trombolitico
• Malattie dell’emostasi (emofilia, leucemia, trombocitopenia)
• Cirrosi epatica
Tabella 9:X – Probabilità a priori per cause strutturali di emorragia intracranica primitiva a seconda dell’età del
paziente e della localizzazione dell’ematoma (esclusi coagulopatie e farmaci)
Da: Warlow CP, Dennis MS, Van Gijn J, Hankey GJ, Sandercock PAG, Bamford JM, Wardlaw J. Ictus cerebrale –
condotta clinica basata sull’evidenza. Mc Graw Hill Libri Italia 1998 (modificato)
età (anni) nuclei della base/talamo lobare cervelletto/tronco
lesione infartuale, come anche dimostrato negli studi con trombolitici,83,84 e contribuisce a
determinare lo sviluppo di un edema cerebrale fatale in presenza di lesioni a carico del circo-
lo anteriore.66
Una bassa temperatura corporea nella fase acuta dell’ictus è risultata essere un fattore predit-
tivo di buon recupero funzionale. In modelli sperimentali il trattamento post-ischemico con
ipotermia è risultato neuroprotettivo ed in grado di migliorare l’esito,85 mentre l’ipertermia
peggiora l’ischemia cerebrale. In uno studio prospettico su 390 pazienti ammessi in ospedale
entro le prime 6 ore dall’ictus, la temperatura corporea iniziale è stata considerata insieme alla
gravità iniziale dell’ictus, alla dimensione dell’infarto, alla mortalità e all’esito funzionale nei
sopravvissuti.25 La mortalità era inferiore e l’esito migliore nei pazienti normotermici o con
ipertermia lieve all’ingresso, rispetto a quelli con valori elevati di temperatura, indipendente-
mente dalla gravità dell’infarto: per incrementi di un grado di temperatura il rischio relativo
di un esito peggiore saliva di circa 2 volte.
Le manifestazioni convulsive, relativamente frequenti in fase acuta (riportate in proporzione
variabile dal 2,5% al 5,7% entro i primi 14 giorni dall’ictus), non appaiono correlate alla mor-
talità, e risultano essere un fattore predittivo di esito funzionale migliore.86
Usando la scala di Rankin per la valutazione dell’esito funzionale in tutti i primi ictus osserva-
ti tra il 1985 ed il 1989 nell’ambito del Rochester Epidemiology Project, Petty et al.87 hanno
potuto osservare come la disabilità fosse diversa in fase acuta, a tre mesi e ad 1 anno dall’ictus
a seconda dei sottotipi clinici considerati: i pazienti con infarto lacunare presentavano una
disabilità di grado significativamente minore rispetto agli altri sottotipi di ictus (infarto car-
dioembolico, aterotrombotico o da causa incerta). In questo studio il sottotipo di ictus era un
determinante indipendente di recidiva nei primi 30 giorni (ma non nel follow-up a 5 anni). La
mortalità a 5 anni, ma non quella a 30 giorni, era significativamente più elevata tra gli ictus car-
dioembolici (80,4%) rispetto a quelli aterotrombotici (32,2%), ai lacunari (35,6%) e a quelli
di eziologia incerta (48,6%) ed il sottotipo diagnostico rappresentava un determinante indi-
pendente della sopravvivenza a lungo termine.
In uno studio condotto su 347 pazienti consecutivi con presumibile ictus cardioembolico, la
frequenza delle recidive era del 6%. La latenza di recidiva era di 12,1 giorni. La mortalità glo-
bale intraospedaliera era del 70,3% nel gruppo di soggetti con recidiva di embolizzazione e
del 24,4% nel gruppo dei pazienti in cui ciò non avveniva. Fattori predittivi della embolizza-
zione erano l’abuso di alcolici, la combinazione di fattori di rischio come l’ipertensione, pato-
logia valvolare cardiaca, la fibrillazione atriale, la presenza di nausea e vomito e precedenti
infarti cerebrali.88
Un capitolo di notevole interesse nello studio di predittori di esito è dato da evidenze recenti
le quali hanno dimostrato come una buona aderenza alle linee guida diagnostico-terapeutiche
formulate dall’American Heart Association adattate ad uno studio di fase acuta e postacuta
migliora significativamente la prognosi a sei mesi non solo in termini di mortalità, ma anche di
disabilità (misurata con la scala di Barthel), di costi diretti ed indiretti, in qualche modo modi-
ficando sostanzialmente i punteggi ottenuti con la scala di qualità della vita Short Form 36
(SF36).89 Questo dato dimostrerebbe come un approccio uniformemente basato sulla
“buona” pratica clinica sia di per sé in grado di migliorare sostanzialmente i parametri più dif-
ficilmente modificabili nel trattamento dell’ictus ischemico a prescindere dai suoi sottotipi
diagnostici.
Il miglioramento neurologico nell’ambito delle prime 48 ore, come anche il deterioramento,
sono stati ampiamente studiati alla ricerca dei meccanismi fisiopatogenetici e di eventuali fat-
tori predittivi.90-93 L’incremento o il decremento, nel corso delle prime 48 ore, di uno o più
punti alla Canadian Neurological Scale (CNS) definiva lo early improving o lo early progressing
(o early deteriorating) stroke. Fattori predittivi indipendenti di miglioramento precoce erano,
in una regressione logistica che teneva conto dei fattori di rischio vascolare, dei dati clinici e
strumentali (TC) di base e delle terapie somministrate, l’età più giovane, il più basso punteg-
gio alla CNS e l’assenza di ipodensità precoce alla TC. Tra quanti erano stati sottoposti all’e-
same angiografico in fase acuta, il miglioramento precoce era anche predetto dalla pervietà dei
vasi studiati e dalla presenza di un buon circolo collaterale di compenso.91 Definito da un
decremento, nella Scandinavian Neurological Stroke Scale (SSS), di almeno 2 punti nella valu-
tazione dello stato di coscienza o della capacità motoria, o di almeno 3 punti nel linguaggio,
nel corso delle prime 24 ore, lo early progressing stroke aveva quali fattori prognostici favo-
renti: l’ipodensità focale alla TC, l’iperdensità dell’arteria cerebrale media, l’instaurazione tar-
diva del trattamento farmacologico, una anamnesi positiva per coronaropatia e diabete, una
ipodensità alla TC (a 24 ore) maggiore del 33% nel territorio della arteria cerebrale media con
relativa estensione dell’edema cerebrale. Definito dagli stessi criteri, rilevati tra le prime 24 ore
e i primi 7 giorni dall’ictus, il late progressing stroke era osservabile nel 20,3% dei pazienti e si
caratterizzava, invece, per un grave deficit neurologico all’ingresso, un importante edema cere-
brale ed ancora per l’età più avanzata dei soggetti colpiti.93
Anche la gravità iniziale dei deficit neurologici, misurata tramite scale standardizzate (CNS,
SSS o la National Institutes of Health Stroke Scale – NIHSS), presenta una buona correlazio-
ne con i dati di esito.66 Valori basali di NIHSS di almeno 20 con lesione emisferica sinistra, o
di almeno 15 con infarto emisferico destro entro le prime 6 ore, associati a sintomi come nau-
sea e vomito e ad ipodensità nel territorio della ACM superiore al 50%, depongono per un
esito sfavorevole per la sopravvivenza a causa della elevata frequenza di comparsa dei segni e
sintomi di impegno cerebrale (essendo l’edema ischemico associato, nella cosiddetta “sindro-
me maligna della arteria cerebrale media”, ad una mortalità pari all’80% dei casi).94
Di interesse, nella descrizione dei fattori prognostici, appaiono alcune indagini strumentali
diverse dalla TC che presenta una scarsa sensibilità, nell’ambito delle prime 48 ore, nella valu-
tazione prognostica precoce.95 Uno studio comparativo condotto con SPECT con 99mTc-
HMPAO (Tc-esametilpropilamina ossima), scale neurologiche (Rankin, CNS) e sottotipi cli-
nici di ictus (classificazione OCSP) ha dimostrato una significativa correlazione tra punteggio
alla Rankin e grado e dimensioni della area di ipoperfusione alla SPECT (maggiori tra i sog-
getti con esito clinico peggiore). Le dimensioni dell’area di ipoperfusione rappresentavano un
buon fattore predittivo dell’esito funzionale, mentre solo il punteggio alla CNS era significati-
vamente predittivo della sopravvivenza. Effettuata, come in questo studio, tra le prime 12 e 36
ore, la SPECT mostrava una elevata sensibilità (67%) rispetto alla TC (29%) come fattore
prognostico.96
L’accuratezza nella definizione precoce dei sottotipi diagnostici è accresciuta dall’approccio
strumentale multimodale con RM e angio-RM. La Risonanza Magnetica in Diffusione (DWI),
in particolare, ha notevolmente migliorato l’accuratezza diagnostica della fase acuta e, relati-
vamente alla descrizione topografica dell’infarto, ha consentito di:
a. distinguere gli infarti lacunari classici (con lesioni di diametro inferiore a 1,5 cm) dagli
infarti maggiori;
b. determinare quando sindromi lacunari non tipiche sono da attribuire a infarti piccoli e
profondi più che a lesioni di maggiori dimensioni;
c. individuare lesioni acute multiple in più di un territorio vascolare in pazienti con una sola
lesione sintomatica, ciò che può essere indicativo di cardioembolismo;
d. individuare la lesione acuta sintomatica fra numerose, croniche lesioni profonde o anche
corticali.
La RM si è dimostrata in grado di migliorare le potenzialità delle due principali categorie dia-
gnostiche rappresentate dal TOAST e dall’OCSP. In particolare, nella categoria TOAST dei
grandi infarti atero-trombotici, la sensibilità ed il valore predittivo positivo iniziale passavano
dal 56% e dall’83% all’89% e al 100% rispettivamente, con la sola angiografia mediante riso-
nanza magnetica (angio-RM); al 56% e al 100% con la diffusione sola, e all’89% e al 100%
con la combinazione di angio-RM e DWI. Nella categoria degli infarti nel territorio dei pic-
coli vasi questi valori con la sola classificazione TOAST erano pari al 35% e 73% e salivano
al 35% e 80% con la sola angio-RM, al 96% e 92% con la DWI e al 100% e 96% con angio-
RM e DWI insieme.97 Questi dati aggiungono altre evidenze, sempre più convincenti, sulla uti-
lità di queste metodiche nella valutazione dell’ictus ischemico acuto 98,99 e nella utilità della
DWI in fase acuta nella descrizione volumetrica della lesione come fattore predittivo dell’esi-
to funzionale.100-102
9.1.2.4 Scale di valutazione neurologica in fase acuta
Tra i fattori clinici, la gravità dell’ictus rappresenta un importante fattore predittivo dell’esito
funzionale.55 Molte scale sono state sviluppate in questi anni con lo scopo di misurare tale gra-
vità e di monitorarne l’evoluzione nel tempo anche ai fini della definizione prognostica.
La Barthel e la Rankin modificata rappresentano due tra le più usate scale di misurazione del-
l’autonomia e della dipendenza nello svolgimento delle attività quotidiane. Esse sono usate
abitualmente per valutare gli esiti, ma possono essere applicate anche precocemente.
La Scala di Barthel (o Barthel Index: BI) rappresenta la misura universalmente accettata per la
valutazione dell’autonomia; presenta una forte validità ed affidabilità ed è appropriata per lo
screening, la valutazione formale, il monitoraggio. Richiede pochi minuti di osservazione del
paziente da parte dell’operatore (medico o non) ed esplora 10 item pesati concernenti tutte le
possibili attività quotidiane (mangiare, lavarsi, vestirsi, spostarsi dalla sedia al letto, mobilità,
capacità di salire le scale etc). Nel complesso si tratta di una breve scala ordinale il cui pun-
teggio totale esprime le richieste di assistenza nelle attività della vita quotidiana e varia da un
punteggio 0 (totalmente dipendente) a un punteggio 100 (totalmente indipendente).103
La Scala di Rankin 104 rappresenta uno strumento di valutazione in 5 punti che categorizza i
pazienti in base alla loro capacità di effettuare attività precedentemente svolte e la loro richie-
sta eventuale di assistenza. La sua forma modificata usa una scala a 6 punti (0-5), contem-
plando anche i pazienti con assenza di sintomi.105 Nella sua versione modificata ha una discre-
ta riproducibilità tra osservatori.
Relativamente agli studi clinici nei quali queste scale sono state applicate e successivamente
valutate,106 si sono osservate notevoli differenze nella definizione di esito favorevole sia nel-
l’una che nell’altra scala. In generale sembra più appropriato parlare di esito sfavorevole, che
generalmente viene riferito ad una delle seguenti evenienze: morte, istituzionalizzazione a
causa dell’ictus, Rankin modificato maggiore o uguale a 3 e BI minore di 60.
Le più usate scale di valutazione del deficit neurologico, in genere molto più accurate nella
valutazione degli ictus di gravità media rispetto a quelli di gravità maggiore, sono le seguenti.
1. La National Institutes of Health Stroke Scale è una misura quantitativa del deficit neurolo-
gico correlato all’ictus dotata di validità ed affidabilità non solo in ricerche cliniche pro-
spettiche,107,108 ma anche in valutazioni retrospettive sull’esito.109 Comprende 15 item con
score a 3 o 4 punti (42 punti totali: NIHSS=0 esame normale; NIHSS 1-7 deficit neurolo-
gici lievi; NIHSS 8-14 deficit moderati; NIHSS ≥15 deficit gravi) ed esplora lo stato di
coscienza, la visione, i movimenti extraoculari, la paralisi del facciale, la forza degli arti, l’a-
tassia, la sensibilità, la parola ed il linguaggio. Il tempo di somministrazione è in media 10
minuti; si tratta di una scala di facile somministrazione, anche da parte di non neurologi.
Ha una buona affidabilità, per quanto manchi di esplorare la disfagia. Trova le sue indica-
zioni nello screening in fase acuta, nella valutazione successiva e nel monitoraggio e pertan-
to si presta a valutazioni seriate per quantificazione del miglioramento o del peggioramen-
to del quadro neurologico.54 Ha una buona correlazione con il volume dell’infarto cerebrale
ed una buona relazione predittiva con la TC a distanza di 7 giorni, oltre che con l’esito cli-
nico a tre mesi.110 Una importante dicotomia è stata osservata a carico della NIHSS nei
pazienti a rischio per lo sviluppo di edema cerebrale fatale nelle lesioni del circolo anterio-
re, con esordio entro le 6 ore: il valore all’NIHSS era uguale o superiore a 15 in casi di lesio-
ne a carico dell’emisfero destro o di 20 o più in caso di lesioni dell’emisfero sinistro.66
Punteggi superiori a 10 sono stati correlati ad un esito peggiore rispetto a quelli con pun-
teggio minore di 13,111 oltre che alla possibilità che l’evento ischemico sia correlato ad una
patologia/occlusione dei grossi vasi arteriosi, mentre in un altro studio 112 pazienti con pun-
teggio inferiore od uguale a 7 presentavano una probabilità pari al 45% di essere funzio-
nalmente normali nel corso delle prime 48 ore, mentre solo il 2,5% dei casi con valore supe-
riore a 7 erano funzionalmente normali allo stesso tempo.
Tra le caratteristiche peculiari di questa scala di valutazione vi è senza dubbio la sua bre-
vità, la possibilità di venire somministrata a pazienti anche non coscienti, e quello relativo
alla possibilità che essa venga somministrata da non neurologi, mentre un aspetto nel com-
plesso negativo attiene alla omissione da parte della NIHSS di dati concernenti la disfagia.
La versione italiana dell’NIHSS, It-NIHSS è stata realizzata e validata dal Dipartimento di
Scienze Neurologiche e dall’Agenzia di Sanità Pubblica della regione Lazio nel 2003.113 Ad
oggi più di mille operatori hanno frequentato i corsi ECM (accreditati dal Ministero della
Salute) per ottenere la certificazione NIHSS.
2. La Canadian Neurological Scale (CNS) utilizza 8 item con score a 3 punti. Esplora lo stato
di coscienza, l’orientamento, il linguaggio, la funzione motoria, il deficit facciale. È utiliz-
zabile nelle stesse condizioni dell’NIHSS, ha la peculiarità di essere breve (il tempo di
somministrazione è di soli 5 minuti). Inoltre gli intervalli delle singole scale sono relativa-
mente poco sensibili alle modifiche del quadro neurologico.114 Una peculiarità di questa
scala è la sua forte correlazione con l’esito anche in funzione del fattore età. Pazienti di età
superiore a 70 anni con uno score alla CNS inferiore a 4,5 all’ingresso presentavano una
probabilità di disabilità o morte a 4 mesi pari a circa il 90%.92
La CNS esclude sintomi come l’atassia, i deficit campimetrici e la motilità oculare; nel com-
plesso è anche poco sensibile nelle valutazioni seriate dello stesso paziente in fasi diverse di
malattia.
3. La Scandinavian Neurological Stroke Scale (SSS)115 si presta alla valutazione in fase acuta del
deficit neurologico. Si tratta di una scala a 9 voci che comprende sia un punteggio progno-
stico che un punteggio a lungo termine. Lo score massimo ottenibile, equivalente alla nor-
malità, è di 58 per il punteggio prognostico e 48 per quello a lungo termine. Il punteggio
prognostico include misure relative allo stato di coscienza, alla paralisi dello sguardo, e all’i-
postenia degli arti. È strutturata in modo da stratificare i pazienti in diversi gruppi, a secon-
da della loro prognosi per la sopravvivenza. Il punteggio a lungo termine è indicato nella
fase di follow-up per effettuare ripetute valutazioni del paziente al fine di evidenziare il
recupero o l’eventuale deterioramento neurologico. Il punteggio a lungo termine non inclu-
de lo stato di coscienza o la paralisi dello sguardo, ma comprende la forza degli arti, l’afa-
sia, la paresi faciale, l’orientamento e la deambulazione. La SSS è la sola scala che utilizza
un punteggio separato per valutare l’esito clinico a lungo termine; nella fase acuta la sua
semplicità d’uso la rende un facile strumento per la somministrazione anche da parte di non
neurologi oltre che da personale infermieristico “dedicato”.
Nel complesso appare che i gradi maggiori di affidabilità siano da attribuire alla NIHSS ed alla
SSS, somministrabili in fase acuta non solo da parte del neurologo ma anche dal non neuro-
logo e dal personale non medico. La validità dimostrata tra esaminatori ne fanno due scale
proponibili nella valutazioni del deficit neurologico del paziente con ictus in fase acuta.
9.1.2.5 Modelli prognostici
Nel corso degli anni, soprattutto recenti, sono stati messi a punto e, spesso, validati dei model-
li prognostici che fossero predittivi dell’esito di un ictus. I modelli più utili e più comunemente
utilizzabili sono quelli che prescindono totalmente dai risultati di indagini strumentali che
possono non essere ovunque disponibili (p.es. RM-DWI), anche se questi modelli possono
avere sensibilità e specificità elevata (in questo campo, si considera per ora “elevata” una sen-
sibilità e specificità nell’ordine del 75%-85%).116,117
Tuttavia, anche modelli che utilizzano i predittori più semplici – il predittore ideale di un algo-
ritmo clinico deve essere di facile raccolta, clinicamente rilevante ed affidabile 118,119 – posso-
no ottenere risultati ugualmente, se non più accurati (dato che i valori dei predittori sono più
facilmente accessibili) rispetto a quelli più complessi. Un algoritmo (SSV – Six Simple
Variables) sviluppato a partire dai dati dello OCSP 121 e validato sui dati del SEPIVAC,122 del
Perth Community Stroke Study 123 e, successivamente, del FOOD 124 utilizza sei predittori per
determinare la probabilità di sopravvivenza a 30 giorni e di sopravvivenza indipendente a 6
mesi (Tabella 9:XI; il modello può essere utilizzato on-line accedendo al sito
http://www.dcn.ed.ac.uk/model/models.asp). Questo modello, derivato da variabili semplici
e rilevabili con un buon accordo tra osservatori,125 ha una curva ROC con AUC attorno a 0,85
per l’ictus non emorragico, e attorno a 0,80 per l’ictus emorragico, anche se fornisce predizioni
eccessivamente ottimistiche verso l’estremo positivo e può non essere abbastanza accurato nei
soggetti giovani. Altri modelli considerano anche i risultati delle scale neurologiche, ma senza
miglioramenti sostanziali del profilo della curva ROC.126
Analoghi algoritmi sono stati sviluppati anche per stimare la prognosi dell’ictus emorragico,
tra i quali uno relativamente semplice (punteggio ICH)127 è costruito su:
GCS ..........................................3-4: 2 punti 5-12: 1 punto 13-15: 0 punti
età ....................................≥80 anni: 1 punto <80 anni: 0 punti
volume dell’emorragia ........≥30 ml: 1 punto <30 ml: 0 punti
presenza di emorragia intraventricolare 1 punto
origine infratentoriale 1 punto.
Il rischio di morte a 30 giorni cresce linearmente con il punteggio totale. Questo algoritmo è
disponibile con diverse varianti.128
Tabella 9:XI – Algoritmo per il calcolo della probabilità di sopravvivenza e indipendenza a 6 mesi
(da Counsel C et al., Stroke 2003; 34: 127-133; adattato)
evento
sopravvivenza indipendente
predittore sopravvivenza a 6 mesi vivo e a domicilio a 6 mesi
(Rankin modificata <3) a 6 mesi
età all’esordio (anni) A età × –0,051 (età-70) × 0,034 età × –0,050
vive da solo sì/non noto +1,182
sì/non noto +0,661
(nessuno che vivesse permanentemente B sì/non noto +0,406
no +1,332 no +2,364
con il paziente prima dell’ictus)
indipendente nelle attività sì/non noto -2,774 sì/non noto -1,167
C sì/non noto -0,501
della vita quotidiana prima dell’ictus no -5,488 no -2,334
GCS (verbalizzazione) normale
sì -2,160 sì -1,175
(=5, cioè può parlare ed è orientato nel D sì -0,776
no/non noto -4,320 no/non noto -2,350
tempo, nello spazio e nella persona)
capace di sollevare entrambe le braccia sì -2,106 sì -1,404
E sì -0,851
a 90° contro la gravità no/non noto -4,212 no/non noto -2,808
capace di camminare senza aiuto di altre sì -1,311 sì -1,346
F sì -0,489
persone (può usare bastone o girello) no/non noto -2,622 no/non noto -2,692
costante G +12,340 +9,043
fattore di calcolo X= eK X= eK X = eK
probabilità dell’evento considerato X/(1+X) 0.410X X/(1+X)
Sono anche stati sviluppati modelli per stimare la sopravvivenza a 1 anno,129 nonché per la
stima del recupero funzionale,130,131 ma la loro affidabilità è ancora da valutare in maniera
accurata.132
Va tuttavia sottolineato che l’uso di questi algoritmi, di notevole utilità negli studi epidemio-
logici e capaci di fornire un’informazione aggiuntiva al quadro clinico del malato, non può
sostituire l’approccio clinico alla gestione del singolo malato finché il loro impatto sulla cura
del paziente e sul successivo esito sia stato valutato accuratamente e riscontrato favorevole.133
Tali esami non soltanto sono utili per orientare alcune decisioni terapeutiche (eventuale ane-
mizzazione, iperglicemia, ipoglicemia, turbe elettrolitiche, insufficienza renale, epatopatie,
alterazioni dell’emostasi, ipossiemia) ma possono essere rilevanti nella diagnostica patogeneti-
ca dell’ictus o nell’indirizzo verso altre condizioni di patologia encefalica.
L’emocromo può orientare verso una patologia ematologica (anemie, poliglobulie, quadri
oncoematologici, piastrinosi, piastrinopenie) talvolta da affrontare immediatamente.137 Una
leucocitosi può accompagnare un’infezione sottostante (ad esempio un’endocardite) ma è
estremamente aspecifica e si trova frequentemente in corso di ictus emorragici (anche 15·000-
20·000 per microlitro) e ischemici (meno intensa).
Iperglicemie e ipoglicemie nonché alterazioni del sodio, del magnesio e del calcio possono
produrre quadri simili all’ictus e possono peggiorare l’esito di un ictus.
L’iperglicemia è un fattore prognostico sfavorevole nei pazienti con ictus acuto,138 ed aumen-
ta il rischio di emorragia cerebrale dopo trombolisi.139 Già in dipartimento di emergenza può
essere eseguita da parte del personale paramedico una glicemia con stick da sangue ottenuto
con puntura di un polpastrello anche se va comunque eseguita una glicemia standard da parte
del laboratorio. Livelli di glucosio inferiori a 50 mg/dl e superiori a 400 mg/dl possono mima-
re un quadro ictale e comunque richiedono un pronto trattamento. Alterazioni della sodiemia
possono accompagnare sia emorragie che infarti cerebrali.
Un aumento della creatinina identifica un’insufficienza renale. Nella maggior parte dei pazien-
ti cerebrovascolari un aumento della creatininemia è un indice di danno d’organo da iperten-
sione che può avere un significato prognostico negativo.
Nei pazienti critici il quadro elettrolitico insieme all’osmolalità plasmatica può essere fonda-
mentale inoltre per un successivo monitoraggio dell’equilibrio idro-salino. L’osmolalità pla-
smatica viene considerata un marker dello stato di idratazione più utile rispetto a test usuali
quali la natriemia o l’azotemia.140 Recentemente è stato dimostrato che un’osmolalità elevata
al momento del ricovero è un indice prognostico negativo per mortalità.141
Una formula per il calcolo dell’osmolalità plasmatica (mOsm/kg) è la seguente:142
glicemia azoto ureico
1,86 × natriemia + + +9
18 2,8
I test dell’emostasi (piastrine, PT, APTT) sono di orientamento per alterazioni emorragiche
congenite o acquisite (in particolare iatrogene). Un allungamento del PT marcato in un
paziente in terapia con dicumarolici potrà indurre ad un sospetto fondato di emorragia intra-
cranica. A tal riguardo va rilevato che l’effetto dei dicumarolici non è selettivo sul PT. Un iper-
dosaggio del farmaco spesso si associa ad un allungamento anche dell’APTT. Questo dipende
in parte dalla diversa sensibilità dei vari reagenti per l’APTT alla riduzione dell’attività dei fat-
tori vitamina K-dipendenti indotta dagli anticoagulanti orali. Il valore di INR è fondamentale
non solo a scopo diagnostico ma anche per guidare la necessaria correzione dell’anticoagula-
zione (con vitamina K o concentrati di fattori del complesso protrombinico) laddove sia con-
fermata un patogenesi emorragica dell’ictus. Sulla possibilità di un ictus emorragico potranno
anche orientare alterazioni dell’APTT e una piastrinopenia marcata.
I test dell’emostasi poi sono fondamentali per avere un valore di base in caso di forme embo-
liche da sottoporre a terapia anticoagulante, per quei casi di ictus ischemico in cui sia presa in
considerazione la trombolisi (in tal caso ai test va aggiunta la fibrinogenemia) e per le forme
emorragiche da sottoporre ad intervento neurochirurgico. Va ricordato che il fibrinogeno è
una proteina della fase acuta. Per questo motivo il ruolo di marker di rischio per eventi vasco-
lari dimostrato da studi epidemiologici non ha valore pratico nella gestione del singolo pazien-
te in fase acuta.
Un allungamento del PT associato ad alterazione degli altri test epatici suggerirà un quadro di
epatopatia da considerare nella diagnosi differenziale (specie nei pazienti con alterazioni dello
stato di coscienza). Inoltre, segni di compromissione epatica marcata aumentano la possibilità
che l’ictus in esame sia di natura emorragica.
Una microematuria potrà porre il sospetto di embolie a livello renale, anche se si tratta di
reperto del tutto aspecifico.
Esami tossicologici (oppiacei, alcool, etc) vanno eseguiti in soggetti in coma in cui il quadro
clinico renda opportuno queste verifiche.
L’esame del liquido cerebrospinale è indicato in fase acuta solo se sussiste il sospetto clinico di Raccomandazione 9.5 Grado D
emorragia subaracnoidea e la TC risulta negativa, o nel sospetto di un’infezione. È importan- Nei pazienti con ictus in fase
te ricordare che ai soggetti con emorragia intracerebrale non andrebbe effettuata la puntura acuta, l’esame del liquido cere-
lombare per l’elevato rischio di erniazione del tessuto cerebrale dovuto a brusche modifica- brospinale è indicato solo se
zioni del gradiente di pressione sotto il tentorio.143 Va ricordato che questa procedura esclu- sussiste il sospetto clinico di
emorragia subaracnoidea e la TC
de un successivo trattamento trombolitico.
risulta negativa.
Non viene raccomandata la valutazione, in fase di accettazione, del quadro lipidico plasmati-
co in quanto i risultati, oltre a poter essere influenzati dalla fase di acuzie, non sono necessari
per la gestione del paziente nelle prime fasi. Anche se, per avere una valutazione accurata dei
parametri lipidici reali del paziente, sarebbe necessario attendere alcune settimane (in analo-
gia con quanto dimostrato per i pazienti con infarto miocardico acuto) è ragionevole proce-
dere alla determinazione di tali test nella fase di stato per acquisire comunque un dato utile
per impostare una profilassi secondaria nelle forme ischemiche.
9.2.2 Diagnostica cardiovascolare
9.2.2.1 Rx Torace
La radiografia del torace è sempre consigliata nelle prime ore dopo l’ingresso in ospedale per Sintesi 9-3
valutare la presenza di scompenso cardiaco, polmonite ab ingestis o altre patologie cardiache La radiografia del torace è sem-
o polmonari che possono complicare il decorso e condizionare il trattamento.134 pre consigliata nelle prime ore
dopo l’ingresso in ospedale per
9.2.2.2 ECG valutare la presenza di scompen-
L’elettrocardiogramma è uno degli esami necessari per la valutazione iniziale dei pazienti con so cardiaco, polmonite ab inge-
ictus o TIA nell’ambito del work-up per la diagnosi patogenetica, e risulta pertanto indicato stis o altre patologie cardiache o
polmonari che possono complica-
sin dalla fase acuta in tutti i pazienti suddetti.7,134-136
re il decorso e condizionare il
Un ECG a 12 derivazioni può mostrare turbe del ritmo e della ripolarizzazione (slivellamenti trattamento.
del tratto ST-T e allungamento del QT) nonché altre patologie cardiache rilevanti. Le anoma-
lie elettrocardiografiche possono essere chiamate in causa nella genesi dell’ictus (ad esempio
la fibrillazione atriale) o essere sua conseguenza, specialmente in caso di emorragia intracrani- Raccomandazione 9.6 Grado D
ca. Il monitoraggio ECG in Dipartimento di Emergenza o in stroke unit nelle prime ore di L’elettrocardiogramma è indicato
degenza è raccomandabile in tutti i pazienti con ictus cerebrale perché alcune alterazioni pos- in tutti i pazienti con ictus o TIA
sono non essere rilevabili su un unico tracciato. che arrivano in Pronto Soccorso.
Il monitoraggio ECG delle 24 ore secondo Holter trova comunque indicazione nella diagno-
stica d’elezione per quei pazienti in cui si sospetti la natura cardioembolica dell’ictus o del TIA
(vedi § 5.5.2).
9.2.2.3 Ecocardiogramma
Al momento non ci sono indicazioni ad eseguire di routine un ecocardiogramma in emergen-
za a tutti i pazienti con ictus in quanto non serve a guidare le scelte terapeutiche immediate.
Tale indagine fa parte invece della diagnostica d’elezione soprattutto dei pazienti con ictus Raccomandazione 9.7 Grado D
ischemico dove è talvolta indispensabile per indirizzare le terapie di prevenzione secondaria La TC cerebrale senza contrasto
(vedi § 5.5.3), mentre va limitato in fase acuta a situazioni particolari. è indicata il più presto possibile
dopo l’arrivo in Pronto Soccorso
(e comunque non oltre le 24 ore
9.3 DIAGNOSTICA NEURORADIOLOGICA dall’esordio clinico) per:
La diagnostica strumentale nella valutazione dell’ictus in fase acuta riveste un ruolo fonda- • la diagnosi differenziale fra
mentale per un corretto inquadramento sia nosografico che terapeutico, ancor più in conside- ictus ischemico ed emorragi-
razione dell’attuale impegno nello sviluppo e nell’applicazione di trattamenti fibrinolitici, co ed altre patologie non
intra-arteriosi o sistemici, atti a ricanalizzare segmenti arteriosi occlusi in una fase molto pre- cerebrovascolari;
• l’identificazione di eventuali
coce nella quale il danno parenchimale dell’encefalo non si è ancora verificato.144 Saper rico-
segni precoci di sofferenza
noscere precocemente e mediante l’utilizzo di tecniche non invasive, quali la TC e la RM, segni ischemica encefalica.
iniziali di danno cerebrale, in una fase ancora potenzialmente reversibile, riveste un ruolo fon-
damentale per le importanti implicazioni terapeutiche. Raccomandazione 9.8 ❊GPP
È indicato che la TC cerebrale sia
9.3.1 Tomografia computerizzata
eseguita correttamente in base a
La TC rappresenta la metodica di elezione perché facilmente eseguibile e ampiamente dispo- parametri tecnici codificati e cri-
nibile. Il mezzo di contrasto non è indicato in fase acuta, a meno che esistano dei dubbi di dia- teri di posizionamento definiti.
gnosi differenziale, per esempio nei confronti di un processo flogistico o di un tumore. Con la
TC, una volta esclusa l’evenienza di una emorragia o di una lesione occupante spazio, è possi-
bile valutare la presenza di alcuni aspetti talvolta presenti nella fase acuta dell’ictus ed impor-
tanti ai fini prognostici e terapeutici.145
9.3.1.1 Segno dell’iperdensità dell’arteria cerebrale media
Si tratta di uno spot iperdenso lungo il decorso delle principali afferenze arteriose intracrani-
che, ed in particolare lungo il decorso dell’arteria cerebrale media, evidente alla TC basale ed
indicativo di occlusione trombo-embolica del vaso.146,147 Tale segno è presente con percen-
tuale variabile dal 40 al 60% dei pazienti con ictus osservati in fase acuta; falsi positivi sono
rappresentati dalle calcificazioni parietali che possono mimare tale aspetto.148,149 Attualmente,
la ricerca e l’evidenza del segno dell’iperdensità dell’arteria cerebrale media ha ridimensiona-
to il suo valore grazie al sempre più frequente impiego dell’angio-RM e dell’angio-TC.
9.3.1.2 Ipodensità precoce
Tenue ipodensità a carico dei nuclei della base e/o delle strutture lobari cortico-sottocortica-
li, indicativa di edema citotossico (aumento del contenuto idrico intracellulare) e di danno
parenchimale,150,151 riscontrabile nel 50%-70% dei pazienti con ictus in fase acuta.134,152 La
presenza di tale reperto, legato ad un aumento del contenuto idrico con relativa ipodensità
delle strutture interessate, ed in particolare la sua estensione, rivestono un ruolo di notevole
importanza sia nella scelta del trattamento terapeutico da adottare sia quale indicatore dell’e-
voluzione e del recupero clinico. Numerosi studi hanno documentato come la presenza di una
estesa ipodensità precoce, che interessi più del 33% di un emisfero cerebrale, riscontrata entro
6 ore dall’insorgenza dell’ictus, rivesta un significato prognostico negativo sia per mortalità ad
un mese che per successiva disabilità residua. Inoltre, segni precoci estesi sono predittivi di
successivo infarcimento emorragico sia spontaneo 153 che iatrogeno.154-156 Pazienti con ipo-
densità inferiore al 33% presentano un ottimo recupero clinico e bassa mortalità.144,152
Nonostante l’ipodensità TC precoce, unitamente alla presenza dell’iperdensità dell’arteria
Sintesi 9-4 cerebrale media,157 rappresentino importanti parametri TC nella valutazione dell’ictus in fase
Un riscontro di ipodensità preco- acuta, il danno parenchimale iniziale viene attualmente valutato meglio e con più attendibilità
ce dovrebbe suggerire un mediante l’impiego della RM, specie con l’utilizzo delle tecniche di diffusione e perfusione.158
approfondimento dell’anamnesi,
eventualmente coinvolgendo altri
La presenza di ipodensità precoce potrebbe anche essere indicazione di un esordio della sin-
testimoni (parente o altro) capaci tomatologia precedente rispetto a quanto ipotizzato o raccolto in prima anamnesi. Quindi, un
di fornire informazioni quanto più riscontro di ipodensità precoce dovrebbe suggerire un approfondimento dell’anamnesi, even-
accurate possibili sul reale tempo tualmente coinvolgendo altri testimoni (parente o altro) capaci di fornire informazioni quan-
di inizio del disturbo. to più accurate possibili sul reale tempo di inizio del disturbo.
9.3.1.3 Segni indiretti
Gli effetti compressivi sul sistema ventricolare o sugli spazi subaracnoidei, considerati in pas-
sato indicativi di iniziale edema citotossico, non rappresentano, al momento attuale, parame-
tri utili ai fini diagnostici.
Sintesi 9-5 9.3.2 Risonanza magnetica convenzionale
La RM convenzionale in urgenza
non fornisce informazioni più Le tecniche comunemente impiegate nella diagnostica per immagini dell’encefalo (SE, TSE,
accurate della TC. FLASH, FLAIR), risultano insensibili alla valutazione dell’ictus in fase acuta in quanto non
La RM con sequenze pesate in sono in grado di valutare l’edema citotossico, intracellulare. Solo con l’impiego della tecnica
diffusione e perfusione, o la TC di diffusione (DWI) si è in grado di valutare la presenza di alterazioni di segnale in fase pre-
perfusionale, consentono un più cocissima ed entro pochi minuti dall’ictus. Nella fase acuta la RM può essere utile nel sospet-
accurato inquadramento patoge- to clinico di trombosi dei seni venosi mediante l’utilizzo dell’angio-RM.
netico e prognostico ed una
migliore selezione dei pazienti La RM si è dimostrata più sensibile della TC nella valutazione dell’ictus in fase subacuta. È
per terapie specifiche della fase proprio in questa fase che è possibile evidenziare meglio anche piccole lesioni tronco-encefa-
acuta. liche o lesioni lacunari.
9.3.3 Risonanza magnetica di diffusione, di perfusione, RM-spettroscopia
Nella diagnosi dell’ictus ischemico, TC e RM sono tecniche ormai standardizzate ed indi-
spensabili per valutare la presenza o l’estensione di un infarto nelle prime 12-24 ore. Tuttavia
si delinea sempre più chiaramente la necessità di ottenere immagini specifiche delle prime 3-
12 ore, anche alla luce delle terapie trombolitiche e di nuovi trattamenti con farmaci neuro-
protettivi.
stesura 15 marzo 2005
Capitolo 9 — Ictus acuto: fase di ospedalizzazione (diagnosi) 193
Le attuali procedure terapeutiche sono infatti condizionate da almeno due fattori: il tempo ed
i limiti delle tecniche diagnostiche. La negatività delle immagini tradizionali non consente di
desumere precocemente se il tessuto danneggiato lo è già in maniera irreversibile; se è presente
un grave deficit di flusso ematico o al contrario il tessuto è altamente perfuso; ed infine se si
siano instaurati gravi danni metabolici.
I recenti sviluppi delle tecniche di Risonanza Magnetica quali la RM Diffusionale (DWI),
Perfusionale (PWI) e Spettroscopica (MRS) suscitano grande interesse per la possibilità di
visualizzare e seguire lo sviluppo delle lesioni focali ischemiche già delle primissime ore e dare
concrete risposte ai quesiti sopraelencati.159
9.3.3.1 RM-spettroscopia (MRS)
Nella spettroscopia il segnale derivante da un dato elemento viene separato in funzione delle
sue varie forme chimiche. La base di questo processo risiede nel fatto che il campo magneti-
co che agisce sul nucleo atomico viene minimamente ma in maniera significativa modificato
dai campi prodotti dagli elettroni presenti nella stessa molecola. Ne consegue il cosiddetto
“chemical shift” o spostamento chimico, cioè uno spostamento della frequenza di risonanza
del nucleo dipendente dalla conformazione molecolare. Uno spettro non è altro che la rap-
presentazione dell’intensità dell’energia assorbita in funzione della frequenza di risonanza, in
cui le varie forme chimiche di un elemento determinano un picco in posizioni caratteristiche
diverse fra loro.
Tale tecnica consente di monitorare in vivo, in modo non invasivo, in un singolo volume (VOI)
o in più volumi contemporaneamente (spettroscopia per immagini) alcuni metaboliti cerebra-
li ed ottenere informazioni di natura metabolica. Si possono ottenere informazioni da più
nuclei (P, C, H, F, Na) ma le principali applicazioni cliniche hanno riguardato i nuclei del
fosforo e soprattutto il protone (1H-MRS).
Le tecniche di spettroscopia per immagini sembrano essere superiori in quanto consentono di
ottenere una mappa della distribuzione dei metaboliti con lo stesso tempo utile per ottenere
informazioni da un singolo volume di interesse; ciò permette una valutazione coordinata con
quella delle lesioni in DWI.
La 1H-MRS fornisce sicure informazioni di alcuni metaboliti quali: composti contenenti coli-
na, creatina-fosfocreatina, N-acetilaspartato, e, in condizioni patologiche, lattato.
Il segnale della colina viene considerato un indice della degenerazione e/o del ricambio delle
membrane cellulari. Il segnale della creatinina-fosfocreatina può fornire una misura indiretta
del metabolismo cellulare legato ai fosfati. Il segnale da N-acetilaspartato si considera correla-
to alla vitalità o funzionalità neuronale. Studi recenti indicano come l’entità della riduzione
dell’N-acetilaspartato sia correlabile anche ad una peggiore prognosi a distanza.160 Il lattato è
rilevabile solo quando la cellula è in carenza di ossigeno e quindi attiva il percorso anaerobi-
co della glicolisi; il suo segnale è perciò di particolare interesse in processi ischemici od infiam-
matori.
L’uso combinato con la DWI può rappresentare un ulteriore ausilio nel predire l’esito e utilità
nella selezione dei pazienti per interventi terapeutici della fase acuta e cronica.161 L’utilità cli-
nica della MRS è però molto limitata dalla lunga durata dell’esame e dalle difficoltà legate ad
una quantificazione della concentrazione assoluta dei metaboliti.
9.3.3.2 Risonanza magnetica di diffusione (DWI)
Dai risultati su modelli animali e dalle informazioni ottenute da pazienti con ictus, tale tecni-
ca ha le premesse per rivoluzionare la attuale diagnostica per immagini.
La RM di diffusione è una tecnica sensibile ai movimenti Browniani di translazione delle mole-
cole d’acqua su piccole distanze (diffusione). Il crescente interesse per tale tecnica è legato al
fatto che le immagini di DWI evidenziano le variazioni della mobilità dei protoni dell’acqua
indotte dall’ischemia entro pochi minuti dall’insulto ischemico.162
È stato largamente documentato come la RM di diffusione sia un eccellente metodo per visua-
lizzare aree di sofferenza cellulare su base ischemica acuta, prima che il danno sia evidente
nelle immagini T2-pesate.163,164 Il danno ischemico visualizzato in DWI, legato a molteplici
fattori tra cui il più importante sembra essere l’edema citotossico, è in realtà nella maggioran-
za dei casi irreversibile e preannuncia lo sviluppo dell’infarto ischemico.165
Nell’ictus acuto la diffusibilità dell’acqua è ridotta per l’intervento di fenomeni diversi, tra cui
lo spostamento di acqua dal compartimento extra- a quello intra-cellulare per l’alterazione
della pompa Na+/K+ di membrana. Lo spazio intra-cellulare contiene organelli e macromole-
cole (barriere biologiche) che limitano i movimenti dell’acqua. Inoltre, il rigonfiamento cellu-
lare riduce lo spazio interstiziale ed ostacola anche i movimenti dell’acqua extracellulare.
Questo determina un aumento focale dell’intensità del segnale per cui in DWI le aree di infar-
to acuto si differenziano chiaramente, in quanto iperintense, dal tessuto normale.
Poiché le immagini pesate in diffusione sono molto sensibili al movimento, sono essenziali
sequenze ultraveloci per generare immagini diagnostiche. L’uso di tecniche ecoplanari (EPI)
ha permesso di eseguire una singola slice in meno di 150 ms, con la possibilità di eseguire uno
studio completo del cervello in circa due minuti.166 Per ottenere una sequenza in diffusione è
necessario poter applicare dei potenti gradienti di diffusione. Il primo gradiente pone fuori
fase i protoni e viene detto “dephasing gradient”, il secondo li ripone in fase se non vi è stato
movimento delle molecole dell’acqua. A ragione di ciò, spin che si muovono in maniera casua-
le possono essere defasati dagli impulsi di gradiente posti prima di un impulso a 180° e pos-
sono essere rifasati perfettamente dal campo magnetico posto dopo l’impulso a 180°. Se il
tempo di osservazione è breve le molecole non hanno il tempo di raggiungere le barriere e si
comportano come se diffondessero liberamente. Il principio basilare della misurazione sta nel
fatto che ogni movimento delle molecole dell’acqua nel tempo di osservazione risulta in una
perdita di segnale e, quindi, in una diminuita intensità delle immagini.
In una immagine di diffusione, strutture con veloce diffusione appariranno più scure in quan-
to soggette ad una più alta attenuazione del segnale, mentre strutture con una minore velocità
di diffusione appariranno più chiare.
Inoltre, nello studio dell’ischemia cerebrale, di particolare importanza risulta la valutazione
delle mappe del coefficiente apparente di diffusione (ADC).167 In questo caso strutture con
una più veloce diffusione saranno chiare e brillanti mentre quelle a bassa diffusione più scure.
L’ADC va incontro ad una transitoria e precoce riduzione nelle primissime fasi dell’ischemia.
Questa forma di basso ADC è per definizione reversibile. Un più spiccato decremento nella
diffusibilità avviene nel tessuto ischemico quando i livelli di ATP si riducono ulteriormente
con un blocco delle pompe ioniche che porta ad un netto influsso di acqua dallo spazio extra-
cellulare a quello intracellulare (edema citotossico). Tali modificazioni, che rappresentano le
prime fasi dei processi ischemici, possono essere individuate dalla DWI entro 15-30 minuti
dall’ischemia ed in tali fasi le regioni con minore riduzione di ADC possono essere salvate con
una precoce riperfusione.
Lesioni recenti su base ischemica possono essere facilmente differenziate da pregressi infarti
in DWI mentre tale diagnosi differenziale è praticamente impossibile se si utilizzano solo le
sequenze di RM convenzionale. Nelle immagini T2 pesate l’area di iperintensità relativa all’i-
schemia può essere apprezzata solo dopo parecchie ore, quando compare l’edema vasogenico.
L’area di iperintensità in T2, compatibile con una lesione cerebrovascolare ischemica, non for-
nisce indicazioni sul tempo di insorgenza della lesione. L’iperintensità in DWI, al contrario, è
già apprezzabile dopo minuti dall’ischemia e non è più apprezzabile dopo circa due settima-
ne dall’evento ischemico. Inoltre, una riduzione dell’ADC è documentabile solo nei primi
giorni dall’ictus, mentre successivamente, con il verificarsi della necrosi massiva che compor-
ta un aumento dell’acqua extracellulare, l’ADC tende ad aumentare fino ad essere superiore a
quella del tessuto sano.
Le immagini in DWI forniscono quindi una “fotografia” immediata dell’entità del danno
indotto dall’ischemia in una fase estremamente precoce. Tuttavia da sole non sono in grado di
predire l’estensione finale della lesione. È noto, infatti, che mentre alcune lesioni rimangono
relativamente stabili come estensione nel tempo, altre tendono ad aumentare di volume.168,169
9.3.3.3 Risonanza magnetica di perfusione (PWI)
Le immagini di perfusione consentono di utilizzare le modificazioni di segnale che avvengono
durante il rapido passaggio di un mezzo di contrasto paramagnetico attraverso il letto vasco-
lare fornendo informazioni sul flusso ematico cerebrale.159 L’uso di sequenze ultrarapide (nel-
l’ordine dei millisecondi) consente di acquisire immagini e monitorare il primo passaggio del
mezzo di contrasto poiché esiste una correlazione lineare tra riduzione dell’intensità del segna-
le in T2 e concentrazione del contrasto che viene persa in pazienti con flusso ematico cerebrale
alterato.
Due tipi di RM perfusione hanno trovato applicazione clinica utilizzando i mezzi di contrasto
paramagnetici (gadolinio, Gd) o i cambiamenti endogeni in deossiemoglobina (tecnica bold).
Il mezzo di contrasto, se la barriera emato-encefalica è intatta, rimane nel compartimento
vascolare e induce un campo magnetico locale nel letto vascolare decrescente dal centro del
vaso fino ad una breve distanza fuori di esso. Se il tessuto è perfuso, ci sarà una transitoria per-
dita di segnale nelle immagini T2*.170 Aree non perfuse risulteranno quindi di intensità di
segnale superiore alle aree perfuse. Con le tecniche ultraveloci il bolo può essere seguito ese-
guendo delle sequenze seriali ogni 1-2 sec sino ad ogni 1-2 min.
Le immagini ottenute con la tecnica “bold” valutano i cambiamenti nella concentrazione in
deossiemoglobina che avviene in condizioni di flusso alterato.
Alcuni limiti della perfusione con l’uso di mezzi di contrasto stanno nel fatto che essi richie-
dono un valido accesso venoso e possono essere presenti artefatti dovuti ai seni paranasali.
Inoltre la necessità di tempo per l’elaborazione dei dati limita l’uso della RM di perfusione
nella valutazione immediata dell’ictus acuto. Mancano infine dei parametri ottimali di perfu-
sione per valutare le lesioni ischemiche. Comunque tali limiti sono progressivamente superati
dal continuo sviluppo di tali metodiche.
9.3.3.4 Studi sull’uomo
Gli studi finora effettuati in vivo mostrano come le tecniche di RM funzionale possano essere
in grado di identificare pazienti con ictus acuto, determinare se il tessuto cerebrale ischemico
può essere salvato dalla riperfusione e/o dalla terapia neuroprotettiva, predire quali pazienti
hanno un tessuto così compromesso da essere ad alto rischio di emorragia se trattati con r-tPA,
ed infine stabilire se il flusso ematico cerebrale si è ripristinato.98,166
I primi risultati suggeriscono che l’evoluzione delle lesioni ischemiche nell’uomo è più pro-
lungata e più eterogenea di quanto visto in modelli di ictus sperimentali.
In pazienti studiati in fase iperacuta, è stato dimostrato un aumento del volume delle lesioni
in studi seriati di DWI durante le prime 54 ore. Nei casi in cui è stata anche misurata la per-
fusione, le lesioni ischemiche sono risultate più ampie laddove il deficit perfusivo era maggio-
re rispetto alle alterazioni in DWI, ma non in quei casi in cui le anomalie della perfusione
erano equivalenti o più piccole di quelle in DWI. Diversi studi hanno cercato di determinare
il potenziale meccanismo alla base dell’ingrandimento delle lesioni ed i pattern di perfusione
predittivi di infarto e di potenziale reversibilità (Tabella 9:XII, Tabella 9:XIII).
Sono stati evidenziati quattro pattern di anomalie alla perfusione-diffusione, o “mismatch”,
nelle prime 24 ore:
• I tipo: PWI > DWI (70%);
• II tipo: PWI = DWI;
• III tipo: PWI < DWI (10%);
• IV tipo normale PWI, anormale DWI.
I tipi III e IV sono suggestivi di una parziale o totale riperfusione al momento dell’esame.
Il tipo I è quello che viene definito mismatch fra diffusione e perfusione, e l’area perfusa ma
non ancora danneggiata rappresenta la penombra ischemica 102 a rischio di evolvere verso l’in-
farto nei giorni successivi, con lesione definitiva di volume maggiore rispetto a quella inizial-
mente visibile in DWI.168,171
Tuttavia il destino finale di queste aree di mismatch non è segnato. Nella maggioranza dei casi
è presente un’occlusione delle arterie intracraniche, più frequentemente dell’arteria cerebrale
media, come documentato da precedenti studi angiografici,42 o da più recenti studi di angio-
RM.99 Da un punto di vista teorico, quindi, il destino delle aree di mismatch fra DWI e PWI
dipende dalla possibilità che questo tessuto possa essere riperfuso, spontaneamente o per
effetto di terapie specifiche, in tempi brevi, prima cioè che il danno coinvolga i meccanismi
vitali delle cellule.
Da quanto emerso risulta evidente che la fase acuta dell’ischemia può essere studiata
approfonditamente tramite l’associazione delle tecniche di DWI e PWI le quali possono iden-
tificare sinteticamente tre situazioni:
Tabella 9:XIV – Quadri evidenziabili alla TC nelle varie fasi evolutive dell’ictus ischemico
9.5 BIBLIOGRAFIA
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