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Rivista di Filosofia Neo-Scolastica, 1 (2016), pp.

3-27

ARTICOLI

Sergio Galvan*

TEORIA CLASSICA DEI POSSIBILI


POSSIBILISMO CLASSICO E SUO FONDAMENTO ATTUALISTICO

Intento di questo scritto è esporre le linee essenziali di una teoria possibilistica degli
oggetti possibili che soddisfi il requisito fondamentale dell’attualismo. Tale teoria pre-
senta alcuni tratti fondamentali, elementari e d’impianto, strettamente connessi con quel
sistema di nozioni fondamentali che si consolidò nel corso della riflessione filosofica
dall’antichità fino a Kant e che tradizionalmente costituisce il nucleo concettuale essen-
ziale e il cuore dello sviluppo dell’ontologia e della metafisica classica da Platone a
Wolff. Una di queste nozioni è, ad esempio, il concetto aristotelico di sostanza indi-
viduale. Tuttavia, nel periodo medievale tale nozione è stata ripensata alla luce di una
teoria dell’essere più ampia e profonda di quella di Aristotele. È questo il framework
© 2016 Vita e Pensiero / Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

entro il quale si ha la svolta radicale tra una teoria dell’essere essenziale e una teoria
dell’essere come atto d’esistenza e sempre qui si radica la teoria moderna della possi-
bilità che rinasce nel Novecento con la semantica della logica modale. Dal momento
che la teoria dei possibili che ci accingiamo a presentare è strettamente connessa con
la tradizione classica, la chiameremo possibilismo classico. Dal momento, poi, che si
tratta di una teoria possibilistica che si prefigge di rispondere all’istanza fondamentale
dell’attualismo, la chiameremo anche possibilismo attualistico. Data dunque l’impor-
tanza dell’attualismo nell’elaborazione di questa teoria possibilistica, iniziamo con una
classificazione analitica delle varie forme di attualismo. Questa analisi è utile, tra l'altro,
perché consente di appurare con cura somiglianze e differenze tra le teorie, esame da cui
è possibile trarre le ragioni a favore o quelle contro le teorie rivali.

1. Alcune forme di attualismo

Le teorie attualistiche sono contraddistinte dal fatto di sostenere che solo gli oggetti
attuali sono da considerare esistenti e che, pertanto, solo su di essi si possa quantifica-
re. Gli attualisti ammettono la quantificazione solo su domini oggettuali costituiti da
oggetti attuali, perché, secondo il criterio di Frege-Quine, quantificare su x significa

*
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.
4 sergio galvan

dichiarare l’esistenza di x e, per gli attualisti, esistono soltanto gli oggetti attuali1. La
restrizione della quantificazione agli oggetti attuali non è, però, una condizione defi-
nitoria sufficiente dell’attualismo, fino a che non si è chiarito con precisione il signi-
ficato di attualità. La diversità di significato del termine «attuale» è all’origine della
molteplicità di forme dell’attualismo. Per questo è conveniente fin dall’inizio fare un
po’ di chiarezza distinguendo tre predicati ontologici fondamentali: O, Es, A. Con O
intendiamo indicare la proprietà generalissima di «essere un oggetto»:

Ox =def x è un oggetto
=def x è centro di predicazione

Essere un oggetto non significa, dunque, esistere, dal momento che anche a un oggetto
ideale ha senso attribuire proprietà o relazioni, senza presupporre che esso sia dotato
di esistenza. I numeri, ad esempio, hanno proprietà e sono in relazione. Questo, tutta-
via, non obbliga a ritenere che essi esistano. Non esistono, almeno, per quei filosofi che
attribuiscono l’esistenza ai soli oggetti concreti e ritengono i numeri ontologicamente
dipendenti da questi. Ma analoghe considerazioni si possono fare anche nei confronti
dei possibili non esistenti. Di un oggetto come Pegaso posso dire che è il cavallo di Bel-
lerofonte e quindi che è un cavallo, senza con questo voler dire che esiste.
Il problema più delicato riguarda, tuttavia, la nozione di esistenza e i suoi rap-
porti con quella di attualità. Naturalmente è semplice rendersi conto che l’attualità è
una modalità dell’esistenza e, dunque, essere esistente non significa, a rigore, essere
attualmente esistente. Però tra le due nozioni esiste un rapporto sottilmente comples-
so. La distinzione tra i predicati Es e A intende, per l’appunto, rispondere a questa
domanda di chiarezza. Iniziamo con la nozione di attualità:

Ax =def x è attuale
=def x è attualmente esistente
=def x non è un niente

L’oggetto x è attuale quando non è semplicemente un pensato o un possibile, ma quan-


do effettivamente esiste. In questo senso si dice, anche, che qualcosa esiste quando
non è un niente. All’identificazione dell’attualità con il non essere niente, qualcuno ha
obiettato che anche il pensato non è niente o che il possibile non è niente. La ragione
per la quale il pensato non è un niente o il possibile non è un niente non è, però, la stes-
sa per la quale sono invece niente. Il loro contenuto intenzionale (ciò che è possibile o
ciò che è pensato) è niente proprio per il fatto che il contenuto di ciò che è puramente
pensato non esiste e, similmente, il contenuto di ciò che è possibile non è dato attual-
mente. Al contrario, esiste il pensiero che intenziona il pensato non esistente, così
come esiste la possibilità che il meramente possibile sia attualizzato. Come si vedrà
in seguito, questa distinzione è fondamentale nella nostra concezione dei possibili, ma

1
Il problema del significato esistenziale dei quantificatori connesso con il criterio di Frege-Quine
viene esaminato in S. Galvan, Quantificatori ed esistenza, «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», CVII
(2015), 1-2, pp. 143-153.
teoria classica dei possibili 5

qui è importante per la stessa analisi della nozione d’esistenza. La nozione d’esistenza
come attualità è, infatti, diversa dalla nozione simpliciter d’esistenza che vogliamo
indicare attraverso il segno Es.

Esx =def x è un esistente qualsiasi, astratto o concreto


Il predicato Es denota una forma generalissima d’esistenza che può non coincidere
con l’esistenza di un particolare concreto (o di una sostanza). Come è noto, alcuni
filosofi contemporanei, come i neoaristotelici, negano ad esempio che le proprietà (o
le relazioni) possano esistere senza essere istanziate. Ciò significa che il loro esistere
dipende dall’esistere del particolare concreto a cui appartengono. Esse non esistono
separatamente (comunque la loro esistenza separata possa essere intesa) dall’oggetto
a cui ineriscono; esistono solo come determinazione di questo. Chi, invece, è incline
a un realismo ante res degli universali ritiene che gli universali siano caratterizzati
da una forma d’esistenza astratta, non coincidente con l’attualità (attribuibile solo ai
concreti), ma ciononostante autonoma rispetto al pensiero. Il cosiddetto terzo regno di
Frege è popolato di enti di tale tipo. Il predicato Es caratterizza anche enti di tale tipo,
non invece il predicato di attualità A. Dalla definizione di Es segue così il principio:
∀x(Ox ∧ Ax → Es x), mentre non vale necessariamente ∀x(Ox ∧ Es x → Ax).
Fatte queste distinzioni possiamo accingerci a distinguere i vari tipi di attualismo2.

1.1. Attualismo debole. Afferma che ∀x(Ox ∧ Es x → Ax), cioè che ogni oggetto esi-
stente è attuale. Chiaramente si tratta di attualismo perchè l’attualità è posta come condi-
zione necessaria dell’essere un oggetto esistente. Tuttavia, si tratta di una forma debole
di attualismo perchè è compatibile con l’affermazione che ∃x (Ox ∧ ¬Ax ∧ ¬Es x ) , vale
a dire con l’affermazione che esistono oggetti non attuali e non esistenti. Ora, i pos-
sibili sono certamente non attuali. L’attualismo debole risulta dunque compatibile
con qualsiasi forma di possibilismo che intenda i possibili come enti non esistenti. La
compatibilità dell’attualismo debole con un possibilismo di questo tipo depone però a
suo sfavore. In realtà, esso rappresenta una posizione debole ed indeterminata, fino a
che la nozione di esistenza non è ulteriormente precisata. È quanto si può fare passan-
do alla versione di attualismo forte seguente.

1.2. Attualismo forte. Afferma ∀x(Ox → Es x ∧ Ax), cioè che ogni oggetto è esistente
ed attuale. Chiaramente l’attualismo forte implica l’attualismo debole. In più, l’at-
tualismo forte esclude il possibilismo nella forma indicata. Infatti, la tesi possibilisti-
ca, ∃x(Ox ∧ ¬Ax ∧ ¬Es x), implica la negazione di ∀x(Ox → Es x ∧ Ax). Ma esclude
anche altre forme di possibilismo, ad esempio, la tesi ∃x(Ox ∧ ¬Ax) e quella simme-
trica ∃x(Ox ∧ ¬Es x). Questo può sembrare eccessivo e certamente lo è per tutti coloro
che condividono una concezione solo moderata del possibilismo. La tesi attualisti-

2
Le linee generali di questa classificazione si trovano in T. Yagisawa, Possible Objects, in E.N. Zalta
(ed.), The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Fall 2014 Edition), [online] <http://plato.stanford.edu/
archives/fall2014/entries/possible-objects/>. L’analisi semantica dei predicati O, Es, A è personale. Cfr.
anche C. Menzel, Actualism, in Zalta, The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Summer 2014 Edition),
[online] <http://plato.stanford.edu/archives/sum2014/entries/actualism/> e K. Bennett, Proxy Actualism,
«Philosophical Studies», 129 (2006), pp. 263-294.
6 sergio galvan

ca forte è tuttavia interessante per il seguente corollario: ∀x(Ox → (Es x ↔ Ax)) , che
essa condivide con la tesi attualistica debole.
Dimostrazione:

∀x(Ox ∧ Ax → Es x) da def. di Es
∀x(Ox → (Ax → Es x)) logica
∀x(Ox ∧ Es x → Ax) attualismo debole (implicato da quello forte)
∀x(Ox → (Es x → Ax)) logica
∀x(Ox → (Es x ↔ Ax)) conclusione

Questo risultato ci sarà particolarmente utile quando cercheremo di isolare la compo-


nente irrinunciabile dell’attualismo.

1.3. Attualismo di Zalta e Williamson3. Tenendo conto degli ultimi sviluppi delle
rispettive teorie, i due autori difendono la concezione forte dell’attualismo. In parti-
colare Zalta afferma che «the actualism is the conjunctive thesis that everything exists
and is actual»4. La quantificazione riguarda la totalità degli enti, che sono giudicati
esistenti o, equivalentemente, attuali (∀x(Ox → Es x ∧ Ax)). All’interno della totali-
tà degli esistenti (che dunque esistono necessariamente e quindi non possono esse-
re divisi in possibili o attuali) esiste una differenza ontologicamente rilevante. È la
differenza tra astratto e concreto. Un possibile che il senso comune giudica essere
diventato esistente non è niente altro che un oggetto astratto che è diventato concreto.
Dunque, la differenza tra oggetti qualsiasi ed oggetti comunemente giudicati esistenti
non è data dall’esistenza ma dalla concretezza di questi ultimi.
In sintesi: ∀x(Ox → Es ∧ Ax) , equivalente a ∀x(Ox → Ax)

 
Oggetti
 
(attuali e esistenti)
 
concreti
 

Oggetti
(attuali e esistenti)
astratti

3
Cfr. E.N. Zalta, Abstract Objects. An Introduction to Axiomatic Metaphysics, Reidel, Dordrecht
1983; Id., Intensional Logic and the Metaphysics of Intentionality, the MIT Press, Cambridge MA 1988;
T. Williamson, Bare Possibilia, «Erkenntnis», 48 (1998), pp. 257-273; Id., Necessary Existents, in A.
O’Hear (ed.), Logic, Thought and Language, Cambridge University Press, Cambridge 2002, pp. 233-251;
Id., Modal Logic as Metaphysics, Oxford University Press, Oxford 2013; M. Nelson - E.N. Zalta, Bennett
and “Proxy Actualism”, «Philosophical Studies», 142 (2009), pp. 277-292.
4
Nelson - Zalta, Bennett and “Proxy Actualism”, p. 4, nota.
teoria classica dei possibili 7

1.4. Attualismo di Plantinga5. L’attualismo di Plantinga è una forma singolare di


attualismo. Esso è riconducibile al principio ∀x(Ox → Es x) (derivabile ma non
equivalente all’attualismo forte), secondo il quale tutto ciò che è esiste, ma non
necessariamente è attuale. Dunque Plantinga distingue tra esistenza e attualità. L’e-
sistenza compete allo stesso modo a ogni tipo di oggetto, sia esso concreto (nel
senso di esistente nello spazio-tempo), sia esso astratto (nel senso di non esistente
nello spazio-tempo). L’attualità invece è la modalità tipica degli oggetti che sono
usciti dal semplice stato di possibilità. Per Plantinga, però, non sono i possibili che
cambiano modalità, perchè i possibili non esistono e quindi non possono neppure
diventare attuali. Le entità capaci di diventare attuali sono le entità astratte come
gli stati di cose, i mondi (che sono insiemi massimali di stati di cose) e le essenze
individuali (cioè l’insieme delle proprietà essenziali, che gli individui singolarmen-
te istanziano se esistono). Plantinga afferma, ad esempio, che il mondo attuale è
il mondo che occorre (obtains), vale a dire quel mondo che è di fatto attualizzato.
Afferma, inoltre, che un oggetto esistente nel mondo attuale è a sua volta attuale
(obtains), ma con ciò non intende dire che in esso è attualizzato un possibile che, se
non fosse attuato, esisterebbe comunque nella modalità del possibile. Egli afferma,
piuttosto, che esiste l’essenza astratta di quell’oggetto, della quale quell’oggetto è
l’istanziazione (attuazione) nel mondo attuale. Questa analisi dell’attualità è molto
importante perchè consente a Plantinga di risolvere brillantemente il paradosso dei
possibili che non esistono. La soluzione del paradosso consiste nello scaricare l’im-
pegno ontologico dei possibili non esistenti sulle essenze, ovvero su entità astratte
esistenti, che fungono da sostituti dei possibili inesistenti: questi surrogati attuali
degli individui possibili inesistenti sono le essenze individuali non esemplificate.
Negli scritti sopra citati6, Plantinga sostiene che, quando affermiamo che esistono
o che sarebbero potuti esistere individui possibili inattuali, intendiamo dire che ci
sono delle particolari proprietà, le essenze individuali, di fatto non esemplificate,
ma essenzialmente esemplificabili, e, dunque, esemplificate in qualche mondo pos-
sibile. In termini formali, dire che Socrate è un possibile non esistente significa dire
che esiste l’essenza di Socrate e un mondo possibile non attuato in cui tale essenza
è istanziata. Chiaramente l’affermazione che esiste il dominio delle essenze cor-

5
Gli scritti di Plantinga sono molti. Tra i più interessanti ci sono, oltre a The Nature of Necessity,
Clarendon, Oxford 1974, A. Plantinga, World and Essence, «Philosophical Review», 79 (1970), pp.
461-492, rist. in M. Davidson (ed.), Alvin Plantinga. Essays in the Metaphysics of Modality, Oxford
University Press, New York 1983, pp. 46-71; Id., Actualism and Possible Worlds, «Theoria», 42 (1976),
pp. 139-160; Id., De Essentia, in E. Sosa (ed.), Essays on the Philosophy of Roderik Chisholm, Rodopi,
Amsterdam 1979, pp. 101-121; rist. in Davidson, Alvin Plantinga. Essays in the Metaphysics of Modali-
ty, pp. 139-157; Id., On Existentialism, «Philosophical Studies», 44 (1983), pp. 1-20; rist. in Davidson,
Alvin Plantinga. Essays in the Metaphysics of Modality, pp. 158-175; Id., Self ’Profile, in J.E. Tom-
berlin - P. Van Inwagen (eds.), Alvin Plantinga, Reidel, Dordrecht 1985, pp. 3-99; Id., Replies to my
Colleagues, in Tomberlin - Van Inwagen, Alvin Plantinga, pp. 313-365; Id., Two Concepts of Modality.
Modal Realism and Modal Reductionism, «Philosophical Perspectives», 1 (1987), pp. 189-231; rist.
in Davidson, Alvin Plantinga. Essays in the Metaphysics on Modality, pp. 192-228. La concezione di
Plantinga sui possibili è stata formalizzata da Jager in T. Jager, An Actualistic Semantics for Quantified
Modal Logic, «Notre Dame Journal of FormaI Logic», 23 (1982), pp. 335-349.
6
In particolare, in Plantinga, The Nature of Necessity, pp. 131-137.
8 sergio galvan

rispondenti ai possibili è una evidente professione di platonismo, di modo che la


teoria di Plantinga è legata alle sorti del platonismo stesso.
In sintesi: ∀x(Ox → Es x)

Oggetti esistenti
attuali
 

Oggetti esistenti
non attuali
(stati di cose, essenze)
 
 
 
A questo punto sarebbe logico
  proseguire con la discussione delle concezioni attuali-
stiche esposte in vista della
  tesi possibilistica che intendiamo difendere. Ma lasciamo
a dopo questo impegno. Prima vorremmo ricavare dal contenuto delle quattro conce-
zioni illustrate ciò che a nostro avviso è il nucleo centrale dell’attualismo e quali sono
i suoi punti di forza.

2. Attualismo univoco

Il cuore dell’attualismo sta nella tesi ∀x(Ox → (Es x ↔ Ax)) , che segue dalle tesi
attualistiche, sia forte sia debole, ma non è equivalente da nessuna di queste. Essa
significa che l’esistenza coincide con l’attualità: qualcosa è esistente nella misura e in
quanto è attuale. In questa coincidenza sta la ragione profonda per la quale la teoria
della quantificazione porta selettivamente all’attualismo. Come sappiamo già, infat-
ti, nei linguaggi del primo ordine la quantificazione sottopone a vincolo le variabili
individuali e, secondo il criterio di Frege-Quine, essere coincide con l’essere il valore
di una variabile. La quantificazione dichiara dunque l’esistenza degli oggetti sul cui
dominio le variabili variano. Ma se esistenza ed attualità coincidono è giocoforza che
la quantificazione riguardi oggetti attuali e che sia dunque legittima la quantificazione
solo su oggetti attuali e non su possibili. Tuttavia, l’obbligo di quantificare solo su
oggetti attuali, unito alla volontà di non perdere l’estensione massima della quanti-
ficazione (vale a dire riservandosi la possibilità di affermare l’esistenza di tutto ciò
che è e che è possibile), costringe a variare il tipo degli oggetti appartenenti al domi-
nio oggettuale su cui si quantifica, pur mantenendo fissa la modalità d’essere attuale
di questi. In tal modo, l’impegno conseguente al criterio di Frege-Quine deve essere
ontologicamente indebolito per quanto riguarda l’interpretazione imposta alle variabi-
li, ma non rispetto alla modalità d’essere attuale espressa dalla quantificazione.
Ma, allora, è legittimo, ad esempio, far variare il dominio oggettuale di interpreta-
zione delle variabili su oggetti qualsiasi, siano essi attuali, possibili o, addirittura, fittizi
o impossibili, come fa Meinong, intendendo l’esistenza connessa con l’uso dei quanti-
ficatori come il semplice «essere dato» dell’oggetto? O, seguendo Zalta e Williamson,
intendere il dominio quantificazionale comprensivo della totalità dell’essere, attribuen-
do l’esistenza o l’attualità sia agli oggetti concreti che a quelli astratti?
teoria classica dei possibili 9

Il prezzo che, seguendo tali autori, si deve pagare, per soddisfare il criterio frege-
quineano di impegno ontologico, ci sembra troppo alto. Ciò che si perde è l’univocità
del concetto di attualità e di esistenza. Senza dubbio, rispetto ad affermazioni vere sul
mondo, l’attualità è la modalità corrispondente all’esistenza reale. Però l’attualità degli
stati di cose che corrispondono alla verità di proposizioni matematiche non è dello stes-
so tipo. I numeri, come dice Zalta, non sono enti concreti, ma enti astratti e, quindi, la
loro forma d’esistenza è d’altro tipo rispetto all’esistenza reale. Nell’ambito dell’essere
reale, ente attuale significa ente realizzato, ente attualizzato, mentre non ha alcun sen-
so dire che i numeri sono attualizzati, anche se sono in senso specifico attuali. E non è
possibile dire che l’esistenza è la stessa quando gli oggetti sono diversi nel loro essere
tali (Sosein), come sono gli enti concreti da una parte e gli enti astratti dall’altra. Come
dev’essere inteso, dunque, l’esistere o l’essere attuale? A noi pare che l’esistere o l’esse-
re attuale debba essere inteso univocamente nel senso di «non essere un niente».
Che cosa significa, a sua volta, non essere un niente? La risposta non è certamente
facile. Possiamo tentarne una non esauriente, ma sufficiente ai nostri fini, richiamandoci
alla nozione di mondo possibile «vuoto». Un mondo possibile vuoto è un mondo possibile
da cui sono sottratti tutti gli oggetti che vi esistono. Che cosa rimane dopo la sottrazione?
La risposta più ovvia è che non rimane «niente». Una classica obiezione all’operazione
di sottrazione è che non è vero che rimane niente, dal momento che ogni operazione di
sottrazione è relativa ad un contesto in cui la sottrazione di qualcosa fa emergere ciò che
esiste oltre il qualcosa sottratto. Ma si è pregati di prendere l’idea di mondo possibile
seriamente, come insieme massimale di stati di cose, vale a dire come mondo che com-
prende tutti gli oggetti e, dunque, tale che non ci sono altri oggetti. È chiaro, allora, che la
sottrazione di tutti gli oggetti presenti nel mondo fa emergere il nulla e non qualcosa d’al-
tro. La caratteristica di massimalità dei mondi possibili è importante anche per far fronte
ad un’altra obiezione. Qualcuno sostiene, ad esempio, che non ha senso ipotizzare che si
possano rimuovere tutti gli oggetti presenti in un mondo, dal momento che in un mondo
ci sono anche oggetti astratti come i numeri che esistono necessariamente. Dunque, anche
ipotizzando di sottrarre tutti gli oggetti concreti, rimarrebbero quelli astratti e, quindi, non
si avrebbe esito nichilistico. Naturalmente se esistono degli oggetti necessari (siano essi
concreti o astratti), l’ipotesi di sottrazione totale è impossibile, ma ciò non significa che
non abbia senso l’idea del nulla. L’idea del nulla scaturisce anche dalla semplice ipotesi
controfattuale dell’assenza totale di ogni oggetto. Per i filosofi, poi, che negano l’esisten-
za ante res degli oggetti astratti, questi sono letteralmente «nulla» senza essere istanziati e
pertanto non possono esistere se non esistono oggetti concreti che li istanziano.
In conclusione, se per esistenza noi intendiamo attualità e per attualità non essere
niente, quale realtà possiamo coerentemente attribuire ai possibili?

3. Attualismo ed esistenza dei possibili

Perchè, innanzitutto, c’è bisogno di parlare di oggetti possibili? La ragione è profon-


da7. Come si è argomentato analiticamente nell’articolo appena citato in nota, il cri-

7
Un esame approfondito delle ragioni che richiedono l’introduzione della categoria di oggetto
possibile si trova in Galvan, Quantificatori ed esistenza. A questo scritto, che era stato concepito
come una premessa del presente articolo, si rinvia il lettore interessato.
10 sergio galvan

terio frege-quineano di impegno ontologico non pone nessuna ipoteca sulla natura
ontologica del dominio di quantificazione. Richiede soltanto che gli oggetti del domi-
nio, concreti o astratti, universali o particolari, siano attuali in conformità alla moda-
lità d’essere di quegli oggetti. Impone, cioè, che essi siano attuali come enti astratti o
come enti concreti, come universali o come particolari. Non riesce, tuttavia, ad espri-
mere l’attualità di oggetti che possono non essere attuali. Ma, allora, se il dominio
su cui si quantifica è costituito da enti concreti capaci di venire ad essere e di cessare
d’essere, come è possibile esprimere il loro venire ad essere o il loro cessare d’essere
attraverso l’esistere quantificazionale? La via maestra per guadagnare tale possibilità
è quella di concepire gli individui soggetti al divenire come possibili e il loro venire
ad essere come attualizzazione della loro possibilità, esattamente come il loro cessare
d’essere deve essere inteso come una perdita della loro attualità. Naturalmente l’esse-
re attuale di un possibile non può più essere espresso attraverso i quantificatori. Esso
è espresso da un vero e proprio predicato d’esistenza E, il quale svolge la funzione di
distinguere i possibili non attuali da quelli attuali8. In questo modo l’esistenza intesa
come attualizzazione dei possibili è espressa dal predicato d’esistenza E, mentre le
variabili soggette a quantificazione variano sui possibili in generale.
L’impressione immediata è che il predicato di esistenza consenta di evitare le
espressioni antinomiche derivanti da affermazioni come «ci sono degli oggetti che
una volta esistevano e che non esistono più». Formalmente la contraddizione non si
può più ottenere. Se si vuol dire, ad esempio, che Socrate non esiste più, basta dire
che esiste un individuo possibile che è Socrate e che non è esistente – formalmente
∃x(Sx ∧ ¬Ex) –, ove, chiaramente, l’affermazione d’esistenza quantificazionale non
è contraddetta dalla negazione del predicato d’essere. Dal punto di vista attualista,
tuttavia, le cose non appaiono del tutto a posto. Infatti, il senso di proposizioni come
∃x(Sx ∧ ¬Ex) è quello di dichiarare l’esistenza di un possibile non attualizzato. Ora,
rispetto all’oggetto possibile x, la modalità d’essere espressa dal quantificatore esi-
stenziale è identica a quella espressa dal predicato d’essere: gli oggetti su cui varia il
quantificatore sono oggetti possibili reali e reale è la modalità d’essere espressa dal
predicato d’esistenza, che denota l’esistenza attuale del possibile Socrate. Dal pun-
to di vista semantico, dunque, sembra che la contraddizione riappaia. In generale, i
possibili sono perchè il possibilista ne dichiara l’esistenza (nella modalità d’essere
attuale) e non sono perchè si dichiara al contempo che non sono (nella modalità d’es-
sere attuale). Il problema della quantificazione sui possibili è serio nella misura in cui
l’impegno ontologico indotto dalla quantificazione è forte e non si limita soltanto ad
essere espressione dell’«essere dato» dell’oggetto possibile al soggetto epistemico. È
giocoforza, secondo tale interpretazione, che la legittimazione della quantificazione
non sia senza costi, non potendo essa derivare se non dal fatto che anche i possibili
presentano qualche aspetto di attualità. L’introduzione del predicato d’esistenza serve
in effetti a tenere i quantificatori liberi da un reale impegno ontologico, caricando al
loro posto dell’impegno le variabili occorrenti entro il raggio d’azione del predicato
d’esistenza. Questa mossa, tuttavia, lungi dal liberare i possibili dal problema della
loro componente d’attualità, la circoscrive in maniera precisa agli enti su cui sono
interpretabili le variabili suscettibili di cadere entro il raggio d’azione del predicato

8
Il predicato E non va confuso con il predicato generico Es delle pagine precedenti.
teoria classica dei possibili 11

d’esistenza. Ecco il problema, in tutta la sua asperità logica. La sua soluzione deriva
dalla possibilità di isolare dal concetto di possibile una componente attuale, in modo
tale da soddisfare il requisito di fondo dell’attualismo, secondo il quale non è possibile
quantificare se non su entità date in atto. Come è possibile trovare questa componen-
te? Si trova andando a vedere che cosa sono i possibili e come sono fatti.

3.1. Il concetto di possibile

L’oggetto x è un possibile reale (o realmente possibile) se e solo se x è producibile9.


Naturalmente, poichè non può essere prodotto qualcosa di logicamente impossibile,
ciò che è realmente possibile è necessariamente anche logicamente possibile. Tuttavia
la possibilità logica non basta a costituire la possibilità reale, occorre che il possi-
bile sia anche oggetto di un potere produttivo. La nozione di possibilità reale è una
estensione della nozione aristotelica di potenzialità. Come quest’ultima, la nozione
di possibilità reale presuppone che si diano delle potenzialità o dei poteri (powers
nella letteratura analitica contemporanea)10, ma non c’è alcun vincolo sulla natura e la
provenienza di questi. Può trattarsi di poteri radicati nella sostanza individuale stessa,
ma possono essere poteri anche esterni ad essa. La nozione è astratta al punto da poter
concepire il potere di produzione come esterno all’oggetto che viene prodotto. Ciò
che, invece, è caratteristico della nostra nozione di possibilità è il dualismo tra potere,
da una parte, e oggetto di questo potere, dall’altra. Il rapporto tra potere e oggetto del
potere è simile al rapporto che esiste tra attitudine proposizionale e contenuto di tale
attitudine. Se si dice: «Desidero la promozione di mio figlio», «Posso realizzare que-
sto progetto», «Penso che tu sia sincero», i verbi che si usano hanno tutti la funzione
di esprimere attività definite dall’oggetto a cui sono dirette. Anche i poteri produttivi
sono caratterizzati da questa direttività11. Nei possibili si può pertanto distinguere:
1. Il potere produttivo che sta a fondamento del possibile
2. Il contenuto o oggetto di tale potere che è il possibile stesso
Prendiamo in considerazione un oggetto possibile. Sia esso, ad esempio, il possibile
Socrate: ι x(Sx ∧ à◊Ex), cioè quell’unico x che è Socrate e che è possibile che esista.
Si noti che la qualificazione «reale» della possibilità è espressa nel termine funzionale
dal predicato d’esistenza. Il che significa che il possibile è quell’oggetto fatto così e
così che può essere posto in esistenza. Ma come è possibile questo? È possibile perchè
esiste attualmente il potere di produrlo. Indichiamo, a questo punto, con PROD(x, y)
la relazione di produzione che l’oggetto y esercita nei confronti di x. Aristotelicamente
tale oggetto è inteso come un agente, ma nella semantica astratta non ha importanza
come esso debba essere inteso. Importante è che sia y il portatore del potere produttivo
nei confronti di x e che y sia esistente. Se non lo fosse non potrebbe a sua volta produr-
re x, dal momento che produrre vuol dire porre in essere, ossia conferire l’esistenza.
Fatte queste precisazioni, l’enunciato:

9
D’ora innanzi il termine possibile sarà inteso normalmente nel senso di possibile reale.
10
Si veda G. Molnar, Powers. A Study in Metaphysics, ed. with an Introduction by S. Mumford and a
Foreword by D.M. Armstrong, Oxford University Press, Oxford 2003.
11
Per un approfodimento del carattere intenzionale e dei poteri si veda ibi, pp. 60-81.
12 sergio galvan

∃y(Ey ∧ à◊PROD(y,ι xSx))

dichiara che la possibilità di ι xSx è realmente fondata in y. Dal fatto poi che vale il
principio:
∀y(Ey → ∀xr(PROD(y, x) → Ex))
segue anche
∃x(Sx ∧ à◊Ex)

il che dichiara la possibilità reale di ι xSx.

Lo schema seguente riassume l’analisi svolta. Esso evidenzia il fatto che il possibile
non è altro che l’oggetto di un potere reale, ossia dato in atto. Ciò significa che il pos-
sibile non è in atto, ma è in atto il potere che lo può generare.

Attuale Possibile
esisteil potere quell’x che
di produrre x è Socrate
∃y(Ey ∧ à◊PROD(y, x)) ι xSx

!#########"#########$
∃y(Ey ∧ à◊PROD(y,ι xSx))
∃x(Sx ∧ à◊Ex)

Potremmo riassumere in modo stringato quanto illustrato, anche dicendo che nel pos-
sibile si può distinguere la sua essenza, consistente nell’essere-Socrate, e la sua moda-
lità d’essere (come possibile). Tale modalità consiste nell’essere oggetto di un potere
produttivo. In breve:

Il possibile Socrate = ι x(Sx ∧ ∃y(Ey ∧ à◊PROD(y, x)))

Essenza dell’oggetto possibile Fondamento reale


λ xSx ∃y(Ey ∧ à◊PROD(y, x))
!########### #"############ $
ι x(Sx ∧ ∃y(Ey ∧ à◊PROD(y, x)))

3.2. La forma d’essere del possibile

Il problema che divide gli attualisti dai possibilisti è la disputa sulla forma d’essere
che compete ai possibili. Gli attualisti sono del parere che ai possibili non compete
alcuna forma d’essere e che solo gli attuali possono essere considerati esistenti, anzi
tali da avere l’unica forma possibile d’esistenza. Il problema della quantificazione sui
teoria classica dei possibili 13

possibili nasce proprio da questo ed è per questo che gli attualisti come Zalta o Wil-
liamson introducono la differenza tra oggetti attuali astratti e oggetti attuali concre-
ti. Tale differenza non riguarda la modalità d’essere ma una distinzione all’interno
dell’essere essenziale (sfera del Sosein). I possibilisti, al contrario, riconoscono che i
possibili siano dotati di una modalità d’essere loro propria che li distingue dagli attua-
li. Quest’ultima concezione va tuttavia chiarita. Di quale modalità si tratta?
Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di una modalità che sta, per così dire, a metà
strada tra l’essere (esistenza) e il non essere. Ma questa visione è difficilmente soste-
nibile, perchè tra essere e non essere non datur tertium. Il punto da chiarire è piuttosto
se ha senso la stessa domanda riguardante la collocazione della modalità d’essere del
possibile a metà strada tra essere e non essere. Una domanda come questa non è del
tutto sensata, perchè le modalità si possono distinguere anche senza doversi qualificare
come modalità rispetto ad un continuum tra essere e non essere. Esse possono essere
diverse anche per la ragione molto semplice che l’essere si dice originariamente in modo
diverso. Ma che cosa significa originaria diversità del modo d’essere dei possibili? A
nostro avviso, essa significa che l’essere dei possibili consiste nell’essere oggetto di un
potere, ove tale oggetto in sè (cioè preso senza la relazione con la capacità produttiva),
è attualmente un niente, ma non è un niente se si considera l’attualità del potere di cui
è oggetto. I diversi rispetti secondo i quali si possono vedere i possibili ci dicono in che
senso un possibile è e in quale altro non è. La univocità dell’essere reale non è minima-
mente toccata. In secondo luogo, la duplicità dei rispetti consente alla tesi da noi esposta
di superare il test di Frege-Quine e dunque di legittimare l’estensione dei quantificatori
ai possibili. Uno di questi rispetti, infatti, è costituito dal potere produttivo, ma il potere
produttivo è attuale e di conseguenza anche il possibile come suo oggetto proprio lo è.
Di conseguenza è legittimo quantificare anche sui possibili.
Il possibilismo che intendiamo difendere in questo scritto è profondamente
radicato nella tradizione classica, secondo l’estensione e lo sviluppo a cui abbiamo
accennato nell’introduzione a questo lavoro, che parte da Aristotele ed arriva fino a
Leibniz, ma che non si identifica con nessuna delle teorie storiche riconducibile ai
singoli autori, essendo una posizione che intende confrontarsi con le attuali posizio-
ni attive nel dibattito contemporaneo. In ogni caso, per sottolinearne il radicamento
nell’idea classica della possibilità fondata sul potere produttivo, lo abbiamo chia-
mato possibilismo classico.
Il possibilismo classico prende le distanze da qualsiasi forma di platonismo, sia il
platonismo che storicamente ha supportato alcune posizioni possibiliste medievali,
sia il platonismo che offre la possibilità a Plantinga di sostenere una singolare teoria
attualista dei possibili non concretista e neppure meinongiana. Il platonismo, come
è risaputo, afferma che l’esistenza attuale appartiene alle idee. Nel linguaggio della
semantica medievale ciò significa che le essentiae sono dotate di una forma d’essere
reale. L’essere-uomo in generale è esistente tanto quanto questo uomo. Anzi questo
uomo nasce dalla commistione di tante idee universali e il suo essere è derivato da
quello delle idee. Dal momento poi, che le essentiae sono matrici di possibilità, l’at-
tribuzione dell’essere alle essentiae è visto anche come reificazione dei possibili.
Anche i possibili esistono come le idee. Ma il platonismo si può esprimere anche nel
linguaggio della semantica contemporanea. La proprietà d’essere-uomo la si può
indicare attraverso il termine λ xUx (ove U è il predicato «uomo» e λ è l’operatore
che trasforma il predicato U nella proprietà d’essere-uomo) e il platonismo consiste
14 sergio galvan

nell’affermare che si può quantificare su tali entità esattamente come si quantifica


sugli oggetti concreti. La differenza rispetto a questi è data dal fatto che le entità
astratte, diversamente da quelle concrete, sono necessariamente esistenti perchè il
loro esistere coincide con il loro Sosein.
Ebbene, il possibilismo classico non ha niente da spartire con il platonismo. Un
possibile non esiste perchè esiste l’idea o la commistione di idee (l’essenza) che gli
corrisponde, ma perchè il suo esistere coincide con l’essere oggetto (determinato da
quell’essenza) di un potere attualmente esistente.
Suarez chiarisce magistralmente il senso del rapporto tra l’attualità della possibi-
lità di un contenuto e la non attualità di questo. La rilettura di alcuni passi dell’autore
tardoscolastico ci sarà molto utile per approfondire ulteriori aspetti di convergenza
della nostra posizione con alcune tesi classiche intorno ai possibili, ma anche per mar-
care la differenza con altre sviluppate nel periodo scolastico sia in quello moderno.

3.3. Suarez sulla modalità d’essere dei possibili

Nella tradizione, che da Aristotele giunge fino ai filosofi medievali come Tommaso e
Scoto, la concezione di Suarez rappresenta il punto di sintesi più maturo che il pen-
siero della tardo-scolastica ha consegnato alla riflessione moderna. Essa, al contem-
po, precorre, prima della rivoluzione leibniziana, molte delle idee che hanno segnato
la rinascita della semantica modale contemporanea. Innanzitutto, Suarez fa una netta
distinzione tra l’esse come atto d’essere e l’essentia (vale a dire ciò che può esistere,
ovvero è possibile o in potenza) ed intende l’ens come comprensivo dell’ens attuale e
dell’ens possibile. L’ens attuale non è altro che l’ens possibile più l’atto d’essere.
Naturalmente Suarez ha perfettamente in mente l’idea di ente fittizio (ad esempio
la chimera) ed appunto per questo è ben consapevole del fatto che deve fare distin-
zione tra possibile reale ed ente puramente fittizio. Questa consapevolezza obbliga
Suarez a porsi la questione circa lo statuto ontologico degli enti possibili che non sono
attuali. Suarez affronta con rigore e profondità tale questione nella seconda sezione
della XXXI Disputatio, ove risponde alla domanda «Quid sit essentia creaturae, priu-
squam a Deo producatur». I passi che più a noi interessano sono la risposta alla 4a e 5a
delle obiezioni alla soluzione che lui propone.

Quarta obiezione – Alla quarta obiezione si risponde dicendo che l’essenza possibile di una crea_
tura oggetto della scienza divina non è un ens costituito dall’intelletto, ma un ens possibile per
davvero e capace di reale esistenza, e perciò non un ens rationis, ma capace d’essere compreso in
qualche modo entro l’ambito dell’essere reale […] Tuttavia quella natura si dice creabile o possi-
bile, in quanto è per sé reale e atta ad esistere e, allo stesso modo, può avere in Dio un esemplare
reale; questo, infatti, non sempre rappresenta un ens attuale, ma anche un ens possibile. E, allo
stesso modo, le scienze che trattano delle cose astraendo dall’esistenza non riguardano enti di
ragione, ma enti reali, in quanto considerano essenze reali, non in quanto sono oggetto di intel-
lezione, ma in sé, ovvero in quanto sono atte ad esistere con queste e queste proprietà o nature12.

«10. Quartae. – Ad quartum respondetur essentiam possibilem creaturae obiectivam divinae scientiae
12

non esse ens confictum ab intellectu, sed esse ens revera possibile et capax realis existentiae, ideoque non
esse ens rationis, sed sub ente reali aliquo modo comprehendi. […] Dicitur tamen illa natura creabilis vel
possibilis, quatenus secundum se realis est et apta ad existendum, et eodem modo potest habere in Deo reale
exemplar; hoc enim non semper repraesentat actuale ens, sed etiam possibile. Ac denique eodem modo,
teoria classica dei possibili 15

Quinta obiezione – Che cosa è l’esse essentiae – Riguardo il quinto argomento si deve avver-
tire che può esserci un equivoco nel primo membro, vale a dire, nell’esse essentiae. L’esse
essentiae si attribuisce infatti in due modi alle cose create. In un modo per sé, quando non sono
ancora prodotte né esistenti in atto. E in questo modo l’esse essentiae non è un vero essere reale
nella creatura, come si è dimostrato, ma è un esse possibile, e ad esso è ricondotto l’esse veri-
tatis delle proposizioni, ovvero della conoscenza; infatti, come abbiamo mostrato, le essenze
delle creature hanno, solo in questo modo, o l’essere in causa o obiettivamente in intellectu.
[...] In modo alternativo l’esse essentiae viene assunto come qualcosa che conviene in atto alla
creatura già esistente e tale esse è senza dubbio reale e attuale, indipendentemente dal fatto che
si distingua dall’esistenza realmente o semplicemente per una distinzione di ragione – cosa che
sarà appurata in seguito –, dal momento che nella res esistente la stessa essenza è, certamente,
ente in atto e, conseguentemente il suo essere essenziale è essere attuale. Tuttavia, tale attualità
conviene all’essenza, solo in forza della creazione o produzione dell’agente e in quanto l’es-
senza è di fatto congiunta all’esistenza. Ragione per la quale, per quanto appunto l’esse essen-
tiae, preso in questo senso, sia un esse attuale e distinto dall’esse existentiae, cionondimeno il
principio posto è vero e certo, per il fatto che l’essenza della creatura non ha in atto tale esse
essentiae se non per l’attività produttiva dell’agente e, conseguentemente, perché, per sé e da
sé e come improdotta, non possiede nessuna forma d’esse in atto, né essentiae, né existentiae13.

Dalle citazioni traspare in modo assai chiaro che nella concezione di Suarez sono com-
presenti le due componenti essenziali della possibilità. L’elemento formale, ricondu-
cibile alla coerenza del contenuto possibile, e l’elemento reale, riconducibile alla cau-
sa del possibile. Suarez è esplicito al riguardo anche in altri passi della sua opera:
L’attitudine obiettiva dei possibili ad esistere deriva da essi solo sotto l’aspetto della non con-
traddizione, mentre per quanto riguarda l’aspetto causale essa significa la potenza a produrli14.
Infatti possibile si può dire in due modi: nel primo modo, positivamente, e in tal senso deriva il
nome dal termine potenza […] Nel secondo modo, per la non contraddizione; […] dunque tutto
ciò che non implica contraddizione, è possibile rispetto alla onnipotenza divina15.

scientiae, quae considerant res abstrahendo ab existentia, non sunt de entibus rationis, sed de realibus, quia
considerant essentias reales, non secundum statum quem habent obiective in intellectu, sed secundum se, vel
quatenus aptae sunt ad existendum cum talibus naturis vel proprietatibus» (DM XXXI, 2.10, tr. mia).
13
«11. Quintae. – Quidnam et quotuplex sit esse essentiae. — Circa quintum argumentum adver-
tendum est aequivocationem esse posse in primo membro, scilicet, esse essentiae. Duobus enim modis
attribuitur rebus creatis. Uno modo secundum se, etiam ut nondum sunt factae neque actu existentes. Et
hoc modo esse essentiae non est verum esse reale actuale in creatura, ut demonstratum est, sed est esse
possibile, et revocatur ad illud tertium membrum de esse veritatis propositionis seu cognitionis; nam, ut
ostendimus, essentiae creaturarum hoc modo tantum habent, vel esse in causa, vel obiective in intellectu.
[…] Alio modo sumitur esse essentiae ut actu convenit creaturae iam existenti, et hoc esse est sine dubio
reale et actuale, sive re, sive ratione tantum ab existentia distinguatur, quod postea videbimus, quia certum
est in re existente ipsam essentiam esse actu ens, et consequenter esse essentiale illius esse actuale esse.
Hanc tamen actualitatem non habet, nisi per creationem vel productionem agentis, et ut essentia reipsa
coniuncta est existentiae. Quocirca, quamvis demus esse essentiae, hoc modo sumptum, esse actuale esse
et distinctum ab esse existentiae, nihilominus verum et certum est principium positum, quod essentia crea-
turae non habet actu hoc esse essentiae nisi per effectionem, et consequenter quod, secundum se et ex se et
ut improducta, nullum esse in actu habet, neque essentiae, neque existentiae» (DM XXXI, 2.11, tr. mia).
14
«Aptitudo obiectiva rerum possibilium ad existendum non est ex parte illarum, nisi non repugnantia
quaedam, et ex parte causae denotat potentiam ad illas producendas» (DM VI, 4.9, tr. mia).
15
«Nam possibile dupliciter dici potest. Primo, positive, et sic denominatur a potentia […] Secundo,
per non repugnantiam; […] ergo omne illud quod repugnantiam non involvit, est possibile respectu omni-
potentiae Dei» (DM XXX, 17.10, tr. mia).
16 sergio galvan

3.4. Costruttivismo in matematica e possibilismo

Esiste un rapporto di simmetria tra possibilismo in ontologia e costruttivismo in


matematica. Specularmente esiste un rapporto di simmetria tra attualismo e reali-
smo platonista in matematica. Il rapporto è naturale da entrambi i lati. In una seman-
tica realista la quantificazione riguarda una totalità in atto di enti astratti. In una
semantica costruttivista la quantificazione riguarda un insieme potenziale di oggetti.
Similmente in una ontologia possibilista gli oggetti su cui si quantifica sono dati
potenzialmente e in una attualista gli oggetti sono dati in atto. In questo paragrafo
vogliamo approfittare di questa analogia per confermare la nostra tesi che è attuali-
sticamente sensato quantificare sulla totalità dei possibili.
Supponiamo di avere a che fare con la costruzione di una sequenza di oggetti indut-
tivi, per esempio qualche tipo di barra numerale16. Con E(n) si indichi la realizzazio-
ne dell’n-esimo oggetto (l’esistenza dell’n-esimo oggetto) e con à◊E(n) si indichi la
possibilità che sia costruito l’n-esimo oggetto. Ora, secondo la concezione potenziale
dell’infinito, l’insieme degli n non esiste come un insieme in atto, ma solo come un
insieme indefinitamente incrementabile. I numerali, in altre parole, non sono degli
attuali, ma dei possibili. Ma dire che sono dei possibili è come dire che attualmente è
vero ∀nà◊E(n) , vale a dire che è vera la congiunzione à◊E(1) ∧ à◊E(2) ∧ à◊E(3) ∧ ..., il
che richiede che esista uno stato di cose (astratto), costituito da un insieme attualmen-
te infinito di stati di cose atomici (uno per ogni numerale), che funga da truthmaker
per la precedente congiunzione infinita.
L’obiezione che i costruttivisti (intuizionisti) sono inclini ad opporre all’argo-
mentazione precedente che punta alla verità di una congiunzione infinita suona nella
maniera seguente. Per dare senso all’affermazione che i numerali sono dei possi-
bili (ovvero che i numerali sono tutti e soli gli oggetti raggiungibili attraverso una
applicazione finita dell’operazione di successione), non occorre presupporre che sia
data la congiunzione infinita degli stati cose ∀nà◊E(n). Non occorre, essi dicono,
perché affermare ∀nà◊E(n) coincide esattamente con l’affermare l’esistenza della
procedura (funzione di successione) che via via genera ogni numerale. Ora, è la
procedura che è attuale, ma non la possibilità dei suoi risultati. Dunque non esiste
alcun insieme infinito di entità (stati di cose) in atto. Che cosa può rispondere un
realista? Penso che un realista possa rispondere che l’argomentazione, per quanto
corretta, non è concludente. Infatti, proprio l’equivalenza tra la verità di ∀nà◊E(n)
e l’esistenza della procedura è la prova che non è possibile definire una procedu-
ra generatrice di un insieme infinito potenziale di enti senza presupporre la verità
attuale della congiunzione infinita. Naturalmente, non è presupposta la verità attuale
della congiunzione che dichiara l’esistenza di tutti i numerali – nel negare la quale
ai costruttivisti si può concedere che abbiano ragione –, bensì quella che dichiara la
possibilità della loro esistenza17.

16
I barra-numerali sono i numeri naturali rappresentati come successioni di trattini verticali: |, ||, |||, ||||, …
17
È naturale pensare che il costruttivista non si dia subito per vinto. Egli potrebbe replicare ricono-
scendo la rilevanza dell’equivalenza messa in evidenza nel testo, ma nel dire, al contempo, che l’espres-
sione infinita può essere finitizzata attraverso una formula finita. Il significato di ∀nà◊E(n) si può infatti
finitizzare attraverso la seguente istanza del principio di induzione:
teoria classica dei possibili 17

In conclusione, proprio il fatto che esista attualmente la procedura capace di


generare i singoli elementi di una sequenza infinita garantisce che la possibilità di
ognuno di essi sia altrettanto attuale. Similmente il fatto che esista attualmente il
potere di produrre un possibile garantisce che la possibilità del possibile sia attuale.
L’attualità della possibilità dei possibili è la ragione della legittimità di quantificare
sui possibili, anche se questi non sono attuali. Inoltre, proprio il fatto che la verità
della congiunzione infinita è equivalente all’esistenza attuale del generatore (e non
è assorbita da questa), ci vieta di pensare che la realtà dei possibili possa essere can-
cellata a favore dell’esistenza del potere produttivo.

4. Rapporto tra Sosein (esse essentiae), modalità d’essere e esistenza

4.1. Rapporto tra Sosein (esse essentiae) e modalità d’essere

Un possibile è un oggetto e, per questo, è caratterizzato da predicati. I predicati


denotano gli aspetti attributivi degli oggetti, proprietà e relazioni. Essi, perciò,
riguardano la sfera del Sosein, la sfera dell’essenza (in senso lato) e sono detti, con-
seguentemente, predicati essenziali (in senso lato). Seguendo Kant, sono detti anche
predicati reali18. I predicati essenziali (in senso lato) si distinguono in:

à◊E(0) ∧ ∀x(à◊E(x) → à◊E(x ')) → ∀xà◊E(x)


Questa manovra non è tuttavia efficace, per almeno due ragioni. Innanzitutto l’istanza del principio di
induzione contiene il quantificatore universale. Ora, i platonisti replicherebbero all’istante che l’uso
di tale quantificatore è equivalente alla congiunzione infinita ∀nà◊E(n) . Che cosa possono rispondere i
costruttivisti? Possono rispondere, a nostro avviso, solo nel modo seguente: ∀xà◊E(x) ha lo stesso signi-
ficato dello schema à◊E(x) , ove x è il posto vuoto per un numerale qualsiasi. Alla luce di questa interpre-
tazione, l’istanza dell’assioma è da vedere essa stessa come uno schema che fornisce uno dopo l’altro
à◊E(1),à◊E(2),à◊E(3),... Ciò significa che non è data attualmente la verità di à◊E(1),à◊E(2),à◊E(3),... , ma la
verità delle formule che ne sono la possibilitazione iterata à◊à◊E(1),à◊à◊E(2),à◊à◊E(3),... ovvero della congiun-
zione à◊à◊E(1) ∧ à◊à◊E(2) ∧ à◊à◊E(3) ∧ ... A questo punto, tuttavia, siamo daccapo in una situazione di verità
di una congiunzione infinita. Il costruttivista è costretto a fare sempre la stessa mossa. Trovare una nuo-
va formula finita che generi in successione i vari membri della congiunzione precedente e, così, trasfor-
mare la congiunzione vera infinita appena enunciata in una nuova procedura generatrice di tali membri.
Ma, di nuovo, ciò significa che è vera la congiunzione infinita delle possibilitazioni ulteriormente iterate
à◊à◊à◊E(1),à◊à◊à◊E(2),... È facile rendersi conto che il costruttivista è entrato in un regresso all’infinito. Ad
ogni stadio raggiunto per interpretare in maniera legittima determinate congiunzioni infinite vere, si trova
davanti ad un’altra asserzione infinita del medesimo tipo anche se modalmente più complessa. La elimi-
nazione del carattere infinitario di tutte le asserzioni universali è allora impossibile, perché presuppone il
compimento di un regresso all’infinito. La seconda ragione sta nel fatto che l’istanza citata dell’assioma
d’induzione ha un contenuto infinitario. Si tratta di una Σ1-istanza del principio e, come è noto, ogni for-
ma di Σ1-induzione presuppone l’esistenza attuale degli oggetti sotto quantificazione. In questo caso gli
oggetti sotto quantificazione sono i mondi possibili, ovvero le situazioni di generazione di tutti i numerali.
L’obiezione è così riportata al punto di partenza. Il costruttivista può naturalmente ribattere che il quantifi-
catore esistenziale che agisce sulle situazioni di generazione degli elementi numerici può essere eliminato
a favore di una funzione che genera tali situazioni una dopo l’altra. In tal modo non siamo più in presenza
di una Σ1-istanza del principio. Tuttavia, in tal caso, la possibilità della generazione di un elemento gene-
rico, che è attuale, viene trasformata nella possibilità di generazione della possibilità di generazione di un
elemento generico. Di nuovo siamo entrati nel regresso all’infinito.
18
Il termine «reale», nel senso di predicato concernente la sfera del Sosein, ha una lunga tradizione. Tom-
maso, ad esempio, nel commento alla Metafisica di Aristotele afferma: «Sciendum est enim quod hoc nomen
18 sergio galvan

a. Predicati essenziali (in senso stretto): riguardano proprietà o relazioni senza le


quali l’oggetto non è tale; essi appartengono all’oggetto necessariamente, cioè
in tutti i mondi possibili; sono a fondamento della predicazione essenziale (in
senso stretto).
b. Predicati accidentali: riguardano proprietà o relazioni concernenti l’oggetto nelle
sue diverse individuazioni (o varianti attributive); appartengono all’oggetto con-
tingentemente; appartengono all’oggetto in certi mondi ma non in altri; sono a
fondamento della predicazione accidentale.

Il predicato d’esistenza non è un predicato essenziale, perchè non riguarda la sfera del
Sosein, riguarda l’esserci dell’oggetto, denota l’atto d’essere dell’oggetto, cioè il fatto
che l’x possibile definito dai rispettivi predicati reali sia attualizzato o meno.
La distinzione tra predicati reali e predicato d’esistenza è un punto fermo del pen-
siero medievale, che ha impegnato i principali esponenti della metafisica classica e
che ha fatto guadagnare alla loro speculazione risultati degni di interesse per la teoria
dei possibili che intendiamo difendere in quaesto scritto. Tra questi la tesi della distin-
zione tra l’esse essentiae (che coincide con l’essere dei predicati rispetto all’oggetto) e
l’esse existentiae (che coincide con l’atto d’esistere dell’oggetto stesso ) e quella cor-
relata dell’essentia absolute considerata (ideata da Avicenna, ripresa da Tommaso e
sviluppata da Scoto). L’esistenza, secondo Avicenna, è il modo d’essere dell’essenza.
L’essenza è esistente in re quando è collocata nella modalità dell’essere reale. L’esi-
stenza è in intellectu se la modalità d’essere dell’essenza è quella dell’essere pensato.
Scoto aggiunge una ulteriore modalità d’essere dell’essenza, la modalità richiesta dal-
la sua dottrina della natura communis. In ogni caso, anche per Scoto l’esistenza non è
nient’altro che la modalità d’essere propria dell’essenza, presa in ciascuno degli stati
in cui essa può venirsi a trovare. C’è l’esistenza dell’ essenza come essenza comune
(attuale nei vari soggetti), come essenza istanziata (determinata dall’haecceitas nel
singolo soggetto) e come essenza pensata (universale). L’essenza absolute conside-
rata è l’essenza indifferente alla modalità d’esistenza, è ciò che rimane identico sullo
sfondo della variabilità della modalità d’esistenza. Si noti che non si tratta di identità
intramodale (interna cioè alla modalità d’esistenza reale), cioè quella che caratteriz-
za l’essenza specifica istanziata in sostanze individuali diverse, ma di identità inter-
modale comune a tutte le modalità d’esistenza. Chiediamoci ora: che tipo d’essere
può competere a tale forma d’essenza? Non può trattarsi di una forma d’esistenza,
perchè nella sua considerazione si astrae dalle modalità d’esistenza. Che cosa può
essere allora? Non può essere nient’altro che l’essere espresso dalla copula, l’essere
A ∨ B ∨ C ∨ ... da parte dell’oggetto e questo è precisamente l’esse essentiae. L’esse-
re-Socrate da parte di Socrate rimane, ad esempio, lo stesso sia che Socrate sia esisten-
te sia che Socrate sia pensato. È l’essere di Socrate che cambia in conseguenza del suo
essere esistente o puramente pensato. L’essenza rimane la stessa e quindi anche l’esse
essentiae. La tesi scotiana secondo la quale l’esistenza è un modo d’essere dell’essen-
za, tacciata spesso spregiativamente come tesi essenzialistica, non è in realtà una tesi

homo, imponitur a quidditate, sive a natura hominis; et hoc nomen res imponitur a quidditate tantum; hoc
vero nomen ens, imponitur ab actu essendi» (In IV Metaph. l. 2). Chiaramente, per Tommaso, la res coincide
con l’oggetto che è ens, se ha l’actus essendi. Essa è, tuttavia, l’oggetto in quanto caratterizzato dal suo essere
così e così. Un predicato reale è, dunque, un predicato che appartiene alla sfera del Sosein.
teoria classica dei possibili 19

essenzialistica. L’essenzialismo è infatti una concezione di chiara coloritura platonica,


per la quale le essenze sono dotate di una forma d’essere indipendente, loro propria,
logicamente anteriore agli altri modi d’essere. L’essenzialismo platonico presuppone
che le essenze siano per se stesse esistenti e questo non concorda con la tesi dell’indif-
ferenza dell’essenza rispetto all’esse existentiae. Il possibilismo classico richiede la
tesi dell’indifferenza dell’essenza, ma non quella essenzialistica, anzi è decisamente
incompatibile con l’essenzialismo. Anche qui riteniamo che l’autore medievale più
vicino al possibilismo che noi difendiamo sia Suarez. Suarez tratta infatti del proble-
ma dell’esse essentiae quando parla delle verità concernenti i possibili, in particolare
nella parte finale della XII Sezione della XXXI Disputatio. Si noti che per compren-
dere le riflessioni di Suarez occorre tener conto della teoria della predicazione medie-
vale. L’enunciato «Socrate è un filosofo» veniva interpretato dai medievali come una
identità tra il termine «Socrate» e il termine «un filosofo». Chiaramente, secondo la
logica dell’identità moderna non è possibile tradurre correttamente questo enunciato
con s = un filosofo, perchè il termine «un filosofo» non svolge la funzione di nome. I
medievali tuttavia erano soliti interpretare un filosofo come un certo filosofo (quello
e non altro). A questo punto l’identità è ricostituita perchè ha senso dire che Socrate è
identico ad un certo filosofo. Occorre tener conto della teoria medievale dell’identità
per comprendere il significato dei paragrafi di Suarez che ci interessano:

44-45. In verità, questa controversia [riguardante la verità circa i possibili] (come almeno mi pare)
dipende totalmente dalla diversa significazione della copula est, che serve a congiungere i termi-
ni estremi di quegli enunciati. La copula si può infatti assumere in due modi diversi. Nel primo
modo, per significare la reale congiunzione degli estremi nella stessa cosa esistente, in modo tale
che, allorquando si dice l’uomo è animale, si viene a significare che così è in realtà. Nel secondo,
per significare la sola appartenenza al soggetto, sia che gli estremi esistano, sia che non esistano.
Nel primo senso la verità delle proposizioni dipende senza dubbio dall’esistenza degli estremi,
dal momento che secondo tale significato la copula est non è svincolata dal rapporto col tempo,
vale a dire (il che è lo stesso) significa il perdurare reale ed attuale nel tempo, perdurare che è nul-
lo, se l’esistenza degli estremi è tolta, e, di conseguenza, la proposizione è falsa, pronunciandosi
su un soggetto senza referente. In questo stesso senso le ragioni addotte provano appieno che la
verità di queste proposizioni dipende dalla causa efficiente dalla quale dipende l’esistenza degli
estremi stessi. [...] Ma in altro senso le proposizioni sono vere anche se gli estremi non esistono; e
nello stesso senso la loro verità è necessaria ed eterna, dal momento che la copula est, non signi-
ficando in tale senso l’esistenza, non attribuisce agli estremi una realtà attuale e perciò al fine del-
la loro verità questa non è richiesta. Ciò viene, del resto, dichiarato dagli autori soprannominati,
perché così intese le proposizioni sono ridotte ad un senso ipotetico o condizionato; quando infatti
diciamo che l’uomo è un animale razionale, astraendo dal tempo, non diciamo altro che la natura
dell’uomo, come non possa nascere un uomo che non sia animale. Per cui, come questa propo-
sizione condizionale è sempre vera, se è uomo, allora è animale, oppure, se corre, allora si muove,
così è sempre vera la proposizione, l’uomo è animale, oppure, la corsa è moto […] E di qui segue
anche che queste connessioni non abbiano in tal senso una causa efficiente, dal momento che ogni
efficienza termina all’esistenza attuale, dalla quale queste proposizioni astraggono […] Per cui, se
per impossibile tale causa non ci fosse, ciononostante quella proposizione rimarrebbe vera, come
è vera la proposizione la chimera è una chimera, o simili […] Insomma, una volta precisato il sen-
so, cessa anche l’obiezione fatta contro la nostra asserzione, poiché, per quanto tali connessioni
20 sergio galvan

siano necessarie indipendentemente dall’esistenza, cionondimeno le essenze da loro significate


non sono enti veri e attuali, se privi di esistenza19.

46. […] Rimane ancora la richiesta di spiegare che cosa sia questa connessione necessaria
degli estremi non esistenti; la ragione sta nel fatto che, non essendo posto niente in re, è
difficile pensare che il fondamento di una verità eterna sia l’intelletto. Non è infatti soddi-
sfacente se si dice che, tolta di mezzo l’esistenza, la connessione rimane solo nell’esemplare
divino e che la necessità abbia origine da quello; ciò non soddisfa, perché, anche se la ve-
rità di tali connessioni, come verità reale e attuale, non rimanesse che nell’intelletto divino
(nel qual senso si è espresso Tommaso nei passi citati, in particolare […]), ciononostante
la necessità di questa verità e il fondamento di tale connessione non sembra che si possano
riferire all’esemplare divino. Infatti lo stesso esemplare divino è soggetto alla necessità di
rappresentare l’uomo come animale razionale, né lo può rappresentare dotato di altra essen-
za, il che non viene da altro se non dal fatto che l’uomo non può avere altra essenza (giac-
ché se si cambia l’essenza non si ha più un uomo); dunque la necessità essenziale proviene
dall’oggetto medesimo e non dall’esemplare divino; rimane pertanto perfettamente in piedi,
la difficoltà sollevata, consistente nella domanda come sia possibile avere tale connessione
necessaria dei predicati, se l’oggetto in sé è un niente, in modo tale da fondare in qualche
modo la necessità di tale scienza, e di tale verità, e di tale esemplare. A tale domanda si deve
rispondere che questa connessione non è niente altro che l’identità degli estremi che ha luogo
nelle proposizioni essenziali affermative (e lo stesso si deve dire in modo proporzionalmente
vero della diversità degli estremi nelle proposizioni negative). Infatti la verità di ogni pro-
posizione affermativa si fonda su qualche forma di identità o unità degli estremi, la quale, per
quanto sia concepita da noi in modo complesso e attraverso la congiunzione del predicato col
soggetto, tuttavia in re non è niente altro che la stessa entità della cosa. Ma l’identità, essendo
un proprietà dell’ente (infatti lo stesso e il diverso vengono ridotti all’unità, come sopra abbi-
amo detto), si trova in ogni ente ovvero in modo proporzionalmente corrispondente in ogni
stato modale dell’ente. Così, come l’uomo esistente e l’animale in re sono la stessa cosa, così

19
«44-45. Haec vero controversia (ut mihi quidem videtur) tota consistit in varia significatione illius
copulae est, per quam coniunguntur extrema in his enuntiationibus. Duobus enim modis accipi potest. Pri-
mo, ut significet actualem et realem coniunctionem extremorum in re ipsa existentem, ita ut, cum dicitur
homo est animal, significetur reipsa ita esse. Secundo, ut solum significet praedicatum esse de ratione sub-
iecti, sive extrema existant, sive non. In priori sensu veritas propositionum pendet sine dubio ab existentia
extremorum, quia iuxta illam significationem verbum est non absolvitur a tempore, seu (quod idem est)
significat realem et actualem durationem, quae nulla est, ablata existentia extremorum, et ideo talis pro-
positio falsa est, nam est affirmativa de subiecto non supponente. Et in hoc eodem sensu optime probant
rationes proxime factae veritatem harum enuntiationum pendere ex causa efficienti a qua pendet existentia
extremorum. [...] At vero in alio sensu propositiones sunt verae etiamsi extrema non existant; et in eodem
sunt necessariae ac perpetuae veritatis, quia cum copula est in dicto sensu non significet existentiam, non
attribuit extremis actualem realitatem in seipsis, et ideo ad suam veritatem non requirit existentiam seu
realitatem actualem. Item, hoc declaratur ex praedictis auctoribus, quia propositiones in hoc sensu redu-
cuntur ad sensum hypotheticum seu conditionatum; cum enim dicimus hominem esse animal, abstrahendo
a tempore, nihil aliud dicimus nisi hanc esse hominis naturam, ut non possit fieri homo quin sit animal.
Unde, sicut haec conditionalis est perpetua, si est homo, est animal, vel, si currit, movetur, ita haec est
perpetua, homo est animal, vel, cursus est motus. Atque hinc etiam fit ut hae connexiones in hoc sensu
non habeant causam efficientem, quia omnis efficientia terminatur ad actualem existentiam, a qua dictae
propositiones in hoc sensu abstrahunt. […] Unde, si per impossibile nulla esset talis causa, nihilominus
illa enuntiatio vera esset, sicut haec est vera, chymaera est chymaera, vel similis. […] Denique iuxta hunc
sensum cessat etiam obiectio facta contra assertionem nostram, quia, licet hae connexiones sint necessar-
iae independenter ab existentia, nihilominus essentiae quae per eas significantur non sunt vera et actualia
entia, si existentia privantur» (DM XXXI, 12. 44-45, tr. mia).
teoria classica dei possibili 21

l’uomo possibile, ovvero l’uomo che è oggetto della scienza o sta di fronte all’esemplare
dell’uomo, è identico con l’animale proporzionalmente assunto come possibile; dunque
questa identità è sufficiente a fondare quella necessità e può essere trovata nell’ente in poten-
za, anche se niente è in atto, dal momento che non aggiunge niente all’ente in potenza se non
l’attitudine ad essere oggetto di concettualizzazione da parte della nostra ragione20.

4.2. Rapporto tra Sosein (esse essentiae) e predicato d’essere (actus essendi)

Il possibilismo classico richiede che le modalità d’essere attuale e l’esistenza coin-


cidano. L’essere un possibile coincide, infatti, con l’essere un oggetto che può esi-
stere, mentre essere un esistente significa essere un possibile attualizzato. Dunque
esiste una sola modalità d’essere un oggetto reale, quella d’essere attuale. Le altre
forme d’essere dell’oggetto (e dunque dell’essenza che lo caratterizza) sono forme
d’essere derivate, come l’essere pensato, l’essere oggetto di un potere produttivo,
l’essere oggetto di un volere. Alla base di tutte queste forme, infatti, sta l’atto d’es-
sere d’un pensante, l’atto d’essere di un potere, l’atto d’essere di un volere.
Ma se alla base di tutte queste forme d’essere sta un atto d’essere, atto che è uni-
versalmente espressione della actualitas, ci si può chiedere perchè sia necessario
esprimere l’esistenza attraverso un predicato. Non basta un operatore dell’attualità?

⎧⎪ A∃x(x = s)
Socrate esiste ⎨
A∃xSx
⎩⎪

20
«[…] [Instantia superest] quia nondum est explicatum quid sit ista necessaria connexio extremorum
non existentium; nam, cum nihil in re ponat, difficile est intellectu quomodo possit fundare necessariam ve-
ritatem. Neque enim satisfacit si dicamus, ablata rerum existentia, solum manere hanc connexionem in divi-
no exemplari et ab illo oriri talem necessitatem; hoc (inquam) non satisfacit, nam, licet veritas harum con-
nexionum, ut realis et actualis veritas, non maneat nisi in divino intellectu (quo sensu locutus est D. Thomas
citatis locis, praesertim I, q. 16, a. 7, et sumitur etiam ex Anselmo, dialog. de Veritat., c. 7 et 8), nihilominus
necessitas huius veritatis et prima radix ac origo talis connexionis non videtur posse referri in divinum exem-
plar. Nam ipsummet divinum exemplar habuit hanc necessitatem repraesentandi hominem animal rationale,
nec potuit illum alterius essentiae repraesentare, quod non aliunde provenit nisi quia non potest homo esse
alterius essentiae, nam, hoc ipso quod sit res alterius essentiae, iam non est homo; ergo ex obiecto ipso et
non ex exemplari divino provenit haec necessitas; semper ergo restat difficultas tacta, quomodo, scilicet, si
obiectum illud in se nihil est, possit ex se habere talem connexionem praedicatorum ut fundet aliquo modo
necessitatem talis scientiae, et talis veritatis, ac talis exemplaris. Ad hoc dicendum videtur hanc connexionem
nihil aliud esse quam identitatem extremorum quae sunt in propositionibus essentialibus et affirmativis (et
idem dicendum est proportionaliter de diversitate extremorum in negativis). Omnis enim veritas proposi-
tionis affirmativae fundatur in aliqua extremorum identitate vel unitate, quae licet a nobis concipiatur com-
plexo modo et per modum coniunctionis praedicati cum subiecto, tamen in re nihil est praeter ipsammet rei
entitatem. Identitas autem, cum sit proprietas entis (nam idem et diversum ad unitatem reducuntur, ut supra
diximus), in omni ente seu in omni statu entis cum proportione reperitur. Unde, sicut homo existens et animal
in re idem sunt, ita homo possibilis, seu qui obiici potest scientiae aut exemplari hominis, identitatem habet
cum animali proportionaliter sumpto; haec ergo identitas sufficiens est ad fundandam illam necessitatem,
et reperiri potest in ente in potentia, quamvis nihil sit actu, quia nihil addit enti in potentia nisi habitudinem
rationis in ordine ad conceptus nostros» (DM XXXI, 12. 46, tr. mia).
22 sergio galvan

È vero: basta l’operatore di attualità più il quantificatore esistenziale. Tuttavia l’uso


dell’operatore di attualità ha lo stesso significato dell’uso di un predicato d’esistenza
reale E. Infatti, perchè l’analisi in termini di modalità funzioni occorre che:

⎧⎪ ⇔ Es
A∃xSx ⎨
⎪⎩ ⇔ ∃x(Sx ∧ Ex)

Usare l’operatore di attualità o il predicato d’essere è lo stesso. Importante è il fatto


che tanto il predicato quanto l’operatore si riferiscano al piano dell’esistenza reale (il
non essere un niente). Ed è a questo punto che diventa significativa la teoria tomma-
siana dell’essere come actus essendi.
1. L’esistenza è la modalità d’essere generata dall’actus essendi. L’actus essendi è la
ragione dell’attualizzazione della possibilità espressa dall’essenza.
2. E rispetto a che cosa l’atto d’essere svolge la funzione di attualizzazione? Rispet-
to all’essenza dell’oggetto che viene posto in essere. Il piano dell’essenza svolge
il ruolo di potenza rispetto all’atto d’essere.
3. La distinzione tra essentia e actus essendi è così qualcosa di reale, ma solo nel
senso scotiano del termine (distinctio formalis ex natura rei) che nel linguaggio di
Tommaso è detta reale. L’essentia non ha un’esistenza al di là di quella conferita
dall’actus essendi, ma l’actus essendi non potrebbe essere atto d’essere se non
fosse atto nei confronti di una potenza da attualizzare.

Naturalmente, i vincoli della semantica moderna sono molto più stretti della seman-
tica tommasiana. Il concetto di potenza non è esprimibile. Ma lo è quello di oggetto
possibile la cui essenza svolge anche la funzione della potenza tommasiana. È però
necessario trarre un’altra conclusione. Se l’actus essendi è espresso attraverso un pre-
dicato, allora la relazione tra essenza ed atto d’essere non può essere quella di parteci-
pazione. L’essere non è partecipato, ma è predicato.

4.3. Che cosa significa predicare l’esistenza per essenza?

Abbiamo detto che l’esistenza non è un predicato reale. Tuttavia è un predicato.


Abbiamo anche detto che i predicati reali possono essere predicati necessari per-
chè essenziali. È possibile che il predicato d’esistenza appartenga all’essenza di
un oggetto? La storia della filosofia annovera molti pensatori che hanno sostenuto
l’intima connessione tra essenza ed atto d’esistenza. Il pensatore più importante di
questo indirizzo è certamente Tommaso, per il quale in Dio essenza ed atto d’essere
coincidono. L’essenza di Dio coincide con il suo stesso essere. Dio è l’Ipsum Esse
Subsistens. Molti autori hanno trovato questa concezione difficilmente difendibile
perchè poggia su un concetto d’essere neoplatonico regolato da una logica della par-
teoria classica dei possibili 23

tecipazione e non della predicazione21. Altri, come Leibniz o Wolff22, hanno sostenu-
to una relazione di implicazione logica tra essenza ed esistenza. L’essenza, secondo
questi due autori contiene l’esistenza in modo analogo a come l’essenza contiene gli
altri predicati essenziali. Cartesio addirittura pensa che la relazione tra essenza ed
esistenza sia una relazione di produzione causale. Tutti questi autori affermano che
l’esistenza è un elemento costitutivo dell’essenza, ovvero che l’esistenza è inclu-
sa nell’essenza. Come si debba intendere il rapporto di inclusione dell’esistenza
nell’essenza è un reale problema. Se, infatti, come è richiesto dal principio di indi-
pendenza del Sosein dal Dasein, l’essenza di x, ossia «ciò che l’oggetto x è», è costi-
tuita solo da predicati reali, non è possibile che l’esistenza sia inclusa nell’essenza.
È possibile risolvere questa difficoltà? La difficoltà può essere superata se si rinun-
cia all’essenzialità dell’esistenza (come dipendenza dall’insieme dei predicati reali)
e si punta sulla sua necessità. Come una proprietà reale è essenziale di un oggetto x
se gli appartiene in tutti i mondi possibili in cui x esiste, così l’esistenza appartiene
ad x per essenza se e solo se x ha l’esistenza in tutti i mondi possibili. Secondo que-
sta definizione ente esistente per essenza viene a significare ente necessario. E, così
definito, il concetto è corretto23.

5. Osservazioni critiche sull’attualismo di Plantinga, di Zalta e di Williamson


5.1. Osservazioni critiche nei confronti dell’attualismo di Plantinga

Abbiamo visto che l’attualismo di Plantinga poggia in modo essenziale sulla assun-
zione platonistica della esistenza di essenze individuali. Ora che cosa significa assu-
mere l’esistenza delle essenze? Significa affermare che le essenze esistono ante res
anche se non esemplificate e che la forma d’essere che loro compete è univocamente
la stessa che compete alla realtà dei particolari concreti (oggetti individuali) esisten-
ti. Si tratta di essenze astratte (nel senso di universali e nel senso di separate in quan-
to non istanziate). Sono tuttavia esistenti. Ora anche per un negatore del platonismo
(ad esempio un neoaristotelico), le essenze (ovvero le proprietà) esistono. Per un
aristotelico, però, esse, se esistono, esistono solo in re, vale a dire come essenze (o
proprietà) di oggetti individuali esistenti. In tale prospettiva le proprietà (o essenze)
non esistono in sé, ma solo come modi d’essere dell’individuo (della sostanza) cui
si possono predicare, ovvero come determinazioni di questo. Per i platonisti, al con-
trario, le idee (essenze), individuali o universali (e dunque incomplete) che siano,
esistono d’esistenza propria, non sono cioè mediatamente in quanto determinazione
di altro a sua volta esistente in sé, ma, immediatamente, in se stesse.
Ora, le difficoltà del platonismo sono note, ma vale la pena di richiamarle in sintesi.

21
Cfr. A. Kenny, L’essere secondo Tommaso d’Aquino. Un’ontologia problematica, tr. it. di R. Sac-
centi, a cura di G. Ventimiglia, Carocci, Roma 2014.
22
Cfr. C. Wolff, Theologia naturalis, Officina Libraria Rengeriana, Francfurti - Lipsiae 1937, I, 31, t.
I, p. 15: «Dicendum erit, ens a se esse illud, ex cuius essentia necessario fluit existentia» e ibidem «Ens a se
rationem existentiae in essentia sua habet».
23
Per approfondimenti cfr. S. Galvan - A. Giordani, A Classical Logic of Existence and Essence,
articolo in corso di pubblicazione.
24 sergio galvan

Innanzitutto il platonismo innesca una sorta di dialettica incontrollabile delle


essenze. L’ammissione che le essenze esistano comporta l’accettazione che esista-
no anche le essenze universali. Ma gli universali sono enti incompleti. Porre, dun-
que, l’esistenza di enti universali significa porre l’esistenza di oggetti incompleti e
ciò conduce a delle contraddizioni. Si supponga, ad esempio, che esista il triangolo
in generale. Esso è indeterminato, nel senso che non è né acutangolo, né rettangolo,
né ottusangolo. D’altra parte, dagli assiomi della geometria segue che i triango-
li devono essere o acutangoli, o rettangoli, o ottusangoli. Dunque, il triangolo in
generale è al contempo né acutangolo, né rettangolo, né ottusangolo e dunque non
(acutangolo, o rettangolo, o ottusangolo). Contraddizione. Ma la contraddizione
deriva in modo anche più pervasivo dalla posizione dell’esistenza di universali di
estensione qualsiasi. È ovvio, infatti, che se si ammette l’esistenza di universali,
non esiste ragione per bloccare tale permissione ad un certo livello di generalità.
Esistono indistintamente universali di livello qualsiasi. Esiste anche l’universale di
generalità massima, contraddistinto dal fatto di non essere determinato neppure di
fronte al suo opposto. Si tratta dell’essere assolutamente indeterminato di Hegel,
che proprio per la sua indeterminatezza non riesce a tenersi fermo di fronte alla
sua negazione e che per questo trapassa nel suo opposto. Ma l’identificazione di un
concetto con la sua negazione è chiaramente un esito contraddittorio. In sintesi: più
gli universali aumentano in estensione, più diminuiscono in intensione. Al limite
diventano assolutamente indeterminati e perciò trapassano nel loro opposto. Reifi-
carli significa reificare la contraddizione24.
Il platonismo di Plantinga soffre però di difficoltà sue proprie. Una di queste
è insita nello stesso concetto, centrale nell’ontologia di Plantinga, di esemplifica-
zione (o istanziazione). Che cosa significa esemplificazione per Plantinga? Come
abbiamo già detto, che una proprietà universale sia esemplificata significa che essa
è determinata al punto di caratterizzare un individuo possibile e che tale indivi-
duo è realizzato in qualche mondo. In Plantinga, dunque, l’esemplificazione non
è esaurita dalla concretizzazione. L’esemplificazione comporta anche l’esistenza.
Per questo l’analisi di Plantinga dei possibili funziona solo se si riesce a fornire
una spiegazione soddisfacente della differenza tra essenza individuale (concreta
nel senso di esaustivamente determinata) e essenza individuale attuata in un mon-
do. Ma, riferirsi al mondo in cui l’essenza S (la capacità d’essere-Socrate) è attuata
(tale capacità è realizzata), vale a dire Socrate esiste, non è sufficiente per far sì
che Socrate diventi esistente. Tale mondo è, infatti, solamente possibile. Può essere
attuale, ma fino a che esso è puramente possibile, anche il possibile Socrate la cui
essenza vi è esemplificata non è attuale. La reale differenza tra possibile non attuale
e possibile attuale (esistente nel mondo attuale) è posta solo se è posta la differenza
tra mondo w in cui il possibile è esemplificato e attuazione di questo, ovvero è posto
w = w* (ove w* indica il mondo attuale).
Schematicamente:

24
Per queste osservazioni ed altre ancora si veda S. Galvan, Ontologia del possibile, Educatt, Milano
2009, pp. 27-32. Per comprendere la posizione di Plantinga è utile conoscere anche qualcosa della conce-
zione possibilistica di D. Lewis, a cui Plantinga si contrappone e che non viene trattata in questa sede. Chi
è interessato a Lewis può trovare le linee essenziali del suo pensiero in ibi, pp. 18-27, ove la concezione di
Lewis è brevemente confrontata con quella di E. Severino.
teoria classica dei possibili 25

à◊Sx possibile
Sx attuato
w possibile
w* attuato

Ma allora, perchè l’idea plantinghiana di possibile funzioni, ossia perchè si possa


dire che un possibile come Socrate diventi esistente, è necessario che sia previamente
semantizzata la differenza tra mondo possibile e mondo possibile attuale. Ora, per
quanto riguarda il rapporto tra mondo possibile e mondo attuale non possiamo cavar-
cela dicendo che il mondo possibile è un astratto, esattamente come è un’entità astrat-
ta un’essenza individuale. Per un mondo possibile non possiamo, infatti, ripetere la
manovra fatta per un individuo possibile e dire che la possibilità del mondo w sta nel
fatto che esiste un mondo possibile v in cui il mondo w è esemplificato. Un mondo
esemplificato non è niente altro che un mondo attuato. Ma in quale mondo potreb-
be essere attuato il mondo w? Non potrebbe essere diverso da w dal momento che i
mondi sono entità massimali. Dovrebbe essere in realtà lo stesso mondo. Si avrebbe
dunque la seguente banale tautologia:
w è un mondo possibile ⇔ (esiste un mondo possibile v) (tale che w è attuale in v e
dunque w = v)
Schematicamente, ponendo S per «essere-Socrate» (essenza di Socrate), IstS per
«l’essenza di Socrate è esemplificata» e W per «essere-il-mondo-w» (macro-essenza
di w), si ha:

⎧⎪ ∃S∃w(IstS in w)
Socrate è un possibile ⎨
⎪⎩ ∃S∃w∃x(!w Sx)
⎧⎪ ∃W ∃v(IstW in v)
w è un mondo possibile ⎨
⎪⎩ ∃v∃w(w = v)

In conclusione, per dire che tali mondi sono possibili bisogna aggiungere che sono
macro-essenze attuabili, ove il predicato attuabile (esemplificabile, realizzabile) va inte-
so come predicato primitivo non definibile in termini semantici ulteriori. In altre parole,
occorre alla fin fine quantificare sui mondi possibili. Anche se i mondi possibili si inten-
dono come macro-essenze, essi devono essere semantizzati come macro-essenze attualiz-
zabili, ovvero come entità possibili. E la quantificazione deve essere ora su possibili e non
su puri attuali. Naturalmente è necessario poter parlare di essi anche se non sono attuali. Si
deve poter dire che esistono mondi possibili non attuali, dunque non esistenti. Come si può
toccare con mano, l’intero marchingegno plantinghiano che voleva espungere i possibili in
quanto entità non esistenti, intendendoli come essenze esemplificabili in qualche mondo
possibile, fallisce, perchè deve fare i conti con i mondi possibili non esistenti.
26 sergio galvan

Una seconda difficoltà del platonismo di Plantinga è connessa con la stessa componen-
te esistenziale dell’esemplificazione. Abbiamo detto che, per Plantinga, esemplificazione
significa anche posizione in essere. Ma che cosa viene posto in essere, quando si dice che
una certa proprietà viene esemplificata? La risposta più ovvia è che viene posto in essere
un oggetto con quella proprietà. Naturalmente, se quella proprietà è una essenza individua-
le come S, ciò che viene posto in essere è Socrate. Ma, in tal caso, l’essere posto in essere
non può significare essere attuato. Infatti l’essenza non può essere attuata, perché, essa
già esiste trattandosi di essenza platonica. Attuato può essere solo il possibile Socrate. Ma
allora qual è la connessione tra esemplificazione ed esistenza, se esistente significa attuale?
5.2. Una osservazione critica nei confronti dell’attualismo di Zalta e Williamson
Le concezioni di Zalta e di Williamson sono fortemente dipendenti dalla tesi, con-
divisa da molti autori analitici, che la concretezza consiste nell’essere situati nello
spazio-tempo. Per questi filosofi essere situato nello spazio-tempo significa esistere,
perchè tutto quello che esiste esiste nello spazio-tempo. Essere nell’esistenza signifi-
ca, dunque, essere oggetti concreti e venire all’essere significa diventare oggetti con-
creti. Fatte le debite differenze, l’attualismo di Zalta e quello di Williamson, sono
attaccabili, di conseguenza, nel loro presupposto fondamentale, vale a dire nella teoria
della concretezza come collocazione spazio-temporale.
A questo punto, per affrontare esaurientemente questo aspetto problematico
dell’attualismo di Zalta e Williamson, sarebbe necessaria una trattazione approfon-
dita del tema della concretezza e della astrattezza. A sua volta una analisi anche solo
sommaria di questo tema richiederebbe di esaminare il rapporto tra principio di indivi-
duazione e concretezza, il che non ci è possibile fare in modo sufficientemente appro-
fondito in questa sede. Tuttavia possiamo tentare di portare allo scoperto alcuni punti
problematici essenziali.
Innanzitutto è obiettabile che la concretezza sia spiegabile in termini di spazio e tem-
po. Perchè non possono esistere concreti che non stanno nello spazio e nel tempo? Dal
punto di vista logico non esistono ragioni contro, dal momento che la concretezza può
essere definita anche come determinazione massimale. In secondo luogo non è detto che
un oggetto definito nei suoi aspetti spazio-temporali in modo completo non possa esse-
re un mero possibile, un oggetto fittizio. Basti pensare a molti personaggi letterari che
vivono in una determinata epoca temporale e posseggono un preciso indirizzo presso
cui abitano. Come la mettiamo con questi? Sono concreti ma non esistenti. Una seconda
difficoltà deriva dal fatto che per Zalta e Williamson gli oggetti astratti sostituiscono i
possibili. Ma i possibili hanno una natura determinata, perchè solo oggetti determinati
possono esistere25. Come è dunque possibile che gli enti astratti siano possibili26?

25
Suarez, ad esempio, afferma: «Petrus et Paulus, ut abstrahunt ab actuali existentia, seu ut possibiles,
intrinsece includunt suas rationes individuas, quibus distinguuntur» (DM V, 5, 3).
26
Naturalmente, una analisi critica più approfondita delle concezioni di Zalta e Williamson, trarreb-
be grande vantaggio dall’esame della distinzione astratto/concreto. Il tema è tuttavia troppo impegnativo
per essere affrontato in questa sede. Si rinvia il lettore interessato a G. Bonino, Universali/particolari, Il
Mulino, Bologna 2008; E.J. Lowe, The Metaphysics of Abstract Objects, «The Journal of Philosophy», 92
(1995), pp. 509-524; G. Rodriguez-Pereyra, Nominalism in Metaphysics, in Zalta, The Stanford Encyclo-
pedia of Philosophy (Summer 2014 Edition), [online] <http://plato.stanford.edu/archives/sum2014/
entries/nominalism-metaphysics/>.
teoria classica dei possibili 27

In conclusione, ci pare che il possibilismo attualistico esca rafforzato dalle diffi-


coltà che affliggono le posizioni attualistiche rivali.

6. Conclusione

Il dibattito attuale sui possibili investe molti problemi. Noi ci siamo concentrati sul
problema della realtà dei possibili ed abbiamo assunto le difese della posizione pos-
sibilistica. Riteniamo infatti che tale posizione sia quella maggiormente consona alla
tradizione metafisica classica. Il possibilismo classico difeso ha tuttavia un fonda-
mento realistico essenzialmente diverso dal possibilismo concretistico di Lewis. Esso
concepisce i possibili come oggetti, attualmente inesistenti, di un potere produttivo
esistente. Essi sono pertanto niente rispetto alla modalità d’essere attuale loro propria,
ma sono esistenti rispetto alla modalità d’essere del potere produttivo. Il requisito
attualistico imposto dal criterio di Frege-Quine sul dominio di quantificazione è così
soddisfatto e non è richiesto che i possibili siano oggetti attuali. Di qui il senso della
coincidenza tra possibilismo classico e possibilismo attualistico.

Abstract

Il dibattito attuale sui possibili investe molti problemi. Noi ci siamo concentrati sul problema
della realtà dei possibili ed abbiamo assunto le difese della posizione possibilistica. Riteniamo
infatti che tale posizione sia quella maggiormente consona alla tradizione metafisica classica.
Il possibilismo classico difeso ha tuttavia un fondamento realistico essenzialmente diverso dal
possibilismo concretistico di Lewis. Esso concepisce i possibili come oggetti, attualmente ine-
sistenti, di un potere produttivo esistente. Essi sono pertanto niente rispetto alla modalità d’es-
sere attuale loro propria, ma sono esistenti rispetto alla modalità d’essere del potere produttivo.
Il requisito attualistico imposto dal criterio di Frege-Quine sul dominio di quantificazione è
così soddisfatto e non è richiesto che i possibili siano oggetti attuali. Di qui il senso della coin-
cidenza tra possibilismo classico e possibilismo attualistico.

Parole chiave: ontologia del possibile, possibilismo, attualismo, oggetti possibili, logica moda-
le quantificata

The current debate on possible objects entails several problems. We focused on the issue of
possible objects reality and sided for the possibilist position. As a matter of fact, we believe
this position to be the best suited to classical metaphysical tradition. The classical possibilism
we defend herein, though, has a realist foundation that is essentially different from Lewis’ con-
cretist possibilism. It construes possible objects as possible non-existing objects of an existing
producing power. Consequently, they are nothing vis-à-vis the modality of actual being of their
own, though they are existing with regard to the modality of being of the producing power. The
actualist requirement prescribed by the Frege-Quinean criterion of the quantification domain is
thus fulfilled, therefore possible objects must not necessarily be actual objects. Hence the sense
of coincidence between classical possibilism and actualist possibilism.

Keywords: Possibilism, Actualism, Possible Objects, Classical Conception of Possibility,


Suarez’ Ontology of Possible Objects, Quantified Modal Logic

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