CIVILTÀ CATTOLICA
ANNO DECIMO
VOL. II.
ROMA
COI TIPI DELLA CIVILTÀ CATTOLICA
1859.
LA CIVILTA
A PPI È D E LL A C R O C E
– Coc –
non potea essere opera che di un Dio. Ora Cristo non solo ne con
cepì il pensiero, ma lo ridusse in atto; e non solo in una eletta
d'uomini straordinari per capacità o per animo generoso; non solo
in un popolo di tempra più gagliarda, risoluta ed eroica; ma in
quella sterminata moltitudine di due o trecento milioni di credenti
che voi vedete in questi giorni, al rintocco funebre delle agonie di
Gesù, quasi rinsaviti repente, interrompere il delirio dei pubblici sol
lazzi, l'occupazione delle faccende private, le solennità dei giudizii e
delle pubbliche amministrazioni, le discussioni dei Parlamenti, le vi
site degli amici, l'intimità perfino delle domestiche conversazioni; e
correre appiè di quel tronco inalberato sugli altari o per le vie, per
rammentarsi che 18 secoli fa, in questi giorni medesimi, alla tal'ora'
del giorno ne pendea sotto sembianze di malfattore, Gesù da Naza
ret, il quale chiede oggi dalle anime a lui fedeli un ossequio, una la
grima, un sospiro; ed esse vi corrono, chinano riverenti le ginocchia
ed il ciglio, sospirano e piangono. Piangono pei dolori di un Uomo
Dio, cui mai non conobbero sotto sembianza mortale; piangono per
gratitudine di quel sangue, onde si credono redenti; piangono per
pentimento di quelle colpe, onde da lui credono di aver avuto riscat
to. Nè quel pianto è sterile: chè sopra tutta la superficie del globo
un portentoso movimento di emendazione morale succede alla con
templazione della scena dolorosa. Nella famiglia si riconcilia il cuor
del padre ai figli rinsaviti, si rannodano in amicizia durevole i con
iugi discordi, il servo infedele s'ingegna di restituire l'obolo se
gretamente rapito: nelle pubbliche relazioni il governante, il magi
strato, il militare, l'amministratore, dopo avere udito per quaranta
giorni bandirsi dalla cattedra di verità il Iudicium durissimum iis qui
praesunt, rientrano nei penetrali di loro coscienza esaminandone i
conti e bilanciandone le partite: e da famiglia a famiglia se furono rot
te le relazioni amichevoli, si sente non indarno l'invito di perdonarsi
dalla Croce di Cristo che perdona. E il prepararsi a venerare quella
Croce in che consiste finalmente, se non nel raddrizzare tutte le in
giustizie e nel profondere, ad esempio del Dio impoverito per l'uo
mo, quanto può abbisognare a sollevare l'inopia ed asciugare il
pianto dei proprii fratelli?
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LA CIVILTÀ APPIÈ DELLA CROCE 137
tinaggio rifugge; e tutti gl'inverecondi arzigogoli, onde il Michelet
in una sua nuovissima storpiatura di libro si è adoperato ad in
graziarglielo, non servirebbero, recati in pratica, che a renderlo più
insopportabile. Che se la passione o la necessità, annodandolo la
prima volta, tenta incatenarvi alle molestie della vita domestica; ap
pena queste molestie sembrino importune ad un animo incapace di
qualsivoglia sacrifizio, il divorzio per incompatibilità di umori, o di
dritto dove si può, o di fatto dove non si può, troverà modo ben pre
sto di rompere il nodo e rendervi la libertà.
Ora divorzio e famiglia perfetta sono eglino termini compossibili?
E senza perfezione di famiglia, può ella darsi perfezione civile, se il
vivere civile altro non è finalmente che convivenza o società di fa
miglie? Ponderatelo attentamente, lettore, e capirete, che eliminati
i sogni dorati dei romanzieri, la vita domestica allora diventa un
paradiso, quando ogni membro della famiglia, grato agli affetti e
agli aiuti, onde i cari lo confortano, sa tollerare le noie, le antipatie,
i difetti, le spine insomma d'ogni maniera che germogliano in que
sto, come in ogni altro campo del mondo sociale: spine che allora
soltanto cessarono di pungere e straziare, quando dalle tempia del
Redentore vennero tinte di quel sangue che è balsamo ad ogni
ogni civiltà. Quello poi che vi dice la filosofia del selvaggio con le
opere, vel ripete la filosofia del Rousseau coi sofismi; ve lo mostra
palpabile la filosofia dei settarii con la sanguinaria brutalità che spi
ra dal ceffo, e con l'antropofagia, di cui rinnova gli eccessi.
Ma qual cosa mai riesce agli animi indomiti sì intollerabile nella
civiltà? in questa civiltà che fa scorrere sì placidi i giorni, che tran
quilla in tanta sicurezza gl'interessi, che annoda con tanta soavità
gli affetti, che sublima a tanta luce le intelligenze, che moltiplica
gli agi, la potenza, la vita, l'operazione dell'uomo incivilito? Eh,
lettor caro! tutti cotesti tesori si comprano a costo di quell'unico, del
quale il poeta pagano diceva:
Non bene prototo libertas venditur auro.
Eppure noi abbiamo parlato qui di quella parte più triviale della
perfezione civile che, bene o male, fu conosciuta anche nel mondo
pagano, ove il Codice romano produsse tali formole, che sono oggi
ancora l'ammirazione dei popoli inciviliti: di quella giustizia, il cui
sentimento è sì vivo nella natura, che, se la passione non lo accie
chi, ogni uomo sembra chiamato a pronunziarne gli oracoli. Ma co
testa giustizia è ben lontana da ciò che forma la bellezza più squisi
ta e dilicata del mondo cristiano, il cui carattere proprio, lo disse il
Redentore, non è la giustizia, ma la carità. Finchè si tratta di giu
stizia, il Redentore ripetea: Nonne et ethnici hoc faciunt? Quello
a che niun'altra società potrà mai giungere, è quell'amore scambie
vole che fu dato per segno a riconoscere i seguaci del Redentore 1;
e che infatti fin dai primi secoli strappava il tributo d'ammirazione
dai pagani, i quali non sapevano comprendere amore sì portentoso.
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1 In hoc cognoscent homines quia discipuli mei estis, si dilectionem habue
ritis ad invicem. IoANN, XIII, 35. º º
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fica? Non è chi nol veda; quello che forma il grande, l'arduo, il ge
neroso dei provvedimenti benefici è il trovare persone, che sappiano
rinunziare a quanto ha di più dolce la quiete di una vita agiata, l'in
timità degli affetti domestici, la libertà di operare a talento: persone
che affrontino le dicerie degli sfaccendati, le derisioni, i sospet
ti, le calunnie che sogliono accompagnare una vita consecrata al
ben pubblico; persone che, dotate di lunghi studii, d'ingegno in
ventivo, di facile parola, di maniere affabili, di tutte quelle doti in
somma che cattivando gli animi sembrano promettere all'amor pro
prio successi d'ogni maniera; ed esse a questi successi vogliano ri
nunziare, consecrando quelle doti sì pellegrine tutte a vantaggio dei
miseri. E di quali miseri, Dio buono! Di que ceffi da galera che cor
risponderanno ai loro benefattori con maledizioni e minacce; di que”
pazzi frenetici, cui la carità dee tener pronta la camicia di forza; di
quegl'infermi schifosi; di quel cretini stupidi; di que luridi fanciulliab
bandonati; di que vecchi bisbetici ed irritabili, da cui niuna corrispon
denza può aspettarsi, che mitighile ripugnanze del nauseante servag
gio! E pure a questo si condanna da sè medesimo quel giovane nel ri
goglio delle passioni e delle speranze; a questo quella fanciulla, fio
re di bellezza, di grazie e di onestà. E se le vittime pronte a cotesto
sacrifizio non corressero perpetuamente a centinaia, a migliaia, ver
rebbe meno la parte più nobile, più ammirabile della civiltà verace,
quella che forma del mondo europeo uno spettacolo sopra natura, og
getto di meraviglia e di riverenza al pagano, al giudeo, al mu
sulmano. -