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Corso di Laurea Magistrale in

Scienze della Musica e dello Spettacolo

A SECOND OF STRUCTURED CHAOS


DIALETTICA TRA KOSMOS E CHAOS NELLA MUSICA DEI
MESHUGGAH NEL CASO EMBLEMATICO DI CATCH 33

Corso:
Tecniche e linguaggi compositivi contemporanei
M.° Mario GARUTI

Elaborato di:
Mattia MERLINI
Matr. n. 919911

Anno Accademico 2017/2018


 
INDICE

A SECOND OF STRUCTURED CHAOS


LA DIALETTICA TRA KOSMOS E CHAOS NELLA MUSICA DEI MESHUGGAH
NEL CASO EMBLEMATICO DI CATCH 33

PARTE I - STORIA E STILE 3

1. STORIA 5
1.1. PRIMO PERIODO 5
1.2. SECONDO PERIODO 6

2. STILE 8
2.1. STRUTTURA 8
2.2. TIMBRO 10
2.3. RITMO 12
2.4. ARMONIA E MELODIA 14
2.5. TESTI 18

3. PARENTELE 19
3.1. I PADRI 19
3.2. I FIGLI 20

PARTE II - ANALISI DI CATCH 33 23

1. TRATTI GENERALI 25
1.1. STRUTTURA 25
1.2. IDEA DI ‘PROCESSO RIPETITIVO’ 28
1.3. GENESI E SIGNIFICATO DELL’OPERA 29

2. ANALISI 33
2.1. SEZIONE 1 33
2.2. SEZIONE 2 46
2.3. SEZIONE 3 54

FONTI 60
BIBLIOGRAFIA 60
SITOGRAFIA 60
DISCOGRAFIA 61
IMMAGINI 61
2
PARTE I
STORIA E STILE

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1. STORIA

1.1. IL PRIMO PERIODO (1987-1997)


I Meshuggah nascono nel 1987 a Umeå, in Svezia, dalla mente del chitar- Nascita e

rista Fredrik Thordenal (1970) e del cantante – e in un primo momento membri storici

anche chitarrista – Jens Kidman (1966), ai quali si uniranno qualche anno


dopo il batterista Tomas Haake (1971) e il chitarrista ritmico Mårten
Hagström (1971), tutti membri anche della corrente formazione, che in-
clude anche il bassista Dick Lövgren (1980) dal 2004. Il nome scelto per
la band è la parola ebraica che significa ‘pazzo’. Ripercorriamo
l’evoluzione di questa pazzia in modo molto sommario, ricordando gli
album più rilevanti e focalizzandoci soprattutto sulla strada che ha porta-
to i Meshuggah a sviluppare uno stile musicale assai riconoscibile.
Nati dalle ceneri di una band thrash metal fondata da Thordenal nel Le radici nel

1985, non pare azzardato associare la musica dei primi Meshuggah col thrash metal

genere portato in auge da band come Metallica, Megadeth e Anthrax.


Questo è vero almeno fino all’album di debutto Contradictions Collapse
(1991), rilasciato dopo l’EP Meshuggah (1989) col quale condivide se
sonorità essenzialmente thrash comuni a molti altri gruppi del periodo.
Basta ascoltare un brano a caso dal primo full length della band per esse-
re immediatamente ricondotti ad un mondo sonoro tanto vicino a quello
dei noti gruppi citati, quanto lontano da quello che sarà accostato ai Me-
shuggah in modo assolutamente inequivocabile negli anni a venire. La
voce è sporca ma ancora dotata di reminiscenze melodiche e di frequenti
ricorsi ad incisioni multiple (cosa che verrà presto completamente aboli-
ta); la ricerca ritmica non è assente ma ancora piuttosto acerba e poco
originale, i registri bassi della chitarra non sono ancora sfruttati appieno e
la tecnica chitarristica dominante in un mondo ancora dotato di una strut-
tura armonica abbastanza lampante è il power chord.
Nel 1994 i Meshuggah pubblicano l’EP None e soprattutto poco dopo Albori di un
esce il loro secondo full-length, Destroy Erase Improve (1995). Anche se nuovo stile

alcuni fanno coincidere questo momento col passaggio al secondo perio-

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do della carriera della band, per molti versi (troppi, a parere di chi scrive)
si tratta di lavori ancora non del tutto conformi allo stile che li renderà
maggiormente noti, in quanto ad esempio la voce rimane ancora troppo
radicata a una dimensione thrash metal, con delle inflessioni talora quasi
melodiche, inoltre non vengono usate chitarre con più di sette corde e
l’uso di power chords rimane piuttosto pesante. L’aspetto ritmico certa-
mente si complica ma non sono ancora presenti gli elementi più caratteri-
stico di quello che sarà lo stile maturo della band. Se il primo album vie-
ne totalmente rinnegato dalla band e sostanzialmente ignorato dal fan ac-
costatosi al gruppo maturo – e a riprova di ciò possiamo notare l’assenza
assoluta (tranne rarissimi ripescaggi) di brani da Contradictions Collapse
nelle scalette dei concerti da anni – questo secondo lavoro sancisce il
passaggio a una nuova dimensione, non ancora matura ma capace di la-
sciare ai fan un classico come Future Breed Machine, anticipatore di al-
cuni stilemi futuri e capace di insediarsi stabilmente nelle scalette.

1.2. IL SECONDO PERIODO (1998-OGGI)


L’abbandono Nel 1998 esce Chaosphere, un album che se a livello di sound è ancora
del thrash per molti versi più vicino alla prima fase della carriera dei Meshuggah,
dal punto di vista stilistico si avvicina già molto a ciò che da Nothing
(2002) in poi diverrà il vero e proprio stile distintivo della band. Ancora
non si sentono chitarre a otto corde, il suono rimane relativamente poco
definito ma lo stile vocale ha essenzialmente raggiunto il proprio punto
d’arrivo e iniziano a presentarsi alcune delle peculiarità ritmiche più ri-
conoscibili dello stile del gruppo. Tra i brani maggiormente ricordati ed
eseguiti troviamo New Millennium Cyanide Christ, Neurotica e Sane.
La maturità Con Nothing (2002) la trasformazione può dirsi finalmente ultimata: il
focus sul groove è ormai totale e gli assoli sono sempre meno frequenti,
così come il riferimento esplicito a ogni tipo di elemento melodico e ar-
monico (persino i power chords sono ormai aboliti). Inoltre, anche se la
prima versione dell’album è incisa con chitarre a sette corde con accorda-
tura abbassata, nella reissue del 2006 sono finalmente udibili le otto cor-

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de in tutta la loro pienezza sonora. L’accoglienza positiva di un lavoro
così originale e definito è sancita dalla tutt’oggi consistente presenza in
scaletta di brani divenuti classici nel il repertorio della band, come Sten-
gah, Rational Gaze, Perpetual Black Second e Straws Pulled at Random.
Avendo raggiunto uno stile stabile, i Meshuggah si concentrano tra il Le opere

2004 e il 2005 in due lavori che si spingono oltre i limiti entro i quali, sperimentali

tendenzialmente, si manterranno le opere successive. Si tratta dell’EP I


(2004) e dell’album al centro di questa trattazione, ossia Catch 33
(2005). Il primo si distingue per la presenza di un’unica traccia di ventu-
no minuti, una delle più articolate e complesse che i Meshuggah abbiano
mai realizzato, connotata anche da una certa dose di aleatorietà e im-
provvisazione, che hanno reso praticamente impossibile la sua riproposi-
zione dal vivo. Il secondo invece ha fatto parlare di sé per il fatto di esse-
re non solo a sua volta composto virtualmente da un singolo brano della
durata di quarantotto minuti (su CD diviso in tredici tracce), ma soprat-
tutto costruito su una traccia di batteria campionata. Non solo un proce-
dimento compositivo inusuale, quindi, ma anche basato su un elemento
tabù della musica metal e rock in generale, che fan dell’idea di ‘musica
autentica’ uno degli elementi capace di distinguerla da altri generi come
la musica elettronica o certa musica pop.
Dopo Catch 33 la band prosegue – sia pure a un ritmo produttivo ral- Dopo Catch 33
lentato – con la pubblicazione di album di almeno eguale successo, quali
obZen (2008), Koloss (2012) e The Violent Sleep of Reason (2016). Que-
sti lavori non si discostano in modo rilevante dallo stile ormai consolida-
to della band, ma presentano brani come Bleed, Demiurge e Clockworks,
destinati non solo a un notevole apprezzamento, capace di inserirli in
pianta stabile nelle scalette dei concerti, ma anche a definire in modo an-
cora più granitico e inequivocabile le caratteristiche di uno stile divenuto
un vero e proprio oggetto di culto nella community metal e progressive (i
due generi a cui i Meshuggah sono più frequentemente accostati), e che
tutt’oggi mantiene la propria singolarità nonostante la prevedibile prolife-
razione di epigoni.

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2. STILE

2.1. STRUTTURA

Uno stile Dopo aver alluso più volte allo stile dei Meshuggah, viene però da chie-
sedimentato dersi in che cosa esso consista concretamente. Più che per altri gruppi
metal e non, per i Meshuggah è possibile tracciare un discorso inerente
allo stile abbastanza ben definito, a causa della costante presenza di alcu-
ne caratteristiche che tracciano una struttura piuttosto stabile, pur non
impedendo ad elementi di novità di incardinarsi in essa. Le considerazio-
ni seguenti faranno riferimento al sound ‘classico’ dei Meshuggah, che in
questa sede consideriamo pienamente raggiunto solo con Nothing (2002).
Esse riguarderanno quindi in toto anche Catch 33, e ci permetteranno co-
sì di tematizzare un primo livello di analisi generale dell’opera.
La struttura a Un primo aspetto da focalizzare è quello inerente alle strutture
canzone
ricorrenti nelle canzoni dei Meshuggah. La strtuttura più frequente è
quella che si basa su una manciata di riff (anche solo un paio), spesso
tutti focalizzati sulla messa in evidenza della stessa particolare
problematicha ritmica reinterpretata in vario modo. Chiamiamo a
canzone questa struttura perché, nonostante la voce segua quasi sempre
un andamento strofico, l’alternarsi dei riff ripropone in qualche misura la
forma-canzone tipica della musica rock e pop, riproponendo
periodicamente il riff iniziale che è di solito anche il più facilmente
riconoscibile e quello meno soggetto a mutamenti inaspettati, oppure
utilizzandolo come soggetto principale delle variazioni per lasciare
spazio occasionalmente a riff anche molto diversi che separano le varie
strofe tra loro. Esempi di questa struttura sono brani come Combustion,
Demiurge, New Millennium Cyanide Christ, Clockworks e Stengah.
La struttura a Un’altra struttura meno frequente si basa su un singolo riff soggetto a
processo una continua micro-variazione di solito data dai procedimenti ritmici
tipicamente applicati ai brani dei Meshuggah maturi, che vedremo più
nel dettaglio tra poche righe. Anche se i brani di questo tipo non sono
molti, riteniamo sia importante segnalare anche questa tipologia perché

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essa caratterizza non solo alcuni dei brani più noti dei Meshuggah, come
Bleed, oltre ad altri come The Demon's Name Is Surveillance o Shed, ma
anche tutti i brani non basati su chitarre distorte e batteria, come The Last
Vigil e alcune sezioni interne a brani come Sum, e inoltre è una struttura
assai presente in Catch 33, in sezioni come quella composta dalle prime
tre tracce (Autonomy Lost, Imprint of the Un-saved e Disenchantment) e
dalle successive tre (The Paradoxical Spiral, Re-Inanimate ed
Entrapment), ed è quindi molto importante per la nostra analisi.
Infine è si presenta talvolta anche una struttura più articolata, che La struttura a

presenta un maggior numero di idee del tutto eterogenee e spesso anche suite

dei breakdown che portano talora a sezioni eteree o caratterizzate da un


feeling quasi jazz-fusion, in un contesto accostabile talvolta al concetto di
pezzo durchkomponiert. Chiamiamo questa struttura a suite perché è
propria soprattutto di quei brani particolarmente lunghi come possono
essere Dancers to a Discordant System, Obsidian, In Death – Is Death o
I, ma non sono da escludere a priori applicazioni a brani più brevi come
Stifled o Behind the Sun. Trattandosi probabilmente dell’album più
sperimentale realizzato dai Meshuggah, paradossalmente nella nostra
analisi ci tornerà particolarmente utile tenere a mente proprio queste
ultime due strutture meno frequenti della musica dei Meshuggah.

2.2. TIMBRO
Il primo elemento che si presenta con evidenza anche agli orecchi meno Chitarre a otto
allenati della musica dei Meshuggah è probabilmente il timbro, in parti- corde

colare quello dato dall’uso di chitarre a otto corde, di norma accordate


mezzo tono più in basso di una normale chitarra di questo tipo, col risul-
tato finale corrispondente a F-Bb-Eb-Ab-Db-Gb-Bb-Eb, che permette
un’estensione di quasi un’ottava più in basso rispetto a una normale chi-
tarra. L’uso dell’ottava corda è qualcosa di quasi inflazionato, tanto che
molti dei brani dei Meshuggah sono in Fa minore per permettere di sfrut-
tare con la massima enfasi la nota più bassa ottenibile con lo strumento.
Spesso l’ottava corda è suonata a vuoto e non è raro trovare tablature

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tappezzate di zeri, tanto che nelle community di internet inerenti a questo
tipo di musica si è presto diffusa l’usanza di ironizzare su questo fatto in-
serendo zeri in tutto ciò che può essere connesso ai Meshuggah e alla
musica da loro ispirata (non è raro trovare ‘djent’, genere di cui parlere-
mo più avanti, scritto come ‘dj0nt’). Se questo uso della chitarra è asso-
ciato in modo pressoché perentorio a effetti di pesante distorsione e alla
tecnica del palm muting, non mancano utilizzi del registro alto non solo
per i disturbanti elementi ‘melodici’ che spesso si ergono sopra i riff del-
la chitarra ritmica e per gli assoli (poco frequenti e in genere molto mec-
canici e in cerca dell’evasione da qualsivoglia riferimento a una melodia
ben definita) ma soprattutto per le sezioni ‘pulite’, in cui i complessi riff
distorti lasciano il posto ad arpeggi caratterizzati da forti effetti di delay e
chorus (che causa spesso un effetto di detuning piuttosto forte) mescolati
in modo da ottenere quel timbro assai peculiare e inconfondibile, capace
di disegnare linee di chitarra cristalline ma inzuppate in effetti che accen-
tuano le dissonanze spesso presenti anche nelle sezioni più eteree, resti-
tuendo un senso di ‘distorsione’ radicalmente opposto a quella vera pre-
sente nelle parti pesanti, ma egualmente opprimente.
Basso Il basso ricopre un ruolo spesso subalterno a quello delle chitarre nella
musica dei Meshuggah, dal momento che tendenzialmente segue
l’andamento della chitarra ritmica e funge più da rinforzo del suo suono
che da vero e proprio strumento indipendente (del resto con chitarre ac-
cordate così in basso i registri vanno in buona parte sovrapponendosi).
L’uso di bassi a cinque corde permette però di raggiungere note ancora
più basse (di solito l’accordatura è infatti Bb-F-Bb-Eb-Ab) e risulta parti-
colarmente d’effetto nei vecchi brani incisi con chitarre a sette corde: in
questi casi infatti il basso tende a seguire la chitarra ritmica all’ottava
bassa, contribuendo in modo assai più consistente alla pienezza sonora.
Di solito anche il basso ricorre a suoni distorti, anche se in modo meno
possente di quanto avviene per le chitarre.

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Il suono di batteria dei Meshuggah si caratterizza per una grande pie- Batteria
nezza sonora, che specialmente nelle produzioni più recenti, associata a
un’alta definizione sonora, contribuisce in maniera decisiva all’incisività
della musica. Pressoché costante è l’uso della doppia cassa ma il set uti-
lizzato di norma da Haake è tutto sommato di dimensioni contenute ri-
spetto a molti colleghi attivi ad esempio nella scena progressive metal. Se
infatti la varietà di piatti è abbastanza elevata (nessuno splash, ma svaria-
ti crash e anche più di un china e un ride), i tamburi sono di norma tre e i
timpani un paio. Come vedremo, il suo suono è entrato a far parte in
qualche misura di numerose produzioni grazie al proprio contributo allo
sviluppo del VST Drumkit from Hell, espansione per l’usatissimo
EZDrummer sviluppato da ToonTrack. Tale strumento virtuale non solo
è molto usato nella produzione ‘casalinga’ di tanti musicisti, ma anche da
artisti di un certo rilievo come Devin Townsend (che notoriamente ha
usato lo strumento per il suo apprezzatissimo Ziltoid the Omniscient del
2007) e i Dillinger Escape Plan. Gli stessi Meshuggah sono stati tra i
primi a utilizzarlo proprio in Catch 33 e in seguito nella reissue di
Nothing e in alcune sezioni di obZen.
La voce di Jens Kidman, infine, si presenta costantemente caratteriz- Voce

zata da un cantato sporco, mai melodico, furiosamente gridato, diverso


tanto dallo scream del black metal quanto dal growl del death metal. Se
questi ultimi due trasformano l’uomo-cantante in una bestia inumana, le
harsh vocals di Kidman rimangono umane proprio per il gusto di disu-
manizzarsi fino ai limiti del tollerabile. Non è un mostro ruggente, è un
uomo che urla furiosamente, su ritmi che a volte riprendono in qualche
misura quelli presenti nel brano e altre volte ne seguono di propri, an-
dando a complicare ulteriormente la stratificazione ritmica del pezzo.
Catch 33 è tra i pochi esempi tratti dal periodo maturo dei Meshuggah
che ci permette di ascoltare la voce di Kidman esibirsi in segmenti sus-
surrati (pensiamo a gran parte di Shed) e addirittura armonicamente con-
notati (pensiamo alla sezione in vocoder presente in Mind’s Mirrors).

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2.3. RITMO
La tecnica base Ma l’aspetto indubbiamente più atipico e complesso dello stile dei Me-
shuggah è quello relativo al ritmo. Lo stile maturo dei Meshuggah non si
limita ad offrire strutture poliritmiche in modo pressoché costante, ma
tende anche a eludere la naturale convergenza dei metri attraverso varia-
zioni metriche che la anticipano o la rimandano secondo schemi spesso
ripetitivi ma ad un primo ascolto imprevedibili. Tipicamente chitarra rit-
mica, basso e grancassa seguono riff in tempi dispari mentre il crash (o il
china) della stessa batteria – spesso in combutta col rullante – propone un
ipermetro di 4/4. Un esempio paradigmatico (PIESLAK 2007, pp. 220-
223) è quello costituito dai primi secondi di Rational Gaze:

Figg. 1-2: Le prime due iperbattute dell’intro di Rational Gaze. Le successive due se-
guono un andamento pressoché identico, completando l’unità ritmica della sezione.

Rational Gaze Notiamo quindi come da un lato i piatti impongano un metro in 4/4 per
tutto lo sviluppo del riff, mentre nel frattempo cassa e chitarra/basso se-
guono un ritmo di 25/16, che si interseca poliritmicamente con
l’ipermetro dei piatti per quattro battute nel proprio metro, per poi variare
alla quinta ripetizione aggiungendo i tre sedicesimi mancanti per rag-

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giungere il minimo comune multiplo tra i due metri, grazie a una battuta
in 28/16 (25+25+25+25+28 = 128/16, che espresso nell’ipermetro equi-
vale a due iperbattute da 4/4). Il tutto poi viene ripetuto una seconda vol-
ta (ottenendo complessivamente una struttura ritmica simmetrica di quat-
tro iperbattute da 4/4).
È come se ogni frammento del riff perdesse per strada una piccolissi- La dialettica tra
kosmos e chaos
ma parte di sé, e a un certo punto si preoccupasse di recuperarla per rial-
linearsi col ritmo imposto dai piatti della batteria, in una destabilizzante
mescolanza di ordine e disordine, di simmetria e dissimmetria, di smar-
rimento a cui cerca di opporsi un unico elemento ritmico costante e quasi
ipnotico nel suo essere principio ordinatore primario, sommamente sem-
plice, di una molteplicità di frammenti notevolmente complessi. I Me-
shuggah sembrano voler disperatamente costruire un proprio cosmo
(kosmos) sonoro a partire da un materiale originario nato sotto il segno
del caos (chaos), in una dialettica tra ordine e disordine che sfocia in una
musica dalla natura necessariamente conflittuale, irrequieta e senza posa.
Un conflitto che spesso percepiamo anche dai testi della band.
Esempi simili a quello costituito da Rational Gaze torneranno più Le eccezioni

volte nella nostra analisi di Catch 33, anche se va specificato che è pos- e la regola

sibile trovare delle eccezioni a tale struttura, anche abbastanza vistose,


come nel caso di I. L’EP monotraccia del 2004 presenta infatti strutture
costituite da una modularità rilevabile solo su più ampia scala, che ha bi-
sogno di ricorrere a strumenti analitici diversi per essere spiegata (per
approfondimenti, cfr. PIESLAK 2007, pp. 233-244, SMIALEK 2008, pp. 44-
60). Possiamo tuttavia in generale dire con Jonathan Pieslak (PIESLAK
2007, p. 220) che lo stile maturo dei Meshuggah si basa ritmicamente su
tre elementi: i tempi dispari, il metro misto e la sovrapposizione metrica.
In altre parole convivono nella musica dei Meshuggah una molteplicità
(sia in una dimensione orizzontale che verticale) di metri armonizzati da
elementi gerarchicamente superiori costituiti dall’ipermetro. Il tipico bra-
no maturo dei Meshuggah è la giustapposizione di diverse cellule ottenu-
te mediante l’applicazione di tale procedimento.

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2.4. ARMONIA E MELODIA
Un’armonia Parlare di ‘armonia’ nell’ambito della musica dei Meshuggah può sem-
disarmonica brare un controsenso, e in un certo senso lo è. Se infatti è vero che spesso
(e non sempre, come potremo notare dall’esempio in Fig. 4) la nota car-
dine dei brani è il Fa, per ragioni essenzialmente legate allo sfruttamento
della nota più bassa resa possibile dall’accordatura utilizzata, parlare di
un’armonia basata su un vero e proprio Fa minore non ci sembra avere
molto senso. Certamente però non si tratta di una musica completamente
caotica, come già la trattazione inerente al ritmo ci ha rivelato. Una cosa
che l’EP I può insegnarci è infatti che questo tipo di musica è ossimorico
su più livelli, nel suo tentativo di conciliare kosmos e chaos, calcolo e ca-
sualità (SMIALEK, pp. 56-60). Si può quindi in una certa misura parlare di
‘armonia’ persino in senso apollineo, e questo è vero anche nel discorso
su un’armonia musicale basata su principi tanto semplici quanto tenden-
zialmente ferrei, capaci di dare forma e prevedibilità a una musica do-
minata interiormente dal caos.
Il dominio della Analizzando molte delle tablature reperibili in rete, generalmente tra-
seconda minore scritte da appassionati ma con una certa accuratezza, la musica degli sve-
desi si rivela armonicamente incentrata sull’intervallo di seconda minore,
tanto orizzontalmente quanto verticalmente. Diamo un’occhiata a due
esempi tratti dallo stesso Catch 33 per avere prova di una procedura mol-
to frequente nella musica oggetto della nostra analisi:

Fig. 3: Le prime battute di Autonomy Lost.

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L’esempio di Autonomy Lost è di massima semplicità ed efficacia. Il riff Autonomy Lost
principale consta di sole due note, il Fa dell’ottava corda suonata a vuoto
e il Sol bemolle dell’ottava corda suonata al tredicesimo tasto. Successi-
vamente, come vedremo nell’analisi dedicata a Catch 33, il riff si evolve-
rà molto gradualmente a livello ritmico, sviluppandosi nel corso di tre
brani consecutivi, ma introdurrà una sola nota ulteriore: un Mi suonato
all’undicesimo tasto dell’ottava corda. Nona minore e settima maggiore,
due intervalli riconducibili alla seconda minore e fondati sul semitono.
Due intervalli, inoltre, che tornano a livello verticale, come ci dimostra la
linea di chitarra solista che entra alla quinta ripetizione del riff suonando
all’ottava (relativamente) alta in tremolo picking fin da subito le tre note
che saranno al centro dell’intero sviluppo: Sol bemolle, Mi e Fa (anche
per la quarta battuta che segue quanto visibile nella Fig. 3). Quanto detto
rimane fondamentalmente valido anche quando il materiale si complica:

Fig. 4: L’introduzione di The Paradoxical Spiral

Se in questo caso la tensione verticale si fa meno forte (la nota-cardine The Paradoxical

del riff, il La bemolle, si trova con il Mi e il Fa della chitarra solista in Spiral

tremolo rispettivamente in un rapporto intervallare di sesta minore e di


sesta maggiore), il riff continua ad essere giocato sulla seconda minore,
nonostante la quantità di altezze coinvolte aumenti piuttosto drasticamen-

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te, introducendo sbalzi continui che però continuano a gravitare intorno
alla nota di La bemolle e che in generale continuano a limitarsi
all’utilizzo ulteriore delle sole due note che si trovano a distanza di una
seconda minore verso ascendente e discendente rispetto al La bemolle
(La e Sol). L’unica eccezione è il Fa diesis che compare, non a caso si
suppone, proprio a cavallo dei due Mi (siano pure legati) alla chitarra so-
lista, ossia nel punto più dissonante in cui poteva comparire, ostentando
ancora una volta la seconda minore.
L’uso Da questo secondo esempio emerge con evidenza quello che è proba-
dell’ottava
bilmente l’unico altro intervallo usato dai Meshuggah con frequenza pa-
ragonabile quasi a quello della seconda minore: l’ottava, che però evi-
dentemente svolge più una funzione dinamizzante che armonica. Non di-
stende, non risolve, funge semplicemente ora da cardine, ora da polo op-
posto dell’oscillazione, ora da meta di un salto inaspettato.
Il tremolo Il discorso sulla melodia appare assurdo almeno quanto quello
picking sull’armonia, inoltre i due aspetti, in una musica che non praticamente
non utilizza accordi e che ha uno sviluppo soprattutto orizzontale, fini-
scono per mescolarsi. Come abbiamo già visto, la voce smette di essere
anche solo minimamente connotata a livello melodico fin dai lavori di fi-
ne anni Novanta. Alle chitarre possiamo individuare prevalentemente tre
tipi di elementi melodici: il primo l’abbiamo già visto in azione negli
esempi precedenti (Figg. 3-4), ed è il massiccio uso di tremolo picking,
spesso su note che si trovano in un rapporto dissonante con le note essen-
ziali del riff sottostante. Si tratta di un elemento ‘atmosferico’ che svolge
al contempo funzioni armoniche e, su larga scala, melodiche.
Gli assoli Il secondo elemento su cui vale la pena soffermarsi è quello degli as-
soli, che sono solitamente di due tipi: il primo è più movimentato, di so-
lito caratterizzato da un massiccio uso del legato associato allo shred
chitarristico più sfacciato, come è possibile constatare dal lungo assolo
che inizia a metà del sesto minuto di Dancers to a Discordant System; il
secondo è invece caratterizzato da un numero di note tendenzialmente
molto più limitato e da uno stile più simpatizzante per lo staccato, quasi

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meccanico persino nei frequenti bend che pongono l’accento su elementi
dissonanti. Un esempio lampante di questo trattamento, che oltretutto an-
cora una volta anticipa la trattazione analitica di Catch 33, ci è offerto
dall’assolo di Entrapment, che inizia come la Fig. 5 mostra per poi svi-
lupparsi per ulteriori battute in uno stile del tutto analogo.

Fig. 5: Prime battute dell’assolo di Entrapment.

Un ultimo elemento melodico importante è quello costituito dalle sezioni Le sezioni pulite

pulite. Come abbiamo già segnalato, sono presenti (anche se non fre-
quentissime) nella musica dei Meshuggah sezioni in cui le distorsioni si
fanno completamente assenti in favore di un’atmosfera rarefatta anche se
non per questo necessariamente meno disagevole. In questi casi è possi-
bile ascoltare sviluppi melodici più evidenti, spesso circondati dal silen-
zio (come negli ultimi minuti di Sum), oppure figure essenzialmente ar-
peggiate (come in The Last Vigil) o una mescolanza di entrambe le cose
(la lunga e inquietante sezione pulita di In Death – Is Death). Gli elemen-
ti melodici in questo caso, anche in contesti vagamente contrappuntistici
(come nell’esempio in Fig. 6), rimangono limitati a poche note di solito
molto vicine, favorendo ancora una volta intervalli dissonanti tanto oriz-
zontalmente quanto verticalmente, come visibile dall’esempio in Fig. 6
tratto da Mind’s Mirrors, un altro brano che ritroveremo nell’analisi di
Catch 33.

Fig. 6: Sezione centrale di Mind’s Mirrors.

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2.5. TESTI
Il rapporto tra Anche se non è obiettivo di questo lavoro fornire un’analisi lirica dei testi
musica e testi utilizzati nei brani dei Meshuggah, è comunque utile spendere qualche
riga per inquadrare le tematiche ricorrenti e lo stile delle lyrics utilizzate,
che possono a loro volta trovare risonanze con lo stile musicale e appro-
fondirne il significato in una prolifica dialettica di arricchimento recipro-
co. Il principale autore dei testi è il batterista Tomas Haake, pertanto pare
un buon punto di partenza partire da una sua affermazione in merito allo
stile dei suoi testi (e al loro rapporto con la musica):

For us, lyrics are like viewing a piece of art. If I go to a gallery or a


museum, I don't want to look at a famous painting of a vase with
some flowers in it. If I'm to be intrigued and get really interested in
a painting, I want it to be a bit more defused [sic] and abstract, so it
gets me to start thinking. And then that's how we feel about our
music also.

T. HAAKE in J. DONNELLY, Meshuggah Interview; citato in


SMIALEK 2008 da fonti web ora non più consultabili

Come in un Il paragone con l’arte astratta, o più in generale l’arte contemporanea


quadro astratto
pone l’accento sul gusto per l’indefinito ed il vago, ancora di più forse il
criptico, tutti elementi che in effetti traspaiono con forza fin da una prima
lettura di un qualsiasi testo scritto da Haake. Si tratta di testi che evocano
sensazioni tendenzialmente disagevoli ma attraverso immagini metafori-
che, spesso crude, a volte disgustose, certe volte abbastanza coerenti tra
loro, altre apparentemente basate su un flusso di coscienza, fatto di im-
magini monolitiche associate liberamente e in generale alludenti a un si-
gnificato implicito che richiede la riflessione personale.
Alcuni tratti Non è presente un particolare approccio metrico, anche per via
ricorrenti dell’irregolarità della linea vocale. In alcuni casi si tratta di testi molto
ermetici, in altri sono molto più estesi e irregolari. I temi sembrano allu-
dere spesso al disagio esistenziale, agli aspetti disarmonici e perturbanti
del reale, alla lotta tre bene e male in un mondo fatto di ansia e disagio.

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3. PARENTELE

3.1. I PADRI
Dal lato prettamente sonoro è chiaro che le origini thrash dei Meshuggah Thrash metal

non possono essere trascurate. Ecco che allora la predisposizione per un


certo metal pesante è riconducibile a gruppi praticamente imprescindibili
per il genere thrash metal, come i Metallica e i Megadeath, e in particola-
re questi ultimi per la maggiore articolazione e complessità delle canzoni.
A questo però si aggiungono anche elementi tratti dalle tradizioni Death & Black
death metal e black metal, soprattutto nelle loro declinazioni più tecni-
che, per la presenza di voce harsh (in una sorta di versione ibrida tra il
growl del death e lo scream del black), di accordature abbassate e stilemi
come il blast beat o più in generale le lunghe pedalate di grancassa. E
chiaro del resto che la musica dei Meshuggah è da ricondurre in qualche
misura all’ambito del metal estremo. Non dimentichiamo inoltre la pro-
venienza geografica della band: la Scandinavia è, al di là degli stereotipi,
la più importante produttrice di metal estremo fin dagli albori.
La tendenza alla complessità tecnica e soprattutto ritmica è da far risa- Progressive

lire alle influenze del progressive rock e del jazz/fusion (generi avvicinati
in modo particolarmente esplicito nell’album solista di Thordenal Sol Ni-
ger Within del 1997), così come al gusto per i brani estesi e dotati di
strutture poco schematiche. In particolare i Meshuggah sono riconducibi-
li a una famiglia molto particolare dell’ambito progressive, quella di cui
fanno parte gli inglesi King Crimson e gli americani Tool, tanto che pare
possibile tracciare un’asse ‘King Crimson-Tool-Meshuggah’, quasi un
passaggio di testimone. Si tratta di tre gruppi che hanno raggiunto una
notevole fama pur non scendendo mai a compromessi e proponendo una
musica a loro modo sempre estrema e fresca, particolarmente concentrata
sull’ambito ritmico.
Il primo stadio della staffetta è identificabile in alcune collaborazioni King Crimson
tra gli ormai leggendari King Crimson e i Tool già negli anni Novanta,
sfociate infine nel 2001 in un memorabile tour insieme. Mentre a seguito

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della reciproca contaminazione gli album dei Tool diventano via via più
complessi, raffinati e psichedelici, quelli dei King Crimson diventano più
pesanti e oscuri (pensiamo soprattutto all’album del 2003 The Power to
Believe, ma anche già agli album degli anni Novanta), come se i due
gruppi avessero potuto imparare l’uno dall’altro scambiandosi la linfa vi-
tale e rinnovandosi a vicenda.
Tool Tra il 2001 e il 2002 qualcosa di simile avviene tra i Tool e i Meshug-
gah, e forse non a caso a questo incontro corrisponde una svolta stilistica
(Nothing) pari a quella che porta i Tool al loro emblematico Lateralus
(2001) idealmente come frutto dello scambio coi King Crimson. Ed è qui
che la staffetta trova il suo secondo passaggio, un passaggio che ha anco-
ra una volta come protagonista quello spirito ‘progressive’ che, a parere
di chi scrive, proprio i King Crimson hanno non solo contribuito a ideare,
ma anche incarnato al meglio nel corso della loro lunga carriera.

3.2. I FIGLI

Djent Spesso i Meshuggah sono considerati gli iniziatori del sottogenere metal
denominato ‘djent’ (con riferimento onomatopeico al tipico suono di chi-
tarre a sette/otto corde distorte suonate in palm mute) e affermatosi sol-
tanto nell’ultimo decennio soprattutto in aree anglofone. È bene sottoli-
neare tuttavia che considerare i Meshuggah come parte integrante di tale
genere sarebbe errato, oltre che per ragioni cronologiche – gran parte dei
gruppi djent maturi hanno infatti debuttato alla fine del primo decennio
del nuovo millennio e sono composti da musicisti molto più giovani dei
membri fondatori dei Meshuggah – per ragioni prettamente musicali. In-
fatti la musica djent presenta strutture spesso più vicine alla forma-
canzone e soprattutto dotate di elementi molto più melodici. La voce è
solo in alcuni casi harsh e anzi di solito risulta essere fortemente melodi-
ca e tendenzialmente acuta, senza alcun disprezzo per le armonie vocali.
Gli assoli sono completamente banditi da alcuni gruppi e reintegrati con
una certa stabilità da altri. L’enfasi sull’elemento emotivo è molto più
forte e frequente è l’uso atmosferico delle chitarre, che comunque non

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sempre suonano linee sovrapponibili a quelle del basso e non evitano
passaggi basati su accordi. Sono quindi più gli elementi di distanza che
quelli di vicinanza tra i musicisti djent e i Meshuggah, che pertanto pos-
sono essere considerati come (unici?) esponenti di una sorta di proto-
djent a cui i giovani gruppi hanno attinto a piene mani (specialmente per
quanto riguarda lo sfruttamento delle corde settima e ottava della chitar-
ra) aggiungendo elementi che i Meshuggah non sembrano avere alcun in-
teresse a (re)integrare nella propria musica.
Per farci un’idea della diversità di approcci scaturiti dagli insegna- TesseracT

menti dei Meshuggah basterà fare riferimento a quelli che sono forse i
due gruppi più noti del djent. I primi sono gli inglesi TesseracT, promo-
tori di una versione più composta e raffinata del djent, per l’appunto più
‘English’ se così possiamo definirla. La musica dei TesseracT è tipica-
mente ricca di elementi poliritmici e irregolarità su tutti i livelli, masche-
rati tuttavia da una patina di orecchiabilità permessa soprattutto dall’uso
fortemente melodico della voce (quasi mai, a partire dal secondo full-
length, eseguita in un qualsivoglia stile harsh) e dalla presenza quasi co-
stante di elementi melodici presentati da una seconda chitarra dedita per-
lopiù a suoni puliti e atmosferici. Il tecnicismo non è mai ostentato, è an-
zi spesso fatto di ghost notes e di dettagli nascosti, e gli assoli sono inesi-
stenti, in favore di una elaborazione sotterranea che non collide mai con
possibilità di una fruizione di puro godimento estetico.
Sul versante americano troviamo invece i Periphery, che fanno un uso Periphery

più consistente di voce harsh e che non evitano di ostentare le proprie


capacità tecniche anche mediante l’uso di assoli di chitarra e di riff evi-
dentemente complessi, il tutto inserito in un contesto più song-oriented e
tendenzialmente compatto. L’aspetto armonico dei brani è spesso in asso-
luta evidenza, con diverse sezioni chord-based. Si tratta di un approccio
un po’ più gradasso, non meno degno di interesse ma sicuramente più
immediato e, appunto, ‘americano’ di quello dei colleghi europei. Da se-
gnalare è inoltre l’utilizzo più massiccio di componenti elettroniche e di
tastiere, che contribuiscono al sound più corposo e colorato.

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22
PARTE II
ANALISI DI CATCH 33

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1. TRATTI GENERALI

1.1. STRUTTURA
Dopo aver analizzato i tratti base dello stile dei Meshuggah (analisi che Un caso

vale anche per i caratteri generali di Catch 33, da cui non a caso sono paradigmatico
ma singolare
strati tratti gran parte degli esempi concreti finora presi in considerazio-
ne) è giunto il momento di addentrarci in un’analisi più specifica di quel-
lo che è il nostro primario oggetto di interesse, ovvero l’album Catch 33
(2005), che rappresenta da un lato un caso paradigmatico per lo stile ma-
turo dei Meshuggah, dall’altro anche uno scostamento da esso, tra i più
significativi tra quelli presenti negli album successivi a Nothing. Esso si
configura infatti come una sorta di album-monotraccia dalla durata di 48
minuti, suddiviso tuttavia in 13 tracce distinte. L’idea di dedicarsi a brani
molto lunghi non è nuova alla band, dal momento che già l’EP I (2004)
propone una soluzione simile, con la differenza che la traccia è effetti-
vamente una sola e dura però meno della metà di Catch 33 (21 minuti).

Fig. 7: La schematizzazione proposta da Oriol Nieto, dove i quadrati blu indicano le tre sezioni principali
dell’album, quelli rossi le sotto-sezioni, mentre le parti pulite, sperimentali e fusion sono segnate direttamente sulla
waveform rispettivamente coi colori rosso, rosa e giallo, indipendentemente dalla suddivisione in tracce.

Se quindi è lecito concepire l’album come composto da un unico bra- Un brano uno e
no in cui in effetti non ci sono stacchi evidenti tra le tracce (eccetto per trino

quello tra In Death – Is Death e Shed, che però inserito nel contesto può
pare considerabile come una lunga pausa) e in cui molti elementi musica-
li sono ricorrenti, è però anche evidente una suddivisione interna suggeri-
ta dalla ricorrenza di alcuni elementi e dalla presenza di possibili punti di

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stacco ogni quindici minuti circa dell’album. Quest’ultima suddivisione è
messa in evidenza da Oriol Nieto (NIETO 2013, p. 4), che propone la sud-
divisione riproposta nella Fig. 7. Si tratta di una suddivisione sufficien-
temente esatta da permetterci di basare su di essa la nostra analisi, tutta-
via bisogna specificare l’esistenza di ulteriori suddivisioni interne abba-
stanza marcate, che non sempre sono segnalate nello schema di Nieto.
Le sotto-sezioni Nella sezione 1 è evidente il passaggio scandito dall’introduzione di
The Paradoxical Spiral, che porta dalla rielaborazione continua (e mini-
malista, come vedremo) di un primo riff presentato fin dai primissimi
istanti dell’album e protratto per i primi tre brani, basato sull’ottava corda
suonata a vuoto con ampi salti ai tasti alti della stessa, a un secondo riff
che viene mantenuto come base di variazione per i successivi tre segmen-
ti, basato su un movimento oscillante continuo intorno alla nota perno del
La bemolle, con note in genere più lunghe e un ritmo più zoppicante. A
questo secondo momento segue un terzo, costituito da Mind’s Mirrors,
che può essere assimilato tanto alla sezione 1 quanto alla sezione 2, ma
noi seguiremo Nieto nell’accorparlo alla sezione 1, in modo da ottenere
tre sezioni dalla durata omogenea. La sezione 2 è invece costituita dal
dittico In Death – Is Life e In Death – Is Death, quasi una suite a parte,
che in quanto tale è suddivisibile in diverse sotto-sezioni, tra le quali so-
no particolarmente evidenti quella che possiamo associare alla traccia In
Death – Is Life e quella coincidente con la seconda metà di In Death – Is
Death, che abbandona le distorsioni in favore di un’inquietante sezione
di chitarra ‘pulita’. La sezione 3 inizia con Shed, che recupera il primo
riff della sezione 1 e lo utilizza come elemento base della propria struttu-
ra (ma tornerà anche in seguito) e finisce con una sezione ‘pulita’ inserita
in coda a Sum, che recupera alcuni elementi melodici di Mind’s Mirrors
(che abbiamo detto essere collocato alla fine della sezione 1, e qui ripresa
alla fine della sezione 3) andando a costituire una sorta di parallelismo tra
le sezioni 1 e 3, separate da una suite centrale della medesima durata del-
le sezioni in questione. A parte questo, la sezione 3 è la più eterogenea, e
ogni brano presenta riff diversi e inediti, che giustifica molto di più che

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nella sezione 1 la suddivisione in tracce audio differenti. Si noti tuttavia
che l’unico pezzo facilmente estrapolabile dal flusso sonoro (oltre alla
suite) è Shed, che non a caso è anche il singolo estratto dall’album, non-
ché quello che presenta la struttura maggiormente auto-conclusiva e più
facilmente leggibile, che peraltro contiene il riff ricorrente presentato fin
dall’inizio dell’album, quello che potrebbe essere il riff per eccellenza di
Catch 33, che torna in più occasioni e rimane più facilmente impresso.
Detto questo, tuttavia, abbandoneremo questa suddivisione in sotto-
sezioni durante l’analisi, perché come abbiamo visto ha senso raggruppa-
re tracce solo per quanto concerne le prime tre, le successive tre e la sui-
te, dopodiché a ogni passaggio di traccia corrispondono anche dei signi-
ficativi mutamenti musicali, per cui raggruppare non ha più senso. E
dunque tanto vale rimanere fedeli alle tre sezioni di uguale durata propo-
ste da Nieto, pur tenendo presente l’esistenza di continuità e di richiami
interni ulteriori, le quali sono mirabilmente riassunte nello schema
proposto da Smialek (SMIALEK 2008, p. 49) che riportiamo nella Fig. 8.

Fig. 8: La divisione di Catch 33 in quattro movimenti con interludio riportata da Smialek, che pur sacrifi-
cando aspetti interessanti della tripartizione (in primis l’eguale durata dei movimenti) rende maggiormente
conto di continuità e richiami interni e riporta le caratteristiche generali dei singoli movimenti.

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1.2. IDEA DI ‘PROCESSO RIPETITIVO’
Lo sfaldamento Come già lo schema riportato in Fig. 8 anticipa, è presente in Catch 33 (e
ritmico nei ciò è evidente soprattutto nella sezione 1 di Nieto e nei primi due movi-
Meshuggah
menti di Smialek) lo sfruttamento di micro-variazioni interne a uno stes-
so riff che ne provocano lo sfaldamento progressivo, in una trasfigura-
zione continua ma quasi impercettibile della figura ritmica e talvolta an-
che ‘melodica’. Vedremo meglio questo procedimento all’opera durante
il concreto lavoro di analisi. Qualcosa di simile avviene in realtà anche in
altri momenti dell’album, ma si direbbe più per ragioni ‘fisiologiche’, le-
gate al tipico meccanismo già analizzato (cfr. I.2.3.) per riassestare la so-
vrapposizione ritmica data dai piatti e talvolta il rullante (4/4) e dagli altri
elementi (in metro vario e tendenzialmente inusuale), in un’interessante
dialettica tra smarrimento e ritrovamento di un ipnotico punto di riferi-
mento che riesce a tenere insieme il caos in un precario ma rassicurante
ordine (interessante in questo senso è la breve analisi cognitiva proposta
da Nieto, cfr. NIETO 2013, pp. 9-10).

Origini del Questo procedimento può essere fatto risalire alla musica cosiddetta
‘processo ‘ripetitiva’ scritta da compositori minimalisti come Philip Glass (1937),
ripetitivo’ Terry Riley (1935) e Steve Reich (1936). Questi compositori, pur conti-
nuando su una via diversa da quella della ‘narrazione’ generalmente pro-
posta dalla musica tradizionale (per cui la struttura di un brano musicale
si articola in qualcosa di mutevole, in un rapporto ben definibile tra le va-
rie parti che ci ‘racconta’ di un qualcosa in un divenire lineare), si disco-
stano dai colleghi che si dedicano alla differenza (un’estrema differenzia-
zione del materiale compositivo fino all’assenza di punti di riferimento,
almeno dal punto di vista percettivo) propendendo invece per la ripeti-
zione. In questo modo all’interno del ‘processo’ (surrogato della ‘narra-
zione’) non domina una caotica differenziazione assoluta, ma un princi-
pio che omologa il materiale compositivo incardinandolo in un movi-
mento (un processo, appunto) ripetitivo, in cui a tenere alta l’attenzione è
la poetica della variazione minimale, per cui solo a un ascolto distratto la
composizione appare omogenea e piatta, dal momento che è in realtà

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permeata da un costante e irreversibile mutamento che logora di volta in
volta la forma ripetuta dall’interno, trasformandola lentamente in qualco-
sa di (anche radicalmente) diverso. Dovremo tenere presente questo pro-
cedimento compositivo durante l’analisi di Catch 33.

1.3. GENESI E SIGNIFICATO DELL’OPERA


L’affermazione dei Meshuggah per cui la loro musica viene concepita Un parto
come se ogni singolo elemento musicale (voce inclusa) fosse uno stru- collettivo e

mento percussivo (JONES 2009, p. 34) diviene quanto mai vera in un caso informatizzato

come quello di Catch 33, concepito a partire dalla traccia di batteria in un


contesto completamente informatizzato. Eric T. Smialek riporta alcuni
dati ottenuti da interviste ai membri del gruppo (SMIALEK 2008, p. 98),
che ricordano la fase di composizione/incisione dell’album come una
sorta di lavoro collettivo avvenuto intorno a un computer o addirittura
più computer, passandosi la canzone work in progress telematicamente e
apportando a turno le proprie modifiche fino al completamento del brano,
incidendo in un secondo momento soltanto la voce.
Non solo, ma una delle caratteristiche più discusse di Catch 33 è quel- La batteria

la di essere stato concepito appunto a partire una traccia di batteria, la programmata

quale per di più è stata realizzata mediante un VST, al quale hanno potu-
to mettere mano tutti i componenti del gruppo, giungendo a una creazio-
ne collettiva già per quanto riguarda la primissima fase della composi-
zione. Solo a partire da tale traccia sono state poi incise le chitarre e il
basso, giungendo a un prodotto finito eccezion fatta per la voce, incisa in
seguito. Il VST in questione è il già citato Drumkit from Hell, al cui svi-
luppo avrebbero collaborato gli stessi Haake e Thordenal, per poi riuti-
lizzarlo anche in altri album della band. La traccia di batteria così ottenu-
ta non è mai stata reincisa ma viene ovviamente eseguita senza sostanzia-
li differenze da Haake durante i concerti (dai quali peraltro raramente si
assenta dalla scaletta la suite In Death). In questo modo l’approccio alla
composizione si rivela piuttosto originale, raggiungendo nuove possibili-
tà e limiti, e portandoci anche a riflettere sul rapporto tra creatività e tec-

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nologia, dove quest’ultima diviene centrale e, in alcune condizioni limite,
giunge quasi a sostituirsi alla prima, o comunque a plasmarla in modo si-
gnificativo. Si tratta di una scelta radicale all’interno di un contesto di
pubblico in cui spesso l’idea di ‘autenticità’ è usata come stendardo per
contrapporsi a realtà molto lontane come quella della musica elettronica
(per un approfondimento del tema, cfr. SMIALEK 2008), ma i Meshuggah
decidono di compierla ugualmente, forse proprio per dimostrare
l’ipocrisia che si cela dietro a simili prese di posizione, in un mondo di-
scografico in cui creatività e tecnologia si trovano in un rapporto sempre
più stretto e indissolubile, ponendosi al di sopra di un conflitto infantile e
liberandosi degli stereotipi inerenti al genere di appartenenza.
Dal 22 al 33 Un simile ‘incremento di livello’ è presente anche nel titolo
dell’album. Catch 33 (che potremmo tradurre con ‘tranello 33’) è infatti
una specie di potenziamento dell’idea di Catch 22, tratta dal romanzo
omonimo di Joseph Heller pubblicato nel 1961 e tradotto in italiano col
titolo Comma 22. In tale romanzo, il comma 22 del regolamento affidato
ad alcuni piloti di bombardieri della Seconda guerra mondiale li pone in
una situazione di scelta apparente, un paradosso da cui i personaggi del
libro non possono liberarsi. Il libro diviene un cult al punto che nella lin-
gua inglese si parla di Catch 22 per indicare qualcosa di simile al circolo
vizioso e in generale per parlare di situazioni dalle fattezze paradossali e
dalle quali non è possibile uscire. La ragione per cui i Meshuggah abbia-
no voluto passare dal 22 al 33 è in realtà sconosciuta. Si può ipotizzare
che si tratti semplicemente di una volontà di, appunto, ‘alzare il livello’,
porsi a un livello superiore, o magari suggerire l’immagine di un para-
dosso dalla triplice scelta apparente anziché doppia (cosa ancora meno
probabile dato che, a quanto pare, il numero 22 è stato scelto da Heller
solo perché ‘Catch Twenty-two’ gli sembrava suonare meglio del ‘Catch
Eighteen’ a cui aveva inizialmente pensato), o forse ancora un riferimen-
to ai 33 giri del vinile o un passaggio necessario a rendere dispari ciò che
è pari, in un dualismo che come abbiamo visto è praticamente onnipre-
sente nello stile musicale dei Meshuggah.

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Ciò che realmente importa è però che Catch 33 è un concept album Un concept sul
sul paradosso, così come il titolo, giunti a questo punto, dovrebbe chia- paradosso

ramente indicarci. Per l’esattezza un paradosso che cerca di tenere insie-


me due opposti inconciliabili, così come i frequentissimi ossimori pre-
senti nei testi dell’album ci ricordano, e non solo all’interno di brani dal
titolo profetico come The Paradoxical Spiral. Tenendo presente
l’approccio alla scrittura dei testi che i Meshuggah hanno palesato e di
cui abbiamo già discusso (cfr. I.2.5.), risulterà chiara la ragione per cui
riteniamo che il modo migliore per comprendere la maniera in cui il con-
cept si palesa sia affidarci alle parole stesse usate negli estratti seguenti:

Non-physical smothering. Asphyxiation by oxygen hands | Drow-


ning in the endless sky. An ever-downward dive, only to surface |
The sewage of indecision, on which all sense of self is afloat | The
vortex-acceleration a constant. Resolute in purpose its choking
flow. (The Paradoxical Spiral)

[…] The paradox unseen | Treacherous this deceit to make no


choice matter | To have and yet lose yourself, until finally all rea-
sons why are forgotten | To live through ones own shadow. Mute
and blinded, is to really see | Eclipse the golden mirror and the re-
flection is set free. (Mind’s Mirrors)

I float through physical thoughts. I stare down the abyss of organic


dreams | All bets off, I plunge - Only to find that self is shed.
(Shed)

A new level reached, where the absence of air lets me breathe | I'm
inverted electrical impulses. A malfunctioning death-code incom-
plete | All things before me, at first unliving glimpse undeciphered
| Its semantics rid of logic. Nothing is all. All is contradiction.
(Dehumanization)

So imminently visible - this cloaked innocent guilt | Sentenced to a


lifetime, a second of structured chaos | Trampled by the ferocious,

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raging crowds of solitude | I'm the soil beneath me soaking up the
sustenance of my own death. (In Death – Is Life)

A second of Ed è proprio da quest’ultima citazione (che compare peraltro in un brano


structured chaos
dal titolo già di per sé in qualche misura paradossale) che ci sembra di
poter individuare il punto in cui l’esperienza musicale e quella del con-
cept si uniscono nel modo più convincente: a second of structured chaos.
Quale migliore definizione per una musica come quella dei Meshuggah,
che abbiamo visto essere strutturalmente caratterizzata dalla dialettica tra
chaos e kosmos? Ed è forse per questo che Catch 33 è indubbiamente una
delle più perfette incarnazioni di una simile musica. Un album sul para-
dosso, con testi pervasi da antitesi e ossimori, inseriti in un contesto mu-
sicale caotico eppure ossessivamente ordinato, composto in uno stile che
innalza i valori dell’autenticità e della tecnica ma utilizzando strumenti
programmati al computer e non suonati da esseri umani, seguendo un
metodo molto razionale, apparentemente calcolato eppure a detta dei
membri stessi incredibilmente intuitivo (si veda un’intervista reperibile
su YouTube tra le tante altre, in cui Thordenal afferma di comporre im-
provvisando e negando l’importanza del calcolo propedeutico alla com-
posizione, cfr. SITOGRAFIA). Non solo, ma questo second è estensione del
lifetime a cui chi si esprime nel testo si considera condannato: lo stile dei
Meshuggah allora esprime la loro stessa concezione della vita. Ed è
all’interno di un’istanza di questo secondo di caos strutturato che ci sof-
fermeremo nelle prossime righe, per cercare di metterne in luce le parti-
colarità che lo rendono un lavoro così particolare e rappresentativo di una
musica estrema e contraddittoria come quella dei Meshuggah, una band
che suona musica inquietante e rabbiosa ma non teme di ironizzare
sull’immagine che ne esce, raggiungendo risultati comici come il video-
clip di New Millennium Cyanide Christ, in cui imponenti svedesi iper-
tecnici suonano air guitar cantando in una penna nel loro autobus.

Vision will blind. Severance ties. Median am I. True are all lies.
(Sum)

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2. ANALISI

2.1. SEZIONE 1
La sezione 1 di Catch 33 è composta dai primi sette brani, ossia più di Introduzione

metà delle tracce presenti sull’album, eppure dura solo un terzo della du-
rata totale dell’opera. Questo già ci segnala la natura fortemente fram-
mentaria di questa sezione che procede per brani in buona parte più corti
di 2 minuti. La continuità è data invece dalla presenza di elementi unifi-
canti i primi tre pezzi e i successivi tre, mentre il settimo (Mind’s Mir-
rors) è un caso a parte. Iniziamo ad analizzare i primi tre.

Fig. 9: L’inizio di Autonomy Lost nonché la prima comparsa del riff principale
dell’album. Nonostante il metro comune in 4/4 presente in questa trascrizione, bas-
so, chitarra ritmica, grancassa e rullante seguono un altro metro misto le cui battute
sono indicate dalle stanghette rosse.

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Autonomy Lost Autonomy Lost parte con decisione, proponendo il riff decisamente più
ricorrente dell’intero album (esemplificato in Fig. 9), che sarà al centro
delle micro-variazioni dei primi tre brani e che tornerà nella sezione 3
come base strutturale primigenia di Shed, ma anche in una sezione di
Dehumanization e in una di Sum. In questo brano è presente la tipica di-
namica per cui i piatti (e in questo caso la chitarra solista) seguono un
metro in 4/4 mentre gli altri elementi sonori seguono diversi tipi di tempi
dispari. Nello specifico la cellula generativa di Autonomy Lost è compo-
sta da 4 battute in 4/4 sovrapposte a tre battute in 9/8 e una in 5/8 che an-
ticipa il riallineamento delle parti e permette l’inizio di un nuovo ciclo.
Dopo quattro ripetizioni di tale cellula entra la chitarra solista che propo-
ne alcune note dissonanti suonate in tremolo picking, poco prima che su-
bentri anche la voce, con la quale il breve pezzo ben presto finisce.

Reaching for the inner bright, the very essence-sun of my dreaming


bliss | Guided by a fear blinded outside all shades of the perfect
black. (Autonomy Lost)

Imprint of the Se l’inizio di Imprint of the Un-Saved è identico al finale di Autonomy


Un-Saved Lost, con l’entrata in scena della voce (Fig. 10) inizia ad esplicarsi la mi-
cro-variazione a cui abbiamo più volte accennato. Le differenze sono
l’introduzione di una terza nota nel riff (fino a questo momento le note
erano soltanto il Fa dell’ottava corda a vuoto e il tredicesimo tasto della
corda stessa, ossia un Fa diesis all’ottava superiore), ovvero il Mi
all’undicesimo tasto dell’ottava corda, e una differenza nella sezione rit-
mica a cavallo tra l’ultima battuta della solita cellula e la prima a cui la
ripetizione ci riconduce, anche se lo schema metrico rimane il medesimo,
eccetto per quanto avviene all’uscita della voce, quando la battuta da 5/8
sembra essere sostituita da una da 4/8 (Fig. 11), il che porta il riff a so-
vrapporsi agli elementi in 4/4 in modo sfasato di un ottavo per il resto del
brano, in cui il riff torna ad essere basato sulle due note di Autonomy Lost
ma con appunto una pressoché impercettibile differenza di sovrapposi-
zione metrica.

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Fig. 10: La parte di Imprint of the Un-Saved più significativamente variata rispetto alla ripresa di Autonomy Lost. Sempre
in rosso le battute del metro (9/8, 9/8, 9/8 e 5/8) sovrapposto alla scansione in 4/4 dei piatti.

The scattered jigsaw of my redemption laid out before my eyes |


Each piece as amorphous as the other - Each piece in its lack of
shape a lie. (Imprint of the Un-Saved)

Fig. 11: Il punto di sfasamento del riff posizionato sull’uscita della voce, dove la battuta segnalata tra le prime due stan-
ghette rosse è la battuta da 4/8 che provoca lo sfasamento di un ottavo del resto del riff rispetto a quanto visto finora.

Lo sfasamento iniziato nel brano precedente porta Disenchantment a Disenchantment

proporci il solito riff a partire da un punto diverso dello stesso. A questo


punto è la pausa a fare da elemento divisorio delle singole cellule, che
però rimangono metricamente fedeli all’ormai consolidata struttura 9/8
per tre volte seguita da un 5/8. Dopo quattro ripetizioni per la prima volta

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assistiamo invece al primo cambiamento significativo della disposizione
metrica sottostante al 4/4. Infatti il riff si sposta di nuovo nella posizione
iniziale (con la figura discendente come punto di partenza) e si inserisce
in una ripetizione ciclica della versione abbreviata del riff incardinata in
un costante metro di 5/8, che prosegue per tutta la rimanente durata del
brano, con solo saltuarie modifiche minimali. Una breve sezione con sola
voce e chitarra filtrata funge da primo breakdown dell’album e continua
la riproposizione in 5/8 del riff, che diventa poi protagonista del finale, in
cui ritorna anche la melodia dissonante di chitarra in tremolo.

Fig. 12: Il riff nel suo nuovo posizionamento all’inizio di Disenchantment.

Me - the paragon of fear, an immobile skein of tangled nerves ex-


posed | Hastily clawing my way into the darkest of my inner scenes
of torture | I stay my breath to escape this slavery | I stay my breath
to re-awake and face it encore | The struggle to free myself of re-
straints, becomes my very shackles. (Disenchantment)

Fig. 13: La riproposizione del riff in versione ridotta nel finale di Disenchantment.

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Ma è solo con The Paradoxical Spiral che il panorama cambia per la The Paradoxical
prima volta in modo piuttosto radicabile nella sezione 1. Il riff su cui que- Spiral

sto brano e i successivi due si basano è infatti basato da intervalli molto


più ampi (anche se sempre riconducibili alla seconda minore), con
l’aggiunta anche di bend nelle note tenute, e da una struttura ritmica in
generale più semplice (una prevalenza di crome in sequenza a cui seguo-
no note più lunghe) seppur raggruppabile seguendo metri ancora più vari
e imprevedibili che si alternano sotto alla solita struttura in 4/4. In parti-
colare, subito dopo una breve sezione in cui la chitarra in tremolo rimane
da sola sul Mi per sedici battute, il riff si presenta come divisibile in bat-
tute da 5/4, 6/4, 7/4, 6/4, 8/4. Le sovrapposizioni metriche tuttavia si pre-
sentano in generale meno complesse, tant’è vero che (come risulta chia-
ramente dalla Fig. 14) anche l’ultima forma del riff in 8/4 inizia in battere
ed è sincronizzata con le ultime due battute del metro in 4/4. Il resto del
brano continua a proporre lo stesso riff in metro prevalentemente di 7/4,
con alcune battute di passaggio molto brevi (3/4 o 4/4) che sfasano la po-
liritmia dando un senso di inciampo, e altre che invece un quarto o due al
metro più ricorrente (compaiono degli 8/4 e dei 9/4), dando un effetto di
incantamento al fluire degli eventi. Tutto questo si alterna in modo alme-
no apparentemente privo di ciclicità o di qualsivoglia tipo di logica che
possa schematizzare gli avvenimenti. Poco dopo l’uscita di scena della
voce, il metro si stabilizza su un ricorrente 5/4 che si riallinea col 4/4 dei
piatti e della solita chitarra in tremolo per un’ultima battuta in cui tutti gli
elementi suonano in 4/4. Si noti come il titolo faccia trapelare in modo
esplicito la tematica concettuale dell’album, e infatti anche il testo inizia
a introdurre immagini fortemente ossimoriche e, appunto, paradossali:

Non-physical smothering. Asphyxiation by oxygen hands | Drow-


ning in the endless sky. An ever-downward dive, only to surface |
The sewage of indecision, on which all sense of self is afloat | The
vortex-acceleration a constant. Resolute in purpose its choking
flow. (The Paradoxical Spiral)

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Fig. 14: La prima apparizione del secondo riff ricorrente della sezione 1 all’inizio di The Paradoxical Spiral.

Fig. 15: La parte finale di The Paradoxical Spiral, col riff stabilizzato in 5/4 e la battuta finale in 4/4.

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Re-Inanimate rappresenta un caso metricamente sui generis. Infatti Re-Inanimate
l’intero brano si gioca su moduli di 4 battute da 4/4 senza però sovrappo-
sizioni poliritmiche che continuano a incastrare in modo imperfetto le
battute. Infatti – nella prima metà del brano (Fig. 16) – ognuno di questi
moduli è diviso in due parti uguali che segnano in battere l’inizio di una
nuova fase del solito riff. Quest’ultimo, in Re-Inanimate, preserva fino ad
un certo punto la sua caratterizzante struttura oscillante, per poi soffer-
marsi su una nota grave tenuta e caratterizzata da lunghi e intensi bend.
Ed è proprio qui che troviamo l’elemento più variabile del pezzo, giacché
alla prima ripetizione la nota tenuta arriva dopo soli 3/4 di riff oscillante,
mentre alla seconda dopo 5/4. In entrambi i casi però la somma tra la no-
ta tenuta e la parte di ripresa del riff porta a 8/4, ossia due battute del 4/4
protratto dai piatti. Nella seconda metà del brano (Fig. 17) invece del riff
originale resta poco e assistiamo a una delle figurazioni più complesse
per quantità di suoni compresi, tra quelle comparse finora. Si tratta infatti
di frasi che presentano anche fino a una decina di note diverse che non si
ripetono mai o quasi (qualcosa di ben diverso rispetto ai riff visti finora,
composti anche solo da due note e spesso con una certa abbondanza di
ribattuti o quantomeno di ricorrenze). Nelle sue varie manifestazioni, tale
figurazione subisce delle variazioni che, come nella prima parte del pez-
zo, portano le tre note tenute (le prime due più corte, la terza dura per il
resto del modulo) ad essere eseguite non sempre nello stesso punto (per
l’esattezza dopo sei crome di riff nelle prime due ripetizioni, e dopo dieci
nelle ultime due), ma tutto rimane gestito in modo tale che l’intera figura
duri per 4 battute del metro in 4/4 per poi ripartire in battere con un nuo-
vo ciclo. L’intero moto si configura come una sforzata e sofferta discesa
verso l’ultima, lunga nota tenuta, che è oltretutto la più grave ottenibile.

My ignorance cast in the mold of all things absolute | I sustain fo-


rever my gaze. A stare fixed on the distant oblivion | Resting in the
inverted state of being dead, non-sensory matter | As all the earth,
the wind, the fire, the sea behold and learn to pity me. (Re-
Inanimate)

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Fig. 16: La cellula base della prima parte di Re-Inanimate, che presenta sia la figurazione con 3/4 di ripresa
del riff originale seguiti da 5/4 di nota tenuta, sia quella con al contrario 5/4 di riff e 3/4 di nota tenuta.

Fig. 17: La figurazione finale presente in Re-Inanimate, che compare qui prima nella sua versione con sei
crome di riff e poi in quella con dieci.

Entrapment Decisamente al centro dell’attenzione in Entrapment è l’assolo di chitarra


che compare a circa metà del brano. L’inizio infatti riprende in modo ab-
bastanza fedele l’andamento di The Paradoxical Spiral, con la stessa
eloquenza del riff che ormai facilmente riconosciamo, e con la stessa
predilezione per espanderlo e restringerlo in modo piuttosto imprevedibi-
le (con una generale preferenza per figurazioni più lunghe che nelle pre-
cedenti riproposizioni: la più frequente infatti non è più in 7/4 ma in 9/4).
Subito dopo, invece, viene introdotto un elemento nuovo: delle figura-

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zioni arpeggiate (Fig. 18) che spaziano parecchio nel registro (dal solito
Fa basso dell’ottava corda a vuoto a quello di due ottave più alto, al nono
tasto della quinta corda). Una figurazione molto simile accompagna
(smembrato da pause precedentemente assenti) l’assolo di chitarra secco,
dai tratti riconoscibili e in parte ripetitivi, dai bend geometrici e dalle fat-
tezze inquietanti (Fig. 19), che però lascia ben presto spazio a un outro
(preceduto da un breve passaggio di assestamento) che segna il primo
abbandono del 4/4 da parte dei piatti, che ora suonano in 6/4 insieme al
resto degli strumenti (Fig. 20), che con le loro scarse note di colpo lun-
ghe, sforzate e pedissequamente ripetute sembrano segnalare che siamo
arrivati a destinazione…

Mutiny of self. Insurrection games convincingly performed | Inca-


pacitated by physical thoughts acting out the will of tendon and
bone | Have the bridges of insanity been crossed and forever retrac-
ted? | Am I standing among a thousand selves? Is the multitude of
laughters mine alone? (Entrapment)

Fig. 18: Esempio della sezione arpeggiata che precede l’assolo di Entrapment.

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Fig. 19: Inizio dell’assolo di Entrapment, che ne presenta le principali caratteristiche. Si noti anche la continua-
zione della figurazione arpeggiata, ora smembrata da pause appena introdotte.

Fig. 20: La sezione finale di Entrapment in 6/4 per tutte le parti.

Mind’s Mirrors … e infatti con l’inizio di Mind’s Mirrors, per la prima volta dall’inizio
dell’album, assistiamo a un assoluto breakdown, che conduce alla più
estesa delle sezioni sperimentali individuate da Nieto. Il finale del prece-
dente pezzo coincide con la prima nota di quello nuovo, che ci presenta
uno degli elementi principali dei suoi primi minuti: un’ottava corda suo-
nata a vuoto e ulteriormente abbassata col glissando permesso dall’uso
della whammy bar o, forse, da una manipolazione attuata direttamente in
chiave, atta a scordare la chitarra immediatamente dopo la plettrata. Il se-
condo elemento che domina la prima parte del brano (Fig. 21) è il voco-
der, che ben presto si sovrappone ai bassissimi glissandi portando alla lu-
ce uno dei pochissimi momenti nella musica dei Meshuggah in cui la vo-
ce assume caratteristiche in qualche modo melodiche (e in questo caso
persino armoniche). Il brano procede con un’inquietante, lenta e disso-

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nante sezione ‘pulita’ (Fig. 22), ben presto interrotta dal ritorno delle di-
storsioni prima a un devastante accordo che interrompe la calma insita
nei minuti precedenti, poi anche in un lead sound a due parti che si inter-
secano in un gioco di inquietanti echi dissonanti, mentre inizia a farsi
strada nella tessitura sonora l’accordo che condurrà all’inizio di un nuovo
brano e una nuova sezione.

Fig. 21: L’inizio della prima parte di Mind’s Mirrors.

Fig. 22: Gli elementi principali della sezione ‘pulita’ di Mind’s Mirrors.

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Fig. 23: La parte centrale dell’outro di Mind’s Mirrors.

Un testo Interessante è anche la scelta di inserire testi molto rilevanti (e piuttosto


emblematico espliciti) proprio in questo brano, che presenta una parte vocale in grande
evidenza non solo in termini di mixaggio e arrangiamento scelto, ma an-
che per il fatto che attira l’attenzione su di sé a causa delle caratteristiche
del tutto singolari rispetto all’intera discografia della band svedese, e
inoltre risulta particolarmente intelligibile il significato delle parole ri-
spetto a quanto avviene normalmente nelle linee vocali gridate e inserite
in assai rumorosi contesti, ben più frequenti nella musica dei Meshuggah.
«The paradox unseen | Treacherous this deceit to make no choice mat-
ter» è forse il più esplicito riferimento a Comma 22 e al tema del para-
dosso nella sua più specifica declinazione a cui tutto l’album allude. A
queste parole seguono una serie di quanto mai esplicite immagini ossi-
moriche e contraddittorie.

The feeding frenzy of my starving soul, gnawing voraciously at the


bones, | the exo-skeletal patchwork protecting my own reflection
within; | The twin-and-same engaged in the mirrored act of
chewing away | at the shell of my attacking self. The paradox
unseen | Treacherous this deceit to make no choice matter | To ha-
ve and yet lose yourself, until finally all reasons why are forgotten |
To live through ones own shadow. Mute and blinded, is to really
see | Eclipse the golden mirror and the reflection is set free.
(Mind’s Mirrors)

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Da questa prima sezione abbiamo potuto osservare dei mirabili esempi di Conclusioni sul-
come la dialettica tra ordine e disordine risulti centrale nella musica dei la sezione 1

Meshuggah, e anche di come le soluzioni trovate per mantenere in equi-


librio precario ma non troppo tale processo varino di pezzo in pezzo
(pensiamo ad esempio a The Paradoxical Spiral, che a differenza di
quanto avvenuto fino al brano precedente non presenta cambi di metro
inscrivibili in un ciclo fatto di prevedibili ricomparse, ma in compenso
presenta un riff molto più semplice, ordinato e quadrato di quello che ha
dominato fino a poco prima). Il tema del paradosso permea l’intero con-
cept album ma anche la stessa musica dei Meshuggah nelle proprie carat-
teristiche tecniche, ed è per questo che Catch 33 è a parere di chi scrive
l’album più emblematico degli svedesi. Perché paradossale è il risultato
di una dialettica tra opposti che troviamo espressa tanto nei poliritmi
quanto nei testi che abbiamo finora preso in considerazione. D’ora in poi
le analisi saranno meno dettagliate e più discorsive, dal momento che ai
fini della nostra tesi potremmo già fermarci qui. Le successive sezioni
mantengono in gran parte gli incastri poliritmici tipi dei Meshuggah ma
si basano molto meno sull’idea di ‘processo ripetitivo’ che finora ha re-
gnato quasi senza eccezioni. Inoltre la contiguità rimane ancora abba-
stanza forte nella suite della sezione 2, ma si tramuta in occasionali cita-
zioni nella sezione 3, rendendo il resto dell’album forse più intrigante per
l’udito, ma meno interessante da essere trattato con trascrizioni alla mano
che rendano conto di micro-variazioni che ora diventano abbastanza
grandi da essere palesi anche per un ascoltatore distratto, fino a diventare
qualcosa di più vicino a un miscuglio di materiali anche assai eterogenei.

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2.2. SEZIONE 2
In Death – La seconda sezione inizia decisamente col botto, proponendo fin
Is Life dall’inizio di In Death – Is Life un ritmo puntato (figura ritmica che sarà
prevalente in questa seconda sezione) altamente imprevedibile, come
sempre sovrastato da un imperterrito piatto in 4/4. Si tratta di un motivo
caratterizzante questa prima parte della suite, che non ritornerà più
nell’album, a differenza del motivo successivo, che Nieto (NIETO 2013,
p. 8) identifica come il motivo principale della sezione 2, e che pertanto
recupereremo più avanti. Il primo dei motivi citati viene invece analizza-
to in maniera dettagliata da Smialek (SMIALEK 2008, pp. 54-56), che in-
dividua nella sezione un fulgido esempio di quell’«approccio minimalista
alla variazione» che caratterizza molta musica della band. Egli infatti
scompone il motivo in alcune piccole particelle ritmiche (Fig. 24) ricor-
renti e mostra come la loro interpolazione nel riff (Fig. 25) generi effetti
particolari di volta in volta (anacrustici, interruzioni…), giocando con le
aspettative dell’ascoltatore in un modo simile a quanto avviene
nell’introduzione della suite I tratta dall’omonimo EP del 2004, ma più
complesso, sia per figurazioni ritmiche che per altezze più diversificate.

Fig. 24: Le particelle ricorrenti individuate da Smialek nell’introduzione di In Death – Is Life.

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Fig. 25: La trascrizione dell’introduzione di In Death – Is Life con alcune indicazioni inerenti alle ricorrenze
delle particelle individuate da Smialek e la segnalazione di alcuni pattern inaspettatamente ricorrenti..

So imminently visible - this cloaked innocent guilt | Sentenced to a


lifetime, a second of structured chaos | Trampled by the ferocious,
raging crowds of solitude | I'm the soil beneath me soaking up the
sustenance of my own death | Extradited to the gods of chance, the
deities of all things random | Alive, multicolored, twitching in their
dead monochrome world. (In Death – Is Life)

Dopo una ripetizione dell’introduzione che funge da outro della prima In Death –

parte della suite centrale di Catch 33, subentra un nuovo riff, sempre ba- Is Death: il
primo riff
sato su dei ritmi puntati, ma meno variegati (ci sono infatti quasi solo
crome puntate e alcune crome normali). Si tratta tuttavia di un ritmo non
per questo più facilmente prevedibile nei suoi esiti, anzi: l’unica sensa-

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zione ricorrente è quella data dalle crome in mezzo a tutte le loro sorelle
puntate, che sembrano far scivolare tutto il riff in maniera pericolante.
Tuttavia anche in questo caso Smialek (SMIALEK 2008, pp. 63-70) ne of-
fre un’analisi tanto interessante quanto atipica per dimostrare la presenza
di una logica anche in una sezione apparentemente irrazionale come que-
sta. Si tratta di un’analisi di tipo visivo, che offre una spiegazione logica
del riff partendo dal modo in cui il chitarrista, dalla propria prospettiva,
lo visualizza sulla tastiera dello strumento (alcuni esempi in Fig. 26). È
possibile così identificare una struttura chiasmatica dotata di simmetrie
costanti che quando sono rotte sembrano esserlo di proposito, infatti:

Considering the ethos of contradiction, chaos, and deception – an


ethos professed by the band in interviews – most evident in Me-
shuggah's lyrics and rhythms, it is tempting to "explain" the fourth
system of Figure 2.4 as another example of their characteristic
"thwarting of expectations”. (SMIALEK 2008, p. 69)

Fig. 26: Analisi visiva del primo riff di In Death – Is Death proposta da Smialek, dove le linee
orizzontali sono le corde, quelle verticali i tasti e i numeri indicano l’ordine delle note.

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Fig. 27: L’analisi visiva di Smialek applicata alla partitura.

A questo particolare riff segue un motivo che ritornerà più volte in segui- In Death –
Is Death: il
to, che poi non è altro che un violentissimo susseguirsi di ottave corde a
secondo riff
vuoto in sincrono con la batteria, seguendo un pattern ritmico, stavolta sì,
costante, anche se non propriamente semplice (potrebbe avere senso leg-

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gerlo come 6 battute in 21/16 a cui si aggiunge un ottavo conclusivo per
far tornare i conti e ripartire col ciclo in 4/4 in pieno stile Meshuggah).
Alla seconda ripetizione del riff si sovrappone un caotico assolo di chitar-
ra che conduce poi a un’ulteriore strofa basata sul riff iniziale.
In Death – A tale strofa segue un ulteriore riff nuovo, stavolta basato su suoni più
Is Death: il alti e ampiamente affetti da bend, su un ciclo che sovrappone ai soliti 4/4
terzo riff
un susseguirsi di battute in 5/8, 10/8 e 12/8, interpolando ancora una vol-
ta figure ricorrenti e riconoscibili con interruzioni e slittamenti inaspetta-
ti, sia pure incardinati in una griglia metrica costante. In questo caso però
non c’è una severa ciclicità in 4/4, bensì lo sfasamento prosegue fino a
che il riff non si trasforma gradualmente in quello che sarà uno degli
elementi centrali della seguente sezione, lasciati nudi in un breakdown
subito prima dell’inizio della stessa.
In Death – Tale sezione è caratterizzata da una lunga ripresa del secondo riff in
Is Death: 21/16, stavolta meno incisivo, con le diverse parti strumentali che si
serie di riprese amalgamano maggiormente e che si dispongono intorno all’elemento
‘melodico’ centrale della chitarra solista suonata in tremolo in modo del
tutto analogo a quanto accadeva perennemente nella sezione 1 dell’album
e in tanta della musica dei Meshuggah. Un altro elemento di vago ri-
chiamo presente in questa sezione è una versione semplificata e gradual-
mente trasformata del terzo riff, che qui elimina i bend e si limita a oscil-
lare tra un paio di note, mentre il secondo riff passa invece dall’essere
mononota al contemplare due note che si alternano (un Sol diesis e un Si,
sempre sull’ottava corda). Ma la vera ripresa inaspettata di questa sezio-
ne si ha subito dopo, quando viene riproposto il riff che avevamo lasciato
in sospeso nella trattazione di In Death – Is Life, e che è effettivamente
l’unico elemento di collegamento esplicito tra i due pezzi della suite.
Nieto ne fa un’analisi molto semplice (NIETO 2008, p. 8) che divide il riff
in due segmenti rispettivamente di 7/8 e 9/8 che si ripetono poi una volta
ciascuno per chiudere il ciclo in 4/4 (Fig. 28), giustificato come tale dalla
ciclicità delle (rarissime) armonie di quinta e di ottava proposte dalle due
chitarre. In realtà il riff è sottoposto a un più complesso procedimento di

50
micro-variazione la cui presenza non dovrebbe ormai più stupirci, e che
ci permette di segmentare il riff in battute di 10/8, 15/8, 10/8 e 17/8
all’interno del ciclo di 4/4. L’ultimo ciclo tuttavia viene troncato solo do-
po due battute per far tornare i conti, proponendo così una battuta in 10/8
e una in 13/8. Si tratta di un riff costellato di pause, quasi dei brevi respiri
che potenziano la violenza del galoppante ritmo.

Fig. 28: La semplice (o forse, a questo punto, semplicistica) lettura che Nieto dà del riff comune
alle due parti della suite In Death.

Un breakdown segnala che siamo giunti all’esatto centro di Catch 33 (in In Death –
Is Death: la se-
una ricerca di simmetria che ancora una volta risulta difficile credere det-
zione fusion
tata dalla pura intuizione). Ed è qui che ha luogo la breve ma significati-
va sezione che Nieto definisce più volte facendo riferimento al genere fu-
sion rock. Si tratta in effetti di una sezione molto meno caratterizzata da
distorsioni, in cui la batteria è sommessa e propone un feeling quasi jaz-
zistico, mentre una chitarra propone all’unisono col basso un riff (sezio-
nabile in due battute da 7/8 e una da 5/8) più tranquillo del solito, anche
se caratterizzato da un forte cromatismo e lentamente votato
all’inquietudine dall’aggiunta della seconda chitarra, che propone delle
lunghe note dissonanti in sovrapposizione al riff. Il tutto viene ripreso in
chiave più pesante subito dopo, e rimane alla base anche dell’ultima stro-
fa, la quale presenta essenzialmente un giro simile al precedente, ma ap-
piattito nell’ambito di una quinta (tutta suonata sull’ottava corda) e ri-
conducibile a un metro alternato di 10/8 e 11/8. Il riff procede anche nella
sezione strumentale immediatamente seguente, con la differenza che al-
cuni suoni sono però trasposti all’ottava superiore.

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In Death – Infine il brano si avvia alla conclusione con un’outro che riprende il
Is Death: l’outro secondo riff che abbiamo analizzato all’interno della suite, che porta a
termine anche la sezione estrema del brano. I rimanenti sei minuti ab-
bondanti sono riempiti da una lunga e crescentemente inquietante parte
‘pulita’, come sempre giocata sulle dissonanze ed essenzialmente sugli
altri elementi tipici che abbiamo già elencato (cfr. I.2.4.). Si noti che è
uno dei momenti di questo tipo più estesi della discografia della band.
Particolarmente frequente è qui l’uso di figurazioni arpeggiate, a cui si
sovrappongono accordi in un crescendo di inquietudine. L’inizio della
sezione è caratterizzata inoltre da alcuni suoni in reverse che ci introdu-
cono gradualmente al nuovo ambiente sonoro, mentre gli ultimi secondi
reintroducono gradualmente suoni vagamente distorti mentre quelli puliti
scompaiono in fade out. Si tratta di un finale di sezione assimilabile a
quello di Mind’s Mirrors, che tuttavia mette in gioco elementi molto di-
versi. Certo, i suoni sono pressappoco gli stessi, ma trattati in modo assai
opposto: melodie in contrappunto versus arpeggi e accordi, improvviso
ritorno delle distorsioni versus graduale sostituzione, riempimento versus
svuotamento, eccetera. Come vedremo, anche la sezione 3 finirà con una
sezione pulita, trattata tuttavia in modo ancora diverso. Un’ennesima
prova di un intento simmetrico o quantomeno geometricamente sensato,
fortemente razionale, che tiene insieme una varietà di procedimenti com-
positivi ancora una volta giocati sulla mescolanza di ordine e disordine.

Iridescent to the searhing eyes, I'm all things vivid in a world of


grey | So easily spotted, so easily claimed in this domain where all
is prey | My thoughts a radiant beacon to the omnidirectional hun-
ter-god radar | I'm a markerlight of flesh to these subconscious car-
nivores | I am them. I am teeth. I'm their arousal at the kill | Fea-
sting on self. A schizoreality warp. The contradiction fulfilled | Fo-
cus the only means to see me back to life's unending swirl | A re-
versal of passing away, as the world of dead, as away is now my
origin (In Death – Is Death).

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Possiamo dire che in generale la sezione 2 si basa su dei metodi composi- Conclusioni sul-
tivi in gran parte diversi rispetto a quelli usati nella sezione 1, giungendo la sezione 2

tuttavia a risultati in qualche modo analoghi. La sezione 1 gioca con una


micro-variazione continua di pochissimi elementi principali (potremmo
ridurli ai due riff di cui il primo caratterizza i primi tre brani e il secondo
i successivi tre) che sono mantenuti costanti in una continuità ordinatrice.
Nella sezione 2 questa continuità viene spezzata in favore di una suite in
stile progressive rock, con durate dilatate, grande diversificazione del
materiale e una certa dose di imprevedibilità. I riff a volte ritornano, ma
in modo non prevedibile né tantomeno contiguo, e in generale essi sfug-
gono a una schematizzazione tanto semplice come quella che era possibi-
le individuare ad esempio nel primo riff della sezione 1. Tuttavia, anche
in questo caso, il chaos dato dagli elementi appena citati è bilanciato, ol-
tre che dal solito quasi onnipresente piatto in 4/4, dalla presenza di sim-
metrie più o meno nascoste, talvolta deliberatamente rotte quasi a voler
segnalare che in effetti sì, kosmos si è fatto strada molto più del previsto
nel quarto d’ora centrale di Catch 33. L’apparente caso è sempre orche-
strato da una logica più o meno precisa, sia essa di tipo matematico, visi-
vo o armonico. Un’altra dialettica che caratterizza la musica dei Me-
shuggah è quella tra calcolo e caso (cfr. SMIALEK 2008), e se è vero che il
metodo compositivo della band tende a favorire la spontaneità allo studio
logico delle forme, allora bisognerà quantomeno ammettere che le menti
di questa manciata di musicisti svedesi hanno implementato modelli lo-
gici di una certa complessità, riuscendo ad usarli con una disinvoltura
quasi inquietante. Abbiamo inoltre iniziato ad avere conferma della pre-
senza di simmetrie interne all’album intero, come le somiglianze struttu-
rali con la sezione 1 e la presenza di una parte musicalmente peculiare al
centro esatto dell’album. Altri elementi che mettono in risalto una ricerca
di unità nella varietà, di ordine nel caos, sia ciò ottenuto mediante un
procedimento di controllo razionale o mediante l’intuito e la spontaneità.

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2.3. SEZIONE 3
Introduzione alla La sezione 3 si configura in modo ancora diverso rispetto alla prima e al-
sezione 3 la seconda. Infatti stavolta non abbiamo né micro-brani inseriti in una
continuità data dalla permanenza di riff comuni sottoposti a variazione
minimalista, né materiale eterogeneo ordinato all’interno di una suite,
bensì una serie di brani di durata media e sostanzialmente considerabili
come unità a sé stanti e compiute. A dare la continuità tra i pezzi è non
solo una relativa continuità sonora (che è presente in modo pronunciato
quanto nei brani precedenti solo tra Dehumanization e Sum), ma soprat-
tutto la ricorrenza di alcuni elementi musicali, in particolare proprio il riff
con cui inizia il primo brano della sezione, Shed, che ricorda peraltro una
versione semplificata del primo riff della sezione 1. La micro-variazione
è pressoché abbandonata ed è per questo che abbandoneremo le trascri-
zioni nel trattare questa sezione: le variazioni si fanno abbastanza grandi
da essere facilmente riscontrabili anche senza l’uso di strumenti che pos-
sano mostrarle graficamente in modo puntuale, inoltre il materiale diven-
ta troppo eterogeneo perché presentarlo trascritto possa sembrare qualco-
sa di diverso da una tanto semplice quanto sterile rassegna di feticci gra-
fici. È forse questa la sezione dell’album che maggiormente chiama
l’ascolto, proponendo anche delle strutture più immediate e di relativa-
mente facile digestione, quindi daremo per scontato che sia sufficiente
una descrizione di massima di ciò che già l’orecchio dell’ascoltatore sarà
in grado di inquadrare sufficientemente bene.
Shed Il primo brano della sezione è anche il singolo tratto dall’album, che si
trova in una collocazione piuttosto inusuale all’interno dell’album (di so-
lito i singoli, specie quando sono pochi, si trovano tra i primi brani
dell’album; in questo caso siamo al decimo) e presenta delle caratteristi-
che molto diverse da quelle che abbiamo visto finora. Infatti la struttura
poliritmica con metro vario su un ipnotico ciclo di 4/4 viene abbandonata
in favore di un pattern metrico abbastanza costante (solo saltuariamente
esso introduce metri diversi da quelli ricorrenti, e di solito in corrispon-
denza della fine del pattern, che poi riparte subito) e soprattutto seguito

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da tutte le parti strumentali. I piatti ora si limitano fondamentalmente a
marcare l’inizio delle brevi battute, la chitarra solista propone delle figu-
razioni melodiche pressoché immutabili, mentre basso e chitarra ritmica
(in questo caso più disgiunte di quanto di solito accade) propongono una
manciata di riff basati sullo stesso pattern metrico di 5/8, 4/8 e 5/8. Il
primo, che emerge in modo perturbante e improvviso dal silenzio lasciato
dalla fine della sezione 2, accompagnato da un lungo e disumano grido di
Kidman, ricorda il riff iniziale dell’album, rimandando a una sorta di ci-
clicità con un richiamo interno piuttosto forte, tuttavia è semplificato a
livello ritmico ed è incardinato in un’alternanza metrica pressoché co-
stante. Lo stesso giro viene mantenuto sulla strofa, anch’essa singolare,
in quanto vede Jens Kidman intento in una rara sezione cantata sussurra-
ta, quasi un demone che bisbiglia nell’orecchio un modo diverso dal soli-
to per eludere la melodia. Il secondo riff ricorrente si basa sulla stessa
griglia metrica ma propone note più lunghe, che indugiano sulla bassezza
dell’ottava corda a vuoto contrapposta a sonorità più alte in modo molto
equilibrato. Qui i piatti sottolineano ogni singola nota, enfatizzandola.
Dopo una ripetizione della strofa compare un terzo riff, che risalta per il
fatto di mettere a tacere la chitarra solista e mettere invece particolarmen-
te in risalto il basso: infatti la chitarra ritmica ripete ossessivamente (sulla
solita griglia) una nota più alta del solito, sulla sesta corda, supportata in
compenso da una nota di basso quasi ai limiti delle sue possibilità di re-
gistro e altamente distorta, ottenendo così un suono estremamente cupo,
pur senza dover scomodare le corde più basse delle chitarre. Su questo
stesso riff si propone un’ultima strofa, per poi riproporre il secondo riff e
concludere il brano con una versione enfatizzata del primo, sovrastato
dalla voce di Kidman che torna a gridare.

I float through physical thoughts. I stare down the abyss of organic


dreams | All bets off, I plunge - Only to find that self is shed.
(Shed)

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Personae Non Conclusosi improvvisamente Shed, è ancora una volta dal silenzio che
Gratae inizia Personae Non Gratae, un altro brano meno complesso del solito,
anche se potrebbe sembrare diversamente. In effetti in parte è recuperata
la struttura poliritmica, ma stavolta essa vale solo per la chitarra solista,
che suona una melodia molto simile a quella imperante nella sezione 1
(altro elemento di rimando interno) in 4/4, mentre gli altri strumenti pro-
pongono un riff basato su due note (come sempre incentrate su un inter-
vallo semitonale) su un 6/4 costante, eccetto per una battuta finale in 2/4.
La batteria scandisce tutto ciò con dei piatti suonati ogni quarto, che val-
gono quindi per entrambi gli elementi metrici presenti. Il senso di spae-
samento è dato, oltre che dal poliritmo e dalla discreta complessità ritmi-
ca del riff (sia pure nella sua ripetitività), dal rullante quasi sempre sinco-
pato. Lo stesso giro si complica quando entra in scena la voce. L’ottava
corda inizia infatti ad essere suonata in palm mute mentre le altre corde
propongono anche ulteriori note, il tutto alternando stavolta due battute
in 6/4 a una in 4/4. Dopo alcune ripetizioni di tale pattern, viene ripropo-
sta la versione iniziale del riff e il (breve) brano si interrompe bruscamen-
te, ma in modo meno vistoso di Shed, tanto da rendere l’inizio del brano
successivo quasi una ripresa dopo una breve pausa (tant’è vero che quan-
do esso inizia si sente ancora chiaramente risuonare l’ultimo colpo di
piatto di Personae Non Gratae).

A lie to maintain equilibrium, to hold me in this dead realm - this


last ever dream | I'm the thought that never crossed my mind - di-
sguised in the evident. Forever unredeemed. (Personae Non Gra-
tae)

Dehumanization Con il penultimo brano, Dehumanization, viene riproposto il tipico


schema poliritmico dei Meshuggah, con un riff basato su terzine e ribat-
tuti in 11/8 che si riallinea con il ciclo di 4/4 grazie a un’ultima battuta
(la sesta) in 9/8. Si tratta di uno dei riff più veloci e caotici dell’album,
sottoposto da un certo momento in poi a una variazione metrica presso-
ché imprevedibile (metri compresi tra i 3/8 e i 7/8 si danno il cambio

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senza durare quasi mai per più di una battuta), mentre la voce declama il
testo (uno dei più lunghi dell’album, nonché esemplificativo specie nel
verso «Nothing is all. All is contradictions») con furia. Il riff assume via
via forme sempre più mostruose coinvolgendo più note e mantenendo in-
tatta la tendenza alla variazione senza sosta, andando qua e là a rialli-
nearsi con il 4/4 dei piatti. Verso la metà del brano la chitarra solista ini-
zia a proporre una ‘scivolosa’ linea melodica con uno slide up in eviden-
za, che rimane nuda per un breve breakdown. In seguito ad esso torna in
scena il riff di Shed (e con esso lo schema metrico basato sui 5/8 e 4/8 al-
ternati) sovrastato dalla stessa melodia di chitarra che prosegue imperter-
rita. Tuttavia ben presto, pur non alterando lo schema metrico, si affaccia
sul panorama sonoro un nuovo riff (che tuttavia tornerà più tardi), fatto di
ribattuti spezzati da alcune note più alte e più lunghe. In tutta la sezione
basata sul metro di Shed – come accade nel brano stesso – i piatti non
proseguono imperturbabili la loro funzione ipnotica e si mettono in gioco
all’interno del metro seguito dagli altri strumenti. Dopo una brusca inter-
ruzione il brano propone un ultimo, violentissimo riff fatto di poche bas-
sissime note perlopiù ribattute e soggette qua e là ad ampi salti e bend,
che seguono un pattern metrico di 15/8, 13/8, 13/8, 13/8, 10/8, coinci-
denti come al solito a un ciclo di otto battute in 4/4 protratte dai piatti
(64/8, come la somma totale dei metri misti). Al termine della terza ripe-
tizione di questo ciclo il riff sfocia all’interno del nuovo brano…

A new level reached, where the absence of air lets me breathe | I'm
inverted electrical impulses. A malfunctioning death-code incom-
plete | All things before me, at first unliving glimpse undeciphered
| Its semantics rid of logic. Nothing is all. All is contradiction |
Grinding, churning - the sweetest ever noises | Decode me into
their non-communication | A soundtrack to my failure, one sylla-
ble, one vowel | A stagnant flow of endings. Un-time unbound.
Merging to form the multi-none | A sickly dance of matter, mali-
gnantly benign. Greeting the chasm - unbearable, sublime. (Dehu-
manization).

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Sum Il riff che compare per primo in Sum rappresenta un passo indietro nella
sequenza del materiale proposto, in quanto si tratta essenzialmente di una
ripresa variata, più distesa e solenne, del penultimo riff di Dehumaniza-
tion. Ora il riff è inserito in una griglia metrica fatta di 7/8 e 21/16 alter-
nati, e su questo solenne giro Kidman pronuncia le parole finali
dell’album, tanto monolitiche quanto emblematiche (vedi sotto). Emble-
matiche quanto lo è l’immediata ripresa del riff di Shed, ultima e somma,
che a sua volta quindi rimanda anche all’inizio dell’album chiudendo il
cerchio e inserendo la sua struttura metrica in un poliritmo à la Meshug-
gah in cui, per la prima volta nel corso delle riprese di tale riff, esso è so-
vrastato dal piatto in 4/4. Il riallineamento avviene grazie a una battuta in
3/8 che interrompe la quinta ripetizione del riff (che ricordiamo essere
strutturato seguendo il pattern 5/8, 4/8 e 5/8) dopo la prima battuta in 5/8.
Dopo la seconda ripetizione del ciclo (lievemente variata sul finale), i
piatti tornano a seguire la scansione delle battute in metro misto permet-
tendo a Haake (o meglio, a Drumkit from Hell) di evidenziare
quest’ultima ripetizione del riff con un magistrale uso dei tamburi, in
modo pressoché analogo a quanto accadeva all’inizio di Shed e chiuden-
do così perfettamente il cerchio. Tuttavia l’album non è finito, perché
nell’aria rimane una sorta di sospiro distorto che prelude a una ripresa, la
quale infatti non si fa attendere. Parte un riff inedito (anche se esso ricor-
da per certi versi quello che abbiamo già sentito sovrapporsi al già noto
motivo in 21/16 nella prima parte della sezione di In Death – Is Death
che abbiamo caratterizzato come quella ‘delle riprese’), costituito da am-
pi intervalli legati (intorno alla nota-perno alta Do diesis alla quinta corda
ruotano le note basse discendenti Re, La diesis, La, Fa) e inseriti in un
metro fisso di 7/8: tre delle quattro note di ogni battuta sono delle semi-
minime, mentre una, dalla collocazione variabile (ed è questo che dà
l’instabilità al giro) all’interno del gruppo, è una croma. Gradualmente a
questo strato primordiale si aggiunge da un lato una coppia di lunghi gri-
di Kidman, che sembra esprimere così il delirio dato dallo scacco
dell’esistenza paradossale sul narratore dell’album, dall’altro uno strato

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di ciò che sembra essere una synth guitar che dona, forse per la prima
volta davvero all’interno di Catch 33, delle sembianze armoniche, quasi
epiche, alla musica che stiamo sentendo. Il tutto si interrompe brusca-
mente per poi lasciar riaffiorare dal silenzio soltanto dei delicati accordi
di chitarra, un’ultima sezione non distorta che ripropone la stessa struttu-
ra armonica del vocoder di Mind’s Mirrors, solo molto più rilassata e di-
latata. Dopo oltre due minuti si passa a una sezione più inquietante in cui
le due chitarre si intersecano con degli arpeggi senza particolari muta-
menti per alcuni minuti (dei sette minuti abbondanti di Sum, solo i primi
due e mezzo sono occupati dalla parte estrema), per poi lentamente
scomparire con un fade out estremamente graduale. Catch 33 è finito.

Vision will blind. Severance ties. Median am I. True are all lies
(Sum)

Con queste parole si conclude anche una sezione che abbiamo visto esse- Conclusioni sul-

re molto diversa dalle altre. In questo caso gli elementi armonizzanti e la sezione 3

unificanti sono dati dai rimandi interni (anche a sezioni precedenti


dell’album) e da una generale propensione per una minore complessità
tecnica (pur con qualche eccezione). Il procedimento poliritmico tipico
dei Meshuggah non è più onnipresente e il materiale proposto è quanto
mai eterogeneo, le canzoni sono separate le une dalle altre anche fisica-
mente, e la sfida di questa sezione è proprio quella di dare organicità al
tutto. Il caos qui è dato anzitutto dalla varietà. Allora le canzoni iniziano
a commerciare idee, a condividere i dettagli e a proporre all’ascoltatore
un’ultima sezione ancora una volta ricca di sorprese spesso capaci di de-
stare confusione e smarrimento, ma anche colma di materiale familiare e
ricorrente, materiale in generale più catchy, in canzoni che fanno della
loro autosufficienza anche un elemento di digeribilità e che si configura-
no infine come un’ennesima incarnazione della dialettica tra kosmos e
chaos che, come le monolitiche frasi finali di Sum ci ricordano, caratte-
rizza non solo la musica dei Meshuggah – e questo è particolarmente ve-
ro ed efficace in un concept sul paradosso – ma anche l’intera esistenza.

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FONTI

BIBLIOGRAFIA

PIESLAK 2007
Jonathan Pieslak, Rhythm and Meter in the Music of Meshuggah,
«Music Theory Spectrum», XXIX/2, autunno 2007.

SMIALEK 2008
Eric T. Smialek, Rethinking Metal Aesthetics: Complexity, Authentici-
ty and Audience in Meshuggah’s I and Catch 33, Tesi di dottorato in
Master of Arts, relatore David Brackett, McGill University of Mon-
tréal, 2008.

JONES 2009
Deirdre H. Jones, Meshuggah, «Guitar Player», XLIII/6, giugno 2009.

NIETO 2013
Oriol Nieto, Rhythmic and Metric Explorations of a Complex Metal
Piece: Meshuggah’s Catch 33, Documento seminariale inedito, New
York University, 2013.

SITOGRAFIA

<https://it.wikipedia.org/wiki/Meshuggah> (cons. 01/04/18)


<https://en.wikipedia.org/wiki/Meshuggah> (cons. 01/04/18)
<https://it.wikipedia.org/wiki/Catch_Thirtythree> (cons. 22/04/18)
<https://en.wikipedia.org/wiki/Catch_Thirtythree> (cons. 22/04/18)
<https://it.wikipedia.org/wiki/Comma_22> (cons. 22/04/18)
<https://en.wikipedia.org/wiki/Catch-22> (cons. 22/04/18)

60
<https://english.stackexchange.com/questions/15226/what-is-the-
origin-of-33-in-catch-33> (cons. 22/04/18)
<https://www.youtube.com/watch?v=rR7qSHp2-lo> (cons. 22/04/18)

DISCOGRAFIA

MESHUGGAH, Meshuggah, Limited Edition EP, Garageland, 1989.


MESHUGGAH, Contradictions Collapse, CD, Nuclear Blast, 1991.
MESHUGGAH, Destroy Erase Improve, CD, Nuclear Blast, 1995.
MESHUGGAH, Chaosphere, CD, Nuclear Blast, 1998.
MESHUGGAH, Nothing, CD, Nuclear Blast, 2002.
MESHUGGAH, I, EP, Nuclear Blast, 2004
MESHUGGAH, Catch 33, CD, Nuclear Blast, 2005.
MESHUGGAH, obZen, CD, Nuclear Blast, 2008.
MESHUGGAH, Koloss, CD, Nuclear Blast, 2012.
MESHUGGAH, The Violent Sleep of Reason, CD, Nuclear Blast, 2016.
DEVIN TOWNSEND, Ziltoid the Omniscient, CD, Inside Out, 2007.
FREDRIK THORDENAL’S SPECIAL DEFECTS, Sol Niger Within, CD, Ul-
timate Audio Entertainment, 1997.
KING CRIMSON, The Power to Believe, CD, Sanctuary Records, 2003.
TOOL, Lateralus, CD, Volcano Entertainment, 2001.

IMMAGINI

FIGG. 1-6, 9-23: Tratte dalla trascrizione di Gabriel Riccio reperibile


presso il sito internet: <http://thegabrielconstruct.com/wp-
content/uploads/2014/09/Meshuggah-Catch-33-Score-
Excerpts.pdf> (cons. 29/03/18)
FIGG. 7, 28: Tratte da NIETO 2013
FIGG. 8, 24-27: Tratte da SMIALEK 2008

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