Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Corso:
Tecniche e linguaggi compositivi contemporanei
M.° Mario GARUTI
Elaborato di:
Mattia MERLINI
Matr. n. 919911
1. STORIA 5
1.1. PRIMO PERIODO 5
1.2. SECONDO PERIODO 6
2. STILE 8
2.1. STRUTTURA 8
2.2. TIMBRO 10
2.3. RITMO 12
2.4. ARMONIA E MELODIA 14
2.5. TESTI 18
3. PARENTELE 19
3.1. I PADRI 19
3.2. I FIGLI 20
1. TRATTI GENERALI 25
1.1. STRUTTURA 25
1.2. IDEA DI ‘PROCESSO RIPETITIVO’ 28
1.3. GENESI E SIGNIFICATO DELL’OPERA 29
2. ANALISI 33
2.1. SEZIONE 1 33
2.2. SEZIONE 2 46
2.3. SEZIONE 3 54
FONTI 60
BIBLIOGRAFIA 60
SITOGRAFIA 60
DISCOGRAFIA 61
IMMAGINI 61
2
PARTE I
STORIA E STILE
3
4
1. STORIA
rista Fredrik Thordenal (1970) e del cantante – e in un primo momento membri storici
1985, non pare azzardato associare la musica dei primi Meshuggah col thrash metal
5
do della carriera della band, per molti versi (troppi, a parere di chi scrive)
si tratta di lavori ancora non del tutto conformi allo stile che li renderà
maggiormente noti, in quanto ad esempio la voce rimane ancora troppo
radicata a una dimensione thrash metal, con delle inflessioni talora quasi
melodiche, inoltre non vengono usate chitarre con più di sette corde e
l’uso di power chords rimane piuttosto pesante. L’aspetto ritmico certa-
mente si complica ma non sono ancora presenti gli elementi più caratteri-
stico di quello che sarà lo stile maturo della band. Se il primo album vie-
ne totalmente rinnegato dalla band e sostanzialmente ignorato dal fan ac-
costatosi al gruppo maturo – e a riprova di ciò possiamo notare l’assenza
assoluta (tranne rarissimi ripescaggi) di brani da Contradictions Collapse
nelle scalette dei concerti da anni – questo secondo lavoro sancisce il
passaggio a una nuova dimensione, non ancora matura ma capace di la-
sciare ai fan un classico come Future Breed Machine, anticipatore di al-
cuni stilemi futuri e capace di insediarsi stabilmente nelle scalette.
6
de in tutta la loro pienezza sonora. L’accoglienza positiva di un lavoro
così originale e definito è sancita dalla tutt’oggi consistente presenza in
scaletta di brani divenuti classici nel il repertorio della band, come Sten-
gah, Rational Gaze, Perpetual Black Second e Straws Pulled at Random.
Avendo raggiunto uno stile stabile, i Meshuggah si concentrano tra il Le opere
2004 e il 2005 in due lavori che si spingono oltre i limiti entro i quali, sperimentali
7
2. STILE
2.1. STRUTTURA
Uno stile Dopo aver alluso più volte allo stile dei Meshuggah, viene però da chie-
sedimentato dersi in che cosa esso consista concretamente. Più che per altri gruppi
metal e non, per i Meshuggah è possibile tracciare un discorso inerente
allo stile abbastanza ben definito, a causa della costante presenza di alcu-
ne caratteristiche che tracciano una struttura piuttosto stabile, pur non
impedendo ad elementi di novità di incardinarsi in essa. Le considerazio-
ni seguenti faranno riferimento al sound ‘classico’ dei Meshuggah, che in
questa sede consideriamo pienamente raggiunto solo con Nothing (2002).
Esse riguarderanno quindi in toto anche Catch 33, e ci permetteranno co-
sì di tematizzare un primo livello di analisi generale dell’opera.
La struttura a Un primo aspetto da focalizzare è quello inerente alle strutture
canzone
ricorrenti nelle canzoni dei Meshuggah. La strtuttura più frequente è
quella che si basa su una manciata di riff (anche solo un paio), spesso
tutti focalizzati sulla messa in evidenza della stessa particolare
problematicha ritmica reinterpretata in vario modo. Chiamiamo a
canzone questa struttura perché, nonostante la voce segua quasi sempre
un andamento strofico, l’alternarsi dei riff ripropone in qualche misura la
forma-canzone tipica della musica rock e pop, riproponendo
periodicamente il riff iniziale che è di solito anche il più facilmente
riconoscibile e quello meno soggetto a mutamenti inaspettati, oppure
utilizzandolo come soggetto principale delle variazioni per lasciare
spazio occasionalmente a riff anche molto diversi che separano le varie
strofe tra loro. Esempi di questa struttura sono brani come Combustion,
Demiurge, New Millennium Cyanide Christ, Clockworks e Stengah.
La struttura a Un’altra struttura meno frequente si basa su un singolo riff soggetto a
processo una continua micro-variazione di solito data dai procedimenti ritmici
tipicamente applicati ai brani dei Meshuggah maturi, che vedremo più
nel dettaglio tra poche righe. Anche se i brani di questo tipo non sono
molti, riteniamo sia importante segnalare anche questa tipologia perché
8
essa caratterizza non solo alcuni dei brani più noti dei Meshuggah, come
Bleed, oltre ad altri come The Demon's Name Is Surveillance o Shed, ma
anche tutti i brani non basati su chitarre distorte e batteria, come The Last
Vigil e alcune sezioni interne a brani come Sum, e inoltre è una struttura
assai presente in Catch 33, in sezioni come quella composta dalle prime
tre tracce (Autonomy Lost, Imprint of the Un-saved e Disenchantment) e
dalle successive tre (The Paradoxical Spiral, Re-Inanimate ed
Entrapment), ed è quindi molto importante per la nostra analisi.
Infine è si presenta talvolta anche una struttura più articolata, che La struttura a
presenta un maggior numero di idee del tutto eterogenee e spesso anche suite
2.2. TIMBRO
Il primo elemento che si presenta con evidenza anche agli orecchi meno Chitarre a otto
allenati della musica dei Meshuggah è probabilmente il timbro, in parti- corde
9
tappezzate di zeri, tanto che nelle community di internet inerenti a questo
tipo di musica si è presto diffusa l’usanza di ironizzare su questo fatto in-
serendo zeri in tutto ciò che può essere connesso ai Meshuggah e alla
musica da loro ispirata (non è raro trovare ‘djent’, genere di cui parlere-
mo più avanti, scritto come ‘dj0nt’). Se questo uso della chitarra è asso-
ciato in modo pressoché perentorio a effetti di pesante distorsione e alla
tecnica del palm muting, non mancano utilizzi del registro alto non solo
per i disturbanti elementi ‘melodici’ che spesso si ergono sopra i riff del-
la chitarra ritmica e per gli assoli (poco frequenti e in genere molto mec-
canici e in cerca dell’evasione da qualsivoglia riferimento a una melodia
ben definita) ma soprattutto per le sezioni ‘pulite’, in cui i complessi riff
distorti lasciano il posto ad arpeggi caratterizzati da forti effetti di delay e
chorus (che causa spesso un effetto di detuning piuttosto forte) mescolati
in modo da ottenere quel timbro assai peculiare e inconfondibile, capace
di disegnare linee di chitarra cristalline ma inzuppate in effetti che accen-
tuano le dissonanze spesso presenti anche nelle sezioni più eteree, resti-
tuendo un senso di ‘distorsione’ radicalmente opposto a quella vera pre-
sente nelle parti pesanti, ma egualmente opprimente.
Basso Il basso ricopre un ruolo spesso subalterno a quello delle chitarre nella
musica dei Meshuggah, dal momento che tendenzialmente segue
l’andamento della chitarra ritmica e funge più da rinforzo del suo suono
che da vero e proprio strumento indipendente (del resto con chitarre ac-
cordate così in basso i registri vanno in buona parte sovrapponendosi).
L’uso di bassi a cinque corde permette però di raggiungere note ancora
più basse (di solito l’accordatura è infatti Bb-F-Bb-Eb-Ab) e risulta parti-
colarmente d’effetto nei vecchi brani incisi con chitarre a sette corde: in
questi casi infatti il basso tende a seguire la chitarra ritmica all’ottava
bassa, contribuendo in modo assai più consistente alla pienezza sonora.
Di solito anche il basso ricorre a suoni distorti, anche se in modo meno
possente di quanto avviene per le chitarre.
10
Il suono di batteria dei Meshuggah si caratterizza per una grande pie- Batteria
nezza sonora, che specialmente nelle produzioni più recenti, associata a
un’alta definizione sonora, contribuisce in maniera decisiva all’incisività
della musica. Pressoché costante è l’uso della doppia cassa ma il set uti-
lizzato di norma da Haake è tutto sommato di dimensioni contenute ri-
spetto a molti colleghi attivi ad esempio nella scena progressive metal. Se
infatti la varietà di piatti è abbastanza elevata (nessuno splash, ma svaria-
ti crash e anche più di un china e un ride), i tamburi sono di norma tre e i
timpani un paio. Come vedremo, il suo suono è entrato a far parte in
qualche misura di numerose produzioni grazie al proprio contributo allo
sviluppo del VST Drumkit from Hell, espansione per l’usatissimo
EZDrummer sviluppato da ToonTrack. Tale strumento virtuale non solo
è molto usato nella produzione ‘casalinga’ di tanti musicisti, ma anche da
artisti di un certo rilievo come Devin Townsend (che notoriamente ha
usato lo strumento per il suo apprezzatissimo Ziltoid the Omniscient del
2007) e i Dillinger Escape Plan. Gli stessi Meshuggah sono stati tra i
primi a utilizzarlo proprio in Catch 33 e in seguito nella reissue di
Nothing e in alcune sezioni di obZen.
La voce di Jens Kidman, infine, si presenta costantemente caratteriz- Voce
11
2.3. RITMO
La tecnica base Ma l’aspetto indubbiamente più atipico e complesso dello stile dei Me-
shuggah è quello relativo al ritmo. Lo stile maturo dei Meshuggah non si
limita ad offrire strutture poliritmiche in modo pressoché costante, ma
tende anche a eludere la naturale convergenza dei metri attraverso varia-
zioni metriche che la anticipano o la rimandano secondo schemi spesso
ripetitivi ma ad un primo ascolto imprevedibili. Tipicamente chitarra rit-
mica, basso e grancassa seguono riff in tempi dispari mentre il crash (o il
china) della stessa batteria – spesso in combutta col rullante – propone un
ipermetro di 4/4. Un esempio paradigmatico (PIESLAK 2007, pp. 220-
223) è quello costituito dai primi secondi di Rational Gaze:
Figg. 1-2: Le prime due iperbattute dell’intro di Rational Gaze. Le successive due se-
guono un andamento pressoché identico, completando l’unità ritmica della sezione.
Rational Gaze Notiamo quindi come da un lato i piatti impongano un metro in 4/4 per
tutto lo sviluppo del riff, mentre nel frattempo cassa e chitarra/basso se-
guono un ritmo di 25/16, che si interseca poliritmicamente con
l’ipermetro dei piatti per quattro battute nel proprio metro, per poi variare
alla quinta ripetizione aggiungendo i tre sedicesimi mancanti per rag-
12
giungere il minimo comune multiplo tra i due metri, grazie a una battuta
in 28/16 (25+25+25+25+28 = 128/16, che espresso nell’ipermetro equi-
vale a due iperbattute da 4/4). Il tutto poi viene ripetuto una seconda vol-
ta (ottenendo complessivamente una struttura ritmica simmetrica di quat-
tro iperbattute da 4/4).
È come se ogni frammento del riff perdesse per strada una piccolissi- La dialettica tra
kosmos e chaos
ma parte di sé, e a un certo punto si preoccupasse di recuperarla per rial-
linearsi col ritmo imposto dai piatti della batteria, in una destabilizzante
mescolanza di ordine e disordine, di simmetria e dissimmetria, di smar-
rimento a cui cerca di opporsi un unico elemento ritmico costante e quasi
ipnotico nel suo essere principio ordinatore primario, sommamente sem-
plice, di una molteplicità di frammenti notevolmente complessi. I Me-
shuggah sembrano voler disperatamente costruire un proprio cosmo
(kosmos) sonoro a partire da un materiale originario nato sotto il segno
del caos (chaos), in una dialettica tra ordine e disordine che sfocia in una
musica dalla natura necessariamente conflittuale, irrequieta e senza posa.
Un conflitto che spesso percepiamo anche dai testi della band.
Esempi simili a quello costituito da Rational Gaze torneranno più Le eccezioni
volte nella nostra analisi di Catch 33, anche se va specificato che è pos- e la regola
13
2.4. ARMONIA E MELODIA
Un’armonia Parlare di ‘armonia’ nell’ambito della musica dei Meshuggah può sem-
disarmonica brare un controsenso, e in un certo senso lo è. Se infatti è vero che spesso
(e non sempre, come potremo notare dall’esempio in Fig. 4) la nota car-
dine dei brani è il Fa, per ragioni essenzialmente legate allo sfruttamento
della nota più bassa resa possibile dall’accordatura utilizzata, parlare di
un’armonia basata su un vero e proprio Fa minore non ci sembra avere
molto senso. Certamente però non si tratta di una musica completamente
caotica, come già la trattazione inerente al ritmo ci ha rivelato. Una cosa
che l’EP I può insegnarci è infatti che questo tipo di musica è ossimorico
su più livelli, nel suo tentativo di conciliare kosmos e chaos, calcolo e ca-
sualità (SMIALEK, pp. 56-60). Si può quindi in una certa misura parlare di
‘armonia’ persino in senso apollineo, e questo è vero anche nel discorso
su un’armonia musicale basata su principi tanto semplici quanto tenden-
zialmente ferrei, capaci di dare forma e prevedibilità a una musica do-
minata interiormente dal caos.
Il dominio della Analizzando molte delle tablature reperibili in rete, generalmente tra-
seconda minore scritte da appassionati ma con una certa accuratezza, la musica degli sve-
desi si rivela armonicamente incentrata sull’intervallo di seconda minore,
tanto orizzontalmente quanto verticalmente. Diamo un’occhiata a due
esempi tratti dallo stesso Catch 33 per avere prova di una procedura mol-
to frequente nella musica oggetto della nostra analisi:
14
L’esempio di Autonomy Lost è di massima semplicità ed efficacia. Il riff Autonomy Lost
principale consta di sole due note, il Fa dell’ottava corda suonata a vuoto
e il Sol bemolle dell’ottava corda suonata al tredicesimo tasto. Successi-
vamente, come vedremo nell’analisi dedicata a Catch 33, il riff si evolve-
rà molto gradualmente a livello ritmico, sviluppandosi nel corso di tre
brani consecutivi, ma introdurrà una sola nota ulteriore: un Mi suonato
all’undicesimo tasto dell’ottava corda. Nona minore e settima maggiore,
due intervalli riconducibili alla seconda minore e fondati sul semitono.
Due intervalli, inoltre, che tornano a livello verticale, come ci dimostra la
linea di chitarra solista che entra alla quinta ripetizione del riff suonando
all’ottava (relativamente) alta in tremolo picking fin da subito le tre note
che saranno al centro dell’intero sviluppo: Sol bemolle, Mi e Fa (anche
per la quarta battuta che segue quanto visibile nella Fig. 3). Quanto detto
rimane fondamentalmente valido anche quando il materiale si complica:
Se in questo caso la tensione verticale si fa meno forte (la nota-cardine The Paradoxical
15
te, introducendo sbalzi continui che però continuano a gravitare intorno
alla nota di La bemolle e che in generale continuano a limitarsi
all’utilizzo ulteriore delle sole due note che si trovano a distanza di una
seconda minore verso ascendente e discendente rispetto al La bemolle
(La e Sol). L’unica eccezione è il Fa diesis che compare, non a caso si
suppone, proprio a cavallo dei due Mi (siano pure legati) alla chitarra so-
lista, ossia nel punto più dissonante in cui poteva comparire, ostentando
ancora una volta la seconda minore.
L’uso Da questo secondo esempio emerge con evidenza quello che è proba-
dell’ottava
bilmente l’unico altro intervallo usato dai Meshuggah con frequenza pa-
ragonabile quasi a quello della seconda minore: l’ottava, che però evi-
dentemente svolge più una funzione dinamizzante che armonica. Non di-
stende, non risolve, funge semplicemente ora da cardine, ora da polo op-
posto dell’oscillazione, ora da meta di un salto inaspettato.
Il tremolo Il discorso sulla melodia appare assurdo almeno quanto quello
picking sull’armonia, inoltre i due aspetti, in una musica che non praticamente
non utilizza accordi e che ha uno sviluppo soprattutto orizzontale, fini-
scono per mescolarsi. Come abbiamo già visto, la voce smette di essere
anche solo minimamente connotata a livello melodico fin dai lavori di fi-
ne anni Novanta. Alle chitarre possiamo individuare prevalentemente tre
tipi di elementi melodici: il primo l’abbiamo già visto in azione negli
esempi precedenti (Figg. 3-4), ed è il massiccio uso di tremolo picking,
spesso su note che si trovano in un rapporto dissonante con le note essen-
ziali del riff sottostante. Si tratta di un elemento ‘atmosferico’ che svolge
al contempo funzioni armoniche e, su larga scala, melodiche.
Gli assoli Il secondo elemento su cui vale la pena soffermarsi è quello degli as-
soli, che sono solitamente di due tipi: il primo è più movimentato, di so-
lito caratterizzato da un massiccio uso del legato associato allo shred
chitarristico più sfacciato, come è possibile constatare dal lungo assolo
che inizia a metà del sesto minuto di Dancers to a Discordant System; il
secondo è invece caratterizzato da un numero di note tendenzialmente
molto più limitato e da uno stile più simpatizzante per lo staccato, quasi
16
meccanico persino nei frequenti bend che pongono l’accento su elementi
dissonanti. Un esempio lampante di questo trattamento, che oltretutto an-
cora una volta anticipa la trattazione analitica di Catch 33, ci è offerto
dall’assolo di Entrapment, che inizia come la Fig. 5 mostra per poi svi-
lupparsi per ulteriori battute in uno stile del tutto analogo.
Un ultimo elemento melodico importante è quello costituito dalle sezioni Le sezioni pulite
pulite. Come abbiamo già segnalato, sono presenti (anche se non fre-
quentissime) nella musica dei Meshuggah sezioni in cui le distorsioni si
fanno completamente assenti in favore di un’atmosfera rarefatta anche se
non per questo necessariamente meno disagevole. In questi casi è possi-
bile ascoltare sviluppi melodici più evidenti, spesso circondati dal silen-
zio (come negli ultimi minuti di Sum), oppure figure essenzialmente ar-
peggiate (come in The Last Vigil) o una mescolanza di entrambe le cose
(la lunga e inquietante sezione pulita di In Death – Is Death). Gli elemen-
ti melodici in questo caso, anche in contesti vagamente contrappuntistici
(come nell’esempio in Fig. 6), rimangono limitati a poche note di solito
molto vicine, favorendo ancora una volta intervalli dissonanti tanto oriz-
zontalmente quanto verticalmente, come visibile dall’esempio in Fig. 6
tratto da Mind’s Mirrors, un altro brano che ritroveremo nell’analisi di
Catch 33.
17
2.5. TESTI
Il rapporto tra Anche se non è obiettivo di questo lavoro fornire un’analisi lirica dei testi
musica e testi utilizzati nei brani dei Meshuggah, è comunque utile spendere qualche
riga per inquadrare le tematiche ricorrenti e lo stile delle lyrics utilizzate,
che possono a loro volta trovare risonanze con lo stile musicale e appro-
fondirne il significato in una prolifica dialettica di arricchimento recipro-
co. Il principale autore dei testi è il batterista Tomas Haake, pertanto pare
un buon punto di partenza partire da una sua affermazione in merito allo
stile dei suoi testi (e al loro rapporto con la musica):
18
3. PARENTELE
3.1. I PADRI
Dal lato prettamente sonoro è chiaro che le origini thrash dei Meshuggah Thrash metal
lire alle influenze del progressive rock e del jazz/fusion (generi avvicinati
in modo particolarmente esplicito nell’album solista di Thordenal Sol Ni-
ger Within del 1997), così come al gusto per i brani estesi e dotati di
strutture poco schematiche. In particolare i Meshuggah sono riconducibi-
li a una famiglia molto particolare dell’ambito progressive, quella di cui
fanno parte gli inglesi King Crimson e gli americani Tool, tanto che pare
possibile tracciare un’asse ‘King Crimson-Tool-Meshuggah’, quasi un
passaggio di testimone. Si tratta di tre gruppi che hanno raggiunto una
notevole fama pur non scendendo mai a compromessi e proponendo una
musica a loro modo sempre estrema e fresca, particolarmente concentrata
sull’ambito ritmico.
Il primo stadio della staffetta è identificabile in alcune collaborazioni King Crimson
tra gli ormai leggendari King Crimson e i Tool già negli anni Novanta,
sfociate infine nel 2001 in un memorabile tour insieme. Mentre a seguito
19
della reciproca contaminazione gli album dei Tool diventano via via più
complessi, raffinati e psichedelici, quelli dei King Crimson diventano più
pesanti e oscuri (pensiamo soprattutto all’album del 2003 The Power to
Believe, ma anche già agli album degli anni Novanta), come se i due
gruppi avessero potuto imparare l’uno dall’altro scambiandosi la linfa vi-
tale e rinnovandosi a vicenda.
Tool Tra il 2001 e il 2002 qualcosa di simile avviene tra i Tool e i Meshug-
gah, e forse non a caso a questo incontro corrisponde una svolta stilistica
(Nothing) pari a quella che porta i Tool al loro emblematico Lateralus
(2001) idealmente come frutto dello scambio coi King Crimson. Ed è qui
che la staffetta trova il suo secondo passaggio, un passaggio che ha anco-
ra una volta come protagonista quello spirito ‘progressive’ che, a parere
di chi scrive, proprio i King Crimson hanno non solo contribuito a ideare,
ma anche incarnato al meglio nel corso della loro lunga carriera.
3.2. I FIGLI
Djent Spesso i Meshuggah sono considerati gli iniziatori del sottogenere metal
denominato ‘djent’ (con riferimento onomatopeico al tipico suono di chi-
tarre a sette/otto corde distorte suonate in palm mute) e affermatosi sol-
tanto nell’ultimo decennio soprattutto in aree anglofone. È bene sottoli-
neare tuttavia che considerare i Meshuggah come parte integrante di tale
genere sarebbe errato, oltre che per ragioni cronologiche – gran parte dei
gruppi djent maturi hanno infatti debuttato alla fine del primo decennio
del nuovo millennio e sono composti da musicisti molto più giovani dei
membri fondatori dei Meshuggah – per ragioni prettamente musicali. In-
fatti la musica djent presenta strutture spesso più vicine alla forma-
canzone e soprattutto dotate di elementi molto più melodici. La voce è
solo in alcuni casi harsh e anzi di solito risulta essere fortemente melodi-
ca e tendenzialmente acuta, senza alcun disprezzo per le armonie vocali.
Gli assoli sono completamente banditi da alcuni gruppi e reintegrati con
una certa stabilità da altri. L’enfasi sull’elemento emotivo è molto più
forte e frequente è l’uso atmosferico delle chitarre, che comunque non
20
sempre suonano linee sovrapponibili a quelle del basso e non evitano
passaggi basati su accordi. Sono quindi più gli elementi di distanza che
quelli di vicinanza tra i musicisti djent e i Meshuggah, che pertanto pos-
sono essere considerati come (unici?) esponenti di una sorta di proto-
djent a cui i giovani gruppi hanno attinto a piene mani (specialmente per
quanto riguarda lo sfruttamento delle corde settima e ottava della chitar-
ra) aggiungendo elementi che i Meshuggah non sembrano avere alcun in-
teresse a (re)integrare nella propria musica.
Per farci un’idea della diversità di approcci scaturiti dagli insegna- TesseracT
menti dei Meshuggah basterà fare riferimento a quelli che sono forse i
due gruppi più noti del djent. I primi sono gli inglesi TesseracT, promo-
tori di una versione più composta e raffinata del djent, per l’appunto più
‘English’ se così possiamo definirla. La musica dei TesseracT è tipica-
mente ricca di elementi poliritmici e irregolarità su tutti i livelli, masche-
rati tuttavia da una patina di orecchiabilità permessa soprattutto dall’uso
fortemente melodico della voce (quasi mai, a partire dal secondo full-
length, eseguita in un qualsivoglia stile harsh) e dalla presenza quasi co-
stante di elementi melodici presentati da una seconda chitarra dedita per-
lopiù a suoni puliti e atmosferici. Il tecnicismo non è mai ostentato, è an-
zi spesso fatto di ghost notes e di dettagli nascosti, e gli assoli sono inesi-
stenti, in favore di una elaborazione sotterranea che non collide mai con
possibilità di una fruizione di puro godimento estetico.
Sul versante americano troviamo invece i Periphery, che fanno un uso Periphery
21
22
PARTE II
ANALISI DI CATCH 33
23
24
1. TRATTI GENERALI
1.1. STRUTTURA
Dopo aver analizzato i tratti base dello stile dei Meshuggah (analisi che Un caso
vale anche per i caratteri generali di Catch 33, da cui non a caso sono paradigmatico
ma singolare
strati tratti gran parte degli esempi concreti finora presi in considerazio-
ne) è giunto il momento di addentrarci in un’analisi più specifica di quel-
lo che è il nostro primario oggetto di interesse, ovvero l’album Catch 33
(2005), che rappresenta da un lato un caso paradigmatico per lo stile ma-
turo dei Meshuggah, dall’altro anche uno scostamento da esso, tra i più
significativi tra quelli presenti negli album successivi a Nothing. Esso si
configura infatti come una sorta di album-monotraccia dalla durata di 48
minuti, suddiviso tuttavia in 13 tracce distinte. L’idea di dedicarsi a brani
molto lunghi non è nuova alla band, dal momento che già l’EP I (2004)
propone una soluzione simile, con la differenza che la traccia è effetti-
vamente una sola e dura però meno della metà di Catch 33 (21 minuti).
Fig. 7: La schematizzazione proposta da Oriol Nieto, dove i quadrati blu indicano le tre sezioni principali
dell’album, quelli rossi le sotto-sezioni, mentre le parti pulite, sperimentali e fusion sono segnate direttamente sulla
waveform rispettivamente coi colori rosso, rosa e giallo, indipendentemente dalla suddivisione in tracce.
Se quindi è lecito concepire l’album come composto da un unico bra- Un brano uno e
no in cui in effetti non ci sono stacchi evidenti tra le tracce (eccetto per trino
quello tra In Death – Is Death e Shed, che però inserito nel contesto può
pare considerabile come una lunga pausa) e in cui molti elementi musica-
li sono ricorrenti, è però anche evidente una suddivisione interna suggeri-
ta dalla ricorrenza di alcuni elementi e dalla presenza di possibili punti di
25
stacco ogni quindici minuti circa dell’album. Quest’ultima suddivisione è
messa in evidenza da Oriol Nieto (NIETO 2013, p. 4), che propone la sud-
divisione riproposta nella Fig. 7. Si tratta di una suddivisione sufficien-
temente esatta da permetterci di basare su di essa la nostra analisi, tutta-
via bisogna specificare l’esistenza di ulteriori suddivisioni interne abba-
stanza marcate, che non sempre sono segnalate nello schema di Nieto.
Le sotto-sezioni Nella sezione 1 è evidente il passaggio scandito dall’introduzione di
The Paradoxical Spiral, che porta dalla rielaborazione continua (e mini-
malista, come vedremo) di un primo riff presentato fin dai primissimi
istanti dell’album e protratto per i primi tre brani, basato sull’ottava corda
suonata a vuoto con ampi salti ai tasti alti della stessa, a un secondo riff
che viene mantenuto come base di variazione per i successivi tre segmen-
ti, basato su un movimento oscillante continuo intorno alla nota perno del
La bemolle, con note in genere più lunghe e un ritmo più zoppicante. A
questo secondo momento segue un terzo, costituito da Mind’s Mirrors,
che può essere assimilato tanto alla sezione 1 quanto alla sezione 2, ma
noi seguiremo Nieto nell’accorparlo alla sezione 1, in modo da ottenere
tre sezioni dalla durata omogenea. La sezione 2 è invece costituita dal
dittico In Death – Is Life e In Death – Is Death, quasi una suite a parte,
che in quanto tale è suddivisibile in diverse sotto-sezioni, tra le quali so-
no particolarmente evidenti quella che possiamo associare alla traccia In
Death – Is Life e quella coincidente con la seconda metà di In Death – Is
Death, che abbandona le distorsioni in favore di un’inquietante sezione
di chitarra ‘pulita’. La sezione 3 inizia con Shed, che recupera il primo
riff della sezione 1 e lo utilizza come elemento base della propria struttu-
ra (ma tornerà anche in seguito) e finisce con una sezione ‘pulita’ inserita
in coda a Sum, che recupera alcuni elementi melodici di Mind’s Mirrors
(che abbiamo detto essere collocato alla fine della sezione 1, e qui ripresa
alla fine della sezione 3) andando a costituire una sorta di parallelismo tra
le sezioni 1 e 3, separate da una suite centrale della medesima durata del-
le sezioni in questione. A parte questo, la sezione 3 è la più eterogenea, e
ogni brano presenta riff diversi e inediti, che giustifica molto di più che
26
nella sezione 1 la suddivisione in tracce audio differenti. Si noti tuttavia
che l’unico pezzo facilmente estrapolabile dal flusso sonoro (oltre alla
suite) è Shed, che non a caso è anche il singolo estratto dall’album, non-
ché quello che presenta la struttura maggiormente auto-conclusiva e più
facilmente leggibile, che peraltro contiene il riff ricorrente presentato fin
dall’inizio dell’album, quello che potrebbe essere il riff per eccellenza di
Catch 33, che torna in più occasioni e rimane più facilmente impresso.
Detto questo, tuttavia, abbandoneremo questa suddivisione in sotto-
sezioni durante l’analisi, perché come abbiamo visto ha senso raggruppa-
re tracce solo per quanto concerne le prime tre, le successive tre e la sui-
te, dopodiché a ogni passaggio di traccia corrispondono anche dei signi-
ficativi mutamenti musicali, per cui raggruppare non ha più senso. E
dunque tanto vale rimanere fedeli alle tre sezioni di uguale durata propo-
ste da Nieto, pur tenendo presente l’esistenza di continuità e di richiami
interni ulteriori, le quali sono mirabilmente riassunte nello schema
proposto da Smialek (SMIALEK 2008, p. 49) che riportiamo nella Fig. 8.
Fig. 8: La divisione di Catch 33 in quattro movimenti con interludio riportata da Smialek, che pur sacrifi-
cando aspetti interessanti della tripartizione (in primis l’eguale durata dei movimenti) rende maggiormente
conto di continuità e richiami interni e riporta le caratteristiche generali dei singoli movimenti.
27
1.2. IDEA DI ‘PROCESSO RIPETITIVO’
Lo sfaldamento Come già lo schema riportato in Fig. 8 anticipa, è presente in Catch 33 (e
ritmico nei ciò è evidente soprattutto nella sezione 1 di Nieto e nei primi due movi-
Meshuggah
menti di Smialek) lo sfruttamento di micro-variazioni interne a uno stes-
so riff che ne provocano lo sfaldamento progressivo, in una trasfigura-
zione continua ma quasi impercettibile della figura ritmica e talvolta an-
che ‘melodica’. Vedremo meglio questo procedimento all’opera durante
il concreto lavoro di analisi. Qualcosa di simile avviene in realtà anche in
altri momenti dell’album, ma si direbbe più per ragioni ‘fisiologiche’, le-
gate al tipico meccanismo già analizzato (cfr. I.2.3.) per riassestare la so-
vrapposizione ritmica data dai piatti e talvolta il rullante (4/4) e dagli altri
elementi (in metro vario e tendenzialmente inusuale), in un’interessante
dialettica tra smarrimento e ritrovamento di un ipnotico punto di riferi-
mento che riesce a tenere insieme il caos in un precario ma rassicurante
ordine (interessante in questo senso è la breve analisi cognitiva proposta
da Nieto, cfr. NIETO 2013, pp. 9-10).
Origini del Questo procedimento può essere fatto risalire alla musica cosiddetta
‘processo ‘ripetitiva’ scritta da compositori minimalisti come Philip Glass (1937),
ripetitivo’ Terry Riley (1935) e Steve Reich (1936). Questi compositori, pur conti-
nuando su una via diversa da quella della ‘narrazione’ generalmente pro-
posta dalla musica tradizionale (per cui la struttura di un brano musicale
si articola in qualcosa di mutevole, in un rapporto ben definibile tra le va-
rie parti che ci ‘racconta’ di un qualcosa in un divenire lineare), si disco-
stano dai colleghi che si dedicano alla differenza (un’estrema differenzia-
zione del materiale compositivo fino all’assenza di punti di riferimento,
almeno dal punto di vista percettivo) propendendo invece per la ripeti-
zione. In questo modo all’interno del ‘processo’ (surrogato della ‘narra-
zione’) non domina una caotica differenziazione assoluta, ma un princi-
pio che omologa il materiale compositivo incardinandolo in un movi-
mento (un processo, appunto) ripetitivo, in cui a tenere alta l’attenzione è
la poetica della variazione minimale, per cui solo a un ascolto distratto la
composizione appare omogenea e piatta, dal momento che è in realtà
28
permeata da un costante e irreversibile mutamento che logora di volta in
volta la forma ripetuta dall’interno, trasformandola lentamente in qualco-
sa di (anche radicalmente) diverso. Dovremo tenere presente questo pro-
cedimento compositivo durante l’analisi di Catch 33.
mento percussivo (JONES 2009, p. 34) diviene quanto mai vera in un caso informatizzato
quale per di più è stata realizzata mediante un VST, al quale hanno potu-
to mettere mano tutti i componenti del gruppo, giungendo a una creazio-
ne collettiva già per quanto riguarda la primissima fase della composi-
zione. Solo a partire da tale traccia sono state poi incise le chitarre e il
basso, giungendo a un prodotto finito eccezion fatta per la voce, incisa in
seguito. Il VST in questione è il già citato Drumkit from Hell, al cui svi-
luppo avrebbero collaborato gli stessi Haake e Thordenal, per poi riuti-
lizzarlo anche in altri album della band. La traccia di batteria così ottenu-
ta non è mai stata reincisa ma viene ovviamente eseguita senza sostanzia-
li differenze da Haake durante i concerti (dai quali peraltro raramente si
assenta dalla scaletta la suite In Death). In questo modo l’approccio alla
composizione si rivela piuttosto originale, raggiungendo nuove possibili-
tà e limiti, e portandoci anche a riflettere sul rapporto tra creatività e tec-
29
nologia, dove quest’ultima diviene centrale e, in alcune condizioni limite,
giunge quasi a sostituirsi alla prima, o comunque a plasmarla in modo si-
gnificativo. Si tratta di una scelta radicale all’interno di un contesto di
pubblico in cui spesso l’idea di ‘autenticità’ è usata come stendardo per
contrapporsi a realtà molto lontane come quella della musica elettronica
(per un approfondimento del tema, cfr. SMIALEK 2008), ma i Meshuggah
decidono di compierla ugualmente, forse proprio per dimostrare
l’ipocrisia che si cela dietro a simili prese di posizione, in un mondo di-
scografico in cui creatività e tecnologia si trovano in un rapporto sempre
più stretto e indissolubile, ponendosi al di sopra di un conflitto infantile e
liberandosi degli stereotipi inerenti al genere di appartenenza.
Dal 22 al 33 Un simile ‘incremento di livello’ è presente anche nel titolo
dell’album. Catch 33 (che potremmo tradurre con ‘tranello 33’) è infatti
una specie di potenziamento dell’idea di Catch 22, tratta dal romanzo
omonimo di Joseph Heller pubblicato nel 1961 e tradotto in italiano col
titolo Comma 22. In tale romanzo, il comma 22 del regolamento affidato
ad alcuni piloti di bombardieri della Seconda guerra mondiale li pone in
una situazione di scelta apparente, un paradosso da cui i personaggi del
libro non possono liberarsi. Il libro diviene un cult al punto che nella lin-
gua inglese si parla di Catch 22 per indicare qualcosa di simile al circolo
vizioso e in generale per parlare di situazioni dalle fattezze paradossali e
dalle quali non è possibile uscire. La ragione per cui i Meshuggah abbia-
no voluto passare dal 22 al 33 è in realtà sconosciuta. Si può ipotizzare
che si tratti semplicemente di una volontà di, appunto, ‘alzare il livello’,
porsi a un livello superiore, o magari suggerire l’immagine di un para-
dosso dalla triplice scelta apparente anziché doppia (cosa ancora meno
probabile dato che, a quanto pare, il numero 22 è stato scelto da Heller
solo perché ‘Catch Twenty-two’ gli sembrava suonare meglio del ‘Catch
Eighteen’ a cui aveva inizialmente pensato), o forse ancora un riferimen-
to ai 33 giri del vinile o un passaggio necessario a rendere dispari ciò che
è pari, in un dualismo che come abbiamo visto è praticamente onnipre-
sente nello stile musicale dei Meshuggah.
30
Ciò che realmente importa è però che Catch 33 è un concept album Un concept sul
sul paradosso, così come il titolo, giunti a questo punto, dovrebbe chia- paradosso
A new level reached, where the absence of air lets me breathe | I'm
inverted electrical impulses. A malfunctioning death-code incom-
plete | All things before me, at first unliving glimpse undeciphered
| Its semantics rid of logic. Nothing is all. All is contradiction.
(Dehumanization)
31
raging crowds of solitude | I'm the soil beneath me soaking up the
sustenance of my own death. (In Death – Is Life)
Vision will blind. Severance ties. Median am I. True are all lies.
(Sum)
32
2. ANALISI
2.1. SEZIONE 1
La sezione 1 di Catch 33 è composta dai primi sette brani, ossia più di Introduzione
metà delle tracce presenti sull’album, eppure dura solo un terzo della du-
rata totale dell’opera. Questo già ci segnala la natura fortemente fram-
mentaria di questa sezione che procede per brani in buona parte più corti
di 2 minuti. La continuità è data invece dalla presenza di elementi unifi-
canti i primi tre pezzi e i successivi tre, mentre il settimo (Mind’s Mir-
rors) è un caso a parte. Iniziamo ad analizzare i primi tre.
Fig. 9: L’inizio di Autonomy Lost nonché la prima comparsa del riff principale
dell’album. Nonostante il metro comune in 4/4 presente in questa trascrizione, bas-
so, chitarra ritmica, grancassa e rullante seguono un altro metro misto le cui battute
sono indicate dalle stanghette rosse.
33
Autonomy Lost Autonomy Lost parte con decisione, proponendo il riff decisamente più
ricorrente dell’intero album (esemplificato in Fig. 9), che sarà al centro
delle micro-variazioni dei primi tre brani e che tornerà nella sezione 3
come base strutturale primigenia di Shed, ma anche in una sezione di
Dehumanization e in una di Sum. In questo brano è presente la tipica di-
namica per cui i piatti (e in questo caso la chitarra solista) seguono un
metro in 4/4 mentre gli altri elementi sonori seguono diversi tipi di tempi
dispari. Nello specifico la cellula generativa di Autonomy Lost è compo-
sta da 4 battute in 4/4 sovrapposte a tre battute in 9/8 e una in 5/8 che an-
ticipa il riallineamento delle parti e permette l’inizio di un nuovo ciclo.
Dopo quattro ripetizioni di tale cellula entra la chitarra solista che propo-
ne alcune note dissonanti suonate in tremolo picking, poco prima che su-
bentri anche la voce, con la quale il breve pezzo ben presto finisce.
34
Fig. 10: La parte di Imprint of the Un-Saved più significativamente variata rispetto alla ripresa di Autonomy Lost. Sempre
in rosso le battute del metro (9/8, 9/8, 9/8 e 5/8) sovrapposto alla scansione in 4/4 dei piatti.
Fig. 11: Il punto di sfasamento del riff posizionato sull’uscita della voce, dove la battuta segnalata tra le prime due stan-
ghette rosse è la battuta da 4/8 che provoca lo sfasamento di un ottavo del resto del riff rispetto a quanto visto finora.
35
assistiamo invece al primo cambiamento significativo della disposizione
metrica sottostante al 4/4. Infatti il riff si sposta di nuovo nella posizione
iniziale (con la figura discendente come punto di partenza) e si inserisce
in una ripetizione ciclica della versione abbreviata del riff incardinata in
un costante metro di 5/8, che prosegue per tutta la rimanente durata del
brano, con solo saltuarie modifiche minimali. Una breve sezione con sola
voce e chitarra filtrata funge da primo breakdown dell’album e continua
la riproposizione in 5/8 del riff, che diventa poi protagonista del finale, in
cui ritorna anche la melodia dissonante di chitarra in tremolo.
Fig. 13: La riproposizione del riff in versione ridotta nel finale di Disenchantment.
36
Ma è solo con The Paradoxical Spiral che il panorama cambia per la The Paradoxical
prima volta in modo piuttosto radicabile nella sezione 1. Il riff su cui que- Spiral
37
Fig. 14: La prima apparizione del secondo riff ricorrente della sezione 1 all’inizio di The Paradoxical Spiral.
Fig. 15: La parte finale di The Paradoxical Spiral, col riff stabilizzato in 5/4 e la battuta finale in 4/4.
38
Re-Inanimate rappresenta un caso metricamente sui generis. Infatti Re-Inanimate
l’intero brano si gioca su moduli di 4 battute da 4/4 senza però sovrappo-
sizioni poliritmiche che continuano a incastrare in modo imperfetto le
battute. Infatti – nella prima metà del brano (Fig. 16) – ognuno di questi
moduli è diviso in due parti uguali che segnano in battere l’inizio di una
nuova fase del solito riff. Quest’ultimo, in Re-Inanimate, preserva fino ad
un certo punto la sua caratterizzante struttura oscillante, per poi soffer-
marsi su una nota grave tenuta e caratterizzata da lunghi e intensi bend.
Ed è proprio qui che troviamo l’elemento più variabile del pezzo, giacché
alla prima ripetizione la nota tenuta arriva dopo soli 3/4 di riff oscillante,
mentre alla seconda dopo 5/4. In entrambi i casi però la somma tra la no-
ta tenuta e la parte di ripresa del riff porta a 8/4, ossia due battute del 4/4
protratto dai piatti. Nella seconda metà del brano (Fig. 17) invece del riff
originale resta poco e assistiamo a una delle figurazioni più complesse
per quantità di suoni compresi, tra quelle comparse finora. Si tratta infatti
di frasi che presentano anche fino a una decina di note diverse che non si
ripetono mai o quasi (qualcosa di ben diverso rispetto ai riff visti finora,
composti anche solo da due note e spesso con una certa abbondanza di
ribattuti o quantomeno di ricorrenze). Nelle sue varie manifestazioni, tale
figurazione subisce delle variazioni che, come nella prima parte del pez-
zo, portano le tre note tenute (le prime due più corte, la terza dura per il
resto del modulo) ad essere eseguite non sempre nello stesso punto (per
l’esattezza dopo sei crome di riff nelle prime due ripetizioni, e dopo dieci
nelle ultime due), ma tutto rimane gestito in modo tale che l’intera figura
duri per 4 battute del metro in 4/4 per poi ripartire in battere con un nuo-
vo ciclo. L’intero moto si configura come una sforzata e sofferta discesa
verso l’ultima, lunga nota tenuta, che è oltretutto la più grave ottenibile.
39
Fig. 16: La cellula base della prima parte di Re-Inanimate, che presenta sia la figurazione con 3/4 di ripresa
del riff originale seguiti da 5/4 di nota tenuta, sia quella con al contrario 5/4 di riff e 3/4 di nota tenuta.
Fig. 17: La figurazione finale presente in Re-Inanimate, che compare qui prima nella sua versione con sei
crome di riff e poi in quella con dieci.
40
zioni arpeggiate (Fig. 18) che spaziano parecchio nel registro (dal solito
Fa basso dell’ottava corda a vuoto a quello di due ottave più alto, al nono
tasto della quinta corda). Una figurazione molto simile accompagna
(smembrato da pause precedentemente assenti) l’assolo di chitarra secco,
dai tratti riconoscibili e in parte ripetitivi, dai bend geometrici e dalle fat-
tezze inquietanti (Fig. 19), che però lascia ben presto spazio a un outro
(preceduto da un breve passaggio di assestamento) che segna il primo
abbandono del 4/4 da parte dei piatti, che ora suonano in 6/4 insieme al
resto degli strumenti (Fig. 20), che con le loro scarse note di colpo lun-
ghe, sforzate e pedissequamente ripetute sembrano segnalare che siamo
arrivati a destinazione…
Fig. 18: Esempio della sezione arpeggiata che precede l’assolo di Entrapment.
41
Fig. 19: Inizio dell’assolo di Entrapment, che ne presenta le principali caratteristiche. Si noti anche la continua-
zione della figurazione arpeggiata, ora smembrata da pause appena introdotte.
Mind’s Mirrors … e infatti con l’inizio di Mind’s Mirrors, per la prima volta dall’inizio
dell’album, assistiamo a un assoluto breakdown, che conduce alla più
estesa delle sezioni sperimentali individuate da Nieto. Il finale del prece-
dente pezzo coincide con la prima nota di quello nuovo, che ci presenta
uno degli elementi principali dei suoi primi minuti: un’ottava corda suo-
nata a vuoto e ulteriormente abbassata col glissando permesso dall’uso
della whammy bar o, forse, da una manipolazione attuata direttamente in
chiave, atta a scordare la chitarra immediatamente dopo la plettrata. Il se-
condo elemento che domina la prima parte del brano (Fig. 21) è il voco-
der, che ben presto si sovrappone ai bassissimi glissandi portando alla lu-
ce uno dei pochissimi momenti nella musica dei Meshuggah in cui la vo-
ce assume caratteristiche in qualche modo melodiche (e in questo caso
persino armoniche). Il brano procede con un’inquietante, lenta e disso-
42
nante sezione ‘pulita’ (Fig. 22), ben presto interrotta dal ritorno delle di-
storsioni prima a un devastante accordo che interrompe la calma insita
nei minuti precedenti, poi anche in un lead sound a due parti che si inter-
secano in un gioco di inquietanti echi dissonanti, mentre inizia a farsi
strada nella tessitura sonora l’accordo che condurrà all’inizio di un nuovo
brano e una nuova sezione.
Fig. 22: Gli elementi principali della sezione ‘pulita’ di Mind’s Mirrors.
43
Fig. 23: La parte centrale dell’outro di Mind’s Mirrors.
44
Da questa prima sezione abbiamo potuto osservare dei mirabili esempi di Conclusioni sul-
come la dialettica tra ordine e disordine risulti centrale nella musica dei la sezione 1
45
2.2. SEZIONE 2
In Death – La seconda sezione inizia decisamente col botto, proponendo fin
Is Life dall’inizio di In Death – Is Life un ritmo puntato (figura ritmica che sarà
prevalente in questa seconda sezione) altamente imprevedibile, come
sempre sovrastato da un imperterrito piatto in 4/4. Si tratta di un motivo
caratterizzante questa prima parte della suite, che non ritornerà più
nell’album, a differenza del motivo successivo, che Nieto (NIETO 2013,
p. 8) identifica come il motivo principale della sezione 2, e che pertanto
recupereremo più avanti. Il primo dei motivi citati viene invece analizza-
to in maniera dettagliata da Smialek (SMIALEK 2008, pp. 54-56), che in-
dividua nella sezione un fulgido esempio di quell’«approccio minimalista
alla variazione» che caratterizza molta musica della band. Egli infatti
scompone il motivo in alcune piccole particelle ritmiche (Fig. 24) ricor-
renti e mostra come la loro interpolazione nel riff (Fig. 25) generi effetti
particolari di volta in volta (anacrustici, interruzioni…), giocando con le
aspettative dell’ascoltatore in un modo simile a quanto avviene
nell’introduzione della suite I tratta dall’omonimo EP del 2004, ma più
complesso, sia per figurazioni ritmiche che per altezze più diversificate.
46
Fig. 25: La trascrizione dell’introduzione di In Death – Is Life con alcune indicazioni inerenti alle ricorrenze
delle particelle individuate da Smialek e la segnalazione di alcuni pattern inaspettatamente ricorrenti..
Dopo una ripetizione dell’introduzione che funge da outro della prima In Death –
parte della suite centrale di Catch 33, subentra un nuovo riff, sempre ba- Is Death: il
primo riff
sato su dei ritmi puntati, ma meno variegati (ci sono infatti quasi solo
crome puntate e alcune crome normali). Si tratta tuttavia di un ritmo non
per questo più facilmente prevedibile nei suoi esiti, anzi: l’unica sensa-
47
zione ricorrente è quella data dalle crome in mezzo a tutte le loro sorelle
puntate, che sembrano far scivolare tutto il riff in maniera pericolante.
Tuttavia anche in questo caso Smialek (SMIALEK 2008, pp. 63-70) ne of-
fre un’analisi tanto interessante quanto atipica per dimostrare la presenza
di una logica anche in una sezione apparentemente irrazionale come que-
sta. Si tratta di un’analisi di tipo visivo, che offre una spiegazione logica
del riff partendo dal modo in cui il chitarrista, dalla propria prospettiva,
lo visualizza sulla tastiera dello strumento (alcuni esempi in Fig. 26). È
possibile così identificare una struttura chiasmatica dotata di simmetrie
costanti che quando sono rotte sembrano esserlo di proposito, infatti:
Fig. 26: Analisi visiva del primo riff di In Death – Is Death proposta da Smialek, dove le linee
orizzontali sono le corde, quelle verticali i tasti e i numeri indicano l’ordine delle note.
48
Fig. 27: L’analisi visiva di Smialek applicata alla partitura.
A questo particolare riff segue un motivo che ritornerà più volte in segui- In Death –
Is Death: il
to, che poi non è altro che un violentissimo susseguirsi di ottave corde a
secondo riff
vuoto in sincrono con la batteria, seguendo un pattern ritmico, stavolta sì,
costante, anche se non propriamente semplice (potrebbe avere senso leg-
49
gerlo come 6 battute in 21/16 a cui si aggiunge un ottavo conclusivo per
far tornare i conti e ripartire col ciclo in 4/4 in pieno stile Meshuggah).
Alla seconda ripetizione del riff si sovrappone un caotico assolo di chitar-
ra che conduce poi a un’ulteriore strofa basata sul riff iniziale.
In Death – A tale strofa segue un ulteriore riff nuovo, stavolta basato su suoni più
Is Death: il alti e ampiamente affetti da bend, su un ciclo che sovrappone ai soliti 4/4
terzo riff
un susseguirsi di battute in 5/8, 10/8 e 12/8, interpolando ancora una vol-
ta figure ricorrenti e riconoscibili con interruzioni e slittamenti inaspetta-
ti, sia pure incardinati in una griglia metrica costante. In questo caso però
non c’è una severa ciclicità in 4/4, bensì lo sfasamento prosegue fino a
che il riff non si trasforma gradualmente in quello che sarà uno degli
elementi centrali della seguente sezione, lasciati nudi in un breakdown
subito prima dell’inizio della stessa.
In Death – Tale sezione è caratterizzata da una lunga ripresa del secondo riff in
Is Death: 21/16, stavolta meno incisivo, con le diverse parti strumentali che si
serie di riprese amalgamano maggiormente e che si dispongono intorno all’elemento
‘melodico’ centrale della chitarra solista suonata in tremolo in modo del
tutto analogo a quanto accadeva perennemente nella sezione 1 dell’album
e in tanta della musica dei Meshuggah. Un altro elemento di vago ri-
chiamo presente in questa sezione è una versione semplificata e gradual-
mente trasformata del terzo riff, che qui elimina i bend e si limita a oscil-
lare tra un paio di note, mentre il secondo riff passa invece dall’essere
mononota al contemplare due note che si alternano (un Sol diesis e un Si,
sempre sull’ottava corda). Ma la vera ripresa inaspettata di questa sezio-
ne si ha subito dopo, quando viene riproposto il riff che avevamo lasciato
in sospeso nella trattazione di In Death – Is Life, e che è effettivamente
l’unico elemento di collegamento esplicito tra i due pezzi della suite.
Nieto ne fa un’analisi molto semplice (NIETO 2008, p. 8) che divide il riff
in due segmenti rispettivamente di 7/8 e 9/8 che si ripetono poi una volta
ciascuno per chiudere il ciclo in 4/4 (Fig. 28), giustificato come tale dalla
ciclicità delle (rarissime) armonie di quinta e di ottava proposte dalle due
chitarre. In realtà il riff è sottoposto a un più complesso procedimento di
50
micro-variazione la cui presenza non dovrebbe ormai più stupirci, e che
ci permette di segmentare il riff in battute di 10/8, 15/8, 10/8 e 17/8
all’interno del ciclo di 4/4. L’ultimo ciclo tuttavia viene troncato solo do-
po due battute per far tornare i conti, proponendo così una battuta in 10/8
e una in 13/8. Si tratta di un riff costellato di pause, quasi dei brevi respiri
che potenziano la violenza del galoppante ritmo.
Fig. 28: La semplice (o forse, a questo punto, semplicistica) lettura che Nieto dà del riff comune
alle due parti della suite In Death.
Un breakdown segnala che siamo giunti all’esatto centro di Catch 33 (in In Death –
Is Death: la se-
una ricerca di simmetria che ancora una volta risulta difficile credere det-
zione fusion
tata dalla pura intuizione). Ed è qui che ha luogo la breve ma significati-
va sezione che Nieto definisce più volte facendo riferimento al genere fu-
sion rock. Si tratta in effetti di una sezione molto meno caratterizzata da
distorsioni, in cui la batteria è sommessa e propone un feeling quasi jaz-
zistico, mentre una chitarra propone all’unisono col basso un riff (sezio-
nabile in due battute da 7/8 e una da 5/8) più tranquillo del solito, anche
se caratterizzato da un forte cromatismo e lentamente votato
all’inquietudine dall’aggiunta della seconda chitarra, che propone delle
lunghe note dissonanti in sovrapposizione al riff. Il tutto viene ripreso in
chiave più pesante subito dopo, e rimane alla base anche dell’ultima stro-
fa, la quale presenta essenzialmente un giro simile al precedente, ma ap-
piattito nell’ambito di una quinta (tutta suonata sull’ottava corda) e ri-
conducibile a un metro alternato di 10/8 e 11/8. Il riff procede anche nella
sezione strumentale immediatamente seguente, con la differenza che al-
cuni suoni sono però trasposti all’ottava superiore.
51
In Death – Infine il brano si avvia alla conclusione con un’outro che riprende il
Is Death: l’outro secondo riff che abbiamo analizzato all’interno della suite, che porta a
termine anche la sezione estrema del brano. I rimanenti sei minuti ab-
bondanti sono riempiti da una lunga e crescentemente inquietante parte
‘pulita’, come sempre giocata sulle dissonanze ed essenzialmente sugli
altri elementi tipici che abbiamo già elencato (cfr. I.2.4.). Si noti che è
uno dei momenti di questo tipo più estesi della discografia della band.
Particolarmente frequente è qui l’uso di figurazioni arpeggiate, a cui si
sovrappongono accordi in un crescendo di inquietudine. L’inizio della
sezione è caratterizzata inoltre da alcuni suoni in reverse che ci introdu-
cono gradualmente al nuovo ambiente sonoro, mentre gli ultimi secondi
reintroducono gradualmente suoni vagamente distorti mentre quelli puliti
scompaiono in fade out. Si tratta di un finale di sezione assimilabile a
quello di Mind’s Mirrors, che tuttavia mette in gioco elementi molto di-
versi. Certo, i suoni sono pressappoco gli stessi, ma trattati in modo assai
opposto: melodie in contrappunto versus arpeggi e accordi, improvviso
ritorno delle distorsioni versus graduale sostituzione, riempimento versus
svuotamento, eccetera. Come vedremo, anche la sezione 3 finirà con una
sezione pulita, trattata tuttavia in modo ancora diverso. Un’ennesima
prova di un intento simmetrico o quantomeno geometricamente sensato,
fortemente razionale, che tiene insieme una varietà di procedimenti com-
positivi ancora una volta giocati sulla mescolanza di ordine e disordine.
52
Possiamo dire che in generale la sezione 2 si basa su dei metodi composi- Conclusioni sul-
tivi in gran parte diversi rispetto a quelli usati nella sezione 1, giungendo la sezione 2
53
2.3. SEZIONE 3
Introduzione alla La sezione 3 si configura in modo ancora diverso rispetto alla prima e al-
sezione 3 la seconda. Infatti stavolta non abbiamo né micro-brani inseriti in una
continuità data dalla permanenza di riff comuni sottoposti a variazione
minimalista, né materiale eterogeneo ordinato all’interno di una suite,
bensì una serie di brani di durata media e sostanzialmente considerabili
come unità a sé stanti e compiute. A dare la continuità tra i pezzi è non
solo una relativa continuità sonora (che è presente in modo pronunciato
quanto nei brani precedenti solo tra Dehumanization e Sum), ma soprat-
tutto la ricorrenza di alcuni elementi musicali, in particolare proprio il riff
con cui inizia il primo brano della sezione, Shed, che ricorda peraltro una
versione semplificata del primo riff della sezione 1. La micro-variazione
è pressoché abbandonata ed è per questo che abbandoneremo le trascri-
zioni nel trattare questa sezione: le variazioni si fanno abbastanza grandi
da essere facilmente riscontrabili anche senza l’uso di strumenti che pos-
sano mostrarle graficamente in modo puntuale, inoltre il materiale diven-
ta troppo eterogeneo perché presentarlo trascritto possa sembrare qualco-
sa di diverso da una tanto semplice quanto sterile rassegna di feticci gra-
fici. È forse questa la sezione dell’album che maggiormente chiama
l’ascolto, proponendo anche delle strutture più immediate e di relativa-
mente facile digestione, quindi daremo per scontato che sia sufficiente
una descrizione di massima di ciò che già l’orecchio dell’ascoltatore sarà
in grado di inquadrare sufficientemente bene.
Shed Il primo brano della sezione è anche il singolo tratto dall’album, che si
trova in una collocazione piuttosto inusuale all’interno dell’album (di so-
lito i singoli, specie quando sono pochi, si trovano tra i primi brani
dell’album; in questo caso siamo al decimo) e presenta delle caratteristi-
che molto diverse da quelle che abbiamo visto finora. Infatti la struttura
poliritmica con metro vario su un ipnotico ciclo di 4/4 viene abbandonata
in favore di un pattern metrico abbastanza costante (solo saltuariamente
esso introduce metri diversi da quelli ricorrenti, e di solito in corrispon-
denza della fine del pattern, che poi riparte subito) e soprattutto seguito
54
da tutte le parti strumentali. I piatti ora si limitano fondamentalmente a
marcare l’inizio delle brevi battute, la chitarra solista propone delle figu-
razioni melodiche pressoché immutabili, mentre basso e chitarra ritmica
(in questo caso più disgiunte di quanto di solito accade) propongono una
manciata di riff basati sullo stesso pattern metrico di 5/8, 4/8 e 5/8. Il
primo, che emerge in modo perturbante e improvviso dal silenzio lasciato
dalla fine della sezione 2, accompagnato da un lungo e disumano grido di
Kidman, ricorda il riff iniziale dell’album, rimandando a una sorta di ci-
clicità con un richiamo interno piuttosto forte, tuttavia è semplificato a
livello ritmico ed è incardinato in un’alternanza metrica pressoché co-
stante. Lo stesso giro viene mantenuto sulla strofa, anch’essa singolare,
in quanto vede Jens Kidman intento in una rara sezione cantata sussurra-
ta, quasi un demone che bisbiglia nell’orecchio un modo diverso dal soli-
to per eludere la melodia. Il secondo riff ricorrente si basa sulla stessa
griglia metrica ma propone note più lunghe, che indugiano sulla bassezza
dell’ottava corda a vuoto contrapposta a sonorità più alte in modo molto
equilibrato. Qui i piatti sottolineano ogni singola nota, enfatizzandola.
Dopo una ripetizione della strofa compare un terzo riff, che risalta per il
fatto di mettere a tacere la chitarra solista e mettere invece particolarmen-
te in risalto il basso: infatti la chitarra ritmica ripete ossessivamente (sulla
solita griglia) una nota più alta del solito, sulla sesta corda, supportata in
compenso da una nota di basso quasi ai limiti delle sue possibilità di re-
gistro e altamente distorta, ottenendo così un suono estremamente cupo,
pur senza dover scomodare le corde più basse delle chitarre. Su questo
stesso riff si propone un’ultima strofa, per poi riproporre il secondo riff e
concludere il brano con una versione enfatizzata del primo, sovrastato
dalla voce di Kidman che torna a gridare.
55
Personae Non Conclusosi improvvisamente Shed, è ancora una volta dal silenzio che
Gratae inizia Personae Non Gratae, un altro brano meno complesso del solito,
anche se potrebbe sembrare diversamente. In effetti in parte è recuperata
la struttura poliritmica, ma stavolta essa vale solo per la chitarra solista,
che suona una melodia molto simile a quella imperante nella sezione 1
(altro elemento di rimando interno) in 4/4, mentre gli altri strumenti pro-
pongono un riff basato su due note (come sempre incentrate su un inter-
vallo semitonale) su un 6/4 costante, eccetto per una battuta finale in 2/4.
La batteria scandisce tutto ciò con dei piatti suonati ogni quarto, che val-
gono quindi per entrambi gli elementi metrici presenti. Il senso di spae-
samento è dato, oltre che dal poliritmo e dalla discreta complessità ritmi-
ca del riff (sia pure nella sua ripetitività), dal rullante quasi sempre sinco-
pato. Lo stesso giro si complica quando entra in scena la voce. L’ottava
corda inizia infatti ad essere suonata in palm mute mentre le altre corde
propongono anche ulteriori note, il tutto alternando stavolta due battute
in 6/4 a una in 4/4. Dopo alcune ripetizioni di tale pattern, viene ripropo-
sta la versione iniziale del riff e il (breve) brano si interrompe bruscamen-
te, ma in modo meno vistoso di Shed, tanto da rendere l’inizio del brano
successivo quasi una ripresa dopo una breve pausa (tant’è vero che quan-
do esso inizia si sente ancora chiaramente risuonare l’ultimo colpo di
piatto di Personae Non Gratae).
56
senza durare quasi mai per più di una battuta), mentre la voce declama il
testo (uno dei più lunghi dell’album, nonché esemplificativo specie nel
verso «Nothing is all. All is contradictions») con furia. Il riff assume via
via forme sempre più mostruose coinvolgendo più note e mantenendo in-
tatta la tendenza alla variazione senza sosta, andando qua e là a rialli-
nearsi con il 4/4 dei piatti. Verso la metà del brano la chitarra solista ini-
zia a proporre una ‘scivolosa’ linea melodica con uno slide up in eviden-
za, che rimane nuda per un breve breakdown. In seguito ad esso torna in
scena il riff di Shed (e con esso lo schema metrico basato sui 5/8 e 4/8 al-
ternati) sovrastato dalla stessa melodia di chitarra che prosegue imperter-
rita. Tuttavia ben presto, pur non alterando lo schema metrico, si affaccia
sul panorama sonoro un nuovo riff (che tuttavia tornerà più tardi), fatto di
ribattuti spezzati da alcune note più alte e più lunghe. In tutta la sezione
basata sul metro di Shed – come accade nel brano stesso – i piatti non
proseguono imperturbabili la loro funzione ipnotica e si mettono in gioco
all’interno del metro seguito dagli altri strumenti. Dopo una brusca inter-
ruzione il brano propone un ultimo, violentissimo riff fatto di poche bas-
sissime note perlopiù ribattute e soggette qua e là ad ampi salti e bend,
che seguono un pattern metrico di 15/8, 13/8, 13/8, 13/8, 10/8, coinci-
denti come al solito a un ciclo di otto battute in 4/4 protratte dai piatti
(64/8, come la somma totale dei metri misti). Al termine della terza ripe-
tizione di questo ciclo il riff sfocia all’interno del nuovo brano…
A new level reached, where the absence of air lets me breathe | I'm
inverted electrical impulses. A malfunctioning death-code incom-
plete | All things before me, at first unliving glimpse undeciphered
| Its semantics rid of logic. Nothing is all. All is contradiction |
Grinding, churning - the sweetest ever noises | Decode me into
their non-communication | A soundtrack to my failure, one sylla-
ble, one vowel | A stagnant flow of endings. Un-time unbound.
Merging to form the multi-none | A sickly dance of matter, mali-
gnantly benign. Greeting the chasm - unbearable, sublime. (Dehu-
manization).
57
Sum Il riff che compare per primo in Sum rappresenta un passo indietro nella
sequenza del materiale proposto, in quanto si tratta essenzialmente di una
ripresa variata, più distesa e solenne, del penultimo riff di Dehumaniza-
tion. Ora il riff è inserito in una griglia metrica fatta di 7/8 e 21/16 alter-
nati, e su questo solenne giro Kidman pronuncia le parole finali
dell’album, tanto monolitiche quanto emblematiche (vedi sotto). Emble-
matiche quanto lo è l’immediata ripresa del riff di Shed, ultima e somma,
che a sua volta quindi rimanda anche all’inizio dell’album chiudendo il
cerchio e inserendo la sua struttura metrica in un poliritmo à la Meshug-
gah in cui, per la prima volta nel corso delle riprese di tale riff, esso è so-
vrastato dal piatto in 4/4. Il riallineamento avviene grazie a una battuta in
3/8 che interrompe la quinta ripetizione del riff (che ricordiamo essere
strutturato seguendo il pattern 5/8, 4/8 e 5/8) dopo la prima battuta in 5/8.
Dopo la seconda ripetizione del ciclo (lievemente variata sul finale), i
piatti tornano a seguire la scansione delle battute in metro misto permet-
tendo a Haake (o meglio, a Drumkit from Hell) di evidenziare
quest’ultima ripetizione del riff con un magistrale uso dei tamburi, in
modo pressoché analogo a quanto accadeva all’inizio di Shed e chiuden-
do così perfettamente il cerchio. Tuttavia l’album non è finito, perché
nell’aria rimane una sorta di sospiro distorto che prelude a una ripresa, la
quale infatti non si fa attendere. Parte un riff inedito (anche se esso ricor-
da per certi versi quello che abbiamo già sentito sovrapporsi al già noto
motivo in 21/16 nella prima parte della sezione di In Death – Is Death
che abbiamo caratterizzato come quella ‘delle riprese’), costituito da am-
pi intervalli legati (intorno alla nota-perno alta Do diesis alla quinta corda
ruotano le note basse discendenti Re, La diesis, La, Fa) e inseriti in un
metro fisso di 7/8: tre delle quattro note di ogni battuta sono delle semi-
minime, mentre una, dalla collocazione variabile (ed è questo che dà
l’instabilità al giro) all’interno del gruppo, è una croma. Gradualmente a
questo strato primordiale si aggiunge da un lato una coppia di lunghi gri-
di Kidman, che sembra esprimere così il delirio dato dallo scacco
dell’esistenza paradossale sul narratore dell’album, dall’altro uno strato
58
di ciò che sembra essere una synth guitar che dona, forse per la prima
volta davvero all’interno di Catch 33, delle sembianze armoniche, quasi
epiche, alla musica che stiamo sentendo. Il tutto si interrompe brusca-
mente per poi lasciar riaffiorare dal silenzio soltanto dei delicati accordi
di chitarra, un’ultima sezione non distorta che ripropone la stessa struttu-
ra armonica del vocoder di Mind’s Mirrors, solo molto più rilassata e di-
latata. Dopo oltre due minuti si passa a una sezione più inquietante in cui
le due chitarre si intersecano con degli arpeggi senza particolari muta-
menti per alcuni minuti (dei sette minuti abbondanti di Sum, solo i primi
due e mezzo sono occupati dalla parte estrema), per poi lentamente
scomparire con un fade out estremamente graduale. Catch 33 è finito.
Vision will blind. Severance ties. Median am I. True are all lies
(Sum)
Con queste parole si conclude anche una sezione che abbiamo visto esse- Conclusioni sul-
re molto diversa dalle altre. In questo caso gli elementi armonizzanti e la sezione 3
59
FONTI
BIBLIOGRAFIA
PIESLAK 2007
Jonathan Pieslak, Rhythm and Meter in the Music of Meshuggah,
«Music Theory Spectrum», XXIX/2, autunno 2007.
SMIALEK 2008
Eric T. Smialek, Rethinking Metal Aesthetics: Complexity, Authentici-
ty and Audience in Meshuggah’s I and Catch 33, Tesi di dottorato in
Master of Arts, relatore David Brackett, McGill University of Mon-
tréal, 2008.
JONES 2009
Deirdre H. Jones, Meshuggah, «Guitar Player», XLIII/6, giugno 2009.
NIETO 2013
Oriol Nieto, Rhythmic and Metric Explorations of a Complex Metal
Piece: Meshuggah’s Catch 33, Documento seminariale inedito, New
York University, 2013.
SITOGRAFIA
60
<https://english.stackexchange.com/questions/15226/what-is-the-
origin-of-33-in-catch-33> (cons. 22/04/18)
<https://www.youtube.com/watch?v=rR7qSHp2-lo> (cons. 22/04/18)
DISCOGRAFIA
IMMAGINI
61