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Nicolini
Diploma accademico di I livello in pianoforte
a.a. 2020-2021
Indice
Premessa 1
Le suites inglesi 6
Le suites francesi 9
Le partite 10
La sesta partita 14
Premessa
La suite, così come la quasi totalità delle forme musicali, risulta essere nella sua storia una
questione di personali intenti, scelte e persino di necessità più che di preciso accademismo e
canonizzazione. Difatti, pur non essendo priva di una svariata trattatistica o comunque di una
documentazione che ne provi quantomeno ad evidenziare i caratteri più comuni – per quanto
spesso tali documenti venissero prodotti a posteriori quando una certa pratica era ormai già
diffusa – questa forma non si configura mai realmente come stilizzata, con una struttura
duratura nel tempo e universalmente condivisa. Piuttosto si configura come una forma i cui
caratteri e la cui struttura sono stati spesso dettati dalle esigenze artistiche dei compositori;
sicché, è accaduto spesso che dall’opera di alcuni, spesso non precisamente identificabili, si sia
giunti ad avere una pratica di scrittura più o meno diffusa e condivisa. Risulta quindi totalmente
nella norma individuare in uno stesso periodo storico esempi di suites differenti tra loro, così
come trovare suites che condividano ampiamente idee di fondo o abbiano caratteri simili.
In questa analisi cercherò di evidenziare come uno dei compositori che più ha contribuito allo
sviluppo della Suite – ossia Johann Sebastian Bach – vi si sia approcciato.
La bibliografia è indicata direttamente in nota nel testo.
1
Considerazioni generali sulle suites tastieristiche
● Suites varie e movimenti di suite, ovvero una serie di composizioni non raccolte
sistematicamente ma comunque di grande rilevanza;
● Suites “francesi”, suites “inglesi” e Partite, qui esposte insieme anche se verranno
analizzate singolarmente in quanto parte di un set ampio costituito appunto da raccolte
di suites;
● Overture sul gusto francese, suite molto particolare che merita una sua personale
analisi.
1 ALBERTO BASSO, Frau Musika, Torino, EdT, anno, II, pp. 678-679.
2
Le suites varie e i movimenti di suite
Fanno parte di questi due raggruppamenti composizioni che non appartengono a una specifica
serie o a una ideale raccolta pensata dal compositore ma che restano, per così dire, casi isolati.
Nello specifico:
● le suites varie, sono quelle che non hanno tra loro legami e non furono composte
secondo una logica ciclica o comunque con la finalità di realizzare una macro raccolta;
● i movimenti di suite, sono le tipiche danze che si ritrovano in una suite ma giunte quali
composizioni a sé stanti (o talvolta accoppiate a un’altra danza).
Purtroppo poche altre cose si possono dire a proposito di queste composizioni, in quanto le
informazioni sono davvero scarse: vi sono molte incertezze sulla loro datazione e per alcune
sorgono addirittura dubbi in merito alla paternità del compositore. La sola cosa dunque che
resta da fare per cercare di capirle meglio è costruire ipotesi. Ecco quelle che ho formulato io:
in primo luogo, ritengo che alcuni di questi esempi siano composizioni giovanili e che taluni
addirittura rappresentino i primi esperimenti in ambito di suite che il compositore mosse; dico
questo soprattutto in relazione a piccolissime suites come la BWV 832 (in la maggiore) e ancor
più ai movimenti di suite che sembrano rappresentare un chiaro richiamo a quella che era la
precedente struttura della suite per tastiera (o comunque della suite in generale).
In secondo luogo, ho supposto che un’altra parte di queste composizioni sia invece da ascriversi
al campionario di pezzi didattici che il compositore scrisse o adottò per la sua famiglia e la sua
posteriorità, affinché le nuove generazioni di musicisti avessero una profonda istruzione
musicale.
Tali opere sono inserite nel catalogo di Wolfgang Schmieder 2 rispettivamente negli intervalli
di opere BWV 818-824 e BWV 832-845.
3
Prima sezione dell’Aria detta per le trombe, tratta della suite BWV 832 in la maggiore. Impostata
secondo una struttura molto semplice, non manca tuttavia di richiamare alla mente (come suggerisce il
titolo) l’idea di una solenne e cantabile melodia per tromba barocca che quasi ricorda il Gloria dalla
Messa in si minore (BWV 232).
Qui si può osservare l’inizio dell’ouverture (suite) BWV 820, così definita a motivo dell’Ouverture alla
francese posta in apertura della composizione. Una sua particolarità è quella di avere una danza definita
Entrée (qui sotto rappresentata) in sostituzione della tradizionale Allemanda.
4
Le suites inglesi, francesi e le Partite
Anche se la datazione di due di queste tre importantissime raccolte presenta ancora un certo
margine di incertezza, si è ormai abbastanza convinti del fatto che le suites inglesi furono
composte durante il soggiorno del compositore a Cöthen, ovvero tra il 1717 e 1723 e che siano
quindi precedenti sia alle suites francesi, composte probabilmente tra il 1722 ed il 1725 e cioè
gli anni in cui Bach si mosse da Cöthen per stabilirsi a Lipsia, sia alle Partite, composte tra gli
anni ‘25 e ‘30 del 1700. Tali ipotesi sulla datazione sono avvalorate anche da un elemento: la
circolarità che si viene a creare tra queste tre raccolte. Una circolarità che, volendo, si può
ricondurre essenzialmente agli aspetti della struttura e della tonalità: della struttura, in quanto
le Partite richiamano molto nella loro impostazione le suites inglesi, sicché idealmente
potremmo teorizzare uno schema di questo genere: A (suites inglesi) – B (suites francesi) - A’
(Partite); della tonalità, invece, in quanto è presente una certa sequenzialità nelle tonalità dei
vari brani che rende quindi tutte queste suites strettamente collegate. Un brevissimo schema
per configurare anche visivamente questo discorso.
La maggiore
La minore
Sol minore SUITES INGLESI
Fa maggiore
Mi minore
Re minore
Re minore
Do minore
Si minore SUITES FRANCESI
Mi bemolle maggiore
Sol maggiore
Mi maggiore
Si bemolle maggiore
Do minore
La minore
Re maggiore PARTITE
Sol maggiore
Mi minore
5
Le suites inglesi
Il titolo di suites inglesi non fu naturalmente dato da Bach – il quale le chiamò dapprima
«Préludes avec leur suites» e successivamente «Suites avec Prélude» – ma dal suo biografo
Johann Nikolaus Forkel. 3 Sulle motivazioni di tale scelta sono state formulate due ipotesi:
secondo la prima questo avvenne in quanto in una copia di queste composizioni di Johann
Christian Bach figura la didascalia «faites pour les anglois»; altra teoria si basa sul fatto che
tale definizione derivi dalla struttura sostanzialmente identica a quella usata a quel tempo dai
compositori francesi che si trovavano in Inghilterra, la quale prevedeva un preludio in apertura
e brani in forma di danza posti al suo seguito. Nella fattispecie poi, le suites inglesi hanno al
loro interno una distinzione ancora più particolareggiata: dopo il già menzionato Prélude si
trovano danze fisse – le tradizionali Allemande, Courante, Sarabande e Gigue – e le cosiddette
galanteries, ovvero alcune danze addizionali poste prima dell’ultima danza fissa. Se sulle
danze fisse non sono necessarie qui ulteriori informazioni, 4 sui preludi e le galanteries può
essere utile fornire qualche spiegazione aggiuntiva, in quanto una loro corretta analisi favorisce
indubbiamente una maggior comprensione della bellezza e dell’intensità di questi pezzi. A
proposito dei preludi possiamo evidenziare alcune differenze stilistiche: il primo infatti, a
differenza degli altri cinque, risulta essere praticamente l’unico che adotti realmente una
scrittura preludiante (dalla caratteristica apertura in terzine che passano tra le due mani
all’infittimento del discorso polifonico) e che non preveda alcun ritornello; tutti gli altri invece
adottano in primo luogo una scrittura fugata, che se da un lato toglie un po’ quello stile
improvvisativo, dall’altro non fa perdere l’atmosfera tipica del preludio, grazie soprattutto a
quegli incipit anacrusici e a quei “soggetti” in genere alquanto brevi (eccezion fatta forse per il
quinto che è il più esteso) che subito si risolvono e che danno l’idea di qualcosa che parta in
medias res; in secondo luogo adottano tutti una struttura ritornellata, con la differenza che i
ritornelli della seconda, quinta e sesta sono molto più estesi delle altre due e che il ritornello
del quarto preludio fa sì che esso si configuri sostanzialmente come una sorta di Aria all’italiana
con struttura A-B-A.
Le galanteries sono danze addizionali (il termine francese sta per galanti) che hanno diverse
funzioni ed origini e il loro inserimento dipende dalla volontà del compositore. Nelle suites
inglesi le galanteries più frequenti sono per lo più quelle di stampo francese: le doubles, che
possono essere una o più d’una e sono in genere associate a una danza precedente della quale
costituiscono intense variazioni (ad esempio la suite n.1); le bourrées, anch’esse presenti in
numero di una o più, sono danze tipiche dell’Alvernia; les agréments, sono sostanzialmente
delle variazioni della precedente danza ma con una funzione di ornamentazione (è il caso della
seconda e della terza suite, alla cui Sarabanda sono associate queste variazioni molto intense);
i passepieds, altre danze tipicamente francese, sono anch’esse in genere presenti in numero di
uno o due(vedi ad esempio la suite n. 5); le più tradizionali gavottes, anch’esse francesi (suite
n.6) ed infine i minuetti (due occorrenze nella suite n.4).
3JOHANN NIKOLAUS FORKEL, Ueber Johann Sebastian Bachs Leben, Kunst und Kunstwerke: Für patriotische
Verehrer echter musikalischer Kunst Lipsia, 1802, ed. inglese, London, Constable & Company, 1920, p. 128.
4 Si ritiene utile rimandare alle brevi ma concise descrizioni contenute in ELVIDIO SURIAN, Manuale di storia della
musica. Dalla musica strumentale al Cinquecento al periodo classico, vol. 2, Milano, Rugginenti, 20105, pp. 30-
35.
6
Le suites inglesi (BWV 806-811) si presentano come una sfida molto intensa per qualsiasi
esecutore: la scrittura polifonica è quasi sempre molto fitta e alcuni passaggi, specialmente nei
preludi e nelle danze veloci, richiedono una buona dose di abilità tecniche e persino
virtuosistiche. Ciononostante, la loro bellezza è sempre sorprendente e coinvolgente e ancora
una volta manifesta la genialità di Bach nel conciliare il bello e l’artistico con l’aspetto
prettamente tecnico.
Preludio della prima suite in la maggiore BWV 806. Come si può notare, l’incipit in terzine molto libere
contribuisce a dare uno slancio dinamico che evidenzia l’idea dell’apertura e del preludio libero, anche
se il materiale si infittisce subito dopo.
7
Qui sopra si può osservare la Sarabanda tratta dalla suite n. 3 BWV 808 in sol minore, che appare come
trasfigurata nella sua versione abbellita «les agréments de la même Sarabande» (seconda immagine).
Qui invece è riportata l’apertura del preludio della quinta suite BWV 810 in mi minore, che sembra
configurarsi come una vera e propria fuga tonale.
8
Le suites francesi
A proposito della titolazione “alternativa” anche per questa raccolta vale più o meno il discorso
fatto precedentemente per le suites inglesi: non fu Bach ad idearla, ma Friedrich
Wilhelm Marpurg, musicista e teorico della musica tedesco. La motivazione principale che
mosse Marpurg ad elaborare tale titolo fu con ogni probabilità la volontà di delineare una certa
distinzione tra questa raccolta e le suites inglesi, dal momento che, nonostante le varie
somiglianze, le suites francesi (BWV 812-817) presentano comunque alcune differenze
abbastanza appariscenti; non hanno infatti alcun preludio in apertura, ma per tutte il primo
pezzo è una Allemanda; non fanno uso di danze che abbiano sostanzialmente lo scopo di
abbellire o variare una danza immediatamente precedente; tutte le galanteries sono poste
sempre e solo dopo la Sarabanda; nessuna danza nazionale è presentata più di una volta (cosa
che accadeva per le Courantes della prima suite inglese) e inoltre l’invenzione
contrappuntistica, pur essendo molto elaborata, viene indirizzata verso un carattere meno
estroverso, più intimo e quindi riflessivo (un elemento forse, questo, che pure si manifestava
nelle suites inglesi, ma che spesso era relegato alle danze più lente). Tutti questi elementi, che
si potrebbero definire macro differenze, vanno poi a sommarsi ad alcuni altri forse meno
appariscenti ma che contribuiscono ancora una volta a regalare una certa unicità a questa
raccolta. Uno fra tutti potrebbe essere la presenza di alcune danze addizionali abbastanza
atipiche: l'Anglois della terza suite, una danza che partiva effettivamente dall’Inghilterra ma
che poi venne introdotta e stilizzata alla corte francese e la Polonaise della sesta, di origine
effettivamente polacca. Abbiamo dunque un panorama molto vario, che non risulta affatto di
semplice approccio ed esecuzione ma che offre ad ogni buon musicista una sfida sempre
attuale.
Un elemento di curiosità, così per chiudere il paragrafo, è il fatto che il Forkel suppose che
queste suites fossero state denominate francesi poiché in esse abbondava il gusto francese 5.
Naturalmente l’ipotesi del Forkel fu presto bocciata perché queste suites non sono affatto
imperniate sul gusto francese, anzi: gli unici elementi effettivamente francesi sono le Courantes
delle suite n. 1 e n. 3 (tutte le altre sono delle Correnti all’italiana) e alcune galanteries di
stampo francese, come la Gavotte della suite n. 5 oppure i vari Minuetti delle prime tre suites;
tutto il resto appartiene a stili e gusti diversi.
9
Le partite
Giungiamo infine a quello che definirei senza dubbio uno dei paragrafi centrali di questa
trattazione e cioè quello dedicato alle sei partite. 6 Composte tra il 1726 ed il 1730, queste suites
sono spesso considerate uno dei gioielli della produzione tastieristica bachiana e costituiscono
indiscussamente anche una delle opere più significative prodotte nell’ambito di tutta la
produzione musicale prettamente strumentale del compositore; infatti, nonostante al tempo
della loro scrittura fossero già state ultimate composizioni di bellezza e profondità inopinabili,
fu con queste partite che egli scelse di introdursi nel mercato editoriale musicale in proprio per
la prima volta, facendo di esse la sua prima effettiva pubblicazione. Tale scelta, si potrebbe
dire, a mio avviso, motivata sostanzialmente dai differenti scopi che il compositore concepì per
queste composizioni rispetto alle altre e non, come si accennava già prima, da una loro ipotetica
superiorità artistica. Per fare un esempio che fra tutti sia forse il più rappresentativo, pensiamo
al fatto che negli anni in cui uscirono le partite era già stato completato il primo volume di quel
capolavoro che Bach intitolò «Das Wohltemperierte Clavier»; una raccolta che, sembra fin
banale fare questa osservazione, non aveva (né ha tutt’ora) proprio nulla in meno rispetto alle
partite dal punto di vista della bellezza artistica, della difficoltà tecnica e sicuramente della
profondità delle tecniche compositive. Tuttavia, fino ai primi anni dell’Ottocento (la prima
edizione a stampa è del 1801) quest’opera non circolò mai in altro modo che in forma di
manoscritto, rimanendo quindi per alcuni decenni appannaggio di pochi studiosi. Come
suddetto, le vere motivazioni a monte di questa realtà sono state i differenti scopi e destinazione
d’uso. Nella fattispecie poi, per quanto riguarda le partite una parte di queste informazioni ci
vengono chiarite da Bach stesso sia nel frontespizio dell’edizione del 1726 della Partita I 7 sia
nel frontespizio della prima parte di quella importantissima raccolta intitolata Clavier Uebung
uscita nel 1731, nella quale erano per l’appunto pubblicate tutte e sei le partite. Andiamo ad
osservarne brevemente i contenuti (immagini a pagina seguente) adoperando una sintetica ma
accurata traduzione.
6 Il termine Partita ha una storia alquanto affascinante. Originariamente indicava un pezzo composto per strumento
solista (solitamente un liuto o una tiorba o anche alcuni strumenti a tastiera); successivamente assunse il significato
di un pezzo composto come variazione di un brano (come le «Partite diverse sopra O Gott, du frommer Gott» di
Bach) e solo in ultimo luogo si configurò come sinonimo del francese Suite.
7 È fondamentale ricordare che Bach fece pubblicare le partite già singolarmente tra il 1726 ed il 1730. Nello
specifico: la prima e la seconda nel 1726; la terza nel 1727; la quarta nel 1728; la quinta nel 1729 ed infine la sesta
ed ultima nel 1730. Da notare che assieme alla quinta partita uscì anche una notizia sul Leipziger-post nel quale
il compositore preannunciava al pubblico che di lì a poco sarebbero state pubblicate altre due partite; tuttavia
evidentemente Bach tornò sui suoi passi quando nel 1730 pubblicò la sesta, tanto è vero che nel Clavier Uebung
abbiamo solo 6 partite.
10
Quello del 1726 recita così:
Esercizio per tastiera, consistente
in Preludi, Allemande, Correnti,
Sarabande, Gigue, Minuetti ed
altre galanterie, Composto per
gli amatori, per il refrigerio del
loro spirito, da Johann Sebastian
Bach, Maestro di Cappella
presso la corte di Hochfurst
Anhalt-Cothen e Direttore di
musica corale in Lipsia. Partita I.
Pubblicato dall’autore. 1726.
Da una prima analisi emergono delle informazioni importanti: sin dall’uscita della singola
Partita I si capisce subito che l’idea di fondo che mosse il compositore nello scrivere queste
suites fu quella di costituire un eserciziario da destinarsi agli amatori della musica e cioè a
coloro che pur non essendo esperti conoscitori o professionisti avevano un grande desiderio di
apprendere; non si trattava dunque di composizioni destinate ad una sorta di élite.
Effettivamente poi, questa idea trova la sua più ampia conferma proprio nell’edizione del 1731,
quando il titolo Clavier Uebung diventa sostanzialmente il titolo di un’intera raccolta che sarà
suddivisa in ben 4 parti (pubblicate ciascuna in un anno differente) e di cui le partite
costituiscono proprio la prima 8, segno dell’intenzione del compositore di voler costituire un
8 Le parti del Clavier Uebung sono rispettivamente così costituite: la parte prima, costituita dalle partite e
pubblicata nel 1731, esplora la forma della suite elevandola ad un livello altissimo; la parte seconda, pubblicata
nel 1735, è un’esposizione delle conoscenze di Bach a proposito del concerto grosso all’italiana e della suite-
overture sul gusto francese ed è infatti costituita dal Concerto sul gusto italiano e dalla Overture sull’arte francese
(entrambe concepite espressamente per clavicembalo a due manuali); la terza parte, pubblicata nel 1739, è
costituita da uno dei capolavori organistici per eccellenza in quanto comprende una messa organistica luterana
mentre la parte quarta, pubblicata nel 1741, è costituita dalle cosiddette Variazioni Goldberg (il cui titolo in realtà
11
manuale completo e ben definito e che in un certo senso voleva essere anche un omaggio ad
uno dei mentori di Bach, ossia Johann Kuhnau, il quale già aveva introdotto questa idea con il
suo Neuer Clavier Uebung contenente ben 14 partite. Una situazione si potrebbe dire quasi
opposta a quella che accadde, come anticipato, con il WTC, i cui intenti erano, in un certo
senso, meno estroversi. Anche in questo caso, per comprendere meglio il tutto, ci può essere
d’ausilio consultare il frontespizio della copia manoscritta del compositore. Per tradurre
sommariamente e prendere l’essenziale esso recita: Il clavicembalo 9 ben temperato; ovvero
preludi e fughe in tutti i toni e semitoni; inclusi quelli con la terza maggiore e la terza minore,
per l’uso ed il beneficio dei giovani musicisti desiderosi di apprendere e per lo speciale
passatempo di coloro che sono già versati in questo studio; ordinati e composti da Johann
Sebastian Bach, maestro di cappella e direttore di musica da camera presso la corte del
Principe di Anhalt-Cothen, anno 1722. 10 Come si può notare, facendo una breve analisi di
questo paragrafo emerge una certa specificità sia del pubblico al quale questa raccolta era
destinata sia degli intenti con i quali essa era stata scritta: il compositore voleva proporre, sia
ai giovani musicisti che da poco si approcciavano all’arte compositiva sia a coloro che essendo
già abili volevano godere di alcuni momenti ricreativi ed altamente educativi, una specie di
manuale didattico (dal carattere direi quasi enciclopedico) che esplorasse approfonditamente
la grandissima varietà di soluzioni adoperabili sia per una forma libera quale il preludio, sia
per una più rigorosa quale la fuga, da potersi consultare durante il percorso di studi più intimo
e personale. A differenza dunque di quanto era valso per le partite, ci troviamo dinanzi ad
un’opera destinata a degli specifici fruitori, i quali dovevano essere, in un certo senso, preparati
quantomeno intenzionalmente ad affrontare le difficoltà intellettuali e pragmatiche che essa
presentava; ecco dunque la prudente scelta del compositore di investire editorialmente e quindi
economicamente sulle suites, che con i loro amatori avrebbero sicuramente garantito successo
editoriale, piuttosto che sul WTC, il quale probabilmente al tempo non avrebbe riscosso molta
popolarità. Naturalmente e potrebbe sembrare a discapito di quanto finora detto, bisogna
considerare un elemento storico non indifferente: nonostante il compositore avesse pensato alle
partite quali composizioni per grande pubblico, non significa assolutamente che esse fossero
poi realmente alla portata di tutti. È pur vero che nell’intestazione egli adopera il termine
amatori, ma è altresì vero che non tutti gli amatori della musica erano(e lo sono in generale) in
grado di potersi cimentare in una sfida tanto ardita quanto quella proposta da queste suites:
spesso di difficoltà veramente elevata, esse scardinano spesso il concetto di suites che era
diffuso nei contemporanei facendo di ogni danza l’occasione per proporre una personale
interpretazione di ciascuna di esse, richiedendo dunque all’esecutore buone capacità tecniche
e profondità espressiva che possano valorizzare la grande eterogeneità di ciascuna suite ed
sarebbe Aria con diverse variazioni), comprendente un’aria-tema seguita da 30 variazioni anch’esse scritte
esplicitamente per clavicembalo a due manuali.
9 Il termine clavicembalo è qui riportato secondo l’uso e la tradizione italiana, ma come ben noto il termine
originario è sempre Clavier, ossia tastiera. Anche per questa raccolta non è specificato uno strumento specifico e
questo è sicuramente in ragione dello scopo della raccolta.
10 Il testo originale recita così: Das Wohltemperierte Clavier; oder Praeludia, und Fugen durch alle Tone und
Semitonia, So wohl tertiam majorem oder Ut Re Mi anlangend, als auch tertiam minorem oder Re Mi Fa
betreffend. Zum Nulzen und Gebrauch der Lehrbegierigen Musicalishen Jugend, als auch derer in diesem studio
schon habil seyenden besonderem Zeit Vetreib auffgesetzet und verfertiget von Johann Sebastian Bach. p.t.:
HochFürstlich Anhalt Cothenischen CapelMeistern und Directore derer Cammer Musiquen. Anno 1722
12
esaltare la bellezza dei passaggi che adoperano il più ardito e fitto contrappunto o comunque la
più intricata polifonia. Un concetto simile è esposto a grandi linee anche dal Forkel nella sua
biografia bachiana, quando parlando delle partite egli si esprime in questo modo: «Tale opera
era parecchio conosciuta al tempo. Non si erano viste né udite prima d’allora composizioni per
tastiera di tale spessore. L’uomo che fosse stato in grado di suonarle sarebbe sicuramente
divenuto un successo». 11 Come si denota dalle espressioni impiegate da Forkel, non accadeva
quindi sovente che i molti dilettanti fossero in grado di cimentarsi spensieratamente in tali
composizioni, riuscendo a raggiungere un buon livello esecutivo. A mio avviso le cause di
questa situazione non sono affatto da ascriversi ad un errato metro di giudizio del compositore
o ancor peggio ad un suo tentativo di guadagnare denaro tramite un falso messaggio; piuttosto
le ritengo imputabili ad un suo differente metro di giudizio, secondo il quale probabilmente un
buon amatore era una persona che dedicava tantissimo impegno ed attenzione
all’apprendimento dell’arte musicale pur non potendo permettersi un insegnante e che quindi
fosse in grado di poter fare tesoro delle varie sfide che tali suites proponevano per poter affinare
la propria tecnica ed il proprio gusto musicale. In brevi termini, probabilmente per Bach
l’amatore non era un semplice suonatore da salotto, ma uno studente appassionato.
Ad ogni modo, nonostante le difficoltà varie, il successo di questi brani fu ampio, come ci
ricorda il Forkel, sicché nei circoli musicali del tempo poterne udire anche solo alcune danze
destava grande entusiasmo negli ascoltatori; una prospettiva, quest’ultima, abbastanza diversa
da quella dei nostri giorni, nei quali sembra inconcepibile suonare delle singole danze
estrapolate dalle varie suites invece di presentare le loro esecuzioni integrali. Debbo dire che
tale ragionamento non viene a caso, ma ha una sua fondatezza se si considerano, soprattutto
per alcune suites, gli evidenti elementi di richiamo che legano ogni danza, quasi a realizzare
un discorso ininterrotto; un aspetto questo che meglio si può comprendere proprio mettendo in
luce alcuni casi. Naturalmente qui non abbiamo lo spazio per poter analizzare tutte le partite,
tuttavia dedicherò nelle prossime righe, come anticipato nei primi capitoli, una breve ma
accurata analisi della sesta partita, in quanto a mio avviso la più intensa e complessa dal punto
di vista compositivo e della profondità espressiva.
13
La sesta partita
Sicuramente la più estesa della raccolta ed anche una delle più drammatiche, questa partita,
scritta nella tonalità di mi minore, è costituita, così come le altre cinque, da una macro struttura
alquanto tradizionale, che richiama chiaramente quella delle Suites inglesi (preludio + danze
fisse e galanteries). La composizione apre infatti con una Toccata, la quale è senza dubbio il
movimento più esteso di tutta la raccolta; seguono poi una tradizionale Allemande, una
Corrente, un Air, una Sarabande, una Gavotte ed infine la Gigue. Osserviamo più da vicino i
vari movimenti per cercare di carpirne gli elementi fondamentali.
La Toccata, una forma che come sappiamo possiede di norma un carattere molto
improvvisativo, presenta qui una sua struttura interna ben definita; si possono infatti
individuare tre specifiche macro sezioni, ciascuna delle quali viene articolata seguendo dei
principi di circolarità e linearità che contribuiscono alla realizzazione di una perfetta organicità
della composizione; sicché anche in questo caso potremmo teorizzare uno schema di tipo A
(prima) – B (seconda) – A’ (terza, ossia il finale). Andiamo a svolgere un’analisi più da vicino,
considerandole proprio una ad una.
La prima macrosezione è caratterizzata in linea generale da una scrittura alquanto libera e
scorrevole propria di un impianto tipico toccatistico, anche se non mancano dei brevi episodi
caratterizzati invece da un andamento più rigoroso e lineare, sicché idealmente si potrebbe
pensare di dividerla in tre o addirittura quattro sottosezioni: una prima, alquanto libera,
caratterizzata dal continuo alternarsi di estesi arpeggi di grande impatto drammatico e di gruppi
di sette note che fungono da collegamento melodico ed armonico; una seconda, caratterizzata
invece dalla presenza di una figurazione melodica molto più lineare e cantabile, che viene
esposta secondo uno stile imitativo dapprima nella linea melodica superiore, ossia del soprano
e in secondo luogo in quella inferiore, ossia del basso; una terza, che altro non è che il
proseguimento dell’idea più improvvisativa della prima sottosezione ed infine una quarta, nella
quale oltre alla ripresa dell’idea e del disegno melodico più cantabili e regolari della seconda
viene inserita una specie di coda, dai caratteri nuovamente improvvisativi, che ha la
fondamentale funzione di concludere questo primo grande episodio musicale e lasciare lo
spazio alla seconda macrosezione. Quest’ultima, che è anche la più estesa delle tre, si configura
praticamente come un fugato a tre voci (che ha tuttavia una certa libertà da alcuni vincoli
polifonici), il cui tema, abbastanza breve, è costituito da quelli che definirei brevissimi
frammenti musicali (poche note alternate a silenzi), i quali contribuiscono a generare
un’atmosfera abbastanza tesa e drammatica, che sembri quasi indicare un processo di dolorosa
ricerca. La sua struttura è indubbiamente complessa da analizzare in quanto ricca di vari
elementi musicali - divertimenti vari, citazioni dal soggetto, imitazioni diverse tra le voci etc.
- tuttavia, nei suoi vari sviluppi, quello che sicuramente emerge più del resto è la presenza di
una evidente circolarità che va a coinvolgere sia la stessa sezione sia in generale la toccata
intera, grazie soprattutto ad alcuni elementi di richiamo melodici; sicché, nel volgere alla sua
conclusione, questa seconda sezione rende proprio l’effetto di trovarsi in un dialogo continuo
ed ininterrotto, che abilmente riesce a confluire nella terza ed ultima macrosezione quasi come
conseguenza di quanto esposto fino a quel momento, non dando quindi all’ascoltatore l’idea di
una composizione divisa in tre parti. A proposito poi della già menzionata ultima sezione, non
c’è moltissimo da poter dire in quanto non è che il netto richiamo della prima: l’impianto è
14
nuovamente quello toccatistico, con i suoi elementi caratterizzanti e appare nuovamente una
scrittura meno vincolata e piuttosto libera. Le uniche differenze sono l’assenza, questa volta,
degli inserti regolari e più lineari e il fatto che, essendo questa parte la conseguenza di un
precedente episodio musicale, la tonalità di partenza è Si minore, anche se prontamente, dopo
pochi sviluppi, il compositore riconduce tutto a Mi minore. In ultimo luogo, questa sezione
conclusiva è caratterizzata da un’atmosfera alquanto tesa e concitata che va a scemare
esclusivamente verso il vero e proprio finale, risolto effettivamente in brevissimo tempo tramite
una evidente riduzione del materiale tematico che trova il suo punto ultimo di appoggio sulla
tipica e tuttavia mai di troppo cadenza piccarda. Termina a questo punto il primo grande
episodio musicale e dalla grandiosità di questa Toccata, ci spostiamo all’atmosfera
decisamente più intima ma pur sempre molto drammatica della seguente Allemande.
Dal punto di vista formale, essa può essere considerata sostanzialmente come una
composizione a due voci, nella quale tuttavia non mancano i momenti di ripieno accordali che
hanno spesso la funzione di evidenziare più enfaticamente le varie progressioni armoniche e le
varie modulazioni, le quali costituiscono, come ci suggerisce Friedrich Wilhelm Marpurg in un
suo saggio 12, gli elementi vitali attorno ai quali ruota in generale tutto lo sviluppo della danza.
Considerando poi l’aspetto melodico, si può osservare l’alternanza di momenti di estrema
linearità e cantabilità, nei quali le voci procedono per lo più per gradi congiunti presentando
interessanti fioriture e momenti caratterizzati da una più accentuata drammaticità, in cui
simboliche discese cromatiche, proprie della retorica del periodo, vengono sviluppate su una
maggiore ampiezza intervallare, evitando quindi l’impiego di semplici scale. In ultimo luogo
poi, possiamo osservare come dal punto di vista ritmico vi siano due figurazioni predominanti
che danno l’indispensabile vitalità a tutto il discorso musicale e che in un certo senso
potrebbero richiamare un’idea esecutiva dal gusto francese (anche se questa è una scelta dettata
anche dal gusto personale dell’esecutore).
Procedendo oltre l’Allemande, si trova l’altra danza canonica, ossia la Corrente. Di struttura
bipartita, anche se si può individuare una piccola ripresa variata dell’idea posta in apertura, la
sua impostazione ritmico musicale è, come suggerisce il nome stesso, quella tipica della
“corrente all’italiana”, basata quindi su una scrittura che conferisca un andamento molto veloce
e scorrevole; figure cardine di questo movimento sono infatti la sincope, la quale aggiunge tra
l’altro un quid di frenetico e le rapide scale. Sul profilo invece melodico, la Corrente procede
spesso per strade alquanto ardue e non di facilissima cantabilità: notevoli sono alcuni intervalli
di seconda eccedente, settima diminuita ed anche alcuni di quinta diminuita e notevoli sono
anche le modalità di gestione delle aperture e delle chiusure delle frasi musicali, sviluppate
rispettivamente le une verso la tessitura più acuta e le altre verso quella più grave, eccezion
fatta per le due cadenze di fine sezione che imprimono un ultimo slancio vitalistico tramite una
rapidissima ascesi. Dal punto di vista armonico poi, anche questa danza sfrutta molto le
modulazioni a tonalità vicine e numerosi sono i cromatismi adoperati sia nella linea di basso
sia nella stessa linea superiore. In ultimo luogo, trovo che un elemento sempre sorprendente
che questa Corrente mette in luce sia il collegamento tra il Bach maturo ed il Bach un po’ più
giovane, soprattutto in relazione alle opere dei diversi periodi; difatti, trovo una fortissima
12 FRIEDRICH W ILHELM MARPURG, Clavierstücke mit einem practischen Unterricht für Anfänger und Geübtere,
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somiglianza tra questa Corrente e l’Invenzione a due voci in Mi maggiore: l’idea ritmica è
sostanzialmente la stessa, anche se il carattere dell’invenzione presenta naturalmente un’idea
musicale più distesa e tranquilla.
Situazione alquanto opposta, per così dire, avviene con la successiva Air. Pur mantenendo
sempre un atmosfera ed un’impronta drammatica, essa è pur sempre un’Aria strumentale, che
porta quindi con sé i suoi tipici connotati: estrema cantabilità, semplicità ritmica, linearità della
melodia, semplicità anche dal punto di vista armonico, che evita quindi complicate
modulazioni a toni lontani ed in ultimo luogo la presenza della struttura bipartita. Come poi
spesso accade nelle composizioni contrappuntistico-imitative, la melodia principale si alterna
tra basso e soprano fra le due sezioni, anche se nella seconda sezione è il basso ad avere
decisamente il ruolo più preminente. Un ultimo commento a proposito di questa Air:
personalmente, l’ho sempre considerata una specie di breve momento di riposo e di quiete, nel
quale ritrovare, dopo l’intensità dei brani precedenti, le energie e la concentrazione per
eseguire, ma anche ascoltare, ciò che verrà dopo.
Passiamo ora a quello che definirei, probabilmente assieme alla Toccata, uno dei movimenti,
ossia delle danze, più importanti di tutta la sesta partita: la Sarabande. Caratterizzata da
un'atmosfera generale di grande profondità, serietà ed introspezione, nella sua sola apertura
essa costituisce il punto di collegamento esatto con l'apertura della Partita, segnando quindi la
conclusione di un primo grande periodo musicale. Le figurazioni melodiche ed armoniche
richiamano infatti nettamente la prima sezione della Toccata, mentre la sola differenza, almeno
all'inizio, è costituita dalle diverse figurazioni ritmiche, chiaramente riadattate per seguire il
carattere tipico della Sarabande. Pur seguendo poi i propri sviluppi, la scrittura molto fiorita e
di grande complessità e ricchezza polifonica richiama quell'aspetto quasi interrogativo e di
ricerca che era già stato introdotto dal fugato della Toccata, continuando a portare la tensione
generale sempre più in alto e arricchendo il contenuto di aspettativa anche da parte
dell'ascoltatore. In ultimo luogo, questa danza costituisce davvero il punto di raccordo massimo
di tutta la suite e il suo avvio verso la vera e propria conclusione dell'anello musicale, ossia la
Gigue. Quest'ultima danza, ha infatti una valenza doppia: da un lato, con il suo soggetto (la
scrittura è nuovamente fugata) accentua l'atmosfera interrogativa e forse la porta all'estremo
(intervalli di settima diminuita molto drammatici e retoriche figure imitative); dall'altro con il
suo grandioso finale in terza piccarda porta finalmente ad un rilassamento totale tanto atteso,
carico simbolicamente delle risposte alle tante domande poste in precedenza (una tecnica
questa che ritroviamo nella stessa partita sul finire della Toccata; questo tanto per chiudere il
cerchio senza lasciare dubbio alcuno).
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