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Il pericolo della storia unica

L’imposizione di un’unica narrazione ridotta a stereotipo da parte delle elite dominanti incide
sull’incontro culturale, pregiudicandolo.
Il racconto di Chimamanda offre notevoli spunti sul rapporto fra narrazione, potere, costruzione
dell’identità e orientamento nei confronti del diverso. Da piccola, la scrittrice scriveva storie simili a quelle
che leggeva, i cui protagonisti erano bianchi europei alle prese con le contingenze tipiche dei loro paesi di
origine (la neve, discorsi sul tempo atmosferico, certi tipi di alimenti e bevande). Nonostante Chimamanda
non si riconoscesse in questi elementi semantici, la sua azione, la scrittura, si conformava al paradigma
dominante, che prevedeva narrazioni di persone ed eventi caratteristici del mondo occidentale, distanti dal
panorama esperienziale di una bambina mai uscita dai confini della Nigeria: i suoi racconti riproponevano
quindi quasi meccanicamente gli stessi strani personaggi e gli intrecci narrativi delle storie che l’autrice
leggeva. La lettura di queste storie ha determinato la convinzione che per loro natura i libri dovessero
parlare di cose in cui la scrittrice non poteva identificarsi. La scoperta della letteratura africana ha
contribuito a cambiare profondamente la sua idea di letteratura grazie alla consapevolezza di poter essere
rappresentata all’interno di una dimensione narrativa. Significativamente, questo fatto ha rinnovato il suo
rapporto con la letteratura americana che, affrancata dal ruolo egemonico che rivestiva e colta nel suo
essere una delle tante possibili forme di espressione, è stata rivalutata come esperienza formativa che
stimola la curiosità, l’immaginazione, la conoscenza di nuovi mondi.
Molto spesso la storia unica è strettamente legata a dinamiche di potere che si esercitano
nell’ambito di conflitti sociali. Così l’opinione pubblica americana, in relazione all’immigrazione messicana,
si nutre delle immagini semplicistiche dei messicani fornite dai mass-media che orientano giudizi e
comportamenti: la storia unica sui messicani li ritrae indistintamente come immigrati spregevoli,
sottraendo la possibilità di riconoscerne la loro irriducibile complessità, la loro umanità. Ciò è correlato al
fenomeno della “categorizzazione” quale tendenza irriflessa a raggruppare le persone in categorie sulla
base di caratteristiche comuni, in questo caso modellate su costrutti stereotipati correlati alla narrazione
dominante che alimentano discriminazione e distanza. Anche Chimamanda è stata condizionata da questa
ricostruzione stereotipata: in occasione di una visita in Messico si è quasi meravigliata rendendosi conto
che i messicani si comportavano proprio come persone “normali”, con una dignità, intente ad occuparsi
delle loro faccende quotidiane come ridere, fare acquisti, fumare, mangiare assieme. Questa esperienza di
auto-riconoscimento dello stereotipo, oltre ad averle provocato un profondo moto di vergogna, l’ha fatta
riflettere sull’intimo rapporto che lega storia unica e potere: il potere è la possibilità non solo di raccontare
la storia di una persona o un popolo, ma di renderla la storia finale di quel popolo. Così, le immagini
mediatiche che hanno forgiato l’atteggiamento compassionevole della coinquilina di Chimamanda nei
confronti delle persone africane, hanno avuto il potere di diffondere un’unica storia sull’Africa,
rappresentata come continente contraddistinto da “persone incomprensibili che combattevano guerre
senza senso e che morivano di povertà e di AIDS, incapaci di far sentire la propria voce, in attesa di essere
salvati da uno straniero bianco e gentile”. Questa storia unica, secondo la scrittrice, deriva dalla letteratura
occidentale che ha contribuito a ritrarre l’Africa come luogo di negatività, mostruosa diversità e tenebre.
Diventa chiaro come l’antidoto contro l’egemonia tirannica della storia unica si identifichi nel
racconto di molte storie, che, fornendo un quadro narrativo complesso in cui si integrano e si completano
differenti prospettive, evitano che la narrazione unica sfoci nello stereotipo, indebita assolutizzazione di un
aspetto parziale della storia. Ciò investe il rapporto fra narrazione e verità: il problema degli stereotipi non
è tanto che non sono veri ma che sono incompleti, che trasformano, totalizzandola, un pezzetto di verità
nell’unica verità e finiscono così per mettere enfasi sulle diversità, misconoscendo la base di uguaglianza fra
le persone.
Così come le storie sono state strumentalizzate per creare divisioni e assoggettare popoli, esse
possono essere usate in chiave costruttiva, per restituire potere, umanizzare, dare la possibilità a chi non ha
mai avuto voce di sperimentarsi nel racconto. Di auto-affermarsi: è emblematico il caso della lettrice di un
romanzo di Chimamanda, una donna di ceto medio, talmente entrata nella storia da sentirsi libera di
suggerire all’autrice come proseguirla.

Fiorazzo

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