Nel 1877, sedici anni dopo l’Unità, il Parlamento del giovane Regno d’Italia avviò un’inchiesta
sulla realtà dell’economia agraria del paese: i documenti che la commissione d’inchiesta
raccolse rappresentano la più dettagliata fotografia del settore nell’Italia degli anni Ottanta
dell’Ottocento in cui è possibile conoscere il destino ch’era riservato ai bambini delle famiglie
contadine. I bambini venivano mandati negli asili fino a che non fossero pronti per lavorare,
una volta raggiunta l’età per lavorare nei campi seguivano i loro genitori e cominciavano a
dedicarsi ai mestieri della terra, aiutando i genitori nelle loro attività.
Anche nelle periferie delle grandi città industriali i bambini delle classi meno abbienti venivano
mandati a lavorare in fabbrica. Nel 1844 si tenne a Milano : il convegno, il più importante
dell’epoca in Italia in ambito scientifico, tra le questioni che emersero nella sesta riunione ci fu
quella del lavoro minorile. Negli atti, che contengono un rapporto sul lavoro minorile, si legge
un passaggio fondamentale: “già da 50 anni, voi lo sapete, nelle nazioni ove più irrefrenato
ferve il travaglio incomposto della moderna industria tutta ordinata sulla individuale
concorrenza, si cominciò a considerare il fanciullo come un più economico mezzo di
produzione: le macchine facevano agevolmente quel che prima con tanta fatica i muscoli virili;
non occorrea più, che un lavoro di pazienza e d’abnegazione, o tutt’al più di destrezza. Le
donne, gli spigliati fanciulli vi si trovarono meglio adatti dei membruti operai. Sono troppo noti
gli abusi che ne avvennero, dolorosi per l’umanità, pericolosi per lo Stato, ed alla stessa
industria dannosi. Fanciulli di 10, di 8, perfino di 5 anni, chiusi per 13 e talora per 15 ore in
mefitiche officine, legati ad un lavoro incessante, e quando più la natura non poteva, colle
percosse obbligati a muoversi ed a vegliare; i due sessi senza alcuna sorveglianza mescolati,
esposti a lunghi cammini sulle pubbliche vie; sonno faticoso ed interrotto; membra dolorose,
guaste, infiacchite; vecchiezza precoce: ed in prezzo d’un tal lavoro l’abbruttimento e la
corruzione che ispirano ribrezzo e disdegno anche ai pietosi”.
A distanza di trent’anni, la situazione non era affatto cambiata. Nel 1876, l’allora funzionario
ministeriale (in seguito deputato e poi anche ministro delle finanze) Vittorio Ellena compilò una
statistica industriale secondo la quale, nell’anno 1870, risultavano impiegati nelle fabbriche
italiane del comparto tessile ben 90.083 fanciulli, che costituivano più del 23% del totale della
forza lavoro del settore. I bambini, pur ricevendo un terzo del salario degli adulti, erano
comunque tenuti a orari di lavoro estenuanti (si superavano abbondantemente le dodici ore
giornaliere), a turni di notte, a lavorare in condizioni di lavoro insalubri, a permanere in una
condizione di analfabetismo (si consideri che, secondo i censimenti ufficiali del regno, nel 1881
i maschi sopra i sei anni d’età che non sapevano leggere né scrivere rappresentavano il 62%
del totale). Le prestazioni dei bambini, tuttavia, erano ritenute importanti, non soltanto in virtù
del loro costo più basso rispetto a quello di un adulto (si pensi al fatto che le macchine spesso
non richiedessero azioni per le quali era necessaria grande forza), ma anche perché erano in
grado di compiere operazioni precluse ai più grandi: nelle industrie tessili, per esempio, le
mani più piccole delle giovanissime operaie riuscivano a compiere meglio alcune operazioni
sui filati. Di conseguenza, l’impiego di minori presso industrie, fabbriche e manifatture era
decisamente esteso.
Nonostante questo problema fosse agli occhi di tutti, ci sono solo gli esempi di Giovanni Verga
e di Luigi Pirandello come denunce di quella situazione, Il punto è che secondo la mentalità
del tempo, non era strano che un bambino lavorasse nei campi o nelle officine: così, il tema
del lavoro infantile non fu uno dei più rilevanti del tempo, ma furono comunque diversi gli artisti
che se ne occuparono, alcuni animati da forti intenti di denuncia sociale, altri semplicemente
mossi dalla volontà di restituire una narrazione fedele del vissuto quotidiano di una comunità.
Nessuna mostra di rilievo ha mai affrontato l’argomento del lavoro minorile nell’Italia tra Otto e
Novecento, ma la recente mostra Colori e Forme del Lavoro di Palazzo Cucchiari a Carrara,
consente di esplorare alcuni degli aspetti della questione.
Una sala della mostra Colori e forme del lavoro a Carrara, Palazzo Cucchiari
N.CANNICCI
. Da anni minato da una fragile salute fisica e mentale, a seguito del decesso della madre
nel 1893 viene colpito da una crisi nervosa che lo porta a tentare più volte il suicidio e viene ricoverato
nell’ospedale psichiatrico di Siena
Le Istituzioni, dal canto loro, cercano in tutti modi di eliminare questa piaga attraverso la scuola
dell’obbligo, ma esistono parti dove non arrivano, dove famiglie e ragazzi preferiscono affidarsi ad altri
mezzi di sostentamento per poter vivere ed è un problema che non finirà mai, fin quando esisterà la
povertà.