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Russia nella Triplice intesa, provvede a sua volta alla mobilitazione dell’esercito. La
Germania, allora, dichiara guerra alla Francia e, per penetrare in Francia, invade il
Belgio (neutrale). La Gran Bretagna, allora, scende in campo contro gli Imperi centrali
(Germania e Austria).
Allo scoppio del conflitto, l’Italia si dichiara neutrale, decisione presa dal capo del
governo Antonio Salandra e giustificata dal carattere difensivo della Triplice Alleanza e
dalla consapevolezza dell’impreparazione delle forze armate italiane (costituite non solo
da giovani di leva, ma anche da cittadini richiamati alle armi, spesso sposati e padri di
famiglia). Successivamente, le forze politiche e l’opinione pubblica si spaccano sulla
questione dell’intervento contro gli Imperi centrali, nella speranza di ottenere Trento e
Trieste e di riunificare il Paese.
I neutralisti (i liberali giolittiani, i socialisti pacifisti, i cattolici) non vogliono che
l’Italia partecipi allo scontro, convinti che l’intervento in guerra sia dannoso per un
paese impreparato a una guerra moderna di massa. Gli interventisti (i socialisti
rivoluzionari, tra cui Benito Mussolini, i sindacalisti rivoluzionari, gli irredentisti, gli
interventisti democratici, i nazionalisti e molti intellettuali, tra cui Gabriele D’Annunzio
e i Futuristi), accomunati da uno spirito antigiolittiano, auspicano l’entrata in guerra per
affermare il prestigio dell’Italia contro le potenze autoritarie dell’Europa centrale, per
completare l’unità nazionale e per dare impulso all’economia.
Alla fine, il 26 aprile 1915 il capo del governo Salandra firma con l’Intesa il patto di
Londra, che impegna l’Italia a entrare in guerra nel giro di un mese in cambio di
concessioni territoriali (il Trentino, l’Alto Adige, Trieste, Gorizia, l’Istria, parti della
Dalmazia e il protettorato sull’Albania). Le manifestazioni interventiste di piazza (le
“radiose giornate” di maggio) e la volontà del re Vittorio Emanuele III e di Salandra
determinano l’entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915. Il comando
dell’esercito viene affidato al generale Luigi Cadorna.
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i Dardanelli, ma vengono sconfitti. Gli Inglesi, vengono sconfitti dai Turchi anche in
Mesopotamia.
Fino al 1917 sembra che gli Imperi centrali abbiano la meglio. Si liberano del fronte
orientale, perché la Russia, impegnata nella Rivoluzione russa, esce dalla guerra.
Infatti, la Rivoluzione bolscevica in Russia porta alla disgregazione dell’esercito e
spinge il governo rivoluzionario di Lenin a chiedere una pace senza annessioni e senza
indennità. La pace di Brest-Litovsk comporta per la Russia gravi perdite territoriali.
Gli Imperi centrali possono così far confluire tutti i loro uomini sul fronte occidentale
e su quello italiano, cioè sulle alture del Carso e lungo il corso del fiume Isonzo, dove
tra il 1915 e il 1916 si combattono numerose battaglie, tutte sanguinose ma senza alcun
risultato. Nel 1917 le truppe di Cadorna, stanche, cedono nei pressi del villaggio di
Caporetto (disfatta di Caporetto), consentendo agli Austriaci una travolgente avanzata,
che può essere fermata solo lungo il corso del Piave. Anche se, in seguito alla sconfitta,
l’Italia perde un’enorme porzione di territorio e moltissimi prigionieri, la disfatta di
Caporetto rappresenta una fortuna per l’Italia, perché il fronte italiano si rimpicciolisce
e diventa più facile da difendere.
Sempre nel 1917, per volontà del presidente Wilson, gli Stati Uniti rompono con
l’atteggiamento isolazionista (proprio della dottrina Monroe, che stabilisce la reciproca
non interferenza fra potenze europee e Stati Uniti) che ha finora prevalso ed entrano in
guerra a fianco dell’Intesa.
Il pretesto dell’entrata in guerra degli Stati Uniti è l’affondamento di una nave
americana durante la guerra sottomarina della Germania contro la Gran Bretagna. In
realtà gli Stati Uniti entrano in guerra perché stanno perdendo il loro mercato più
importante: l’Europa.
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Uno degli eventi più tragici del Novecento è il genocidio (= uccisione di una stirpe)
degli Armeni, riconosciuto solamente da alcuni Stati. Gli Armeni erano una
popolazione di religione cristiana ortodossa, che viveva all’interno dell’Impero
ottomano di religione islamica. Quando l’Impero ottomano entra in conflitto con gli
Imperi centrali (Germania e Austria) per allargare i suoi confini a discapito della Russia,
gli Armeni vengono accusati di essere delle spie che parteggiassero per l’Impero zarista.
L’Impero ottomano decide allora di deportare gli Armeni nella Siria e nella
Mesopotamia. Hitler riprenderà questo genocidio e le sue modalità nei confronti degli
Ebrei.
Quattro anni di guerra e molti milioni di morti non hanno prodotto mutamenti di
rilievo nella geografia del conflitto. La svolta che fa cambiare le sorti del conflitto è il
collasso degli Imperi centrali, a causa del venir meno dell’appoggio nelle retrovie,
dove le popolazioni manifestavano una crescente insofferenza per la miseria, la fame e
le privazioni provocate dal conflitto. Fra le popolazioni, infatti, dopo tre anni di lutti e di
fame, viene meno l’entusiasmo nei confronti di questo conflitto. Ha giocato un ruolo
importante anche il dramma psicologico vissuto dai soldati e dai civili.
Dopo la pace stretta con i Russi, i Tedeschi concentrano tutte le forze sul fronte
occidentale, dove però le truppe dell’Intesa infliggono ai Tedeschi una sconfitta nella
zona di Amiens. Ma non è questa la battaglia che mette fine alla guerra, perché il colpo
di grazia per gli Imperi centrali viene dal fronte italiano. Dopo Caporetto, Cadorna,
il quale incolpava i soldati italiani della sconfitta, di non credere più nella guerra e di
essere dei disertori, è sostituito da Armando Diaz, mentre a capo del governo viene
posto Vittorio Emanuele Orlando. Per ricostruire l’esercito italiano si ricorre
all’arruolamento anticipato della classe di leva 1899. La sconfitta di Caporetto trasforma
la guerra nella difesa del territorio nazionale, il che contribuisce a rendere le milizie
italiane più combattive. Il 24 ottobre 1918 l’Italia sbaraglia gli Austriaci nella battaglia
di Vittorio Veneto. Diaz riesce a tirar su il morale dell’’esercito e ciò porterà alla
vittoria contro l’Austria. L’Austria chiede l’armistizio, firmato a Villa Giusti, presso
Padova, il 4 novembre 1918, ancora oggi commemorato come giorno della vittoria e
festa delle forze armate.
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Capitolo 4. LA GRANDE GUERRA COME SVOLTA STORICA
La Grande Guerra è stata la prima guerra totale della storia, che ha mobilitato non
solo gli eserciti, ma anche le popolazioni, le istituzioni e i mezzi di informazione. Ha
portato sotto le armi quasi 65 milioni di uomini, provocando distruzioni senza
precedenti e causando da 8 a 10 milioni di morti.
Con la prima guerra mondiale crollano i quattro grandi imperi, pilastri dell’ordine
europeo centro-orientale:
- l’Impero austro-ungarico, che non esisterà più: dopo l’armistizio di Villa Giusti,
infatti, l’Austria abolisce l’impero e si proclama Repubblica. Dalla dissoluzione
dell’Impero asburgico nascono nuovi Stati, tra cui la Cecoslovacchia, e la Jugoslavia;
- il Reich tedesco: la Germania firma una resa molto dura con la Francia e viene
smembrata nell’attuale Germania e nella Prussia orientale, separate in mezzo dalla
Polonia;
- l’Impero ottomano, ridimensionato alla penisola anatolica, l’attuale Turchia;
- l’Impero zarista, abbattuto dalle due Rivoluzioni del 1917.
Alla conclusione del conflitto, Parigi è la città scelta dai vincitori per la messa a
punto dei trattati di pace. I protagonisti della conferenza di pace di Parigi (detta “di
Versailles”, perché lì si è svolta la discussione sul destino della Germania) sono i
rappresentanti degli stati vincitori: il presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, il
primo ministro francese Clemenceau, il primo ministro britannico Lloyd George, e
Vittorio Emanuele Orlando per l’Italia. Se, subito dopo la guerra, la storiografia ha
esaltato questi personaggi, chiamandoli i “quattro grandi”, successivamente ha
completamente cambiato idea sul modo in cui hanno gestito i trattati di pace. Tra la
linea più democratica, proposta da Wilson, e quella più dura, proposta dalla Francia,
prevale la linea francese, che consiste in una pace punitiva nei confronti soprattutto
della Germania, considerata come l’unica responsabile del conflitto.
Alla Germania viene imposta una pace punitiva con condizioni durissime:
- la cessione dei territori dell’Alsazia-Lorena alla Francia;
- la cessione di alcuni territori orientali (corridoio di Danzica, la Pomerania) alla
Polonia e alla Cecoslovacchia;
- l’obbligo di risarcire i danni di guerra, versando alle forze vincitrici una somma
enorme (un pagamento, per ogni tedesco, di un quarto dello stipendio per 40 anni);
- sanzioni militari (abolizione del servizio di leva, rinuncia alla marina militare e
smilitarizzazione della valle del Reno).
Questa sarà la causa che porterà alla seconda guerra mondiale, cosa che era stata
intuita da Wilson, il quale, invece, proponeva una pace democratica, consapevole che a
lungo termine la punizione inflitta alla Germania non avrebbe portato a nulla di buono
(come infatti poi è stato). L’idea di Wilson era quella di ridisegnare i confini
dell’Europa, cosa non facile, perché la caduta degli Imperi aveva creato degli organismi
multietnici, con tanti popoli al proprio interno. Per Wilson gli accordi di pace
internazionali dovevano essere manifesti, dovevano avvenire alla luce del sole, per
evitare conflitti fra gli Stati. Wilson propone un programma di pace, redatto in 14
punti, basato:
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- sul rispetto della libertà delle nazioni, ossia sul diritto all’autodeterminazione dei
popoli (i popoli devono scegliere entro certi limiti a quale Stato appartenere), dato che
la questione etnica era stata una delle cause del conflitto (vedi “polveriera balcanica”).
Wilson ipotizza un’Europa in cui i popoli scelgano a quale nazione appartenere in modo
democratico;
- sulla libertà di commercio;
- sulla riduzione degli armamenti;
- sull’istituzione di un organismo sovranazionale, la Società delle nazioni (la
“madre” dell’Onu, che nascerà dopo il secondo conflitto mondiale), con il compito di
regolare i conflitti internazionali e di mantenere la pace. È un progetto che però non
viene realizzato subito dopo la prima guerra mondiale perché prevale la linea francese.
Il Senato americano rifiuta di ratificare il trattato istitutivo della Società e così il nuovo
organismo nasce minato da profonde contraddizioni, prima fra tutte la mancata adesione
degli USA.
A Parigi, le aspirazioni dell’Italia non sono soddisfatte, perché Wilson si oppone alle
rivendicazioni sulla Dalmazia e su Fiume. Si parla di “vittoria mutilata” da parte
dell’Italia, la quale ottiene il Trentino Alto Adige, la parte di Trieste, ma non tutta
l’Istria e non la Dalmazia, non cioè tutto ciò che aveva chiesto nel Patto di Londra. Ciò
sarà causa di grande malumore.
RIVOLUZIONE RUSSA
Nel 1917 la Russia esce dalla Guerra perché è impegnata in una sua guerra interna: la
Rivoluzione di febbraio, la Prima Rivoluzione Russa. Cosa ha scatenato la Rivoluzione?
L’Impero zarista era l’Impero più arretrato dell’Europa: un impero enorme, multietnivo,
in cui era presente un sistema economico basato sull’agricoltura e non sull’industria. Il
potere era nelle mani dello zar che governava in modo assoluto. Nel 1905, lo zar è
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costretto, a causa di una rivolta scoppiata a San Pietroburgo e guidata da un prete
ortodosso (una protesta per la carestia e la fame perché c’era stata una guerra tra Russia
e Giappone per la conquista della Manciuria, una regione cinese), a cedere parte del suo
potere e creare una forma parlamentare, la duma.
La Rivoluzione porterà alla realizzazione del comunismo concreto però in un paese
molto diverso da quello che aveva immaginato Marx. In Russia una rivoluzione
borghese, così come Marx aveva pensato, non c’è mai stata. Quando Marx parla di
comunismo ha in mente l’Inghilterra e la Germania. In Russia non c’era stato un decollo
industriale. La Rivoluzione avviene grazie alla Guerra, che aveva peggiorato le
condizioni di povertà estrema in cui si trovava la Russia. L’Impero zarista aveva
contribuito notevolmente alla Guerra e ciò aveva provocato l’abbandono dei lavori
tradizionali maschili. Sono le donne a prendere l’iniziativa di protesta. Quando
festeggiamo la Giornata Internazionale della Donna, l’8 marzo, lo festeggiamo in onore
della Prima Rivoluzione russa, perché in Russia usano il calendario ortodosso: a San
Pietroburgo ci fu una giornata di grande sciopero delle donne.
I partiti protagonisti della Rivoluzione di febbraio sono il partito socialista, che in
Russia è diviso in due correnti: i bolscevichi (la corrente minoritaria) e i menscevichi (la
corrente maggioritaria); il partito socialrivoluzionario (più estremista) e il partito cadetto
dei liberali, che in questa prima fase avrà la meglio perché ottiene un governo
provvisorio: lo zar è costretto a dimettersi e a cedere il potere creando un governo
provvisorio, liberale, affidato a un principe, lvov, esponente dell’aristocrazia. Però è
come se ci fossero due poteri veri: non solo il governo provvisorio guidato dal principe
ma anche il potere dei soviet, assemblee di operai e cittadini delle città più importanti.
San Pietroburgo diventa Pietrogrado, perché quando entra in guerra con la Germania
decide di togliere il nome di origine tedesca. Il soviet di Pietrogrado prende sempre più
potere.
Lenin insieme a dei bolscevichi armati occupa il Palazzo d’inverno. Le elezioni vanno a
premiare i socialrivoluzionari. Però Lenin continua a mantenere il potere non dando
conto di questa elezione. Toglie tutti quei partiti che non fanno più parte del suo gruppo,
soprattutto il partito cadetto e cerca di ottenere sempre più consensi con la classe degli
agricoltori, riprendendo il concetto delle Tesi di aprile secondo cui bisognava
concludere e uscire dalla guerra e redistribuire la terra ai contadini. Ciò gli permetterà di
conservare il potere.
La Russia esce dalla guerra nel gennaio del 1918. Viene firmata la pace molto dura di
Brest Litovsk. La Russia perde i Paesi baltici, parte della Polonia, l’Ucraina e tutto il
territorio più industrializzato e con più giacimenti minerari. Guerra civile tra bolscevichi
rossi e bolscevichi bianchi (volevano tornare a una situazione precedente, supportati dai
filomonarchici, da coloro che si riconoscevano nella rivoluzione di febbraio e non nel
partito bolscevico, e dalle forze alleate, per la paura del comunismo). Lenin riesce a
tenere il potere tramite la dittatura del proletariato, teorizzata da Marx, ma che in Lenin
diventa altro. In lui diventa la dittatura del partito perché in Russia c’è poco proletariato
(non aveva vissuto la rivoluzione industriale) e il proletariato non ha ancora una
coscienza e deve essere guidato dalle avanguardie del partito. Diventa il potere di una
parte del partito. Anche grazie all’ausilio della polizia, che individuava le persone che si
allontanavano dalle posizioni di Lenin.
Unione sovietica: l’unico modo per gestire il potere di nazionalità così diverse e di un
territorio così esteso, lo stato è federale ma centralizzato.
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Il momento è molto duro per la Russia perché ha perso territori notevoli e Lenin è
costretto a passare da una statalizzazione accentrata dell’economia a una nuova politica
economica NEP, in cui c’è un aspetto più liberista per uscire dalla forte crisi economica
in cui si ritrova l’Unione sovietica all’uscita della guerra.
Tra gli oppositori di questa NEP c’era Trockij, il fondatore dell’Armata Rossa, esercito
ben addestrato che sconfigge le armate bianche durante la guerra civile. Braccio destro
di Lenin. Lenin muore molto giovane per una malattia degenerativa, due anni dopo la
proclamazione della Repubblica Socialista Sovietica, e subito dopo di lui si pone la
scelta di chi deve prendere il partito dopo di lui. Stalin, caporedattore del giornale
bolscevico, uomo molto pratico che prende potere in modo non pulito.