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L'angelo di Alice

Nel cielo azzurro, su una minuscola nuvola rosa, un angioletto vestito di

bianco con le piccole ali spiegate guardava giù verso il mondo. Vedeva la

gente che andava e veniva senza sosta, riempiendo le strade di

macchine, camminando sui marciapiedi, come tante formiche occupate a

fare qualcosa che lui non capiva. Ogni persona sembrava non conoscere

nessuno, non guardava chi incontrava, non si interessava a nessuno, non

salutava nessuno.

Mentre era così intento ad osservare, passò San Pietro che stava

compiendo nel cielo infinito il suo giro di ricognizione. "Cosa stai

facendo?" gli chiese. L'angioletto sobbalzò, non l'aveva sentito arrivare.

"Oh, San Pietro! Stavo osservando quello che gli uomini stanno facendo in

quell'angolo di mondo. Non capisco, sembra che nessuno conosca nessun

altro. Passano uno vicino all'altro senza una parola, senza un gesto di

amicizia, senza un sorriso. Pensi che siano arrabbiati?". San Pietro sorrise

dentro la sua gran barba bianca, socchiudendo gli occhi azzurri come il

cielo che li circondava. "No angioletto, non sono arrabbiati. Fanno finta di

non conoscersi perché hanno paura. Ognuno di loro ha paura. Paura che

qualcun altro possa chiedergli qualcosa. E allora, per evitare che questo

accada, fa finta di non vedere gli altri. Ma se tu potessi osservarli da

vicino, ti accorgeresti che malgrado abbiano la testa bassa i loro occhi

non guardano in terra ma, di sotto le ciglia, si scrutano e si osservano, già

da lontano, per evitare di incontrare quelli che potrebbero portar loro via

qualcosa". "Ma, San Pietro, cosa si possono portare via? Sono tutti dei

ladri?". "Non sono dei ladri, ma ciascuno pensa solo a se stesso. Sono

degli egoisti." Il vecchio santo allungò la mano carezzando i capelli biondi

del piccolo angelo. "Benedetti angeli - pensò - fino a che non passano un
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po' di tempo sulla Terra non riescono nemmeno ad immaginare cosa c'è

laggiù" e rivolto al piccolo angelo si raccomandò "Osserva pure, ma

ricorda di non muoverti. Tra non molto sarai chiamato alla scuola degli

angeli custodi, e quando avrai imparato bene qual è il tuo compito ti sarà

assegnato un umano da proteggere e potrai scendere sulla terra per

stargli accanto finché vivrà." Il piccolo angelo distolse gli occhi dalla terra

"Davvero San Pietro? Avrò un umano tutto per me? E potrò stargli sempre

vicino? Potrò curarlo? Potrò farlo sorridere?". San Pietro scosse la testa

"Non sai quanto sarà difficile - pensò ancora - e quanti problemi ti darà.

Altro che sorridere!" e con un cenno della mano fece un saluto. Le sue

grandi ali lo fecero volar via, e in pochi attimi scomparve all'orizzonte.

Sulla Terra stava scendendo la sera quando il piccolo angelo si sentì

chiamare "Vieni! E' ora di andare a scuola, è stato concepito il bimbo che

dovrai proteggere. Tra nove mesi nascerà e tu dovrai essere pronto". Fu

subito preso da quella che, per un angelo, poteva essere considerata una

grande eccitazione "Finalmente nascerà il mio bimbo, finalmente potrò

essere un vero angelo custode!" pensò sfrecciando verso la scuola.

Gli arcangeli Gabriele e Raffaele lo stavano aspettando. "Ben arrivato!

E' il tuo momento. E' ora che tu sappia quali saranno i tuoi compiti sulla

Terra". Cominciò così per il piccolo angelo un intenso periodo di studio e

di applicazione. Doveva imparare ad essere vicino al suo umano senza

che lui se ne accorgesse, doveva suggerire senza farsi sentire, doveva

aiutarlo ma non poteva fare niente in vece sua. E poi doveva sapere una

cosa importantissima: da un'altra parte, così come stava facendo lui, c'era

un diavoletto che stava andando a scuola. Anche lui per essere accanto

all'umano, ma per cercare di non farlo essere buono, per tentarlo in modo

che contravvenisse alle regole celesti che il buon Dio aveva dato agli

uomini per farli vivere sereni ed in armonia tra loro. Avrebbe cercato di

fargli evitare le fatiche, fatto venir la voglia di rubare la marmellata, di


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rispondere male ai genitori e ai maestri, e tante altre cose che avrebbero

finito per far diventare anche lui un egoista. Il piccolo angelo era

abbastanza preoccupato, anche perché di lavoro - l'aveva capito subito -

ne avrebbe avuto già abbastanza con l'umano che gli sarebbe stato

affidato anche senza l’impegno di proteggerlo dalla “concorrenza”.

Arrivò il gran momento. Anche se non era necessario, aveva ripassato

con gli arcangeli tutto quanto aveva imparato, aveva controllato che il

suo abitino bianco fosse in ordine, si era dato una bella lisciata alle ali,

aveva rassettato i riccioli biondi. Era pronto, anche se con un po' di

batticuore. San Pietro, che osservava dall'alto, lo benedisse e gli fece

cenno di andare: il bimbo stava nascendo. Volò giù a capofitto, diretto

verso quel punto della terra da cui sentiva il richiamo chiaro e forte.

L'arcangelo-maestro glielo aveva spiegato: tra lui e il suo umano ci

sarebbe stato un canale di comunicazione muto, ma esclusivo, attraverso

il quale sarebbero stati sempre in contatto. La stessa cosa sarebbe stata

tra l'umano e il diavoletto. Lui e il diavoletto avrebbero dovuto quindi

contendersi l'attenzione del loro "assisitito" per fargli compiere, anzi

meglio per suggerirgli, nella vita quelle azioni che, alla fine dei suoi giorni,

lo avrebbero portato nel regno degli angeli o nel regno dei diavoli.

Arrivò proprio nel momento in cui il suo umano, una bambina,

emetteva il primo vagito. Il piccolo angelo percepì subito un leggero

odore, ma pungente, di zolfo. Pur non vedendolo, capì che anche il

diavoletto era lì. Gli era stato detto: non potrai vedere lui e lui non potrà

vedere te, ma ti accorgerai della sua presenza dall'odore che emana.

Soltanto voi percepirete i rispettivi odori, cosa invece impossibile per gli

umani che ne sarebbero troppo turbati.

I primi tempi Alice, così si chiamava la sua bambina, mangiava e

dormiva. Al piccolo angelo e, così pensava, al diavoletto suo avversario


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non restava altro da fare che conoscere anche loro il mondo in cui si

erano venuti a trovare e la gente che viveva attorno alla bimba.

I mesi e gli anni passarono però rapidamente. Alice cresceva sana e

robusta, cominciava ad avere i suoi gusti e le sue idee, a sentire quello

che le piaceva fare e quello che invece non le andava. Sia il piccolo

angelo che il diavoletto vedevano di giorno in giorno moltiplicarsi le loro

occasioni di intervento. Il primo suggeriva alla bimba di essere brava, il

secondo di esse disubbidiente e fare quello che voleva, il primo di

studiare, il secondo di giocare, il primo di essere generosa, il secondo di

pensare soltanto a se stessa e di non preoccuparsi degli altri. Anche nei

rapporti con le persone cercavano di far sentire la loro influenza: l'angelo

le faceva notare quelle povere, misere, malate, infelici, per farle

conoscere la pietà, il diavolo le faceva venire in mente che non erano fatti

suoi e che non doveva preoccuparsi degli altri.

In un giorno di aprile pieno di sole Alice compì il suo diciottesimo anno.

Il papà e la mamma avevano organizzato una gran festa alla quale

sarebbero intervenuti tutti i suoi amici. Sapeva già che avrebbe ricevuto

tanti regali, ci sarebbe stata la musica, avrebbero ballato e tagliato la

torta con le candeline. Tutto era pronto. Anche l'angelo e il diavolo erano

pronti: sapevano che quella festa avrebbe offerto una quantità di

situazioni nelle quali avrebbero potuto far sentire la loro influenza.

L'angelo sentiva il puzzo di zolfo più forte che mai, il diavolo era agitato

per l'intenso profumo di fiori che indicava la presenza dell'angelo.

Cominciarono ad arrivare gli amici, molti di essi erano suoi compagni di

scuola, accolti dalla ragazza con abbracci e baci. Portavano regali che

venivano messi, insieme agli altri già ricevuti, sul grande tavolo dove al

centro faceva bella mostra di sé una magnifica torta che sembrava dire a

tutti "Mangiami, mangiami". Alice era al centro dell'attenzione generale,

tutti le dicevano che era bellissima, si sentiva molto importante, la più


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importante di tutti, sentiva dentro di sé che il mondo era suo e che

nessuno glielo poteva togliere. Il diavolo gongolava, tutto contento che

Alice pensasse soltanto a sé, alla sua bellezza, alla sua fortuna. L'angelo

sentiva di non riuscire a impedire che la ragazza diventasse sempre più

orgogliosa, vanitosa, egoista. Già, egoista, come ricordava che San Pietro

gli aveva detto essere l'umanità.

Bussarono ancora alla porta. Alice corse ad aprire, era in arrivo un altro

regalo, avrebbe ricevuto ancora complimenti, si sarebbe sentita ancora

più importante. Sulla porta c'era Carmela, la sua compagna di banco. Ad

Alice non era simpatica perché era povera, aveva il padre malato e,

durante le lezioni, vedeva spesso scendere lungo le sue guance lacrime

silenziose che non riusciva a trattenere. Ad Alice tutto questo dava

fastidio perché rovinava la sua allegria, la costringeva a prendere atto

della sua tristezza e del suo dispiacere, ed in più le faceva rabbia che

fosse più brava di lei. Carmela era a capo chino, vestita di un

semplicissimo abito marrone che in qualche punto faceva vedere come

fosse stato riadattato perché potesse essere ancora indossato. Alice non

poté non notare la differenza tra il suo ricchissimo vestito di raso giallo e

il più che modesto abito della sua compagna. Carmela aveva in mano una

splendida, meravigliosa rosa di color corallo che le porse dicendo "Ti

prego di accettare questo mio piccolo regalo. E' la rosa più bella che sono

riuscita a trovare. Ma non è bella quanto te". Alice capì all'improvviso cosa

significassero quei pensieri che ogni tanto le venivano in mente, che le

dicevano come la ricchezza non fosse importante quanto la bontà, che la

modestia poteva essere più splendente della bellezza, che il calore umano

poteva scaldare più di qualsiasi pelliccia. Commossa, con le lacrime agli

occhi, abbracciò la sua amica sussurrandole "E' il regalo più bello che

potevi farmi e che oggi ho ricevuto", poi, rivolta agli altri amici, annunciò

a gran voce "Ragazzi, ora può veramente incominciare la festa, è


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finalmente arrivata Carmela, la mia ospite d'onore, la mia più cara

amica".

L'angelo se ne stava un poco in disparte, sorridente e commosso anche

lui, pensando che i tanti sforzi compiuti stavano finalmente dando i primi

risultati, e che Alice sarebbe realmente diventata una ragazza

meravigliosa. Sorrise ancora di più sentendo, dalla tremenda puzza di

zolfo, che il diavolo era molto, ma proprio molto, arrabbiato per la bontà

di Alice.

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