Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
9/2
La lettera agli Ebrei
Paideia Editrice
La lettera agli Ebrei
August Strobel
Paideia Editrice
Titolo originale deli, opera:
f?.er Brief an die Hebriier
Ubersetz und erktirt von August Strobel
Traduzione italiana di Paola Florioli
Revisione di Franco Ronchi
© Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen I 99 I
© Paideia Editrice, Brescia 1997 ISBN 88.394.0556.9
Indice del volume
Scritti biblici
Ab. Abacuc. Abd. Abdia. Agg. Aggeo. Am. Amos. Apoc. Apocalisse.
Atti Atti degli Apostoli. Bar. Baruc. Cant. Cantico dei cantici. Col.
Lettera ai Colossesi. I, 1. Cor. Prima, seconda lettera ai Corinti. I, 1.
Cron. Primo, secondo libro delle Cronache. Dan. Daniele. Deut. Deu
teronomio. Ebr. Lettera agli Ebrei. Ecci. Ecclesiaste. Ef. Lettera agli
Efesini. Es. Esodo. Esd. Esdra. Est. Ester. Ez. Ezechiele. Fil. Lette
ra ai Filippesi. Film. Lettera a Filemone. Gal. Lettera ai Galati. Gd.
Lettera di Giuda. Gdt. Giuditta. Gen. Genesi. Ger. Geremia. Giac.
Lettera di Giacomo. Giob. Giobbe. Gion. Giona. Gios. Giosuè. Giud.
Giudici. Gl. Gioele. Gv. Vangelo di Giovanni. I, 1., 3 Gv. Prima, se
conda, terza lettera di Giovanni. Is. Isaia. Lam. Lamentazioni. Le.
Vangelo di Luca. Lev. Levitico. I, 1. Macc. Primo, secondo libro dei
Maccabei. Mal. Malachia. Mc. Vangelo di Marco. Mich. Michea. Mt.
Vangelo di Matteo. Naum Naum. Neem. Neemia. Num. Numeri.
Os. Osea. 1, 1. Pt. Prima, seconda lettera di Pietro. Prov. Proverbi. I,
1. Re Primo, secondo libro dei Re. I, 1., J, 4 Regn. Primo, secondo, terzo,
quarto libro dei Regni (LXX). Rom. Lettera ai Romani. Rut Rut. Sal.
Salmi. I, 1. Sam. Primo, secondo libro di Samuele. Sap. Sapienza di Sa
lomone. Sir. Siracide (Ecclesiastico). Sof. Sofonia. I, 1. Tess. Prima,
seconda lettera ai Tessalonicesi. 1, .1 Tim. Prima, seconda lettera a Timo
teo. Tit. Tito. Toh. Tobia. Zacc. Zaccaria.
Scritti di Qumran
Abot R.N. Abot de-Rabbi Natan, ampliamento dei Pirqe Abot (Talmud
babilonese, «Sentenze dei padri») d'età tardo- e post-talmudica. bJeb. Tal
mud babilonese, trattato Jebamot ( «Levirato» ) . bJoma Talmud babilone
se, trattato Joma («Il giorno delle espiazioni»). bSanh. Talmud babilo
nese, trattato Sanhedrin ( «Sinedrio» ). bTa 'an. Talmud babilonese, tratta
to Ta'anit («Giorni di digiuno e di lutto»). Midr. Pesiq. R. Midrash Pe
siqta Rabbati («Grande Pesiqta», raccolta di midrashim omiletici). mJoma
Mishna, trattato J orna («Grande giorno dell'espiazione»). mPara (Mish
na, trattato Para («La vacca rossa»). Syn. Zohar Sin ossi di Zohar; opera
esegetica altomedievale della Cabala. Tanh. Bemidbar, tarda interpreta
zione rabbinica del libro dei Numeri (v/vi sec. d.C.). Targ. Onq. Targum
Onqelos del Pentateuco, presumibilmente tardo I sec. d.C. e prima metà
del n sec. d.C. Targ. Ps. Jon. Targum Pseudo-Jonatan del Pentateuco (tar
da età talmudica). tB.B. Tosefta, trattato Baba batra («La prima porta»),
sui rapporti giuridici nella vita comunitaria.
Scritti cristiani della prima e della tarda epoca patristica (II/V sec. d.C.)
Acta Pauli Atti di Paolo (n metà del n sec. d.C.). Afraate , Sulla fede
Afraate, vescovo siriaco del IV sec. d.C., Omelia sulla fede. Barn. Lettera
di Barnaba (scritto giudeocristiano, metà del II sec. d.C.). Clem. , lac. Let
tera pseudoclementina indirizzata a Giacomo il Minore, premessa alle Omi
liae pseudoclementine (GCS 195 3). I Clem. Prima lettera di Clemente (96
d.C. ca., Roma). Const. Ap. Costituzioni apostoliche (raccolta giuridica
della chiesa primitiva, IV sec. d.C.). Epiph. , Pan. Epifanio di Salamina, scrit
to sulle eresie (Iv sec. d.C.). Ev. Eb. Vangelo degli Ebioniti (opera giudeo
cristiana dei primi anni del II sec. d.C.). Herm. Pastore di Erma (n sec.
d.C., Roma): Sim. Similitudini (apocalisse, prima metà del 11 sec.); Vis. Vi-
Elenco delle abbreviazioni II
1 I. Ma chi era dunque Filone, dal quale andò a scuola il nostro au
tore per trarre vantaggio, lui cristiano, dalla sua arte di interpretare la
Scrittura ? Filone nacque intorno al 20 a.C. ad Alessandria. Cresciuto
in una tradizione di formazione giudeo-ellenistica, si dedicò a deter-
Testimonianza di un cristianesimo giudeocristiano 25
l..a maestà del Figlio innalzato è superiore alla gloria degli angeli
( l ,4- 1 4)
4 Diventò tanto più potente degli angeli, quanto è più alto di loro il nome
che ha ereditato. 5 Infatti a quale degli angeli ha mai detto: «Tu sei mio fi
gl io, oggi ti ho generato>>, e ancora: «Gli sarò padre ed egli sarà per me fi
glio» ? 6 Ma quando introduce (ha introdotto) di nuovo il primogenito nel
mondo, dice: «E tutti gli angeli di Dio devono adorarlo>> . 7 E un'altra vol
ta riguardo agli angeli dice: «Rende i suoi angeli come venti, e i suoi servi
tori come fiamme di fuoco»; 8 ma riguardo al Figlio: «Il tuo trono, o Dio,
sta in eterno>>, e ancora: «Uno scettro di rettitudine è lo scettro del suo re
gno»; «Tu hai amato la giustizia e odiato l'iniquità». 9 «Perciò, o Dio, il tuo
Dio ti ha unto con olio di esultanza a preferenza dei tuoi compagni>>. Io Inol
tre: «Tu, o Signore, al principio hai fondato saldamente la terra, e opera
delle tue mani sono i cieli; I I essi periranno, ma tu rimani; e tutti invec
chieranno come un vestito, 1 2 e tu li arrotolerai come un mantello», come
una veste «saranno anzi cambiati. Ma tu sei lo stesso e i tuoi anni non a
vranno fine». I J A quale degli angeli ha mai detto: «Siedi alla mia destra, fin
ché non abbia reso i tuoi nemici uno sgabello ai tuoi piedi» ? 14 Non sono
essi tutti spiriti mi nistranti, inviati per prestare un servizio a coloro che
devono ereditare la salvezza ?
s Sal. 2,7; 2 Sam. 7, 14. 6 Deut. 32,43 · 7 Sal. 104,4· 8 s. Sal. � u ,7 s. 1 o- 1 1 Sal. 1 02,26 s. 13 Sal.
l 1 0, 1 .
ta una gran quantità di riferimenti alla Scrittura che mettono alla pro
va l'erudizione dell'autore.
7· Il v. 7 prosegue nella descrizione delle funzioni celesti subordina
te degli angeli; si ha la citazione di Sal. 1 04,4, il grande inno della crea
zione, che esordisce illustrando la maestà celeste di Dio. La congiun
zione «e» posta all'inizio del versetto, insieme al «ma» che segue al v.
8, intende accentuare il contrasto tra la posizione del Figlio e quella
degli angeli, che sono semplicemente spiriti ministranti della creazio
ne. L 'immagine che paragona gli angeli ai «venti» e alle «fiamme di
fuoco » non ha certo intenzione di equipararli alle forze della natura,
di cui parla il testo ebraico originale, ma indica che il loro compito
consiste in una solerte operosità, e che la loro sostanza dipende inte
ramente dalla decisione di Dio.
8. Tutt'altro la posizione e la funzione del Figlio (v. 8: «ma»)! Il suo
trono, quindi il suo compito di dominatore, durerà in eterno, come
prova Sal. 4 5 ,7 s ., che è riportato tanto diffusamente soprattutto per
ché l'invocazione «O Dio» si adattava in modo particolare a un'inter
pretazione applicata alla posizione unica di Cristo. Il Sal. 4 5, compo
sto come inno di nozze per un re israelita, in un secondo tempo era
stato probabilmente compreso in senso messianico, interpretazione a
cui poteva dar luogo il v. 8b. I versetti potevano essere compresi come
se si stesse parlando del trono di Davide, benedetto da Dio e che re
sterà in eterno perché su di esso infine sederà il messia. A tale concet
to ben si adattava anche il seguito, «il Signore, il tuo Dio, ti ha consa
crato» . Come nel caso di Sal. 2,7 e 1 ro, r , anche Ebr. pensa a un dialo
go tra il Padre e il Figlio, qui elevato da Dio al suo stesso livello. Per
l'autore della lettera, a questo punto la Scrittura mostra l'atto della
consegna del regno. Dio stesso assegna a Cristo la signoria eterna sul
l'universo, e definisce il suo scettro uno scettro che incarna la giustizia
incorruttibile, una «verga di rettitudine» (cf. al riguardo «verga di po
tere », Sal. I r o,2a). La sua grandezza di giudice presuppone una dimo
strazione personale: egli ha amato la giustizia e odiato l'iniquità.
9· Il v. 9 spiega meglio questo concetto. Proprio per questo motivo
Dio lo ha consacrato con l' «olio dell'esultanza di salvezza». Cristo si
è distinto nell'operato terreno, perciò ha potuto essere innalzato e al
tempo stesso ricevere l'acclamazione giubilante dei «compagni» ce
lesti, ossia degli angeli. Certamente essi sono spiriti ministranti, ma
oltre a ciò il loro compito è anche quello di glorificare Dio in eterno.
Ebr. 1 ,4- 14. La maestà del Figlio secondo Sal. 1 10 37
10. Come ulteriore testimonianza sul Figlio segue immediatamente
la citazione di Sal. 1 02,26 s., in assoluto la più estesa di tutta la raccol
ta. Anch'essa viene intesa come se si trattasse di parola rivolta a Cri
sto, in cui stavolta compare l'appellativo «o Signore»; nella compren
sione di Ebr. essa conferma il ruolo creatore primordiale del Figlio
(cf. I,2), il quale ha fondato il mondo (cf. Gen. I,7) e del quale i cieli
sono l'opera.
1 1 s. Ma mentre tutto il creato passa, egli, l'Eterno, resta, non sfio
rato dalla caducità e dalla fugacità del tempo. Colui che esiste dal prin
cipio può essere compreso soltanto come colui che è in eterno. Ciò
che nel salmo originariamente valeva per la lode alla maestà sovrana del
Dio che ha fatto il mondo, ma lo può anche usare e gettare come un
vestito vecchio e logoro, è ora visto come parola divina rivolta al Fi
glio. La lieve variante della versione dei LXX può essere fatta risalire
all'influsso di /s. 34,4. La menzione del «principio» (così i LXX) ri
porta alla memoria Gen. 1 , 1 . L'impiego in Ebr. mostra quanto il pen
siero cristiano delle origini potesse dedurre in modo diretto e imme
diato il ruolo creatore universale del Cristo preesistente. E in questo
ovviamente l'impiego dei passi scritturistici non è avvenuto secondo
una selezione casuale, bensì interamente secondo principi ben precisi.
1 3 . La scelta delle citazioni scritturistiche, per quanto ogni volta ini
zino significativamente con un predicato riferito a Cristo, passa coe
rentemente per gli appellativi di Figlio, Dio e Signore, per giungere
sino a Sal. I I o, 1 così da citare per ultimo proprio questo passo bibli
co, a dimostrazione di una posizione assolutamente unica della digni
tà del Figlio. La spiegazione del salmo costituisce il compito omiletico
vero e proprio della lettera. Le idee ritornano in ogni forma al fonda
mento omiletico. Di fatto è vero che Cristo, il Figlio ed erede, ha as
sunto una posizione unica presso Dio. Al tempo stesso si prepara un
altro evento immane: la sottomissione finale dei nemici di Cristo, per
la quale Dio è all'opera in favore del Figlio ( I o, I 2 ss.), così come in
tale occasione addirittura lo «introduce>> (v. 6). Non si può evitare di
cogliere già in questa citazione un tono ammonitore. Più oltre se ne
parlerà più diffusamente.
14. Nel dipanarsi del ragionamento segue dapprima un temporaneo
riassunto: «Non sono dunque tutti gli angeli spiriti ministranti ?» (per
tale espressione cf. Filone, Virt. 7 4). A dire il vero si dovrebbe poi pro
seguire così: e non è forse il Figlio più potente di tutti loro ? Ma poi-
38 Ebr. 2, 1 -4. Consegu enze pratiche
ché questo è già stato chiarito, viene inserita un'aggiunta il cui tema
consente di passare a un nuovo pensiero. Mediante la parola «eredita
re», improvvisamente è la comunità a porsi in primo piano; infatti il
mondo celeste non esiste perché Dio si trasfiguri, ma per servire l'uo
mo che ha bisogno della salvezza e che può esserne reso degno. Come
Cristo ha offerto un proprio sacrificio corporeo, così anche gli spiriti
celesti sono chiamati a un servizio e a un impegno di sacrificio. Come
il Padre è venuto in aiuto a Cristo nel suo compito ultimo, così anche
gli angeli sono destinati a un servizio di aiuto. Coloro che erediteran
no la salvezza sono gli stessi che la «devono» ereditare.
3 3,2; Targ. Onq. Deut. 33,2; Giuseppe, Ant. 1 5 ,5,3 ; Atti 7,3 8 . 5 3 ; Gal.
40 Ebr. 2, 1 -4. Consegu enze p ratiche
), 1 9). Anche il pensiero rabbinico si è ampiamente occupato delle cir
costanze della rivelazione sul Sinai ( Es. 1 9,90 ss.; 20, 1 8; cf. al riguardo
Filone, Dee. 32 ss.). A differenza di Paolo, Ebr. si esprime in termini
neutrali riguardo al valore della parola di rivelazione promulgata in tale
occasione, allo scopo di evidenziarne la validità assoluta. L'immagine
della «solidità» della parola di Dio emergerà poi più volte nel corso
della lettera (cf. 3,6. 1 4; 6, 1 9; 9, 1 7; 1 3 ,9), essendo un tema ricorrente del
la tradizione biblicamente orientata (Rom. 4, 1 6; 2 Pt. 1 , 1 9; Filone, Mos.
2, 1 4). La solidità della parola di Dio e la santità assoluta della volontà
che in essa si esprime si condizionano fortemente a vicenda. Perciò in
seguito verrà sottolineato l'assoluto carattere punitivo della conclusio
ne dell'alleanza: infatti ogni «trasgressione» e «disobbedienza» - com
messe dal popolo dell'esodo - ha ricevuto la giusta punizione (cf. Es.
1 7,7; Num. 20,2- 5 ; inoltre Ebr. 3,7 ss.; 4, 1 1 ; 1 2, 2 5 ). «Trasgressione» e
«disobbedienza» contraddistinguono il comportamento dell'ebreo che
disprezza la legge.
3· Ma finirà molto peggio per ·c oloro che per indifferenza o sbada
taggine trascurano l'offerta della salvezza eterna. Con la massima in
sistenza qui, come in 1 Cor. 1 0,6 ss., si ricorda che la vicenda dell' eso
do costituisce per «noi» cristiani un esempio ammonitore. L'autore di
E br. , insieme alla sua comunità, è cosciente di essere alla fine di un'e
poca cruciale, nella quale l'alternativa tra giudizio o salvezza si pone
in modo inesorabile e definitivo. È inconcepibile che davanti a tale real
tà gli uomini possano cadere nella noncuranza e indifferenza per l'an
nuncio. La proclamazione della salvezza, in fondo, è partita non dagli
angeli ma dal Signore stesso, dunque dal Cristo terreno che ora è il
Figlio innalzato. Va aggiunto che la comunità interpellata può richia
marsi direttamente a individui che hanno ascoltato di persona il Si
gnore terreno. L'autore stesso deve a questi discepoli e testimoni la
promessa della propria «salvezza». Insieme alla comunità ripensa alla
credibilità assoluta di quanto è stato detto. Personalmente egli non
parrebbe essere stato discepolo del Gesù terreno. N o n può richiamar
si a un'esperienza diretta del Cristo come Paolo, benché si possa sup
porre che sia stato molto vicino ai portatori apostolici dell'annuncio, a
coloro che avevano potuto ascoltare il Gesù terreno.
4· Oltre all'affidabilità degli apostoli vi è stato qualcos'altro che
infine gli ha dato la certezza decisiva, come dimostra nella frase con
elusiva, in forma di confessione, l'accento posto sull'esperienza che
Ebr. 2,5 - 1 8. La signoria universale di Gesù 41
f)io inoltre «testimoniava>> agendo i n molti modi. L a ricchezza di quan
to ha sperimentato, nonché l'impressione che ne ha tratto, trovano
espressione in un elenco di fatti via via più meravigliosi, tanto che è
opportuno considerare anche la ripetizione della congiunzione «e».
Al di là di quanto espresso a parole, la dimostrazione si rifà alla parola
«attiva» in vari modi, che non solo si lascia dietro una grande impres
sione ma - essendo coinvolto Dio - provoca sempre anche «effetti» sor
prendenti. N el caso presente colpisce che oltre a «segni», «prodigi» e
« miracoli» vengano menzionate soprattutto anche esperienze carisma
tiche e doni che indubbiamente rimandano all 'epoca del primo cri
stianesimo. Gli ascoltatori sono a conoscenza di questo fatto notevo
le, che a buon diritto corona l'argomentazione fornita. Quando si sot
tolinea con energia che Dio distribuisce i doni dello Spirito secondo
<� la sua volontà», vien da pensare a frasi paoline analoghe (cf. 1 Cor.
1 2, 1 1 ; 2 Cor. I O,I J). Lo Spirito santo non si presenta dunque come un
privilegio cui hanno accesso pochi eletti, ma è dato da Dio alla comu
nità a sua libera discrezione (cf. anche 1 Cor. 1 2 ) . L'evidente varietà di
segni e manifestazioni pneumatiche avvalora un operato credibile. Di
versamente dal primo secolo ormai sul finire, la ricchezza di tali mani
festazioni straordinarie non solleva ancora dubbi. Anzi, è proprio l'ab
bondanza di ciò che si è sperimentato che viene considerata una prova
di verità del fatto stesso (cf. Rom. 1 , 19; 2 Cor. 6,7; 1 2, 1 2; Gal. 3 , 2 ecc.).
Da qui nasce l'energica esortazione a volgere ogni attenzione alla sal
vezza resa possibile da Cristo.
Per breve tempo Gesù è stato umiliato per amore dei fratelli
(2, 5 - I J )
s Infatti non sottomise ad ange li i l mondo futuro del quale stiamo parlan
do ( 1 ,6). 6 Anzi qualcuno da qualch e parte ha testimoniato e detto: « Ch e
cosa è l'uomo p erché ti ricordi di lui ? O il Figlio dell'uomo p erché tu te ne
curi ? 7 Tu lo umiliasti per un breve tempo di fronte agl i angeli; di gloria e
di onore lo hai coronato, 8 tutto hai posto sotto i suoi pi edi » . «Sottopo
nendogli tutto» infatti, non gli lasciò nulla di non sottomesso. Ora però noi
ancora non vediamo che tutto gli « è sottomesso)) . 9 Ved i amo anzi colui «che
per breve tempo è stato umiliato di fronte agli angeli», cioè Gesù, «incoro
nato di gloria e di onore» a causa della morte che ha sofferto, perché per la
grazia di Dio provasse la morte a favore di ciascuno. 10 I nfatti ben si addi
ceva a colui per il quale e dal quale sono tutte le cose che rendesse perfetto
mediante la sofferenza colui che ha condotto alla gloria molti figli ed è au
tore della loro salvezza. 1 1 Infatti colui che santifica e coloro che sono san
tificati provengono tutti da una stessa origine, per questo non si vergogna
di chiamarli fratelli, 12. quando dice: «Annunzierò il tuo nome ai miei fra
telli; in mezzo all'assemblea canterò le tue lodi». 1 3 E ancora: «Porrò in lui
la mia fiducia». E i noltre : «Eccomi, io e i fi gli che Dio mi ha dato».
6-8 Sal. 8,5 -7 (eccetto 8,7a). 8 s . Sal. 8,6 s . 1.1 s . Sal. 2.2.,23. 1 3 a /s. 8,17 e 2 Sam. 2.2,3 . 13h fs.
X , I 8.
r Infatti (solo) per essere stato lui stesso tentato di persona e avere preso
R
su di sé la sofferenza poté venire in aiuto a quelli che sono ancora nella
prova.
1 4 /s. 8 , 1 8 . 1 6 /s. 4 1 , 8 s. 1 7 Sal. 2.2.,2. 3 .
7 Pe rciò, come dice l o Spirito santo: «Oggi, s e udite l a sua voce, 8 non in
durite i vos tri cuori come nel l 'esas peraz ion e il giorno della tentazione nel
deserto, 9 ove i vostri padri (mi) misero alla p rova Io e videro per quaran
t'anni le mi e opere. Perciò mi disgustai di questa generazione e dissi: «So
no sempre n e li ' errore con il cuo re » Ma essi non riconobbero le mi e
.
vi e, 1 1 per cui giurai nella mia ira: «Non en trino nel mio rip oso! ».
trice si serve del forte monito biblico, il cui significato salvifico attuale
è per lui fuor di dubbio. Innanzitutto la lunghezza della citazione, che
comprende tutta la parte conclusiva del salmo ed è riportata proba
bilmente a memoria, ne ha fatto l'argomento formale più forte, da cui
nuovamente la necessità di spiegarla meglio nei particolari. Il modo di
procedere di Ebr. è sorprendente. Quasi irriguardosamente e d'im
provviso pone i lettori di fronte a una parola dello Spirito che deve
colpirli e stimolarli profondamente. Avendo essi preso come comuni
tà (battesimale) una decisione che si lascia alle spalle ogni volontà or
dinaria, la lettera ricorda loro con insistenza e vigore che sulla strada
intrapresa non può esservi ritorno né ritiro. Le conseguenze sarebbe
ro altrimenti spaventose (cf. I 2; 4, I ). Dietro a questo procedimento vi
è la ferma convinzione che la parola della Scrittura sia di grande attua
lità. L' «oggi» è inteso come chiamata attuale dello Spirito di Dio, il qua
le afferma che i cristiani interpellati - secondo J , I «partecipi di una
chiamata celeste>> - devono prestare ascolto alla voce di Dio. L' «oggi »
comprende il periodo di proclamazione del messaggio di Cristo ( ana
logamente a 2 Cor. 6,2 ) , ma è evidente che punta anche alla particolare
situazione liturgica in cui la «chiamata>> di Dio possa essere colta in
una chiara accettazione.
8. Poiché la franchezza e la certezza in ciò che spera caratterizzano
il cristiano, non vi può essere indurimento del cuore. Con ciò s'inten-
Ebr. 3,7- I I . L' «oggi» della chiamata divina 61
de l'ostinazione per cui l'uomo s i chiude alla voce d i Dio, e non il
cuore inquieto e in ricerca. La Scrittura biasima l'atteggiamento di chi
si rivolta contro Dio con arroganza e spirito di ribellione. La comuni
tà quindi viene messa in guardia da quella «esasperazione» che porta
al rifiuto di Dio, così come a Massa e Meriba Israele si era abbandona
to al dubbio: «Il Signore è in mezzo a noi, sì o no ?» (cf. Es. I 7, I ss.).
Dio punisce una condotta tanto ostinata perché non piomba su Israele
all'improvviso come una contestazione, ma andava preparandosi da
tempo e deliberatamente.
9· Sebbene faccia parte della citazione, l'appellativo «i vostri padri»
allude a persone interpellate come giudeo(cristiane). In certi periodi
della storia non ci si dovrebbe mai impuntare sconsideratamente con
tro Dio. Anche qui Ebr. intende rivolgersi direttamente alla comunità.
Non è forse vero che anch'essa esce da esperienze di fede inaudite (cf.
2, I -4) ?
I O. Per quarant'anni Israele nel deserto ha visto le «opere» di Dio.
Che cosa significa? Grazie a un «perciò» in più (che prosegue con «mi
disgustai ... » ) , la citazione presenta una divisione differente rispetto al
la versione dei LXX, ove invece è scritto: «e videro le mie opere. Per
quarant'anni mi adirai contro quella generazione». Mentre qui si in
tendono le opere della collera, l'autore di Ebr. pensa invece piuttosto
alle «prodigiose» dimostrazioni di potere come segni della guida mi
sericordiosa di Dio. Di conseguenza la condotta dei padri dovrebbe
apparire tanto più sorprendente alla comunità interpellata, quanto più
comprensibile la reazione di Dio. Il fallimento di un tempo non deve
assolutamente ripetersi. Inoltre, su esempio del salmo, il luogo esatto
non viene specificato, primo perché in fondo è irrilevante, e poi per
ché sarebbe d'impedimento alla testimonianza. Mentre il testo ebraico
fa riferimento a «Massa» e a «Meriba», circostanza senz'altro nota a
Ebr. , l'autore della lettera trascura completamente i particolari relativi
alla località, come del resto fa la versione greca. In questo modo tutta
l'attenzione si concentra sul comportamento d'Israele nel suo com
plesso; ed è proprio la sua mancanza di fede che la comunità del nuo
vo popolo di Dio non deve e non può far propria. Le tappe dell'esodo
acquistano necessariamente forza espressiva per illustrare quei tipi di
comportamento che meritano una punizione («sdegnarsi» con Dio,
«metterlo alla prova», «tentarlo» ). Col v. IO la citazione del Sal. 9 5
passa al discorso diretto, e a parlare è Dio stesso. Vi esprime il dis gu-
62 Ebr. 3 ,7- 1 1 . L' «oggi» della chiamata divina
sto per la generazione dell'esodo, di cui è stufo e che in fondo al cuore
è sempre stata incline all'errore, benché le fosse consentito vedere le
«opere» divine.
I I . Venendo a mancare la fede e l'obbedienza, nella sua collera Dio
ha giurato che non sarebbe mai entrata nel suo riposo, ossia nella «ter
ra promessa» da lui prospettata. La riproduzione letterale della frase
del giuramento tratta dalla versione greca dei LXX, che non può esse
re compresa senza la conoscenza del testo ebraico, comprova la for
mazione biblica giudaica dell'autore (cf. Num. 1 4,30). Dal canto suo
neanche Ebr. ha compiuto variazioni di sorta, perché il carattere ispi
rato della parola di Dio è per essa un massimo assioma. Il tremendo
giudizio di Dio emesso sulla generazione dell'esodo viene pienamente
accolto in funzione intimidatoria. Tuttavia non è certo inteso in senso
antigiudaico, segue anzi in tutto l'uso della sinagoga, la quale sapeva
anch'essa giudicare in modo altrettanto duro. La citata bizzarra divi
sione del salmo effettuata al v. roa dà l'impressione che Dio sia inter
venuto solo dopo quarant'anni, mentre la testimonianza dell'Antico
Testamento parla piuttosto esplicitamente e con estrema precisione
dell'inizio dell'esodo, a volte addirittura del secondo anno (Num.
I 4,2 1 -3 5; 3 2, 1 0- 1 3; Deut. 1,34-40), collegando così a una causa precisa
la lunga permanenza nel deserto. Effettivamente questa divergenza
dall'originale, lieve ma certo intenzionale, permette di fare un con
fronto più pertinente rispetto alla situazione dei lettori. Ora si sa di
essere alla fine dell'esodo, e non all'inizio. Non va esclusa l'eventualità
che l'attesa del cristianesimo delle origini contemplasse, come quella
giudaica, in primo luogo un periodo messianico di quarant'anni, cosa
che già rabbi Elieser (attorno al 90 d.C.) riteneva tramandata: «l giorni
del messia sono quarant'anni, come è detto in Sal. 9 5 , 1 0» (bSanh.
99a). Tuttavia nella nostra lettera non viene riportato alcun calcolo,
mentre tutta l'urgenza di cui si è consapevoli viene trasformata in pres
sante esortazione a tenersi pronti. Si può rammentare che in modo a
nalogo anche Paolo, con fare ammonitore, aveva alluso all'esempio di
Israele ( 1 Cor. 1 0,7). La croce come fondamento della condotta cri
stiana è il segno posto da Dio che rimanda ali' amore e alla speranza.
La fede cristiana ha bisogno della disponibilità incondizionata all'azio
ne, né può mai fare a meno della perseveranza necessaria per affronta
re un futuro ultimo.
Solo la reciproca esortazione quotidiana scongiura
il pericolo dell'apostasia (J ,I 2- I4)
1 2 Fratelli, state attenti che in nessuno di voi vi sia un cuore malvagio e in
fedele che potrebbe rinnegare il Dio vivente! 1 3 Piuttosto esortatevi a vi
cenda, ogni giorno, finché viene proclamato l' «oggi», affinché nessuno tra
di voi sia indurito dall'inganno del peccato. 14 Noi infatti siamo divenuti
compagni di Cristo, se manteniamo salda sino alla fine la fede iniziale.
13 Sal. 9 5 ,7 ss.
4 Infatti a proposito del settimo giorno da q ual che parte ha detto così: «E nel
settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere». 5 E di nuovo al passo
citato è detto: «Non entreranno nel mio riposo». 6 Poiché du n que risulta
che alcuni debbono ancora «entrarvi», e d'altra parte q u elli che per primi
ricevettero la buona notizia non vi sono entrati a causa della loro infedel tà,
7 allora di nuovo egli fissa un giorno «oggi », per dire dopo tanto tempo per
mezzo di Davide con le parole già citate: «Oggi, se udite la sua voce, non
indurite i vostri cu o ri» 8 Se infatti già Giosuè li avesse introdotti al ripo
.
4-9. La dimostrazione, completata con 4,4-9 e che deve dar forza al
l'idea di un riposo ancora da godere, scompone accuratamente le con
nessioni appena create.
68 Ebr. 4t4-9· La prova di u n futuro «riposo di Dio,.
Io Infatt i chi è «entrato nel suo riposo» giunge anche «al riposo dalle sue ope
re» come Dio dalle proprie. I I Aspiriamo dunque ad «entrare in qu el ri
poso», affinché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza.
1 0 s. Sal. 95 , 1 1 ed Es. 2,2.
to il dono celeste, che hanno ricevuto e sono diventati partecipi dello Spiri
to santo, 5 che inoltre hanno gustato la buona parola di Dio e le potenze
del mondo futuro, 6 siano rinnovati ancora una volta nel ravvedimento se
dovessero apostatare, crocifiggendo di nuovo loro stessi il Figlio di Dio ed
esponendolo all'infamia.
1. Con un energico «perciò» iniziale l'autore trae le debite conse
guenze per sé e la comunità. Intende guidarla verso ciò che è veramen
te degno di lei. Non si limita a qualche ammonimento, come ci si sa
rebbe potuti aspettare dopo quanto esposto sino ad ora, ma vuole ri
mediare senza indugio all'errore riconosciuto. Dato che dal punto di
vista cronologico gli interpellati sono cristiani adulti, è ora che lo di
ventino anche concretamente. In questo senso l'autore ripone molte
speranze in loro ( 6,9 ) . Sarebbe un ben cattivo maestro della sua co
munità se volesse solo istruire e non venire subito in aiuto. Questo
comporta che si metta da parte la «dottrina elementare su GesÙ» pas
sando ad argomenti adatti a persone mature. Ciò che chiama «maturi
tà» va compresa come opposizione alla condizione di chi è ancora mi
norenne; dunque non equivale semplicemente a «perfezione» (tradu
zione comunque possibile). Infine non pensa a una condizione fisico
morale, bensì alla capacità, acquisita con l'esercizio, di dedicarsi a ri
flessioni più profonde che comprendono non solo una parte della ve
rità di Cristo, ma tutto il suo complesso con le conseguenze che ne
derivano. La verità di Cristo è simile a un edificio di cui sono state
poste le fondamenta. Bisogna ancora erigere le mura, perché le fonda
menta da sole rappresenterebbero un qualcosa d'incompleto, anzi di
addirittura impossibile in sé (analogamente 1 Cor. J , I o ss.). Essere cri
stiano non è una condizione per sua natura perfetta, ma un continuo
cogliere e trasmettere quelle verità che danno forma alla vita indiriz
zando a uno scopo. Ciò che per Ebr. è il fondamento, o l'istruzione di
base, viene elencato e precisato meglio . Per prima cosa, in una frase a
due elementi è menzionato «il ravvedimento dalle opere morte e la
fiducia in Dio))' per indicare già il rapporto reciproco tra le grandezze
citate. Nel tempo messianico non si può più costruire sulle «opere»,
ma solo sulla fede fiduciosa. Parlando di opere «morte» e di «fiducia
in Dio», anche se in modo riassuntivo, emerge un contatto con il pen
siero paolino (cf. Rom. 4, 5 ). La novità che rende possibile un agire «vi
vente» è unicamente la fede dell'epoca di Cristo. Perciò i due nuclei
tematici hanno un rapporto tanto stretto.
Ebr. 6, 1 -6. Il cristiano necessita di una crescita spirituale 93
2. È chiaro che questa descrizione di un'istruzione ricevuta in un
tempo precedente presuppone cristiani di origine giudaica, come con
ferma anche il seguito, dove si menziona esplicitamente la «dottrina»
ricevuta prima, che equivale alle «fondamenta gettate», per suddivide
re in altri due grossi nuclei tematici il materiale catechetico: «la dot
trina delle immersioni battesimali e dell'imposizione delle mani, della
risurrezione dei morti e del giudizio eterno». Nonostante il linguag
gio conciso, per prima cosa si penserà che - come indica il plurale - nel
giudaismo le lustrazioni e i riti di purificazione hanno sempre avuto
una grande importanza (ad es. presso gli esseni). In tale eventualità non
è chiaro se l'istruzione cristiana si sia espressa negativamente al riguar
do, oppure se ne abbia ammesso l'uso entro certi limiti (come in 9, 1 0).
Tuttavia è altrettanto ipotizzabile che sia stata approfondita la parti
colarità del battesimo di Gesù rispetto a quello di Giovanni e ad altre
lustrazioni cultuali (cf. Atti 1 8,24 ss.; 1 9, 1 ss.), ricavando quindi il ca
rattere unico e irripetibile del primo in quanto battesimo dello Spirito.
Considerando le frasi che seguono in 6,4 ss., questa riflessione è un
po' a parte, dato che sembra esservi un chiarimento di quello che in
certo qual modo distingue il cristianesimo. Anche l' «imposizione del
le mani» è uno specifico atto cristiano che rientra nell'istruzione. Co
me è noto, già la prima chiesa compiva tale azione per conferire lo
Spirito santo (Atti 8, 1 7. 1 9; 9, 1 2 . 1 7; 1 3 ,3 ecc.). Non va tuttavia dimen
ticato che prendeva direttamente a modello dal giudaismo l'ordina
zione dei discepoli al compito di maestri per divenire essi stessi dot
tori, con un rito in cui venivano loro «imposte» le mani, come si dice
tecnicamente (cf. al riguardo Num. 27, 1 8 ss.; Deut. 3 4,9). L'autore
può aver pensato che il dono dello Spirito, ricevuto con tale atto, ren
deva il singolo cristiano al tempo stesso anche maestro della parola di
Dio, circostanza di cui i cristiani qui rimproverati non hanno appro
fittato. Quando infine si fa cenno all'insegnamento riguardante la «ri
surrezione dei morti e il giudizio eterno», si tratta ancora una volta di
temi giudaici tradizionali. Ovviamente Ebr. può solo presupporre che
il loro significato sia stato messo particolarmente in risalto alla luce
della verità di Cristo. Oggetto dell'annuncio della risurrezione dove
va essere innanzi tutto, anche per il giudeocristianesimo, il Risorto stes
so. Questi però al tempo stesso garantisce anche l'assoluzione mise
ricordiosa nel giudizio estremo. I sei temi relativi all'istruzione ca
techetica rivelano indubbiamente un destinatario giudeocristiano della
,.. Ebr. 6, 1 -6. Il cristiano necessita di una crescita spirituale
lettera, anche se l'elenco mette in luce una certa obiettività neutrale
che sottolinea al massimo come lo sforzo debba tendere a una più
profonda comprensione della verità. In questo caso allora vengono
schiusi orizzonti totalmente diversi. Comunque il rilievo dato ai sei
temi ribadisce a sufficienza quella che deve essere considerata la dot
trina fondamentale dell'istruzione dei catecumeni: abbandono del pas
sato, inserimento nel nuovo e infine evidenziazione della gravità della
decisione presa in vista delle cose future. N on è certo poco, ma se non
bisogna fermarsi a questo è proprio perché le varie linee che conflui
scono in Cristo e che sottolineano il carattere irripetibile e prodigioso
dell'evento sono troppo brevi. La venuta di Gesù è sufficiente come
causa e motivo di fede, ma non porta oltre per quanto riguarda lo «Ze
lo per la piena convinzione della speranza sino alla fine» (6, 1 1 ). Quel
lo che è elencato può bastare giusto per i cristiani che sono agli inizi e
intendono affrontare le difficoltà dell'ora presente, non certo per quei
seguaci la cui perseveranza e coerenza, rivolta con speranza in avanti,
nasce dall'inesauribile verità di Cristo, dà tensione alla vita e impulso
missionario alla comunità.
3 · Trattandosi di qualcosa di estremamente importante, la decisione
di aspirare alla «maturità» viene inoltre fatta dipendere dalla volontà
di Dio di coronare di successo l'impegno comune. L'autore si esprime
come il giudeo fervente (v. anche 1 Cor. 1 6,7) che si accerta del favore
di Dio, poiché la sua buona volontà da sola non basta. La frase non
cela tanto il dubbio che Dio possa non permettere qualcosa, ma sotto
linea la certezza che con il suo aiuto tutto vada a buon fine in qualsiasi
circostanza. Ebr. punta a coinvolgere in questa sua personale certezza
la comunità intera che, essendo pigra, ne ha bisogno.
4· Essa sta correndo un grosso rischio, per cui è necessario che com
pia tale passo. Se infatti si arrivasse al punto di rinunciare anche a quan
to è indispensabile, nessun aiuto sarebbe più possibile. Una frase relati
vamente estesa nega la possibilità che vi possa essere un secondo rav
vedimento, ribadendo quindi, al tempo stesso, l'unicità e irripetibilità
della conversione a Cristo. Si tratta di una pura constatazione, senza
riferimenti specifici agli ascoltatori. Tuttavia da tali parole essi dove
vano rendersi conto che era tempo di cambiare modo di pensare e di
imparare, per giungere finalmente alle verità eterne. È colpa della loro
pigrizia se sono fermi, minacciati dal pericolo dell'apostasia. Non esi
ste assolutamente la possibilità di retrocedere a prima del battesimo.
Ebr. 6,1 -6. Il cristiano necessita di una crescita spirituale 95
A questo s i allude parlando d i «quelli che sono stati illuminati una vol
ta» (v. anche 2 Cor 4,6; inoltre Iust., Apol. 1 ,61). Da un punto di vista
.
dal punto di vista sia metodologico sia contenutistico, alla luce di Fi
lone. Se in questo non siamo neanche più in grado di seguirlo, tuttavia
oggi più che mai resta il compito di rendere teologicamente possibile
l'enunciazione dell'eterno significato di Gesù. È necessario soffer
marsi brevemente sulla forma e la struttura dell'omelia, che in questa
parte viene particolarmente caricata dal punto di vista tematico.
1-3. In 7, 1 - 3 tutta la conoscenza di Ebr. riguardo a Melchisedec, trat
tenuta sin da 5 , 1 ss., emerge infine appieno con un'unica frase assai
estesa, che è al tempo stesso un elenco e un'interpretazione. Le carat
teristiche che definiscono il mistero del personaggio vengono riporta
te in modo conciso, pur mantenendo l'usuale stile elevato. 7,1 - 3, sia
materialmente sia dal punto di vista metodologico ermeneutico, è alla
base di tutto il discorso successivo, che ha lo scopo di dimostrare il
sacerdozio eterno di Cristo secondo l'ordine di Melchisedec nel senso
di Sal. I I 0,4. Stile, contenuto e collocazione omiletica della frase non
consentono di avanzare l'ipotesi di un inno, magari rielaborato.
4- 1 .1. Con i vv 4- I 2 l'attenzione dell'ascoltatore viene spostata sul
.
fatti che il S i gno re nostro è «uscito da Giuda», della cui tribù Mosè non ha
detto nulla riguardo ai sacerdoti . 1 5 E questo appare in modo molto p iù evi
dent e s e nell 'uguagl i a nza con Melchisedec viene costituito un altro «sacer
dote» r6 che non è divenuto tale secondo la legge di un ordinamento car
nale, ma in base alla potenza di una vita indi stru tti b i le. 17 La testimonian
za che lo riguarda dice infatti: «Tu sei sacerdote in eterno secondo l'ordine
d i Melchisedec».
fine, l'autore di Ebr. non pensa più, come Filone, al mondo come a un
libero spazio delle eterne potenze di Dio. Per lui il nuovo centro della
rivelazione e della conoscenza è piuttosto la figura salvatrice dell' eter
no sommo sacerdote Cristo, «che con la potenza della parola sostiene
tutte le cose» ( I , J ).
.1 6 Tale era infatti il sommo sacerdote adeguato a noi, che fosse santo, sen
za falsità, senza macchia e separato dai peccatori, e posto più in alto dei
cieli, 27 che non avesse bisogno come gli (altri) sommi sacerdoti di offrire
ogni giorno sacrifici per i propri peccati e poi per que l li del popolo, poiché
questo egli l'ha fatto una volta per tutte qu an do ha offerto se stesso. 28 In
fatti la legge costituisce come sommi sacerdoti degli uomini soggetti alla de
bolezza, mentre la parola del giuramento emanato dopo la le gge costituisce
un «Figlio » che è reso perfetto «in eterno» .
.28 Sal. 1 1 0,4.
to eccellente. Il dato di fatto del nuovo ordinamento, che può essere raf
forzato da promesse più solenni, viene diffusamente portato a dimo
strazione della grandezza del ministero sacerdotale di Cristo. Il modo
di trarre conclusioni è tipico di E br. in particolare. Già nell'Antico Te
stamento il rapporto tra Dio e il popolo era stabilito da un atto testa
mentario (gr. diatheke = «alleanza, testamento»), e a Mosè spettava il
ruolo di «mediatore» o «garante» (cf. Gal. J , I 9)· Ora però con C risto
le «promesse più salde» sono divenute realtà, e per questo il suo mi
nistero è più eccellente. A prima vista non è chiaro a cosa miri questa
espressione. Probabilmente si pensa a Ger. 3 r , che contiene parecchie
promesse riguardanti la realizzata comunione con Dio. Nel testo pro
fetico Dio manifesta soprattutto la ferma volontà di stabilire un' estre
ma comunione interiore con il suo popolo, comunione che non può
essere più distrutta da alcuna divisione e che comprende tutti i me m
bri del popolo. E proprio a tale riguardo l'ordinamento precedente era
lacunoso. Avendolo Dio mantenuto in vigore solo a prezzo di molti
fallimenti umani, che hanno messo duramente alla prova la sua pazien
za, tale ordinamento non poteva restare valido per sempre.
7· Quella dei profeti non era forse già una lotta di Dio in favore del
suo popolo, disunito e infedele ? La consapevolezza della comunione
divina sfuggiva di continuo al popolo. Alla fine Dio si è visto costret
to a sostituire il «primo testamento» con un «secondo». L'idea di di
sposizione testamentaria unilaterale è certamente dominante. Tanto
più il comportamento del popolo appare come rivolta e disobbedien
za che finirono col provocare l'intervento punitivo di Dio per elimi
nare quanto era «debole» e «inutile» (7, 1 8).
8. Nella lunga citazione di Geremia è Dio a parlare. Il suo giudizio
annienta, la sua volontà di cambiare le cose è inflessibile. Con linguag
gio solenne annuncia per l'era messianica futura un nuovo rapporto
giuridico, una «nuova alleanza» . Con essa agirà in modo definitivo e
conclusivo nei confronti della casa d'Israele e della casa di Giuda. Poi
ché il nuovo rapporto di comunione sarà perfetto e durevole, quello
antico, concluso sul monte Sinai, verrà abrogato.
9 s. Il popolo, che deve a Dio la liberazione dalla schiavitù, lo ha mal
ripagato con la ribellione e la disobbedienza. Al contrario, la «nuova
alleanza» sarà un rapporto di comunione tranquilla e di libera obbe
dienza. Cuori e menti si piegheranno spontaneamente ai comanda
menti, che colmando l'intimo degli uomini non saranno più pretese
Ebr. 8,6- 1 3. Cristo testimone di un nuovo testamento I3 5
cati gli arredi, pur limitandosi l'autore a due locali, il santo e il santo
dei santi, con gli utensili sacri essenziali in essi conservati. Alla base
della descrizione vi è quanto riferisce la versione greca dei LXX, che
per I' autore può essere considerato autentica raffigurazione di ciò che
è conforme al prototipo celeste (cf. Es. 2 5 ,40). Insieme a molti con
temporanei interessati, anche l'autore di Ebr. parte dall'idea che il tem
pio erodiano - come del resto anche quello di Salomone - sia soltanto
un tentativo di imitare la tenda del convegno. Come è noto, allora già
da tempo non esisteva più l'arca dell'alleanza (v. 5). La visione idea
lizzata, così come la coltiva Ebr. contro il corso dello sviluppo stori
co, è espressa chiaramente nella descrizione degli utensili del santo dei
santi, presentati quasi esclusivamente come oggetti d'oro, nei quali si
riflette lo splendore della gloria divina (cf. anche Apoc. 2 I ) . La pre
senza di norme che regolano il culto viene spiegata in un primo tempo
con l'accenno alla costruzione della tenda del convegno, che consiste-
138 E br. 9, 1 - 1 0. Le istituzioni cultuali dell'antica alleanza
ta» di Ebr. (cf. m]oma 5, 1 ss.; 7,4; Filone, Legat. 306; anche Spec. leg.
1 ,72; similmente Giuseppe, Beli. 5,5 .7). Nei vv. 6 s. poi Ebr. parla al
presente, partendo quindi dal presupposto che i particolari atti cul
tuali derivanti dalla costruzione della tenda del convegno sono ancora
in vigore, circostanza che significa che a quel tempo tali atti venivano
ancora compiuti. In caso contrario l'autore probabilmente avrebbe de
dicato maggior cura alla descrizione dei particolari. Oltre a ciò è forse
rilevante che nell'illustrazione del servizio del sommo sacerdote nel
grande giorno dell'espiazione non viene menzionata l'arca dell'allean
za, sulla quale veniva sparso il sangue dell'espiazione (caratteristica la
differenza rispetto a 9,2 1 ). Tale servizio viene spiegato con la semplice
affermazione che il sommo sacerdote deve presentare un sacrificio e
spiatorio, non senza sangue, per i peccati suoi e per quelli commessi
inconsapevolmente dal popolo (v. sopra, a 7,27). In base alla legge (cf.
Lev. 4, 1 3 ; Num. 1 5 ,22 ss.) si fa dunque una distinzione tra trasgressio
ni volontarie e non (v. anche 5,2; 10,26), puntando lo sguardo sull'atto
cultuale principale. Con «mancanze non conosciute» s'intendono quei
peccati commessi non per empietà irrispettosa né in malafede, come
pure quelli per i quali in seguito si è provato vergogna e pentimento.
Dietro la breve annotazione del v. 7 vi è l'ebreo che conosce la miseri
cordia straordinaria e l'assoluta santità di Dio, il quale in quel giorno
concede espiazione totale (v. anche Filone, Spec. leg. 1 , 1 87). Tuttavia
Ebr. non può accontentarsi di questa conoscenza. L'ordinamento cul
tuale di cui sa apprezzare benissimo l'unicità costituisce per lui al tem
po stesso a!lche la prova più lampante della sua imperfezione.
8. Dalla notevole argomentazione del v. 8 traspare la convinzione che
struttura e arredi del culto veterotestamentario, creati su istruzione di
vina, presentino al tempo stesso anche la testimonianza dello Spirito
di Dio riguardo a un'imperfezione e limitatezza temporanea, consape
volmente voluta. Infine, nella prima tenda possono entrare solo i sa
cerdoti . È posta come una barriera davanti al santo dei santi, simbolo
del santuario celeste {8,2; I 0, 1 9). Se ne deduce che l'ingresso a que
st'ultimo non era aperto e quindi vi era ancora la necessità della rive
lazione. A quanto pare Ebr. intende lo Spirito santo non come il dono
che viene fatto a tutti i cristiani, né come la parola biblica (come in 3 ,
7), ma piuttosto come testimonianza d i Dio nelle sue opere, che sono
ricolme di una simbologia divina. Questa considerazione è formulata
quasi si trattasse di una tesi (v. i participi).
Ebr. 9, 1 - 10. Le istituzioni cultuali dell'antica alleanza 143
Num. 1 8,8 ss.) nonché le lustrazioni di vario genere (cf. Lev. 1 6,23
ss.), possono anche essere indispensabili per l'integrità formale del sa
cerdote, ma fondamentalmente non significano nulla per il suo rap
porto con Dio al di là dell'ordinamento cultuale. Certo, la coscienza
era istituzionalizzata, ma insieme anche spersonalizzata. Perciò per
l'autore di Ebr., che in quanto cristiano si è trasferito in una nuova di
mensione di fede e di conoscenza, è assolutamente necessaria una «cor
rezione» che tenga conto dell'effettiva ventà di Dio. Tali prescrizioni
sono imposte solo fino al «momento dell'ordinamento nuovo», dopo
diché non hanno più valore alcuno. Probabilmente l'espressione cor
rispondente non si riferisce al tempo di Cristo nel suo complesso, ma
all'istante messianico dell'evento di Cristo, la svolta che porta a ciò
che è vero e ultimo, alla verità assoluta e perfetta che migliora il rap
porto dell'uomo con Dio in modo radicale e completo.
ideale (cf. 8 , 5). Non essendo opera costruita da mani d'uomo, suo co
struttore può essere considerato lo stesso Dio eterno (8,2). Di tanto in
tanto riaffiora la concezione secondo la quale con «tenda più grande e
più perfetta» s'intende il corpo di Cristo, dato che in Gv. 2,2 1 s. si ri
porta un detto di Gesù in tal senso. Tuttavia questa particolare espres
sione, come pure la precisazione «non appartenente a questa creazio
ne», indicano con sicurezza la dimora eterna di Dio (v. anche 9,24). La
si distingueva dal cielo, visi bile agli occhi, per descriverla come luogo
ultraterreno di adorazione perpetua, cioè come santuario simile al
tempio (cf. /s. 6, 1 ss.; Dan. 7,9 ss.; Sal. I OJ , I 9 ss.; in particolare Apoc.
3, 1 2; 8,3 s. ecc.). Non si può pensare a niente di più grandioso e pos
sente, e ovviamente l'accesso a tale luogo era interdetto agli uomini
mortali (cf. 9,8). Le caratteristiche menzionate da Ebr. ricordano la
descrizione del santuario celeste in Filone (v. sopra, a 8, 2), sebbene egli
sia incline a far sussistere accanto a «tutto l'universo», presentato co
me «vero santuario della divinità», il divino spazio «del tempio» come
«elemento più santo del mondo>>. Il panteismo filosofico in Ebr. resta
tuttavia escluso, poiché il santuario celeste di Dio vi è inteso come luo
go assolutamente trascendente. Anche l'idea filoniana di uno spazio
«santo» che abbracciava tutto il mondo non viene ripresa da Ebr. Ta
citamente la raffigurazione parte dal presupposto che la dimora di Dio
può essere paragonata solo al santo dei santi della tenda del convegno.
La componente spaziale, tuttavia, non è ignorata del tutto quando si
parla di passare «attraverso» il santuario. Cristo lo fece in analogia al
sommo sacerdote dell'antica alleanza, il quale doveva anch'egli «attra
versare» il santuario. Ciò che altrove è sottolineato con maggior forza
(cf. 4, 1 4; 6, 1 9), qui viene trascurato in favore dell'evento sacrificale
unico e decisivo. Resta da chiarire in che misura si pensasse specifica
mente a un «cielo degli angeli». Il luogo dell'offerta riveste un certo
interesse solo in relazione al suo carattere celeste eccezionale.
1 2. Il v. 1 2 aggiunge che Cristo è entrato «non attraverso (alla lette
ra) il sangue di capri e vitelli», bensì «attraverso (alla lettera) il proprio
sangue», e questo una volta per sempre. Se prima il termine «attraver
so» era inteso in senso spaziale, ora lo è in senso causale, per cui tra
duciamo «per». Questa comprensione poggia su Lev. 1 6,2 s., in cui è
detto chiaramente che Aronne potrà entrare nel santuario solo a con
dizione di presentare un giovenco per il sacrificio e un ariete per l' olo
causto. «Attraverso» indica dunque il motivo che rende possibile qual-
l SO Ebr. 9,1 1 - 1 4. La redenzione non si basa sul sangue di animali
cosa. Stando a Lev. 1 6, 1 4 ss. il sangue del giovenco era versato per l'e
spiazione dei peccati del popolo. Il sangue del sacrificio era l'unico
mezzo che rendeva possibile l'accesso al santuario (v. 7). Secondo tale
concezione, lo stesso Cristo poté entrare nel santuario di Dio unica
mente a motivo di un sacrificio di sangue; ma avendo offerto la pro
pria vita, egli si distingue radicalmente dall'ordinamento levitico. L'e
spressione generica che parla al plurale di «sangue dei capri e dei vitel
li» ha un'accezione vagamente negativa, in quanto vi si percepisce l'al
lusione a un'operazione ripetuta più volte nell'anno, che, alla fin fine
risulta inutile. Dietro le parole sul sangue di Cristo presentato in of
ferta vi è invece la convinzione che egli è stato disposto a dare quan
to vi era di più prezioso. In altre parole, egli ha offerto a Dio il sacrifi
cio totale della propria persona, senza timore della morte. In questo,
l'assoluto rinnegamento di sé allo scopo di esaltare Dio appare pie
namente dimostrato per fede e conoscenza. Ciò che con Cristo ha tro
vato la sua espressione paradossale, ma insieme insuperabile, è dunque
la relazione tra sommo sacerd�zio e sacrificio; per la miglior com
prensione della testimonianza va tuttavia ricordato che Ebr., come di
mostra 5,7 ss., introduce anche il concetto di prova, terribile ma supe
rata; in altro modo Gesù non avrebbe potuto «trovare» una «reden
zione eterna». Quest'ultima espressione significa qualcosa di più di una
semplice redenzione personale, ossia il dato di fatto di una liberazione
valida sul piano universale, conquistata una volta per tutte e a favore
di tutti gli uomini. Vi sono compresi anche i concetti di irripetibilità e
insostituibilità. Il verbo «trovò», che in greco è medio, mette in risalto
l'impegno personale e al tempo stesso anche che qui Cristo ha otte
nuto o attuato qualcosa di assolutamente non scontato. Evidentemen
te vi è alla base l'idea che Dio abbia insolitamente permesso tale re
denzione per gli uomini a motivo del sacrificio straordinario.
1 3. La riflessione che segue ai vv. 1 3 s. ribadisce ulteriormente la ve
rità espressa. Non che nell'antica alleanza il sangue degli animali sacri
ficati fosse privo di valore: di fatto ha santificato «purificando nella
carne»; ma al sangue di Cristo non spetta allora una potenza san
tificatrice ancora maggiore ? Questa considerazione ulteriore parla del
sangue animale nel culto veterotestamentario in senso lato. Invece di
capri e vitelli si parla di «capri» e «giovenchi» (cf. fs. 1 ;1 1 ), e della ce
nere di una giovenca rossa (cf. Num. 1 9). Al di là del grande giorno
dell'espiazione, probabilmente è la condizione di una purificazione ri-
Ebr. 9,1 1 -14. La redenzione non si basa sul sangue di animali I5I
tiene per sé la vita. Nel «sangue di Cristo» Ebr. non vede una forza
protettiva magica; vi ricorre per descrivere una modalità di compor
tamento che illustra chiaramente altrove ( 5,7). La vittima si presenta
«senza macchia» in ragione della grande obbedienza dimostrata. L'ac
cenno al Dio vivente specifica che questo Dio non si aspetta «opere
morte» ma un «culto vivo» (cf. 1 Tess. I ,9). Gli animali che vengono
sacrificati possono magari richiamare confusamente alla memoria que
sta verità teologica fondamentale, ma non potranno mai essere la veri
tà stessa. Questa infatti punta all'uomo, alla persona, al cuore, poiché
l'essere umano va ricondotto all'origine della sua creaturalità, a Dio.
Anche Cristo ha offerto se stesso non solo «davanti a Dio», ma a Dio
stesso, e lo ha fatto «mediante uno Spirito eterno»: questo significa
che Cristo ha agito in conformità alla volontà del Padre. Senza dubbio
per Ebr. la donazione di sé da parte di Gesù è stata un suo atto perso
nale. Ciò che l'ha resa accettabile è stato l'accordo del sommo sacer
dote - vittima con lo Spirito, ossia con la volontà e la chiamata di Dio.
10 Es. 24,8.
Dio a Israele, dono che resterà suo per sempre e in ogni circostanza,
dovesse anche peccare. Resta da chiarire se le parole della Scrittura,
dal momento che risultano lievemente distorte, siano da considera
re citate a memoria dall'autore. Perlomeno l'espressione «questo è il
sangue dell'alleanza» può contenere un'allusione alle parole pronun
ciate da Gesù al momento di istituire l'eucarestia (cf. Mc. 1 4,24; Mt .
26,2 8); infatti, nel seguito, l'autore riprenderà ancora due volte il con
cetto di «sangue dell'alleanza» ( r o,29; I J,20) per metterlo in relazione
diretta ali'opera di Cristo. Si osservi inoltre che un culto festivo, di eu i
si può supporre che facesse parte anche la lettura di questa omelia,
poteva sempre favorire l'associazione con le parole dell'istituzione
eucaristica. La supposizione si rivela ancor più plausibile se si ipotizza
che la comunità di Ebr. si sia riunita per celebrare una liturgia che
comprendesse anche battesimo ed eucarestia. Il raffronto tra nuova
alleanza e alleanza conclusa sul Sinai difficilmente non troverà ascol
to, dal momento che è stato preceduto da una lunga preparazione. Si
trattava semplicemente di approfondire nozioni già note al fine di
rafforzare la fede. La comunità non solo doveva riflettere su quanto
accade, ma anche sul perché è così; solo conoscendo le verità più
profonde avrebbe perseverato nella sua fede in Cristo. N on è da
escludere che la forma della citazione di Es. 24,8 (LXX) fornisca un
argomento a favore della vicinanza temporale di Ebr. a Paolo ( 1 Cor.
I 1 ,2 5 ) e a Mc. ( 14,24). Più importante è vedere la testimonianza teo
logica del v. 20, ossia il rilievo dato all'alleanza conclusa con il sangue
del sacrificio. Già allora la consacrazione avveniva nella forma di una
purificazione globale.
2 1 . Il v. 21 estende l'atto alla tenda e agli arredi sacri (riguardo al
termine v. Num. 4, 1 2), mentre l'avverbio «allo stesso modo)), nonché
il tempo del verbo, non lasciano dubbi riguardo a una certa contem
poraneità negli atti di aspersione. Secondo la testimonianza biblica,
tale evento (Es. 40) viene descritto nella stessa successione che con
traddistingue la conclusione dell'alleanza (Es. 24) anche se, ovviamen
te, i tempi vengono fatti coincidere. In questo modo si è riusciti a
chiarire l'essenza del culto sacrificate veterotestamentario nella sua
origine ricorrendo all'eminente esempio della conclusione dell'allean
za. Gli accenti, posti in modo singolare, sottolineano il proposito.
22. A buon diritto dunque si possono infine tirare le somme di
quanto si è appreso. L'essenza del culto veterotestamentario è riassun-
Ebr. 9,1 3 -18. Il sacrificio unico e irripetibile di Gesù l 59
18 fs. S J , I 1.
sacrificio cruento. Già in 8,5 si era fatto osservare che i sacerdoti levi
tici attendono a un servizio che è «copia» e «ombra» delle cose celesti.
Il ragionamento esposto in 9, I - I o ne offre una prova assai particola
reggiata. I versetti 9, I 1 -22 chiariscono il significato di principio del
sacrificio cruento ai fini della purificazione e del perdono. Il v. 2 3 ri
badisce, con una formulazione astratta e autorevole, l'esistenza di una
« necessità» che è possibile riconoscere, deducibile in base a una con
vincente argomentazione dal minore al maggiore. Dietro il concetto di
«necessità» si cela un intento principalmente logico, e non l'idea di
una effettiva costrizione, tanto più che la frase è al presente. A diffe
renza di Filone, il quale dalla bellezza del cosmo ricava l'esistenza di
un creatore che lo mantiene, e si serve della testimonianza dell'Antico
Testamento per dimostrare realtà metafisiche e vedere nella tenda del
convegno un richiamo al cosmo (divino) platonico, il «tempio vero»,
E br. si interroga sulla necessità del sacrificio senza badare al contesto
esistenziale cosmologico. Arriva così a concludere che le cose celesti
necessitano di «sacrifici superiori» .
.2.4. Ciò che in un primo tem�>o è presentato come conclusione pu
ramente generica (si osservi il plurale), riceve immediatamente la spe
cificazione desiderata grazie all'unico sacrificio di sé da parte di Cri
sto, il quale non è entrato in un santuario costruito da mani d'uomo,
che sarebbe semplice antitipo delle realtà vere, ma nel cielo stesso.
Quasi ripetendo l'asserzione di 9, I I si afferma che l'entrata nel san
tuario celeste, del quale il tabernacolo poteva essere solamente copia,
riproduzione assai fedele del modello reale, ha potuto realizzarsi solo
grazie a un'azione sacerdotale straordinaria. Non che le realtà celesti
abbiano avuto bisogno di essere purificate. Nel v. 23b sembra che in
tenzionalmente non si sia ripreso il verbo da 2 3a. Così al v. 24 risulta
va più facile concentrarsi esclusivamente sull'ingresso della vittima nel
s antuario celeste. Questa visione su relazioni più profonde deve dar
fondamento alla circostanza di un modo di agire superiore. Se Cristo
non è entrato nel santuario terreno ma nel «cielo stesso», questo si
gnifica che ha affrontato la reale verità, l'origine e il fondamento delle
cose, ossia la realtà di Dio. Dapprima Eb.r. parla del «cielo» in modo
usuale per distinguerlo dall'opera dell'uomo, ma il termine è anche un
eufemismo che indica Dio. Diversamente da come sentiamo noi oggi,
Dio non è una sigla per significare trascendente, inesprimibile e in
sondabile. Manifestando lo scopo e la conseguenza dell'azione sacer-
Ebr. 9,2J-28. Il sacrificio unico e irripetibile di Gesù 161
dotale s i aggiunge: «per comparire ora a l cospetto d i Dio i n nostro fa
vore». Questa espressione nell'Antico Testamento (cf. Sal. 42,3 ) può
indicare concretamente la frequenza del santuario. Nel presente con
testo invece è intesa in senso strettamente letterale, in quanto è pre
sentato un atto unico e conclusivo che comporta la fine e lo scopo di
tutte le cose. Quest'affermazione estremamente audace descrive in pa
role chiarissime la fase decisiva dell'esaltazione, a partire dalla quale si
ha il «tempo presente». È caratterizzata dal fatto che qualcuno ha po
tuto vedere «il volto di Dio». Tra le affermazioni di base della fede giu
daica vi è quella secondo la quale Dio, che dimora in un nascondimen
to inaccessibile, non si rivela all'occhio umano. N on è possibile soste
nere la visione della sua gloria, tantomeno il suo sguardo. Al sommo
sacerdote era consentito entrare nel santo dei santi del tempio, dimora
simbolica di Dio, s olo nel giorno dell'espiazione, quando era avvolto
dal denso fumo dell'incenso. Che impressione allora, il fatto inaudito
che Cristo abbia p otuto forzare l'impenetrabilità che circonda il Dio
santo ! E questo non per sé, ma «per noi» - come si afferma alla fine,
con una pregnanza che ricorda Paolo. Quest'affermazione condusse già
il pensiero e la fede primitivi a un limite assoluto. L'autore conosceva
bene le implicazioni dell'espressione tecnica ripresa, ma come avrebbe
potuto altrimenti descrivere l'unione tra Cristo e Dio sulla base del sa
crificio della croce ? N e affiora la tacita convinzione che al cospetto di
Dio non avrebbe potuto presentarsi uno qualsiasi, ma certamente solo
il Figlio, che aveva superato una prova durissima. L'espressione «per
noi)), in forza della concezione di una sofferenza vicaria in Paolo, è in
tesa spesso nel senso di «al nostro posto», mentre qui comporta l'in
tercessione «a favore» dell'uomo (v. anche 7,2 5). Se Paolo insiste mag
giormente sul ruolo passivo del Cristo sofferente (eccezioni: Gal. 1 ,4;
2, 20), dal canto suo Ebr. ne accentua il ruolo attivo e l'azione. Viene
dunque a cadere l'idea di un evento salvifico oggettivo, voluto e pre
parato da Dio, mentre si afferma sempre più l'idea di un «sacrificio at
tivo)) . Al posto dell'affermazione puramente teologica, descritta dal
verbo della salvezza all'indicativo, a cui fa seguito l'imperativo etico,
Ebr. presenta l'esempio eloquente di Cristo che ha sacrificato la liber
tà diventando, in quanto senza potere, il plenipotenziario secondo la
volontà di Dio. Il significato etico del sacrificio non va prima evinto,
come per Paolo, ma è immediatamente visibile.
2 5 . Cristo appare come modello e garante della verità della fede cri-
1 62 Ebr. 9,1 J-18. Il sacrificio unico e irripetibile di Gesù
stiana, che punta direttamente alla prassi e non alla teoria. Per mettere
tale verità al sicuro da fraintendimenti, chiarendo il significato di «una
volta per tutte>> si sottolinea che egli non ha offerto se stesso «più vol
te», come invece fa il sommo sacerdote giudaico che ogni anno offre
sacrifici nel santo dei santi. Fondamentale è che il suo sacrificio della
croce è bastato a impegnare definitivamente Dio in favore dell'uomo,
il quale, invischiato nel peccato, ha bisogno del sacrificio liberatorio di
una persona.
26. Pienamente consapevole dell'audacia inaudita, il v. 26 osa affer
mare ancora che Cristo, se fosse comparso con le modalità del sommo
sacerdozio terreno, «avrebbe dovuto patire più volte dalla fondazione
del mondo». Un'ombra di scetticismo o di tristezza traspare dalla
constatazione che il genere umano è in contrasto con Dio fin dagli
inizi. La storia della fede delineata in seguito al cap. I I è infatti solo
uno degli aspetti di un contrasto più grande. Empietà, tribolazione e
colpa nel mondo non vanno assolutamente sottovalutate, perché Dio
stesso ne soffre, forse anche più di una volta nella figura del suo Cri
sto, il che non sarebbe del tutto inconcepibile. Il concetto di «soffe
renza» mira al «patire la morte», ed è quindi già impiegato in senso
tecnico (cf. 2,9 ). Quasi con un sospiro di sollievo al v. 26b prorompe
la dichiarazione che ora Cristo si è manifestato un'unica volta alla fine
dei tempi, per a!!nullare il peccato con l'offerta di se stesso. La sua
morte segna la grande svolta. L' «ora perÒ» va inteso più in senso tem
porale che logico. Il mondo è posto sotto una nuova luce. La sua vita
offerta in sacrificio sulla croce abbraccia veramente il grande giorno
dell'espiazione della storia dell'umanità. Egli ha espiato anche la colpa
delle generazioni precedenti, e quindi è stato conseguito qualcosa di
più di una semplice remissione dei peccati: essi sono stati «annullati».
Con «si è manifestato» s'intende non davanti a Dio, bensì davanti al
mondo di Dio. Se abbiamo ragione, allora dietro questa attestazione
vi è la coscienza del carattere proclamatorio dell'evento della parola.
Ebr. parte dal presupposto che la verità della croce di Cristo ha co
minciato a essere annunciata dal momento stesso dell'evento, tanto
che anche in I ,2 è detto che alla fine dei tempi Dio ha parlato per
mezzo del Figlio (cf. anche 1 Pt. 1 ,2o; 1 Gv. 3, 5). Ciò che dev'essere
p roclamato non è visibile agli occhi; può trovare accoglienza o incon
trare il rifiuto. La rivelazione non comprende ciò che di per sé è chia
ro alla comprensione umana; sostanzialmente riguarda piuttosto ciò
Ebr. 9,23-28. Il sacrificio unico e irripetibile di Gesù 1 63
che è nascosto. Forse in nessun'altra parte è data in modo più concen
trato che nel sacrificio di se stesso da parte di Cristo.
2 7· Laddove la fondamentale categoria esistenziale della morte de
termina la decisione di base dell'uomo, la croce, in quanto dimensione
storica, diventa norma escatologica. Il v. 27 introduce a buon diritto, e
anzi a rigor di logica, la gravità della decisione, ovviamente se la frase
intende assicurare e motivare veramente la convinzione espressa al v.
2 8 . Da un punto di vista della psicologia della fede, la tematica elabo
rata al v. 27 ha comunque un'incredibile forza espressiva. Dimostra
che dall'uomo, volente o nolente, ci si attende una decisione dalla qua
le egli, in quanto creatura responsabile, non può scappare. Senza men
zionare Dio, il v. 27 ribadisce con una formulazione di valore univer
sale che l'uomo, prima o poi, deve morire, com'è stabilito; «dopo di
che viene il giudizio». La frase vuoi essere una constatazione, non una
minaccia. Inoltre si tratta di una convinzione basata sull'esperienza,
non di un'opinione personale. Alle spalle vi è la consapevolezza che
l'essere uomo dev'essere giustificato. Al di là dell'affermazione gene
rica, all'ascoltatore viene ribadito che dopo la morte vi sarà un giorno
del giudizio in cui Dio tirerà le somme in modo definitivo e universa
le. La sorte di Cristo è significativa perché dà una risposta all'incer
tezza dell'esistenza umana, a quanto pare profondamente sentita.
28. Di questa esigenza tiene conto il v. 28 nel trarre le sue conclu
sioni. Ciò che per costituzione è parte integrante dell'esistenza uma
na, ossia la morte, non è stata risparmiata neppure a Cristo, che dovet
te rendersi in tutto simile ai suoi fratelli (cf. 2, 1 0 ss.). E questo a pre
scindere dal fatto che la sua morte sia da valutare sotto l'aspetto del
servo di Dio sofferente (secondo fs. 5 3 ) perché dovette annullare i pec
cati di «molti» . La morte di Gesù, in un primo tempo vista come real
tà ineluttabile dell'esistenza umana, trova spiegazione teologica in una
frase secondaria che riprende fs. 5 3 , 1 2 . Sorprende che alla profezia
biblica si faccia solamente allusione senza esporla per intero. Oltre a
ciò Ebr. ne approfitta teologicamente in modo tale da far risultare il
compito di Gesù di essere servo di Dio un compito voluto da Dio
stesso. Tale aspetto affiora dalle parole: «dopo essere stato offerto»
(diversamente dal v. 2 5 ). Il significato di fs. 53 dunque non è che Gesù
ha voluto essere il servo di Dio, quanto che con il suo servizio e la sua
sofferenza segna l'adempimento della profezia. In essa, come è noto,
non si parla della croce. Di fatto il destino di Gesù è stato ancora più
1 64 Ebr. I O, I - I O . Legge e remissione dei peccati
spaventoso rispetto a quello prospettato da /s. 5 3 · Il ricorso al passo
biblico, impiegato per esempio in Mc. 1 0,4 5 per indicare l'esplicita
volontà di Gesù, tradisce quindi uno stadio relativamente precoce del
la riflessione teologica; anche il mantenimento dell'ebraismo (i peccati
«di molti» = di tutti) appare rilevante. Forse l'elemento decisivo è pro
prio che Cristo ha vissuto l'obbedienza del servo di Dio, perché sol
tanto tale comportamento era in grado di elevare la sua morte a sacri
ficio. Se al _v. 26 si parlava di annullamento radicale del «peccato», qui
si parla di togliere i «peccati » (al plurale !). La speranza dei molti ai
quali è stato donato il perdono può basarsi sul sacrificio di Cristo. Al
la liberazione transitoria seguirà quella definitiva. Al momento della
sua seconda venuta egli sarà «libero da peccato)) (alla lettera: «senza
peccato»); ciò significa che la sua vita e la sua opera non dovranno più
servire a togliere di mezzo il peccato, come quando venne per la pri
ma volta. A questo punto, il ragionamento cambia all'improvviso e in
modo sorprendente. Non è detto, in analogia al v. 27, che sarà Cristo
a portare a termine il giudizio destinato all'uomo (si affermerà così
solo in I O, I 3), ma che egli appare «per la salvezza» a «coloro che lo at
tendono». Compare già in modo velato l'esortazione escatologica che
seguirà ( 1 0, I 9 ss.). Quando venne per la prima volta aveva il compito
di servire, quando verrà per la seconda sarà per salvare. In questo mo
do viene ricordata l'opera peculiare di Gesù sulla quale la comunità
può fond&re la propria speranza. Per la prima volta si accenna al tema
che sarà oggetto approfondito di future riflessioni. Il sacrificio di Cri
sto, essendo avvenuto alla fine dei tempi, è di efficacia universale. Non
comprende solo, negativamente, la liberazione dal peccato, ma anche,
positivamente, la liberazione «per la salvezza»: con ciò si intende il
possesso della vita ( I O, I 9 ss.) e infine il «conseguimento della promes
sa» e dell' «eredità» eterna ( IO,J 6). Vediamo che Ebr. si sforza non so
lo di comunicare una speranza, ma principalmente di mostrarne il fon
damento.
dono i l culto, essendo già purificati, non avessero più avuto coscienza dei
loro peccati ? 3 Ma proprio con questi sacrifici si rinnova o gni anno il ri
cordo dei peccati, 4 poiché infatti è impossibile che il sangue dei tori e dei
capri cancelli i peccati. 5 Perciò entrando nel mondo dice: «Hai rifiutato
sacrifici e doni, ma mi hai preparato un corpo. 6 No n hai gradito né olo
causti né sacrifici espiatori». 7 Allora ho detto: «Ecco, io vengo, come è
scritto di me nel rotolo del libro, per fare, o Dio, la tua volon tà» . 8 Mentre
prima dichiara: «Hai rifiutato e non hai gradito sacrifici e doni, olocausti e
sacrifici espiatori», che pure vengono offerti secondo la legge, 9 ha aggiun
to dopo: «Ecco, io vengo per fare la tua volontà» . Con ciò abolisce il pri
mo per stabilire il s eco nd o xo In base a questa volontà noi siamo stati
.
santifi cati una volta per tutte mediante l'offerta del corpo di Gesù Cristo.
5-7 Sal. 40,7-9a (con alcune variazioni significative in Ebr. ).
11 E così ogni sacerdote sta lì ogni giorno e celebra il culto, offrendo più vol
te gli stessi sacrifici che non possono mai togliere pec cati ; 12 questi, invece,
che offrì un unico sacrificio per i pecca ti, «si è assiso» per sempre «alla de
stra di Dio» 1 3 aspettando, per il tempo restante, che «i suoi nemici siano
posti a sgabello dei suo i piedi». 14 Infatti mediante una sola offerta ha por
tato per sempre alla perfezi one quanti vengono santificati. 1 s Ma questo ce
lo attesta addirittura lo Spiri to santo. Infatti, dopo aver detto: 1 6 «Questo
è i l testamento che io stipulerò per loro dopo quei giorni», il Signore dice:
«Porrò le mie leggi nei loro cuori e le scriverò nelle loro menti 17 e non mi
ricorderò più dei loro peccati e dell e loro ini qu i tà» . 18 M a dove c'è perdo
no per questi, non vi è più bisogno di offerta per il peccato.
1� Sal. n o, u. 13 Sal. n o, I h. 16 Ger. J I,JJ. 17 Ger. J 1 ,34d.
I I- I 8. In complesso questa pericope si compone di affermazioni no
te, come risulta anche dall'impiego delle stesse espressioni tipiche. Il
tema principale conclusivo è ancora una volta l'unicità del sacrificio di
Cristo, che per questo siede sul trono (8, I) alla «destra di Dio>> «per
s empre » (7,4) e giudicherà i suoi nemici (9,2 8; I , I J ). Proprio in questo
modo ha ottenuto anche la perfezione eterna per tutti i santificati ( I o,
I ), il che significa che in adempimento alla profezia di Ger. 3 I ,3 3 sono
giunti «quei giorni» (8,8 ss.) nei quali effettivamente le offerte saranno
eliminate e, grazie alla morte di Cristo, sarà concessa la remissione
universale dei peccati. Il ritorno al fondamento biblico offerto dal Sal.
I I O rassicura nuovamente sul fatto che l'autore non si attiene a idee
sue personali, ma a una testimonianza esistente, anzi all'attestazione
stessa dello Spirito di Dio (I o, 1 5 ).
I 1 . Diversamente da 9, 1 I - 1 4 e 9,23 -28, nella conclusione Cristo non
è messo a confronto con il servizio del sommo sacerdote nel grande
giorno dell'espiazione, bensì con il sommo sacerdozio d'Israele in as
soluto. I suoi rappresentanti se ne stanno ogni giorno nel tempio svol
gendo i loro compiti cultuali. Si può pensare all'olocausto quotidiano
del mattino e della sera o ad altri servizi rituali. Anche se tutte le man
sioni erano rigorosamente regolamentate, tuttavia fondamentalmente
«ogni sacerdote» era chiamato e tenuto a svolgerle. In q�esto caso «sta
va» davanti a Dio, come afferma un'espressione ricorrente dell'Antico
Testamento (ad es. Deut. I o,8; Giud. 20,2 8), per svolgere incessante
mente la sua mansione di servo del Signore altissimo. Un compito da
Ebr. 1 0, 1 1 - 1 8. Esaltazione di Cristo e tempo della perfezione 171
schiavo, se si pensa che qui si parla d i offrire «molte volte gli stessi sa
crifici» in modo faticoso e in fondo anche insensato, dato che non rie
scono mai a eliminare i peccati (I o, I .4). Così, stando alla convinzione
di Ebr. , nel ministero sacerdotale vi è qualcosa d'insufficiente e insod
disfacente. N on è assolutamente scevro da carenze e fallimenti. Si ha
l'impressione che l'autore, il quale fa solo constatazioni, non accuse,
ne abbia sofferto, naturalmente prima di attingere certezza dal sacrifi
cio di Cristo.
1 2 . Se nella presenza del sacerdote scorge l'elemento imperfetto e
1nconcluso di tutta l'istituzione, ancora più in Cristo, che grazie al suo
sacrificio unico siede sul trono alla destra di Dio, vede la verità ultima
ed eterna in base alla quale comprendere e misurare ogni evento futu
ro. Di conseguenza «un solo» sacrificio sostiene il passato colpevole,
che «per colpa dei peccati» rappresenta un peso. Ma questa verità li
bera anche per il futuro, perché contro di essa si infrange ogni ostilità
e ogni resistenza. Ancora una volta risuona il Sal. I I o, in parte citato
alla lettera in parte riportato liberamente («per sempre»); la sua affer
mazione riguardo a «Cristo seduto alla destra di Dio» irradia qualcosa
del riposo eterno promesso al popolo di Dio (4,9), riposo che ha il suo
fondamento immutabile nella signoria dell'intercessore e sommo sa
cerdote (7,24 s.). Che Cristo sieda sul trono tuttavia non è inteso co
me un avvenimento definitivamente concluso.
1 3 . Il v. I J, nello spirito di Sal. I I O, I b, guarda alla fine dei nemici
che vengono posti ai piedi di Cristo da Dio, il quale introduce la vit
toria totale di suo Figlio. Vi è ancora un breve intervallo di tempo da
aspettare perché la vittoria iniziata sia completa. Si percepisce qui lo
spirito della comunità primitiva che sentiva di essere prossima alla pie
nezza dei tempi. La sua speranza, che nasce dall'evento dell' esaltazio
ne del Signore, non deve finire nell'incertezza. Essa si esprime come
perseveranza nell'attesa, come sottolineano fortemente le successive
parole di incoraggiamento (v. già 9,2 8). In questo contesto non è chia
ro chi siano i «nemici» di Cristo che devono chinarsi davanti a lui (v.
anche I , I J). Probabilmente non si pensa tanto a satana o a forze de
moniache ostili a Dio, quanto a potenze terrene (cf. I 0,27 ss.; 6,8) che
oppongono una resistenza ostinata alla testimonianza di Cristo, cau
sando la temporanea procrastinazione della rivelazione del mondo
celeste. Solo in seconda istanza può essersi mischiata anche la con
vinzione della sconfitta inflitta agli avversari metafisici di Cristo di cui
I 71 Ebr. I o, I I- I 8. Esaltazione di Cristo e tempo della perfezione
si parla in 2, 14. Certo, il loro tempo ha un termine, come ricorda an
cora una volta esplicitamente 10,37 ricorrendo alla Scrittura. In questo
modo, l'attesa di Ebr. si colloca perfettamente all'interno della spe
ranza rigorosamente orientata della cristianità primitiva. Partendo dai
suoi particolari presupposti, essa impartisce l'insegnamento riguar
dante il sommo sacerdote intronizzato a kosmocrator, grazie alla cui
signoria universale la redenzione, che prima era caduca, si è definitiva
mente trasformata in eterna.
1 4. In tal senso il v. 1 4 parla della «perfezione» che è divenuta realtà
nel tempo attuale e nella quale può essere accolto l'uomo in quanto
«santificato>>. E questo grazie a un'unica oblazione, come viene riba
dito ancora una volta per evidenziare bene tutto il distacco dai vani
sforzi del sacerdozio veterotestamentario. Inoltre vi è una leggera al
lusione al fatto che il sacrificio di Cristo è un evento chiuso nel suo
significato. La «perfezione» può quindi esser fatta passare come un'e
sperienza della fede già attuale, perfetta in se stessa e perciò dono e
offerta «per sempre » . Chiaramente il concetto, come già esposto al
trove ( 2, 1 o ) , non indica un processo di perfezionamento etico o ad
dirittura mistico-cultuale, bensì niente di più e niente di meno che un
rapporto di comunione diretta con Dio nel quale sia eliminato tutto
ciò che fino a quel momento è stato di impedimento o di disturbo. In
tal modo Ebr. in fondo ha ricondotto a un denominatore comune
estremamente semplice il fine della speranza, fondandolo in modo
radicale sul sacrificio unico di Cristo, il che merita attenta riflessione.
Che la vita in libertà perpetua debba basarsi sulla morte dell'unico
sommo sacerdote è un'intuizione inaudita, che porta all'estremo limi
te ogni riflessione.
1 5 · Per rafforzare la verità di quanto si è appreso, ancora una volta
si fa riferimento alla promessa divina di Ger. 3 1 ,3 1 -3 4 {8,8 ss.) in for
ma abbreviata. Essa è messa in risalto per sottolineare l' attualizzazio
ne immediata della parola come attestazione dello Spirito santo. La let
tera agli Ebrei presuppone che anche oggi esso parli come un tempo,
tramite i profeti. Più che avvertire (cf. 3 ,7) intende promettere e inco
raggiare. In tal modo la parola eterna di Dio diventa una grandezza
vivente ed efficace (cf. Filone, Leg. ali. 3 ,4; J,2 1,7), e questo anche nel
tempo di Cristo.
·
16 s. La prima parte del discorso, che non lascia dubbi riguardo al
l'adempimento presente delle promesse divine, è scelta in modo tale
Ebr. I o, I I - 1 8 . Esaltazione di Cristo e tempo della perfezione I 73
che l'espressione «dice il Signore)) passa immediatamente alla verità ef
fettiva, che è quella che conta. E cioè che Dio agisce direttamente sul
cuore degli uomini e perdona «peccati)) e «iniquità)), dei quali non si
ricorderà più. Le parole decisive non seguono solo al v. I 7, come oc
casionalmente si è pensato, ma già in I 6b, come detta la logica: «dopo
aver detto ... , dice)). Passando dal centro della citazione direttamente alla
sua conclusione, l'autore mette in risalto proprio quella nuova realtà
del tempo mcssianico che diventa manifesta solo a causa del sacrificio
unico e irripetibile di Cristo, dal momento che una remissione totale
non può mai essere ipotizzata senza la realtà totale di un sacrificio.
1 8 . Al v. I 8 Ebr. presuppone tale convinzione. Questa tesi, che con
clude la vasta trattazione teologica del sommo sacerdozio di Gesù (4,
14- I 0, 1 8), ribadisce l'eliminazione della necessità del sacrificio perché
Cristo ha reso possibile una remissione perfetta dei peccati. Il risulta
to complessivo delle riflessioni oltremodo varie viene riassunto un'ul
tima volta nella maniera più semplice. Si può intuire che con questa
dichiarazione di principio si intenda portare l'uditorio composto da
giudeocristiani a quella certezza che faccia loro abbandonare definiti
vamente il legame che li tiene uniti al vecchio. A maggior ragione l'o
rientamento al nuovo e al futuro può divenire un compito che ci si as
sume di buon grado.
Parte quarta
tandoci vicendevolmente, con tanta più forza quanto più vedete avvicinarsi
il giorno.
21 Num. 1 2,7.
riunirsi tutti insieme. Se l'amore nel mondo e nella vita quotidiana de
ve rivelarsi con forza, occorre ricercarne sempre l'origine (v. 22: «ac
costiamoci»). È significativo che anche in I J , I 5 s. il sacrificio di rin
graziamento dell'amore sia strettamente collegato al sacrificio di lode
della fede. Quando alla fine si ha l'invito a esortarsi a vicenda per fre
quentare le riunioni, l'intento è quello di contrapporre energicamente
ai pochi esempi negativi i tanti positivi. Ogni fallimento deve indurre
a stringersi insieme in modo ancora più compatto, mobilitando così
nuove energie. Occorre anzitutto compiere subito passi per migliora
re, senza aspettare che prendano il sopravvento fenomeni di dissolu
zione. La comunità non può assolutamente permetterselo, tanto più
che è a conoscenza del «giorno» che impone disponibilità imme d iata .
avrà stimato cosa senza valore il «sangue del testamento» da cui era stato
santificato, e che avrà oltraggiato lo Spirito della grazia? 30 Conosciamo in
fatti colui che ha detto: «Mia è la vendetta. Io ripagherò», e ancora: «Il Si
g? ore giudicherà il suo popolo». 3 1 È tremendo cadere nelle mani del Dio
vivente.
27 /s. 1 6, 1 1 (LXX) . 28 Deut. 1 7,6. 29 Es. 24, 8. 30 Deut. J2,J 5a.J6a, anche Sal. I J 5 ,I4.
scritto che è meglio cadere nelle sue mani anziché in quelle degli uo
mini (cf. 2 Sam. 24, I 4; 1 Cron. 2 I, I 3; Sir. 2, I 8 ), mentre qui si trae una
conclusione diametralmente opposta partendo dalla verità di Cristo.
Grazie a essa la testimonianza del Dio che giudica viene forse messa in
luce in modo ancora più chiaro. Indubbiamente in questo particolare
passo la distanza dal pensiero filosofico di un Filone è lampante (cf.
Deut. 3 2,34 s. e Leg. all. I o 5). L'intera testimonianza di Ebr. pone l'uo
mo di fronte all'alternativa di accettare la graz ia del sacrificio di Cri
sto o di rischiare, nella presunzione, di divenire vittima del giudizio di
Dio. Proprio alla conclusione del ragion am en to maggiore la medesi
ma conoscenza viene espressa ancora una volta con analoga incisività
(cf. I 2,29).
(cf. Dan. 7, 1 J ; Zacc. 9,9; Mal. J , I ; Sal. 1 1 8,26; al riguardo Mt. 1 1 ,3 par.,
Gv. 6, 1 4). In più stretto collegamento con l'interpretazione giudaica
corrente, Ebr. ritiene invece che il passo scritturistico si riferisca al
l'ultimo giorno del messia, che a motivo della sua intronizzazionc
comparirà per giudicare e salvare. Egli giungerà all'improvviso, ritor
nerà sicuramente. In conformità con la speranza giudaica, qui è più in
discussione il mancato ritorno che non il ritardo della venuta: ma in
entrambi i casi bisognerebbe presupporre la convinzione di un termi
ne fissato dalla volontà divina. Solo e soltanto Dio conosce il momen
to della rivelazione fi nale e proprio per questo esso è una realtà certa,
sempre minacciosamente vicina. Perciò per l'uomo ne deriva la neces
sità di essere costantemente pronto e preparato.
3 8. A fronte di questa esigenza irrinunciabile, Ab. 2,4 è stato ripreso
per intero nel v. 3 8 e subito inserito. Posponendo Ab. 2,4a a 2,4b, il
testo originario è stato reso più comprensibile, dal momento che l'e
spressione «indietreggiare» si riferisce ora chiaramente al giusto. A ciò
si aggiunge che la versione dei LXX «ma il giusto vivrà per la mia fe
de» riceve un nuovo particolare senso dallo spostamento di «mio»:
«Ma il mio giusto vivrà per la (a motivo della) fede» . Ebr. si avvicina
così maggiormente al senso del testo originario. La fede non è intesa
come un'entità a sé stante, supplementare, di cui il credente avrebbe
bisogno, ma nel pensiero di Ebr. indica l'atteggiamento di fondo in
base al quale agire e sperare. Non è considerata primariamente un do
no, come in Paolo, l'opposto delle opere meritorie, ma piuttosto come
atteggiamento personalissimo di profonda fiducia. Chi confida nella
promessa di Dio ( «il mio giusto») conserverà la certezza della fede rag
giungendo così il fine ultimo, la vita di Dio nella nuova realtà promes
sa. Il pericolo che corrono gli ascoltatori non è quello della giustizia
secondo la legge ma senza la fede, giustizia contestata da Paolo, bensì
quello del «cedimento» e del «venir meno», ossia lo scoraggiamento e
l'abbandono. Stand o alle sue parole precise, Dio non si compiace af
fatto di un tale atteggiamento. Proprio l'uomo che conosce Dio do
vre h be essere ricolmo di una fiducia indomabile e radiosa.
3 9· Come per rafforzare il concetto si ha poi il v. 3 9 che intende pre
cisare che cosa non si deve né, in fondo, si vuole fare. Si ha così un'in
terruzione quasi improvvisa dell'esortazione, finora piuttosto insisten
te, per esprimere nel linguaggio più semplice ciò che ha validità e dun
que va osservato come norma di comportamento. A che scopo allora
I 90 Ebr. I I,1-40. La storia esemplare della fede dei padri
continuare con altre esortazioni, che in fondo sono tutte del medesi
mo tenore ? La fedeltà di fede ha come scopo la «salvezza dell'anima»,
concessa da Dio, al quale perciò comunque appartiene. Pare quasi che
si alluda a un noto det fO di Gesù (cf. Mc. 8,3 5 parr.). Il «noi» inten
zionalmente adottato al termine della riflessione evidenzia la solida
rietà di E br. con la sua chiesa. Essa si fonda sulla consapevolezza di una
esperienza e una promessa fondamentali. Ebr. non intende essere solo
una guida, un predicatore morale per la sua comunità, ma se ne sente
anzitutto compagno di strada e di fede. Emerge qui la risolutezza di
uno spirito energico, che sa come coinvolgere gli incerti e i titubanti.
Sin dal tempo antico esiste una storia esemplare della fede
dei p a dr i ai quali era nota la promessa della nuova Sion ( 1 1 , 1 -40)
,
diritto di porre una cesura più marcata dopo il v. 8. Potrebbe però es
serci l'eco di una concezione tardogiudaica, secondo la quale l'umani
tà fino a N o è dev'essere sottoposta a un giudizio a parte (cf. Hen. aeth.
92, 1 ss.; I Pt. 3 , 1 8 ss.). Specialmente dalla testimonianza di Paolo ap
prendiamo che nella figura di Abramo egli vedeva un inizio comple
tamente nuovo della storia della promessa di Dio (cf. Gen. I 2, I ss.).
Parallelamente nei vv 8- 1 2 Abramo è proprio al centro della rifles
.
sione. In qualità di «padre della fede» la sua figura non manca in nes
sun elenco di credenti esemplari (cf. I Mace. 2, 5 2; 4 Mace. 1 6,20 ss.; in
particolare Filone, Rer. 90 ss.; Virt. 5 ; Praem. 24 ss. ecc.).
1 3- 1 6. Nei vv I J - 1 6 si avvia una breve riflessione sul significato
.
rigidamente ciò che emerge dai successivi vv 30 s., a quanto pare Ebr.
.
Già gli inizi della storia umana erano storia della fede ( 1 I,J - 1 2 )
3 Per fede noi sappiamo che i mondi furono approntati per mezzo della pa
rola di Dio, così che la realtà visibile non ha avuto origine dalla realtà per
cepibile da occhio umano. 4 Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio miglio
re di Caino. Grazie a essa ricevette la testimonianza di essere giusto, aven
do Dio accettato «i suoi doni» e per essa, benché morto, continua a parla
re. 5 Per fede Enoc fu rapito perché non vedesse la morte, e «non lo si tro
vò più perché Dio lo aveva portato via». Infatti prima di essere rapito in
cielo ricevette l'attestazione di «essere stato gradito a Dio»; 6 ora, senza
fede è impossibile piacergli. Infatti colui che vuole accostarsi a Dio deve cre
dere che egli esiste e che ricompenserà coloro che lo cercano. 7 Per fede
Noè, essendo stato avvertito di cose che ancora non si vedevano e avendo
ne avuto timore, costruì un'arca per la salvezza della sua casa; per questa
fede condannò il mondo e divenne un erede della giustizia che è conforme
alla fede. 8 Per fede Abramo, dopo essere stato chiamato, obbedì e partì per
un luogo che doveva ricevere in eredità, e «si trasferì» senza sapere dove
sarebbe andato. 9 Per fede «si stabilì» nella terra della promessa che per lui
era come una regione straniera, abitando in tende insieme ad !sacco e Gia
cobbe, i coeredi della medesima promessa. Io Egli aspettava infatti la città
Ebr. I I,J- 1 2. Gli inizi della storia umana erano storia della fede 1 97
zio biblico è qui mantenuto in modo tale che la «parola» non si perde,
come nel pensiero gnostico, in una materia non divina, dalla quale de
ve poi essere liberata. E br. affascina piuttosto con la grande semplicità
della sua dichiarazione, palesemente assai vicina alla testimonianza
della Bibbia. L'alternativa, proposta dall'interrogativo riguardante gli
inizi, non appare risolta in modo speculativo, ma è intesa come de ci
sione spettante alla fede. E questo tanto più che per l'autore in fondo
la «parola di Dio» si identifica con la parola dell'eterno Figlio di Dio,
il quale «sostiene>> ( 1 ,3) l'universo per suo mezzo. Nel passo qui con
siderato, il mondo è visto in maniera più accentuata nella sua artico
lazione periodico-temporale. Veniamo a sapere che esso non solo è
creato, ma è anche «approntato» in vista di uno scopo.
4· Alla fede, che ha il suo compimento in Cristo, spetta un compito
sostanziale, e nel v. 4 questa convinzione è sostenuta subito e aperta
mente. Come primo esempio Ebr. cita Abele, che offrì un sacrificio più
prezioso rispetto a quello di Caino. La sua fede è dedotta dal racconto
biblico (cf. Gen. 4,4 s.). Significativamente egli è presentato come «ti
po» del sacrificio di Cristo. La sua maggiore prontezza a donare in
contrò il compiacimento di Dio il quale per questo motivo «guardò ad
Abele e ai suoi doni », ma non a Caino. Andando oltre il racconto
biblico e considerando la reazione di Dio, Ebr. parla di una «testimo
nianza» (v. 2). Dio, infatti, si è pronunciato, quale giudice incorrutti
bile, in favore di Abele, il quale dunque è la figura alla quale bisogna
ispirarsi. Dio attestò di lui che era un «giusto», appellativo corrente
nel giudaismo tardo (Giuseppe, Ant 1,2, 1 ; Asc Ies. 9,28; Mt. 2 3 ,3 5 ecc.),
. .
nuovo di Dio. È possibile che qui riecheggi Gen. 6,9. Filone sottolinea
la particolare posizione di Noè osservando che egli è il primo essere
umano a essere detto «giusto)) nella sacra Scrittura (Conf 90). Era dun
que opportuno rendergli omaggio quale prototipo di una «giustizia
adeguata alla fede)) (Sir. 44, I 7: «un giusto perfetto))). Sia dal punto di
vista linguistico che tematico vi è una certa vicinanza a Paolo (Rom.
4, I I . I J ; 9,30; Io,6). Quando questi parla di «giustizia)), intende sem
pre un tipico momento strutturale del tempo di Cristo, mentre Ebr.
pensa a una rettitudine esemplare; Paolo vede la «giustizia)) come do
no, E br. come compito. È indubbia la vicinanza del secondo al pensie
ro proprio della scuola biblica giudaica.
8. Con i vv. 8 ss. l'attenzione si sposta su Abramo e i patriarchi. Si
può osservare la tendenza a fornire resoconti più brevi, visto che alla
testimonianza resa loro da Dio si accenna sommariamente solo ai vv.
I 3 ss. Conoscendo l'importanza dei patriarchi, l'esposizione si sforza
di mostrare del loro comportamento esemplare solo le circostanze che
ne comprovano la fede, tanto più che esisteva ampio materiale da cui
trarre spunto. Dal piano verticale della storia della salvezza l'attenzio
ne si sposta ora su quello orizzontale per indugiare alquanto sulla fi
gura di Abramo, il «padre della fede» ( 1 Mace. 2, 5 2; 4 Macc. 1 6, 2 0 ss.;
Filone, Rer. 90 ss.; Virt. 5 ; Praem. 24 ss.). Se c'era un qualche perso
naggio dell'Antico Testamento il cui esempio non poteva restare igno
rato, questo era proprio Abramo, la cui fede è esplicitamente menzio
nata nella Bibbia in Gen. I 5 ,6. Tuttavia è significativo che ancora una
volta Ebr. , a differenza di Paolo, non faccia riferimento a tale passo.
Ad interessarlo non è la fede che viene accreditata come giustizia (cf.
Rom. 4, I ss.; Gal. 3 ,6 ss.), bensì quella che riempie e condiziona la vi
ta. La questione riguardante la relazione vitale esemplare trova una
prima risposta nell'accenno all'obbedienza assoluta intesa nel senso
del v. I b. Il patriarca ne avrebbe dato prova seguendo incondizionata
mente la chiamata di Dio che lo mandava verso il luogo sconosciuto
di un'eredità promessa (Gen. I l, I ss.). In un'ulteriore osservazione
viene fatto notare che Abramo è stato tanto obbediente da mettersi in
cammino verso l'ignoto. Stando a Gen. 1 2,7, egli apprese solo a Si
chem che Dio intendeva dare a lui e alla sua discendenza proprio quel
paese. Allo stesso modo anche Filone può esaltare il carattere assurdo
e unico di un atteggiamento che confida solo in Dio (Abr. 62 ) .
9· Per lui è assolutamente da sottolineare anche la fede di Abramo,
Ebr. I I ,J- 1 2. Gli inizi della storia umana erano storia della fede .2.0 1
ricolma dell'attesa del futuro (Migr. 1 ss.), in quanto ogni cosa dipen
de dalla perseveranza nel non mancare l' «altro luogo» cui mira la vita
(Migr. 43 .46). Per Ebr. la fede del patriarca non acquista concretezza
nell'ascesi o nella saggezza, bensì nell'adempimento del prototipo ce
leste concretizzato nella terra di Canaan (v. 10). La fede del patriarca
si manifestò sia quando partì, sia nella «terra promessa», che nono
stante ogni assicurazione a lui doveva apparire solo «come una regio
ne straniera» (cf. Gen . 1 7,8; 20, 1 ; 2 I ,23 .34; 24,37 ecc.). Avvezzi a un
tipo di vita nomade, Abramo, il figlio !sacco e il nipote Giacobbe (cf.
Iub. 1 9, I 5 ss., Gen. 3 5 , I 2) non vi abitarono mai veramente come in un
saldo possedimento (cf. anche Filone, Conf 75 ss.). Di conseguenza
condussero una vita esemplare sempre all'insegna della prccarietà: sim
boli del peregrinare terreno, uomini tra due mondi, modelli di esisten
za escatologica. Ancora una volta trova espressione la convinzione
che la terra di Canaan sia allusione al mondo eterno e incorruttibile
(v. già 3,7 ss.), il solo ad avere stabilità definitiva. O, per dirla con Fi
lone, la vera patria, nella quale la peregrinazione diventa «riposo)), si
trova davanti a noi, ragion per cui è indispensabile la fede, nel senso di
perseveranza. Per Ebr. , invece, la condotta dei patriarchi non è solo
richiamo alla patria celeste, quanto piuttosto prova della grande cer
tezza della sua esistenza.
1 0. Il v. Io vi applica l'immagine della città saldamente fondata, crea
ta da Dio che ne è architetto e costruttore (Filone, Mut. 29 s.). Quindi
l'ha progettata ed edificata lui. A differenza delle frasi che seguiranno
in 1 3 ss., in un primo tempo si afferma solo che Abramo ne ha fatto
l'oggetto della propria attesa. Come emergerà poi da 1 2,22, la città si
identifica con la Sion celeste, di cui anche la comunità di Ebr. è in ri
cerca ( I 3 , I 4). Ripetutamente menzionata e descritta nella letteratura
rabbinica e apocalittica come bene ultimo della speranza d'Israele
(Tob. I J,9 ss.; Hen. aeth. 90, 59; 4 Esd. I o,26 s.5 5; Bar. Syr. 3 2,2 ss.;
1 oQPsa Sion; 2Q24 e molti altri), la città di Dio ultraterrena, il cui
splendore e pienezza di vita vanno al di là di ogni concezione umana
(cf. Gal. 4,26; Apoc. 2 I , I ss. ) , è oggetto anche deli' attesa ansiosa e im
paziente della prima comunità cristiana. Quella che normalmente va
intesa come espressione metaforica di una comunione ultima tra Dio e
l'uomo viene inoltre descritta come la città che ha salde fondamenta,
simbolo di una fondazione perpetua e incrollabile. Essa si manifesta
come perfetta controparte della tenda terrena per essere quintessenza
202 Ebr. I I ,J- 1 1. Gli inizi della storia umana erano storia della fede
di quella realtà che sola è durevole (1 1 , 1 ) . La conosce la fede vissuta
come pellegrinaggio. Anche Filone, in stile stoico, può descrivere al
meno il mondo come città cosmica del creatore (Op. 1 7 ss .). Essa è per
lui l' «idea del costruttore che progetta l'edificazione di una città» (Leg.
all. 3,8 3 ss.). Ebr. ricerca quella meta futura che, come luogo della per
fetta comunione con Dio, in ultima analisi e parlando fuori metafora
s'identifica con il creatore stesso. In questo modo Ebr. non ha riatti
vato il mito che Filone aveva, certo a suo modo, demitologizzato me
diante la riflessione filosofica, ma l'ha interpretato come primordiale
ricerca di Dio da parte dell'uomo.
I I . Che la fede possa avere addirittura, grazie a Dio, un'efficacia
concreta e tangibile lo dimostra l'esempio di Sara: ormai anziana e ste
rile, purtuttavia mediante la fede ebbe la possibilità di «fondare>> una
discendenza. L'espressione, che suona un po' strana, diviene più com
prensibile se pensiamo che con essa viene riferita alla donna quella che,
nella concezione del tempo, era una facoltà riservata esclusivamente
alla funzione sessuale maschile (cf. Filone, E br. 2 1 1). Sebbene la Scrit
tura conosca solo il dubbio di Sara (Gen. 1 8, 1 2), Ebr. parla del «pote
re» della sua fede, in quanto nello stile degli scribi del tempo può im
maginare l'antenata d'Israele solo come modello di religiosità e virtù
(Filone, Cher. 50). Dal prodigio l'autore deduce la fede, che è in grado
di realizzare l'impossibile.
1 .2. Quanto gli stia a cuore il carattere prodigioso di quella nascita
lo dimostra il v. 1 2, secondo il quale paradossalmente l'abbondanza
della vita umana ha origine da un uomo ormai «morto». È possibile
che, memori di Ez. 3 3 ,24, si voglia sottolineare che mentre Abramo
era uno solo, i suoi discendenti sono moltissimi. Come in Paolo, an
che in Ebr. egli è definito «morto>> a causa della sua incapacità di ge
nerare (Rom. 4, 1 9); ma l'adempimento della promessa - che è presen
tata come un collage di più passi biblici (Gen. 2 2, 1 7; 1 5, 5; 3 2, 1 3 ecc.) e
sfiora l'incredibile - è davanti agli occhi di tutti. Può quindi mostrare
immediatamente le possibilità della fede nel momento attuale. È chia
ro che la storia di Abramo così come la si legge nella Scrittura è testi
monianza perenne e velata della vittoria sull'apparente onnipotenza
della morte. Ciò che è descritto come esperienza degli antenati da
Abele sino ad Abramo, per E br. fa parte dell'esperienza fondamentale
di una qualsiasi condotta di fede, dato che questa non si basa su una
conoscenza impartita. La fede matura si vede anzi proprio nelle prove
Ebr. I 1 , 1 3- I 6. I padri d'Israele già aspiravano alla città di Dio 2.o 3
più difficili dell'esperienza umana: fallimento, malattia, tribolazione e
morte. Sotto un certo aspetto questi esempi si riferiscono a esperienze
limite. Solo queste sono in grado di rivelare che la fede è l'atteggia
mento in grado di vincere il mondo.
Se Dio non si è vergognato di loro, come ribadisce Ebr. , allora ciò si
gnifica che grazie alla loro fede egli si è abbassato. Ora, se Dio giunge
a tanto, lo fa a dimostrazione di assoluta fedeltà. Non abbandonerà i
suoi in eterno. Quest'assicurazione, nonché l'esperienza della tranquil
la sicurezza che egli offre, si concentrano alla fine della riflessione dei
vv. I J - I 6 nella nuova frase «infatti preparò per loro una città»; questa
Infatti credeva con fede salda e incrollabile che Dio si sarebbe preso
cura del suo popolo (cf. Es. I J, I9; Gios. 24,32; Filone, los. 266). Con
la menzione di Giuseppe è posta ora in primo piano la vicenda che de
scrive l'evento più importante della storia giudaica. A differenza del
pensiero biblico rabbinico, però, al centro dell'attenzione non vi sono
la conclusione dell'alleanza e la rivelazione sul Sinai, bensì la forza
della fede dimostrata dalla generazione dell'epoca mosaica con i suoi
ben noti personaggi. La ricchezza di particolari è analoga a quella che
troviamo ai vv. 8- I 2. In questo passo diventa chiaro come non mai
che Ebr. misura la sostanza e il significato della storia non in base agli
eventi maggiori, .ma in base alla fede dimostrata individualmente; me
diante questa per Ebr. vengono nascostamente provocate le trasfor
mazioni rivoluzionarie decisive. Qui Ebr. riconosce quella legge di
Dio che in un secondo tempo, nel sacrificio di sé da parte di Cristo,
dettato dalla fede, si manifesterà nella sua forma più paradossale.
L 'accetterà il mondo? ne sarà degno (v. I I, 3 8)? Queste domande ri
suonano di continuo, almeno a livello subliminale.
2 3 . Gli inizi della storia personale di Mosè, l'uomo di Dio, furono
strani, confusi e irti di pericoli. Appena nato, venne tenuto nascosto
per tre mesi dai genitori per essere poi abbandonato (Es. 2,2). Di fron
te alla bellezza del bimbo, essi ne intuirono la futura grandezza e fece
ro tutto quanto era in loro potere per proteggerlo il più a lungo possi
bile e provvedere alla sua sussistenza (Filone, Mos. I ,9 ss.). In tutto ciò
solo la fede diede loro la forza di agire contro il «decreto del re», cru
dele e accecato dall'ira (Es. I ,22). Poiché non si parla del faraone (a
differenza del versetto 24), ma del re o imperatore, tale espressione
per gli ascoltatori suona come una critica nei confronti dello stato, sfu
matura che l'autore sembra aver ritenuto indispensabile (I 2,4; cf. an
che I 0,3 4).
24. Una volta diventato adulto (Es. 2, I I) e figura di spicco alla corte
egiziana (cf. Filone, Mos. I,J I ss.), Mosè stesso non si lasciò abbaglia
re dal rango e dal prestigio a lui spettanti come figlio di una figlia del
faraone (cf. Filone, Mos. I ,4 5 ) .
2 5 . Per fede passò dalla parte del suo popolo per condividerne ogni
Ebr. 1 I , I ]-) I . Abramo, il portatore della promessa 109
pre a rifugio luoghi simili (I Re 1 8,4. 1 3 ; 1 9,8 ss. I J ; I Macc. 2,2 8 ss.; 2
Mace. 5 ,27; 6, 1 I ; I o,6; Giuseppe, Ant. I 2,6,2; Ps. Sal. I 7, 1 7). In positi
vo si può osservare che, come attori di una storia della fede prestabili
ta fin dall'inizio, essi, pur nell'insoddisfazione delle loro aspirazioni,
avevano al tempo stesso anche il compito di essere testimoni per lo
scopo ultimo.
39· Questa importante idea viene bene espressa ai vv. 3 9 s., sebbene
poi nel riassunto sorprendentemente rapido di quello che era il pro
posito ideale essa venga immediatamente subordinata all'affermazione
secondo la quale «tutti» costoro (vv . 4-3 8), nonostante la testimonian
za data attraverso di loro, non «conseguirono» la promessa (cf. 1 0, 3 6).
Dio infatti, il quale vuole la fede che comprende la realtà dei beni spe
rati, rese loro buona testimonianza; tuttavia non fu loro concessa la
perfezione stessa a causa della prospettiva più vasta che poteva essere
raggiunta esclusivamente con il sacrificio di Cristo.
40. In tal senso il v. 40 menziona il motivo più profondo utilizzan
do di nuovo lo stile in prima plurale che aveva adottato all'inizio del
l'ampio elenco di esempi (v. 3). Certo, lo fa per delle buone ragioni. I
cristiani interpellati sappiano che Dio ha percorso un cammino diffici
le o incomprensibile soprattutto a causa loro. Egli agì in questo modo
per perfezionare loro e «noi». Se Dio ha previsto per noi qualcosa di
« meglio», allora non possiamo esserne certi se non per la fede in Cri
sto, che in un mondo senza Dio ci mette comunque in contatto con lui.
La realtà migliore nella quale speriamo è reale, ma non nel senso della
semplice esistenza (diciamo, come mondo superiore}, ma nel senso che
è fondata sulla realtà del suo sacrificio.
velazione ultima di Dio, alla quale può far riferimento la fede basata
sulla morte di Gesù, anche se non le vengono affatto risparmiate la
sofferenza e la lotta. In fondo questa fede non trova in Gesù solo un
modello che in situazioni analoghe diede buona prova di sé, ma anche
un garante che all'interrogativo su Dio e sulla rivelazione ha saputo
dare una risposta tale, che non è possibile concepirne di più grandi e
profonde.
1 -3. La struttura del capitolo può essere agevolmente ricavata sulla
base del contenuto. I vv I 2, I -J, formulati come un piccolo compen
.
può essere messa in difficoltà anche dal fallimento della singola perso
na. All'inizio dei vv. 1 2 ss . si nota soprattutto la rielaborazione di pas
si veterotestamentari. Il terrificante esempio di Esaù è posto alla fine,
in segno di ammonimento. Come già in J, I 2 ss., anche qui il predica
tore ribadisce che un comportamento sconsiderato accresce il pericolo
dell'apostasia.
1 8-29. Le restanti affermazioni, I 2, 1 8-29, prendono in considera
zione il punto di vista generale dell'imminente rivelazione di Dio. La
pericope si articola in una sezione prevalentemente descrittiva (I 2, 1 8-
24) e in un ammonimento conclusivo ( I 2,2 5 -29) nel quale, con l'aiuto
120 Ebr. I l, I -J. Gesù crocifisso ed esaltato come inizio nascosto
della citazione ricca di tradizione di Agg. 2,6, si accenna al cambiamen
to ormai vicino che introdurrà al regno eterno di Dio. Si vedrà che
questa parte racchiude una visione d'insieme sui motivi escatologici
della lettera. La struttura concettuale del capitolo è curatissima: alla
rivelazione sul Sinai (vv I 8-2 I ) viene contrapposta, con una formula
.
mini (2, 1 1 ss.), pur nella sua disperazione pose le basi divine per la pro
pria esaltazione. Avendo reso omaggio a Dio nell'ignominia imposta
gli, imparò l'obbedienza che sola, in questo mondo, è in grado di sve
lare il cammino che conduce alla gloria del trono di Dio (4, 1 6). Alla
fin fine è su questa fede che poggia la sua autorità, che gli è conferita
da Dio e nella quale ora può essere sommo sacerdote e aiuto per altri
{2, 1 8; 5 ,8 s.). Così considerata, la salvezza conseguita per mezzo di Cri
sto non è affatto il risultato di un processo ultraterreno o di una realtà
ontica ultraterrena; nella riflessione biblica delle primissime origini es
sa è invece conseguenza di un atteggiamento in grado di liberare e de
terminare il comportamento di noi tutti. Che Dio si sia identificato con
il Cristo morente per via della sua fede è la ragione che la fede stessa
presuppone. E proprio su questa verità dialettica la testimonianza di
Ebr. , con l' «iniziatore e perfezionatore», rimanda al crocifisso igno
minioso e al Signore esaltato perché vincitore.
3· Chi si interroga su questa verità, seguendo l'invito del v. 3, certa
mente va a sfiorare un limite della comprensione logica, ma oltre a ciò
percepisce l'offerta liberante della fede per un proprio orientamento
che vada dritto allo scopo e sappia condurre lontano da stanchezza,
rassegnazione e rilassatezza. A questo bisogna pensare. Peggiore della
sofferenza fisica era per Gesù la completa solitudine. Abbandonato da
Dio, dovette provare al tempo stesso il rifiuto di coloro per i quali ave
va vissuto, servito e sofferto. Accanto al silenzio del Padre vi era l' op
posizione dei fratelli, che si concretizzava nel rifiuto ostile. Sono pro
prio questi due fattori a introdurre quella dimensione nichilista estre
ma il cui superamento vale realmente come motivo dell'esaltazione. Af
fiora la domanda se la situazione del Golgota debba ripetersi, se noi
approviamo altrettanto esplicitamente l'opposizione a Gesù, perden
do così l'unica possibilità di ottenere un punto fermo interiore e con
esso la «forza spirituale» necessaria per raggiungere lo scopo ultimo.
Ciò che le persone interpellate hanno dovuto sopportare fino a questo
momento non regge il paragone con la passione di Cristo.
notare che anche Filone concede ampio spazio all'idea della «discipli
na» divina (cf. ad es. Deter. 1 44 ss.) e che anch'egli ha commentato in
modo simile Prov. 3 , 1 1 ss. (Congr. 1 77). La testimonianza di E br. è
conscia della verità liberatrice che ha nella croce di Gesù il suo fon
damento. Per il cristiano, le esperienze dolorose possono e devono es
sere segno della «figliolanza divina» .
7· Forse è proprio per questo che il lettore odierno della lettera agli
Ebrei nei vv. 7 ss. si aspetta frasi più profonde. La spiegazione suc
cessiva suona un po' complicata come logica, e distante. Ci troviamo
di fronte a un'argomentazione di indirizzo fortemente concettuale.
D 'altronde è facile rendersi conto che qui l'autore metta a frutto tutta
la propria abilità teologica e pastorale per ricordare una volta di più
.d a dove deve trarre sostegno la comunità nella difficile prova che
l'attende. All'inizio dell'esclamazione si esorta in modo quasi dirom
pente a tener duro nella severa educazione che si riceve da Dio. Tra
spaiono qui la preoccupazione e il senso di responsabilità che anima
no l'autqre dell'omelia. In maniera del tutto personale gli ascoltatori
devono accettare che Dio si comporti con loro come con dei figli. Al
cuni manoscritti posteriori hanno lievemente indebolito il testo dal
punto di vista linguistico, togliendogli al tempo stesso forza: «Se voi
sopportate . . . , allora Dio si comporta con voi come con dei figli» . Solo
nel periodo seguente si fa largo un tipo di argomentazione prevalen
temente meditativa. L'esperienza quotidiana non insegna forse che la
disciplina è necessaria ? Esiste un figlio che non sia guidato dall'autori
tà paterna ? Le interpretazioni più antiche presentano sempre il t ermi
ne «correzione» al posto di «educazione», come noi preferiremmo tra
durre. Ma in questo modo non si accorgono che così facendo il con
cetto ellenistico viene visto in maniera assolutamente unilaterale. L'an
tica scuola era sì dura, ma il suo ideale educativo non viene adeguata
mente compreso se si parte dall'idea di correzione (= punizione cor
porale). Basti dire che l'obiettivo era sempre la formazione della per
sona e non la punizione di un comportamento, e il colto autore della
lettera lo sa fin troppo bene.
8. Il v. 8 illustra lo stesso concetto partendo dal suo contrario (cf. 7,
7; 9,7). Il principio dell' «educazione» dei figli è un dato di fatto gene
rale. Se vi sono figli che non la ricevono, allora significa che si tratta di
bastardi, figli naturali o illegittimi, lasciati a se stessi senza una guida
paterna. È significativo che questa riflessione venga applicata imme-
Ebr. 1 .2.,4- 1 1 . Dio ci corregge severamente per il nostro bene 2 27
agli spiriti dei giusti resi perfetti; 24 a Gesù, garante di un testamento nuo
vo, e al sangue dell'aspersione, che dice cose più grandi di quello di Abele.
25 Badate di non rifiutare colui che parla, poiché se quelli che rifiutarono
colui che si era manifestato sulla terra non trovarono scampo, molto meno
noi, se volteremo le spalle a colui che (parla) dal cielo. 26 La sua voce in
passato «fece tremare» la terra, ma ora ha fatto una promessa che afferma:
«'Ancora una volta farò tremare' non solo 'la terra', ma anche 'il cielo'».
27 Questo «ancora una volta» però rende manifesta la trasformazione di ciò
che essendo stato creato può essere scosso, affinché rimangano le cose in
crollabili. 28 Perciò, poiché riceviamo un regno incrollabile, dimostria
moci riconoscenti, servendo in modo gradito a Dio con timore e rispetto.
2 9 Perché anche il nostro «Dio è un fuoco divoratore».
1 8 s . Es. 1 9, 1 2- 1 9; Deut. 4, 1 1 s.; Deut. 5,22 s . % o Es. 1 9, 1 % s . %1 Deut. 9, 1 9. 2. 6 Sal. 1 1 4,7; Giud.
S ,4 ss.; Agg. 2,6. %9 Deut. 4,24; 9,3 .
1 8-24. L'invito a una risolutezza estrema risulta rafforzato dall'in
troduzione a sorpresa di una tematica nuova riguardante la grandezza
del contenuto della speranza concesso («infatti» , v. I 8). Partendo dal
l'antitipo della rivelazione del Sinai si passa, con un'illustrazione in
crescendo, al fatto sconvolgente della futura rivelazione sul Sion. Essa
proverrà dal luogo in cui Cristo è stato elevato e dal quale verrà svela
ta la sua signoria universale (cf. Sal. 1 I O, I ss.). L'intera pericope I 8-24
è incentrata sul raffronto tra le due rivelazioni: l'una era stata terrena e
materiale, terrificante, l'altra sarà invece celeste e soprannaturale, fon
te d'immensa gioia. Questo tipo di dimostrazione doveva aver avuto
forza vincolante in particolare per gli ascoltatori giudeocristiani, dato
che nel pensiero di allora l'evento del Sinai era ormai da tempo dive
nuto significativo sulla base della sua simbologia escatologica. La no
vità di Ebr. risiede nel fatto che l'attesa di Dio è giustificata prenden
do a fondamento il sacrificio di Cristo (I 2,24). Come un tempo Mosè
era comparso come mediatore dell'antica alleanza, così ora Gesù è ga
rante di un testamento nuovo, in grado di assicurare un avvenire più
grande. È evidente che con questa pericope viene posta la gloriosa chia
ve di volta alle affermazioni della parte centrale (4, 1 4- I O, I S). È come
se i cristiani di origine giudaica dovessero essere condotti alla verità
vera e propria mediante una conoscenza provvisoria.
18. Atteggiamenti errati sarebbero giustificabili se le persone inter
pellate avessero avuto accesso solo a una rivelazione tangibile, come un
tempo sul Sinai. Per quanto sconvolgente fosse stato l'accaduto, tutta
via le sue strutture e il suo carattere valevano puramente a titolo d' esem-
23 2 Ebr. 11,18-.2.9. La rivelazione ultima di Dio supera ogni immaginazione
comunità più grande, i cui membri si riuniscono sulla terra e nel cielo
per adorare Dio. In tal senso anche i cristiani a cui si rivolge fanno
parte dei «primogeniti», cioè dei privilegiati, e questo in base al loro
diritto di primogenitura che va custodito con ogni cura (vv. 1 6 ss.). È
probabile che con questo si intenda dire qualcosa ai cristiani di origi
ne giudaica, qualcosa che essi, in quanto appartenenti a Israele, «figlio
primogenito di Dio» (cf. Es. 4,22 ss.; Sir. J6, 1 7), dovrebbero conosce
re particolarmente bene. Il loro nome sta scritto nei libri celesti (cf.
Dan. 1 2, 1 ; Le. 10,20; Fil. 4,3 ; Apoc. 3 , 5 ecc.), e questo significa che i lo
ro diritti futuri non saranno assolutamente messi in dubbio da Dio. Se
poi quest'assemblea terrena viene definita così insistentemente «adu
nanza festosa», evidentemente è perché si era consapevoli di star vi
vendo una celebrazione liturgica grazie alla quale l'unione con gli abi
tanti dei cieli sembrava immediatamente concessa.
d) La frase inerente al «giudice» e agli «spiriti dei defunti» va cor
rettamente tradotta per coglierne il significato. N on ci si riferisce alla
generica verità rappresentata dall'espressione «a Dio, il giudice di tut
ti», bensì all'altra per cui ci si presenta anche (!) davanti a un giudice
che è «Dio di tutti>>. Con ciò si afferma che quanti si stanno accostan
do possono ritenersi certi anche del Dio onnipotente. Egli è giudice in
qualità di colui che vorrebbe agire davanti agli uomini a loro favore e
che può procurare loro giustizia (v. anche 1 0,3 5 ); perciò si aggiunge
«e agli spiriti dei giusti portati a perfezione». Essi possono essere
considerati testimoni della consolazione promessa. Già il giudaismo
precristiano riteneva che la schiera dei credenti che hanno perseverato
nella vita e nella sofferenza risiedesse presso Dio (Hen. aeth. 3 9,4 ss.;
Asc. !es. 4, 14 ecc.). Quest'idea è stata ripresa da lì, anche se in chiara
contraddizione con 1 I ,40 in cui i credenti dell'Antico Testamento era
no considerati non ancora «resi perfetti». Poiché è difficile che siano
intesi i soli defunti cristiani, è possibile che, seguendo lo schema tradi
zionale, quanto avverrà in futuro sia elevato a realtà valida già ora. È
indubbio che l'affermazione punti alla perfezione in quanto realtà non
solo personale, ma anche universale .
.2.4. e) Tale ipotesi è avvalorata dal fatto che nell'espressione con
clusiva si parla di Gesù, mediatore di una «alleanza nuova, cioè con
clusa solo da poco», e del suo «sangue», dal momento che proprio in
questo ha fondamento ogni nuova conquista. Il carattere sacrificale
dell'evento di Cristo si presenta come mistero portante della rivela-
236 Ebr. 11,1 8-19. La rivelazione ultima di Dio supera ogni immaginazione
zio ne ultima di Dio, alla quale la comunità può accedere. Analogamen
te, in un'epoca successiva l'Apocalisse di Giovanni può vedere l'agnel
lo di Dio come centro di ogni evento escatologico ultraterreno. Con
linguaggio tipico, Ebr. riesce ancora una volta a richiamare alla me
moria le considerazioni principali dei capitoli precedenti (7,20 ss.; 8,6
ss.; 9, 1 I ss. I 5 ss.; I O, I 9 ss.). Richiamandosi al tempo stesso anche a I I ,
4 osserva che il sangue d i Gesù dice «cose superiori» o «più grandio
se» rispetto a quello di Abele. Come all'inizio della storia umana, an
che alla fine vi è del sangue versato. Il primo grida per essere vendica
to, il secondo offre perdono e remissione. Senza bisogno di parole si
prende · atto (v. però cap. I I) che, in fondo, tutto lo sviluppo storico
mette in luce che cosa è l'uomo: un omicida, come Caino. Resta dun
que aperta la domanda se l'uomo cerchi un suo posto stabile laddove
non solo lui, ma anche Dio ha operato, per venire sì purificato ma,
oltre a ciò, anche «reso perfetto».
2 5 . L'ultima parte riprende il tono del monito (vv. 1 2- 1 7). Che nes
suno neghi la gravità della situazione! Senza passaggi intermedi e in
modo quasi minaccioso, a quanti ascoltano il sermone s'impone di non
rifiutare Dio, colui che parla. Ora che intende concludere la sua testi
monianza, l'autore si fa estremamente esplicito e non nasconde più
il proprio proposito. Il comportamento che bisogna tenere può essere
dedotto direttamente da quella prima rivelazione di Dio sul Sinai.
Quando parla il Dio della rivelazione, l'uomo è tenuto ad ascoltare e
ubbidire. E non devono esservi assolutamente più indurimento e ri
fiuto (v. I 9; 3 , 7 ss.), che già un tempo avevano portato alla punizione e
alla morte la generazione dell'esodo. Qualcosa di più grande si sta de
lineando. Se già quella non era scampata al giudizio, tanto più la co
munità cristiana se dovesse deviare (v. anche 2,3). A quel tempo si
trattava di una rivelazione nell'ambito delle possibilità terrene, ora pe
rò l'annuncio verrà dal cielo, dunque senza misura né limiti. Ora si
tratta di rendere perfette le cose. Ancora una volta si torna sulla con
vinzione che già caratterizzava il grandioso prologo: Dio parla ancora
e in maniera definitiva mediante suo Figlio, che ha costituito Signore
su tutte le cose ( I ,2). Ovviamente i singoli particolari non vanno più
discussi. Ormai il concetto per cui Cristo va compreso come mediato
re dell'ultima rivelazione è stato sviluppato appieno. Tuttavia il v. 2 5
non si riferisce a lui. Ora, con concisione laconica e in modo quasi
atemporale, si può affermare che c'è qualcuno che parla, ossia Dio.
Ebr. 1 2,1 8-29. La rivelazione ultima di Dio supera ogni immaginazione �37
non può essere immaginata senza il regno del suo popolo. Alla «fine
di tutte le cose>> non vi è un'esistenza divina astratta, ma la signoria di
Dio in quanto regno ricolmo di vita. Ciò che già nell'Antico Testa
mento trova menzione caratteristica (cf. Dan. 7, 1 8; Agg. 2,2 1 ss. ecc.),
nella testimonianza di Ebr. si pone indubbiamente come essenza della
salvezza disvelata e fondata in Gesù. Lo stile della frase, alla prima plu
rale, introduce un tono di certezza personalissima. S'intuisce che la co
munità di Cristo, che diviene partecipe del regno di Dio, può ritener
si un popolo regale. Essa non vive oppressa né costretta, bensì in vista
di un dono attribuitole. L'atteggiamento che le si addice può dunque
essere solo quello di gratitudine nei confronti di Dio. Quando nel se
guito si afferma che noi lo «serviamo» in modo a lui gradito, al di là
della genericità l'affermazione ha uno stretto riferimento cultuale (v.
anche ro,2 5). Che tutta la vita del cristiano debba in fondo essere un
culto (cf. anche Rom. 1 2, 1 s.) è un concetto che viene ulteriormente
sviluppato nell'appendice parenetica della lettera. Alla fine della vasta
omelia, tuttavia, simile riflessione è difficilmente pensabile senza un
riferimento immediato al tempo e alla situazione della comunità in a
scolto. Il «noi» del versetto conclusivo, dunque, non è solo un sogget
to comunicativo nel quale l'oratore e l'uditorio confluiscono ancora
una volta in una decisione comune («dimostriamoci ... »), ma è piutto
sto un soggetto «liturgico». Ovunque un'assemblea si raduni, parla co
me una totalità che è qualcosa di più della somma di opinioni e modi
di fare personali. Il suo «timore e rispetto» è rivolto a Dio, il quale ha
fatto cose grandi e ne ha preparate di meravigliose.
�9· Egli è il santo di cui la Scrittura afferma (cf. Deut. 4,24; 9,3 ) che
è un «fuoco divoratore». Infine, anche la comunità neotestamentaria
deve badare a non trascurare la realtà di Dio, davanti alla quale, a suo
modo, stava già il popolo di Dio sul Sinai. È così che va compresa la
citazione, marginale ma al tempo stesso facilmente attualizzabile. Se
anche l'idea non è che il Dio della comunità neotestamentaria è diver
so da quello d eli' Antico Testamento, tuttavia, a ben guardare tutte le
considerazioni, non si trascura mai che vi sia un adesso ben diverso da
un allora. L'unità del tutto quindi non è un'unità dell'evento, ma della
persona. Ricolma di santità maestosa, essa caratterizza la realtà globa
le dalla quale riceve legittimazione l'annuncio liberatorio del sacrificio
di Cristo e del regno futuro.
Parte quinta (appendice)
più che altro le aspirazioni etiche del singolo cristiano, al quale viene
detto in modo molto concreto come deve comportarsi. Le indicazio
ni, in parte dal tono imperativo, sono messe insieme a caso. È proba
bile che qui sia stato raccolto prevalentemente un insegnamento cate
chetico tradizionale. In modo affatto semplice e inequivocabile si esi
ge amore per i fratelli e il prossimo (vv. J s.), in particolare in forma di
ospitalità e assistenza ai carcerati (v. 3 ); si richiede inoltre una lotta
morale sul piano della vita sessuale, nonché del rapporto con il denaro
(vv 4 e 5 ). Due citazioni bibliche concludono questo primo blocco.
.
Commenti scientifici
Riggenbach, E., Der Brief an die Hebraer (KNT 14), 1/31922.
Windisch, H. (Lietzmannsches Handb. 14), 21931.
Michel, O. (KEK 1 3), 1 936, 81984.
Kuss, O. (Regensburger NT 8), 21966.
Moffat, J. (Int. Crit. Comm.), 1924, 1963.
Robinson, Th. (Moffat Commentary), 1 933, 1964.
Spicq, C. (É tudes Bibliques), 2 voli., Paris 19 52-1953.
Héring, J. (Comm. du Nouveau Testament xn), 1954.
Bruce, P.F. (The New International Commentary), 1 964, 11967.
Linton, O. (Tolkning av Nya Testamentet x,I), I970.
Hughes, P.E., A Commentary on the Epistle to the Hebrews, Grand Rapids,
1977·
Spicq, C., L 'Épitre aux Hébreux (Sources Bibliques), Paris 1977.
Braun, H., An die Hebriier (HbzNT 1 4), I984.
Hegermann, H., Der Brief an die Hebraer (Th HZ z. N.T. 16), 1 988.
Delitzsch, Fr., Der Hebriierbrief, rist. della I a ed. del 185 7, con premessa di O.
Michel, Giessen I989.
Grasser, E., An die Hebraer (EKK xvn, 1 ) (Ebr. 1-6), 1990·
Commenti divulgativi
Loew, W. (Die urchristliche Botschaft), 31941.
Strathmann, H. (NTD 9,1), 193 5, 101971 .
Schneider, J. (Bibelhilfe fiir die Gemeinde 16), 1954.
Schierse, F.J. (Geistliche Schriftlesung I8), I968.
Schicony, G., An die Hebraer (Wege ins NT IV,75 -1 54), 1970.
Laub, Fr., Hebraerbrief (Stuttgarter Kl. Komm. NT I4), Stuttgart I988.
M onografie e saggi
Spicq, C., Le philonisme de l'Épitre aux Hébreux: RB 56 (I949) 542-5 72; 5 7
(I950) 2I2-242.
Kasemann, E., Das wandernde Gottesvolk (FRLANT NF 3 7), 1938.
Thyen, H., Der Stil der judisch-hellenistischen Homilie (FRLANT NF 6 5 ),
195 5 ·
Schierse, F.J., Verheissung und Heilsvollendung. Zur theologischen Grundfra-
ge des Hebr. (MThSt 1,9), I9 5 5.
258 Bibliografia
Kosmala, H., Hebriier - Essener - Christen (StPB I ), 1959.
Nauck, W., Zum Aufbau des Hebr. : B ZNW 26 (1 960) 1 98 ss.
Koster, H., Die Auslegu�g der Abraham- Verheissung in Hebr. 6, in Studien
zur Theologie der atl. Uberlieferungen, 1 96 1 , 95 ss.
Strobel, A., Untersuchungen z. eschatologischen Verzogerungsproblem (Suppl.
Nov. Test. n), 1961 (spec. 1 74 ss. su Ab. 2,3 s. in Ebr. 10,37 s.).
Luck, U., Himmlisches und irdisches Geschehen im Hebr. : NovTest 6 (1963)
192 ss.
Vanhoye, A., La structure littéraire de l'Épitre aux Hébreux (Studia N eotest.
I), 1963.
Sowers, S. G., The Hermeneutics of Philo and Hebrews. A Comparaison of the
lnterpretation of the Old Testament in Philo Judaeus and the Epistle to the
Hebrews (Basel Studies of Theology 1), Basel 1963.
Zimmermann, H., Die Hohepriestertheologie des Hebraerbriefes, Paderborn
1 964.
Maar, 0., Philo und der Hebr. , Theol. Diss., Wien 1964.
Grasser, E., Der Glaube im Hebr. , 1965.
van der Woude, A.S., Melchisedek als himmlische Erlosergestalt in den neuge
fundenen eschatologischen Midraschim aus Qumran Hohle XI: OTS 1 4
( 1 96 5 ) 354-373·
N o moto, Sh., Die Hohepriester-Typologie im Hebr. Traditionsgeschichtliche
Herkunft und redaktionsgeschichtlicher Hintergrund, Theol. Diss., H am
burg 1966.
Schroger, F., Der Verfasser des Hebr. als Schri{tausleger (Bibl. Unt. 4) 1968.
Schroger, F., Der Gottesdienst der Hebraerbriefgemeinde: MThZ 19 (1968)
I6I-I8I.
Strobel, A., Erkenntnis und Bekenntnis der Sunde in neutestamentlicher Zeit
(A.z.Th 1,37), Stuttgart I 968.
Friichtel, U., Die kosmologischen Vorstellungen bei Philo von Alexandrien
(ALGHJ 2 ), 1968.
Christiansen, I., Die Technik der allegorischen Auslegungswissenschaft bei Ph i
lo von Alex. (BGH 7), 1969.
Klappert, B., Die Eschatologie des Hebr. (ThExH I 56), 1969.
Haacker, K., Creatio ex auditu. Zum Verstandnis von Hebr. I I,J : ZNW 6o
( I 969) 279-281.
Theissen, G., Untersuchungen zum ljebr. (StNT 2), 1969.
Vanhoye, A., Situation du Christ. Epitre aux Hébreux r et 2 (Lectio Divina
s8), 1 969.
Williamson, R., Philo and the Epistle to the Hebrews (ALGHJ 4), I970.
Braun, H., Das himmlische Vaterland bei Philo und im Hebr. , in Verborum
Veritas. Festschr. G. Stahlin, 1 970, 3 I 9 ss.
Hofius, 0., Katapausis. Die Vorstellung vom endzeitlichen R uheort im Hebr.
(WUzNT 1 I), 1 970).
·
Grasser, E., Hebr. 1, 1-4. Ein exegetischer Versuch (EKK Vorarbeiten III), 1971,
5 5 ss.
Bibliografia 2 S9
Rusche, H., Glaube und Leben nach dem Hebraerbrief BiL 1 2 ( 1 97 1 ) 94- 1 04.
Vanhoye, A., Trois ouvrages récents sur l'épitre aux Hébreux: Biblica 5 2 ( 1 97 1 )
62-7 1 .
Braun, H., Die Gewinnung der Gewissheit im Hebr. : ThLZ 9 6 ( 1 97 1 ) 3 2 1 ss.
Hofius, 0., Der Vorhang vor dem Thron Gottes: WUzNT 14 ( 1 972).
Dautzenberg, G., Der Glaube im Hebr. : BZ 1 7 ( 1 973) I 6 1 ss.
Miihlenberg, E., Das Problem der Offenbarung in Philo v. Alexandrien: ZNW
64 ( I 973) I - I 8.
Schenke, H.-M., Erwi:igungen zum Ratsel des Hebr. , in N. T. und christliche
Existenz, 1 973, 42 1 -43 7.
Stadelmann, A., Zur Christologie des Hebr. in der neueren Diskussion, in Theol.
Berichte n, 1973, 1 3 5-22 1 .
Hughes, Ph.E., The Blood of fesus and His Heavenly Priesthood in Hebrews
(BS 1 30 e 1 3 1 ), 1 973 e 1 974 ·
Thurén, J , Das Lobopfer der Hebriier. Studien zum Aufbau un d Anliegen
.
239-2 5 1 .
Loader, W.R.G., Christ at the right hand - Ps. I IO, I in the New Testament:
NTSt 24 ( 1 978) I 99-2 1 7.
Thomp son, J.W., Outside the Camp. A Study of Hebr. I],9-14: The Catholic
Bib l ica} Quarterly 40 ( 1978) 1 78 - 1 86.
260 Bibliografia
Mees, M., Die Hohepriester-Theologie des Hebraerbriefes im Vergleich mit
dem r. Clemensbrief BZ 22 ( I 978) I I 5 - I 24.
Liihrmann, D., Der Hohepriester ausserhalb des Lagers (Hebr. IJ,I2): ZNW
69 ( 1 978) I 78- 1 86.
D, Angelo, M.R., Moses in the Letter to the Hebrews (SBLDS 42), I979·
Hughes, G., Hebrews and Hermeneutics. The Epistle to the Hebrews as a New
Testament Example of Biblica! Interpretation (SNTS, M.S. 36), I 979·
Nissila, K., Das Hohepriestermotiv im Hebriierbrief (Schriften der Finnischen
Exeget. Gescllschaft 3 3 ), I 979·
Koster, H., Einfuhrung in das N. T., Berlin I 98o (pp. 284-293 su Filone; pp.
7 I 0-7 1 4 su Ebr.).
Laub, F., Bekenntnis un d Auslegung. Die Pariinetische Funktion der Christo
logie im Hebriierbrief(BU I s ), I980.
Swetnam, J., Jesus and Isaac. A Study of the Epistle to the Hebrews in the
Light of the Agedah (Analecta Biblica 94), I 98 I .
Vanhoye, A., Homilie fur haltbedurftige Christen. Struktur un d Botschaft des
Hebriierbriefes, Regensburg I 98 I .
Dussaut, L., Synopse Structurelle de l'Épitre aux Hébreux, Paris I 9 8 1 .
Loader, W.R.G., Sohn und Hoherpriester. Eine traditionsgeschichtliche Unter
suchung zur Christologie des Hebraerbriefes (WMANT 5 3 ), I 9 8 1 .
Walter, N., Christologie und irdischer ]esus im Hebriierbrief, i n Das lebendige
Wort. Beitrage zur kirchlichen Verkundigung. Festgabe fur Gottfried Voigt
zum 65. Geb. , edd. H. Seidel e K.-M. Bieritz, Berlin 1 982, 64-8 1 .
Thompson, J.W., The Beginning of Christian Philosophy: the Epistle to the
Hebrews (C.B.Q. Mon.Ser. I J ), 1 982.
Murray, R., ]ews, Hebrews and Christians: NT 24 ( I 982) 1 94-208.
Marshal1, J.L., Melchizedek in Hebrews, Ph ilo and Justin Martyr: TU I 26
( I 982) 3 39-342.
Powell, D.L., Christ as High Priest in the Epistle to the Hebrews: TU I 26 ( I 9 8 2)
3 8 7-399·
Hickling, C.J.A., fohn and the Hebrews: The Background of Hebr. 2, Io-I8:
NTSt 29 ( I 9 8 3 ) I I 2- I I 6.
Haacker, K., Der Glaube im Hebriierbrief und die hermeneutische Bedeutung
des Holocaust: ThZ 39 ( I 983) I 5 2- I 65 .
Vanhoye, A., Esprit éternel et feu du sacrifice en Hebr 9, 14: Bibl. 64 ( 1 98 3 )
1 63 -274.
Hahn, F., Das Verstandnis des Opfers im Neuen Testament, in K. Lehmann
E. Schlink (edd.), Das Opfer ]esu Christi und seine Gegenwart in der Kir
che, I 983, S I -9 1 .
Peterson, D., Hebrew and Perfection. A n Examination of the Concept of Per
fection in the Epistle to the Hebrews (SNTS MS 47), I 984.
Wolmaraus, J.L.P., The Text and Translation of Hebrews 8,8: ZNW 75 ( 1 984)
-
I J9- I 4 5 ·
Feld, H., Der Hebraerbrief(EdF 228), 198 5 (stato della ricerca).
Miller, M.R., What is the Literary Form of Hebrews I I ? OETS 29,4), 1 986.
Bibliografia 26 1
Bachmann, M., Hohepriesterliches Leiden. Beobachtungen zu Hebr. 5, 1 - 10:
ZNW 78 ( 1 987) 244-266.
Betz, 0., Firmness in Faith: H�brews I I, I and Isaiah 2 8, I 6, in Barry P. Thomp
son (ed.), Scripture: Meaning and Method. Fs. A. T. Hanson, Hull Univ. Press,
1 987, 92- 1 1 3 .
Rissi, M., Die Theologie des Hebraerbriefes, Ih re Verankerung in der Situa
tion des Verfassers und seiner Leser (WUNT 2 1 ), Tiibingen 1 987.
Betz, 0., Hebraerbrief, in Das Grosse Bibellexicon 2, Wuppertal 1 988, 5 39-
5 44·
Parsons, M.C., Son and High Priest. A Study in the Christology of Hebrews:
Evangelica} Quarterly 40,3 ( 1 988) 1 9 5 -2 1 5 ·
Cosby, M .R., The Rhetorical Composition of Hebrews I I: JBL 1 07,2 ( 1 988)
2 5 7-27 3 ·
Schnackenburg, R., Die sittlich e Botschaft des NTs II (HThKNT Suppl. 2), Frei-
burg-Basel-Wien 1 988, 238-2 50.
Lindars, B., The Rh etorical Structure of Hebrews: NTSt 3 5 ,3 ( 1 989) 3 82-406.
Kraus, W., Der Tod ]esu als Heiligtumsweihe. Eine Untersuchung zum Um
feld der Suhnevorstellung in Rom ],2 5 -2 6a, Teo l . Diss., Erl ang e n 1 990, spec.
pp. 279-306 («Die Bedeutung des Todes Jesu fiir das irdische und himmli
sche Heiligtum im Hcbr)) ).
Lehne, Sus., The New Covenant in Hebrews Q ournal for the Study of the N.
T., Suppl. Ser. 44), Sheffield 1 990 (bibl .).
Habermann, J., Praexistenzaussagen im Neuen Testament: Europaische Hoch
schulschriften R. XXIII vol . 362, F ran k furt M. 1990, 267-299 (su Ebr. 1 , 1 -4)
· e 3 0 1 - 3 1 6 (su preesistenza e mediazione creatrice).
Zesati Estrada, Carlos, Hebreos 5,7-8. Estudio hist6rico-exegético (Analecta
Biblica 1 1 3), Roma 1 990.
11 .25,4·
Feld, H., Martin Luthers und Wendelin Steinbachs Vorlesungen uber den He
b raerbrief (Veroffentl . d. Instituts f. Europ. G eschichte 62), 1 97 1 .
Glossario
Poiché nomi e concetti presenti nel testo biblico possono essere ricercati in dizionari biblici
disponibili in gran numero, neWindice analitico seguente sono stati accolti unicamente quei
termini che nella spiegazione del testo sono stati trattati specificamente. I numeri rinviano
quindi all'esegesi delle pericopi corrispondenti. Per evitare ripetizioni e tuttavia offrire nel
modo più completo possibile concetti tra loro intimamente legati da più relazioni, sono state
inserite le opportune indicazioni con la freccia in avanti o indietro (-+ �). I particolari excur
sus inseriti nelle singole esegesi sono contraddistinti dalla lettera E.
superato d a Cristo, 6,2o; 7, I 2. I 3 ; 8, 5 . 1 3 ; 5 .6; 91 I 9 S.j I0,5 ·J7j intr. a I I , I -40 39 s.)
9, 1 - 1 0; intr. a 9, I I - IO, I 8j 9, 1 3 E; intr. a 1 2. , 1 -29; 1 2, 5 . I 2. I 5 s.26; intr. a
cupidigia, 1 2, 1 6 I J 1 I -2 5 j I J,2
e Paolo, intr. 7.8.9; 1 ,2.4; 2,2.4.8 s. 1 4; J,I t ;
Davide {trono di), 1 ,6; 4,7; 6, I J -20j 1 1 ,3 2 ss. . 4, 1 3 ; intr. a 5 , I 1 -6,2o; 6, 1 . ro. I 3-20. I 4; 7, 1 2.
figlio di: Cristo, 1 ,8; 7, 1 4 1 9.28; intr. a 9, 1 I - I o, I 8; 9, 1 4.20.24; I0,2.
debolezza d i Cristo (del sommo sacerdozio), 24·3 5·37 s.; intr. a I I , 1 -40; 1 1 ,2 E; 1 I ,6
5,2 s.; 5,5 s. E; 5,7; 7,3 E SS. I 2.26; I 2, I j Ìntr. a I J, I -2 5j I J ,J . I 6. t 8 .
decima, 7,2.4 · 5 · 1 0 s. 2 1 .23
demoni, IO, I 3 e Salmo I 10, intr. 1 .4. 5 ; r , 1 -J .4- 1 4.4; intr.
denaro (avidità di), 1 3, 5 a 2,5 - 1 8; J , I ; intr. a 4, I 4-5,1o; 4, I 4; 5,5 s.S.
deserto, permanenza d'Israele, + I Oj intr. a 5,1 I -6,20j 5 , 1 l j 6,20j intr. a 7, 1-
destra di Dio, -+ esaltazione di Cristo IO, I 8 j intr. a 7, I -28; 7,3 E; 7, 1 I . I J . I 6.2o
dimora di Dio, -+ santuario -+ Sion s.28; intr. a 8, 1 - I J ; 8 , I ; intr. a 9, 1 I - l o, I 8 ;
Dio, concetto di, 1 , 1 ; 6, I J s.; 7,I ; intr. a 9, 1 1- I O, I I - 1 8 . 1 2 S.j intr. a 10, 1 9- 1 2,29j I O,JOj
1 0, 1 8; I0,29·J 5 j I J ,8 intr. a I I , 1 -4o; intr. a 1 2, 1 -29; 1 2,28
disobbedienza, 2,2; J, I 5 . I 8 ; 4, 1 1 e Filone, +-
dominio, dominatore (Dio e Cristo) (-+ atte influssi gnostici ecc., intr. 2 . I Oj I ,J . 5 j 2, 1 5 ;
sa escatologica), I , 1 -3 ·4- 1 4.8; intr. a 2, 5 - 4,8 . 1 2 S.l4j 5, 8; intr. a 5 , I I -6,20j 5 , 1 1 . 1 4;
1 8; 2, 5 .6 S.9; J , I j 4, 1 4; intr. a 9, 1 I - IO, I 8; 6,4 s. 1 9; intr. a 7, 1 -28; 7,3 E; intr. a 8, 1 - 1 3;
I O, I J j 1 2, I 8-24.28 S. I O, I .20.22j I I , J SS. I J j I J ,2
dono (-i) dello Spirito (carisma), 2,4 cristologia nella, +-
dottrina, insegnamento, intr. 7; 5 , 1 2; 6,2 escatologia nella, +-
di Gesù Cristo, intr. 2; I ,J ; intr. a 2,5 - 1 8; rapporti comunitari nella, -+ comunità
2,9 s. I 8; intr. a 4, 14-s, I o; 4, I 4 s.; 5,5 s.; 5 , 5 �
educazione (correzione) a parte di Dio, 1 2,
s. E ; 5,7; 7,3 E ; 7,26; 9,24 ss.; I0,5.32; 1 1 , 5.12
26; 1 2,2 s.; 1 3 , 1 2 elezione, 5 ,4. 5 s.
dualismo, ellenistico, intr. I o; 1 ,4 pretemporale, -+ preesistenza di Cristo
Indice analitico 167