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La lettera agli Ebrei
Paideia Editrice
La lettera agli Ebrei
August Strobel
Paideia Editrice
Titolo originale deli, opera:
f?.er Brief an die Hebriier
Ubersetz und erktirt von August Strobel
Traduzione italiana di Paola Florioli
Revisione di Franco Ronchi
© Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen I 99 I
© Paideia Editrice, Brescia 1997 ISBN 88.394.0556.9
Indice del volume
Scritti biblici
Ab. Abacuc. Abd. Abdia. Agg. Aggeo. Am. Amos. Apoc. Apocalisse.
Atti Atti degli Apostoli. Bar. Baruc. Cant. Cantico dei cantici. Col.
Lettera ai Colossesi. I, 1. Cor. Prima, seconda lettera ai Corinti. I, 1.
Cron. Primo, secondo libro delle Cronache. Dan. Daniele. Deut. Deu
teronomio. Ebr. Lettera agli Ebrei. Ecci. Ecclesiaste. Ef. Lettera agli
Efesini. Es. Esodo. Esd. Esdra. Est. Ester. Ez. Ezechiele. Fil. Lette
ra ai Filippesi. Film. Lettera a Filemone. Gal. Lettera ai Galati. Gd.
Lettera di Giuda. Gdt. Giuditta. Gen. Genesi. Ger. Geremia. Giac.
Lettera di Giacomo. Giob. Giobbe. Gion. Giona. Gios. Giosuè. Giud.
Giudici. Gl. Gioele. Gv. Vangelo di Giovanni. I, 1., 3 Gv. Prima, se
conda, terza lettera di Giovanni. Is. Isaia. Lam. Lamentazioni. Le.
Vangelo di Luca. Lev. Levitico. I, 1. Macc. Primo, secondo libro dei
Maccabei. Mal. Malachia. Mc. Vangelo di Marco. Mich. Michea. Mt.
Vangelo di Matteo. Naum Naum. Neem. Neemia. Num. Numeri.
Os. Osea. 1, 1. Pt. Prima, seconda lettera di Pietro. Prov. Proverbi. I,
1. Re Primo, secondo libro dei Re. I, 1., J, 4 Regn. Primo, secondo, terzo,
quarto libro dei Regni (LXX). Rom. Lettera ai Romani. Rut Rut. Sal.
Salmi. I, 1. Sam. Primo, secondo libro di Samuele. Sap. Sapienza di Sa
lomone. Sir. Siracide (Ecclesiastico). Sof. Sofonia. I, 1. Tess. Prima,
seconda lettera ai Tessalonicesi. 1, .1 Tim. Prima, seconda lettera a Timo
teo. Tit. Tito. Toh. Tobia. Zacc. Zaccaria.
Scritti di Qumran
Abot R.N. Abot de-Rabbi Natan, ampliamento dei Pirqe Abot (Talmud
babilonese, «Sentenze dei padri») d'età tardo- e post-talmudica. bJeb. Tal
mud babilonese, trattato Jebamot ( «Levirato» ) . bJoma Talmud babilone
se, trattato Joma («Il giorno delle espiazioni»). bSanh. Talmud babilo
nese, trattato Sanhedrin ( «Sinedrio» ). bTa 'an. Talmud babilonese, tratta
to Ta'anit («Giorni di digiuno e di lutto»). Midr. Pesiq. R. Midrash Pe
siqta Rabbati («Grande Pesiqta», raccolta di midrashim omiletici). mJoma
Mishna, trattato J orna («Grande giorno dell'espiazione»). mPara (Mish
na, trattato Para («La vacca rossa»). Syn. Zohar Sin ossi di Zohar; opera
esegetica altomedievale della Cabala. Tanh. Bemidbar, tarda interpreta
zione rabbinica del libro dei Numeri (v/vi sec. d.C.). Targ. Onq. Targum
Onqelos del Pentateuco, presumibilmente tardo I sec. d.C. e prima metà
del n sec. d.C. Targ. Ps. Jon. Targum Pseudo-Jonatan del Pentateuco (tar
da età talmudica). tB.B. Tosefta, trattato Baba batra («La prima porta»),
sui rapporti giuridici nella vita comunitaria.
Scritti cristiani della prima e della tarda epoca patristica (II/V sec. d.C.)
Acta Pauli Atti di Paolo (n metà del n sec. d.C.). Afraate , Sulla fede
Afraate, vescovo siriaco del IV sec. d.C., Omelia sulla fede. Barn. Lettera
di Barnaba (scritto giudeocristiano, metà del II sec. d.C.). Clem. , lac. Let
tera pseudoclementina indirizzata a Giacomo il Minore, premessa alle Omi
liae pseudoclementine (GCS 195 3). I Clem. Prima lettera di Clemente (96
d.C. ca., Roma). Const. Ap. Costituzioni apostoliche (raccolta giuridica
della chiesa primitiva, IV sec. d.C.). Epiph. , Pan. Epifanio di Salamina, scrit
to sulle eresie (Iv sec. d.C.). Ev. Eb. Vangelo degli Ebioniti (opera giudeo
cristiana dei primi anni del II sec. d.C.). Herm. Pastore di Erma (n sec.
d.C., Roma): Sim. Similitudini (apocalisse, prima metà del 11 sec.); Vis. Vi-
Elenco delle abbreviazioni II
1 I. Ma chi era dunque Filone, dal quale andò a scuola il nostro au
tore per trarre vantaggio, lui cristiano, dalla sua arte di interpretare la
Scrittura ? Filone nacque intorno al 20 a.C. ad Alessandria. Cresciuto
in una tradizione di formazione giudeo-ellenistica, si dedicò a deter-
Testimonianza di un cristianesimo giudeocristiano 25
l..a maestà del Figlio innalzato è superiore alla gloria degli angeli
( l ,4- 1 4)
4 Diventò tanto più potente degli angeli, quanto è più alto di loro il nome
che ha ereditato. 5 Infatti a quale degli angeli ha mai detto: «Tu sei mio fi
gl io, oggi ti ho generato>>, e ancora: «Gli sarò padre ed egli sarà per me fi
glio» ? 6 Ma quando introduce (ha introdotto) di nuovo il primogenito nel
mondo, dice: «E tutti gli angeli di Dio devono adorarlo>> . 7 E un'altra vol
ta riguardo agli angeli dice: «Rende i suoi angeli come venti, e i suoi servi
tori come fiamme di fuoco»; 8 ma riguardo al Figlio: «Il tuo trono, o Dio,
sta in eterno>>, e ancora: «Uno scettro di rettitudine è lo scettro del suo re
gno»; «Tu hai amato la giustizia e odiato l'iniquità». 9 «Perciò, o Dio, il tuo
Dio ti ha unto con olio di esultanza a preferenza dei tuoi compagni>>. Io Inol
tre: «Tu, o Signore, al principio hai fondato saldamente la terra, e opera
delle tue mani sono i cieli; I I essi periranno, ma tu rimani; e tutti invec
chieranno come un vestito, 1 2 e tu li arrotolerai come un mantello», come
una veste «saranno anzi cambiati. Ma tu sei lo stesso e i tuoi anni non a
vranno fine». I J A quale degli angeli ha mai detto: «Siedi alla mia destra, fin
ché non abbia reso i tuoi nemici uno sgabello ai tuoi piedi» ? 14 Non sono
essi tutti spiriti mi nistranti, inviati per prestare un servizio a coloro che
devono ereditare la salvezza ?
s Sal. 2,7; 2 Sam. 7, 14. 6 Deut. 32,43 · 7 Sal. 104,4· 8 s. Sal. � u ,7 s. 1 o- 1 1 Sal. 1 02,26 s. 13 Sal.
l 1 0, 1 .
ta una gran quantità di riferimenti alla Scrittura che mettono alla pro
va l'erudizione dell'autore.
7· Il v. 7 prosegue nella descrizione delle funzioni celesti subordina
te degli angeli; si ha la citazione di Sal. 1 04,4, il grande inno della crea
zione, che esordisce illustrando la maestà celeste di Dio. La congiun
zione «e» posta all'inizio del versetto, insieme al «ma» che segue al v.
8, intende accentuare il contrasto tra la posizione del Figlio e quella
degli angeli, che sono semplicemente spiriti ministranti della creazio
ne. L 'immagine che paragona gli angeli ai «venti» e alle «fiamme di
fuoco » non ha certo intenzione di equipararli alle forze della natura,
di cui parla il testo ebraico originale, ma indica che il loro compito
consiste in una solerte operosità, e che la loro sostanza dipende inte
ramente dalla decisione di Dio.
8. Tutt'altro la posizione e la funzione del Figlio (v. 8: «ma»)! Il suo
trono, quindi il suo compito di dominatore, durerà in eterno, come
prova Sal. 4 5 ,7 s ., che è riportato tanto diffusamente soprattutto per
ché l'invocazione «O Dio» si adattava in modo particolare a un'inter
pretazione applicata alla posizione unica di Cristo. Il Sal. 4 5, compo
sto come inno di nozze per un re israelita, in un secondo tempo era
stato probabilmente compreso in senso messianico, interpretazione a
cui poteva dar luogo il v. 8b. I versetti potevano essere compresi come
se si stesse parlando del trono di Davide, benedetto da Dio e che re
sterà in eterno perché su di esso infine sederà il messia. A tale concet
to ben si adattava anche il seguito, «il Signore, il tuo Dio, ti ha consa
crato» . Come nel caso di Sal. 2,7 e 1 ro, r , anche Ebr. pensa a un dialo
go tra il Padre e il Figlio, qui elevato da Dio al suo stesso livello. Per
l'autore della lettera, a questo punto la Scrittura mostra l'atto della
consegna del regno. Dio stesso assegna a Cristo la signoria eterna sul
l'universo, e definisce il suo scettro uno scettro che incarna la giustizia
incorruttibile, una «verga di rettitudine» (cf. al riguardo «verga di po
tere », Sal. I r o,2a). La sua grandezza di giudice presuppone una dimo
strazione personale: egli ha amato la giustizia e odiato l'iniquità.
9· Il v. 9 spiega meglio questo concetto. Proprio per questo motivo
Dio lo ha consacrato con l' «olio dell'esultanza di salvezza». Cristo si
è distinto nell'operato terreno, perciò ha potuto essere innalzato e al
tempo stesso ricevere l'acclamazione giubilante dei «compagni» ce
lesti, ossia degli angeli. Certamente essi sono spiriti ministranti, ma
oltre a ciò il loro compito è anche quello di glorificare Dio in eterno.
Ebr. 1 ,4- 14. La maestà del Figlio secondo Sal. 1 10 37
10. Come ulteriore testimonianza sul Figlio segue immediatamente
la citazione di Sal. 1 02,26 s., in assoluto la più estesa di tutta la raccol
ta. Anch'essa viene intesa come se si trattasse di parola rivolta a Cri
sto, in cui stavolta compare l'appellativo «o Signore»; nella compren
sione di Ebr. essa conferma il ruolo creatore primordiale del Figlio
(cf. I,2), il quale ha fondato il mondo (cf. Gen. I,7) e del quale i cieli
sono l'opera.
1 1 s. Ma mentre tutto il creato passa, egli, l'Eterno, resta, non sfio
rato dalla caducità e dalla fugacità del tempo. Colui che esiste dal prin
cipio può essere compreso soltanto come colui che è in eterno. Ciò
che nel salmo originariamente valeva per la lode alla maestà sovrana del
Dio che ha fatto il mondo, ma lo può anche usare e gettare come un
vestito vecchio e logoro, è ora visto come parola divina rivolta al Fi
glio. La lieve variante della versione dei LXX può essere fatta risalire
all'influsso di /s. 34,4. La menzione del «principio» (così i LXX) ri
porta alla memoria Gen. 1 , 1 . L'impiego in Ebr. mostra quanto il pen
siero cristiano delle origini potesse dedurre in modo diretto e imme
diato il ruolo creatore universale del Cristo preesistente. E in questo
ovviamente l'impiego dei passi scritturistici non è avvenuto secondo
una selezione casuale, bensì interamente secondo principi ben precisi.
1 3 . La scelta delle citazioni scritturistiche, per quanto ogni volta ini
zino significativamente con un predicato riferito a Cristo, passa coe
rentemente per gli appellativi di Figlio, Dio e Signore, per giungere
sino a Sal. I I o, 1 così da citare per ultimo proprio questo passo bibli
co, a dimostrazione di una posizione assolutamente unica della digni
tà del Figlio. La spiegazione del salmo costituisce il compito omiletico
vero e proprio della lettera. Le idee ritornano in ogni forma al fonda
mento omiletico. Di fatto è vero che Cristo, il Figlio ed erede, ha as
sunto una posizione unica presso Dio. Al tempo stesso si prepara un
altro evento immane: la sottomissione finale dei nemici di Cristo, per
la quale Dio è all'opera in favore del Figlio ( I o, I 2 ss.), così come in
tale occasione addirittura lo «introduce>> (v. 6). Non si può evitare di
cogliere già in questa citazione un tono ammonitore. Più oltre se ne
parlerà più diffusamente.
14. Nel dipanarsi del ragionamento segue dapprima un temporaneo
riassunto: «Non sono dunque tutti gli angeli spiriti ministranti ?» (per
tale espressione cf. Filone, Virt. 7 4). A dire il vero si dovrebbe poi pro
seguire così: e non è forse il Figlio più potente di tutti loro ? Ma poi-
38 Ebr. 2, 1 -4. Consegu enze pratiche
ché questo è già stato chiarito, viene inserita un'aggiunta il cui tema
consente di passare a un nuovo pensiero. Mediante la parola «eredita
re», improvvisamente è la comunità a porsi in primo piano; infatti il
mondo celeste non esiste perché Dio si trasfiguri, ma per servire l'uo
mo che ha bisogno della salvezza e che può esserne reso degno. Come
Cristo ha offerto un proprio sacrificio corporeo, così anche gli spiriti
celesti sono chiamati a un servizio e a un impegno di sacrificio. Come
il Padre è venuto in aiuto a Cristo nel suo compito ultimo, così anche
gli angeli sono destinati a un servizio di aiuto. Coloro che erediteran
no la salvezza sono gli stessi che la «devono» ereditare.
3 3,2; Targ. Onq. Deut. 33,2; Giuseppe, Ant. 1 5 ,5,3 ; Atti 7,3 8 . 5 3 ; Gal.
40 Ebr. 2, 1 -4. Consegu enze p ratiche
), 1 9). Anche il pensiero rabbinico si è ampiamente occupato delle cir
costanze della rivelazione sul Sinai ( Es. 1 9,90 ss.; 20, 1 8; cf. al riguardo
Filone, Dee. 32 ss.). A differenza di Paolo, Ebr. si esprime in termini
neutrali riguardo al valore della parola di rivelazione promulgata in tale
occasione, allo scopo di evidenziarne la validità assoluta. L'immagine
della «solidità» della parola di Dio emergerà poi più volte nel corso
della lettera (cf. 3,6. 1 4; 6, 1 9; 9, 1 7; 1 3 ,9), essendo un tema ricorrente del
la tradizione biblicamente orientata (Rom. 4, 1 6; 2 Pt. 1 , 1 9; Filone, Mos.
2, 1 4). La solidità della parola di Dio e la santità assoluta della volontà
che in essa si esprime si condizionano fortemente a vicenda. Perciò in
seguito verrà sottolineato l'assoluto carattere punitivo della conclusio
ne dell'alleanza: infatti ogni «trasgressione» e «disobbedienza» - com
messe dal popolo dell'esodo - ha ricevuto la giusta punizione (cf. Es.
1 7,7; Num. 20,2- 5 ; inoltre Ebr. 3,7 ss.; 4, 1 1 ; 1 2, 2 5 ). «Trasgressione» e
«disobbedienza» contraddistinguono il comportamento dell'ebreo che
disprezza la legge.
3· Ma finirà molto peggio per ·c oloro che per indifferenza o sbada
taggine trascurano l'offerta della salvezza eterna. Con la massima in
sistenza qui, come in 1 Cor. 1 0,6 ss., si ricorda che la vicenda dell' eso
do costituisce per «noi» cristiani un esempio ammonitore. L'autore di
E br. , insieme alla sua comunità, è cosciente di essere alla fine di un'e
poca cruciale, nella quale l'alternativa tra giudizio o salvezza si pone
in modo inesorabile e definitivo. È inconcepibile che davanti a tale real
tà gli uomini possano cadere nella noncuranza e indifferenza per l'an
nuncio. La proclamazione della salvezza, in fondo, è partita non dagli
angeli ma dal Signore stesso, dunque dal Cristo terreno che ora è il
Figlio innalzato. Va aggiunto che la comunità interpellata può richia
marsi direttamente a individui che hanno ascoltato di persona il Si
gnore terreno. L'autore stesso deve a questi discepoli e testimoni la
promessa della propria «salvezza». Insieme alla comunità ripensa alla
credibilità assoluta di quanto è stato detto. Personalmente egli non
parrebbe essere stato discepolo del Gesù terreno. N o n può richiamar
si a un'esperienza diretta del Cristo come Paolo, benché si possa sup
porre che sia stato molto vicino ai portatori apostolici dell'annuncio, a
coloro che avevano potuto ascoltare il Gesù terreno.
4· Oltre all'affidabilità degli apostoli vi è stato qualcos'altro che
infine gli ha dato la certezza decisiva, come dimostra nella frase con
elusiva, in forma di confessione, l'accento posto sull'esperienza che
Ebr. 2,5 - 1 8. La signoria universale di Gesù 41
f)io inoltre «testimoniava>> agendo i n molti modi. L a ricchezza di quan
to ha sperimentato, nonché l'impressione che ne ha tratto, trovano
espressione in un elenco di fatti via via più meravigliosi, tanto che è
opportuno considerare anche la ripetizione della congiunzione «e».
Al di là di quanto espresso a parole, la dimostrazione si rifà alla parola
«attiva» in vari modi, che non solo si lascia dietro una grande impres
sione ma - essendo coinvolto Dio - provoca sempre anche «effetti» sor
prendenti. N el caso presente colpisce che oltre a «segni», «prodigi» e
« miracoli» vengano menzionate soprattutto anche esperienze carisma
tiche e doni che indubbiamente rimandano all 'epoca del primo cri
stianesimo. Gli ascoltatori sono a conoscenza di questo fatto notevo
le, che a buon diritto corona l'argomentazione fornita. Quando si sot
tolinea con energia che Dio distribuisce i doni dello Spirito secondo
<� la sua volontà», vien da pensare a frasi paoline analoghe (cf. 1 Cor.
1 2, 1 1 ; 2 Cor. I O,I J). Lo Spirito santo non si presenta dunque come un
privilegio cui hanno accesso pochi eletti, ma è dato da Dio alla comu
nità a sua libera discrezione (cf. anche 1 Cor. 1 2 ) . L'evidente varietà di
segni e manifestazioni pneumatiche avvalora un operato credibile. Di
versamente dal primo secolo ormai sul finire, la ricchezza di tali mani
festazioni straordinarie non solleva ancora dubbi. Anzi, è proprio l'ab
bondanza di ciò che si è sperimentato che viene considerata una prova
di verità del fatto stesso (cf. Rom. 1 , 19; 2 Cor. 6,7; 1 2, 1 2; Gal. 3 , 2 ecc.).
Da qui nasce l'energica esortazione a volgere ogni attenzione alla sal
vezza resa possibile da Cristo.
Per breve tempo Gesù è stato umiliato per amore dei fratelli
(2, 5 - I J )
s Infatti non sottomise ad ange li i l mondo futuro del quale stiamo parlan
do ( 1 ,6). 6 Anzi qualcuno da qualch e parte ha testimoniato e detto: « Ch e
cosa è l'uomo p erché ti ricordi di lui ? O il Figlio dell'uomo p erché tu te ne
curi ? 7 Tu lo umiliasti per un breve tempo di fronte agl i angeli; di gloria e
di onore lo hai coronato, 8 tutto hai posto sotto i suoi pi edi » . «Sottopo
nendogli tutto» infatti, non gli lasciò nulla di non sottomesso. Ora però noi
ancora non vediamo che tutto gli « è sottomesso)) . 9 Ved i amo anzi colui «che
per breve tempo è stato umiliato di fronte agli angeli», cioè Gesù, «incoro
nato di gloria e di onore» a causa della morte che ha sofferto, perché per la
grazia di Dio provasse la morte a favore di ciascuno. 10 I nfatti ben si addi
ceva a colui per il quale e dal quale sono tutte le cose che rendesse perfetto
mediante la sofferenza colui che ha condotto alla gloria molti figli ed è au
tore della loro salvezza. 1 1 Infatti colui che santifica e coloro che sono san
tificati provengono tutti da una stessa origine, per questo non si vergogna
di chiamarli fratelli, 12. quando dice: «Annunzierò il tuo nome ai miei fra
telli; in mezzo all'assemblea canterò le tue lodi». 1 3 E ancora: «Porrò in lui
la mia fiducia». E i noltre : «Eccomi, io e i fi gli che Dio mi ha dato».
6-8 Sal. 8,5 -7 (eccetto 8,7a). 8 s . Sal. 8,6 s . 1.1 s . Sal. 2.2.,23. 1 3 a /s. 8,17 e 2 Sam. 2.2,3 . 13h fs.
X , I 8.
r Infatti (solo) per essere stato lui stesso tentato di persona e avere preso
R
su di sé la sofferenza poté venire in aiuto a quelli che sono ancora nella
prova.
1 4 /s. 8 , 1 8 . 1 6 /s. 4 1 , 8 s. 1 7 Sal. 2.2.,2. 3 .
7 Pe rciò, come dice l o Spirito santo: «Oggi, s e udite l a sua voce, 8 non in
durite i vos tri cuori come nel l 'esas peraz ion e il giorno della tentazione nel
deserto, 9 ove i vostri padri (mi) misero alla p rova Io e videro per quaran
t'anni le mi e opere. Perciò mi disgustai di questa generazione e dissi: «So
no sempre n e li ' errore con il cuo re » Ma essi non riconobbero le mi e
.
vi e, 1 1 per cui giurai nella mia ira: «Non en trino nel mio rip oso! ».
trice si serve del forte monito biblico, il cui significato salvifico attuale
è per lui fuor di dubbio. Innanzitutto la lunghezza della citazione, che
comprende tutta la parte conclusiva del salmo ed è riportata proba
bilmente a memoria, ne ha fatto l'argomento formale più forte, da cui
nuovamente la necessità di spiegarla meglio nei particolari. Il modo di
procedere di Ebr. è sorprendente. Quasi irriguardosamente e d'im
provviso pone i lettori di fronte a una parola dello Spirito che deve
colpirli e stimolarli profondamente. Avendo essi preso come comuni
tà (battesimale) una decisione che si lascia alle spalle ogni volontà or
dinaria, la lettera ricorda loro con insistenza e vigore che sulla strada
intrapresa non può esservi ritorno né ritiro. Le conseguenze sarebbe
ro altrimenti spaventose (cf. I 2; 4, I ). Dietro a questo procedimento vi
è la ferma convinzione che la parola della Scrittura sia di grande attua
lità. L' «oggi» è inteso come chiamata attuale dello Spirito di Dio, il qua
le afferma che i cristiani interpellati - secondo J , I «partecipi di una
chiamata celeste>> - devono prestare ascolto alla voce di Dio. L' «oggi »
comprende il periodo di proclamazione del messaggio di Cristo ( ana
logamente a 2 Cor. 6,2 ) , ma è evidente che punta anche alla particolare
situazione liturgica in cui la «chiamata>> di Dio possa essere colta in
una chiara accettazione.
8. Poiché la franchezza e la certezza in ciò che spera caratterizzano
il cristiano, non vi può essere indurimento del cuore. Con ciò s'inten-
Ebr. 3,7- I I . L' «oggi» della chiamata divina 61
de l'ostinazione per cui l'uomo s i chiude alla voce d i Dio, e non il
cuore inquieto e in ricerca. La Scrittura biasima l'atteggiamento di chi
si rivolta contro Dio con arroganza e spirito di ribellione. La comuni
tà quindi viene messa in guardia da quella «esasperazione» che porta
al rifiuto di Dio, così come a Massa e Meriba Israele si era abbandona
to al dubbio: «Il Signore è in mezzo a noi, sì o no ?» (cf. Es. I 7, I ss.).
Dio punisce una condotta tanto ostinata perché non piomba su Israele
all'improvviso come una contestazione, ma andava preparandosi da
tempo e deliberatamente.
9· Sebbene faccia parte della citazione, l'appellativo «i vostri padri»
allude a persone interpellate come giudeo(cristiane). In certi periodi
della storia non ci si dovrebbe mai impuntare sconsideratamente con
tro Dio. Anche qui Ebr. intende rivolgersi direttamente alla comunità.
Non è forse vero che anch'essa esce da esperienze di fede inaudite (cf.
2, I -4) ?
I O. Per quarant'anni Israele nel deserto ha visto le «opere» di Dio.
Che cosa significa? Grazie a un «perciò» in più (che prosegue con «mi
disgustai ... » ) , la citazione presenta una divisione differente rispetto al
la versione dei LXX, ove invece è scritto: «e videro le mie opere. Per
quarant'anni mi adirai contro quella generazione». Mentre qui si in
tendono le opere della collera, l'autore di Ebr. pensa invece piuttosto
alle «prodigiose» dimostrazioni di potere come segni della guida mi
sericordiosa di Dio. Di conseguenza la condotta dei padri dovrebbe
apparire tanto più sorprendente alla comunità interpellata, quanto più
comprensibile la reazione di Dio. Il fallimento di un tempo non deve
assolutamente ripetersi. Inoltre, su esempio del salmo, il luogo esatto
non viene specificato, primo perché in fondo è irrilevante, e poi per
ché sarebbe d'impedimento alla testimonianza. Mentre il testo ebraico
fa riferimento a «Massa» e a «Meriba», circostanza senz'altro nota a
Ebr. , l'autore della lettera trascura completamente i particolari relativi
alla località, come del resto fa la versione greca. In questo modo tutta
l'attenzione si concentra sul comportamento d'Israele nel suo com
plesso; ed è proprio la sua mancanza di fede che la comunità del nuo
vo popolo di Dio non deve e non può far propria. Le tappe dell'esodo
acquistano necessariamente forza espressiva per illustrare quei tipi di
comportamento che meritano una punizione («sdegnarsi» con Dio,
«metterlo alla prova», «tentarlo» ). Col v. IO la citazione del Sal. 9 5
passa al discorso diretto, e a parlare è Dio stesso. Vi esprime il dis gu-
62 Ebr. 3 ,7- 1 1 . L' «oggi» della chiamata divina
sto per la generazione dell'esodo, di cui è stufo e che in fondo al cuore
è sempre stata incline all'errore, benché le fosse consentito vedere le
«opere» divine.
I I . Venendo a mancare la fede e l'obbedienza, nella sua collera Dio
ha giurato che non sarebbe mai entrata nel suo riposo, ossia nella «ter
ra promessa» da lui prospettata. La riproduzione letterale della frase
del giuramento tratta dalla versione greca dei LXX, che non può esse
re compresa senza la conoscenza del testo ebraico, comprova la for
mazione biblica giudaica dell'autore (cf. Num. 1 4,30). Dal canto suo
neanche Ebr. ha compiuto variazioni di sorta, perché il carattere ispi
rato della parola di Dio è per essa un massimo assioma. Il tremendo
giudizio di Dio emesso sulla generazione dell'esodo viene pienamente
accolto in funzione intimidatoria. Tuttavia non è certo inteso in senso
antigiudaico, segue anzi in tutto l'uso della sinagoga, la quale sapeva
anch'essa giudicare in modo altrettanto duro. La citata bizzarra divi
sione del salmo effettuata al v. roa dà l'impressione che Dio sia inter
venuto solo dopo quarant'anni, mentre la testimonianza dell'Antico
Testamento parla piuttosto esplicitamente e con estrema precisione
dell'inizio dell'esodo, a volte addirittura del secondo anno (Num.
I 4,2 1 -3 5; 3 2, 1 0- 1 3; Deut. 1,34-40), collegando così a una causa precisa
la lunga permanenza nel deserto. Effettivamente questa divergenza
dall'originale, lieve ma certo intenzionale, permette di fare un con
fronto più pertinente rispetto alla situazione dei lettori. Ora si sa di
essere alla fine dell'esodo, e non all'inizio. Non va esclusa l'eventualità
che l'attesa del cristianesimo delle origini contemplasse, come quella
giudaica, in primo luogo un periodo messianico di quarant'anni, cosa
che già rabbi Elieser (attorno al 90 d.C.) riteneva tramandata: «l giorni
del messia sono quarant'anni, come è detto in Sal. 9 5 , 1 0» (bSanh.
99a). Tuttavia nella nostra lettera non viene riportato alcun calcolo,
mentre tutta l'urgenza di cui si è consapevoli viene trasformata in pres
sante esortazione a tenersi pronti. Si può rammentare che in modo a
nalogo anche Paolo, con fare ammonitore, aveva alluso all'esempio di
Israele ( 1 Cor. 1 0,7). La croce come fondamento della condotta cri
stiana è il segno posto da Dio che rimanda ali' amore e alla speranza.
La fede cristiana ha bisogno della disponibilità incondizionata all'azio
ne, né può mai fare a meno della perseveranza necessaria per affronta
re un futuro ultimo.
Solo la reciproca esortazione quotidiana scongiura
il pericolo dell'apostasia (J ,I 2- I4)
1 2 Fratelli, state attenti che in nessuno di voi vi sia un cuore malvagio e in
fedele che potrebbe rinnegare il Dio vivente! 1 3 Piuttosto esortatevi a vi
cenda, ogni giorno, finché viene proclamato l' «oggi», affinché nessuno tra
di voi sia indurito dall'inganno del peccato. 14 Noi infatti siamo divenuti
compagni di Cristo, se manteniamo salda sino alla fine la fede iniziale.
13 Sal. 9 5 ,7 ss.
4 Infatti a proposito del settimo giorno da q ual che parte ha detto così: «E nel
settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere». 5 E di nuovo al passo
citato è detto: «Non entreranno nel mio riposo». 6 Poiché du n que risulta
che alcuni debbono ancora «entrarvi», e d'altra parte q u elli che per primi
ricevettero la buona notizia non vi sono entrati a causa della loro infedel tà,
7 allora di nuovo egli fissa un giorno «oggi », per dire dopo tanto tempo per
mezzo di Davide con le parole già citate: «Oggi, se udite la sua voce, non
indurite i vostri cu o ri» 8 Se infatti già Giosuè li avesse introdotti al ripo
.
4-9. La dimostrazione, completata con 4,4-9 e che deve dar forza al
l'idea di un riposo ancora da godere, scompone accuratamente le con
nessioni appena create.
68 Ebr. 4t4-9· La prova di u n futuro «riposo di Dio,.
Io Infatt i chi è «entrato nel suo riposo» giunge anche «al riposo dalle sue ope
re» come Dio dalle proprie. I I Aspiriamo dunque ad «entrare in qu el ri
poso», affinché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza.
1 0 s. Sal. 95 , 1 1 ed Es. 2,2.
to il dono celeste, che hanno ricevuto e sono diventati partecipi dello Spiri
to santo, 5 che inoltre hanno gustato la buona parola di Dio e le potenze
del mondo futuro, 6 siano rinnovati ancora una volta nel ravvedimento se
dovessero apostatare, crocifiggendo di nuovo loro stessi il Figlio di Dio ed
esponendolo all'infamia.
1. Con un energico «perciò» iniziale l'autore trae le debite conse
guenze per sé e la comunità. Intende guidarla verso ciò che è veramen
te degno di lei. Non si limita a qualche ammonimento, come ci si sa
rebbe potuti aspettare dopo quanto esposto sino ad ora, ma vuole ri
mediare senza indugio all'errore riconosciuto. Dato che dal punto di
vista cronologico gli interpellati sono cristiani adulti, è ora che lo di
ventino anche concretamente. In questo senso l'autore ripone molte
speranze in loro ( 6,9 ) . Sarebbe un ben cattivo maestro della sua co
munità se volesse solo istruire e non venire subito in aiuto. Questo
comporta che si metta da parte la «dottrina elementare su GesÙ» pas
sando ad argomenti adatti a persone mature. Ciò che chiama «maturi
tà» va compresa come opposizione alla condizione di chi è ancora mi
norenne; dunque non equivale semplicemente a «perfezione» (tradu
zione comunque possibile). Infine non pensa a una condizione fisico
morale, bensì alla capacità, acquisita con l'esercizio, di dedicarsi a ri
flessioni più profonde che comprendono non solo una parte della ve
rità di Cristo, ma tutto il suo complesso con le conseguenze che ne
derivano. La verità di Cristo è simile a un edificio di cui sono state
poste le fondamenta. Bisogna ancora erigere le mura, perché le fonda
menta da sole rappresenterebbero un qualcosa d'incompleto, anzi di
addirittura impossibile in sé (analogamente 1 Cor. J , I o ss.). Essere cri
stiano non è una condizione per sua natura perfetta, ma un continuo
cogliere e trasmettere quelle verità che danno forma alla vita indiriz
zando a uno scopo. Ciò che per Ebr. è il fondamento, o l'istruzione di
base, viene elencato e precisato meglio . Per prima cosa, in una frase a
due elementi è menzionato «il ravvedimento dalle opere morte e la
fiducia in Dio))' per indicare già il rapporto reciproco tra le grandezze
citate. Nel tempo messianico non si può più costruire sulle «opere»,
ma solo sulla fede fiduciosa. Parlando di opere «morte» e di «fiducia
in Dio», anche se in modo riassuntivo, emerge un contatto con il pen
siero paolino (cf. Rom. 4, 5 ). La novità che rende possibile un agire «vi
vente» è unicamente la fede dell'epoca di Cristo. Perciò i due nuclei
tematici hanno un rapporto tanto stretto.
Ebr. 6, 1 -6. Il cristiano necessita di una crescita spirituale 93
2. È chiaro che questa descrizione di un'istruzione ricevuta in un
tempo precedente presuppone cristiani di origine giudaica, come con
ferma anche il seguito, dove si menziona esplicitamente la «dottrina»
ricevuta prima, che equivale alle «fondamenta gettate», per suddivide
re in altri due grossi nuclei tematici il materiale catechetico: «la dot
trina delle immersioni battesimali e dell'imposizione delle mani, della
risurrezione dei morti e del giudizio eterno». Nonostante il linguag
gio conciso, per prima cosa si penserà che - come indica il plurale - nel
giudaismo le lustrazioni e i riti di purificazione hanno sempre avuto
una grande importanza (ad es. presso gli esseni). In tale eventualità non
è chiaro se l'istruzione cristiana si sia espressa negativamente al riguar
do, oppure se ne abbia ammesso l'uso entro certi limiti (come in 9, 1 0).
Tuttavia è altrettanto ipotizzabile che sia stata approfondita la parti
colarità del battesimo di Gesù rispetto a quello di Giovanni e ad altre
lustrazioni cultuali (cf. Atti 1 8,24 ss.; 1 9, 1 ss.), ricavando quindi il ca
rattere unico e irripetibile del primo in quanto battesimo dello Spirito.
Considerando le frasi che seguono in 6,4 ss., questa riflessione è un
po' a parte, dato che sembra esservi un chiarimento di quello che in
certo qual modo distingue il cristianesimo. Anche l' «imposizione del
le mani» è uno specifico atto cristiano che rientra nell'istruzione. Co
me è noto, già la prima chiesa compiva tale azione per conferire lo
Spirito santo (Atti 8, 1 7. 1 9; 9, 1 2 . 1 7; 1 3 ,3 ecc.). Non va tuttavia dimen
ticato che prendeva direttamente a modello dal giudaismo l'ordina
zione dei discepoli al compito di maestri per divenire essi stessi dot
tori, con un rito in cui venivano loro «imposte» le mani, come si dice
tecnicamente (cf. al riguardo Num. 27, 1 8 ss.; Deut. 3 4,9). L'autore
può aver pensato che il dono dello Spirito, ricevuto con tale atto, ren
deva il singolo cristiano al tempo stesso anche maestro della parola di
Dio, circostanza di cui i cristiani qui rimproverati non hanno appro
fittato. Quando infine si fa cenno all'insegnamento riguardante la «ri
surrezione dei morti e il giudizio eterno», si tratta ancora una volta di
temi giudaici tradizionali. Ovviamente Ebr. può solo presupporre che
il loro significato sia stato messo particolarmente in risalto alla luce
della verità di Cristo. Oggetto dell'annuncio della risurrezione dove
va essere innanzi tutto, anche per il giudeocristianesimo, il Risorto stes
so. Questi però al tempo stesso garantisce anche l'assoluzione mise
ricordiosa nel giudizio estremo. I sei temi relativi all'istruzione ca
techetica rivelano indubbiamente un destinatario giudeocristiano della
,.. Ebr. 6, 1 -6. Il cristiano necessita di una crescita spirituale
lettera, anche se l'elenco mette in luce una certa obiettività neutrale
che sottolinea al massimo come lo sforzo debba tendere a una più
profonda comprensione della verità. In questo caso allora vengono
schiusi orizzonti totalmente diversi. Comunque il rilievo dato ai sei
temi ribadisce a sufficienza quella che deve essere considerata la dot
trina fondamentale dell'istruzione dei catecumeni: abbandono del pas
sato, inserimento nel nuovo e infine evidenziazione della gravità della
decisione presa in vista delle cose future. N on è certo poco, ma se non
bisogna fermarsi a questo è proprio perché le varie linee che conflui
scono in Cristo e che sottolineano il carattere irripetibile e prodigioso
dell'evento sono troppo brevi. La venuta di Gesù è sufficiente come
causa e motivo di fede, ma non porta oltre per quanto riguarda lo «Ze
lo per la piena convinzione della speranza sino alla fine» (6, 1 1 ). Quel
lo che è elencato può bastare giusto per i cristiani che sono agli inizi e
intendono affrontare le difficoltà dell'ora presente, non certo per quei
seguaci la cui perseveranza e coerenza, rivolta con speranza in avanti,
nasce dall'inesauribile verità di Cristo, dà tensione alla vita e impulso
missionario alla comunità.
3 · Trattandosi di qualcosa di estremamente importante, la decisione
di aspirare alla «maturità» viene inoltre fatta dipendere dalla volontà
di Dio di coronare di successo l'impegno comune. L'autore si esprime
come il giudeo fervente (v. anche 1 Cor. 1 6,7) che si accerta del favore
di Dio, poiché la sua buona volontà da sola non basta. La frase non
cela tanto il dubbio che Dio possa non permettere qualcosa, ma sotto
linea la certezza che con il suo aiuto tutto vada a buon fine in qualsiasi
circostanza. Ebr. punta a coinvolgere in questa sua personale certezza
la comunità intera che, essendo pigra, ne ha bisogno.
4· Essa sta correndo un grosso rischio, per cui è necessario che com
pia tale passo. Se infatti si arrivasse al punto di rinunciare anche a quan
to è indispensabile, nessun aiuto sarebbe più possibile. Una frase relati
vamente estesa nega la possibilità che vi possa essere un secondo rav
vedimento, ribadendo quindi, al tempo stesso, l'unicità e irripetibilità
della conversione a Cristo. Si tratta di una pura constatazione, senza
riferimenti specifici agli ascoltatori. Tuttavia da tali parole essi dove
vano rendersi conto che era tempo di cambiare modo di pensare e di
imparare, per giungere finalmente alle verità eterne. È colpa della loro
pigrizia se sono fermi, minacciati dal pericolo dell'apostasia. Non esi
ste assolutamente la possibilità di retrocedere a prima del battesimo.
Ebr. 6,1 -6. Il cristiano necessita di una crescita spirituale 95
A questo s i allude parlando d i «quelli che sono stati illuminati una vol
ta» (v. anche 2 Cor 4,6; inoltre Iust., Apol. 1 ,61). Da un punto di vista
.
dal punto di vista sia metodologico sia contenutistico, alla luce di Fi
lone. Se in questo non siamo neanche più in grado di seguirlo, tuttavia
oggi più che mai resta il compito di rendere teologicamente possibile
l'enunciazione dell'eterno significato di Gesù. È necessario soffer
marsi brevemente sulla forma e la struttura dell'omelia, che in questa
parte viene particolarmente caricata dal punto di vista tematico.
1-3. In 7, 1 - 3 tutta la conoscenza di Ebr. riguardo a Melchisedec, trat
tenuta sin da 5 , 1 ss., emerge infine appieno con un'unica frase assai
estesa, che è al tempo stesso un elenco e un'interpretazione. Le carat
teristiche che definiscono il mistero del personaggio vengono riporta
te in modo conciso, pur mantenendo l'usuale stile elevato. 7,1 - 3, sia
materialmente sia dal punto di vista metodologico ermeneutico, è alla
base di tutto il discorso successivo, che ha lo scopo di dimostrare il
sacerdozio eterno di Cristo secondo l'ordine di Melchisedec nel senso
di Sal. I I 0,4. Stile, contenuto e collocazione omiletica della frase non
consentono di avanzare l'ipotesi di un inno, magari rielaborato.
4- 1 .1. Con i vv 4- I 2 l'attenzione dell'ascoltatore viene spostata sul
.