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Giovanni Pascolt nacque # San Mauro di Romagna nel 1855, Studi nna cullegio dei padi Seolopi a Urbino, poi frequent i liceo a Rimini, La sus infana fu funescats dalla perdita el pucre, morto sssassinune, edella madre. Fu molto legato alle due sorelle, [dae Maria, con le quali convisse, il matrimonio dellu prima nel 1895 lo traumatizaer’, Grasie una borss di studio poté frequentarc Universita di Bologna, dove fu alliewe di Ginsut Carduccl. Amico di Andrea Conta, frequent gruppi socialistic fece attiviti politica, mals abbandond dope aver sperimen- tato il carcere per aver preso parte a una manifestazione anarchic, Silauted in greco nel L882. Si dedici slfinsegmamento prima liccale, come professore di latina e grece a Matera, Massa ¢ Livorno, quindi luniversitario, prima a Messina pol s Bologna, subentrande a Carducci nella euttedsa di letteratura italiana, Intanto serivewa poesia ¢ teorizza- vala sua poctica nd Fanciulfiro (1897). Grande erudito ¢ innovatore, influenz® peafondamente la pocsia italiana, ivoluzionande fe strstture ietriche € linguistiche. Merl nella sua ces di Castelveochio nel 1912. ‘Tra le ave opere, ole alle ltiche in latino det Carri (1885-1911), rloordiame: Myncie (1891), Primi poemieteé (1897), Cauté dé Casteloec- bio (1903), Poem comin (1908), Odi fw (1906), News poemer- 1 (1909), Poca daliet (1911), Poewé def Risergimenta (1913); serisse inoltre saggi eriticl come Ménersa arcu (1898), Stra al welame (1001, Let weirabide isto (902) Giorgio Agumben (Roma, 1942) 2 uno di pit importunti loco ta- linn), Ha insegraco in diverse universita italiane, ed 8 staxa invitato da moltissime isttuzioni aceademiche di tutti mondo. Dopo casersi dimes per protesta dal univers fuliana, attualmente tiene un se minatio annwale presse Puniversita di Parigl Saint-Denis, Dal 1966 al 1988 hu parteciputo al celebreseminaio a Le Thor di Martin Heideg- pet su Eradlito con René Char, Per Einaudi ha cursto le opere comple- te di Walter Benjamin, ei cui ha seoperto numerosi seri inedic, Nella suka vustu prockzione, dopa numerose opere incentrate sul rapport tra filesndis, leteratura e poetica, dal 198 la sua ricerca si & orkentuta ‘versa il Iegame tra filosoia © politica, Trai suai ibr pit sgnificativd, Hono Saver (1995; ed, integrule 2018). Con Feltrineli hn pubbliente Mew elle prose (19RS), GIOVANNI PASCOLI Il fanciullino ‘A cura di Giorgio Agamben (© Gianglacoma Peltrineli Bditote Milano Printa editione nel “Nuovi Maceriali® maggio 1982 Prima edizione nell" Universale Eeonamaica” ~ CLASSIC! fedsbaio 1992 Quarta edizione marzo 2019 Stampa Nuovo Istituto Italiano An ISBN 978-48.07.90330.4 wor fltrinelledtare it Ube in weit intervie, reading, com mantieparcors ltt Agziomament| quotidian ‘mamta GIORGIO AGAMBEN Pascoli e il pensiero della voce B stato Gianfranco Contini il primo a identificare ta poctica di Pascoli, al di la de! suo artigianato poetico in latino, nell'aspirazione a operare in uns lingua morta, Inseguendo ’ambizione, comune a tutti i grandi deca~ denti europei (ma. che in Italia ha, forse, una pit tenace discendenza), di lavorare in una lingua inedita, Pascoli si sarebbe posto davanti al linguaggio come davanti a una “riserva di oggetti poetici che furona vivi e a cui re- stituire la vita". Di qui il suo annettere alla lingua nor- male le lingue speciali ("Tin quelle specialissime che sono le sequenze foniche dei nomi propri"); di qui, anche, Postinate ricorso a quella lingua agrammaticale o pre- grammaticale che é l’onomatopea (la “presenza insop- portabile degli uccelli” che tanto infastidiva Pintor). Sa- rebbe qui superfluo riaffermare ta precisione di questa diagnosi. Osserviamo, piuttosto, che Contini avrebbe potuto citare un altro testo pascoliano in cui la poetica della lingua morta é, come tale, esplicitamente formu- lata, In un passo del Pensieri scolastici, polemizando contre Ja proposta di abolite Pinsegnamento del greco nelle scuole, egli scrive: *.,. la lingua dei pocti & sempre una lingua morta” ¢ aggiuge subito dopo: “curioso a dirsi: lingua morta che si usa a dar maggior vita al pen- siero.” Noi prendiamo le mosse da quest’ultima frase per pro- seguire la riflessione sul rapporto fra lingua moria © poesia, per interrogare, cioé, Ia poesia di Pascoli in una dimensione in cui non ¢ pitt, semplicemente, in questio- ne Ia sua poetica, ma il suo dettato: il dettato della poe- * sia, se indichiamo con questo termine (che riprendiamo qui al vocabolario poetico medievale, ma che non ha maj cessato di essere familiare alla nostra tradizione poetic) l’esperienza dello stesso avvento originario del- In parola, La poesia — dice Pascoli — parla in una lin- gua morta, ma is lingua morta é cid che da vita al pen- slero, Il pensiero vive della morte delle parole. Pensare, poetare significherebbero, in questa prospettiva, far esperienza della morte della parola, proferire (¢ resusci- tare) le morte parole. Contin osserva che il problema della morte delle parole angosciava Pascoli quanto quel- lo della morte delle creature. Ma in che modo ¢ in che senso una lingua morta pud dar vita al pensiero? In che modo la poesia compie questa esperienza delle parole morte? E che cos't — poiché di questo si tratta — una parola morta? In un passo del Be Trinitate (X, I, 2) — che costituisce uno dei primi luoghi in cui si presenta, nella cultura oc- cidentale, idea, che ci ¢ ogg familiare, di una lingua morta — Agostino compie una meditazione su una pa- rola morta, un vecabulum emortuum. Supponiamo — gli dice — che qualcuno oda un segno sconosciuto, if suono di una parola di cui ignora il sigaificato, per esempio la parola Zemetum (un termine desueto per vi- rum). Certamente, ignorando che cosa esso voglia dice, desiderera saperlo. Ma, per questo, ¢ necessario che egli gid sappia che il sucno che ha udito non é una yuota voce (inanemr vocem), il mero suono fe-me-fum, ma wn suono significante. Altrimenti quel suono trisillabico sa- rebbe gia conosciuto pienamente nel momento in cui & percepito dalf'udito: “che altro ci sarebbe da cercare in eso per meglio conoscerlo, dal momento che tutte le ‘sue lettere ¢ la durata di clascun suone sono conosciute, se non si sapesse nello stesso tempo che ¢ un segno ¢ non ci muovesse il desiderio di sapere che cosa signifi- ‘chi? Quanto pid, dunque, la parola @ nota, ma senza es~ serio pienamente, tanto pid I'animo desidere sapere quel ‘residuo di conoscenza. Se, infatti, conoscesse solo I'esi- stere di questa voce ¢ mon sapesse che essa significa qualcosa, non cercherebbe pit, nulla, una volta percepi- ‘to con Ia sensazione, per quanto era possibile, i! sensi- ‘bile suono, Ma poiché sa gia che non solo vi 2 una voce, ma anche un segno, vuole averne perfetta conoscenza, ‘Ora non si conosce pecfettamente alcun segno s¢ non si $0 di che cosa sia segno. Colui che con ardente zelo cer ca di sapere e, acceso dallo studio, persevera, si pud dire ‘che sia senza amore? Che ama dunque? Certamente non. & possibile amare qualeosa che non ¢ conasciuio. N& ‘ama queste tre sillabe, che gid conosce. Si dira allora ‘che ama in esse il sapere che significano qualoosa?...” In questo passo, I'esperienza della parola morta si pre- Senta come esperienza di una parola proferita (di una var) in quanto non & pid mero suone (istas tres syifa- as), ma non & ancora significato: esperienza, clot, di ‘un segno come puro voler-dire © intenzione di sigaifica- re, prima e al di li di ogni concreto avvento di signifi- sato. Questa esperienza di un verbo sconosciuto (ver bum Incognitum) nella terra di nessuno fra il suono ¢ il significato 2, per Agostino, l’esperienza amorosa come volonta di sapere: all’intenzione di significare senza si- gnificato corrisponde, infatti, non la comprensione lo gica, ma il desiderio di sapere (gui scire amat incognita, non ipsa incognita, sed ipsum scire amat; \'amore &, cio’, sempre desiderio di sapere). Importante @, perd, rilevare che il lucgo di questa esperienza d’amore, che mostra la vox nella sua purezza originale, ¢ una parola morta, un vocabulinn emortewm: temetur. (Notiamo qui, di passaggio, che non & possibile com- Prendere Ia teoria provenzale € stilnovista dell’amore se non come un revocare in questione proprio questo passo di Agostino: Mamor de lonh &, appunto, la scommessa che sia possibile un amore che non trapassi mai in. sa- pere, un amare ipsa incognita, cloé un'esperienza della parola — anche qui, non a caso, parola ascura ¢ rara: cars, bruns e tenkz motz — che non si traduca mai in -esperienza logica di significato.) ‘Nel secolo XI, ancor prima della poesia, 1a logica me- cdievale riprese l'especienza agostiniana della voce ignota per fondare su di essa la dimensione di significato pik ‘universale ¢ originaria; quella dell'cssere. Nella sua ‘obiezione all’argomento ontologico di Anselmo, Gau- rnilone afferma la possibilita di un'esperienza di pensiero che non significa ancora né rimanda a una res, ma di- mora nella “sola voce”. Riformulando lesperimento agostiniano, egli propone, infatti, un pensiero che pensi “non tanto la voce stessa, che ¢ una cosa in qualche mo- do vera, cio? il suono delle sillabe ¢ delle lettere, quanto il significato della voce udita; non, perd, come viene pensato da chi conosoe che cosa si ¢ soliti significare con quella voce, ma, piuttosto, come wiene pensato da chi non ne conosce il significato e pensa solo secondo il ma- vimento dell'animo nell'udire quella voce e cerca di rap- presentarsi il significato della voce percepita”. Non pit mero suono e non ancora significato logico, questo “pensiero della voor sala” (cogitatio secundum vocem solam) ape al pensi¢ra una dimensione inaudita, che si sostiene sul puro fiato della voce, sulla sola vox come Insignificante volonta di significare. 0 IY. In 1 Cor., XIV, 1-25, Paolo espone Ia sua puntigliosa critica della pratica linguistica della comunita cristiana di Cori *Colui che parla in glossa (0 Jaidn gidsse, doguicur lingua, fraintende san Girolamo) non parla al uomini, ma a Dio; nessuno infatti intende, ma in spirito Parla misteri,.. chi parla in glossa edifica se stesso, chi profetizza edifica la chiesa... ora, fratelli, se fo vengo a voi parlanda in glossa, in che vi gioverd, se non vi lero in rivelazione o in conoscenza 0 in profezia o in dottrina?... Cosi anche voi se attraverso le glosse non darete un discorso ben significante, come si conoscer cid che viene detto? Sard come se parlaste in aria... se non conoscerd il yalore semantico della voce, sard a co- lui che parla un barbaro ¢ colui che parla in me sarh un barbaro... per questo chi parla in glossa preghi di poter interpretare, perché se prego in glossa il mio spirito pre~ a, ma il mio intelletto & senza frutto... Fratelli, non di- ventate fanciullirispetto al giudizio. In che modo dobbiamo intendere il Jalela gidsse del testo? Gidsse — come é ormai acquisite anche dal- Vermeneutica neotestamentaria — significa “parola estranea alla lingua d'uso, termine oscuro,

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