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FISIOLOGIA

ANIMALE

Il muscolo

Il muscolo si può dis-nguere in muscolo striato e muscolo liscio (non striato). Quello striato presenta
l’alternanza di striature date dall’organizzazione delle proteine contra:li e si dis-ngue dal muscolo non
striato in cui le proteine hanno un’altra organizzazione e le striature non sono eviden-. Quello striato
comprende il muscolo scheletrico e cardiaco mentre quello non striato comprende il muscolo liscio. Dal
punto di vista del controllo nervoso di ques- -pi di muscolo, quello scheletrico è deAo anche volontario
perché ha bisogno dell’impulso nervoso per contrarsi. Per la maggior parte l’impulso nervoso è soAo
controllo volontario, se vogliamo compiere un movimento diamo un comando col nostro cervello e
facciamo contrarre il muscolo soAo comando volontario. Però può anche contrarsi indipendentemente dalla
nostra volontà, ma normalmente è soAo controllo volontario. La contrazione di quello liscio e cardiaco
invece avviene in modo involontario, noi non controlliamo per la maggior parte in modo volontario né
l’a:vità del muscolo cardiaco né di quello liscio.

Muscolo scheletrico

Il muscolo scheletrico è striato, è inserito aAraverso i tendini sulle ossa dello scheletro e serve a organizzare
i movimen- soAo controllo volontario, anche se alcuni si contraggono involontariamente per farci
mantenere la posizione ereAa e non perdere l’equilibrio, a sostenere la forza di gravità. Per la maggior parte
sono movimen- volontari, anche se possiamo contrarre i muscoli scheletrici anche involontariamente come
nel caso dei cosidde: riflessi, quello più comune è il riflesso nocice;vo o flessorio estensorio crociato.
Questo riflesso è un esempio di movimento involontario della muscolatura scheletrica perché tocchiamo
uno s-molo dolorifico e istantaneamente allontaniamo l’arto. Infa: in questo caso il comando non viene
dal cervello ma viene organizzato dal midollo spinale. Anche i muscoli della postura vengono contra:
inconsciamente (glutei, collo, ecc.)

L’impulso dolorifico che arriva al midollo spinale va a comandare i motoneuroni del midollo spinale, e quindi
non arrivando al cervello non viene percepito in maniera cosciente. I muscoli scheletrici sono comanda- dai
motoneuroni, grossi neuroni che troviamo nelle corna ventrali del midollo spinale. Per far contrarre un
muscolo scheletrico bisogna avere il comando dai motoneuroni nel midollo spinale. Il muscolo non si
contrae in modo spontaneo senza comando nervoso altrimen- saremmo in una situazione non fisiologica
(crampo, contrazione tetanica ecc.) normalmente il muscolo si contrae solo quando c’è il controllo dei
motoneuroni e deve essere rilasciata dal potenziale d’azione ace-lcolina. Il muscolo scheletrico non ha
a:vità spontanea. C’è una neAa differenza tra a:vità spontanea e a:vità involontaria: a:vità spontanea
vuol dire che il muscolo riesce da solo a contrarsi senza un comando nervoso, quindi la membrana del
muscolo cardiaco o liscio è in grado di depolarizzarsi e far par-re potenziali d’azione in modo autonomo.
A:vità involontaria invece vuol dire che non è soAo controllo del cervello, ma è comunque soAo controllo
dei motoneuroni, il muscolo scheletrico non ha a:vità normalmente spontanea ha bisogno sempre del
comando dei motoneuroni.

Muscolo liscio

Il muscolo liscio non presenta striature, lo troviamo a cos-tuire le pare- degli organi interni (apparato
intes-nale, vescica, apparato genitale, in modo par-colare nella parete dei vasi sanguigni). Il muscolo liscio
si contrae in modo involontario, a volte anche in modo spontaneo, la cellula muscolare di per sé è in grado
di contrarsi senza impulsi o comandi esterni. Il controllo dell’a:vità del muscolo liscio avviene aAraverso il
sistema nervoso che può modulare l’a:vità del muscolo liscio. Mentre per il muscolo scheletrico parliamo

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di motoneuroni (sistema nervoso simpa-co), il muscolo liscio è controllato dall’altra branca del sistema
nervoso che è il sistema nervoso autonomo (parasimpa-co). Anche diversi ormoni possono controllare
l’a:vità del muscolo liscio.

Muscolo cardiaco

Ha caraAeris-che comuni agli altri due -pi, è un muscolo striato come lo scheletrico, cos-tuisce la parete
del cuore con le 4 camere, si contrae in modo involontario e in più ha anche a:vità spontanea, genera
autonomamente dei potenziali d’azione in zona specifica (zona senoatriale) che poi determina la
contrazione. Si può estrarre il cuore, meAerlo in una soluzione fisiologica il più fredda possibile e con-nua a
baAere perché non ha bisogno di comando nervoso, è controllato però sia dal sistema nervoso (autonomo)
e anche da diversi ormoni. La maggior parte degli ormoni hanno anche azione sull’a:vità cardiaca.

MUSCOLO SCHELETRICO

È cos-tuito da cellule striate polinucleate unite all’estremità al tessuto conne:vo elas-co che li ancora sulle
ossa. Se prendiamo una fibra singola all’interno ci sono migliaia di miofibrille, struAure allungate all’interno
delle quali ci sono le proteine contra:li acEna e miosina. Una singola miofibrilla è data dalla successione di
quella che è l’unità sia struAurale che funzionale del muscolo che è il sarcomero che determina le striature
caraAeris-che del muscolo scheletrico. Non ci sono solo le miofibrille ma anche i diversi organuli della
cellula, in par-colare il re-colo endoplasma-co con una par-colare funzione. All’interno del sarcomero ci
sono i filamenE spessi al centro e i filamenE so;li in posizione laterale. I filamen- so:li sono ancora- a
delle struAure che si allineano al sarcomero che si chiamano linee Z. Tra i filamen- so:li troviamo i
filamen- spessi che sono al centro, sono cos-tui- dalla proteina miosina, mentre i so:li sono cos-tuite
principalmente da ac-na insieme ad altre proteine.

MIOSINA

La miosina è cos-tuita da sei polipep-di, due catene pesan- e quaAro catene leggere. Le due catene
pesan- sono aAorcigliate una sull’altra a formare la coda e le due teste globulari su cui ci sono i si- di
legame per l’ac-na e per l’idrolisi dell’ATP. Oltre alle due catene pesan- ci sono quaAro catene leggere. Ogni
paio (due catene) è associato alla testa della miosina e regolano la contrazione sopraAuAo del muscolo
liscio. I filamen- spessi sono cos-tui- da tante molecole di miosina impaccheAate l’una sull’altra. Le code
vanno verso il centro, le teste verso l’estremità e sporgono fuori dal filamento stesso. Questa struAura
facilita l’interazione della testa con le molecole di ac-na.

ACTINA

È presente nei filamen- so:li. Si presenta come monomeri di G ac-na, proteine globulari che sono legate
una all’altra a formare dei polimeri di F ac-na (ac-na filamentosa). Nel filamento so:le troviamo due
catene di F ac-na intrecciate una sull’altra. Ogni catena è cos-tuita da tan- monomeri di G ac-na. Abbiamo
anche altre molecole importan- che sono la troponina e la tropomiosina. La prima è formata da tre
subunità: troponina C che lega il calcio, una troponina I che h a:vità regola-va inibitoria e la troponina T
che lega l’altra proteina del filamento so:le, cioè la tropomiosina. La troponina è un trimero. La
tropomiosina è una proteina filamentosa che si trova lungo i filamen- so:li. I filamen- so:li sono ancora-
alle linee Z, struAure proteiche ai la- del sarcomero, ma sono ancora- anche alla membrana plasma-ca del
muscolo aAraverso proteine come la distrofina che collega i filamen- di ac-na a delle glicoproteine di
membrana (sarcoglicani) che aAraverso la distrofina sono lega- ai filamen- di ac-na. La presenza della


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distrofina è importante per mantenere l’integrità della membrana muscolare. La mancanza provoca lesioni
e disfunzioni della contrazione muscolare.

Il reEcolo sarcoplasmaEco.

Le varie miofibrille sono avvolte e circondate dai tubuli del re-colo sarcoplasma-co. Alle estremità dei
sarcomeri, i tubuli del re-colo sarcoplasma-co formano delle formazioni allargate che si chiamano cisterne
terminali. Tra due cisterne terminali adiacen- troviamo un'altra formazione che è il tubulo T, è un so:le
tubicino che deriva dalla membrana plasma-ca. Questa struAura si chiama triade, ed è cos-tuita da due
cisterne terminali, una che deriva da un sarcomero e l’altra del sarcomero adiacente, e il tubulo T , una
invaginazione della membrana plasma-ca. La funzione del re-colo sarcoplasma-co è importante perché
all’interno troviamo mol- ioni calcio, fondamentale per la contrazione. Il re-colo endoplasma-co in
generale è un serbatoio di calcio mentre nel citoplasma ha una concentrazione molto bassa.

CONTRAZIONE MUSCOLARE

Consente di generare forza che viene u-lizzata per due compi-: compiere un movimento o resistere ad un
carico. Una contrazione muscolare non è solo legata ad un movimento ma serve anche a supportare un
carico. Quando il muscolo si contrae ma non compie movimento si parla di contrazione isometrica, non
varia le sue dimensioni, se compie un movimento si chiama contrazione isotonica. La contrazione del
muscolo in ogni caso produce forza. Avviene per accorciamento del sarcomero in quanto abbiamo uno
spostamento dei filamen- so:li verso il centro, quelli spessi rimangono nella loro posizione. Questo
sommato per tu: i vari sarcomeri determina un accorciamento del muscolo ed uno sviluppo di forza.

CICLO DEI PONTI TARSVERSALI

L’accorciamento del sarcomero avviene con un processo di interazione tra ac-na e miosina in modo ATP
dipendente. La miosina con la sua testa è aAaccata ad un monomero di ac-na, l’angolo tra la testa della
miosina e la coda della miosina è di 90 gradi. Per far sì che la miosina si stacchi dall’ac-na le teste devono
legare ATP, altrimen- rimane aAaccata all’ac-na. Si lega ATP, la miosina si stacca, l’affinità del legame tra
ac-na e miosina diventa più bassa e la miosina si stacca. Successivamente si avrà l’idrolisi dell’ATP che
rimane legato alla testa della miosina come ADP e gruppo fosfato. Si forma inizialmente un legame a bassa
affinità tra testa della miosina e monomero di ac-na vicino al monomero precedente. La testa della miosina
si rilega a un altro monomero che si trova nelle vicinanze. Dopo l’idrolisi dell’ATP la testa della miosina
forma di nuovo un legame con un altro monomero di ac-na ma inizialmente a bassa affinità perché tra
ac-na e miosina c’è ancora la tropomiosina che si posiziona vicino ai si- di legame tra ac-na e miosina
impedendo che si formano i legami for-. L’aumento di calcio nella cellula muscolare provocherà lo
spostamento della tropomiosina permeAendo la formazione di legami for- ad alta affinità tra miosina e
ac-na. Questo passaggio è l’unico calcio dipendente ma è fondamentale perché in questo modo si può dare
il comando alla contrazione, permeAere che la contrazione avvenga o non se non aumenta il calcio non
avviene la contrazione, se aumenta si sposta la tropomiosina, aumentano i legami ad alta affinità e può
avvenire la contrazione. Avvenuto il legame si stacca il gruppo fosfato, si ha un ripiegamento della testa
della miosina a 45 gradi e si ha lo spostamento del filamento so:le verso il centro del sarcomero. La spinta
è di circa 68nm verso il centro del sarcomero. Successivamente si stacca l’ATP e si ha un ulteriore
spostamento verso il centro del sarcomero. Si ritorna alla situazione iniziale dove la miosina è legata con un
legame forte all’ac-na, si sono stacca- sia il fosfato che l’ATP. Per ripar-re col ciclo si deve legare di nuovo
ATP, se non si lega si rimane nello stato di rigor, cioè se non c’è ATP la miosina rimane aAaccata all’ac-na e
si rimane in uno stato di rigidità.


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ACCOPPIAMENTO ECCITAZIONE-CONTRAZIONE

Perché il muscolo scheletrico si contragga deve essere trasmesso un comando dal motoneurone all’interno
delle corna ventrali del midollo spinale. Il motoneurone arriva nella cosiddeAa placca muscolare cos-tuita
dalla terminazione dell’assone e dalla membrana della fibra muscolare. La terminazione del motoneurone
con-ene tan-ssime vescicole di ace-lcolina. Quando arriva il potenziale d’azione lungo l’assone del
motoneurone a livello della sinapsi si aprono i canali calcio che entra nella terminazione e induce il rilascio
del neurotrasme:tore, in questo caso ace-lcolina che va a legarsi ai receAori postsinap-ci. A livello del
muscolo abbiamo i receAori ionotropici (receAori nico-nici), l’ace-lcolina si lega ai receAori, si aprono ed
entra sodio (il potassio esce in quan-tà minori perché si trova già all’equilibrio) che depolarizza la
membrana del muscolo e provoca un’insorgenza di un potenziale d’azione. Al potenziale di riposo -90
l’apertura dei canali nico-nici fa entrare sodio, depolarizza la membrana e fa sempre par-re un potenziale
d’azione. Al potenziale d’azione del motoneurone deve corrispondere un potenziale d’azione sul muscolo.

La m del muscolo forma delle invaginazioni chiamate cleO subneurali dove si trovano i receAori per
l’ace-lcolina. Il rilascio di ace-lcolina determina sempre l’insorgenza di un potenziale d’azione che si
propagano lungo la membrana della fibra muscolare. se si propaga lungo la membrana si propaga anche
lungo i tubuli T che si portano verso l’interno della membrana muscolare in profondità. I tubuli T sono
adiacen- a due struAure che sono le due cisterne terminali del re-colo sarcoplasma-co. sul tubulo T
troviamo dei par-colari canali per il calcio che si chiamano canali per la diidropiridina. Sostanza che viene
usata in lab per aprire i canali. La loro funzione non è quella di far passare il calcio, sono fa: come i canali
del calcio ma non servono per far passare il calcio. La loro funzione è quella di andare ad a:vare altri canali
che si trovano sulle cisterne terminali, cioè sul re-colo sarcoplasma-co. Ques- canali si aprono ma non
passa tanto calcio, è importante che cambino conformazione e si aprano perché sono accoppia-
fisicamente ad altri canali chiamaE per la rianodina e si trovano sulle cisterne terminali. Un cambiamento
di conformazione nel canale calcio comporta un cambiamento di conformazione anche nel canale della
rianodina. Il canale della diidropiridina è un canale voltaggio dipendente, anche in questo canale il
segmento S4 sensibile al voltaggio, nel momento in cui arriva il potenziale d’azione cambia conformazione e
induce un cambiamento di conformazione del canale per la rianodina che si apre. Se si apre il canale per la
rianodina che è anche un canale per il calcio, il calcio esce perché è più concentrato nel re-colo. TuAo
questo meccanismo comporta l’uscita di calcio nel citoplasma. (min 47 sintesi di tuAo)

Il calcio che esce dai canali per la rianodina potrebbe non essere sufficiente, allora è stato visto che il calcio
che esce da ques- canali va ad aprire altri canali che si trovano sempre sul re-colo sarcoplasma-co che si
chiamano canali CICR (calcium induced, calcium release) che a loro volta rilasciano altro calcio, in questo
modo viene amplificato il fenomeno e viene rilasciato ancora più calcio. A questo punto abbiamo una
quan-tà di calcio sufficiente. Nel cuore invece non ci sono i canali per la diidropiridina ma l’unico
meccanismo è il calcium induce calcium release. Abbiamo oAenuto quindi un rilascio massivo di calcio nel
citoplasma che si andrà poi a legare alla troponina (subunità C). provoca un cambiamento di conformazione
della subunità C e quella inibitoria e della subunità T. cambia conformazione la C poi la I e poi la T. Questo
determina uno spostamento della tropomiosina e lascia libero il legame ad alta affinità tra miosina e ac-na.
il calcio non serve ad altro che a legarsi alla troponina per far spostare la tropomiosina e lasciare libero il
legame, si inclina la testa della miosina e si ha il corpo di forza, senza di questo non si può avere la
contrazione.


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RILASCIO DEL MUSCOLO SCHELETRICO

Una volta che il muscolo si è contraAo e che i filamen- so:li si sono sposta- verso il centro del sarcomero,
a un certo punto il muscolo si deve rilasciare. Gli even- che portano al rilasciamento sono il contrario di
quelli che portano alla contrazione:

• terminerà la propagazione dei potenziali d’azione del motoneurone. (arrivano più di un potenziale
d’azione in modo che il muscolo rimanga contraAo per più tempo)

• termina il rilascio di ace-lcolina per non far par-re più il potenziale d’azione lungo il muscolo

• membrana muscolare si ripolarizza

• chiusura dei canali della rianodina

• none esce più calcio dal re-colo

• il calcio del citoplasma deve essere risequestrato dentro il re-colo, di questo si occupano le pompe
del calcio in modo che la concentrazione di calcio ritorni ai livelli basilari e far ripar-re un nuovo
ciclo.

• In questo modo la troponina cambierà la sua conformazione, la tropomiosina bloccherà i si- di


legame tra ac-na e miosina e terminerà la contrazione

MECCANICA MUSCOLARE

Registriamo con degli eleArodi sia la terminazione del motoneurone, sia la membrana del muscolo, in più
possiamo collegare la fibra muscolare ad uno strumento che misura la forza prodoAa. Si può così registrare
il potenziale d’azione che arriva lungo l’assone del motoneurone, a pochissima distanza si può registrare il
potenziale d’azione che si genera sulla membrana della fibra muscolare, con una certa latenza poi parte la
forza generata dal muscolo. La forza aumenta dopo che si è esaurito il potenziale d’azione fino a
raggiungere un massimo e poi arrivare a zero. Dallo zero al picco il muscolo produce forza, poi si passa ad
una fase di rilassamento quando la forza inizia a diminuire. Mentre il potenziale d’azione è un evento
rapido, la contrazione è un evento lento che dura cen-naia di millisecondi. Questo evento che porta da un
singolo potenziale d’azione a una singola contrazione del muscolo si chiama scossa singola, è la scossa, cioè
la contrazione prodoAa dal muscolo in risposta a un singolo potenziale d’azione ed è formata da una fase di
contrazione di sviluppo della forza e una fase di rilassamento in cui la forza torna a zero. La durata di una
scossa singola non è uguale per tuAe le fibre muscolari. Alcune si contraggono molto rapidamente con delle
scosse molto brevi e abbiamo dei muscoli che si contraggono per tempi molto lunghi (muscoli posturali nel
collo, dorso, glutei ecc. per mantenere la posizione ereAa). La scossa muscolare dipende dal -po di fibra.

CURVA FORZA LUNGHEZZA

A livello di scossa singola prodoAa da un singolo potenziale d’azione, la forza prodoAa dalla fibra muscolare
non è sempre costante, varia a seconda di un parametro che è la lunghezza iniziale della fibra muscolare
secondo una relazione che si chiama curva forza-lunghezza. La forza generata da una fibra muscolare
dipende dalla sua lunghezza iniziale. Questa curva forza-lunghezza è una curva a campana in cui si vede
l’andamento della forza in funzione della lunghezza del muscolo. La forza generata è massima per una certa
lunghezza del muscolo. Al di soAo e al di sopra di questa lunghezza chiamata lunghezza o;male, la forza
diminuisce. Se il muscolo è più corto o più lungo di quella lunghezza la forza è minore. C’è una lunghezza


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o:male della fibra che produce una massima forza, se lo allunghiamo o accorciamo, la forza prodoAa non è
più o:male. Questo è legato alla sovrapposizione dei filamen- spessi e so:li.

Se siamo a una lunghezza o:male abbiamo una perfeAa sovrapposizione tra filamen- so:li e spessi, cioè si
può formare il massimo numero di pon- tra ac-na e miosina, se allunghiamo la fibra i filamen- so:li non
riuscirebbero a formare pon- tra ac-na e miosina, più allunghiamo il muscolo minore sarà la
sovrapposizione tra filamen- spessi e so:li e minore sarà il numero di pon- che si possono creare tra le
due molecole. Se lo accorciamo i filamen- si sovrappongono tra di loro e non riescono a formare in modo
efficacie pon- con i filamen- spessi. Abbiamo una lunghezza o:male in cui abbiamo un o:ma
sovrapposizione tra i filamen- per poter generare una forza o:male. Normalmente il muscolo a riposo si
trova alla lunghezza o:male in modo che si possa generare in caso di contrazione la massima forza.

PER AUMENTARE LA FORZA PRODOTTA DAL MUSCOLO SI POSSONO OSSERVARE DUE MECCANISMI:

1) SOMMAZIONE DEI POTENZIALI D’AZIONE

È raro che abbiamo una scossa singola, generalmente si verifica una somma di più contrazioni. Sommazione
temporale: viene a:vata una sinapsi più volte nel tempo. Un conceAo simile lo abbiamo nel muscolo. Se
lungo il motoneurone vengono trasmessi più potenziali d’azione, al primo verrà prodoAa una scossa singola,
poi si produce un secondo potenziale d’azione quando la scossa ancora non è terminata, succede che parte
una seconda scossa che si somma alla prima. Se parte un terzo potenziale d’azione si produce una terza
scossa che si somma alla seconda e alla prima. Alla fine, si produce una forza nel muscolo che è maggiore
rispeAo alla scossa singola. Se il motoneurone produce più potenziali d’azione ravvicina- alla prima scossa
ancora non terminata si sommano le altre e la forza prodoAa risulta maggiore. Questo fenomeno prende il
nome di sommazione o tetano, cioè una contrazione muscolare dovuta alla somma di singole contrazioni di
scosse singole, ed è quello che normalmente accade nel nostro muscolo. Se diminuiamo la distanza tra i
potenziali d azione (in minor tempo) e aumen-amo il numero le scosse tendono a sommarsi tra di loro
generando sempre più forza fino ad arrivare a quello che si chiama tetano completo, si o:ene dando una
s-molazione dei motoneuroni a frequenze molto elevate in modo che le varie scosse si sommano tanto da
non riuscire più a vederle, non si dis-nguono i singoli picchi ma si vede un'unica curva di salita, si fondo
l’una con l’altra fino a raggiungere la massima forza che il muscolo può produrre.

2) METABOLISMO MUSCOLARE

Il muscolo prende energia dall’ATP disponibile. Ma l’ATP disponibile a livello muscolare basterebbe solo per
oAo pon-, cioè oAo contrazioni. Abbiamo quindi altre riserve energe-che che ci permeAono di fornire
energia. Una molecola importante è la fosfocreaEna. È una molecola che ha legato un gruppo fosfato in
grado di meAersi a disposizione per formare ATP. Fosfocrea-na più ATP porta al distacco del gruppo fosfato
dalla fosfocrea-na facendola rimanere come crea-na, si forma ATP ma sempre per contrazioni brevi. La
glicolisi è il meccanismo che permeAe al muscolo di contrarsi per qualche secondo anche se produce poco
ATP ma in tempi rapidi. Per far avvenire la glicolisi serve il glucosio che viene preso dal glicogeno a livello
muscolare, poi se non basta e occorre aumentare anche il glucosio nel sangue viene preso dal fegato. Una
volta esaurito l’ATP disponibile e la fosfocrea-na si inizia a distruggere il glicogeno e con la glicolisi si o:ene
ATP. La glicolisi permeAe di produrre ATP in modo rapido ma in scarse quan-tà, per produrne di più va
a:vata la glicolisi vera e propria e quindi la fosforilazione ossida-va, ma in questo caso c’è bisogno di
ossigeno. Viene prodoAa però una quan-tà di ATP maggiore. Quando finisce il glicogeno si iniziano ad
intaccare le riserve lipidiche tramite ossidazione degli acidi grassi e diverse reazioni ricavando energia in
modo da produrre un elevata quan-tà di ATP. è un processo lento che richiede tempo.


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PROPRIETA’ FUNZIONALI DELLE DIVERSE FIBRE MUSCOLARI

In base al metabolismo energe-co dis-nguiamo diversi -pi di fibre muscolari. Difficilmente abbiamo fibre
tuAe uguali. Normalmente sono di -po diverso sia come aspeAo, sia dal punto di vista della loro funzione,
in par-colare del metabolismo. Le fibre rosse sono le fibre di -po S (Slow=lente) sono cellule muscolari che
appaiono rosse perché contengono mioglobina che lega ossigeno, sono fibre che non producono molta
forza, ma il loro vantaggio è quello di avere un’alta resistenza alla fa-ca, possono mantenere la forza per
tempi abbastanza lunghi. In questo sono agevolate dal faAo di poter legare ossigeno alla mioglobina data la
possibilità di produrre ATP per via aerobica e resistere di più alla fa-ca. In un muscolo possiamo trovare
anche fibre completamente diverse, quelle che si chiamano FF (Fast fasEguable) si affa-cano molto
rapidamente, sono chiare e più bianche però contengono molta poco mioglobina. Il loro vantaggio è di
riuscire a contrarsi in modo rapido generando una forza elevata, ma si affa-cano rapidamente. Nel
momento in cui sono contraAe però producono molta forza. Non vengono usate molto spesso nella nostra
vita quo-diana, l’organismo li -ene per compi- par-colari. Molte fibre sono intermedie tra queste due e le
chiamiamo FR (faEc resister) perché sono più rapide delle slow ma più lente delle FF resistono di più alla
fa-ca rispeAo le FF possono anche contenere mioglobina quindi possono usare la glicolisi sia in modo
anaerobico sia tramite fosforilazione ossida-va con l’ossigeno. Può capitare che un muscolo possa avere
tu: e tre i -pi di fibre, sarà il nostro cervello a decidere quali u-lizzare.

UNITA’ MOTORIE

L’unità motoria è l’insieme di un motoneurone più le fibre muscolari che vengono innervate da quel
motoneurone. L’assone di un motoneurone non innerva una fibra sola, ma si dirama e all’interno di un certo
muscolo innerva più fibre muscolari contemporaneamente. L’insieme di queste fibre cos-tuiscono l’unità
motoria. Il numero di fibre muscolari che compongono l’unità motoria non è costante. Ci sono unità
motorie molto piccole in cui un singolo motoneurone innerva poche fibre muscolari, unità motorie molto
grandi in cui un singolo motoneurone forma tan-ssime ramificazioni fino a innervare migliaia di fibre
muscolari. Il significato fisiologico è che più piccola è l’unità motoria più preciso sarà il movimento, ma verrà
prodoAa meno forza. Viceversa, se abbiamo un’unità motoria composta da cen-naia di fibre, avremo il
vantaggio di produrre molta forza, ma il movimento non sarà precisissimo. A seconda del -po di movimento
e di muscolo abbiamo unità motorie di -po diverso. Alcune unità molto piccole sono nelle dita, nei muscoli
oculari. Quelle più grandi le troviamo negli ar- inferiori, negli ar- superiori ecc.

All’interno di un’unità motoria le fibre sono tuAe dello stesso -po, o fibre S, o fibre FF, o fibre FR. Gruppi di
fibre o solo S, o solo FF, o solo FR formano un’unità motoria poiché vengono innervate tuAe dallo stesso
motoneurone. Nelle corna ventrali i motoneuroni che innervano gli stessi muscoli (l’unità motoria presente
nello stesso muscolo) sono vicini. I motoneuroni non si trovano solo nel midollo spinale, ma anche nel
tronco encefalico e gli assoni dei motoneuroni del tronco vanno nei nervi cranici e innervano i muscoli della
testa e del collo, quelli del midollo innervano il tronco e gli ar-.

Il nostro cervello quando decidiamo di compiere un movimento è programmato in modo da reclutare le


unità motorie più adaAe a compiere quel movimento. Il cammino è un -po di movimento che non richiede
molta forza ma può richiedere uno sforzo muscolare prolungato. Il nostro cervello recluta quei motoneuroni
collega- alle unità motorie Slow. Quando decidiamo di camminare parte del cervello manderà dei
motoneuroni a livello degli ar- inferiori dove ci sono le fibre slow. Se invece dobbiamo correre con una
velocità moderata, le fibre slow potrebbero non essere sufficien-. Il nostro cervello allora dovrà reclutare
sia le slow, ma anche le FR che si affa-cano prima ma danno più forza. Con una corsa più rapida il cervello
recluta sia le altre fibre ma anche le FF perché in tempi mol- rapidi danno molta forza. Il nostro cervello ha

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a disposizione una serie di fibre con proprietà diverse che vengono messe in aAo a seconda del -po di
movimento. Si seleziona il -po di fibra più adaAa ma si può anche variare il numero di unità motoria. Se
corriamo a una cerva velocità più veloce reclu-amo più FR. Più fibre vengono a:vate allo stesso tempo e
maggiore sarà la forza. Se vogliamo aumentare la forza prodoAa a livello del muscolo abbiamo quindi diversi
sistemi.

• Uno è quello di aumentare la s-molazione dei motoneuroni a livello della singola fibra muscolare.

• L’altro accorgimento è quello di reclutare le unità motorie che producono una forza adeguata per
quel certo compito aumentando anche il numero dell’unità motoria (prima fibre lente poi rapide)

L’allenamento migliora la performance muscolare perché i cambiamen- più importan- non avvengono nei
muscoli ma nel sistema nervoso. Dopo alcune se:mane, cambia anche l’ipertrofia muscolare e una
maggior resistenza alla fa-ca. Le prime se:mane di allenamento il sistema nervoso impara a reclutare
meglio le unità motorie, deve capire quali unità motorie reclutare per la prestazione migliore. si diventa
anche più resisten- alla fa-ca nervosa.

AFFATICAMENTO

Per esaurire le riserve energe-che a livello muscolare bisogna fare esercizi molto lunghi perché il muscolo
ha a disposizione diverse fon- di energia. L’affa-camento è risultato di altri faAori:

• Si accumulano delle sostanze dovute all’a:vità muscolare che rendono più difficile la contrazione.
L’accumulo dei gruppi fosfato che derivano dall’ATP nel citoplasma porta a una serie di fenomeni
come ad esempio l’inibizione del rilascio di calcio dal re-colo, il fosfato fa più fa-ca a staccarsi dalla
miosina.

• Si accumula acido la:co, quindi il pH si riduce e questo porta a delle modificazioni dell’apparato
contra:le

• Si accumula potassio nel liquido extracellulare nel momento del potenziale d’azione, depolarizza la
membrana e rende più difficili le successive contrazioni.

AffaEcamento nervoso.

La fa-ca però non è solo a livello della fibra muscolare. Quando non siamo allena- sen-amo una sensazione
di malessere, questo è dovuto sopraAuAo ai meccanismi nervosi.

• Il glucosio nel sangue scende, siamo in condizione di ipoglicemia.

• L’acido la:co che si accumula a livello muscolare poi passa anche nel sangue, se il pH del sangue
diventa più acido ci sen-amo più stanchi.

L’allenamento quindi serve anche al nostro organismo ad adaAarsi alla fa-ca nervosa e ad adaAarsi di più.

ORGANIZZAZIONE FUNZIONALE DEL CONTROLLO MOTORIO

Centri nervosi coinvolE nell’esecuzione di un movimento.

I motoneuroni sono comanda- da centri superiori che si trovano a livelli superiori nel sistema nervoso. Il
centro più importante che comanda i motoneuroni è la corteccia motoria, cioè un area della corteccia
cerebrale che si trova nel lobo frontale, nella parte più posteriore del lobo frontale. Subito dietro alle aree

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motorie c’è la corteccia somato-sensoriale. Da una par-colare zona della corteccia motoria si trovano dei
motoneuroni superiori che inviano i loro assoni ai motoneuroni inferiori che si trovano nel midollo spinale e
nel tronco encefalico. Si traAa di grossi fasci che partono dalla corteccia motoria e finiscono sui
motoneuroni sia del midollo sia del tronco encefalico. Ma non ci sono solo ques- motoneuroni. Ques-
motoneuroni superiori a loro volta ricevono comandi da altri neuroni che si trovano nella corteccia motoria
che hanno il compito di organizzare quello che si chiama programma motorio. Nelle aree motorie abbiamo
una serie di neuroni che elaborano e decidono quali muscoli devono essere contra:, per quanto tempo o
con quanta forza. Queste aree motorie vengono chiamate aree pre-motorie perché si trovano più in alto dei
neuroni superiori ma agiscono anche prima di essi. Le aree pre-motorie non decidono da sole di compiere il
movimento, ma la zona in cui prendiamo la decisione è la corteccia pre-frontale in cui sulla base degli
s-moli esterni decidiamo di compiere un movimento. Nell’eseguire correAamente il movimento però
intervengono anche altre aree del cervello quali quelli coinvol- nell’esecuzione o nell’apprendimento del
movimento (cervelleAo, cerca di ridurre sempre di più l’errore in modo da fare un movimento sempre
migliore). È coinvolto anche nel mantenimento dell’equilibrio, è collegato ai sistemi dell’equilibrio
nell’orecchio, è coinvolto nella depressione, nello svolgimento di compi- cogni-vi, nella risoluzione di
problemi, in certe mala:e psichiatriche come l’au-smo ecc.

Anche i gangli della base sono delle aree nervose che si trovano al centro del cervello e sono importan-
nello svolgimento correAo dei movimen-. Una patologia a carico di quest’area è il morbo di Parkinson. Tra i
primi sintomi ci sono quelli a carico dei movimen-. Decidono quando il movimento deve par-re, la
corteccia elabora il comando ma se i gangli della base non danno il comando o l’autorizzazione il
movimento non parte.

Un'altra via che ci serve durante qualsiasi -po di movimento per mantenere la postura e l’equilibrio, parte
sempre dalla corteccia motoria, si ferma sui nervi che si trovano sul tronco encefalico dove ci sono dei
centri importan- per il mantenimento dell’equilibrio che proieAano direAamente ai motoneuroni spinali o a
quelli del tronco encefalico (via indireAa). In questo modo quando dobbiamo compiere un movimento
vengono a:vate entrambe le vie. Viene a:vata direAamente la via che dalla corteccia motoria va al
midollo spinale, e quella indireAa è quella che nel fraAempo ci permeAe di mantenere l’equilibrio. il nostro
cervello è talmente intelligente che quando decidiamo di compiere un movimento a:va prima la via
dell’equilibrio prima di compiere il movimento stesso. la decisione di compiere un movimento che sbilancia
fa contrarre i muscoli posteriori della gamba e dopo viene faAo il vero e proprio movimento. Quindi il
cervello an-cipa la via dell’equilibrio per renderci più stabili e dopo compiere il movimento. TuAo questo
soAo il controllo dei gangli della base e del cervelleAo.

MUSCOLO LISCIO – SISTEMA NERVOSO AUTONOMO

Cos-tuisce per la maggior parte la parete degli organi cavi. La contrazione del muscolo liscio fornisce la
forza non tanto per compiere movimen- ma per spostare materiale. (es. gastrointes-nale).

Diversamente dal muscolo scheletrico, la contrazione è più lenta. Normalmente i tempi di contrazione dello
scheletrico sono più rapidi rispeAo al muscolo liscio tanto che il liscio può rimanere contraAo anche per
tan-ssimo tempo. Per rimanere contraAo per più tempo necessita di meno energia, forma meno pon- tra
ac-na e miosina, per cui rimane contraAo per più tempo con forze di ordine minore.

Il muscolo liscio è anche molto più complicato del muscolo scheletrico dal punto di vista dei meccanismi
cellulari che portano alla contrazione. A seconda del -po di fibra possiamo avere meccanismi di controllo
diversi. Possiamo avere meccanismi di controllo nervoso, ad opera di ormoni, o contrazioni spontanee.


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In funzione del tempo la forza prodoAa dal muscolo scheletrico, cardiaco e liscio, quello scheletrico produce
forza per tempi abbastanza rido:, il cardiaco un po' di più ma non molto, mentre quello liscio può essere
molto molto più lento. Un altro aspeAo importante è che dal punto di vista sia morfologico che funzionale
possiamo dis-nguere due -pi di muscolo liscio:

• Muscolo liscio mulEunitario à ci sono tante unità, ogni fibra muscolare agisce indipendentemente
dalle altre e viene controllata in modo indipendente, non c’è comunicazione tra le varie fibre.
(muscoli pilomotori o muscoli oculari)

• Muscolo liscio unitario à tra le varie fibre troviamo giunzioni comunican-, grossi canali che fanno
passare ioni nelle due direzioni. Se una fibra si depolarizza e si contrae, questo si propaga anche alle
fibre vicine. Spesso le singole fibre si contraggono in una sola en-tà. Questo lo troviamo nel traAo
gastro-intes-nale nei movimen- peristal-ci. Se ogni fibra si contraesse da sola per digerire
impiegheremmo più tempo. Lo stesso avviene nell’apparato urinario, nelle fibre dell’apparato
respiratorio, a livello uterino vengono introdoAe delle Gap Junc-on per unire ancora di più le fibre.
In cer- -pi, specie nel traAo gastrointes-nale, alcune fibre funzionano da pacemaker, disposi-vi che
originano autonomamente il ba:to cardiaco. In questo caso queste cellule par-colari iniziano la
scarica d’azione che si propaga alle cellule vicine. In questo modo le cellule si contraggono in modo
spontaneo nello stesso momento. Propagano potenziali d’azione alle cellule vicine in modo che si
contraggono insieme.

ORGANIZZAZIONE FILAMENTI SPESSI E SOTTILI NEL MUSCOLO LISCIO

L’organizzazione dei filamen- è diversa. Non ci sono le striature, troviamo filamen- spessi e so:li
organizza- con una struAura a rete che si trova all’interno del citoplasma. I so:li sono ancora- a delle
struAure proteiche che si chiamano corpi densi. Tra i filamen- so:li abbiamo i filamen- spessi. Quando la
cellula si contrae i filamen- so:li che compongono la rete si spostano tu: verso il centro della cellula che
mentre prima aveva una forma allungata, dopo lo spostamento dei filamen- assumerà una forma globulare
sferica, tuAo il volume della cellula viene ridoAa. Il meccanismo della contrazione è del tuAo simile sempre
con u-lizzo di ATP ma ci sono alcune differenze:

• i filamen- spessi sono sempre cos-tui- da miosina

• i filamen- so:li sono cos-tui- sempre da due molecole di F ac-na, nei solchi di queste due collane
di perle abbiamo sempre la tropomiosina, ma non c’è la troponina. Al posto della troponina per
indurre la contrazione ci saranno altre proteine regolatorie chiamate caldesmone e calponina.

MECCANISMI DI CONTROLLO DELLA CONTRAZIONE DEL MUSCOLO LISCIO

L’evento fondamentale che determina la contrazione del muscolo liscio è l’aumento del calcio nel
citoplasma. Nel muscolo liscio abbiamo varie possibilità, perché il calcio può venire sia dall’esterno e quindi
aAraversare canali di membrana permeabili al calcio o può venire dall’interno in par-colare dal re-colo
sarcoplasma-co. Non è deAo che avvengono sempre entrambe le cose. Se aumenta il calcio a livello del
citoplasma, sia che venga dall’esterno sia che venga dall’interno, il calcio si lega ad una proteina
citoplasma-ca che si chiama calmodulina. Il complesso calcio calmodulina a:va degli enzimi chinasi che
provocano la fosforilazione delle catene leggere della miosina associate alle teste. La fosforilazione ha vari
effe: tra cui aumentare l’a:vità ATPasica della miosina (scinde più facilmente l’ATP) e aumenta la sua
affinità per l’ac-na formando legami ad alta affinità. TuAo questo facilita e permeAe la contrazione. Più le
catene leggere sono fosforilate maggiore è la contrazione prodoAa dal muscolo.

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Un altro meccanismo è simile a quello della troponina. Il calcio aumentato nel citoplasma si lega non alla
troponina perché non c’è ma si lega al caldesmone e alla calponina e il meccanismo è simile a quello della
troponina, si ha uno spostamento della tropomiosina in modo da permeAere un efficace interazione tra
ac-na e miosina.

RILASCIAMENTO DEL MUSCOLO LISCIO

Il rilasciamento si avrà quando il calcio diminuisce nel citoplasma. Per farlo ci saranno delle pompe
ATPasiche che o lo rispediscono fuori o lo mandano nel re-colo in modo che la concentrazione
citoplasma-ca ritorni normale. Entreranno in più in gioco degli enzimi fosfatasi che defosforileranno le
catene leggere, rimozione dei gruppi fosfato sulle catene leggere della miosina per ridurre l’affinità tra
ac-na e miosina. Tu: ques- processi portano al rilascio della contrazione.

Il calcio deriva o dall’esterno o dal re-colo sarcoplasma-co. il calcio può entrare nel citoplasma dall’esterno
tramite canali voltaggio dipenden- (quando viene depolarizzata la membrana), canali NMDA, canali da
s-ramento, canali ligando dipenden-. per farlo uscire dal re-colo, quindi per fari si che il calcio arrivi nel
citoplasma dall’interno u-lizza receAori per l’IP3 (inositol trifosfato) in seguito ad a:vazione di receAori
metabotropici accoppiato alla via dell’inositol trifosfato. In alcuni -pi di muscolo liscio c’è anche il
meccanismo calcium induce calcium release aAraverso i canali CICR.

MUSCOLO LISCIO VS MUSCOLO SCHELETRICO

• A:vazione necessaria del motoneurone che libera ace-lcolina, nel liscio l’aumento di calcio può
esser dovuto a vari even-.

• Nello scheletrico il calcio si lega sempre alla troponina, nel liscio

• Alla fine, il meccanismo è simile, in entrambi casi si deve formare il ponte ac-na miosina per la
contrazione.

CRAMPO MUSCOLARE

È una contrazione dolorosa spasmodica, intensa e involontaria di uno o più muscoli. Molto spesso si realizza
a livello degli ar- inferiori. Le cause più frequen- possono essere fisiologiche oppure possono essere lega-
a delle patologie. Delle cause fisiologiche fanno parte gli esercizi prolunga- a livello degli ar- inferiori, la
temperatura bassa, l’età (gli anziani hanno più crampi dei giovani), la disidratazione, l’esercizio fisico a caldo
e sudare molto con perdita di sali minerali. Ci sono poi patologie o condizioni non fisiologiche come
condizioni di ischemia a livello muscolare, se la perfusione sanguigna non è o:male si può favorire
l’insorgenza di crampo, anche nel caso della gravidanza o problemi circolatori, invece per quanto riguarda
le patologie che causano crampi troviamo patologie renali, ipocalimia (poco K nel sangue) ipomagnesemia
(poco Mg nel sangue) ipocalcemia (poco Ca), sindrome delle gambe senza riposo, è una sindrome che si
sviluppa di noAe, non si riescono a tener ferme le gambe ed è dovuta ad una ipereccitabilità delle fibre
nervose. Andando all’estremo in condizioni patologiche gravi, ci sono mala:e patologiche come la sclerosi
mul-pla, mala:e periferiche come il diabete. Oltre che a livello neurologico possono essere anche a livello
del muscolo. Ci sono dei farmaci che possono ridurre i crampi come le sta-ne, che vengono usate per
tenere più basso il volume del sangue, i -rodiure-ci, vengono da- per abbassare il volume sanguigno e
quindi abbassare la pressione. Vari farmaci con effe: collaterali possono anche causare i crampi. Si pensa
che il meccanismo principale che causa i crampi sia dovuto a una causa neurogenica, cioè non al muscolo in
se ma al motoneurone che innerva. Si è visto che i motoneuroni che comandano ques- muscoli sono


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ipereccitabili, scaricano troppi potenziali d’azione. In ques- motoneuroni normalmente il potenziale
d’azione ha una fase di salita, una di discesa, quando subentrano i crampi invece di andare in
ripolarizzazione postuma si iperpolarizza la membrana e fa par-re un altro potenziale d’azione (in
refraAarietà rela-va). A livello muscolare questo produce le contrazioni spasmodiche che producono i
crampi. I crampi producono dolore, ques- s-moli dolorifici vengono trasmessi anche ai motoneuroni e
inducono il motoneurone a scaricare ancora di più potenziale d’azione. Questo aumenta il crampo, aumenta
il dolore che viene trasmesso ancora di più al midollo spinale, che fa aumentare di conseguenza ancora di
più il potenziale d’azione del motoneurone.

DOVE PARTONO I POTENZIALI D’AZIONE NEL MUSCOLO SCHELETRICO.

L’ace-lcolina si lega a livello delle pieghe vicino ai receAori nico-nici dove ci sono canali sodio e potassio
che fanno par-re il potenziale d’azione. Poi si propaga lungo la membrana muscolare a livello della sinapsi
muscolare.

ORGANIZZAZIONE ANATOMICA DEI CENTRI DI CONTROLLO MOTORIO

Il comando parte dalla corteccia motoria, va ai motoneuroni nel tronco encefalico per compiere i
movimen-, oppure si ferma al tronco encefalico per mantenere la postura e l’equilibrio. Consideriamo tuAe
le cosiddeAe aree motorie che si trovano nel lobo frontale nella parte più posteriore, quella vicino alla
corteccia somatosensoriale. All’interno dis-nguiamo due grosse soAo aree, delle aree premotorie che sono
quelle che elaborano il piano, cioè decidono quali sono i muscoli che devono essere contra: per svolgere
quel movimento, poi c’è un'altra area che è quella dove si trovano i motoneuroni superiori, si chiama
corteccia motoria primaria dove ci sono i neuroni che inviano i loro assoni giù al midollo spinale per
comandare i motoneuroni inferiori che poi comanderanno i muscoli. La corteccia motoria primaria di destra
comanda il midollo spinale di sinistra e viceversa. È sempre la corteccia motoria primaria che manda
direAamente i movimen-.

STIMOLI DI CONTROLLO PER LA CONTRAZIONE

Quali sono gli s-moli che portano all’aumento di calcio. Abbiamo 4 casi possibili:

1. Nel muscolo liscio ci può essere un primo caso in cui il muscolo ha a:vità spontanea. La membrana
del muscolo liscio si depolarizza autonomamente e se raggiunge il valore soglia può anche far
par-re dei potenziali d’azione. Questo è l’esempio specifico della muscolatura intes-nale. Questo
però non sempre avviene, ad esempio nello stomaco la membrana si depolarizza anche senza
potenziale d’azione. Se la membrana del muscolo si depolarizza si andranno ad aprire dei canali
voltaggio dipenden- per il calcio, queste depolarizzazionI spontanee fanno quindi entrare il calcio
per indurre tu: i cambiamen- che poi portano alla contrazione. Di solito i muscoli che hanno
a:vità spontanea sono muscoli unitari (collega- da GAP junc-on) e sono controlla- da cellule pace-
maker che riescono da sole a depolarizzarsi e poi tramite GAP junc-on trasmeAono le
depolarizzazioni alle cellule vicine.

2. Il muscolo liscio ha bisogno dell’innervazione, del comando nervoso da parte del sistema nervoso
autonomo che è diviso in simpa-co o ortosimpa-co e parasimpa-co. Il muscolo in questo caso non
ha a:vità spontanea ma si contrae quando riceve il potenziale dal sistema nervoso autonomo.
Quando si a:va il SNA si va a rilasciare dei neurotrasme:tori che sono per l’ortosimpa-co la
noradrenalina e per il parasimpa-co l‘aceElcolina. Si vanno poi a legare a dei receAori
metabotropici che si trovano sul muscolo. Ques- receAori possono andare ad a:vare varie vie

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intracellulari come quella della fosfolipasi C che porta alla formazione di inositol trifosfato e
liberazione di calcio dal re-colo sarcoplasma-co. La muscolatura dell’intes-no è regolata dal
sistema nervoso autonomo.

3. La muscolatura liscia ha bisogno per la contrazione di molecole che si trovano nel liquido
extracellulare che possono indurre la contrazione. Ques- segnali possono essere ormoni, ad
esempio l’ossitocina al momento del parto che induce le contrazioni della muscolatura dell’utero.
Alcuni aumentano la tensione dei vasi sanguigni. Gli ormoni sono intesi come sostanze che vengono
rilasciate nel sangue per poi raggiungere il muscolo. Ci possono essere anche segnali paracrini, cioè
sostanze che vengono rilasciate dalle cellule vicine del muscolo per indurre la contrazione, ad
esempio l’endotelina. La muscolatura liscia è anche sensibile alle condizioni chimico fisiche del
liquido extracellulare, variazioni del pH, delle concentrazioni di gas e temperatura possono
cambiare il livello di contrazione del muscolo liscio.

4. Segnali meccanici. Uno s-ramento della muscolatura liscia può indurre contrazione. Come risposta
automa-ca ha una risposta di contrazione. Sulla membrana plasma-ca della muscolatura liscia ci
sono dei canali sensibili allo s-ramento, che si aprono quando la membrana viene s-rata e fanno
passare ca-oni sopraAuAo sodio. Quindi se il sodio entra e depolarizza la membrana, una
depolarizzazione induce l’apertura dei canali calcio. Quindi nel muscolo liscio uno s-ramento della
cellula muscolare provoca l’apertura di canali specifici sensibili allo s-ramento che sono permeabili
al sodio che entra, depolarizza la membrana, apre i canali calcio e si contrae il muscolo (vasi
sanguigni, parete intes-nale).

SISTEMA NERVOSO AUTONOMO

Prende anche il nome di sistema motorio viscerale perché innerva i visceri (organi interni) e prende
contaAo con le fibre muscolari lisce, con le fibre muscolari cardiache e con le ghiandole. Mentre i
motoneuroni hanno come target i muscoli scheletrici, il SNA ha come bersaglio i muscoli lisci, cardiaci e le
ghiandole. È formato da due soAodivisione che sono il simpaEco o ortosimpaEco e il parasimpaEco. Il
sistema ortosimpaEco ha lo scopo di permeAere al nostro organismo di affrontare situazioni che
potrebbero alterare l’omeostasi del nostro organismo. L’omeostasi è la costanza e la stabilità delle
condizioni interne del nostro organismo. Le situazioni che meAono a rischio il mantenimento dell’omeostasi
a:va il sistema nervoso simpa-co che va a riequilibrare queste condizioni. Il parasimpa-co si a:va in
situazioni di rilassamento, in condizioni di riposo. Il suo scopo è quello di ricos-tuire le energie consumate
quando era a:vo l’ortosimpa-co. In mol- organi ci può essere sempre un a:vazione costante di entrambi,
quello che varia è il grado di a:vazione, ci sono circostanze in cui prevale uno e circostanze in cui prevale
l’altro, spesso però sono sempre a:va- entrambi. È una modulazione e non un a:vazione o tuAo o nulla.

Sia l’ortosimpa-co che il parasimpa-co sono cos-tui- dalla successione di due neuroni che sono un
neurone pregangliare che forma sinapsi con un neurone postgangliare. Il pregangliare ha il corpo cellulare
all’interno del sistema nervoso centrale, in par-colare, o nel midollo spinale o nel tronco encefalico. Il
neurone pregangliare poi manda il suo assone fuori dal midollo e dal tronco encefalico e si porta all’interno
di un ganglio (un agglomerato di neuroni che si trova al’esterno del sistema nervoso centrale) dove forma
sinapsi con il neurone postgangliare. Il neurone postgangliare poi invia l’assone fuori dal ganglio e va a
formare sinapsi con l’organo bersaglio (cellule muscolari lisce,cardiache e ghiandole). Sia l’orto che il para
sono fa: così.


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La terminazione del neurone postgangliare non ha la forma classica che si nota nelle sinapsi. Quando la fibra
postgangliare arriva in prossimità dell’organo bersaglio forma una terminazione molto allungata in cui ci
sono diversi rigonfiamen- (varicosità) dove viene rilasciato il neurotrasme:tore, non c’è quindi una singola
terminazione sinap-ca, ma ad ogni varicosità viene rilasciato il neurotrasme:tore che quindi è più diffuso
perché non viene rilasciato solo in un punto come nel caso del neurotrasme:tore e va ad agire su più
cellule muscolari o ghiandolari.

SISTEMA SIMPATICO O ORTOSIMPATICO

Ha i neuroni pregangliari che hanno il corpo cellulare nel midollo spinale, in par-colare nei segmen- toracici
e nei primi segmen- lombari fino a L2 e L3. In una sezione del midollo spinale ci sono le corna dorsali e le
corna ventrali ma ci sono anche delle corna laterali. Tra il corno dorsale e ventrale c’è una piccola sporgenza
chiamata corno laterale, lì abbiamo i corpi cellulari dei neuroni pregangliari simpa-ci. I neuroni pregangliari
del sistema simpa-co mandano i loro assoni fuori dal midollo spinali in una struAura che si chiama radice
ventrale, un insieme di fibre che esce dal midollo spinale e che con-ene gli assoni dei neuroni pregangliari
simpa-ci e anche gli assoni dei motoneuroni. Percorre per un traAo la radice ventrale, dopo esce dalla
radice e si porta l’assone del neurone pregangliare dentro il ganglio. I gangli del sistema ortosimpa-co sono
dispos- in colonna, una sopra l’atro di fianco alla colonna vertebrale. Fuori dalle vertebre c’è una catena di
gangli in corrispondenza dei tra: toracici lombari. Ques- gangli si chiamano gangli simpaEci o anche gangli
paravertebrali perché si trovano di fianco alle vertebre. Al livello di ques- gangli gli assoni dei neuroni
pregangliari formano sinapsi con i neuroni postgangliari i quali a loro volta mandano i loro assoni fuori dal
ganglio, e li mandano a livello dei nervi che si originano dai nervi che partono dal midollo spinale (nervi
spinali) e si portano all’organo effeAore, cioè al muscolo o alla ghiandola. I nervi spinali contengono tuAe le
fibre che dalla periferia collegano il midollo spinale, quindi le fibre simpa-che ma anche le fibre sensoriali e
gli assoni dei motoneuroni. I neurotrasme:tori che vengono rilascia- nelle due sinapsi sono diversi. La
sinapsi tra neurone pregangliare e postgangliare è mediata da ace-lcolina, che si va a legare al neurone
postgangliare a livello di due -pi di receAori che ha l’ace-lcolina, quelli ionotropici che sono i receAori
nico-nici ma anche una minore porzione di receAori metabotropici muscarinici. Nella seconda sinapsi tra
neurone postgangliare e organo effeAore, viene liberata invece noradrenalina, che va a legarsi solo a
receAori metabotropici che prendono il nome di rece[ori alfa o beta adrenergici. Sono entrambi
metabotropici quindi a:veranno delle vie intracellulari a seguito del messaggero.

SISTEMA PARASIMPATICO

I neuroni pregangliari si trovano sempre nel sistema nervoso centrale ma sono suddivisi in due gruppi. Uno
si trova nel tronco encefalico, un altro gruppo invece si trova nel traAo sacrale del midollo spinale. Gli assoni
dei neuroni pregangliari si trovano sempre nelle corna laterali, escono dal tronco encefalico o dal midollo
spinale aAraverso dei nervi che sono, per il midollo spinale sacrale, i nervi spinali, mentre per i neuroni del
tronco encefalico escono dai nervi cranici. Abbiamo in tuAo 12 paia di nervi cranici che innervano testa,
collo e visceri. Di queste dodici paia solo 3,7, 9 e 10 contengono… il 10 è il nervo vago che innerva non solo
testa e collo ma anche il cuore, e l’apparato gastrointes-nale. Gli assoni dei neuroni pregangliari
parasimpa-ci sono molto lunghi perché hanno i gangli postgangliari che si trovano direAamente in
prossimità degli organi bersaglio. Nelle vicinanze dell’organo o addiriAura all’interno dell’organo si trova il
ganglio. A livello di ques- gangli i neuroni pregangliari formano sinapsi con i postgangliari che quindi
avranno degli assoni molto cor- perché faranno sinapsi poi con i muscoli o le ghiandole che si trovano nelle
vicinanze. Anche il neurone pregangliare parasimpa-co rilascia ace-lcolina che si lega sopraAuAo a receAori
nico-nici e in minor misura a receAori muscarinici. Il neurone postgangliare rilascia ace-lcolina che si lega a
receAori muscarinici.

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EFFETTI DELL’ATTIVAZIONE DEI DUE SISTEMI.

A volte sono in antagonismo, a volte ci sono organi innerva- sopraAuAo da un sistema e meno dall’altro, in
casi rarissimi i due sistemi hanno lo stesso effeAo (caso raro ghiandole salivari dove entrambi aumentano la
saliva)

EFFETTI DELL’ATTIVAZIONE DELL’ORTOSIMPATICO

• Dilatazione pupillare, serve per far entrare più luce nell’occhio.

• Vasocostrizione generalizzata, mol- vasi si contraggono anche se non dappertuAo. Se dobbiamo


affrontare un esercizio fisico ci saranno degli organi in cui non bisogna stringere i vasi (muscolo,
cuore che sono impegna- nell’esercizio fisico).

• Dilatazione bronchiale, I muscoli lisci dei bronchi vengono rilassa- per far entrare più aria e quindi
far entrare più ossigeno

• Aumento di frequenza e contrazione cardiaca, vasocostrizione

• Inibizioni delle funzioni diges-ve e altre funzioni vegeta-ve per evitare il pericolo (per risparmiare
energia)

• S-molazione a livello della midollare del surrene a liberare adrenalina. L’adrenalina viene liberata
quando viene a:vato il sistema ortosimpa-co. L’adrenalina così come anche altri ormoni ad
esempio il glucagone fanno si che vengano degradate le riserve energe-che per produrre glucosio e
quindi energia.

EFFETTI DELL’ATTIVAZIONE DEL PARASIMPATICO

• Ricos-tuire le riserve metaboliche energe-che

• Riduzione del diametro pupillare, la pupilla si restringe ed entra meno luce

• Rallenta la frequenza cardiaca

• Favorisce la diges-one perché aumenta sia l’a:vità peristal-ca di contrazione della muscolatura ma
anche favorisce la protezione di secrezione intes-nale.

FISIOLOGIA CARDIOVASCOLARE

La muscolatura cardiaca serve per spingere il sangue in un sistema chiuso di vasi in una direzione
prestabilita uni direzione. Questo garan-sce una distribuzione efficiente di sostanze gassose, sostanze
nutri-zie, molecole segnale, e raccolta di scorie metaboliche.

CUORE

È una struAura con una parete cava all’interno. È diviso in quaAro camere, due aree superiori che si
chiamano atri e due camere inferiori che si chiamano ventricoli. Negli atri scorre il sangue venoso che ha
raccolto scorie, mentre dai ventricoli partono le arterie che portano il sangue ossigenato i tessu-. Mentre
c’è comunicazione tra atrio e ventricolo dello stesso lato non ci deve essere comunicazione tra i due atri e i
due ventricoli, non deve mischiarsi il sangue che si trova nei due ventricoli e il sangue che si trova nei due
atri che infa: sono separa- da due se: forma- da tessuto conne:vo. Abbiamo un se[o interatriale e un

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se[o interventricolare, cioè lato dx e sx non comunicano grazie alla presenza dei se:. La contrazione o
dell’atrio o del ventricolo porta all’aumento della pressione all’interno di quella camera e questo fornisce la
forza di prpulsion per il sangue. Se si contrae l’atrio aumenta la pressione, si sviluppa forza che spinge il
sangue nel ventricolo sinistro, se si contrae il ventricolo sinitro aumenta la pressioen che aumenterà la forza
di propulsione che spingerò il sangue nel’aorta. Idem per atrio e ventricolo destro (al posto dell’aorta c’è
l’arteria polmonare). Sistole diastole sono le due contrazioni della muscolatura. Quando sono in sistole, in
contrazione rilasciano il sangue qundo sono diastole in rilassamento si riempiono di nuovo sangue. La
sequenza di sistole e diastole prende il nome di cilco ardiaco, non è altro che la sequenza di contrazione o
rilasciamento sia negli atri che nei ventricoli. Un ciclo cardiaco dura meno di un secondo.

Il sistema vascolare è cos-tuito da due circoli che sono in serie l’uno con l’altro, vengono percorsi in
sequenza.

• Circolo sistemico à porta il sangue ossigenato dal cuore ai tessu-, raccoglie il sangue meno
ossigenato e lo riporta al cuore.

• Circolo polmonare à porta il sangue venoso meno ossigenato ai polmoni e riporta quello
ossigenato al cuore.

Origina dal ventricolo sinistro aAraverso l’aorta. L’aorta inizia a portare sangue ossigenato verso i tessu-, poi
l’aorta si suddivide in diverse arterie per smistare il sangue nei diversi tessu-. Il sangue carico di CO2 viene
raccolto dalle vene a livello dei tessu-. Il sangue venoso raccolto dai tessu- viene raccolto dalle vene cave,
una vena cava inferiore e una superiore. Quella inferiore dai distre: soAo del cuore e quella superiore dai
distre: sopra del cuore. Queste vene cave sboccano nell’atrio destro del cuore. Il circolo sistemico è in serie
con il circolo polmonare il sangue che arriva all’atrio destro si porta al ventricolo destro dove origina il
circola polmonare. Perché dal ventricolo destro parte l’arteria polmonare, ricca di sangue venoso ricevuto
dall’atrio destro, l’arteria polmonare si divide subito in due arterie polmonari (una per polmonare) che
arrivano ai polmoni per portare il sangue ricco di anidride. Nei polmoni avviene lo scambio, il sangue
ossigenato viene portato di nuovo al cuore tramite quaAro vene polmonari, due per ogni polmone.
Sboccheranno queste quaAro vene nell’atrio sinistro con sangue ossigenato, dall’atrio sinistro passa al
ventricolo sinistro e da qui nell’aorta che si dirama nei vari vasi e tessu-, e ricomincia il circolo sistemico. il
sangue percorre i due circui- in sequenza.

Le vene contemporaneamente raccolgono il sangue, lo portano nelle vene cave che poi arriva al cuore. A
livello del circolo sistemico abbiamo un organizzazione in parallelo in modo che il sangue venga distribuito
contemporaneamente nei vari distre:.

PRESSIONE SANGUIGNA

È la pressione che viene esercitata sulle pare- dei vasi sanguigni dal sangue pompato dal cuore. Imprime
una forza al sangue che con-nua ad esercitare questa pressione sulla parete dei vasi. La pressione che viene
esercitata dal sangue sula parete dei vasi sanguigni sarà massima nell’aorta perché ha direAamente tuAa la
pressione esercitata dal cuore, la pressione sanguigna diminuirà fino ad arrivare a valori molto basi nelle
vene, perché il sangue fluendo nel circolo sia sistemico che polmonare tende a perdere energia. Quindi
arriva alle camere sistemiche con una pressione molto bassa.


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I due circoli sistemico e polmonare sono sistemi chiusi, non hanno cioè comunicazione all’esterno. Da
questo deriva che in ogni intervallo di tempo il volume di sangue che fluisce in un minuto aAraverso il
circolo polmonare è uguale al volume di sangue che fluisce in un minuto aAraverso il circolo sistemico. Il
volume di liquido che passa aAraverso la sezione di un condoAo in un unità di tempo si chiama flusso. Il
flusso che passa aAraverso il circolo sanguigno sia sistemico che polmonare è costante, e questo flusso è
uguale al volume di sangue che viene pompato dai due ventricoli nell’unità di tempo. I due ventricoli in un
minuto spingeranno un certo volume di sangue nell’aorta e nell’arteria polmonare, questo volume di sangue
che viene spinto dal ventricolo sinistro e destro nel circolo rispe:vamente sistemico e polmonare prende il
nome di gi[ata cardiaca (volume di sangue che viene pompato da ognuno dei due ventricoli nell’aorta o
nell’aorta polmonare al minuto). A riposo quando non si compie esercizio fisico la giAata cardiaca è di 5 litri
circa, sia il ventricolo sinistro che destro quando si contraggono spingono in un minuto 5 litri di sangue
nell’aorta e nell’arteria polmonare. Le gi[ate cardiache dei due ventricoli sono uguali al minuto sia il sx
che il dx spingono 5 litri di sangue. Ques- 5 litri che vengono spin- corrispondono al flusso, cioè al volume
di sangue che passa in una qualsiasi sezione dei due circoli al minuto. Il valore di giAata cardiaca è un valore
a riposo e può aumentare durante l’esercizio fisico.

La giAata cardiaca è uguale per i due ventricoli e quindi il flusso in ogni punto dei due circoli è uguale ma la
pressione esercitata dai due ventricoli è diversa. Il sangue non deve fare lo stesso percorso nei due circoli, il
più lungo è il sistemico e quindi incontrerà più resistenza, quindi il sangue quando percorre questo circolo
perde più energia, il circolo polmonare invece è più corto. Per avere lo stesso flusso nei due circoli i due
ventricoli devono esercitare delle pressioni diverse. Quello sx dovrà produrre una pressione maggiore e
quindi contrarsi con una forza maggiore rispeAo al dx. il sinistro infa: in sistole raggiunge 120 mm/Mg
mentre il ventricolo dx si contrae al massimo una pressione intorno ai 40 mm/Mg. PermeAe al sangue di
circolare per tuAo il circolo senza perdere la sua energia. Infa: la parete del ventricolo sx è più spessa
rispeAo a quella del ventricolo dx perché compie più lavoro e casi di insufficienza cardiaca sono più volte a
carico del ventricolo sx che deve compiere più forza.

LE VALVOLE

Le valvole sono presen- tra atrio e ventricolo sia a destra che a sinistra e si chiamano valvole atrio-
ventricolari e poi ci sono delle valvole deAe semilunari che si trovano tra i ventricoli sia destro che sinistro e
i vasi che originano. Quindi avremo una valvola tra ventricolo sx e aorta e una tra ventricolo dx e arteria
polmonare (valvole semilunari). Le valvole servono per impedire il reflusso di sangue e garan-re la
unidirezionalità, il sangue per fluire in modo efficacie deve andare sempre nella stessa direzione. Una
valvola per funzionare si apre quando la pressione che c’è a monte della valvola (prima della valvola) è
maggiore della pressione che c’è a valle (dopo la valvola). Quando poi il sangue è passato nel comparto
successivo dopo la valvola, la pressione a valle è maggiore rispeAo a quella a monte, quindi la valvola si
chiude. Questo impedisce che il sangue ritorni, se torna indietro va a sbaAere contro la valvola che ormai è
chiusa. TuAe e quaAro le valvole sono inserite all’interno di orifizi o aperture che si trovano in uno scheletro
fibroso a cui sono anche aAaccate tuAe le fibre muscolari innervate che si trovano nel cuore, quindi
presenta anche una struAura di sostegno. Le più grandi sono le valvole atrioventricolari le più piccole sono
semilunari, le quaAro valvole sono nello stesso piano.

VALVOLE ATRIOVENTRICOLARI

Le valvole atrioventricolari sono formate da lembi conne:vali che quando la valvola è chiusa vanno ad
avvicinarsi uno all’altro e il numero di ques- lembi varia a seconda della valvola. La valvola che si trova tra
atrio destro e ventricolo dx si chiama tricuspide perché ha tre lembi conne:vali. Mentre a sx abbiamo una

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valvola simile ma ha solo due lembi infa: si chiama bicuspide e divide l’atrio sinistro dal ventricolo sinistro.
Queste valvole sono aAaccate all’interno degli orifizi dello scheletro fibroso, ma inoltre dalla parte
soAostante delle valvole partono delle corde tendinee sempre di tessuto conne:vale che sono poi
aAaccate a dei muscoli par-colari che si trovano nei ventricoli che si chiamano muscoli papillari. Le valvole
si apriranno quando la pressione è maggiore negli atri che nei ventricoli, si chiudono quando la pressione è
maggiore nei ventricoli rispeAo agli atri. Le corde tendinee servono perché quando la pressione del
ventricolo aumenta durante la sistole la valvola si deve chiudere, ma potrebbe succedere che i lembi per la
pressione si aprono verso l’atrio, cosa che non deve succedere, altrimen- non arriva nell’aorta e nell’arteria.
Quindi le corde tendinee impediscono che il sangue refluisca verso gli atri e con-nui nelle vene. Questo lo
abbiamo sia per la valvola bicuspide (o anche mitrale) che tricuspide.

VALVOLE SEMILUNARI

Sempre nello stesso piano ci sono le valvole semilunari, formate ognuna da tre lembi conne:vali che hanno
la forma di semiluna. Sono divise in tre compar- che hanno una forma che ricordano una semiluna. Le
troviamo una tra ventricolo sx e aorta e una tra ventricolo dx e arteria polmonare. La pressione sarà
maggiore nel ventricolo sx quindi la valvola si apre per far passare il sangue dal ventricolo all’aorta, si
richiuderà quando la pressione dell’aorta supera quella del ventricolo. Stesso discorso per il ventricolo
destro.

Il sangue scorre sempre da aree ad alta pressione verso aree a bassa pressione. Le valvole cardiache fanno
si che il sangue scorra in unica direzione, dal punto del circolo con pressione più alta a quello con pressione
più bassa. Le pressioni esercitate dai due ventricoli sono diverse perché il circolo sistemico ha una resistenza
maggiore.

MUSCOLATURA STRIATA CARDIACA

La muscolatura cardiaca è striata quindi avrà un organizzazione regolare a sarcomeri, inoltre c’è la presenza
tra una cellula muscolare cardiaca e un'altra di struAure chiamate dischi intercalari. Ques- dischi forma-
poi da due struAure diverse garan-scono due -pi di accoppiamento tra due cellule vicine. Un
accoppiamento di -po meccanico e uno di -po eleArico. Accoppiamento meccanico vuol dire che quando
una cellula muscolare si contrae genera forza ed è in grado di trasferire un po’ di questa forza anche alla
cellula vicina. Questo viene faAo aAraverso una struAura che appar-ene al disco intercalare che si chiama
desmosoma. Ques- desmosomi permeAono l’accoppiamento meccanico, il trasferimento di forza di
contrazione tra una cellula e l’altra. Le cellule sono accoppiate anche eleAricamente, fanno passare
rapidamente un impulso eleArico (potenziale d’azione) da una cellula a quella vicina, la struAura che
garan-sce l’accoppiamento eleArico sono le GAP juncEon, giunzioni comunican- forma- da connessioni e
connessine. AAraverso queste possono passare ioni come ioni sodio che depolarizza la cellula vicina. Quindi
nelle cellule cardiache se una cellula parte il potenziale d’azione grazie alla presenza delle Gap junc-on gli
ioni sodio che hanno innescato il potenziale fluiscono nella cellula vicina che faranno par-re un altro
potenziale d’azione in quella stessa cellula. PermeAerà di vedere come le cellule fanno propagare i
potenziali d’azione in modo rapido. Dal punto di vista funzionale abbiamo tre -pi di cellule muscolari
cardiache:

• Tessuto auto ritmico

• Tessuto di conduzione

• Tessuto contra:le

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TESSUTO AUTORITMICO

È formato da cellule piccole che non avranno molte miofibrille o proteine contra:li poiché non sono nate
per sviluppare forza, la loro funzione è quella di generare autonomamente il potenziale d’azione. Alcune
cellule possono produrre potenziale anche senza comando esterno e si chiamano cellule pace-maker, cioè
danno il ritmo da cui origina il ba:to cardiaco. Hanno una scarsa generazione di forza, sono anche lente
nella conduzione, il luogo principale in cui si trova il tessuto autoritmico nel cuore si chiama nodo seno
atriale e si trova nella parte superiore dell’atrio dx.

TESSUTO DI CONDUZIONE

Ogni potenziale d’azione determina prima la contrazione degli atri poi la contrazione dei ventricoli, questo si
ripete per circa 60-70 volte al minuto. Perché si abbia la contrazione di atri e ventricoli questo potenziale
che origina dal nodo seno atriale deve propagarsi a tuAe le cellule del cuore. Per propagarsi agli atri non ha
bisogno di un par-colare tessuto di conduzione perché le distanze sono brevi e arriva tramite GAP junc-on
alle cellule vicine. Dal nodo seno atriale si propaga agli atri aAraverso le giunzioni comunican-, dopo di che
deve propagarsi alla muscolatura dei ventricoli, per far questo ha bisogno di un tessuto muscolare che si
chiama tessuto di conduzione, cioè cellule muscolari faAe apposta per condurre il potenziale d’azione, cioè
sono cellule grandi che hanno la funzione di far passare rapidamente il potenziale tramite innumerevoli
giunzioni comunican-. Questo tessuto di conduzione lo troviamo nel se[o interventricolare che si trova tra
i due ventricoli e viene chiamato fascio di His. Il suo compito è quello di trasferire il potenziale d’azione dagli
atri verso i ventricoli. Un'altra struAura che si può aAribuire al tessuto di conduzione è il nodo
atrioventricolare che si trova tra atri e ventricoli a livello dello scheletro fibroso. In più al tessuto di
conduzione possiamo associare delle altre cellule che si trovano nella parete del ventricolo e si chiamano
fibre di Purkinje.

Il potenziale d’azione parte dal nodo seno atriale tramite GAP junc-on, raggiunge il nodo atrioventricolare,
va giù nel seAo atrioventricolare aAraverso il fascio di His, arrivato all’apice del cuore, la punta più bassa,
risale aAraverso le fibre di Purkinje e da qui viene poi trasmesso alle cellule dei ventricoli che quando
ricevono il potenziale d’azione si contraggono. Tra atri e ventricoli c’è lo scheletro fibroso conne:vale,
aAraverso di questo il potenziale d’azione non passerebbe perché il potenziale non si propaga aAraverso il
conne:vo ma solo aAraverso le cellule muscolari, l’unico punto in cui può passare è quindi il nodo
atrioventricolare (che presenta cellule muscolari), il cuore è faAo in modo da impedire la conduzione del
potenziale dagli atri ai ventricoli in qualsiasi punto tranne che al punto del nodo atrioventricolare. Se il
potenziale d’azione potrebbe passare da ogni punto ci potrebbe essere una trasmissione disordinata.
L’unico inconveniente è che se c’è un ischemia a livello del nodo atrioventricolare il sangue si ferma li e non
va ai ventricoli.

TESSUTO CONTRATTILE

Fibre muscolari in grado di contrarsi e sviluppare forza, queste fibre prendono il nome di miocardio di lavoro
o contra:le e si trova sia nell’atrio che nei ventricoli. Sono cellule che hanno rido:ssima capacità di
autoeccitazione, se lo facessero andiamo in fibrillazione, ma hanno grandi capacità contra:li, possiedono
molte miofibrille con ac-na e miosina. Non essendo in grado di produrre potenziale d’azione lo devono
ricevere da cellule vicine per contrarsi, se sono degli atri lo ricevono aAraverso le GAP junc-on direAamente
se son ventricoli aAraverso il tessuto di conduzione.


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Ques- tessu- sono diversi anche dal -po di segnale che producono e dal -po di potenziale d’azione che
viene prodoAo.

POTENZIALE D’AZIONE NELLE CELLULE PACE-MAKER CARDIACHE

Le cellule pace maker sono in grado autonomamente di produrre potenziale, quelle contra:li devono
invece ricevere potenziali d’azione dalle cellule vicine. Queste cellule hanno caraAeris-che abbastanza
diverse rispeAo alle cellule muscolari classiche. Il potenziale di riposo è -60 mV, mentre in una cellula
muscolare scheletrica è -90 mV. Spontaneamente queste cellule si depolarizzano e da -60 arrivano al valore
soglia di -40 mV aAraverso una depolarizzazione spontanea. Quando si arriva al valore soglia può par-re un
potenziale d’azione, infa: abbiamo la fase di salita del potenziale determinata da una depolarizzazione,
questa fase di salita determinata generalmente dagli ioni sodio, nel cuore invece è determinata dal calcio.
Cioè quando si arriva al valore soglia si apre un numero sufficiente di canali calcio voltaggio dipenden- tali
da innescare il processo che abbiamo già visto fino ad arrivare a tuAa la fase di depolarizzazione. Il
potenziale d’azione quindi è sostenuto dal calcio. Si raggiunge poi il picco in cui i canali calcio cominciano a
chiudersi. Contemporaneamente si aprono i canali del potassio, esce e ripolarizza la membrana che torna a
-60 mV. Per far ripar-re poi un altro potenziale ci sarà poi qualcosa che depolarizza la membrana quando
torniamo a -60 in modo da far par-re un altro potenziale. Dovranno quindi aprirsi dei canali par-colari che
si aprono a potenziali nega-vi cioè quando torniamo a -60. I canali voltaggio dipenden- normalmente si
aprono quando por-amo la membrana a potenziali posi-vi, ques- canali invece chiama- canali funny
invece di aprirsi quando si depolarizza la membrana si aprono quando la membrana arriva a potenziali
nega-vi e cioè quando si ripolarizza. Quando la membrana torna a -60 i canali funny si aprono, ques- canali
dovranno essere permeabili sopraAuAo al sodio e in parte anche al potassio. La struAura di ques- canali
assomiglia a quelli dei sodio-voltaggio dipenden- forma- da 4 subunità proteiche, ogni subunità è cos-tuita
dai sei segmen- trans membrana. Ha delle differenze importan-, è stata individuata una zona, un anello di
aa intracellulare che si trova tra il segmento S4 ed S5, cioè un anello che collega il segmento S4 al S5 che è
importante per la voltaggio dipendenza opposta, fa si che il canale si apra quando si trova a potenziali
nega-vi. Questo anello intracellulare sembra essere la zona importante che dà questa voltaggio dipendenza
in modo che il canale si apra al potenziale di riposo. Un'altra zona par-colare è l’estremità C terminale dove
c’è un dominio in grado di legare l’AMP ciclico all’interno della cellula, in grado di modulare il
funzionamento del canale, il canale si apre a potenziale di riposo -60 ma è regolato nel suo funzionamento
dall’AMP ciclico intracellulare.

Quando siamo a -60 si aprono i canali funny, entra sodio, si depolarizza la membrana arriva a -40 entrano
ioni calcio, si arriva al picco, al picco si chiudono i canali del calcio ed esce potassio si ritorna a riposo e si
riaprono i funny. Ogni potenziale d’azione equivale ad una contrazione.

CASI DI DISFUNZIONAMENTO DE NODO SENO ATRIALE O ATRIOVENTRICOLARE

Il nodo seno atriale genera aAraverso le cellule pacemaker cento potenziali d’azione al minuto. Ques-
potenziali vengono poi trasmessi ad atri e ventricoli. Nel caso in cui la motrice deraglia (ischemia del seno
atriale) il nodo non funziona più. A questo punto la motrice diventa il nodo atrioventricolare, un tessuto di
conduzione che in casi di emergenza è in grado di prendere il comando e generare potenziali d’azione che
vengono poi trasmessi ai ventricoli, ma genera potenziali d’azione a frequenza più bassa (non più 100 ma
75). È una misura di emergenza ma non è o:male. Se deraglia anche il nodo atrioventricolare, abbiamo le
fibre di Purkinje che però non riescono a produrre più di 40 potenziali al minuto. A questo punto la
contrazione è estremamente inefficiente. Sia il nodo atrioventricolare che le fibre di Purkinje non riescono
però a sos-tuire completamente il nodo seno atriale quindi in ques- casi si impianta un pacemaker in grado

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di generare cento potenziali d’azione al minuto che poi viene condoAo alle cellule vicine. Se il nostro cuore
funziona bene ci deve essere un potenziale per ogni ciclo in modo coordinato. Però anche altre zone del
cuore che non siano il nodo seno atriale possono eccitarsi e producono potenziali in modo non coordinato,
in questo caso si può avere ad esempio una fibrillazione atriale, quando alcune cellule dell’atrio iniziano a
produrre alcuni potenziali d’azione, ma non è letale perché lo scheletro fibroso tra gli atri e ventricoli ferma
la conduzione ad eccezione del nodo atrioventricolare. Se le cellule degli atri cominciano a contrarsi lo
scheletro fibroso isola i ventricoli, e i potenziali d’azione passano dal nodo atrioventricolare che ne ferma e
ne filtra la maggior parte. La fibrillazione atriale può essere causata da stress, momen- di ipertensione,
esercizio fisico molto intenso etc. Molto più grave e la contrazione ventricolare perché lì non c’è lo scheletro
fibroso a mediare. Se cominciano a scaricare potenziali d’azione il cuore non si contrae più in modo
efficiente e non riesce più a pompare il sangue nell’aorta e nell’arteria polmonare. Durante la fibrillazione
ventricolare il cuore si contrae in modo inefficiente e si può arrivare all’arresto cardiaco. Si può intervenire
nella fibrillazione ventricolare con la defibrillazione. A livello delle cellule cardiache si da una scarica che
provoca la depolarizzazione di tuAe le cellule cardiache bloccandole. Il cuore si ferma per un a:mo quando
poi riparte il nodo seno atriale riprende il controllo e il cuore riprende a funzionare. Se si depolarizza si
ferma perché si bloccano tu: i canali per far ripar-re poi il cuore con il suo normale pace-maker.

POTENZIALE D’AZIONE NELLE CELLULE CONTRATTILI

Per far sì che le cellule contra:li sia degli atri che dei ventricoli si contraggano, è necessaria l’insorgenza di
un altro potenziale d’azione. Sarà molto importante per indurre la contrazione. Il potenziale d’azione delle
cellule contra:li ha una forma un po’ anomala, ha una fase di salita rapida, una fase orizzontale chiamata
plateau e una fase di ripolarizzazione. I canali coinvol- in questo potenziale: si parte da un potenziale di
riposo di -90 mV da qui si ha una fase di salita rapida mediata dagli ioni sodio perché si aprono canali sodio
voltaggio dipenden-. Dopo di che si raggiunge un picco a +20 mV e inizia la fase di plateau. Prima si aprono
dei canali potassio, nella fase orizzontale a +10 mV si aprono canali calcio voltaggio dipenden- che
mantengono il potenziale, nell’ul-ma fase si chiudono i canali per il calcio e si aprono i canali per il potassio
per ripolarizzare e ritornare a -90. Perché parta il potenziale bisogna depolarizzare la membrana aAraverso
il potenziale che arriva dalle cellule vicine. Se non arriva depolarizzazione dalle cellule vicine la cellula
contra:le non si contrae o almeno in condizioni normali.

POTENZIALE D’AZIONE NELLE CELLULE MIOCARDICHE (MUSCOLARI CONTRATTILI)

Il potenziale assume una forma par-colare importante per generare la contrazione. Si parte da un
potenziale di riposo -90 mV da cui si deve raggiungere il potenziale soglia e si raggiunge solo se arriva la
depolarizzazione dalle cellule vicine. Le cellule cardiache sono collegate tra loro dalle GAP Junc-on.
AAraverso queste possono passare ioni sodio e altre cariche eleAriche, gli ioni sodio che sono entra- nella
cellula vicina possono propagarsi dentro questa cellula depolarizzandola e portandola al potenziale soglia.
Non sono auto-ritmiche ma hanno bisogno della depolarizzazione che arriva dalle cellule vicine. Se si ha
questa depolarizzazione si arriva al potenziale soglia e si ha il potenziale d’azione, si aprono i canali sodio
voltaggio dipenden- e si ha una fase di salita fino ad arrivare a +20 mV. Al picco si ha la chiusura dei canali
sodio voltaggio dipenden-, si aprono dei canali potassio chiama- canali potassio rapidi perché sono i primi
ad aprirsi, l’apertura di ques- canali determina una prima piccola discesa del potenziale d’azione, quindi da
+20 scende ed arriva a +10, dopo di che però cominciano ad aprirsi dei canali calcio voltaggio dipenden-. I
canali calcio aprendosi fanno entrare ioni calcio, quindi da un lato ci sono i canali potassio rapidi che però
progressivamente tendono a chiudersi, dall’altro si aprono i canali calcio e quindi il potenziale si assesta per

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un periodo ad un valore di 10 mV, questa fase si chiama plateau ed è la fase importan-ssima per
l’accoppiamento eccitazione-contrazione e dura circa un cen-naio di millisecondi se non di più. Dopo i
canali calcio voltaggio dipenden- cominciano a chiudersi, i potassio rapidi sono ormai chiusi e si aprono i
canali potassio chiamaE lenE, si ha la fase di ripolarizzazione, da +10 si torna al potenziale di riposo di -90.
Queste cellule miocardiche si trovano non solo nelle cellule miocardiche ma anche nei tessu- di
conduzione, oppure si può avere un potenziale intermedio tra quello delle cellule pacemaker e questo. Però
nel miocardio di conduzione l’a:vità contra:le sarà meno importante in quanto devono solo condurre il
potenziale in modo rapido dagli atri verso i ventricoli.

Durante il plateau succede un altro evento che contribuisce all’entrata di calcio nella cellula. Oltre
all’apertura dei canali calcio voltaggio dipenden- si ha entrata di calcio anche grazie ad uno scambiatore
sodio calcio. È un meccanismo sodio dipendente, il sodio entra e fornisce l’energia per espellere il calcio.
Questo trasportatore però è più par-colare perché la sua direzione di trasporto dipende dalla
concentrazione di sodio che c’è all’interno della cellula. Se c’è una bassa concentrazione di sodio lo
scambiatore funziona nel modo normale, e quindi il sodio entra e fornisce energia per espellere il calcio. Se
il sodio ha una concentrazione più elevata lo scambiatore funziona al contrario, cioè espelle il sodio ed
importa il calcio. Durante il plateau la concentrazione di sodio sarà un po' più alta del normale, perché
durante la fase di salita entrano ioni sodio e quindi la concentrazione è più alta rispeAo ai valori fisiologici,
questo fa si che lo scambiatore sodio calcio chiamato scambiatore NCX espelle sodio ed importa calcio.
Quando il sodio è riportato a concentrazioni normali lo scambiatore ricomincia a funzionare normalmente,
espelle il calcio e fa entrare il sodio.

ACCOPPIAMENTO ECCITAZIONE-CONTRAZIONE MIOCARDIO

Durante il plateau entra calcio, e il calcio è importante alla cellula per eccitarsi. Quello che accoppia
l’eccitazione alla contrazione è l’aumento del calcio intracellulare. Nel muscolo cardiaco però il meccanismo
è diverso rispeAo a quello scheletrico e quello liscio. Il calcio entra dall’esterno sia aAraverso i canali sia
aAraverso lo scambiatore, ma il calcio che entra va a legarsi a canali che si trovano sul re-colo
sarcoplasma-co che si chiamano canali per la rianodina. Quindi il legame del calcio con ques- canali li fa
aprire e fa uscire il calcio dal re-colo sarcoplasma-co. Calcium release calcium reduce. A questo punto c’è
una quan-tà di calcio sufficiente per far avvenire la contrazione che avviene nel modo esaAamente iden-co
di come avviene nel muscolo scheletrico. Il calcio si lega alla troponina, in par-colare alla subunità C,
provoca un cambiamento di conformazione della subunità inibitoria I e delle subunità T che lega la
tropomiosina, questo provoca un cambiamento di conformazione della tropomiosina che si sposta e
permeAe il legame ad alta affinità tra l’ac-na e la miosina. Cambia solo il modo in cui esce il calcio rispeAo a
quanto avviene nel muscolo scheletrico. La fase di plateau quindi è necessario per aumentare la
concentrazione di calcio per la contrazione.

Non c’è iperpolarizzazione postuma in questo potenziale perché quando si arriva al potenziale di riposo si
ha già al potenziale di equilibrio del potassio (-90mV) che quindi non tende a portare il potenziale verso
iperpolarizzazione. Non si può avere quindi l’iperpolarizzazione postuma.

IN SINTESI

Il potenziale d’azione parte dal nodo senoatriale e si propaga inizialmente negli atri, prima destro poi
sinistro, man mano che si propaga le cellule degli atri provocheranno contrazioni nelle cellule contra:li e si
genera potenziale d’azione tramite apertura dei canali (sistole atriale). Il potenziale d’azione viene poi
portato tramite tessuto di conduzione ai ventricoli, le cellule contra:li dei ventricoli generano anche loro


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potenziale d’azione e si contraggono (sistole ventricolare) nel fraAempo gli atri si staranno rilasciando. Dopo
di che cessa il potenziale d’azione cessa la contrazione, si ha il rilassamento ventricolare e così via. Il singolo
potenziale d’azione che viene generato a livello degli atri viene poi propagato per provocare sistole atriale e
sistole ventricolare.

Sequenza degli even- eleArici:

• Depolarizzazione atri

• Ripolarizzazione atri e depolarizzazione ventricoli

• Ripolarizzazione ventricoli

*In seguito al potenziale d’azione nelle cellule contra;li segue sempre la contrazione.

A ogni ba:to viene generato un singolo potenziale d’azione che poi si propaga. Perché le cellule contra:li
si contraggano deve arrivare un potenziale d’azione.

Nel muscolo scheletrico ci sono due meccanismi per aumentare la forza di contrazione, un meccanismo
riguarda la singola fibra, l ‘altro riguarda più fibre. Quello della singola fibra viene aumentato con un
processo di sommazione del tetano. Nel cuore per spingere più sangue dentro alle arterie e sviluppare più
forza non si può effeAuare una sommazione tetanica cardiaca. Siccome il potenziale d’azione dura quanto la
contrazione cardiaca, non è possibile sommare più contrazioni una sull’altra, alla fine del potenziale ne
riparte uno successivo, ma possiamo avere una scossa singola alla volta, non si può sommare una seconda
contrazione alla prima. L’altro sistema per aumentare la forza nel muscolo è dato dal reclutare più unità
motorie anziché una sola, reclu-amo più unità. Nel muscolo cardiaco non si può perché si contrae sempre
tuAo, si dice che il cuore è una singola unità motoria. Quando parte il potenziale d’azione questo si propaga
a tuAe le fibre cardiache in modo che tuAe si contraggono insieme. Il potenziale d’azione viene trasmesso a
tuAe le fibre dell’a:vità cardiaca. Per variare la forza di contrazione, si varia a livello della singola fibra
variando la quan-tà di calcio che viene liberata nel citoplasma. Per variare la forza di contrazione del cuore
e quindi la quan-tà di sangue nelle arterie viene aumentato il calcio intracellulare. Più calcio viene liberato
dal re-colo sarcoplasma-co, maggiori saranno i legami tra ac-na e miosina, e maggiore sarà la forza di
contrazione. La forza sviluppata dal cuore non è sempre uguale.

ELETTROCARDIOGRAMMA

L’eleArocardiogramma è il sistema più usato per monitorare l’a:vità eleArica del cuore. Non si determina
come si contrae ma solo come si genera il potenziale d’azione e come viene propagato aAraverso le varie
par- del cuore. Per registrare l’a:vità eleArica del cuore vengono posiziona- degli eleArodi sulla superficie
cutanea, nelle par- terminali degli ar-, due ai polsi e due alle caviglie. Poi vengono messi sei eleArodi sul
torace in posizioni par-colari (sopraAuAo nella parte sx) che monitorano in modo o:male l’a:vità
eleArica. Le registrazioni che vengono faAe vengono deAe extracellulari perché vengono faAe dall’esterno
delle cellule, queste registrazioni permeAono di monitorare l’a:vità dell’intero miocardio. Il tracciato
dell’eleArocardiogramma è la somma dell’a:vità eleArica generata in ogni istante da tuAe le cellule
cardiache.

L’eleArodo che si trova alla caviglia destra non è un eleArodo di registrazione vero e proprio ma è un
eleArodo di terra, serve cioè a meAere a terra il sistema, ha lo stesso potenziale della terra cioè 0. Serve ad
isolare il paziente dai segnali eleArici che provengono da apparecchiature dell’impianto eleArico che si
trovano nella stanza. Gli altri eleArodi sono dei registran- veri e propri. Il tracciato dell’eleArocardiogramma

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è dato da una serie di onde che si susseguono una dopo l’altra. Ogni gruppo di onde corrisponde ad una
registrazione, durante l’eleArocardiogramma si fanno 12 registrazioni, si chiamano registrazioni o
derivazioni. Facendo 12 registrazioni accoppiando i vari eleArodi si uniscono tuAe le zone del cuore e si
riesce a monitorare tuAo il cuore. Di queste dodici, sei registrazioni vengono tenute dagli eleArodi che si
trovano sugli ar- e 6 sono tenute dagli eleArodi che si trovano sul torace. Delle sei derivazioni dagli ar-, 3
sono bipolari e 3 unipolari. Una registrazione bipolare è una registrazione in cui si misura la differenza di
potenziale tra due eleArodi entrambi usa- come eleArodi di registrazione, che servono a monitorare il
segnale, quindi uno verrà considerato polo posi-vo e uno polo nega-vo. Le registrazioni unipolari sono
registrazioni in cui viene misurata la differenza di potenziale tra un eleArodo e il resto del corpo. Il resto del
corpo viene monitorato da altri due eleArodi che vengono collega- tra di loro e rappresentano eleArodi di
riferimento e danno il potenziale del resto del corpo. Alla fine, si fa la differenza di potenziale tra gli
eleArodi di registrazione e quelli di riferimento.

Tre registrazioni bipolari: la prima registrazione bipolare è quella in cui gli eleArodi si trovano al polso
destro e al polso sinistro. La seconda bipolare è tra braccio destro e gamba sinistra. La terza registrazione
sarà su braccio sinistro e gamba sinistra. Sulla gamba destra c’è l’eleArodo di terra.

Tre registrazioni unipolari: u-lizzano come eleArodo registrante quello sul braccio destro (aVR) o quello sul
braccio sinistro (aVL) e vengono u-lizza- come eleArodi registran-, gli altri due funzionano da eleArodi di
riferimento.

Sei derivazioni toraciche: Prendono il nome da V1 a V6. Queste derivazioni sono tuAe unipolari, in cui
l’eleArodo del registrante è uno dei sei eleArodi toracici mentre quello di riferimento è cos-tuito dai tre
eleArodi degli ar- collega- tra loro. In questo modo si ha la rappresentazione completa di tuAa l’a:vità
cardiaca.

Come sono organizzate e cosa rappresentano le onde dell’ele[rocardiogramma

Le varie derivazioni rappresentano dei gruppi di onde che possono essere rivolte o verso l’alto o verso il
basso, dipendono essenzialmente da dove sono posiziona- gli eleArodi di registrazione rispeAo alla
direzione di flusso della corrente depolarizzante del cuore. La forma generale delle onde al di la del verso è
abbastanza simile per tuAe le varie derivazioni.

DERIVAZIONE II BIPOLARE (BRACCIO DESTRO GAMBA SINISTRA)

Vale anche per le altre derivazioni. C’è sempre la presenza di tre onde. Un’onda P, un complesso di onde
QRS, e un’onda T. Questo lo troviamo in tuAe e 12 le derivazioni. Le onde rappresentano l’a:vità eleArica
cardiaca, in par-colare l’onda P rappresenta la depolarizzazione atriale, il complesso QRS rappresenta la
depolarizzazione ventricolare, l’onda T è la ripolarizzazione ventricolare.

I tra; orizzontali che collegano le varie onde

tra[o PQ tra l’onda P e l’onda Q. Questo traAo corrisponderà a livello cardiaco alla conduzione del
potenziale d’azione dagli atri ai ventricoli lungo il fascio di His. Rimangono depolarizzate per un certo tempo
e dopo tornano di nuovo al potenziale di riposo. Il traAo PQ dice quanto ci impiega il potenziale ad arrivare
dagli atri ai ventricoli. Il tra[o TP invece è l’intervallo tra un ciclo e l’altro, tra la ripolarizzazione dei
ventricoli ed una successiva depolarizzazione atriale, più è corto l’intervallo TP maggiore sarà la frequenza
cardiaca, cioè la distanza tra un potenziale d’azione e l’altro e viceversa.


24
L’ampiezza massima è quella del complesso QRS che arriva a circa un millivolt. Sono registrazioni di segnali
molto piccoli. Se registrassimo con un eleArodo direAamente il potenziale di una singola cellula cardiaca
contra:le ha un’ampiezza di 110 mV. C’è tanta differenza tra l’eleArocardiogramma intracellulare con quello
che viene registrato a livello extracellulare perché siamo a livello cutaneo quindi il potenziale si deve
propagare tra i liquidi e i tessu- fino ad arrivare alla cute, quindi arriva ad un’ampiezza minore. Subisce
aAenuazione dalla presenza dei tessu- a livello toracico.

CORRELAZIONE TRA ELETTROCARDIOGRAMMA ED EVENTI ELETTRICI DEL CUORE

Generato il potenziale d’azione nel nodo senoatriale si inizia a propagare negli atri e si ha l’inizio dell’onda P.
Successivamente l’onda P termina con la propagazione del potenziale in tu: gli atri. Tu: gli atri sono
depolarizza- e quindi si ha anche la contrazione (sistole atriale). Dopo di che il potenziale si propaga lungo il
nodo atrioventricolare o il fascio di His e va verso i ventricoli formando l’onda Q. Nell’onda R si ha la
propagazione lungo le fibre di Purkinje e le cellule cominciano a depolarizzarsi propagandosi anche alle
cellule contra:li del ventricolo, nell’onda S la maggior parte dei ventricoli sono depolarizza-. Man mano
che le cellule si depolarizzano si ha la contrazione ventricolare. Nel traAo ST tuAe le cellule ventricolari sono
depolarizzate. Essendo tuAe le cellule depolarizzate vuol dire che si stanno anche contraendo. Nel traAo ST
c’è anche la contrazione ventricolare. Nell’onda T la depolarizzazione diminuisce perché i ventricoli si stanno
ripolarizzando, cessa di conseguenza la contrazione. Nel traAo TP non ci sono zone depolarizzate, sia atri
che ventricoli sono rilascia- e non c’è potenziale d’azione in nessuna zona.

Dall’eleArocardiogramma si hanno informazioni sull’a:vità eleArica, però si oAengono informazioni


importan-. Si può ricavare ad esempio la frequenza cardiaca andando a vedere quante onde P ci sono in un
minuto. Calcoliamo in un minuto quante onde P ci sono e si o:ene la frequenza. Ci possono però essere
delle anomalie nella frequenza. La frequenza normale a riposo è 60-80 bpm. Se ci sono più di oAanta ba:-
a riposo si parla di tachicardia, se ci sono invece meno di 60 bpm si parla di bradicardia.

• Ritmo sinusale: ritmo generato dal nodo senoatriale, dal centro pacemaker.

• Tachicardia sinusale: è causata dal nodo seno atriale che genera troppo potenziali d’azione.

In un tracciato di tachicardia sinusale si vede che cambia in par-colare la distanza del traAo TP. Quando
cambia la frequenza le altre onde rimangono uguali, la propagazione rimane la stessa, cambia la distanza tra
un ciclo e l’altro, il nodo seno atriale genera prima il successivo potenziale d’azione che porta alla
contrazione atriale e così via. Stessa cosa vale per la brachicardia, si allunga il traAo TP e il nodo seno atriale
impiega più tempo per generare il successivo potenziale d’azione.

La tachicardia e la bradicardia non sono sempre patologiche, possono essere anche fisiologiche. Un
esempio di tachicardia fisiologica sono le emozioni, lo sforzo fisico, la caffeina, l’infanzia, la gravidanza, lo
stress, farmaci simpa-comime-ci. Patologie che portano alla tachicardia sono la febbre, anemia, shock,
scompenso cardiaco o iper-roidismo. La bradicardia fisiologica si ha con l’età avanzata, gli anziani rallentano
il ba:to cardiaco per una minor a:vazione del traAo simpa-co, o si può verificare bradicardia con
l’allenamento, sopraAuAo quello che porta allo sforzo cardiaco. Questo avviene perché l’allenamento porta
a livello del cuore una maggior efficienza o una maggior muscolatura cardiaca. Ad ogni singolo ba:to nello
spor-vo il cuore riesce ad espellere più sangue quindi il cuore ha bisogno di meno ba:- per espellere la
stessa quan-tà di sangue, in questo modo consuma meno energia essendo comunque efficiente. Anche il
sonno causa bradicardia fisiologica, specialmente nella prima fase del sonno c’è un rallentamento del
respiro e rallentano i parametri fisiologici tra cui il ba:to cardiaco. Nelle patologie della bradicardia ci sono
iper-roidismo, ipertensione endocranica, farmaci quali betabloccan-.

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L’altra informazione dell’ECG è la regolarità del ba:to cardiaco, se così non è si parla di aritmia. Si verifica
ad esempio quando il ventricolo produce un potenziale d’azione in più. Se si presenta molto
frequentemente può alterare il regolare ritmo cardiaco e causare diversi danni, altrimen- non è grave. Più
grave è la fibrillazione dove il ritmo è totalmente distruAo da potenziali d’azione causa- dai ventricoli. L’altra
cosa importante è la forma e la distanza tra le onde. Il complesso QRS non viene sempre generato, se non si
trova il complesso QRS vuol dire che non si depolarizzano i ventricoli e quindi non si contraggono (blocco
cardiaco completo). Questo è generato a livello del tessuto di conduzione, non viene condoAo il potenziale
d’azione dagli atri ai ventricoli. Il faAo che l’onda P non sia seguita dall’onda QRS vuol dire che la contrazione
degli atri non è seguita dalla contrazione dei ventricoli o per lo meno si contraggono solo alcune volte, solo
quando il potenziale d’azione riesce a propagarsi. Nelle miocardiopa-e l’onda S ha un innalzamento. L’onda
R rimane sopraelevata, c’è un innalzamento del complesso QRS, questo corrisponde ad una
depolarizzazione mantenuta dei ventricoli che non si ripolarizzano ed è dovuto al faAo che durante l’infarto
le cellule producono meno ATP quindi funzionano meno bene le pompe tra cui la sodio potassio dove i
gradien- ionici vengono altera-, si cambia il potenziale di membrana di queste cellule che rimangono
depolarizzate.

IL CICLO CARDIACO

Il ciclo cardiaco presenta quella serie di even- che descrivono l’a:vità contra:le del cuore a livello degli
atri e dei ventricoli. Il ciclo cardiaco è rappresentato dall’alternanza di due fasi, una fase di diastole o
rilasciamento e una di sistole o contrazione, prima a carico degli atri poi a carico dei ventricoli. Queste fasi
sono collegate all’a:vità eleArica, non ci può essere contrazione se non arriva il potenziale d’azione. In
generale possiamo anche dire che la fase di diastole o rilasciamento corrisponde ad una fase in cui a livello
o degli atri o dei ventricoli c’è una diminuzione di pressione a livello delle pare- e gli atri o i ventricoli si
riempiono di sangue. Viceversa, nella fase di sistole si ha la contrazione della muscolatura dell’atrio o del
ventricolo. Alla contrazione corrisponde un aumento di pressione del sangue e anche uno svuotamento. La
pressione che aumenta determina anche la spinta per direzionare il sangue nel compar-mento successivo.
Nella sistole atriale una parte del sangue viene spinta nei ventricoli, invece nella sistole ventricolare viene
spinta nelle arterie. Un ciclo cardiaco dura ad una frequenza normale di 70 bpm, circa 0.8 secondi. Il ciclo
cardiaco è composto da una sistole atriale che dura 0.1 secondi, una sistole ventricolare che dura 0.3
secondi mentre il tempo passato dagli atri ai ventricoli entrambi in diastole è di 0.4 secondi.

FASI DEL CICLO CARDIACO

• Fase tardiva della diastole. In questa fase sia gli atri che i ventricoli sono in diastole, sono quindi
rilascia-. Le valvole atrioventricolari (bicuspide e tricuspide) sono aperte, mentre le valvole
semilunari sono chiuse. In queste condizioni gli atri si sono riempi- di sangue proveniente dalle
vene (cave per l’atrio destro, polmonari per l’atrio sinistro), ma le valvole atrioventricolari sono
aperte, quindi il sangue passerà in parte anche nei ventricoli. In questa fase si ha quello che si
chiama riempimento ventricolare passivo. Parte del sangue che passa agli atri arriva anche nei
ventricoli perché le valvole sono aperte. Fine della fase tardiva della diastole.

• Il nodo senoatriale genera un potenziale d’azione che fa contrarre gli atri e fa passare così alla fase
della sistole atriale. La pressione degli atri aumenta e spingono il rimanente terzo di sangue nei
ventricoli (il sangue restante che non è entrato passivamente). La sistole dure circa 0.1 secondi.

• Il potenziale d’azione arriva tramite fascio di His e fibre di Purkinje ai ventricoli. Inizia la fase di
contrazione ventricolare isovolumica. I ventricoli cominciano a contrarsi, la pressione all’interno


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dei ventricoli aumenta, a un certo punto la pressione dei ventricoli supera la pressione degli atri. Se
in una valvola la pressione nella camera successiva a valle supera quella a monte, le valvole si
chiudono. L’aumento di pressione quindi provoca la chiusura delle valvole. Le valvole semilunari in
questa fase sono ancora chiuse e inoltre si chiudono quelle atrioventricolari. Il ventricolo in questa
fase è una camera chiusa, non ha comunicazione né con gli atri né con le arterie. Anche se i
ventricoli si contraggono però non diminuiscono di volume (isovolumica).

• Eiezione ventricolare: Man mano che aumenta la pressione nei ventricoli, la pressione supera
quella delle arterie, si aprono quindi le valvole semilunari. Il sangue viene espulso nelle arterie. I
ventricoli a questo punto possono diminuire la loro dimensione, si rimpiccioliscono e spingono il
sangue nelle arterie.

• Il potenziale d’azione di ripolarizza e si ha la fase di rilasciamento ventricolare, il ventricolo smeAe


di contrarsi e termina quindi il potenziale d’azione. Se i ventricoli si rilasciano, la pressione
diminuisce, se diminuisce la pressione e le arterie sono piene di sangue, succede che la pressione
delle arterie diventa maggiore di quella dei ventricoli. Le valvole semilunari allora si chiudono man
mano che i ventricoli si rilasciano e termina l’eiezione del sangue. Ma non solo, i ventricoli si
rilasciano sempre più tanto che la loro pressione scende anche al di soAo della pressione degli atri
che nel fraAempo si stanno riempiendo di sangue dalle vene. Questo comporterà che la pressione
degli atri sarà maggiore di quella dei ventricoli facendo aprire le valvole atrioventricolari e facendo
così ripar-re il ciclo.

PRIMI DUE TONI CARDIACI

Sono i primi due ba:- cardiaci che si possono ascoltare anche solo con l’orecchio. I primi due toni
corrispondo alla chiusura delle valvole. Il primo tono rappresenta la chiusura delle valvole atrioventricolari
che si ha quando il ventricolo si contrae e aumenta la sua pressione provocando la chiusura delle valvole
atrioventricolari, si chiama tono sistolico, il secondo tono deAo anche tono diastolico è dovuto alla
chiusura delle valvole semilunari che avviene quando il ventricolo si sta rilasciando quindi la pressione
diminuisce rispeAo a quella nelle arterie. Il tono terzo e il tono quarto si possono ascoltare invece solo allo
stetoscopio, il terzo è dovuto al flusso turbolento del sangue nella fase di riempimento dei ventricoli.
Dis-nguiamo due -pi di flussi, un flusso sanguigno chiamato flusso laminare, è un flusso che possiamo
approssimare ad un movimento di un flusso per sezioni parallele. Immaginiamo che il volume del sangue sia
composto da tan- stra- paralleli che si muovono l’uno sull’altro. Questo -po di flusso non crea rumore, se
invece il flusso diventa turbolento la direzione delle varie componen- del fluido non sono più parallele le
une alle altre ma diventano irregolari, allora si avrà un flusso turbolento sia nei vasi che a livello cardiaco
che crea rumore. In par-colare, il terzo tono cardiaco è dovuto al flusso turbolento del sangue che si porta
dagli atri ai ventricoli in modo passivo. Il tono cardiaco quarto è un flusso turbolento che si ha durante la
sistole atriale, il sangue viene spinto dagli atri ai ventricoli in modo non passivo. Abbiamo anche altri toni
che possiamo definire anomali. Lo schiocco: se i lembi conne:vali delle valvole si aprono e si chiudono in
modo anomalo danno origine a degli scocchi. Il soffio è dovuto al faAo che il sangue si muove più
velocemente e quindi è più facile che vada incontro a flusso turbolento e crea rumore. Nel giovane spesso è
fisiologico, nell’adulto se si sentono dei soffi possono essere lega- a patologie in par-colar modo valvolari.
Le valvole o non si chiudono completamente e si parla di insufficienza valvolare, oppure valvole che non
riescono ad aprirsi completamente, si parla di stenosi valvolare. Il sangue passando tra le valvole non
completamente aperte fa rumore e da origine ai soffi.

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DIAGRAMMA DI WIGGERS

È un diagramma che si usa per capire cosa succede durante il ciclo cardiaco. MeAe in correlazione l’onda
dell’eleArocardiogramma con i toni cardiaci con altri parametri. Ques- altri parametri sono rappresenta-
dalla pressione dei ventricoli sinistro e destro, dalla pressione delle arterie, dalla pressione degli atri sinistro
e destro, o dal volume ventricolare sinistro e destro. Vengono rappresentate le variazioni di tu: ques-
parametri durante il ciclo cardiaco.

Nella fase in cui il ventricolo e l’atrio sono in diastole siamo nell’onda P o nella primissima fase dell’onda P,
poi si ha l’onda P vera e propria che rappresenta la depolarizzazione e quindi la contrazione degli atri. La
pressione dell’atrio aumenta perché l’atrio si contrae, aumenta anche la pressione del ventricolo perché
anche se non si sta contraendo subisce il riempimento passivo da parte dell’atrio. Dopo termina la sistole
atriale, si ha l’onda QRS che è associata alla depolarizzazione ventricolare, la pressione ventricolare infa:
aumenta, da circa 0 arriva nel ventricolo sinistro fino a 120 mm/Mg. La pressione invece dell’aorta durante
la diastole ventricolare sale man mano che sale la pressione nel ventricolo. Quando la pressione del
ventricolo supera quella dell’aorta si apre la valvola semilunare. La pressione del ventricolo aumenta e man
mano aumenta anche quella dell’aorta. La pressione nel ventricolo diminuisce, scende soAo alla pressione
dell’aorta e quando la pressione del ventricolo scende soAo quella dell’aorta si chiude la valvola semilunare.
La pressione del ventricolo scende sempre di più finché scende soAo quella dell’atrio e in questa condizione
si ha l’apertura della valvola atrioventricolare che si era chiusa all’inizio della sistole ventricolare.

Il volume di sangue del ventricolo aumenta nella prima fase quando il ventricolo si riempie di sangue e
diminuisce quando il ventricolo spinge il sangue nell’aorta, riaumenta quando riceve il sangue dall’atrio,
varia tra circa 130 e 160 mm/Mg.

L’andamento delle pressioni tra parte destra e sinistra del cuore è abbastanza simile. La pressione nel
ventricolo e nell’aorta polmonare raggiunge una pressione massima di 130-40 mm/Mg, rela-vamente
maggiore del ventricolo destro perché il ventricolo sinistro deve spingere il sangue nel circolo polmonare
che oppone una resistenza minore. Mentre il ventricolo sx ha una pressione che varia tra 0 e 120, la
pressione nell’aorta varia da un minimo di 80 a un massimo di 120, non va mai a zero. Se l’aorta avesse
pressione zero non ci sarebbe circolo sanguigno nel circolo sistemico. Il minimo di 80 garan-sce che il flusso
sanguigno non sia intermiAente, ma con-nuo. Nella parte destra del cuore l’arteria polmonare varia tra
circa 20 di minima e 30 di massima, valori inferiori all’aorta. Le variazioni del volume ventricolare sono
uguali per il ventricolo sinistro e destro. Quindi mentre le pressioni sono diverse, la quan-tà di sangue che
esce dai due ventricoli nell’unità di tempo è uguale.

VOLUMI VENTRICOLARI

• Volume telediastolico (EDV) è il volume di sangue che è contenuto in entrambi i ventricoli alla fine
della diastole. È il massimo volume di sangue che si ha nei ventricoli ed in media a riposo è di 130
ml.

• Volume telesistolico, (ESV) è il volume che abbiamo quando tuAo il sangue è stato espulso a fine
sistole, e arriva a 60 ml. La differenza con quello precedente

• Volume di eiezione ventricolare o gi[ata sistolica, è la differenza tra il volume telediastolico e il


volume telesistolico e rappresenta il volume di sangue che viene espulso da ogni ventricolo ad
ogni ciclo cardiaco. EDV-ESV= 130-60=70 ml


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Il ventricolo non si svuota completamente quando si rilascia, a fine sistole ci sono ancora 60 ml di sangue
nel ventricolo. Possiamo anche aumentare la giAata sistolica, se a riposo venisse espulso tuAo il sangue nel
ventricolo, quando si è soAo sforzo fisico non si potrebbe aumentare questo valore. È un faAore di sicurezza
che permeAe di aumentare la giAata sistolica quando serve in condizioni di soAo sforzo. A riposo una
minima quan-tà di sangue deve rimanere dentro il ventricolo. Con la diastole viene riempito fino a 130 ml e
con la sistole ventricolare 70 ml verranno riespulsi nelle arterie per ritornare ad una quan-tà 60 ml a riposo.

FISIOLOGIA CARDIOVASCOLARE: REGOLAZIONE DELL’ATTIVITA’ CARDIACA

GITTATA CARDIACA (GC)

È il volume di sangue pompato da ogni ventricolo in un minuto e si esprime in ml/min. Come la giAata
sistolica anche quella cardiaca è uguale per i due ventricoli, entrambi i ventricoli espellono la stessa quan-tà
di sangue in un minuto. Per rappresentare con un’equazione la giAata cardiaca in funzione della giAata
sistolica:

GC=GS x FREQUENZA CARDIACA (bpm)

Se abbiamo una frequenza di 70 bpm alla giAata sistolica, la giAata cardiaca è 4900 ml/min (*). Entrambi i
ventricoli espellono nelle arterie circa 5 L di sangue al minuto (a riposo). Durante l’esercizio fisico la giAata
cardiaca può variare anche a 20-25 L/min. GiAata sistolica = 70ml/min

(*) GC = 70 bpm x 70 ml/min = 4900 ml/min

Riserva cardiaca: GC max – GC a riposo

È il margine di aumento che si può avere della giAata cardiaca per adaAarsi alle esigenze dell’organismo. Se
la giAata è di 5 L e arriviamo a 20 L abbiamo una riserva cardiaca di 15L. è necessario aumentare la giAata
cardiaca per mandare più sangue ai muscoli scheletrici e al cuore che sono impegna- nello sforzo.

PER REGOLARE LA GC SI PUO’ REGOLARE LA FREQUENZA O LA GITTATA SISTOLICA

Per cambiare la giAata cardiaca si può cambiare la frequenza o la giAata sistolica oppure entrambi. Per
cambiare la frequenza cardiaca bisogna cambiare il numero dei potenziali d’azione che vengono genera- al
minuto, dal numero di potenziali deriva anche il numero di contrazioni. Per aumentare il numero dei
potenziali del cuore si agisce a livello del nodo senoatriale. Per regolare la frequenza si regola il numero di
potenziali d’azione genera- nel nodo senoatriale. Per cambiare la giAata sistolica invece si va a cambiare la
forza di contrazione determinata dal miocardio contra:le, il ventricolo espelle più sangue se si contrae con
più forza. Di faAo per regolare la giAata cardiaca possiamo regolare la frequenza e/o la giAata sistolica.

Per variare la frequenza si a:va il sistema nervoso autonomo. Sia il simpa-co che il parasimpa-co possono
variare la frequenza. Per variare la giAata sistolica abbiamo due -pi di controllo, un controllo de[o
intrinseco che viene aAuato dalle cellule muscolari del cuore stesso senza interven- esterni che avverrà
secondo la legge di Frank-Starling. In più abbiamo anche un controllo estrinseco dovuto a elemen- esterni
al cuore e qui entra in gioco il sistema nervoso autonomo sopraAuAo l’ortosimpa-co che è in grado di
variare la forza di contrazione del miocardio contra:le.

CONTROLLO NERVOSO DELL’ATTIVITA’ CARDIACA

Il sistema nervoso autonomo è in grado di regolare sia la frequenza che la forza di contrazione. Il SNA regola
l’a:vità cardiaca, sia la frequenza che la forza di contrazione, soAo il controllo di una serie di neuroni o

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centri nervosi che si trovano nel centro encefalico e che prendono il nome di centro di controllo
cardiovascolare. È una rete neuronale che si trova a livello encefalico sopraAuAo a livello del midollo
allungato (parte più bassa del tronco encefalico). Il tronco encefalico, che collega midollo spinale con
l’encefalo, è formato dal midollo spinale, il ponte e il mesencefalo. Nel midollo allungato c’è il centro di
controllo cardiovascolare che controlla l’a:vità del cuore, e le funzioni di altri organi interni quali la
respirazione. Il centro di controllo cardiovascolare a sua volta è soAo l’influenza di aree che si trovano
nell’encefalo di ordine superiore come ipotalamo o amigdala che a loro volta danno i comandi al sistema
nervoso autonomo. In sequenza si a:vano centro di controllo, amigdala e sistema nervosa autonomo. Tu:
ques- sistemi non sono indispensabili per il ba:to cardiaco, il cuore ha una sua a:vità spontanea dovuta al
centro pacemaker che si trova nel nodo senoatriale. Ques- sistemi servono a regolare l’a:vità spontanea
cardiaca aumentandola o diminuendola, sono solo sistemi modulatori.

Effe; principali

• L’ortosimpa-co provoca un aumento dell’a:vità del cuore. Se il centro di controllo cardiovascolare


a:va l’ortosimpa-co, quest’ul-mo aumenta l’a:vità del cuore. Aumenta la frequenza, aumenta la
forza di contrazione sopraAuAo a livello dei ventricoli e anche la velocità della conduzione del
potenziale d’azione dagli atri verso i ventricoli. L’aumento di frequenza si chiama effe[o cronotropo
posiEvo. Il sistema ortosimpa-co ha un effeAo cronotropo posi-vo sulla frequenza. L’aumento della
forza di contrazione si chiama ionotropo posiEvo, l’aumento della velocità di conduzione di chiama
dromotropo posiEvo.

• Il parasimpa-co svolge un effeAo cronotropo negaEvo, cioè diminuisce la frequenza. Questo è


l’effeAo maggiore, gli altri due sono meno importan-. Abbiamo un effeAo ridoAo dromotropo
nega-vo e un effeAo modesto ionotropo nega-vo sopraAuAo a livello degli atri, cioè durante la
sistole atriale. L’effeAo principale però è il cronotropo nega-vo.

COME IL SISTEMA NERVOSO AUTONOMO REGOLA LA FREQUENZA CARDIACA

L’ortosimpa-co ha un effeAo di aumento della frequenza mentre il parasimpa-co la diminuisce. La


frequenza intrinseca del nodo senoatriale sarebbe 100 bpm, siccome ne abbiamo 70 abbiamo una
a:vazione tonica del parasimpa-co che rallenta il cuore (condizione normale fisiologica). Se a:viamo
l’ortosimpa-co, invece di avere due potenziali d’azione ne abbiamo tre, effeAo cronotropo posi-vo. Per
variare il numero di potenziale d’azione genera- dal nodo senoatriale bisogna vedere la differenza dei
potenziali d’azione in entrambi i sistemi. Nell’ortosimpa-co cambia la salita del potenziale d’azione e questo
è causato dall’apertura dei canali funny. La fase di salita e cioè di depolarizzazione per raggiungere il valore
soglia è determinata dai canali funny, per rendere più ripida e più lenta la salita si modificano i canali funny,
proprio quello che fanno il sistema simpa-co e parasimpa-co.

Curva di a;vazione di un canale: fa vedere la percentuale dei canali che si aprono durante la
depolarizzazione di membrana, il canale voltaggio dipendente si apre in funzione del voltaggio. La
percentuale di canali aper- varia a seconda del potenziale di membrana. A 100 mV tu: i canali sono aper-,
a 0 mV tu: i canali sono chiusi. La curva verde è quella che rappresenta l’a:vazione del canale funny nel
nodo senoatriale senza modulazione da parte del sistema nervoso autonomo. Il cento per cento dei canali
funny sono aper- quando siamo a potenziali nega-vi, e invece il numero dei canali chiusi aumenta a
potenziali posi-vi. Al potenziale di riposo delle cellule del nodo senoatriale abbiamo circa il 70% dei canali
funny aper-. Se a:viamo l’ortosimpa-co (curva rossa) a -60 mV abbiamo quasi 100 canali aper-, cioè quasi
tu:. Se a:viamo il parasimpa-co (curva blu) si aprono meno canali funny. A -60 solo il 20% dei canali funny


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si apre. Quindi l’ortosimpa-co aumenta il numero di canali che si aprono al potenziale di riposo, il
parasimpa-co viceversa diminuisce il numero dei canali che si aprono. Questo cambia la velocità in cui si
raggiunge il valore soglia. L’ortosimpa-co aumenta la probabilità di apertura dei canali funny, il
parasimpa-co diminuisce la possibilità di apertura. Come fanno il para e l’ortosimpa-co a variare l’apertura
dei canali? Il canale funny è formato da 4 subunità a sei segmen- transmembrana, in più ha anche
l’estremità C terminale che con-ene un dominio intracellulare di legame dell’AMP ciclico (dominio CNB).
Maggiore è la quan-tà di AMP ciclico che si lega al dominio di legame, maggiore è la probabilità
dell’apertura dei canali. L’ortosimpa-co va ad agire sull’AMP ciclico, aumenta l’AMP ciclico intracellulare che
si lega al suo dominio CNB e più canali si aprono a -60 mV. Viceversa, uno degli effe: del parasimpa-co è
quello di diminuire l’AMP ciclico, se c’è poco AMP poco se ne legherà poco ai canali CNB e pochi canali funny
si apriranno. Maggiore è la concentrazione intracellulare di AMP ciclico maggiore è l’apertura dei canali
funny, con conseguente fase di depolarizzazione più rapida e maggiore frequenza, viceversa per il
parasimpaEco.

SISTEMA ORTOSIMPATICO

A livello gangliare il sistema ortosimpa-co rilascia ace-lcolina, a livello del cuore rilascia invece
noradrenalina. La noradrenalina si lega a receAori metabotropici che si chiamano receAori adrenergici, nel
cuore i receAori per la noradrenalina sono di -po β1-adrenergici delle cellule pacemaker. A questo punto si
a:va la via dell’AMP ciclico, quindi il rilascio di noradrenalina porta all’aumento di AMP ciclico nelle cellule
pacemaker che si lega ai canali funny nel sito par-colare di legame (dominio CNB) e provoca una maggiore
apertura dei canali, questo provoca un aumento di rapidità della fase di depolarizzazione per raggiungere il
valore soglia, in questo modo aumenta la scarica del potenziale d’azione. Si sente il cuore che baAe più
velocemente. Serve al cuore a pompare più sangue nelle arterie. Quando si a:va l’ortosimpa-co aumenta
anche la velocità di conduzione dagli atri ai ventricoli: effeAo cronotropo posi-vo. Ha un effeAo cronotropo
posi-vo.

SISTEMA PARASIMPATICO

Ha un effeAo cronotropo nega-vo. Uno dei meccanismi è quello di diminuire il numero di canali funny che
si aprono e quindi rallentare la velocità con cui viene raggiunto il valore soglia. Il nervo parasimpa-co che
innerva il cuore si chiama nervo vago e rappresenta il decimo paio dei nervi cranici. Il nervo vago oltre ad
innervare il cuore innerva anche lo stomaco, l’intes-no i reni ecc. Il parasimpa-co ha i neuroni pregangliari
del nervo vago che si trovano nel tronco encefalico in par-colare nel midollo allungato. I gangli del
parasimpa-co sono all’interno degli organi bersaglio, infa: i gangli si trovano direAamente dentro alla
parete muscolare miocardica. I neuroni pregangliari hanno assoni molto lunghi che dal midollo allungato si
portano dentro la parete cardiaca. Abbiamo diverse fibre parasimpa-che che vanno ad innervare il nodo
senoatriale. I neurotrasme:tori del parasimpa-co rilasciano a livello pregangliare e postgangliare
ace-lcolina che si lega a receAori muscarinici metabotropici a livello delle cellule pacemaker (nodo
senoatriale). L’a:vazione dei receAori muscarinici ha due effe:. Uno è opposto a quello della
noradrenalina, determina l’inibizione della via dell’AMP ciclico. I canali funny verranno inibi-, si aprono
meno canali funny rispeAo al normale. Questo ha come effeAo il rallentare la frequenza. Un altro effeAo
dell’a:vazione dei receAori muscarinici è legato alla proteina G, quando l’ace-lcolina si lega ai receAori
muscarinici a:vano la proteina G che si dissocia in alfa + GTP che inibisce i canali funny, e nel complesso
beta gamma che va a legarsi dal lato intracellulare a dei canali potassio che si trovano sulle cellule
pacemaker, si chiamano canali Km perché sono a:va- dai receAori muscarinici. Si aprono quando il
complesso beta gamma si lega a ques- canali. L’apertura dei canali potassio man-ene il potenziale di
membrana nega-vo e ostacola la depolarizzazione per raggiungere il valore soglia. Da un lato si rende più

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difficile aprire i canali funny, dall’altro si aprono dei canali potassio che iperpolarizzano la membrana, quindi
le cellule per raggiungere il potenziale soglia impiegano più tempo, diminuisce la frequenza e la conduzione
dei potenziali d’azione. EffeAo cronotropo nega-vo. Inoltre, diminuisce anche la conduzione dei potenziali
d’azione verso i ventricoli.

MECCANISMI DI CONTROLLO DELLA GITTATA SISTOLICA.

La regolazione della giAata sistolica è rappresentata dalla regolazione della forza di contrazione. Per variare
il volume di sangue che viene espulso da ogni ventricolo ad ogni ba:to si regola la forza di contrazione.
Maggiore è la forza con cui i ventricoli si contraggono, maggiore è il sangue che viene espulso dal ventricolo
alle arterie. Per regolare la forza di contrazione abbiamo due -pi di controllo. Uno intrinseco che viene
aAuato da cuore stesso, sono le cellule ventricolari che da sole in modo autonomo compiono questo -po di
regolazione secondo la legge di Frank Starling, l’altro -po di controllo è estrinseco e viene operato dal SNA
in par-colare dell’ortosimpa-co in grado nelle cellule contra:li dei ventricoli di aumentare la forza di
contrazione. È estrinseco perché viene dall’esterno e non è operata del tuAo dal cuore.

REGOLAZIONE INTRINSECA

LA LEGGE DI FRANK-STARLING

Quando il flusso del sangue che torna al cuore aAraverso i vasi venosi varia, il cuore adaAa
automa-camente il flusso in uscita a quello in entrata. Il flusso in uscita è la giAata cardiaca, quindi
possiamo dire che se varia il flusso di sangue che torna al cuore, il cuore varia in modo proporzionale la
giAata cardiaca. Il flusso di sangue che torna al cuore aAraverso le vene prende il nome di ritorno venoso,
cioè il volume di sangue che torna ad ogni atrio ad ogni minuto, è il corrispondente in entrata della giAata
cardiaca. Questa legge dice che il ritorno venoso è uguale al volume di sangue che ogni minuto viene
espulso (giAata cardiaca). RV=GC Se RV aumenta, aumenta anche GC.

Il ritorno venoso può variare per diversi faAori:

• pompa muscolare: prevede l’azione dei muscoli degli ar- inferiori. Se una persona sta ferma per
molto tempo in piedi, si rigonfiano gli ar- inferiori perché il sangue ristagna, meAendo i muscoli in
movimento si favorisce il ritorno del sangue al cuore.

• Pompa respiratoria: si crea una specie di aspirazione che richiama il sangue verso il cuore

• Azione sistema ortosimpaEco: stringe le vene e favorisce il ritorno al cuore.

Se aumenta il ritorno venoso verso gli atri, aumenta quindi anche il sangue che dagli atri passa nei
ventricoli. Aumenta la distensione del ventricolo durante la diastole (volume telediastolico), la muscolatura
del ventricolo risulta più distesa, per la legge di Frank Starling un aumento di dimensione del ventricolo
provoca un aumento della forza di contrazione durante la sistole. Più il ventricolo si distende in diastole, pi
con-ene sangue e più aumenta la contrazione in sistole e quindi aumenta la giAata sistolica con
conseguente aumento della giAata cardiaca.

RELAZIONE LUNGHEZZA-TENSIONE

Più si allunga e si distende il ventricolo, maggiore sarà la forza con cui il ventricolo si contrae perché le teste
della miosina creano più pon- trasversali. È la relazione lunghezza-tensione. Se aumen-amo la lunghezza
del muscolo a riposo aumenta anche la forza di contrazione prodoAa perché si rifleAe sul numero di legami


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tra ac-na e miosina. Maggiore è la lunghezza del muscolo a riposo e maggiore è la tensione. Cambia la
sovrapposizione dei filamen- spessi e dei filamen- so:li, si formano più pon- e quindi si produce più forza.
Ci sono alcune differenze tra il muscolo scheletrico e quello cardiaco, il muscolo scheletrico a riposo è alla
sua lunghezza o:male, invece il muscolo cardiaco a riposo (cioè quando è in diastole) ha una lunghezza
inferiore alla lunghezza o:male, ma se s-riamo il muscolo in diastole produciamo più forza. L’aumento del
volume telediastolico produce un aumento della giAata sistolica, ed è dovuta al grado di sovrapposizione tra
filamen- spessi e filamen- so:li. Questa relazione è valida solo in condizioni fisiologiche, cioè quando il
ventricolo aumenta il suo volume telediastolico in maniera fisiologica, ma ci sono anche delle
cardiomiopa-e dilata-ve per cui per vari mo-vi il cuore subisce una dilatazione sopraAuAo del ventricolo
sinistro, in questo caso invece, se i ventricoli si dilatano per mo-vi patologici, le contrazioni diventano più
deboli e si va incontro ad insufficienza cardiaca. Lo sforzo che deve fare il cuore è maggiore del normale
quindi diventa meno efficiente.

AAraverso studi successivi si sono messi in evidenza altri meccanismi lega- a par-colari proteine a livello
molecolare. Esiste una proteina che si chiama EEna che collega i filamen- spessi alla linea Z che delimita il
sarcomero. Anche i filamen- so:li sono ancora- alle linee Z aAraverso la --na, una proteina che può
cambiare la sua conformazione, può essere più accorciata o più allungata, quando si distende di più la fibra
muscolare, la proteina passa da una conformazione accorciata a quella allungata e questo provoca un
avvicinamento tra filamento spesso e so:le, questo favorisce la formazione di pon- e quindi potrebbe
essere alla base dell’aumento della forza di contrazione. Minore è la distanza tra filamen- spessi e so:li e
maggiore è il numero di pon- che si possono formare. In più si è visto che l’aumento della diastole provoca
un aumento dell’affinità della troponina C per il calcio, il calcio che si lega fa spostare la tropomiosina e si
possono così creare un numero maggiore di pon- aumentando di nuovo la contrazione. Mutazioni sia a
carico della --na che della troponina si rifleAono sulla contrazione, il ventricolo si contrae con meno forza e
provoca cardiomiopa-e.

VANTAGGI IMPORTANTI DELLA REGOLAIZONE INTRINSECA

Ci sono alcune funzioni importan- per questo -po di regolazione:

• Regolazione delle dimensioni ventricolari, impedisce un’eccessiva dilatazione. Se c’è un forte


aumento del ritorno venoso nell’atrio e il sangue non venisse espulso dal ventricolo provocherebbe
una dilatazione eccessiva che potrebbe poi provocare nel tempo una dilatazione patologica.

• Equalizzazione tra lato dx e lato sx. La giAata cardiaca destra può risultare maggiore della giAata
cardiaca sinistra. Il sangue esce dalle arterie polmonari, va nel circolo polmonare e rientra nell’atrio
sinistro. Secondo il meccanismo di Frank Starling la giAata cardiaca espulsa dall’atrio destro torna
all’atrio sinistro come ritorno venoso. Se uno dei due ventricoli ha una giAata cardiaca maggiore,
nell’altro ventricolo (che ha una minore giAata cardiaca) si ha un maggiore ritorno venoso in modo
da rendere uguale la giAata cardiaca nei due ventricoli per far sì che non ci sia un accumulo di
sangue nei due ventricoli. Se non ci fosse la legge di Frank Starling il sangue non riuscirebbe ad
essere espulso a sinistra e si accumulerebbe sangue nel circolo polmonare. Se si accumula il sangue
nel circolo polmonare si forma l’edema polmonare, accumulo di liquido nei tessu- che viene filtrato
a livello dei polmoni. L’edema polmonare è pericoloso perché se si accumula acqua tra gli alveoli e il
sangue vengono compromessi gli scambi gassosi.

• Durante l’a:vità fisica aumenta il ritorno venoso, aumenta il volume di sangue che torna al cuore
ogni minuto. Aumenta l’azione della pompa muscolare, si a:va il sistema ortosimpa-co e si


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aumenta quindi il ritorno venoso, questo poi si rifleAe in un aumento della giAata sistolica, più
sangue torna al cuore e più sangue esce come giAata sistolica. È vantaggioso perché più sangue
viene espulso e più aumenta l’irrorazione dei muscoli durante l’esercizio.

REGOLAZIONE ESTRINSECA DELLA GITTATA SITOLICA.

Si può aumentare la giAata sistolica aumentando la forza di contrazione dei ventricoli anche andando ad
a:vare il sistema ortosimpa-co. Il parasimpa-co ha un effeAo meno rilevante sulla contrazione
ventricolare. Con il sistema ortosimpa-co oltre ad aumentare la frequenza e la velocità di conduzione
abbiamo anche l’aumento della forza di contrazione o contra:lità (effe[o ionotropo posiEvo) che si rifleAe
in un aumento di giAata sistolica e un altro effe[o chiamato lusitropo, è l’aumento della velocità di
ricaptazione del calcio a livello del re-colo. Ques- due meccanismi portano ad un aumento della giAata che
viene espulsa ad ogni ciclo.

• Aumento frequenza

• Aumento velocità conduzione

• Aumento contra;lità (aumento ionotropo posiEvo)

• Aumento velocità ricaptazione calcio (lusitropo posiEvo)

EFFETTO INOTROPO POSITIVO

Il cuore è innervato dal sistema nervoso ortosimpa-co aAraverso una catena di neuroni, i pregangliari nel
midollo spinale nel traAo toracico, e i neuroni postgangliari che innervano le fibre del cuore, le cellule
contra:li dei ventricoli. Il neurotrasme:tore che viene rilasciato è la noradrenalina, viene rilasciato sulle
cellule contra:li, in par-colare su quelle dei ventricoli, e si lega a dei receAori β1-adrenergici come quelli
presen- nel nodo senoatriale. Sono receAori metabotropici accoppia- a proteina G. L’effeAo del legame
della noradrenalina con il receAore β1 a:va la proteina Gs, questa a sua volta aAraverso la subunità alfa più
GTP a:va l’adenilato ciclasi che porta a sua volta alla sintesi di AMP ciclico. Mentre il nodo senoatriale era
direAamente regolato dall’AMP ciclico, in questo caso l’AMP ciclico a:va la protein chinasi A la quale poi
media una serie di effe:. La chinasi A fosforila dei substra-, ad esempio aAacca gruppi fosfa- ai canali
calcio voltaggio dipenden- che si trovano sulla membrana. Aumenta così la conduzione di ques- canali
perché passano più ioni e quindi passa più calcio. I canali vengono aper- durante il plateau, il calcio entra e
va a sua volta ad aprire i canali per la rianodina provocando l’uscita di altro calcio. La chinasi A aumenta
l’entrata di calcio aAraverso i canali voltaggio dipenden-, in modo che più calcio si leghi ai canali per la
rianodina che faranno a loro volta uscire altro calcio. La chinasi A fosforila anche direAamente i canali per la
rianodina per aumentare la conducibilità e potenziarli in modo che possa uscire ancora più calcio. Il calcio si
lega alla troponina per permeAere una maggiore formazione di legami tra ac-na e miosina e favorire la
contrazione. Un altro effeAo della protein chinasi A agisce sulle teste della miosina dove provoca un
aumento dell’a:vità ATPasica, cioè la miosina riesce più velocemente a degradare ATP facilitando la
formazione dei pon- tra ac-na e miosina, l’effeAo finale è quello di produrre una forza di contrazione
maggiore.

Maggiore formazione di legami tra miosina e ac-na à maggiore contrazione.

Ques- meccanismi portano ad un aumento di forza sviluppata nei ventricoli e quindi aumenta la giAata
sistolica, e un maggiore volume di sangue viene espulso nelle arterie.


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EFFETTO LUSITROPO POSITIVO

L’altro effeAo è legato all’a:vazione dell’ortosimpa-co che provoca sempre un aumento della forza di
contrazione, si chiama effe[o lusitropo posiEvo. È dovuto al rilascio della noradrenalina. La noradrenalina
si lega a receAori β1, a:va la via dell’AMP ciclico e si forma la protein chinasi A che ha anche l’effeAo di
aumentare la velocità di ricaptazione del calcio nel re-colo sarcoplasma-co. Una volta che il ventricolo si è
contraAo il calcio deve ritornare a livelli basali. Per farlo ritornare alla giusta concentrazione c’è bisogno
durante il rilasciamento delle pompe per il calcio che si trovano sulla membrana plasma-ca e sul re-colo
sarcoplasma-co. Alla fine della contrazione ci deve essere una ricaptazione del calcio sia verso l’interno nel
re-colo sia verso l’esterno. Più velocemente avviene questo meccanismo e più calcio viene introdoAo
all’interno del re-colo in tempi rapidi, quindi si hanno due conseguenze: viene reso disponibile più
rapidamente altro calcio per un circolo successivo, e sarà presente più calcio per il circolo successivo.
Quando si a:va la protein chinasi A si a:va una proteina chiamata fosfolambano che è associata alla
pompa per il calcio sul re-colo sarcoplasma-co chiamata SERCA. Quando il fosfolambano non è fosforilato
inibisce la pompa SERCA e la rende meno efficiente. Quando viene fosforilato il fosfolambano, l’inibizione
viene rimossa e la pompa SERCA è più efficiente. Questo ha l’effeAo di rendere più rapidamente il calcio
disponibile al ciclo successivo ed aumentare il calcio che verrà rilasciato nel ciclo successivo, entrambi i
meccanismi portano ad un aumento della contrazione.

CONTROLLO ORMONALE

La regolazione estrinseca dell’a:vità cardiaca non si aAua solo aAraverso il controllo nervoso, ma ci sono
anche altri -pi di controllo estrinseci che si aAuano sul cuore. Tan- ormoni possono variare l’a:vità del
cuore. I più importan- sono:

• adrenalina: viene rilasciata dalla midollare del surrene. Lo s-molo che induce il rilascio
dell’adrenalina è la situazione par-colare in cui il neurone pregangliare ortosimpa-co che si trova
all’interno del midollo forma sinapsi con la midollare del surrene e s-mola il rilascio di adrenalina.
Viene rilasciata sopraAuAo adrenalina ma in minima parte anche noradrenalina. Gli effe:
dell’adrenalina sul cuore sono gli stessi del sistema ortosimpa-co, aumento della frequenza ed
aumento della giAata sistolica.

• CorEcale del surrene: produce vari ormoni tra cui il cor-solo, che ha effe: vari tra cui quello di
aumentare l’a:vità cardiaca. Sembra che il meccanismo principale sia quello di andare a s-molare
la secrezione di adrenalina. Il cor-solo aumenta la secrezione di adrenalina e aumenta quindi
l’a:vità cardiaca, la frequenza e la giAata sistolica.

• Ormoni Eroidei: T3 e T4 provocano un’azione posi-va sul cuore aumentando la forza di contrazione
ma anche la frequenza, non tanto in modo direAo ma andando ad a:vare l’ortosimpa-co, invece
direAamente sono in grado di aumentare la forza di contrazione.

• Ormoni del pancreas endocrino: insulina e glucagone aumentano la giAata sistolica e la


contrazione.

CONTROLLO CHIMICO

Abbiamo delle cellule chiamate chemioce[ori che sono sensibili alle pressioni parziali di ossigeno e CO2 nel
sangue e variazioni di ques- gas provocano variazioni dell’a:vità cardiaca. Ad esempio, se cala l’ossigeno


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nel sangue, la frequenza e la forza di contrazione del cuore aumentano perché si deve espellere più sangue
nei vasi per portare più ossigeno ai tessu-. L’ossigeno influenza fortemente l’a:vità cardiaca.

METABOLISMO MUSCOLO CARDIACO

Le pompe a livello del cuore sono importan-, ma se non c’è ATP le pompe non funzionano, si distruggono i
gradien- ionici e si accumula calcio all’interno. Il cuore fa fa-ca a produrre ATP solo con processi anaerobici
come la glicolisi ma richiede un forte apporto di O2 perché il cuore ha un metabolismo aerobico. L’ATP viene
prodoAo nel caso del muscolo cardiaco con l’ossigeno perché ha un metabolismo aerobico. Per fornire
l’ossigeno sufficiente esiste il circolo coronarico delle arterie che cos-tuiscono il circolo delle coronarie che
alimentano il cuore e devono essere in grado di garan-re una maggiore quan-tà di ossigeno proporzionato
alle necessità del cuore. Le fon- da cui il cuore trae energia sono acidi grassi o glucosio. Se abbiamo
abbastanza glucosio nel sangue il cuore ricava ATP dal glucosio altrimen- intacca le riserve degli acidi grassi.
Per questo è così pericolosa la condizione di occlusione delle coronarie. Impediscono al sangue di arrivare in
quella zona e quindi anche all’ossigeno, si ha quello che viene chiamato infarto per ischemia a seguito di
scarso invio di ossigeno. Quando le cellule miocardiche non ricevono abbastanza ossigeno le cellule
inizialmente cambiano il loro funzionamento, se non producono abbastanza ATP per l’assenza di ossigeno si
a:vano delle pompe ioniche e si ha un cambiamento delle onde QRS, questo è dovuto al faAo che le
pompe ioniche non funzionano e possono portare a lungo andare anche a necrosi o apoptosi delle cellule
quindi alla perdita del tessuto cardiaco. SLIDE

FISIOLOGIA CARDIOVASCOLARE

FISIOLOGIA DELLE ARTERIE E DELLE ARTERIOLE

PRINCIPI DI EMODINAMICA

Per il singolo vaso possiamo introdurre la relazione:

Q=

Q è il flusso che passa aAraverso un singolo vaso. È il volume di sangue che fluisce aAraverso una sezione
trasversale del vaso nell’unità di tempo. Il flusso aAraverso il vaso è proporzionale a ∆P, cioè la differenza di
pressione all’estremità del vaso (Dani - voglio bene) ed è inversamente proporzionale alla resistenza che il
vaso pone al passaggio del sangue per la presenza di aArito.

Se ai capi del vaso non c’è differenza di pressione e quindi ∆P=0, il flusso sarà uguale a 0, quindi perché ci sia
il flusso ci deve essere una differenza di pressione ai la- del vaso. Il flusso dipende dal gradiente di
pressione. A parità di resistenza quello che conta è la differenza di pressione. I faAori che determinano la
resistenza:

R=

R^4 è il raggio del vaso, è la viscosità del sangue. La resistenza è proporzionale alla lunghezza del vaso,
alla viscosità del sangue ed inversamente proporzionale alla quarta potenza del raggio del vaso. La viscosità
del sangue varia a seguito del numero di eritroci- circolan-, il sangue diventa più viscoso ed incontra più
aArito. Più il vaso è grande di diametro e minore sarà la resistenza, e viceversa.


36
Il parametro maggiormente modificabile è la variazione del raggio del vaso, specialmente a livello delle
arteriole che sono in grado di far variare il raggio variando in modo significa-vo la resistenza. Se si aumenta
il raggio diminuisce la resistenza e viceversa. A parità di gradiente di pressione, il maggior flusso sarà nel
vaso con il diametro maggiore perché c’è meno resistenza. Se sos-tuiamo R (la resistenza) con la formula
precedente:

Q=Compendia tu: i faAori che influenzano la portata circolatoria (o flusso) in un vaso. Facendo variare
ques- parametri varierà anche il flusso.

A livello del circolo sistemico, partendo dal ventricolo sinistro, c’è l’aorta che si dirama in una serie di arterie
che danno origine alle arteriole che a loro volta daranno origine ai capillari. I capillari confluiscono in
venucole che confluiscono in vene sempre più grandi fino ad arrivare alle vene cave che rientrano nell’atrio
destro per riportare il sangue nel circolo polmonare. Le arterie hanno come proprietà l’elas-cità, le arteriole
sono in grado di far variare il loro diametro, importante per far variare la resistenza. Hanno un raggio
variabile. I capillari hanno la funzione di permeAere gli scambi di sostanze di gas, sostanze nutri-zie e
cataboli- per questo hanno un piccolo spessore. Le vene hanno come compito quello di raccoglie il sangue
per riportarlo al cuore.

FLUSSO EMATICO NELL’INTERO SISTEMA CIRCOLATORIO

La stessa legge del singolo vaso la si può applicare ad un intero circolo sia sistemico che polmonare. Il flusso
aAraverso il circolo sistemico o polmonare è uguale alla differenza di pressione tra l’inizio e la fine fraAo la
resistenza che il sangue incontra durante il circolo. Ci deve essere una differenza di pressione tra atrio
sinistro e atrio destro. Questa differenza di pressione viene generata ad ogni momento dal cuore. Il ∆P viene
generato dai ventricoli per meAere in movimento il sangue. Posto che ci sia un ∆P il flusso sarà direAamente
proporzionale alla resistenza. Il flusso nel circolo è il volume di sangue che passa a[raverso una qualsiasi
sezione del circolo nell’unità di tempo (al minuto).

A quanto equivale il flusso sanguigno

Il flusso sanguigno totale a qualsiasi livello della circolazione è uguale alla giAata cardiaca. Se consideriamo
ad ogni punto del circolo (in ogni sezione) al minuto il flusso totale che passa sarà uguale al volume di
sangue che viene espulso da ogni ventricolo al minuto perché è un sistema chiuso. Tanto sangue parte dal
ventricolo quanto ne si trova all’interno del circolo. Ritornerà poi la stessa quan-tà come ritorno venoso agli
atri. Per sezione si intendono tuAe le arterie, arteriole, capillari e vene. Il flusso nel circolo sistemico e
polmonare è uguale alla giAata cardiaca.

Come varia la pressione del sangue lungo il circolo sistemico

Nel ventricolo la pressione varia tra 0 e 120 mm/Mg. 120 si raggiunge nella sistole ventricolare, mentre
quando il ventricolo si rilascia la pressione va a 0. Arrivando all’aorta la pressione non varia più tra 0 e 120
ma tra 80 e 120. 80 durante la diastole ventricolare, 120 durante la sistole. Man mano che passiamo verso
le arteriole la pressione tende a smorzarsi, abbiamo un valore non oscillante di pressione, ma tende a
diminuire fortemente. Se calcoliamo una pressione deAa media a livello delle arterie questa tende
fortemente a calare man mano che il sangue procede nelle arteriole, il sangue perde energia, la forza che gli
era stata impar-ta dal cuore tende a diminuire e il sangue perde energia e perde pressione. Arriviamo alla
fine delle arteriole che la pressione è circa 37 mm/Mg. Da 93 che è quella nelle arterie scendiamo a 37 nelle
arteriole. Nei capillari perde ancora pressione e arriva a 17 mm/Mg. Dopo di che entra nelle venule e nelle
vene fino ad arrivare nelle vene cave dove la pressione è quasi 0 mm/Mg. Il sangue procedendo il circolo

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perde progressivamente pressione ed energia. Parte da un valore medio di 93 mm/Mg nelle arterie e
scende fino a 0 mm/Mg. Il gradiente di pressione lungo il circolo sistemico sarà la differenza tra la pressione
all’inizio e quella alla fine: Paorta-Patrio=93-0=93 mm/Mg. Il flusso è uguale alla giAata cardiaca perché è
uguale in tu: i pun- del circolo.

Perché la pressione diminuisce passando dalle arterie alle vene? Perché incontra resistenza che gli fa
perdere energia e pressione. Quando arriva agli atri l’ha persa di nuovo tuAa. Il sangue è inversamente
proporzionale alla resistenza che incontra, dissipa parte della sua energia e quindi cala la pressione, il
massimo del calo di pressione si ha a livello delle arteriole.

15 OTTOBRE 2019

• Il sangue scorre se presente un gradiente di pressione

• Il sangue scorre da una regione a pressione maggiore verso un’altra a pressione minore.

• Il flusso di sangue è ostacolato dalla resistenza del sistema. La resistenza è influenzata dal raggio dei
vasi sanguigni, dalla viscosità del sangue e dalla lunghezza dei vasi.

• Il flusso è espresso in L/min o mL/min

VELOCITA’ DI FLUSSO

Il flusso si misura in mL/min o L/min. è definito come il volume di sangue che viene espulso dal cuore e
aAraversa una qualsiasi sezione del circolo polmonare o sistemico nell’unità di tempo. La velocità del flusso
invece è la distanza che viene percorsa da un certo volume di sangue nell’unità di tempo.

Il flusso sarebbe il volume di acqua che aAraversa una sezione o del fiume o del lago nell’unità di tempo, si
può rappresentare graficamente come un reAangolo. Il reAangolo nel fiume di entrata è uguale a quello del
fiume di uscita. Il reAangolo che si trova nel lago sembra diverso. Però se calcoliamo l’aria del reAangolo nel
lago è uguale a quello dei due fiumi. L’area rappresenta il flusso dell’acqua. L’area dei vari reAangoli è la
stessa perché ci sarà lo stesso volume di acqua che aAraversa la stessa sezione del fiume al minuto che poi
aAraversa il lago e poi il secondo fiume. Questa quan-tà viene definita come flusso ed è rappresentata
dall’area dei reAangoli. Cambia però la velocità, cioè la distanza percorsa dall’acqua nell’unità di tempo. Nel
lago l’acqua è più calma ed ha una velocità più bassa. Stessa quan-tà di acqua ma diversa distanza.

Nel circolo sanguigno la velocità del sangue è inversamente proporzionale alla sezione totale dei vasi, cioè
alla somma delle sezioni di ogni singolo vaso. La velocità del sangue è inversamente proporzionale alla
sezione totale dei vasi. Come varia la sezione totale dei vasi? Si man-ene più o meno simile nelle arterie e
nelle vene, aumenta nelle arteriole e nelle venule e aumenta notevolmente nei capillari. La sezione
massima si ha nei capillari perché anche se hanno uno spessore di parete minore ce ne sono di più rispeAo
alle arterie e alle vene. Infa:, se la velocità è inversamente proporzionale alla sezione totale dei vasi, sarà
maggiore nell’aorta, nelle arterie e nelle vene, ma è minima nei capillari. Il lago è rappresentato dai capillari.
Questo ha un significato funzionale importante. Nelle arterie è importante che il sangue scorra veloce
perché deve arrivare ai tessu-, lo stesso nelle vene perché deve tornare al cuore, nei capillari va piano in
modo da favorire gli scambi gassosi e le sostanze nutri-zie con i vari tessu-. La velocità del flusso è
inversamente proporzionale alla sezione totale dei vasi, ed è massima nelle arterie e nelle vene e minima
nei capillari.

DIFFERENZE MORFOLOGICHE DELLE PARETI DEI VARI VASI



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La struAura della parete dei vasi è in streAa correlazione con la loro funzione. Nei vasi c’è una tonaca
inEma, una tonaca media e una tonaca esterna. Quella in-ma è cos-tuita da endotelio più tessuto elas-co,
quella media da tessuto muscolare liscio e fibre elas-che e quella esterna da tessuto conne:vo fibroso.
Quello che è sempre presente in tu: i -pi di vasi è l’endotelio, le altre componen- non sono presen- in
tu: i vasi. Nelle arterie si trova una buona componente elas-ca più che negli altri -pi di vasi. Nelle
arteriole c’è l’endotelio, non c’è una significa-va componente elas-ca ma è molto importante la
componente del muscolo liscio, sarà quello che permeAerà la dilatazione e la costrizione a seconda delle
esigenze dell’organismo. Nei capillari più so:le è la parete e meglio è perché devono favorire gli scambi,
infa: c’è solo l’endotelio, nelle venule c’è una componente fibrosa, nelle vene ci sono tuAe e quaAro le
componen- ma la componente elas-ca è più bassa rispeAo a quella delle arterie, si distendono ma hanno
meno ritorno.

ARTERIE

Dall’aorta alle grandi arterie che irrorano i vari organi. Hanno pare- spesse altamente elas-che per l’alta
presenza di fibra elas-na nel tessuto, forniscono una certa rigidità ma anche una buona elas-cità, si ha una
distensione della parete per un aumento di pressione, quando la pressione diminuisce le pare- ritornano
alla posizione originaria. Due principali funzioni svolte dalle arterie

• Vie di trasporto veloce del sangue. Le arterie sono poche quindi la sezione complessiva è bassa e
quindi la velocità è alta. Non ci sono scambi, non ci sono perdite di ossigeno, quindi il sangue può
procedere velocemente, così com’è nei polmoni arriva nei tessu-.

• Funge da serbatoio di pressione, forniscono al circolo pressione in modo con-nuo, sia quando i
ventricoli sono in sistole sia quando sono in diastole à effe[o manEce legato all’elas-cità della
parte arteriosa.

EFFETTO MANTICE QUANDO IL VENTRICOLO E’ IN SISTOLE

Il sangue va nell’aorta, la parete dell’aorta si espande perché è aumentata la pressione. Parte del sangue in
questa fase (circa un terzo) prosegue direAamente verso le arteriole senza fermarsi nelle arterie.

EFFETTO MANTICE QUANDO IL VENTRICOLO E’ IN DIASTOLE

La pressione che era stata immagazzinata nelle pare- delle arterie durante la sistole viene res-tuita al
sangue durante la diastole. Le pare- delle arterie si restringono, tornano alla posizione di partenza e danno
una forza al sangue in più per con-nuare il suo flusso, infa: durante la diastole abbiamo il progredire dei
due restan- terzi di sangue dalle arterie verso le arteriole. Questo ci permeAe di avere un flusso con-nuo di
sangue sia durante la sistole che durante la diastole perché anche quando il cuore è in diastole il sangue ha
comunque la forza per andare avan-.

PRESSIONE ARTERIOSA (CIRCOLAZIONE SISTEMICA)

La pressione arteriosa nell’aorta e nelle arterie varia tra un massimo che è la pressione durante la sistole
ventricolare a un minimo che è la pressione durante la diastole ventricolare. La pressione massima o
sistolica è 120 mm/Mg mentre la pressione diastolica o minima è 80 mm/Mg. Nel circolo polmonare la
massima è 30-40 mm/Mg ma non di più perché il circolo non è resistente. Per rappresentare l’andamento
della pressione nel tempo oAeniamo un grafico chiamato onda sfigmica che rappresenta l’andamento della
pressione da minima o diastolica alla massima o sistolica nel circolo sistemico. La flessione che si ha subito


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dopo la pressione sistolica si chiama incisura di crota ed è dovuta alla chiusura delle valvole semilunari. Il
sangue ha una specie di rimbalzo verso la valvola e aumenta un pochino la pressione nell’aorta.

La pressione arteriosa media è di 93 mm/Mg. Non è esaAamente una media tra la pressione massima e la
pressione minima, è un po' più bassa perché è più vicina alla pressione diastolica, questo perché il
ventricolo passa molto più tempo in diastole che in sistole. Nelle arterie si ha più tempo la pressione
diastolica che la pressione sistolica.

PRESSIONE ARTERIOSA MEDIA

Data la pressione minima e la pressione massima, si calcola la pressione media come la pressione diastolica
+ 1/3 della differenza tra la pressione massima e la pressione minima à 80 + 1/3 (120-80) = 93 mm/Mg

Questo è un valore importante perché è quel valore che viene monitorato a:mo per a:mo dal centro di
controllo cardiovascolare del tronco encefalico. Il centro di controllo è anche in contaAo con l’ipotalamo e
insieme tengono monitorata la pressione media nelle arterie. Per il nostro organismo è più importante il
valore della pressione media che quello della massima e della minima. La tengono tanto monitorata che se
varia meAono in aAo delle risposte compensa-ve per riportarla al valore di 93 mm/Mg.

Se la pressione scende nelle arterie al di soAo di 93 mm/Mg si parla di ipotensione. Si ha una pressione
troppo bassa e quindi il sangue non ha una forza propulsiva sufficiente o adeguata per la normale
propulsione all’interno del circolo sistemico. Il primo sintomo in caso di ipotensione è il giramento di testa,
ver-gini e svenimento, perché l’organo che ne risente di più è il cervello dato che non arriva abbastanza
sangue.

Se la pressione sale nelle arterie si parla di ipertensione. Si ha quando a riposo la pressione sistolica è sopra
i 140 mm/Mg e la diastolica sopra i 90 mm/Mg. I rischi dell’ipertensione sono:

• roAura dei vasi a livello cerebrale

• insufficienza cardiaca sopraAuAo a livello del ventricolo sinistro che è quello che alimenta il circolo
sistemico (postcarico cronico) à se c’è una pressione cronicamente elevata il ventricolo sinistro
quando è in sistole deve fare più forza del normale per superare la pressione che c’è nelle arterie. In
queste condizioni permanen- il ventricolo dopo anni si affa-ca e non riesce più a sviluppare la forza
sufficiente per la contrazione

• danneggiamento parete endoteliale dei vasi, formazione delle placche aterosclero-che

• danni ai reni

Dei farmaci contro l’ipertensione possono essere i vasodilatatori, i betabloccan- che vanno a bloccare i
receAori beta adrenergici, bloccano l’azione della noradrenalina, si diminuisce la contrazione e quindi anche
la pressione. Un'altra categoria è quella dei calcio antagonis- che vanno a bloccare i canali calcio sul cuore,
entra meno calcio, il cuore si contrae meno e si ha meno pressione. Altri mol- usa- sono i diure-ci e gli
acinibitori.

MISURA DELLA PRESSIONE ARTERIOSA

Un manicoAo gonfiabile collegato ad un manometro viene posizionato sul braccio, soAo al manicoAo viene
posto uno statoscopio per ascoltare il flusso del sangue. Con una pompeAa si aumenta la pressione nel
manicoAo fino a chiudere temporaneamente l’arteria brachiale. Dopo di che si gira una rotellina e pian

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pianino viene rilasciata la pressione ascoltando. Inizialmente si sentono dei rumori che sono dovu- al
momento in cui l’arteria brachiale comincia ad aprirsi, quello che si sente è il rumore del sangue che si
muove per flusso turbolento disordinato. Si con-nua a rilasciare la pressione, si con-nua a sen-re rumore,
ad un certo punto non si sente più, vuol dire che il vaso si è aperto completamente e il flusso non è più
turbolento ma è laminare ed è silenzioso. La prima pressione che si ascolta è la pressione sistolica perché è
più alta, il rumore che si sente quando viene applicata la pressione al braccio è la pressione sufficiente al
cuore per far passare il sangue nella streAoia, quindi si misura la pressione sistolica, scendendo si misura la
pressione diastolica quando il rumore non c’è più. La misurazione va faAa lontana dai pas-, a riposo e in
stato di rilassamento.

LE ARTERIOLE

Sono vasi estremamente importan-, derivano dalle arterie e sono vasi di diametro inferiore rispeAo alle
arterie, sulla parete non hanno componente elas-ca significa-va ma hanno una spessa componente
muscolare liscia che permeAe loro di variare il diametro. Offrono un elevata resistenza al passaggio del
sangue tanto che la pressione media cade da un valore di 93 mm/Mg ad una pressione nei capillari di
37mm/Mg, perché le arteriole oppongono un elevata resistenza al passaggio del sangue, quindi quando
arriva ai capillari ha una pressione minore. Il tessuto muscolare è innervato da fibre nervose
ortosimpa-che. Con la contrazione dello strato muscolare liscio si ha vasocostrizione e diminuisce il
diametro delle arteriole, se invece le fibre si rilassano si ha vasodilatazione e si dilatano. Se il diametro
rimpicciolisce aumenta la resistenza, se le arteriole vanno incontro a vasocostrizione aumentano la
resistenza al passaggio del sangue, viceversa con la vasodilatazione aumenta il loro diametro e quindi
diminuisce la resistenza. Variare la resistenza è importan-ssimo, per questo esistono meccanismi di
controllo del diametro delle arteriole che cambia in con-nuazione a seconda delle nostre esigenze
metaboliche, esistono quaAro diversi meccanismi di controllo del diametro delle arteriole

• Autoregolazione miogena, meccanismo intrinseco messo in opera dalle arteriole stesse

• Controllo locale da parte di sostanze lasciate nelle vicinanze della muscolatura delle arteriole
(controllo paracrino)

• Controllo estrinseco nervoso da parte del SNA in par-colare ortosimpa-co

• Ormoni, diversi ormoni sono in grado di regolare il diametro delle arteriole

Un’arteriola in assenza di s-moli esterni quale innervazione, ormoni o sostanze paracrine, ha una
muscolatura soAoposta ad una certa contrazione sua spontanea. Le fibre muscolari lisce possono
depolarizzarsi spontaneamente. Si parla di tono arteriolare, le arteriole senza s-moli esterni sono sempre
un po' contraAe. Un certo grado di contrazione tonica con-nua indipendente dagli s-moli esterni. I diversi
meccanismi che permeAono la costrizione o la dilatazione delle arterie sono quelli prima elenca-.

AUTOREGOLAZIONE MIOGENA

Se aumenta la pressione all’interno del vaso, l’arteriola inizialmente tende a dilatarsi ed espandersi, oltre un
certo punto risponde con una costrizione. Dal punto di vista cellulare sulle fibre muscolari delle arteriole
troviamo dei canali aper- dallo s-ramento di membrana, se la pressione aumenta e le fibre vengono s-rate,
i canali si aprono, fanno entrare dei ca-oni sopraAuAo sodio che depolarizzano la membrana, e questa
depolarizzazione provoca l’apertura di canali calcio voltaggio dipenden- che fanno entrare calcio, un
aumento di calcio provoca contrazione e il tessuto muscolare si contrae. Questo meccanismo è prote:vo,


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limita lo s-ramento dei vasi nel caso in cui la pressione aumen- troppo, ma sopraAuAo man-ene il flusso
costante in cer- organi anche se la pressione con-nua ad aumentare. Un aumento di pressione causerebbe
un aumento di flusso perché l’arteriola sarebbe dilatata. Se l’arteriola con-nuasse ad espandersi
aumenterebbe anche il flusso di sangue, ma ci sono due organi in cui è necessario che il flusso rimanga
costante indipendentemente dalla pressione: i reni che filtrano il sangue e la quan-tà di sangue filtrato è in
rapporto con la quan-tà di urina che viene eliminata, e l’altro organo in cui è importante che il flusso si
mantenga costante è il cervello, non può permeAersi di calare o aumentare il flusso sanguigno perché ha un
metabolismo aerobio e ha bisogno della giusta quan-tà di glucosio e ossigeno per produrre energia. Questo
meccanismo viene u-lizzato anche da altri organi ma meno importan-. Se quel certo tessuto ha bisogno
invece di molto sangue e di molto glucosio e quindi ha bisogno di un flusso elevato ci sono meccanismi che
fanno si che il vaso con-nui a dilatarsi senza vasocostrizione per far arrivare più sangue. Le esigenze
metaboliche superano ques- -pi di meccanismi.

CONTROLLO LOCALE

Consiste nella regolazione del diametro delle arteriole da parte di sostanze rilasciate nelle vicinanze,
sostanze paracrine o anche da condizioni fisiche quali temperatura, gas, ossigeno e CO2. Il freddo ad
esempio provoca vasocostrizione, vuol dire che le arteriole si contraggono, fanno passare meno sangue e si
manifesta il pallore. Il caldo invece è un agente vasodilatatore provoca rilasciamento delle cellule muscolari
lisce delle arteriole. Altri faAori che determinano vasocostrizione o vasodilatazione sono i gas. Se diminuisce
l’ossigeno o aumenta la CO2 in un tessuto si avrà vasodilatazione per far arrivare più sangue, viceversa un
aumento di ossigeno e una diminuzione di CO2 provoca vasocostrizione. Ci sono delle sostanze che
agiscono come vasodilatatori ad esempio l’accumulo di H+ a livello muscolare per la produzione di acido
la:co, fa arrivare più sangue al muscolo aAraverso le arteriole. Si può avere accumulo di potassio in un
muscolo che sta lavorando, perché durante il potenziale d’azione esce molto potassio che ha un effeAo
vasodilatatorio. Adenosina, bradichinina e prostaciclina sono sostanze vasodilatatorie, le sostanze che
causano vasocostrizione invece sono l’endotelina, sostanza prodoAa dall’endotelio sopraAuAo in caso di
danneggiamento del vaso, fa costringere l‘arteriola per limitare l’uscita di sangue e l’emorragia, oppure altri
due ormoni, la vasopressina e l’angiotensina II. Il monossido d’azoto viene prodoAo dall’endotelio e agisce
sulle cellule muscolari, è un poten-ssimo vasodilatatore e provoca il rilascio delle cellule muscolari delle
arteriole, l’istamina invece è liberata durante l’infiammazione, è quella che causa l’arrossamento perché
aumenta la dilatazione dei vasi, è un vasodilatatore. Ogni tessuto è in grado a livello locale di far allargare o
restringere le arteriole per far arrivare più o meno sangue. Questo è il meccanismo di regolazione più
importante a livello del sangue. Iperamia a;va à aumento del flusso di sangue quando il muscolo è in
a:vità.

Il flusso ema-co in questo modo si adegua al metabolismo.

SISTEMA ORTOSIMPATICO

Le fibre muscolari delle arteriole sono innervate dalle fibre ortosimpa-che che rilasceranno sulle fibre
muscolari delle arteriole noradrenalina. In questo caso però la maggior parte delle arteriole del nostro
organismo non hanno receAori β1 adrenergici ma hanno receAori α1 adrenergici. Sono sempre receAori
metabotropici accoppia- alla via della fosfolipasi C, che porta alla via dell’IP3, si produce diacilglicerolo ed
inositol trifosfato che va a legarsi sui canali che si trovano sul re-colo sarcoplasma-co provocando l’uscita di
calcio. Quando si a:vano i receAori α1 quindi si provoca il rilascio di calcio dal re-colo sarcoplasma-co,
questo provocherà la contrazione che porta infa: ad una vasocostrizione arteriolare generalizzata, perché
la maggior parte delle arteriole si restringono. Quando si a:va l’ortosimpa-co si costringono tuAe le

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arteriole, ma non è vantaggioso per alcuni organi quali il cuore. C’è un meccanismo anche per questo.
L’ortosimpa-co provoca il rilascio di adrenalina nel sangue a par-re dalla midollare del surrene, ma ci sono
degli organi che sono il cuore, il muscolo scheletrico e in parte il fegato che hanno dei receAori differen-
che si chiamano β2 adrenergici, ques- receAori si legano con grande affinità all’adrenalina e molto meno
alla noradrenalina, mentre gli α1 si legano di più alla noradrenalina rispeAo all’adrenalina. La noradrenalina
andrà a legarsi al receAore α1 in vari distre: dell’organismo provocando vasocostrizione, ma viene liberata
anche adrenalina che si lega ai β2 che si trovano sul cuore, sul muscolo e sul fegato. A livello dei β2
l’adrenalina provoca vasodilatazione. Quando si a:va l’ortosimpa-co quindi si rilascia noradrenalina
provocando vasocostrizione generalizzata, ma a livello del cuore e del muscolo provoca vasodilatazione
grazie all’adrenalina.

FUNZIONI PRINCIPALI DELLE ARTERIOLE

Le arteriole sono i vasi che oppongono maggiore resistenza all’interno del sistema vascolare, ma grazie alla
loro proprietà di poter variare la resistenza, hanno due funzioni principali:

• Controllano il flusso sanguigno nei singoli distre; e nei singoli tessu- in base alle esigenze
metaboliche del tessuto e in base a quale a:vità sta svolgendo.

• Funzione generale: consiste nel controllo della pressione arteriosa media. Si varia il diametro delle
arteriole in modo generalizzato, in mol- tessu- si varia la resistenza opposta dall’intero circuito e
questo ha un effeAo sulla pressione arteriosa media.

RUOLO DELLE ARTERIOLE NEL CONTROLLLO DEL FLUSSO LOCALE

Il circolo sanguigno sistemico è composto da varie componen-, aorta, arterie, arteriole, capillari, vene e
venule. Tu: ques- compar-men- sono dispos- in serie uno dopo l’altro. Il sangue parte dal ventricolo
entra nell’aorta, va nelle arterie, poi passa alle arteriole e così via. Il flusso che aAraversa ogni sezione del
circolo è uguale alla giAata cardiaca, quindi a riposo è uguale a 5 L/min. Se consideriamo le arteriole nel loro
insieme e facciamo una sezione di tuAe le arteriole, il volume di sangue che passa al minuto è uguale alla
giAata cardiaca. Questo vale per il circolo sia sistemico che polmonare.

C’è però anche un altro -po di organizzazione. Se consideriamo le arterie, queste tra di loro sono
organizzate in parallelo, perché dall’aorta si diramano varie arterie che raggiungeranno i vari tessu-.
Nell’ambito dei vasi di uno stesso -po le varie arterie sono disposte tra di loro in parallelo, stesso discorso
per le arteriole che derivano dalle arterie. Le varie componen- del circolo nel complesso sono in serie, ma
all’interno di un singolo -po di vaso le componen- sono in parallelo. In virtù di questo -po di
organizzazione dei vasi possiamo controllare il flusso che va ad un certo distreAo o tessuto. Il flusso in un
par-colare tessuto è inversamente proporzionale alla resistenza arteriolare in quella zona. Se in
quell’organo le arteriole sono contraAe (vasocostrizione) l’organo riceverà poco sangue, se invece sono
rilassate arriverà più sangue perché oppongono meno resistenza. Aumentando o diminuendo la contrazione
della muscolatura delle arteriole si fa arrivare più o men sangue a quel -po par-colare di organo. I 5 L/min
di sangue che entrano dal ventricolo nell’aorta devono essere ripar-- aAraverso arterie e arteriole ai vari
organi che contemporaneamente devono ricevere il sangue. Dall’aorta partono varie arterie in parallelo che
contemporaneamente portano il sangue ai vari organi. Se c’è un cambiamento, ad esempio, se aumenta
l’a:vità del muscolo scheletrico la quan-tà di sangue aumenterà in quel determinato distreAo.

La suddivisione che avviene a riposo del sangue non è proporzionale al volume degli organi. Il rene che non
ha una massa molto importante rispeAo agli altri riceve comunque molto sangue perché sono impegna-

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anche a riposo con-nuamente nella filtrazione del sangue. La quanEtà di flusso dipende dall’a;vità e dalla
necessità dei vari organi.

Possiamo cambiare la quan-tà di sangue cambiando il diametro delle arteriole in modo da variare la
resistenza che le arteriole oppongono, minore è la resistenza e maggiore è il flusso. Le arteriole per variare il
loro diametro u-lizzano diversi meccanismi, nella funzione di controllo del flusso locale, i meccanismi che
entrano più in gioco sono il controllo locale a livello paracrino legato alla variazione della concentrazione dei
gas, temperature, sostanze, metaboli- che vengono riversa- nel liquido extra. L’adrenalina ha una funzione
complessa sulle arteriole, a livello del cuore dei muscoli e del fegato si lega sui β2 provocando
vasodilatazione, in questo controllo locale a livello di ques- tessu- provoca dilatazione a livello specifico.

Le arteriole cambiano il loro diametro a seconda delle funzioni e delle necessità che ha l’organo. Il flusso
sanguigno aAraverso i singoli vasi è determinato dalla loro resistenza.

COME CAMBIA LA PRESSIONE SANGUIGNA

L’area totale del reAangolo rappresenta la giAata cardiaca, cioè il volume di sangue espulso dai ventricoli al
minuto, a riposo è 5 L/min. Quando corriamo si passa da 5 L/min a 12,5 L/min. Il cuore espelle più sangue al
minuto. I 5 L a riposo vengono ripar-- a riposo in circa il 20% ai reni, 13% all’encefalo, una minima parte al
cuore, 15% ai muscoli e così via. La ripar-zione in percentuale quando l’organismo non è a riposo varia. Le
variazioni più eviden- sono i muscoli che da un 15% ricevono il 64% del sangue, anche il cuore aumenta la
percentuale perché deve pompare più sangue e deve aumentare la giAata cardiaca. Aumenta l’afflusso di
sangue alla cute per disperdere il calore prodoAo dai muscoli nella loro a:vità. Vengono sfavorite invece le
ossa, i reni sempre entro i limi-, e viene ridoAo apporto sanguigno anche al canale alimentare. La diversa
ripar-zione la oAeniamo grazie alle arteriole, a livello cutaneo, cardiaco e muscolare le arteriole si dilatano,
a livello del canale alimentare e dei reni le arteriole si contraggono. L’encefalo riceveva 0,65 L/min e li riceve
anche durante l’a:vità fisica, il flusso di sangue all’encefalo si man-ene costante, non deve ne aumentare
troppo ne scendere soAo cer- livelli.

Come viene regolato il flusso sanguigno al cervello. Viene regolato per la maggior parte aAraverso
meccanismi locali, le arteriole che perfondano il cervello vengono regolate aAraverso meccanismi paracrini,
prova ne è che su questo principio si basano delle tecniche di indagine dello studio del cervello (risonanza
magne-ca). L’emoglobina se ossigenata o deossigenata cambia le sue proprietà magne-che, e siccome la
risonanza magne-ca viene misurata a livello dell’encefalo, il cambiamento dell’emoglobina da un segnale
che interpreta come a:vità neuronale.

Ci sono dei casi in cui interviene il sistema ortosimpa-co, se aumenta l’afflusso di sangue al cervello,
l’ortosimpa-co restringe le arteriole per evitare eventuali emorragie, normalmente il flusso che arriva al
cervello è delimitato a:mo per a:mo a seconda delle funzioni che deve svolgere il cervello. In par-colare,
il flusso totale che arriva al cervello si man-ene costante.

CONTROLLO DELLA PRESSIONE ARTERIOSA MEDIA

La somma di tuAe le resistenze che vengono opposte da tu: i vasi del circolo viene chiamata resistenza
periferica totale (RPT). La pressione cala maggiormente a livello delle arteriole perché sono invase a
maggiore resistenza, infa: RPT è dovuta sopraAuAo alle arteriole. I vasi più importan- nel determinare la
RPT sono le arteriole. Quindi:


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Andando a sos-tuire Q con GC e la pressione arteriosa media (p.a.m.) alla differenza di pressione:

Le arteriole pur avendo un grande diametro sono i vasi a maggiore resistenza perché la legge dei circui- in
parallelo dice che il reciproco della resistenza totale, è dato dalla somma dei reciproci delle resistenze. Da
questa legge deriva che la resistenza totale è minore di ognuna delle singole resistenze. Se aumentano gli
elemen- in parallelo in un circuito la resistenza diminuisce. Siccome i vasi sono dispos- in parallelo, la
resistenza totale dipende dai diametri dei singoli vasi ma anche dal loro numero. In un circuito parallelo, la
resistenza totale dipende dalla resistenza dei vasi (dal diametro dei singoli vasi) e dal loro numero. Ogni
singola arteriola avrà una resistenza più bassa rispeAo ai capillari perché pur essendo più larghe sono di
meno, i capillari invece sono mol- di più e creano minore resistenza rispeAo alle arteriole pur essendo più
piccoli di diametro. Una variazione della resistenza delle arteriole incide di più sulla resistenza totale.

Se si varia la resistenza delle arteriole si varia l’RPT. Se varia RPT, la pressione arteriosa media è uguale a:

A parità di giAata cardiaca lasciando costante GC, e aumentando RPT anche la pressione arteriosa media
aumenta. Ogni variazione della resistenza periferica totale si traduce in un aumento della pressione
arteriosa. Allora RPT è determinata sopraAuAo dalle resistenze delle arteriole, quindi un aumento di
resistenza a livello delle arteriole provoca un aumento della pressione, questo se manteniamo GC
costante. In questo modo possiamo variare la pressione modificando il diametro delle arteriole a seconda
delle necessità.

Nei vari meccanismi di controllo delle arteriole per controllare la pressione arteriosa media in questo caso
quello più importante è quello estrinseco da parte del sistema ortosimpa-co. Provoca una vasocostrizione
generalizzata liberando noradrenalina sui receAori α1. Aumenta RPT e aumenta anche la pressione. Per
oAenere un aumento di pressione aAraverso le arteriole non si varia il diametro delle arteriole nei singoli
tessu-, ma si a:va l’ortosimpa-co, aumenta RPT e quindi aumenta la pressione.

SLIDE riassunto.

RIFLESSO BAROCETTIVO

Andando a variare il diametro delle arteriole si può variare la pressione. Questo meccanismo è dato nel
riflesso baroce;vo, è un riflesso viscerale, cioè che riguarda gli organi viscerali, in par-colare cuore e vasi
sanguigni, ed ha lo scopo di controllare la pressione arteriosa media e mantenerla costante. Lo scopo
principale è quello di mantenere costante la pressione e di conseguenza l’apporto di sangue al cervello. È un
riflesso viscerale organizzato come tu: i riflessi. Il riflesso viscerale agisce su muscolatura liscia,
muscolatura cardiaca o ghiandole. L’organizzazione dei riflessi però è simile sia che siano riflessi viscerali o
riflessi motori. Entrambi i riflessi sono forma- da un elemento afferente, un elemento di elaborazione
dell’informazione sensoriale, e un elemento efferente in uscita. Ci sono delle struAure che portano delle
informazioni sensoriali verso il SNC (cervello e midollo spinale) queste struAure sensoriali prendono il nome
di struAure afferen- perché portano informazioni verso l’interno. Ci sono poi degli elemen- di
elaborazione, re-ne neurali nel SNC, che elaborano le informazioni sensoriali e decidono un’azione da
intraprendere, una risposta che viene poi realizzata aAraverso l’elemento efferente, in generale fibre
nervose che escono dal SNC e si portano verso gli organi bersaglio. La scelta decisa dal centro di
elaborazione viene messa in opera da neuroni che vanno verso gli organi e realizzano l’azione.

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RIFLESSI MOTORI

Nel caso di uno s-molo doloroso, i nociceAori captano il dolore e arriva nelle corna dorsali del midollo
spinale che fa da centro di elaborazione, una rete di neuroni elabora e decide l’allontanamento del braccio. I
neuroni in uscita che determinano il movimento del braccio sono i motoneuroni che determineranno la
contrazione dei muscoli scheletrici. I riflessi motori hanno neuroni sensoriali come elemen- motori o
afferen- e come elemen- efferen- i motoneuroni.

RIFLESSI VISCERALI

I riflessi viscerali invece che non riguardano i muscoli scheletrici, hanno degli elemen- (neuroni) sensoriali
che portano l’informazione simile ai riflessi motori al centro di elaborazione che si trova nel cervello in
par-colare nel tronco encefalico e i neuroni efferen- saranno non i motoneuroni ma il sistema nervoso
autonomo. I neuroni efferen- sono il sistema nervoso autonomo. Hanno un organizzazione simile, cambia il
centro di elaborazione e il sistema efferente.

I neuroni sensoriali del riflesso baroce:vo informano a:mo per a:mo il centro di controllo
cardiovascolare sul valore della pressione arteriosa media. La p.a.m. può essere misurata in vari pun-, ma ci
sono due pun- strategici, uno è l’arco aorEco, un altro è la biforcazione dell’arteria caroEde. Abbiamo due
arterie caro-di una dx e una sx che si portano verso l’encefalo. Nel punto a livello del collo alla base del
cranio ogni arteria caro-de si dirama in un’arteria esterna e una interna. L’esterna si porta alle struAure più
esterne sia della faccia che del cranio, le interne invece irrorano nel cranio. Questo è un punto strategico
perché se in quel punto varia la pressione varia anche la perfusione al cervello, cosa che l’organismo deve
evitare. Abbiamo dei baroceAori che sono dei neuroni a T. Il ramo periferico di ques- neuroni va ad
innervare la parete dell’aorta nell’arco aor-co, e altri baroceAori col ramo periferico si portano alla
biforcazione delle caro-di. I baroceAori sono dei neuroni a T il cui ramo periferico si porta o alla
biforcazione delle caro-di o nella parte dell’aorta. I corpi cellulari dei neuroni a T si trovano in gangli nelle
vicinanze del tronco encefalico. I prolungamen- centrali dei neuroni invece entrano nel tronco encefalico e
si portano al centro di controllo cardiovascolare che si trova nel midollo allungato nel tronco encefalico. Il
potenziale d’azione viene generato in periferia, viaggia lungo il neurone e arriva al centro di controllo
cardiovascolare. Più precisamente i baroceAori che innervano le caro-di hanno le fibre contenute
all’interno di un nervo cranico che è il nervo glossofaringeo (nono paio), i baroceAori che innervano l’aorta
hanno un prolungamento periferico e centrale che appar-ene al nervo vago (decimo paio).

I baroceAori inviano informazioni sensoriali a:mo per a:mo sul valore reale che c’è nell’aorta e nella
caro-de della pressione arteriosa. Mandano queste informazioni al centro di controllo cardiovascolare
cos-tuito sopraAuAo da neuroni che si trovano nel midollo allungato con contributo di neuroni che
appartengono all’ipotalamo. Questo centro di controllo cardiovascolare elabora una risposta sulla base di
un valore di riferimento. Se ci sono 93 mm/Mg il sistema cardiovascolare non aAua variazioni perché è il
valore standard, se invece arriva ad un valore di 120 mm/Mg bisogna riportarlo a 93, meAerà in aAo delle
azioni che porteranno la pressione di nuovo a 93. Se la pressione è diversa da quella ideale il centro di
controllo a:va il SNA. Se vogliamo diminuire la pressione perché troppo alta si a:va il parasimpa-co e si
diminuisce l’a:vazione dell’ortosimpa-co. Viceversa, se abbiamo una pressione troppo bassa, si aumenta il
peso dell’ortosimpa-co e si inibisce il parasimpa-co.

I baroceAori sono fibre nervose il cui prolungamento periferico innerva la parete dell’aorta o la parete
cardiaca. Ques- prolungamen- periferici sono sensibili allo s-ramento rapido delle pare- dei vasi. Anche la
loro membrana viene deformata e questo fa aumentare la scarica di potenziali d’azione. Se aumenta la


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pressione nell’aorta e nella caro-de, si distende la parete di ques- vasi, la distensione dei vasi provoca
deformazione della membrana dei baroceAori che aumentano il potenziale d’azione. Lo s-ramento di
membrana apre i canali da sEramento e quindi quando la parete si s-ra, la membrana si deforma, si aprono
i canali ca-onici, entrano ioni che depolarizzano la membrana e fanno par-re più potenziali d’azione. Il
codice u-lizzato dai baroceAori è quello della variazione della scarica del potenziale d’azione. Più scariche ci
sono e più la pressione è alta e viceversa. I potenziali d’azione vengono poi invia- al sistema di controllo
cardiovascolare che aAua una risposta.

Le azioni che andranno intraprese dal centro di controllo per variare la pressione richiamano le due leggi

In base a queste due equazioni il centro di controllo cardiovascolare varia la pressione, se troppo bassa
agisce sulla resistenza periferica totale che aumenterà facendo aumentare la pressione e la giAata cardiaca,
determinata a sua volta dalla frequenza e dalla giAata sistolica legata alla forza di contrazione. Si varia la
resistenza delle arteriole, la frequenza del cuore, la forza di contrazione facendo variare così la giAata
sistolica. Questo lo può fare andando ad a:vare una delle due brache del SNA. Se si a:va il sistema
ortosimpa-co oAeniamo un aumento della pressione, perché l’ortosimpa-co agisce su tu: quegli elemen-
lì e provoca un aumento della frequenza e quindi dell’a:vità cardiaca. Fa aprire più canali funny, provoca un
aumento della giAata sistolica perché fa entrare più calcio nella cellula (effeAo inotropo posi-vo). MeAendo
insieme i due faAori abbiamo un aumento della giAata cardiaca. Se aumenta GC aumenta la pressione. Ma
non basta, l’ortosimpa-co provoca una vasocostrizione arteriolare generalizzata, restringe arteriole in vari
distre:, aumenta la resistenza periferica totale e provoca un aumento della pressione. Viceversa, se la
pressione è elevata si a:va il parasimpa-co ed inibisce l’ortosimpa-co. Il parasimpa-co agisce solo sulla
frequenza, diminuisce la frequenza cardiaca, ma provoca una diminuzione della giAata cardiaca e quindi
anche della pressione.

Una situazione molto frequente del riflesso baroce:vo è quello dell’ipotensione ortostaEca, rappresenta la
diminuzione di pressione che abbiamo quando passiamo da una posizione supina ad una posizione ereAa. I
baroceAori misurano una diminuzione di pressione quando ci si alza perché il sangue si accumula verso il
basso grazie alla forza di gravità, quando ci si alza c’è più sangue che si trova agli ar- inferiori che a livello
superiore, in questo modo alla testa arriva meno sangue. Questo segnale viene captato dai baroceAori che
sentono che è diminuita la pressione perché diminuisce la scarica di potenziale d’azione e questo segnale
viene mandato al centro di controllo cardiovascolare che per non far svenire l’individuo a:verà
l’ortosimpa-co andando ad aumentare la frequenza, la giAata sistolica e a costringere le arteriole
aumentando la resistenza periferica andando ad inibire il parasimpa-co.

I baroceAori rispondono a livello delle variazioni rapide del cambiamento di pressione. C’è invece un
adaAamento di questo sistema per le variazioni lente. Se una variazione è lenta il sistema si adaAa a ques-
valori e non li compensa, non serve più e bisogna intervenire con i farmaci.

Il quarto elemento che determina la variazione della pressione arteriosa media è la volemia, cioè il volume
del sangue. Un aumento di volemia causa un aumento di pressione arteriosa media e viceversa, una
diminuzione di volemia causa una diminuzione di pressione. (disidratazione, emorragia), l’aumento di
volemia invece è più raro. Le condizioni cri-che sono la disidratazione e l’emorragia.


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L’elemento afferente nella maggior parte dei casi è un neurone sensibile a s-moli sensoriali che porta le
informazioni verso il midollo spinale. Nella via afferente ci sono sempre vie nervose che portano i segnali,
può essere un vero neurone o può essere una cellula comunque sensoriale che comunica con un neurone
che porta poi l’informazione al SNC. Nella via efferente la maggior parte sono neuroni (motoneuroni nel
caso dei riflessi meccanici), ma ci possono essere dei casi in cui la via efferente non è mediata da neuroni
ma da ormoni, ci può essere ad esempio un riflesso che può far liberare la vasopressina.

VOLUME EMATICO O VOLEMIA

La regolazione della pressione arteriosa può essere regolata agendo su quaAro parametri:

• giAata cardiaca e quindi GS e frequenza

• resistenza periferica totale delle arteriole

• volemia

L’aumento della GC o della RPT o della volemia, provocano un aumento della pressione, viceversa la
diminuzione di ques- parametri porta alla diminuzione della pressione. La regolazione della GC e della RPT
avviene aAraverso il sistema nervoso autonomo, in par-colare per la GC e la RPT si a:va l’ortosimpa-co,
per diminuire la frequenza e quindi la GC si a:va il parasimpa-co.

La volemia invece può variare in caso di disidratazione, di emorragia o in caso di inges-one di grande
quan-tà di liquidi. Se si suda tanto l’organismo si disidrata specialmente nell’anziano e nei bambini. La
volemia diminuisce e la pressione si abbassa. Il nostro organismo cerca di intervenire e quindi il primo
meccanismo che recluta per contrastare l’abbassamento di pressione è il riflesso baroce:vo. All’anziano
verrà aumentata la frequenza e la forza di contrazione aAraverso l’ortosimpa-co in modo da compensare
l’abbassamento di pressione. Il riflesso baroce:vo può risolvere o compensare la diminuzione di pressione,
ma non risolve il problema, la disidratazione rimane, quindi nel tempo un modo un po' più lento entreranno
in gioco dei meccanismi a livello renale che cercheranno di compensare la disidratazione, produrranno delle
urine più o meno diluite a seconda di quanto liquido dobbiamo eliminare. In questo caso, quindi in caso di
disidratazione si produrrà urina concentrata in modo da risparmiare liquidi e riportare la volemia a valori
normali, in questo modo riaumenta anche la pressione. Il riflesso baroce:vo interviene istantaneamente e
salva il problema della pressione e della perfusione nel cervello, ma non risolve il problema della
disidratazione, per quello interviene il rene anche se sarà molto più lento.

MECCANISMI DI REGOLAZIONE DELLA P.A.M.

• Regolazione a breve termine aAuata rapidamente dal riflesso baroce:vo con azione sul SNA.

• Regolazione a lungo termine: coinvolge l’a:vità del rene che però richiede più tempo.

Un altro meccanismo per aumentare la pressione in caso di disidratazione è quello di indurre la sete, ci
induce a introdurre liquidi per aumentare la volemia e di conseguenza la pressione. Ci sono dei centri della
sete a livello dell’ipotalamo che ci inducono a bere.

La pressione arteriosa media è quindi regolata da:

• Volemia, data da assunzione o perdita di liquidi

• frequenza cardiaca

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• giAata sistolica

• diametro delle arteriole

• diametro delle vene

ci sono però anche altri faAori e meccanismi di controllo che possono influire sulla pressione.

RIFLESSI O MECCANISMI CHE SONO IN GRADO DI INFLUENZARE LA P.A.M.

• Cellule chiamate rece[ori di volume atriali, cellule poste a livello degli atri che sono in grado di
sen-re e rispondere alle variazioni di sangue, cioè alle variazioni di volemia. AAraverso ques-
receAori il centro cardiovascolare viene informato sul volume di sangue e meAe in opera delle
risposte per andare ad influenzare la pressione. Se i receAori sentono che è aumentata la volemia e
quindi la pressione lo comunicano al centro di controllo cardiovascolare che diminuisce poi la
pressione stessa. Gli stessi receAori vengono a:va- anche nel momento in cui varia l’osmolarità dei
liquidi extracellulari, se aumenta viene sen-ta dai receAori nell’ipotalamo e vengono messe in aAo
delle risposte per ritornare all’osmolarità normale dell’organismo. Se l’osmolarità aumenta o
diminuisce è un pericolo per le nostre cellule.

• Concentrazioni di ossigeno nel sangue. Se diminuisce la pressione parziale di O2 nel sangue viene
risen-to da cellule chiamate chemioreceAori, viene mandata l’informazione al SNC e vengono
messe in aAo delle risposte per aumentare la pressione arteriosa media perché se abbiamo meno
ossigeno nel sangue arriva anche meno ossigeno ai tessu-.

• Emozioni: hanno influenza sulla pressione. Se siamo in uno stato di paura o di agitazione a:viamo
l’ortosimpa-co e che porterà ad un aumento della pressione. Alcune persone di fronte a
determinate immagini o esperienze svengono perché si verifica un riflesso vasovagale che influisce
sul nervo vago, all’interno del nervo vago sono contenute le fibre del sistema nervoso
parasimpa-co, ma se si a:va il parasimpa-co cala la frequenza e quindi cala anche la pressione.

• Termoregolazione. Nei mesi caldi la pressione è più bassa, mentre nei mesi freddi è più alta. Questo
avviene perché se siamo al caldo i vasi della cute vengono dilata-, si ha vasodilatazione delle
arteriole cutanee, ma se abbiamo vasodilatazione cambia anche la resistenza che tenderà a
diminuire. Al caldo quindi la resistenza diminuisce e quindi diminuisce anche la pressione, viceversa
per il freddo.

• A;vità fisica, la pressione aumenta, non tan-ssimo perché ci sono mol- meccanismi che entrano
in gioco, però si ha in generale un moderato aumento di pressione arteriosa media. Quando
facciamo a:vità fisica abbiamo a:vazione dell’ortosimpa-co, questo serve a vari scopi tra i quali
aumentare l’a:vità cardiaca. Aumenta GC si provoca una vasocostrizione generalizzata ad opera
dell’ortosimpa-co ma avremo vasodilatazione nel muscolo e nel cuore grazie all’adrenalina.

IPERTENSIONE

Si verifica quando la pressione diastolica è superiore a 90 mm/Mg e la sistolica a 140 mm/Mg a riposo.
Solitamente si manifesta dopo i 45-50 anni, in generale si parla di ipertensione secondaria o primaria.

• L’ipertensione secondaria è dovuta ad altre patologie a livello di altri organi come patologie renali,
se c’è un eccessivo riassorbimento di sodio si può avere ipertensione. Molto più raro è il caso del


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feocromocitoma, una patologia endocrina che provoca ipertensione in cui si manifesta un tumore in
un punto par-colare che provoca un eccesso di un certo ormone. Il punto par-colare è la ghiandola
surrenale in par-colare nella parte midollare e l’ormone prodoAo in eccesso sarà l’adrenalina. Un
eccesso di adrenalina aumenta in eccesso la giAata cardiaca e quindi la pressione. Ci sono patologie
a carico del centro di controllo cardiovascolare.

• L’ipertensione primaria è dovuta ad alterazione o dell’apparato cardiovascolare o di meccanismi di


ormoni che influenzano l’a:vità dell’apparato cardiovascolare. Ad esempio, un’eccessiva
assunzione di sale facilita l’ipertensione, sembra che ci siano sogge: più o meno sensibili alla
ritenzione di sale. Scarsa assunzione di potassio e calcio, se manca il potassio si manca di più
l’effeAo del sodio e diminuisce la pressione. Altre anomalie sono a livello cardiaco nei vasi lega- a
trasportatori come la pompa sodio potassio, sono lega- ad un ormone che alterano la pressione,
uno può essere l’angiotensina II, queste anomalie vasoa:ve a livello locale variano il diametro delle
arteriole, o anche l’ossido di azoto che è un dilatatore e quindi diminuisce la pressione. Poco ossido
di azoto porta a maggiore resistenza e aumenta la pressione. In ques- casi può entrare in gioco
anche l’ipera:vazione dell’ortosimpa-co che può portare a vasocostrizione o ad un aumento della
pressione.

TRATTAMENTO IPERTENSIONE

• Adeguare lo s-le di vita

• Adeguare la dieta e quindi ridurre sia il sodio, sia le calorie

• TraAamento farmacologico, vengono presi dei farmaci per tuAa la vita che tengono soAo controllo
la pressione perché il sistema baroce:vo non riesce più a compensare.

I tra[amenE farmacologici sono vari a seconda del -po di farmaco. I diureEci ad esempio aumentano
l’eliminazione di urina, abbasseranno quindi la volemia e di conseguenza la pressione. Gli α o βbloccan-
bloccano i receAori o α1 sulle arteriole o β1 a livello cardiaco. Se si prendono ques- farmaci si blocca
l’azione del sistema ortosimpa-co e si inibisce di conseguenza anche l’azione dell’ortosimpa-co sul cuore e
sulle arteriole, quindi la pressione diminuisce. I farmaci calcio antagonisE bloccano i canali calcio voltaggio
dipenden-, li troviamo sia nella muscolatura sia a livello dei vasi, minore sarà il calcio in entrata e minore
sarà la contrazione. Come conseguenza diminuisce il livello di contrazione del cuore, delle arteriole e
diminuisce la pressione. Gli ACE-inibitori e i monossido d’azoto donatori aumentano la concentrazione di
monossido d’azoto che serve a dilatare le arteriole.

Nell’ipertensione cronica il riflesso baroce;vo si ada[a al nuovo valore di pressione quindi non entra più
in a[o e bisogna intervenire con i farmaci.

FISIOLOGIA DEI CAPILLARI E DELLE VENE

Le arteriole e le venule sono collegate tra loro da un’estesa rete di capillari. A livello dei capillari, il flusso di
sangue ha una velocità molto bassa e questo è molto importante poiché consente efficien- scambi di O2 e
sostanze nutri-zie. Oltre ai capillari esiste anche un vaso di dimensioni maggiori che si chiama metarteriola
che collega direAamente l’arteriola alla venula. Esiste un meccanismo di regolazione per cui quando il
tessuto è a riposo, in varie porzioni del tessuto si può avere un passaggio direAo del sangue dalle arteriole
alle venule (anche se in parte passerà sempre nei capillari). Se invece il muscolo è in a:vità il sangue viene
diroAato ai capillari oltre che alle metarteriole, in modo che ci sia una maggiore perfusione del tessuto e un


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maggiore arrivo di ossigeno. Questo viene faAo aAraverso dei piccoli sfinteri che si trovano nei pun- di
passaggio tra arteriole e capillari. Se il sangue deve andare solo nella metarteriola gli sfinteri si chiudono, se
invece il sangue deve passare aAraverso tuAo il sistema e aAraverso tuAa la rete di capillari gli sfinteri si
aprono.

CAPILLARI

Ci sono diversi faAori che facilitano la diffusione di sostanze e gas aAraverso la parete dei capillari.

➢ Hanno una parete cos-tuta da solo endotelio, questo permeAe una piccolissima distanza tra il
sangue e le cellule che si trovano all’esterno. La parete dei capillari è molto so:le cos-tuita da un
singolo strato di cellule endoteliali, questo facilita gli scambi ed avendo un’estesa ramificazione
arrivano vicinissimo a tuAe le cellule.

➢ Hanno un’area totale disponibile molto elevata, poiché anche se piccoli sono molto numerosi. La
velocità del sangue è inversamente proporzionale alla sezione totale dei vasi, quindi la velocità è
molto bassa e questo favorisce gli scambi.

GRADI DI PERMEABILITA’ NEI CAPILLARI

Ci sono varie categorie di capillari che variano per struAura e per grado di permeabilità. Questo dipende
dalla struAura della parete:

Capillari conEnui: li troviamo in vari -pi di tessu- (scheletrico, polmonare etc.). Tra una cellula endoteliale e
l’altra ci sono dei pori piccolissimi ripieni di acqua, sono delle giunzioni tra le cellule endoteliali che però
non sono occluden- e non bloccano completamente il passaggio, hanno una certa permeabilità quindi
possono comunque passare acqua e piccoli solu-.

Capillari encefalici: sono un’eccezione poiché hanno una parete scarsamente permeabile. Nel cervello
abbiamo dei capillari in cui le cellule endoteliali sono unite tra loro da giunzioni occluden- che hanno una
bassissima permeabilità. I capillari encefalici formano quella che si chiama barriera ematoencefalica,
avendo la parete scarsamente permeabile formano una barriera al passaggio di sostanze dal sangue
all’esterno o viceversa. Sono i capillari con la minima permeabilità.

Capillari fenestraE: hanno dei pori più ampi che lasciano passare ampi volumi di liquido, ques- li troviamo
sopraAuAo negli organi coinvol- fortemente nei meccanismi di trasporto (rene e intes-no).

Capillari sinusoidi: hanno la massima permeabilità. Li troviamo nel fegato e nella milza con ampie
fenestrature che possono far passare grandi molecole.

BARRIERA EMATOENCEFALICA

Abbiamo vari sistemi di difesa del sistema nervoso che ci proteggono da danni di -po meccanico e chimico.

• Il cranio e le vertebre sono sistemi di protezione

• Le meningi sono delle membrane che avvolgono cervello e midollo spinale e li proteggono

• All’interno delle meningi è presente un liquido chiamato liquido cefalorachidiano le cellule


galleggiano nel liquido e serve anche per aAu-re gli ur-.

• Barriera ematoencefalica

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La barriera ematoencefalica è cos-tuita dalle pare- dei capillari in cui le cellule sono unite da giunzioni
occluden-. La maggior parte delle cellule deve passare quindi per via transcellulare. Solo le sostanze che
possono aAraversare le membrane delle cellule endoteliali possono entrare o uscire dalla barriera
ematoencefalica. Le sostanze che passano dal sangue ai neuroni sono i gas perché sono lipofili e riescono ad
aAraversare le membrane per diffusione passiva. L’acqua riuscirà a passare perché le cellule endoteliali sono
dotate di acquaporine, riesce a passare anche il glucosio grazie a dei trasportatori di membrana. Ci sono vari
meccanismi di trasporto per le sostanze nutri-zie come piccoli pep-di, uno è il trasporto vescicolare. Molte
altre sostanze invece vengono fermate: neurotossine, agen- microbici, etc. Anche il trasporto ionico è
molto controllato, se nel sangue aumenta molto il potassio i capillari del cervello vanno a selezionare gli
ioni. La barriera ematoencefalica protegge i neuroni da sostanze che possono essere tossiche e da variazioni
dell’ambiente extracellulare in termini di gradiente ionico, acidità, variazioni di pH, o ormoni che possono
variare l’a:vità neuronale. Lo svantaggio è che grazie alla barriera mol- farmaci fanno fa-ca a passare e
quindi devono essere create molecole o che passino la barriera o che vengano legate a par-celle che
favoriscono il passaggio.

La barriera ematoencefalica è cos-tuita non solo dalla parete dei capillari, nella parte esterna del capillare
troviamo delle cellule chiamate periciE che sono associa- alle cellule endoteliali, sono nelle vicinanze delle
cellule endoteliali sul lato esterno, sembra che servino a regolare la permeabilità della parete dei capillari
encefalici. Altri elemen- che regolano la permeabilità dei capillari sono anche gli astrociE che hanno i
prolungamen- che prendono contaAo con le cellule endoteliali e ne variano la permeabilità. AAraverso gli
spazi tra una cellula e l’altra qualche sostanza riesce comunque a passare.

SISTEMI DI TARSPORTO ATTRAVERSO I CAPILLARI

Le sostanze per passare aAraverso la parete dei capillari u-lizzano tre sistemi di trasporto:

• diffusione

• transcitosi

• flusso di massa

DIFFUSIONE

Un meccanismo per cui le sostanze si muovono secondo il loro gradiente di concentrazione, o nel caso dei
gas, secondo il lor gradiente di pressione parziale. Questo meccanismo consente alle singole sostanze che
possono essere gas o ioni, di passare dal sangue all’esterno dei capillari secondo il loro gradiente. Se
parliamo di O2 e CO2 riescono facilmente ad aAraversare le membrane plasma-che. Se c’è più ossigeno nel
sangue che all’esterno, si porta per diffusione aAraverso le membrane prima interna e poi esterna nel
liquido inters-ziale. Anche le sostanze lipofile possono aAraversare liberamente le membrane, ad esempio
l’etanolo. Altre sostanze polari idrofile sono il glucosio, gli aa, gli ioni. Se ci sono dei pori come nei capillari
con-nui, parte di queste sostanze riescono ad aAraversare la parete oppure possono avere dei trasportatori
che trasportano ioni e piccoli solu- all’esterno della parete.

TRANSCITOSI

Altre sostanze possono essere piccole proteine o proteine scambiabili che u-lizzano invece la transcitosi
aAraverso un trasporto vescicolare, all’interno del sangue però rimangono sempre le proteine plasma-che
che normalmente non aAraversano la parete dei capillari. Prevede endocitosi ed esocitosi aAraverso le


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membrane. Normalmente le proteine plasma-che in condizioni fisiologiche non aAraversano la parete
capillare se non in minime quan-tà.

FLUSSO DI MASSA

Il flusso di massa è il movimento di un volume di plasma privo di proteine plasma-che che si muove dal
sangue verso i tessu-, questo processo prende il nome di filtrazione, si mescola con il tessuto inters-ziale, e
segue un movimento opposto, il liquido composto da acqua e solu- si risposta poi verso l’interno del
capillare con un processo che si chiama riassorbimento. Il liquido extracellulare è composto da liquido
inters-ziale più plasma. Il liquido inters-ziale presenta l’80% del liquido il plasma il 20%. Liquido inters-ziale
e plasma aAraverso il flusso di massa sono collega- tra di loro perché un certo volume di plasma esce si
mescola con il liquido inters-ziale e rientra nei capillari. Il flusso di massa regola la distribuzione del liquido
extracellulare tra il plasma e il liquido inters-ziale. Questo meccanismo è importante non per le necessità
metaboliche ma per regolare la distribuzione del volume del liquido extracellulare e del plasma, infa: i
solu- sono trasporta- in quan-tà abbastanza piccole, la maggior parte è acqua. Questo avviene perché ci
sono delle forze fisiche o delle pressioni che agiscono sul plasma e sul liquido inters-ziale provocando prima
l’uscita di liquido e poi di nuovo il rientro. Queste forze vengono chiamate forze di Starling.

I capillari che originano dalle arteriole inizialmente possono essere defini- capillari arteriosi perché
contengono sangue ossigenato ricevuto dalle arteriole. Man mano che il sangue percorre i tessu- cede
l’ossigeno, si carica di CO2 e da capillari arteriosi diventeranno capillari venosi. Nel flusso di massa la
filtrazione prevale nei capillari arteriosi mentre il riassorbimento prevale nei capillari venosi. Negli arteriosi
il liquido tende a uscire, nei capillari venosi il liquido rientra. Si ha filtrazione neAa all’estremità arteriosa e
riassorbimento neAo all’estremità venosa. C’è l’equilibrio di quaAro forze di Starling che agiscono all’interno
e all’esterno dei capillari e che determinano il flusso di massa:

• Pressione idrostaEca capillare (Pcap), la prima pressione che determina il flusso di massa, è la
pressione del sangue all’interno dei capillari che non è stata ancora persa del tuAo. La pressione
all’inizio dei capillari è di circa 37 mm/Hg. All’estremità venosa invece un po' di pressione viene
persa a causa della resistenza dei capillari e quindi da 37 all’inizio dei vasi si arriva all’estremità
venosa di 17 mm/Hg. La Pcap provoca la fuoriuscita del liquido dai capillari verso l’esterno, è una
pressione esercitata dal sangue sulla superficie interna del capillare, causa l’uscita del liquido e varia
tra l’estremità arteriosa e la venosa.

• Pressione oncoEca plasmaEca o pressione colloidosmoEca (πcap) è determinata dalla presenza di


proteine plasma-che all’interno del plasma che non riescono ad uscire dai capillari ed esercitano
una pressione osmo-ca. Questa pressione richiama liquido verso l’interno. Il valore della pressione
onco-ca è di 25 mm/Mg ad entrambe le estremità perché le proteine non cambiano tra un
estremità e l’altra.

• Pressione idrostaEca del liquido intersEziale (Pi), è la pressione che il liquido esercita sulla parete
dei capillari dall’esterno verso l’interno, questa pressione però è molto bassa (1mm/Mg), ed è
direAa verso l’interno, fa entrare un pochino di liquido.

• Pressione oncoEca del liquido intersEziale (πi), esercitata dalle proteine plasma-che nel liquido
inters-ziale, non ci dovrebbe essere perché le proteine non devono uscire dai capillari, se escono
provocano una pressione che richiamano liquido verso l’esterno (formazione dell’edema).


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Queste forze servono per calcolare le pressioni neAe che agiscono sul liquido all’estremità venosa e
all’estremità arteriosa. Si sommano tra di loro le pressioni che hanno lo stesso senso e si calcola la
differenza.

Estremità arteriosa. Somma delle forze che spingono fuori il liquido:

A queste si soArae la somma di quelle che richiamano il liquido verso l’interno

Quindi: -

• È una forza che spinge il liquido verso l’esterno e produce il fenomeno della filtrazione, mo-vo per
cui all’estremità arteriosa prevale la filtrazione, perché c’è una forza direAa verso l’esterno di 11
mm/Mg.

Estremità venosa.

= .

Quindi: =
• All’estremità venosa la forza risultante ha segno opposto a quello di prima quindi anziché prevalere
l’uscita, prevale l’ingresso del liquido nel sangue. La forza è direAa verso l’interno ed è più bassa
rispeAo a quella direAa verso l’esterno. All’estremità venosa prevale quindi il fenomeno del
riassorbimento

Dall’estremità arteriosa verso la venosa, all’inizio abbiamo molta filtrazione, poi comincia a diminuire finché
all’estremità vicino alle venule inizia il fenomeno del riassorbimento che sarà massimo all’estremità venosa.

In un giorno abbiamo l’uscita di 20 L di liquido per processo di filtrazione e di ques- 20 L non tu:
rientreranno nei capillari venosi perché la forza in entrata è più bassa di quella in uscita, infa: ne vengono
recupera- solo 17, gli altri 3L non vengono persi ma vengono rimossi dal sistema linfa-co che poi li ricede di
nuovo al sangue nel circolo venoso. Se questo meccanismo non funziona bene si ha quello che si chiama
edema. Se i 20L non vengono tu: riassorbi- e si accumulano nello spazio inters-ziale si parla di edema.
L’edema è pericoloso a livello cerebrale e polmonare perché aumenta la distanza tra capillari e le cellule e
quindi vengono ostacola- i processi di scambio, primi fra tu: quello dei gas. L’accumulo di liquido
compromeAe gli scambi gassosi tra capillari e tessu-. Questo meccanismo è importante per regolare la
distribuzione rela-va di plasma e liquido inters-ziale. Il vantaggio di questo meccanismo è che è molto
rapido, si può far passare velocemente liquido inters-ziale dai capillari all’esterno e viceversa. Lo possiamo
u-lizzare ad esempio quando ci sono delle variazioni di volume sanguigno. Se il volume del sangue cambia,
cambia anche la pressione arteriosa, il nostro organismo cerca di tamponare la variazione di volemia
ridistribuendo i liquidi andandoli a prendere dall’esterno, se è diminuito il volume. Nel caso di un’emorragia
per esempio il volume del plasma si riduce, si vanno a prendere i liquidi dalla prima sorgente che si trova
fuori. Se si riduce il volume plasma-co nei capillari si è ridoAa la pressione, e quindi avremo una
diminuzione della Pcap all’estremità arteriosa che determina la filtrazione, se si riduce la Pcap diminuisce


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anche la filtrazione, meno liquido esce dai capillari e meno liquido viene preso dall’esterno, in questo caso si
diminuisce il processo di filtrazione aumentando quello di riassorbimento e facendo entrare il liquido
dall’esterno verso l’interno. Viceversa, se il volume plasma-co si è espanso eccessivamente è aumentata la
volemia che causa un aumento di pressione. Se aumenta la pressione aumenta anche la Pcap, avremo
quindi un aumento della filtrazione rispeAo al normale che elimina il plasma in eccesso e lo porta fuori. È un
meccanismo di compensazione istantanea e temporanea, la prima che viene messa in opera. Dopo entra in
gioco anche il riflesso baroce:vo, con tempi più lunghi ci sarà la compensazione renale, quindi verranno
traAenu- più liquidi in modo da espellere meno urina e riaggiustare la volemia.

VASI LINFATICI

Il sistema linfa-co drena i 3L di liquido al giorno che non vengono riassorbi- dai capillari. Il sistema linfa-co
come il sistema dei vasi sanguigni è formato da vasi più piccoli vicino ai capillari che si chiamano vasi
linfaEci iniziali, ques- confluiscono in vasi maggiori che si chiamano vasi colle[ori i quali a loro volta
confluiscono in due do;, grossi vasi linfa-ci che coinvolgono la linfa del sistema linfa-co da tuAo
l’organismo. La linfa inizialmente è nei vasi iniziali, poi nei colleAori ed è poi raccolta da ques- due grandi
do: che poi sboccano nelle vene del collo, quindi la linfa viene riversata nel circolo venoso, per questo i 3L
non vanno persi. I due do: sono uno toracico o do[o linfaEco sinistro e un do[o linfaEco destro. Le aree
del corpo che vengono drenate dai due do: sono per il doAo toracico la linfa dagli ar- inferiori,
dall’addome, dal torace di sinistra e dalla parte di sinistra del capo, la restante parte viene drenata dal doAo
linfa-co destro. La linfa ha un aspeAo giallognolo perché ha una composizione simile al sangue ma senza
globuli rossi, sono presen- i globuli bianchi, proteine e solu- e il colore giallognolo è dato dai lipidi, una
delle funzioni del sistema linfa-co infa: è quella di caAurare i lipidi che sono sta- assorbi- a livello
intes-nale e portarli nel sangue. I vasi iniziali hanno una struAura simile al capillare, hanno una parete
formata da sole cellule endoteliali, ma l’estremità delle cellule endoteliali sono sovrapposte l’una all’altra
come delle tegole, si dice che sono delle cellule endoteliali imbricate. In ques- pun- in cui c’è la
sovrapposizione dei due lembi, le cellule endoteliali possono distanziarsi, aprirsi generando delle aperture
che possono far entrare il liquido inters-ziale. Sono aperture abbastanza grandi perché aAraverso ques-
pori possono passare anche proteine plasma-che che erano uscite dai capillari o elemen- cellulari. Il
sistema linfa-co ha diverse funzioni:

• Determina il ritorno del fluido filtrato in eccesso verso il circolo venoso (ristabilisce il volume
plasma-co)

• Difende l’organismo dai patogeni (ingrossamento dei linfonodi)

• Trasporto dei lipidi assorbiE nel canale alimentare. I lipidi escono dalle cellule intes-nali
soAoforma di par-celle che prendono il nome di chilomicroni. I chilomicroni sono lipofili, escono
dalla cellula intes-nale e qui trovano o i capillari o i vasi linfa-ci iniziali. Il chilomicrone è troppo
grosso per entrare nei capillari sanguigni ma riesce ad entrare nei vasi linfa-ci iniziali e vengono
trasporta- poi nel sistema venoso.

• Ritorno delle proteine plasmaEche e di altri soluE filtraE che erano usciE dai capillari.

STRUTTURA DEI VASI LINFATICI

Nei vasi iniziali i lembi delle cellule adiacen- cos-tuiscono quelle che si chiamano valvole primarie. Ci sono
due -pi di valvole primarie e secondarie. Le cellule endoteliali dei vasi iniziali sono collegate a delle fibre
che si trovano nella matrice aAraverso dei filamen- di collagene di ancoraggio. Se aumenta il liquido

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all’esterno succede che le fibre della matrice si distendono provocando lo s-ramento dei filamen- di
collagene che provocano a loro volta l’allontanamento delle cellule endoteliali che si spostano verso
l’esterno e si allontanano l’una dall’altra aprendo i pori, si apre il poro in mezzo e può entrare il liquido,
ques- lembi cos-tuiscono quindi delle valvole che si aprono quando aumenta il liquido all’esterno e quindi
anche la pressione. Man mano che il liquido entra diminuisce la pressione esterna ed aumenta all’interno, i
due lembi delle cellule tornano ad essere sovrappos- e si chiudono in modo che il liquido non riesca.
Valvole unidirezionali primarie, fanno entrare il liquido ma non lo fanno uscire. Le valvole secondarie si
trovano nei vasi colleAori, hanno una parete cos-tuta da cellule endoteliali ma anche muscolari. I vasi
colleAori sono divisi in segmen-, ogni segmento si chiama Lymphangion, i segmen- sono divisi tra loro da
valvole secondarie, rappresentate da cellule endoteliali che formano due lembi nel lume del vaso colleAore.
Queste valvole se aumenta la pressione della linfa prima della valvola, la valvola si apre, la linfa passa, se
aumenta la pressione nel segmento a valle dopo la valvola, la valvola si richiude. Le valvole sono importan-
per garan-re la unidirezionalità, fare in modo che la linfa non torni indietro. In questo modo il liquido
inters-ziale passa nella linfa e viene faAo progredire verso i vasi colleAori e i do: in una sola direzione. La
linfa per andare nei do: toracici e poi nel sistema venoso u-lizza la contrazione muscolare. Quello che
favorisce il ritorno della linfa verso i vasi superiori è l’a:vità dei muscoli scheletrici. La contrazione dei
muscoli oltre ai movimen- dei tessu- indo: da ques- organi favoriscono la propulsione della linfa nei vasi
prima iniziali poi colleAori e così via. I vasi colleAori hanno delle fibre muscolari nella parete che hanno una
loro a:vità miogena intrinseca, questo favorisce anche la progressione della linfa (pompa linfaEca), nel
caso dei muscoli scheletrici si parla di pompa muscolare. Inoltre, i vasi colleAori sono innerva- dal sistema
ortosimpa-co che determina contrazione e favorisce l’a:vità della pompa linfa-ca.

Meccanismi paracrini di alcune sostanze che possono aumentare o diminuire il flusso della linfa. Il sistema
linfa-co ha una struAura simile a quella del circolo sanguigno, presenza di valvole per l’unidirezionalità, ma
non avendo il cuore occorrono della presenza di una pompa muscolare, una pompa linfa-ca e il sistema
ortosimpa-co.

EDEMA

Se ques- sistemi non funzionano bene ci può essere l’accumulo del liquido inters-ziale nei tessu- che
prende il nome di edema. L’edema può essere generalizzato quando c’è accumulo di liquido in tuAo
l’organismo o l’edema locale che è localizzato solo in una parte del corpo. Il liquido viene filtrato più
rapidamente di quanto viene riassorbito. Ci sono diverse cause:

• Aumento della filtrazione capillare: situazioni che determinano ipertensione, insufficienza renale,
non vengono elimina- i liquidi, aumenta la volemia e aumenta la pressione, aumenta la Pcap ed
aumenta la filtrazione. Ci sono sostanze come l’istamina che aumentano la permeabilità dei
capillari, esce più liquido del normale ed aumenta la filtrazione. La persona che sta in piedi
immobile sfavorisce il ritorno aAraverso il sistema linfa-co ma anche aAraverso il sistema venoso.
Se c’è uno sbilanciamento tra i due ventricoli si accumula sangue nel circolo polmonare ed aumenta
la filtrazione a livello dei polmoni à edema polmonare.

• Diminuzione del riassorbimento capillare. Una delle cause principali è la carenza di proteine
plasma-che. Se ci sono meno proteine diminuisce la pressione colloidosmo-ca che richiama il
liquido verso l’interno. Le proteine possono calare per mala:e epa-che o in casi estremi se viene
faAa una dieta povera di proteine segue uno scarso riassorbimento


56
• Ostruito drenaggio linfaEco. Se il sistema linfa-co non funziona adeguatamente non riesce a portar
via i 3L in eccesso e rimangono li. Se non agisce la pompa muscolare i liquidi si accumulano nelle
gambe. Anche l’asportazione dei linfonodi compromeAe l’a:vità del sistema linfa-co e può causare
edemi a livello dell’arto. Può essere dovuto anche a mala:e date dai parassi-, si ha un
rigonfiamento degli ar- inferiori perché il sistema linfa-co non drena.

Questo risulta grave in tessu- a matrice rigida, il caso più importante è dato dall’encefalo e dal parenchima
polmonare, se si accumulano liquidi aumenta la distanza tra tessu- e i capillari e non si hanno gli scambi.

IL SISTEMA VENOSO

Sono vasi di grosso diametro con pare- più so:li di quelle delle arterie perché hanno una componente
muscolare più ridoAa, hanno meno elas-ne rispeAo alle arterie e più fibre collagene. Le parete so:li le
rendono par-colarmente più sensibili e distendibili rispeAo alle arterie che sono invece più rigide. Le
funzioni delle vene sono due principali:

• Vie di bassa resistenza al flusso: essendo vasi grossi oppongono poca resistenza e il sangue può
ritornare al cuore anche se la pressione a livello delle vene è abbastanza bassa. Nonostante ci sia
bassa pressione oppongono poca resistenza e riescono comunque a far passare il sangue.

• Serbatoio di sangue: sono altamente distensibili quindi se aumenta la pressione, le vene si


distendono ed accumulano sangue all’interno, hanno poco ritorno elas-co per cui il sangue rimane
lì per un certo tempo. Hanno alta capacità.

CAPACITA’ VENOSA

Volume di sangue che le vene sono in grado di mantenere. Il volume di sangue non è costante ma varia a
seconda del diametro delle vene. Se le vene sono più dilatate o più ristreAe portano più o meno sangue. La
quan-tà di sangue nelle vene prende anche il nome di quanEtà venosa e fa diminuire il volume di sangue
che torna al cuore nell’unità di tempo. Più sangue viene traAenuto dalle vene e meno è quello che torna al
cuore (ritorno venoso). Maggiore è la capacità venosa, minore è il ritorno venoso. Questo non vuol dire che
il flusso nelle vene è maggiore rispeAo agli altri vasi, è uguale in tu: i compar-men-. Ogni minuto passano
5L di sangue a riposo. Il flusso è uguale ma la distribuzione del sangue è diversa, abbiamo più sangue nelle
vene che negli altri compar-men-. Il sangue non è fermo ma si muove ad una velocità abbastanza bassa
per cui tende a rimanere più tempo nelle vene. La capacità è maggiore se le vene sono dilatate minore se
c’è costrizione. Se le vene si restringono accumulano meno sangue, diminuisce la loro capacità e il ritorno
del sangue al cuore aumenta e viceversa se le vene si dilatano aumenta la loro capacità, traAengono più
sangue e il ritorno venoso diminuisce. È possibile cambiare la capacità cambiando il diametro delle vene.
Riguardo il ritorno venoso ci sono due aspe: importan-:

• grazie alla legge di Frank Starling il ritorno venoso è uguale alla giAata cardiaca.

• il ritorno venoso è inversamente proporzionale alla capacità.

I faAori che influenzano il ritorno del sangue al cuore sono:

• Pressione propulsiva (pressione residua del sangue) impar-ta dalla contrazione circa 17 mm/Hg.
Prende il nome di “vis a tergo”

• Pompa muscolare, spreme le vene e facilità il ritorno al cuore


57
• Volume del sangue, se aumenta, aumenta anche il volume di sangue che torna al cuore. Se
aumenta il volume del sangue aumenta anche il ritorno venoso

• Il sistema ortosimpaEco, se si a:va i neuroni postgangliari innervano la muscolatura delle vene. Il


rilascio di noradrenalina a livello delle vene provoca vasocostrizione. La capacità delle vene
diminuisce e il ritorno venoso aumenta e a sua volta anche la giAata cardiaca.

• Pompa muscolare scheletrica. La contrazione muscolare comprime le vene e facilita il ritorno del
sangue al cuore.

• Pompa respiratoria: è quella che si o:ene ogni volta che inspiriamo. Quando inspiriamo
espandiamo la cavità toracica perché contraiamo i muscoli respiratori mentre andiamo a
comprimere l’addome perché scende il diaframma. A livello della cavità toracica quindi la pressione
diminuisce mentre aumenta sull’addome. Si crea un gradiente di pressione maggiore nel torace e
minore nell’addome che richiama il sangue verso il cuore, questo è importante per le vene che si
trovano soAo al cuore.

VALVOLE VENOSE

Anche le valvole favoriscono il ritorno venoso. Sono delle tasche formate da endotelio che troviamo lungo
le vene sopraAuAo negli ar- inferiori. Sono in genere due lembi endoteliali. Funzionano come quelle dei
vasi colleAori linfa-ci, si aprono quando la pressione del sangue prima della valvola aumenta, lasciano
passare il sangue e si richiudono una volta che il sangue è passato. Le valvole servono quindi a garan-re
l’unidirezionalità del flusso e a garan-re il ritorno venoso.

PRESSIONE SANGUIGNA IN POSIZIONE ERETTA

Quando da una posizione orizzontale ci me:amo in una posizione reAa, la pressione che registriamo a
livello delle arterie all’uscita del cuore a livello del capo e alle stremità degli ar- inferiori sono abbastanza
simili, stesso discorso per la pressione venosa. Però abbiamo una pressione residua che ritroviamo sia nella
testa che negli ar- inferiori. Quando poi il sangue arriva aAraverso le vene cave a livello dell’atrio destro ha
perso tuAa la pressione. Questo cambia quando passiamo in posizione ver-cale. Abbiamo dei gradien-
diversi, la pressione venosa va soAo zero a livello della testa, la pressione arteriosa scende, mentre a livello
degli ar- inferiori la pressione sia arteriosa che venosa aumenta, perché per effeAo della forza di gravità si
crea una colonna di sangue che crea una pressione idrosta-ca sugli ar- inferiori. Questa situazione non
viene mantenuta per molto tempo, entra in gioco in primo luogo il riflesso baroce:vo per far si che a livello
del capo ci sia una pressione troppo bassa. AAraverso il centro di controllo cardiovascolare controlla
l’ortosimpa-co che fa aumentare la pressione, abbiamo un riflesso immediato. In più se vogliamo favorire il
ritorno venoso al cuore che sarebbe sfavorito in posizione ereAa, se ci alziamo in piedi e iniziamo a
camminare entra in gioco anche la pompa muscolare scheletrica che favorisce il ritorno al cuore, i muscoli
favoriscono lo svuotamento delle vene e spingono il sangue verso il cuore.

Quello che succede quando ci alziamo in piedi è che il sangue tende a scendere verso gli ar- inferiori, le
vene degli ar- inferiori si espandono, ma se si espandono le vene aumenta la loro capacità, questo
comporta che meno sangue può tornare al cuore, quindi nel momento in cui ci alziamo in piedi diminuisce il
ritorno venose e quindi anche la giAata cardiaca e si ha una caduta di pressione (ipotensione ortosta-ca).

FATTORI CHE INFLUENZANO IL RITORNO VENOSO

SLIDE

58
È influenzato e favorito dalle valvole, dalla pressione residua, dall’a:vità ortosimpa-co, dalla pompa
muscolare e dalla pompa respiratoria, maggiore è il volume di sangue e maggiore è il sangue che ritorna alle
vene.

PRINCIPALI MECCANISMI DI REGOLAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA MEDIA

SLIDE

MODIFICAZIONI CARDIOVASCOLARI CHE AVVENGONO DURANTE L’ESERCIZIO FISICO

Quando siamo fermi a riposo le vene contengono più del 60 % del sangue. A livello muscolare ci sono mol-
capillari chiusi e il sangue tende a passare direAamente nelle vene che incamerano sangue a scapito del
ritorno venoso che sarà minore e quindi sarà minore anche la giAata cardiaca. Le vene incamerano sangue
per più del 60%

Quando siamo in movimento invece nei muscoli più sangue è diroAato verso i capillari, vengono a:va-
sistema ortosimpa-co e pompa muscolare, la capacità venosa diminuisce e il ritorno venoso aumenta e
aumenterà anche la giAata cardiaca. La giAata cardiaca aumenta anche per a:vazione dell’ortosimpa-co.

Durante l’esercizio fisico:

• La frequenza cardiaca aumenta, si a:va l’ortosimpa-co ed aumenta la frequenza

• Il ritorno venoso tende ad aumentare rispeAo alla situazione di riposo perché tra:ene meno
sangue, si a:vano l’ortosimpa-co e la pompa muscolare.

• La gi[ata sistolica aumenta sia perché è aumentato il ritorno venoso ma anche per l’a:vazione
dell’ortosimpa-co che aumenta la forza di contrazione dei ventricoli che si contrae con più forza e
aumenta il volume di sangue che esce.

• Aumenta la gi[ata cardiaca a seguito di quella sistolica.

Bisogna ridistribuire il flusso sanguigno

• Il flusso sanguigno verso i muscoli a:vi in quel momento e verso il miocardio aumento sopraAuAo
per effeAo dell’adrenalina, in più ci sono i meccanismi locali, se cala l’ossigeno nei muscoli le
arteriole si dilatano e fanno arrivare più sangue, bisogna ridurlo invece in altri organi che non sono
coinvol- nel movimento fisico.

• Il flusso sanguigno verso l’encefalo rimane invariato

• Il flusso sanguigno verso la cute aumenta perché dipende dalla temperatura

• Resistenza periferica totale. Alcune arteriole si dilatano mentre alte si restringono e fanno arrivare
meno sangue. La somma di tuAo queste confluisce in una diminuzione della resistenza periferica
totale perché prevale l’effeAo dilatatorio sul cuore e sui muscoli anziché la vasocostrizione sugli
organi o tessu- non a:vi.

• La pressione arteriosa media tende ad aumentare, aumenta moderatamente perché aumenta la


giAata cardiaca.

APPARATO RENALE PRIMA PARTE



59
FUNZIONE DEI RENI E ORGANIZZAZIONE MORFOLOGICA

Le principali funzioni dei reni

• Regolazione del volume extracellulare, importante per mantenere costante la pressione arteriosa
che dipende anche dalla volemia, quindi per mantenere costante la somma di liquido inters-ziale e
del liquido plasma-co, vuol dire mantenere costante la pressione

• Mantenere costante e regolare l’osmolarità dei liquidi extracellulari, l’osmolarità dipende dalla
concentrazione di NaCl perché il sodio è lo ione più concentrato a livello extracellulare. Nei
mammiferi si man-ene intorno a 290 o 300 milliosmoli

• Mantenimento del bilancio ionico degli ioni fondamentali, nell’urina troviamo acqua ma troviamo
anche ioni sodio, potassio e calcio. La quan-tà di ioni escre- con l’urina incide sul bilancio ionico
che c’è nel liquido inters-ziale

• AAraverso l’urina il rene è in grado di eliminare H+ in eccesso. Regola il pH dei liquidi extracellulari
e del sangue entro un intervallo o un range molto streAo. Il pH è intorno a 7.4 valore che deve
essere mantenuto costante.

• Escrezione dei prodo; di scarto del metabolismo endogeni aAraverso l’urina, ma anche sostanze
che vengono introdoAe dall’esterno come farmaci, tossine conservan- o dolcifican- e così via

• Produzione di ormoni, un ormone prodoAo dal rene è l’eritropoieEna che produce globuli rossi o
anche la renina che produce a sua volta un altro ormone che si chiama aldosterone che agirà a
livello renale, importante per il trasporto del sodio. Il rene produce enzimi importan- per
trasformare i precursori della vitamina D in vitamina D a:va, coinvolta nel metabolismo dello ione
calcio.

MORFOLOGIA RENALE

La funzione del rene è legata alla sua morfologia. I reni si trovano in posizione retroperitoneale dietro
l’addome ai la- della colonna vertebrale. Nell’uomo adulto ogni rene pesa circa 550 gr ed ha una lunghezza
di circa 10 o 11 cm. Se facciamo una sezione del rene vediamo in posizione mediale verso il centro della
colonna vertebrale una rientranza nella quale troviamo due importan- vasi sanguigni che sono l’arteria e la
vena renale, in più troviamo la pelvi, quella struAura che raccoglie l’urina e la invia poi all’uretere, il
condoAo che porta l’urina dal rene verso la vescica. Sono due vasi importan-, l’arteria renale ha il compito
di portare il sangue ossigenato al rene, fondamentale perché non porta solo ossigeno ma porta anche il
sangue che poi dovrà essere filtrato dal rene. L’arteria renale si dirama poi in vasi minori. La vena renale
invece raccoglie il sangue refluo dal rene che ha ceduto ossigeno e che è stato filtrato e lo riporterà poi nella
vena cava inferiore. Le due vene cave poi vanno all’atrio destro.

PARENCHIMA RENALE

Il tessuto renale lo possiamo suddividere in due zone, una zona più esterna che si chiama zona corEcale, e
una zona più interna che si chiama zona midollare. Sia nella zona cor-cale che nella midollare troviamo i
nefroni che sono le unità funzionali del rene, struAure tubulari a livello delle quali si svolge completamente
la funzione renale, ci saranno i vasi sanguigni, terminazioni nervose, vasi linfa-ci e così via. Nella zona
midollare ci sono delle struAure che hanno una forma conica e si chiamano piramidi renali, all’interno delle
quali ci sono nefroni e vasi sanguigni. Queste piramidi hanno la base, cioè la parte più larga, che si trova al

60
confine tra la midollare e la cor-cale, l’apice invece, la parte più streAa termina con una struAura che si
chiama papilla renale che sfocia in un condoAo che prende il nome di calice minore. I diversi calici minori
sboccano in calici maggiori i quali a loro volta confluiscono nella zona di raccolta dell’urina che si chiama
pelvi. L’urina poi dalla pelvi va nell’uretere e viene immagazzinata nella vescica.

STRUTTURA DEL NEFRONE

L’unità funzionale del rene è il nefrone. Il nefrone è una struAura tubulare in cui si possono dis-nguere varie
regioni che hanno funzioni diverse. Tute le varie regioni sono coinvolte nella formazione dell’urina ma in
maniera diversa. Nel nefrone possiamo dis-nguere diverse zone quali:

• Capsula di Bowman, è la prima regione del nefrone, è la regione impegnata nella filtrazione del
sangue. È faAa come una specie di semisfera concava che circonda dei vasi sanguigni che
prendono il nome di glomerulo. A livello della capsula si forma quello che viene chiamato
filtrato, una parte del plasma che è passato dal sangue (dal glomerulo in par-colare) alla
capsula di Bowman. Questa non può essere l’urina perché i due reni messi insieme filtrano 180
L di filtrato al giorno. Di ques- 180L più del 90% viene riassorbito e solo l’1% o meno viene
eliminato tramite urina. Circa 1L o 1L e mezzo di urina viene eliminato.

• Tubulo prossimale, zona tubulare in cui comincia il riassorbimento di acqua e ioni e altre
sostanze

• Ansa di Henle, regione tubulare che ha un ramo ascendente e uno discendente.

• Tubulo distale, è una regione tubulare

• Do[o colle[ore, è l’ul-ma regione tubulare del nefrone, raccoglie il prodoAo finale. Al doAo
colleAore possono confluire più tubuli distali.

• Calici minori

• Calici maggiori

• Pelvi

Possiamo dis-nguere i nefroni in due categorie:

➢ nefroni corEcali, sono la maggior parte, cos-tuiscono circa l’80% e sono colloca- per la maggior
parte nella zona cor-cale. Abbiamo solo una piccola parte dell’ansa di Henle che può essere
localizzata nella zona midollare.

➢ nefroni iuxtamidollari, sono nefroni che hanno l’ansa di Henle localizzata tuAa a livello della
midollare, hanno anche delle anse più lunghe che arrivano fino alla parte più profonda della
midollare. Sono molto importan- per creare quello che è il gradiente osmoEco verEcale della
midollare, cioè un aumento progressivo dell’osmolarità a livello della midollare. Questo gradiente
osmo-co ver-cale è importante per regolare la concentrazione finale di urina.

PERFUSIONE SANGUIGNA DEL RENE

Al rene arriva il sangue aAraverso l’arteria renale, arriva circa il 25% della giAata cardiaca perché i reni
cos-tuiscono lo 0,5% della massa totale corporea. L’arteria renale una volta che raggiunge il parenchima


61
renale si suddivide in arterie più piccole chiamate arterie interlobari tra i lobi che compongono il rene i
quali a loro volta danno origine ad arterie ancora più piccole chiamate arterie arcuate che danno origine
alle arterie più piccole di tuAe che si chiamano arterie interlobulari, si trovano tra lobuli di tessuto renale.
Dalle arterie interlobulari si originano le arteriole afferenE, sono arteriole che danno poi origine ai capillari
che compongono il glomerulo a livello del quale avviene la filtrazione. Dal glomerulo esce un’altra arteriola
che si chiama arteriola efferente. Ques- capillari non sono veri e propri capillari, perché sono compresi tra
due arteriole. Il sangue che esce dall’arteriola efferente va in veri e propri capillari che si chiamano capillari
peritubulari cioè che seguono il decorso del nefrone, importan-ssimi per le funzioni di riassorbimento, le
sostanze potranno tornare dal nefrone verso il sangue tramite il capillare peritubulare. Alla fine dei capillari
peritubulari il sangue verrà poi raccolto dal sistema venoso. Le vene prendono gli stessi nomi delle arterie,
ci sono le vene interlobulari che sono le più piccole, le vene arcuate fino ad arrivare alle vene interlobari che
sfoceranno nella vena renale che a sua volta sbocca nella vena cava inferiore. La funzione renale è svolta
quindi da due elemen-, il nefrone e i vasi sanguigni che si trovano in prossimità del nefrone.

Le funzioni che svolge il rene sono

➢ La filtrazione, un elevata quan-tà di plasma passa dal glomerulo alla capsula.

➢ Poi il filtrato deve essere riassorbito, avremo quan-tà variabili di filtrato che tornano al sangue dai
capillari peritubulari à processo di riassorbimento, passaggio di acqua e salu- dal lume del
nefrone verso il sangue, verso i capillari peritubulari. Questo riassorbimento a livello delle prime
regioni è passivo, mentre nell’ul-ma parte del tubulo distale è controllato, ma anche a livello del
tubulo prossimale ci sono degli ormoni che possono regolare i processi di riassorbimento, le
regolazioni più importan- che avvengono nel rene per il processo di riassorbimento avvengono
nell’ul-ma parte del nefrone, nella seconda parte del tubulo distale e nel doAo colleAore, è li che si
decide come sarà la composizione finale dell’urina ed è regolata appunto da ormoni che sono la
vasopressina e l’aldosterone.

➢ Il nefrone non fa solo processi di filtrazione o riassorbimento, ma anche di secrezione, trasferisce


cioè delle sostanze dal sangue verso il lume del nefrone per poi essere eliminate con le urine, è il
processo opposto al riassorbimento. Le sostanze che vengono secrete dal rene sono sia sostanze
endogene che devono essere eliminate ma anche sostanze esogene come i farmaci, spesso
elimina- per secrezione aAraverso i vari tubuli, oppure possono essere secre- degli ioni H+, ioni
sodio o ioni potassio in base alle esigenze ioniche del nostro organismo per mantenere l’equilibrio
ionico. Se il sangue diventa troppo acido il rene elimina tu: gli H+ in eccesso tramite secrezione in
modo che il sangue ritorni a valori normali. Ad ogni livello dal tubulo prossimale in poi ci sono tu: i
processi sia di riassorbimento che di secrezione.

➢ L’ul-mo processo è il processo di escrezione. Con l’escrezione si elimina una certa quan-tà di acqua
e solu- a seconda delle necessità dell’organismo, l’escrezione è l’eliminazione dell’urina dal lume
verso l’ambiente esterno.

IL NEFRONE

È una struAura tubulare delimitata da cellule epiteliali. Queste cellule possono avere forme diverse,
possono avere una struAura che prende il nome di ciglio sulla membrana direAa verso il lume, hanno una
funzione sensoriale, sulla membrana che delimita queste ciglia troviamo delle proteine in par-colare una
proteina chiamata policisEna 1 che è sensibile alle variazioni di ambiente del lume, è sensibile cioè alle
variazione di flusso del filtrato, cioè il volume che passa nell’unità di tempo, ed è sensibile alla presenza di

62
cloruro di sodio contenuta nel filtrato, la policis-na fa da sensore ed è accoppiata ad una proteina canale
che prende il nome di policisEna 2 permeabile al calcio. Si è visto recentemente che se varia la
composizione del filtrato la policis-na 1 interagisce con la policis-na 2 e fa entrare calcio che può poi
regolare vari -pi di funzioni cellulari ad esempio il meccanismo di trasporto ma può anche regolare altre
funzioni più complesse come la proliferazione cellulare o l’apoptosi. Questo ciglio è molto importante come
sensore tra quello che avviene nel lume cellulare e quello che succede dentro la cellula sia in termini di
trasporto ma anche di proliferazione o apoptosi. Le cellule epiteliali nel rene vanno incontro ad una
proliferazione molto bassa. Se invece c’è una mutazione nei geni sia della policis-na 1 che 2 si ha una
mala:a che si chiama mala;a policisEca autosomica dominante (policistosi del rene o rene policis-co) si
formano delle cis- anomale abnormi che sono determinate da una proliferazione incontrollata delle cellule
epiteliali e il rene non funziona più bene, può andare incontro a compromissione della sua funzionalità.
Queste cellule che circondano il tubulo hanno il ciglio con le varie funzioni.

VOLUMI DI FILTRATO CHE PASSANO NEI VARI SEGMENTI DEL NEFRONE E LA LORO OSMALARITA’

A livello della capsula di Bowman passano in un giorno 180L di plasma dal sangue all’interno della capsula, è
solo una parte del plasma. Questo filtrato ha una composizione molto simile al plasma, tranne per le
proteine plasma-che che non passano dal glomerulo alla capsula di Bowman ma rimangono dentro il
glomerulo, quello che esce dalla capsula è il plasma senza proteine plasma-che. La sua osmolarità è la
stessa del plasma perché le proteine non contribuiscono in modo significa-vo all’osmolarità, il plasma che
passa dal glomerulo alla capsula ha osmolarità di circa 300 milliosmoli, stessa osmolarità del plasma nel
glomerulo. Il filtrato poi passa nel tubulo prossimale dove circa i due terzi del filtrato vengono riassorbi- nel
sangue. Alla fine del tubulo prossimale passano in un giorno 54 L di filtrato. L’osmolarità è sempre di 300
milliosmoli perché nel tubulo prossimale viene riassorbita sia acqua che solu-, quindi l’osmolarità non
cambia. Dopo di che il riassorbimento con-nua nell’ansa di Henle dove alla fine ritroviamo 18L di filtrato, ne
rimane un terzo di quello che era arrivato, tuAo il resto viene riassorbito. È stato già riassorbito il 90% di
quello che è stato filtrato. Alla fine dell’ansa di Henle l’osmolarità è più bassa, è solo 100 milliosmoli perché
nell’ul-ma parte vengono riassorbi- più solu- riaspeAo all’acqua specialmente nella seconda parte
dell’ansa di Henle che viene chiamato ramo ascendente. A questo punto avviene la regolazione ormonale a
livello del doAo colleAore in modo da arrivare ad una produzione media di urina. Questo litro e mezzo di
urina al giorno aAraverso la regolazione della vasopressina può avere un’osmolarità finale estremamente
variabile, varia tra i 50 milliosmoli fino ad un massimo di 1200 milliosmoli. Possiamo avere urine molto
diluite con un’osmolarità minima o possiamo produrre poche urine estremamente concentrate. Questo
varia in base alla necessità del nostro organismo di traAenere o eliminare acqua e solu-, la concentrazione
finale dell’urina sarà in regolazione alla necessità dell’organismo di regolare il suo equilibrio idrosalino.

FILTRAZIONE

È il movimento di una certa quan-tà di plasma (180 L al giorno) dal sangue (capillari glomerulari) verso la
capsula di Bowman, questo plasma entra senza proteine plasma-che che rimangono invece dentro al
sangue. Non tuAo il plasma viene filtrato ma solo una parte del plasma che passa aAraverso il glomerulo
viene filtrato. Nella capsula di Bowman possiamo riconoscere due stra- di cellule epiteliali, uno strato che
circonda il glomerulo e uno strato più esterno che delimita la capsula. La capsula quindi è una struAura
cava, l’epitelio esterno è l’epitelio globulare quello interno è l’epitelio viscerale. Il filtrato per entrare nella
capsula dai capillari glomerulari deve superare tre barriere che traAengono nel sangue le proteine
plasma-che e fanno passare il plasma.

BARRIERE

63
La prima barriera è la parete dei capillari, si traAa di capillari fenestra- che intraAengono le
proteine plasma-che.

Andando verso l’esterno troviamo uno strato di lamina basale o matrice extracellulare che con-ene
varie proteine (glicoproteine, proteoglicani, etc.) che esclude ulteriormente le proteine plasma-che
perché le proteine che compongono la lamina basale presentano delle cariche eleAriche nega-ve
così come le proteine plasma-che che quindi vengono respinte dalle cariche della lamina basale.
Garan-sce l’esclusione di proteine plasma-che che sono sfuggite ai capillari.

Una terza barriera è cos-tuita dalle cellule che troviamo nell’epitelio viscerale della capsula di
Bowman, cioè l’epitelio che circonda il glomerulo. Sono quelle cellule aderen- al glomerulo e
prendono il nome di podociE della capsula di Bowman che sono cellule con dei prolungamen- che
terminano con delle piccole estroflessioni che si chiamano pedicelli. I pedicelli aderiscono alla
lamina basale e cos-tuiscono la terza barriera, anche ques- pedicelli formano una specie di filtro
nel caso in cui le proteine siano sfuggite alla prima e alla seconda barriera. Tra i pedicelli ci sono
delle proteine come la nefrina o la caderina che formano come una rete tra un pedicello e l’altro
che traAengono le proteine, cos-tuiscono quello che si chiama diaframma fenestrato.

La proteinuria è segno che c’è una compromissione delle barriere, le proteine passano nel filtrato e
finiscono nell’urina.

Il plasma passa le tre barriere e si porta nell’interno della capsula di Bowman, di tuAo il plasma che passa
nel glomerulo che arriva nell’arteriola afferente, solo il 20% viene filtrato, l’80% di plasma con-nua il suo
viaggio nell’arteria efferente. La maggior parte del 20% viene riassorbito tra il nefrone e i capillari
peritubulari. Il 20% prende il nome di frazione di filtrazione che passa dal glomerulo alla capsula di
Bowman

FORZE CHE GUIDANO LA FILTRAZIONE

Il movimento del plasma dal glomerulo verso la capsula di Bowman è reso possibile dalla presenza di forze
passive che si trovano all’interno dei capillari e a livello della capsula di Bowman, quindi all’interno e
all’esterno dei capillari. Queste pressioni sono:

• Pressione idrostaEca o pressione capillare del sangue, la pressione che troviamo dentro i capillari
del glomerulo è uguale alla Pcap dei capillari. Il liquido spinge verso la capsula. A questo livello la
pressione idrosta-ca è a 55mm/Hg. Non è 37 mm/Hg come nei capillari arteriosi perché sono
capillari compresi tra due arteriole e non tra un’arteriola e una vena quindi la pressione non è
ancora calata come avviene nei capillari veri e propri. Questa è la pressione che spinge parte del
plasma verso la capsula di Bowman.

• Un'altra forza a:ra il liquido dentro i capillari, è la presenza della pressione oncoEca o
colloidosmoEca dovuta alle proteine plasma-che dentro il sangue, rimanendo dentro il glomerulo
esercitano una pressione onco-ca che richiama il liquido verso l’interno. è circa 30 mm/Hg e si
oppone alla pressione idrosta-ca del sangue.


64
• La pressione esercitata dal filtrato che si trova nella capsula di Bowman sulle pare- del capillare.
Questa pressione chiamata pressione della capsula di Bowman è esercitata dal liquido che man
mano passa nella capsula e riporterebbe il liquido verso l’interno dei capillari ed ha un valore di 15
mm/Hg.

Per calcolare la pressione ne[a di filtrazione così come per i capillari si fa la somma delle pressioni direAe
verso l’interno meno la somma delle pressioni direAe verso l’esterno. Ne risultano 10 mm/Hg dire: dal
sangue verso la capsula di Bowman, pressione neAa di filtrazione renale che assicura che una quan-tà di
plasma passi dal sangue alla capsula.

Vengono filtra- 180 L di liquido per poi espellerne 1L tramite urina perché dal punto di vista sia energe-co
che della realizzabilità dei meccanismi di trasporto è molto più favorevole per il rene filtrare tanto volume di
sangue e poi traAenere quello che serve piuAosto che dover già traAenere fin dall’inizio il sangue che deve
essere filtrato. È molto più facile prima filtrare tuAo e poi scegliere quello che deve essere eliminato che
scegliere quello che deve essere eliminato fin dal principio. È il processo più favorevole.

Un altro aspeAo per la funzionalità è che la pressione del glomerulo è di 55mm/Hg molto importante per
determinare poi la filtrazione perché la pressione del sangue del glomerulo è direAa verso l’esterno. Il
glomerulo origina dall’arteriola afferente e la pressione di sangue nel glomerulo dipende dal flusso di
sangue nell’arteriola afferente. La pressione idrosta-ca glomerulare dipende dal flusso di sangue
dell’arteriola afferente, maggiore è il flusso e maggiore è la pressione nel glomerulo e viceversa, a sua volta
il flusso nell’arteriola afferente dipende da due faAori, uno è la pressione arteriosa, maggiore è la pressione
a monte dell’arteriola e maggiore è il flusso di sangue che arriva dall’arteriola, ma dipende non solo dal
gradiente di pressione ma anche dalla resistenza che dipende a sua volta dal diametro del vaso. Per cui più
streAa è l’arteriola afferente e minore sarà il flusso e viceversa. Regolando quindi il flusso dell’arteriola
afferente si regola la pressione del sangue nel glomerulo e quindi si può anche regolare la pressione neAa di
filtrazione e di conseguenza la filtrazione stessa, che determina quanta urina eliminare alla fine.

VELOCITA’ DI FILTRAZIONE GLOMERULARE

Per il rene un parametro importante per valutare la filtrazione è la VFG velocità di filtrazione glomerulare. È
il volume di liquido che viene filtrato da entrambi i reni al minuto. La VFG normalmente nell’uomo adulto
non anziano è di circa 125 ml al minuto. Entrambi i reni fanno passare nella capsula di Bowman al minuto
125 ml di filtrato. La VFG si può calcolare dividendo i 180 L per il numero di minu- che ci sono in un giorno.
La VFG è importante perché dice come funziona la filtrazione renale, se c’è un problema di filtrazione
cambia la VFG, è data dal prodoAo di due grandezze che sono Kf mol-plicato per la pressione neAa di
filtrazione. La pressione neAa di filtrazione sono i 10 mm/Hg, il coefficiente Kf si chiama coefficiente di
filtrazione e dipende da una serie di parametri, ad esempio dall’area di superficie dei capillari, maggiore è
l’area e maggiore è Kf, e dipende dalla permeabilità delle tre barriere. Varia in modo significa-vo la
permeabilità dell’interfaccia in condizioni fisiologica tra capillari e capsula di Bowman andando a
ripercuotersi sulla VFG. Può aumentare la quan-tà di filtrato che passa ma anche la sua composizione. Se le
barriere non traAengono le proteine plasma-che queste passano e cambiano anche la composizione del
filtrato oltre che al volume, addiriAura possono passare globuli rossi o emoglobina. Può variare però anche
la pressione neAa di filtrazione perché i 10 mm/Hg dipendono dalla pressione del sangue nel glomerulo ma
dipendono anche dalla pressione onco-ca delle proteine plasma-che che si trovano dentro il sangue e dalla

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pressione del liquido che si trova dentro la capsula. La pressione neAa di filtrazione è influenzata dalla
pressione del sangue ma anche dalla pressione onco-ca e dalla pressione del liquido. La quan-tà di
proteine plasma-che nel sangue potrebbe cambiare per mala:e epa-che o per una dieta povera di
proteine. Se calano le proteine plasma-che cala anche la pressione onco-ca e succederà che aumenterà
anche la pressione neAa di filtrazione perché diminuisce la pressione che richiama il liquido dentro. È
influenzata anche dalla pressione che si trova nella capsula di Bowman. Nel caso in cui l’urina finisce male
dentro l’uretere il liquido si accumula nella capsula di Bowman, aumenta la pressione dovuta alla capsula e
quindi la pressione neAa di filtrazione diminuisce perché aumenta la pressione che spinge il liquido dentro.
Il Kf dipende invece sopraAuAo dalla permeabilità dei capillari.

VFG dipende essenzialmente dalla pressione neAa di filtrazione che a sua volta dipende dalla pressione del
sangue in relazione con il flusso nell’arteriola e la pressione arteriosa. Ma la pressione arteriosa subisce
delle variazioni nel corso della giornata o anche in periodi più lunghi. Se la VFG fosse direAamente
dipendente dalla pressione di filtrazione potrebbe essere un problema, perché aumentare la filtrazione
renale comporta una maggiore eliminazione di urine e può non essere vantaggioso per l’organismo.
Nell’esercizio fisico prolungato aumenta la pressione, allora i reni dovrebbero aumentare la VFG e perdere
più urina, ma questo processo non è vantaggioso, quindi la VFG è influenzata dalla pressione ma ci deve
essere un intervallo di pressioni arteriose entro cui la VFG non varia più di tanto in modo che non venga
persa eccessivamente urina per evitare la disidratazione dell’organismo. Ci deve essere un certo range di
pressione per evitare che l’organismo perda mol- liquidi nel momento in cui la pressione aumenta.

05 NOVEMBRE 2019

Il flusso nell’arteriola afferente dipende dalla pressione che abbiamo nelle arteriole. Tanto maggiore è la
pressione arteriosa media maggiore è il flusso del sangue nei capillari. Tanto maggiore è la resistenza
dell’arteriola afferente e minore sarà il flusso e viceversa. La resistenza nelle arteriole è determinata
sopraAuAo dal diametro, quindi possiamo dire che maggiore è il diametro dell’arteriola afferente, minore
sarà la resistenza e maggiore il flusso. Il flusso poi influisce sulla pressione idrosta-ca dei capillari. È
necessario che la VFG non subisca variazioni significa-ve per mantenere un accurata regolazione del volume
dei liquidi corporei e della concentrazione dei solu-. Quindi se la VFG fosse sempre legata alla pressione
arteriosa media, ci potrebbero essere delle condizioni in cui questa situazione è svantaggiosa. Se aumenta
la pressione arteriosa media per l’esercizio fisico e se questo si rifleAesse sull’aumento della VFG avremo più
eliminazione di acqua e solu- perché aumenta il filtrato, ma questo sarebbe controproducente. Viceversa,
se la pressione arteriosa media diminuisce e se ci fosse un collegamento direAo con la VFG calerebbe anche
la VFG, ma se cala molto la filtrazione cala anche il volume di urina che produciamo e quindi i reni non sono
più in grado di eliminare una quan-tà sufficiente di prodo: di rifiuto o eleAroli- in eccesso. È importante
che entro un certo intervallo di pressione arteriosa media la VFG si man-ene costante per assicurare il
volume dei liquidi corporei e per eliminare la quan-tà sufficiente di sostanze di scarto. Ci sono due
meccanismi che permeAono di svincolare entro un certo intervallo le variazioni di p.a.m con le variazioni di
VFG. Ques- meccanismi si riferiscono sopraAuAo ai nefroni cor-cali. C’è un intervallo abbastanza ampio di
pam da 80 a 180 mm/Hg in cui se anche aumenta la p.a.m, la VFG si man-ene costante intorno ai 180 L al
giorno. Nei nefroni iuxtamidollari la situazione è diversa, c’è una relazione direAa tra pam e VFG che poi si
rifleAe nel volume di urina prodoAa. Aumentando la p.a.m aumenta la VFG e anche la diuresi (produzione
di urina). Se aumenta la pam a livello dei nefroni iuxtamidollari aumenta la filtrazione, cioè la quan-tà di
urina prodoAa, quindi eliminiamo più acqua, diminuisce la volemia e quindi diminuiamo la pressione
riportandola a valori normali, si chiama meccanismo di diuresi pressoria, meccanismo molto efficacie.
Abbiamo due meccanismi che mantengono la VFG costante, oAengono però lo stesso effeAo.


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La VFG dipende dalla pressione sanguigna nel glomerulo che a sua volta dipende dal flusso dell’arteriola
afferente, quindi possiamo regolare la VFG regolando la pressione nei capillari a sua volta influenzata dal
flusso nell’arteriola. Se andiamo a restringere l’arteriola afferente, il flusso diminuisce, la pressione
sanguigna nel capillare glomerulare diminuisce, ma se diminuisce la pressione sanguigna nei capillari
diminuisce anche la pressione neAa di filtrazione e quindi anche la VFG. Se restringiamo l’arteriola
afferente con vasocostrizione riducendo il flusso, riduciamo la VFG, viceversa, per aumentare la VFG
dila-amo l’arteriola afferente, aumenta il flusso nell’arteriola afferente, aumenta la pressione sanguigna nel
capillare glomerulare e aumenta la VFG. In condizioni in cui la VFG tenderebbe ad aumentare perché
aumentata la pressione, va riportata al valore normale. È possibile regolare la VFG cercando di mantenerla
costante andando ad agire sulla muscolatura dell’arteriola afferente.

MECCANISMI DI REGOLAZIONE DELLA VFG PER RENDERLA COSTANTE INDIPENDENTEMENTE DALLE


VARIAZIONI DELLA PRESSIONE ARTERIOSA MEDIA

1) RISPOSTA MIOGENA (intrinseca a arteriole afferenE)

È aAuato esclusivamente dalla muscolatura delle arteriole afferen-. Sono in grado di regolare
automa-camente il loro livello di contrazione. Si chiama risposta miogena ed è intrinseca all’arteriola
afferente. Poniamo che sia aumentata la pressione arteriosa. L’aumento della pressione provocherebbe
direAamente un aumento della VFG, ma la VFG deve rimanere costante indipendentemente dall’aumento di
pressione. Se aumenta la pressione le pare- delle arteriole subiscono uno s-ramento, allora le fibre
muscolari lisce delle arteriole si depolarizzano perché hanno dei canali sensibili allo s-ramento. I canali si
aprono, fanno entrare ca-oni sopraAuAo sodio che depolarizza la membrana, apre i canali calcio voltaggio
dipenden- e fa entrare calcio che favorisce la contrazione della muscolatura dell’arteriola. Avremo quindi la
contrazione delle fibre muscolari lisce dell’arteriola e il diametro dell’arteriola diminuisce, aumenta la
resistenza, se diminuisce il diametro diminuisce anche il flusso portando ad una riduzione della VFG che
prima era aumentata per aumento della pressione. Grazie a questo meccanismo entro cer- limi- anche se
la pam aumenta, la VFG rimane costante. Viceversa, se diminuisce la pressione arteriosa ci sarà invece
diminuzione di VFG, che deve essere contrastata. Se diminuisce la pressione le pare- dell’arteriola non
vengono s-rate, tendono a rilasciarsi e non si ha più effeAo di contrazione ma di rilasciamento, aumenta il
flusso e aumenta la VFG. Svincola la funzione di filtrazione dalla variazione di pressione.

2) FEEDBACK TUBULOGLOMERULARE

Si realizza a livello di due struAure che compongono l’apparato iuxtaglomerulare, è dato da struAure che si
trovano in prossimità del glomerulo. Una si chiama macula densa e l’altra sono le cellule iuxtaglomerulari o
cellule granulari. La macula densa è cos-tuita da una parte di cellule epiteliali del tubulo distale. Il tubulo
distale in una certa regione passa in mezzo all’arteriola afferente e all’arteriola efferente che esce dal
glomerulo. In questa regione le cellule epiteliali che rivestono la parete dal lato più vicino al glomerulo
formano la macula densa. Lì vicino nella parete dell’arteriola afferente aAaccata alla macula densa troviamo
le cellule iuxtaglomerulari o granulari. Quest’apparato è cos-tuito da queste due componen- che hanno il
ruolo importante di regolare la VFG. A livello della macula abbiamo delle cellule epiteliali che sono sensibili
al flusso del liquido del filtrato che passa lungo il tubulo distale. Sono sensibili sia al volume del liquido sia
alla concentrazione di cloruro di sodio. È probabile che anche in queste cellule epiteliali ci siano le struAure
a ciglio con proteine associate a canali sensibili o alle variazioni di flusso o alle variazioni di NaCl, sono
cellule sensoriali che si accorgono se è aumentato il flusso del filtrato e il contenuto di NaCl. Nel caso in cui
aumen- il flusso, le cellule della macula densa rilasciano dei mediatori nel liquido inters-ziale (si pensa che
una possa essere l’adenosina), ques- mediatori a livello delle cellule muscolari dell’arteriola afferente

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causano una contrazione e provocano il restringimento dell’arteriola efferente. Se la VFG aumenta, più
filtrato passa nella capsula di Bowman e arriva al tubulo distale, aumenta il flusso di filtrato nel tubulo, a
livello della macula densa vengono prodoAe sostanze paracrine o i mediatori che provocano la costrizione
dell’arteriola afferente, la costrizione provoca una diminuzione della VFG e quindi va a contrastare la
variazione iniziale perché la VFG era aumentata. Più correAamente viene chiamato feedback negaEvo
perché contrasta l’azione iniziale.

*Le cellule granulari non entrano direAamente in questo meccanismo, producono renina che servirà poi per
produrre l’angiotensina.

REGOLAZIONE DELLA VFG PER AUMENTARE VOLEMIA E PRESSIONE ARTERIOSA

In condizioni estreme in cui ci sono delle brusche riduzioni della pressione arteriosa ad esempio per
emorragia o per forte disidratazione bisogna intervenire in altri modi. Se la pressione si è ridoAa in modo
rapido viene a:vato per primo il riflesso baroce:vo molto rapido che prevede un’a:vazione
dell’ortosimpa-co per aumentare la pressione. In questo caso l’ortosimpa-co innerva anche la muscolatura
dell’arteriola afferente. In questo caso prevale l’azione dell’ortosimpa-co che provoca una costrizione
dell’arteriola provocando una neAa diminuzione di VFG, serve a scopo prote:vo, diminuisce la produzione
di urine, si traAengono liquidi e sali per favorire l’aumento della pressione arteriosa. Se traAeniamo più
liquidi aumenta la volemia e questo aiuta ad aumentare la pressione. Questo meccanismo di emergenza
sovrasta gli altri due di autoregolazione.

MECCANISMI A FEEDBACK NEGATIVO A BREVE O A LUNGO TERMINE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA

Ci sono dei meccanismi a lungo termine sopraAuAo in caso di forte diminuzione della pressione che
aAraverso l’ortosimpa-co provocano anche una riduzione della VFG, che provoca a sua volta un aumento
della volemia per aumentare la pressione. Serve più tempo rispeAo al riflesso baroce:vo che agisce prima.
La compensazione renale entra in gioco con tempi sempre più len- rispeAo alla compensazione
dell’apparato cardiovascolare però è molto efficace per tempi anche più lunghi.

FUNZIONI PRINCIPALI DEI TUBULI RENALI

Tubulo prossimale

Nei vari step dal tubulo prossimale al tubulo distale ci dovrà essere un grosso riassorbimento di tuAo quello
che è stato filtrato. Il riassorbimento comincia nel tubulo prossimale dove vengono riassorbi- i due terzi del
filtrato. A livello del tubulo prossimale abbiamo un riassorbimento non regolato. Alla fine del tubulo
prossimale si ritrova un terzo di filtrato che finisce nell’ansa di Henle.

Ansa di Henle

Con-nua in parte il riassorbimento, ma in par-colare ha il compito di creare il gradiente osmo-co ver-cale


della midollare.

Tubulo distale o do[o colle[ore


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Avviene l’ul-ma fase del riassorbimento in cui si produce l’urina defini-va, fase fortemente regolata da
ormoni per adaAare i processi di riassorbimento alle esigenze dell’organismo. Oltre al passaggio di sostanze
ci sono anche processi di secrezione a livello del tubulo distale dal sangue verso il nefrone.

TUBULO PROSSIMALE

A livello del tubulo prossimale avviene il riassorbimento del 67% di acqua, sodio e cloro (circa i due terzi del
filtrato), ritornano quindi dal nefrone verso il sangue. In più vengono riassorbi- potassio, ione bicarbonato,
importante per mantenere il pH del sangue, ioni calcio e ioni fosfato. Nel filtrato ci sono dei componen-
importan- che non possono essere persi, i solu- organici, ad esempio il glucosio che a livello del tubulo
prossimale viene completamente riassorbito, non ci deve essere glucosio nelle urine perché viene
completamente recuperato. Così pure vengono riassorbi- gli aa, in più viene riassorbito il 50% di urea, parte
dell’urea rimane nel filtrato e una parte viene poi escreta. L’urea deriva dal metabolismo degli amminoacidi.
Alla fine del tubulo prossimale si ritrova un volume di filtrato che è un terzo di quello iniziale che però ha la
stessa osmolarità rispeAo a quello che è stato filtrato perché sono sta- riassorbi- sia acqua che sali.
L’osmolarità del filtrato nella capsula di Bowman è di 300 milliosmoli che è la stessa osmolarità che
ritroviamo alla fine del tubulo prossimale.

RIASSORBIMENTO

Se l’acqua e i solu- si trovano all’interno del lume del tubulo, per andare al sangue devono aAraversare la
parete di cellule epiteliali, portarsi nel liquido inters-ziale e passare i capillari per andare nel plasma. Il
sangue appar-ene ai capillari peritubulari che decorrono vicini ai vari tra: del nefrone. Le cellule epiteliali
presentano due regioni che le sostanze devono aAraversare: una membrana che va verso il lume del tubulo
chiamata membrana apicale o luminare, e il resto della membrana chiamata membrana basolaterale. Le
sostanze possono passare dal lume del tubulo verso il liquido inters-ziale tramite due traspor-:

• trasporto transcellulare, aAraversano le cellule epiteliali del tubulo, devono aAraversare prima la
membrana apicale e poi la membrana basolaterale.

• trasporto paracellulare, le sostanze aAraversano la parete del tubulo aAraverso una cellula
epiteliale e l’altra.

In base alle sostanze si sceglie che -po di trasporto u-lizzare ma ci possono essere anche entrambi.

A livello del tubulo prossimale un terzo di acqua e cloruro di sodio vengono riassorbi- per via paracellulare.
L’acqua riesce a passare tra una cellula e l’altra per portarsi nel liquido inters-ziale, la restante parte
u-lizzerà dei traspor- e quindi u-lizzerà le due membrane delle cellule epiteliali.

TRASPORTO DEL SODIO

In parte avviene per via paracellulare e in parte per via transcellulare. Viene riassorbito prima aAraverso la
membrana apicale e poi aAraverso la basolaterale. Il sodio non è lipofilo e quindi ha bisogno di trasportatori
dipenden- dai gradien- di concentrazione. Il sodio si muove dal lume del tubulo verso l’interno della cellula
per trasporto passivo, secondo gradiente di concentrazione perché è molto più concentrato nel lume che
all’interno della cellula. Ovviamente il sodio non può rimanere dentro la cellula ma deve uscire, uscirà dalla
membrana basolaterale contro gradiente u-lizzando una classica pompa sodio potassio. In realtà sulla
membrana apicale il sodio non si muove quasi mai da solo per trasporto passivo, ma viene u-lizzato il suo
movimento secondo gradiente per fornire energia al trasporto di altre sostanze secondo la modalità del


69
trasporto sodio dipendente (trasporto a:vo). Ques- meccanismi di trasporto sodio dipenden- vengono
u-lizza- per trasportare glucosio, amminoacidi, altri ioni.

Il principale meccanismo sodio dipendente che troviamo sulla membrana apicale del tubulo prossimale è un
trasporto (Na+/H+). Questo trasporto sodio dipendente u-lizza l’energia del sodio che si muove secondo
gradiente per spingere fuori nel lume gli ioni H+. Servirà ad eliminare ioni H+ con l’urina ma sopraAuAo
permeAe il riassorbimento dello ione bicarbonato. È importante riassorbire il bicarbonato perché è il
principale tampone dei liquidi extracellulari. È quella sostanza che permeAe di tamponare gli ioni H+ in
eccesso e mantenere il pH costante. Se il bicarbonato viene eliminato con l’urina non lega H+ e il pH del
sangue diventa acido.

RIASSORBIMENTO DEL BICARBONATO

Il bicarbonato che si trova nel lume non riesce a passare aAraverso la membrana apicale perché non ha
trasportatore. Per entrare dentro la cellula del tubulo u-lizza uno stratagemma, si lega agli ioni H+ che sono
sta- espulsi dal sistema Na+/H+, e forma acido carbonico da cui si o:ene acqua + CO2. La CO2 è lipofila e
riesce facilmente ad aAraversare la membrana apicale, entra nella cellula, si rilega di nuovo all’acqua con
l’intervento di un enzima chiamato carbonico anidrasi e riforma acido carbonico che si dissocia in
bicarbonato e H+. il bicarbonato viene poi espulso insieme al sodio nel liquido inters-ziale.

RIASSORBIMENTO DEL GLUCOSIO

Viene riassorbito per meccanismo transcellulare, quindi deve aAraversare entrambe le membrane.
AAraversa la membrana apicale con il meccanismo sodio dipendente. Il sodio muovendosi secondo
gradiente fornisce energia per trasportare il glucosio che si muove contro gradiente perché è più
concentrato nel lume che dentro la cellula. Non può rimanere dentro la cellula, viene faAo uscire dalla
membrana basolaterale e si muove in questo caso secondo il suo gradiente di concentrazione aAraverso i
GLUT. Il sodio invece u-lizza la solita pompa sodio potassio per uscire dalla cellula. Stesso discorso vale per
gli aa, ci sono i trasportatori sodio dipenden- sulla membrana apicale e dei traspor- passivi sulla membrana
basolaterale.

SATURAZIONE DEL GLUCOSIO

All’aumentare della concentrazione aumenta anche la velocità di trasporto, più molecole vengono spostate
nell’unità di tempo, ma questo fino ad un certo punto, cioè fin quando si ha la saturazione dei trasportatori.
Il glucosio è il caso più evidente di questo meccanismo perché i trasportatori per il glucosio possono andare
incontro a saturazione, per cui fino ad una certa concentrazione di glucosio nel filtrato aumenta la velocità
di trasporto, ma se la concentrazione supera un certo livello i trasportatori vengono satura- e il glucosio
non viene più riassorbito e rimane quindi nell’urina. Per i valori di glicemia fisiologici non si va incontro a
saturazione, la quan-tà di glucosio che passa nel nefrone raggiunge delle concentrazioni inferiori rispeAo a
quelle che saturerebbero i trasportatori. Fino ad un valore di glicemia fisiologica (circa 80 mg/dl) tuAo il
glucosio può essere riassorbito. Ma se la glicemia raggiunge valori intorno ai 180 mg/dl il glucosio finisce
nelle urine perché nel filtrato si ha una concentrazione troppo alta e non abbastanza trasportatori
disponibili à glicemia patologica (glicosuria).

La presenza di glucosio nel nefrone che non viene riassorbito a livello del tubulo prossimale comporta un
problema di -po osmo-co. Il glucosio ha un potere osmo-co, tra:ene acqua, quindi meno acqua viene
riassorbita e più acqua rimane nel nefrone, questo comporta una maggiore eliminazione di urina. Uno dei
sintomi del diabete è quello di produrre molta urina e avere tanta sete à diuresi osmoEca.

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RIASSORBIMENTO DELL’ACQUA

In parte passa tra una cellula e l’altra per via paracellulare, ma la maggior parte aAraversa le cellule epiteliali
tramite le acquaporine sia sulla membrana apicale che basolaterale, per cui l’acqua si muove dal lume del
tubulo verso il liquido inters-ziale perché man mano che vengono trasporta- ioni come il sodio o il glucosio
dal lume del tubulo verso il liquido inters-ziale, si aumenta l’osmolarità nel liquido e a:ra l’acqua dal lume
al liquido per poi passare nel sangue.

TRASPORTO DEGLI ANIONI (Cl-)

Non c’è trasporto di sodio se non c’è trasporto di cloro. Abbiamo una concentrazione di ioni cloro nel lume
maggiore che nel liquido inters-ziale, quindi gli ioni si muovono per via paracellulare dal lume verso il
liquido inters-ziale secondo il loro gradiente. Questo movimento è u-le perché man mano che gli ioni cloro
si muovono dal lume verso il liquido trasportano delle cariche nega-ve dal lume del tubulo verso il liquido
inters-ziale, si crea quello che si chiama potenziale ele[rico transepiteliale posiEvo, cioè una differenza di
potenziale che c’è tra la membrana rivolta verso il lume e il lato della membrana verso il liquido inters-ziale.
Vale solo 2mV con il lato del liquido inters-ziale più nega-vo. Queste cariche nega-ve contribuiscono ad
a:rare anche il sodio dal lume verso il liquido inters-ziale. Parte del sodio si muove per via paracellulare
ma in parte viene a:rato dalla via transepiteliale. Non tuAo il cloro si muove per via paracellulare ma in
parte anche per via transcellulare.

11 NOVEMBRE 2019

RIASSORBIMENTO DI UREA E POTASSIO

Meccanismo del solvent drag

Lungo il tubulo prossimale si riassorbe acqua per osmosi, le sostanze presen- nel lume non ancora
riassorbite così tendono a concentrarsi, la loro concentrazione aumenta man mano che si procede lungo il
tubulo prossimale. L’aumento della concentrazione favorisce il riassorbimento dal lume verso il liquido
inters-ziale, questo vale per l’urea, che si concentra per il riassorbimento dell’acqua e tende a diffondere
passivamente secondo il suo gradiente di concentrazione aAraverso le cellule epiteliali verso il liquido
inters-ziale perché è una molecola molto piccola. Non tuAa l’urea viene riassorbita, solo il 50%, l’altra
rimane nel filtrato. Anche il potassio viene riassorbito per via paracellulare secondo gradiente, perché si
forma un aumento di concentrazione di potassio all’interno del lume che poi viene aAraAo verso il liquido
inters-ziale per riassorbimento. È un meccanismo che aumenta la concentrazione di ioni verso la fine del
tubulo prossimale.

RIASSORBIMENTO PROTEINE

Nel filtrato possiamo trovare anche piccole proteine, generalmente dal glomerulo renale non passano le
proteine plasma-che che rimangono all’interno del plasma, però pep-di e proteine di minor dimensioni
possono passare nella capsula di Bowman e venire filtrate ma devono essere poi recuperate dall’organismo.
Il meccanismo di riassorbimento è transcellulare, i meccanismi possono essere vari. Nelle cellule epiteliali
del tubulo prossimale ci sono degli orle: a spazzola che aumentano la superficie della cellula e aumentano
il numero dei trasportatori. Le proteine si legano a dei receAori di membrana, poi il complesso proteina
receAore viene endocitato, queste vescicole si fondono in una struAura che si chiama endosoma, il quale si
fonde poi con un complesso lisosomiale dove avviene la degradazione delle proteine ad amminoacidi che
poi possono essere trasporta- a livello della membrana basolaterale tramite trasportatori passivi. In più nel


71
caso ci siano vitamine vengono staccate dalla proteina e anche le vitamine poi vengono recuperate e
riassorbite aAraverso la membrana. Nell’urina non abbiamo proprietà significa-ve di proteine. Se ci sono
proteine che superano i 200 mg nelle urine si parla di proteinuria, che è determinata sopraAuAo da
albuminuria, presenza di albumina che passa aAraverso le barriere del glomerulo renale e che quindi è
stata filtrata, le cause sono alterazioni della permeabilità del glomerulo. Ci potrebbero però essere anche
proteine nell’urina che sono dovute allo sfaldamento delle vie urinarie, si potrebbe avere sfaldamento
dell’epitelio e vengono riversate proteine all’interno dell’urina.

SECREZIONE

È il passaggio di sangue verso il lume del nefrone per poi essere eliminato con le urine. Consiste nel
trasferimento di molecole dal liquido extracellulare verso il numero del nefrone per essere escrete. Può
riguardare varie sostanze come ioni potassio, H+ ione ammonio o potassio a livello del doAo colleAore.
Queste sostanze vengono secrete in base alle necessità dell’organismo. Il potassio può venire secreto nel
lume nel caso ci sia troppo potassio nel sangue (ipocaliemia) se aumenta oltre i limi- fisiologici il potassio in
eccesso viene eliminato con le urine tramite processo di secrezione. Stesso discorso per l’H+ e lo ione
ammonio. L’eliminazione di H+ o da solo o legato all’ammoniaca, aumenta se la concentrazione di H+ nel
sangue aumenta, si eliminano gli H+ in eccesso per riportare il pH a valori normali.

A livello del tubulo prossimale vengono secrete delle sostanze importan- da eliminare con le urine. In
par-colare, nel tubulo prossimale vengono secre- sopraAuAo anioni e caEoni organici. Anioni e ca-oni
deriva- da molecole organiche passano dal sangue verso il lume del tubulo per essere elimina-, possono
essere sia esogeni che endogeni.

✓ Anioni organici endogeni che eliminiamo con le urine sono l’urato, derivato dall’acido urico che
deriva dal metabolismo dei nucleo-di. Altri anioni organici che vengono secre- ma esogeni come i
farmaci sono la penicillina, i barbiturici (sonniferi che agiscono a livello del receAore per il GABA),
la furosemide. Gli anioni organici vengono introdo: nella cellula epiteliale dalla membrana
basolaterale aAraverso meccanismi di trasporto a:vo e poi escono nel lume aAraverso la
membrana apicale con meccanismi di trasporto passivo.

✓ Lo stesso avviene per i caEoni organici che possono essere o endogeni o esogeni. Gli endogeni
potrebbero essere adrenalina, istamina, serotonina, colina che viene u-lizzata per formare
l’ace-lcolina. Quelli esogeni sono dei farmaci come la tropina, che agisce a livello parasimpa-co, la
morfina. Vengono espulsi con trasporto passivo sulla membrana basolaterale e traspor- a:vi sulla
membrana apicale, poi vanno a finire nelle urine.

CREATININA

Negli esami del sangue tra i vari parametri c’è quello rela-vo alla crea-nina. Dalla fosfocrea-na si produce la
crea-nina che a livello del glomerulo renale viene filtrata e poi non viene più riassorbita, viene
completamente escreta, in piccola parte viene anche secreta, ne viene aggiunta una piccola quan-tà
tramite processo di secrezione e non viene mai riassorbita. Questa sostanza è molto u-le perché evidenzia
l’efficienza del processo di filtrazione, quella che si trova nell’urina è tuAa quella che viene filtrata. Dalla
concentrazione di crea-nina sia nell’urina che nel sangue si può ricavare la VFG cioè come avviene la
filtrazione nei reni, in questo modo si può monitorare la filtrazione:


72
Il flusso urinario è il volume di urina prodoAo in un minuto, di solito si raccoglie l’urina prodoAa in 24h poi
si divide il volume per il numero di minu- che ci sono in un giorno (1140). Dagli esami del sangue delle
urine si ricava la concentrazione di crea-nina nelle urine e quella nel sangue, dalla proporzione poi si ricava
la VFG, ci sono dei parametri entro il quale bisogna stare. Se aumenta la concentrazione di crea-nina nel
sangue oltre i livelli fisiologici potrebbe significare che viene filtrata meno, quindi c’è problema a livello di
filtrazione renale, non è in grado di passare aAraverso il glomerulo e aAraverso le barriere di filtrazione,
quindi il rene lavora meno.

ANSA DI HENLE

TraAo del nefrone formato da un ramo discendente so:le e un ramo ascendente che per la maggior parte è
spesso. Alla fine del tubulo prossimale si sono riassorbi- i due terzi del filtrato sia come acqua che come
ioni, l’osmolarità se nel filtrato era 300, alla fine del tubulo prossimale sarà sempre 300. Quando il filtrato
entra nell’ansa di Henle l’osmolarità varia perché man mano che percorre il traAo discendente dell’ansa di
Henle l’osmolarità del filtrato aumenta e raggiunge un valore massimo nella parte finale dell’ansa di Henle
di 1200 milliosmoli. Il valore massimo raggiunto dipende dalla lunghezza dell’ansa di Henle, se arriva fino in
fondo come massimo raggiunge i 1200. Il filtrato dopo di che, torna nel ramo ascendente spesso e qui
l’osmolarità di nuovo cala e scende soAo i 300 milliosmoli perché alla fine dell’ansa di Henle si trova
un’osmolarità di 100 milliosmoli. Cambia in questo modo perché i processi di riassorbimento dei due rami
sono diversi. Nel traAo discendente verrà riassorbita acqua, infa: è permeabile all’acqua e non ai solu-,
presenta acquaporine e l’acqua tende ad uscire dal tubulo mentre dentro l’osmolarità aumenta. Nel traAo
ascendente invece vengono riassorbi- i solu- tramite processi di trasporto, passano dal lume del tubulo
verso il liquido inters-ziale e l’osmolarità cala anche fino a soAo i 300 milliosmoli del plasma. In pra-ca a
livello dell’ansa un ulteriore quan-tà di filtrato, prima come acqua poi come ioni, viene riassorbita nel
sangue. Come mai si ha un aumento dell’osmolarità? Perché viene riassorbita acqua. E perché viene
riassorbita acqua? Perché a livello della midollare nel liquido inters-ziale abbiamo un aumento progressivo
dell’osmolarità andando dalla zona superficiale della midollare verso la zona più profonda, in questo modo
abbiamo quello che si chiama gradiente osmoEco verEcale, fondamentale per la fisiologia del rene. Man
mano che l’ansa di Henle percorre la midollare l’acqua per osmosi tende ad uscire dal lume del tubulo e va
nel liquido inters-ziale perché viene a:rata dall’osmolarità che c’è fuori per trasporto passivo. In ogni traAo
l’osmolarità all’interno del tubulo si meAe in equilibrio con l’osmolarità che c’è fuori. Invece nel ramo
ascendente nonostante ci sia osmolarità alta fuori, ci sono meccanismi a:vi di estrusione degli ioni che
fanno si che anche se fuori l’osmolarità è alta l’osmolarità dentro tende progressivamente a diminuire. Nel
ramo ascendente avremo la rimozione a:va degli ioni dall’interno verso il liquido inters-ziale per arrivare
alla fine dell’ansa di Henle con un’osmolarità di 100 milliosmoli. Nell’ansa di Henle non si parla di
secrezione. In totale a livello del ramo discendente c’è riassorbimento del 15% dell’acqua filtrata
inizialmente, nella parte del ramo ascendente invece c’è il riassorbimento del 25% dell’NaCl rispeAo al
totale che era stato filtrato, in più viene riassorbito potassio, calcio e ione bicarbonato. Venendo riassorbi-
gli ioni l’osmolarità all’interno del tubulo diminuisce.

RIASSORBIMENTO DI SOLUTI NEL TRATTO ASCENDENTE

Per essere riassorbito il sodio, il cloro e il potassio, sulla membrana apicale del ramo ascendente c’è un
trasportatore sodio dipendente che trasporta contemporaneamente dentro la cellula due ioni cloro, uno
ione sodio e uno ione potassio. Questo trasportatore è bloccato da una categoria di farmaci diure-ci che
prendono il nome di diureEci dell’ansa. Sodio, cloro e potassio entrano nella cellula, per uscire il sodio
u-lizza la pompa sodio potassio, il cloro e il potassio hanno canali specifici per uscire. A livello del ramo
ascendente si ha riassorbimento di calcio tramite meccanismo paracellulare, anche il magnesio viene

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riassorbito. In parte anche sodio e potassio possono essere riassorbi- per via paracellulare. A livello del
traAo ascendente non ci sono acquaporine. Bloccando il trasporto di sodio, cloro e potassio si ha un effeAo
diure-co perché il riassorbimento di ques- solu- comporta accumulo di ioni nel liquido inters-ziale e vanno
ad aumentare l’osmolarità del liquido inters-ziale. A livello del doAo colleAore se c’è la presenza di un’alta
osmolarità nel liquido inters-ziale l’acqua tende ad essere richiamata verso l’esterno del tubulo. Ma se
blocchiamo il riassorbimento di cloro, sodio e potassio avremo meno solu- che si accumulano che dopo
richiamano meno acqua e quindi produciamo in questo modo più urina. I diure-ci vengono da- come
an-pertensivi per abbassare la pressione perché si produce più urina e quindi diminuisce la volemia che poi
abbassa la pressione.

Segmento iniziale tubulo distale

Se proseguiamo nel primo traAo del tubulo distale alla fine dell’ansa di Henle, l’inizio del tubulo si comporta
come il traAo ascendente dell’ansa di Henle quindi verranno riassorbi- ancora solu- e non acqua. Anche qui
sulla membrana apicale c’è un co-trasporto sodio cloro, e questo trasportatore può essere bloccato da
famaci che si chiamano diure-ci -azidici. Nella parte basolaterale il sodio esce con pompa sodio potassio e
il cloro ha canali specifici che ne permeAono l’uscita.

ULTIMA PORZIONE DEL TUBULO DISTALE E DOTTO COLLETTORE

ASSORBIMENTO REGOLATO

L’ul-mo traAo del nefrone è dato dall’ul-ma porzione del tubulo distale e dal doAo colleAore che dopo
sbocca nei calici minori o maggiori per riversare l’urina nella pelvi. Nel doAo colleAore esce l’urina
defini-va. A livello dell’ul-ma porzione del tubulo distale e nel doAo colleAore abbiamo dei meccanismi di
riassorbimento regola- però da ormoni. Vasopressina ed aldosterone. A livello di quest’ul-mo traAo viene
riassorbito circa il 7% di NaCl variabile in base alle esigenze dell’organismo, vengono secre- ioni potassio e H
+ in base alle necessità, viene riassorbita una quan-tà variabile di acqua sempre in base alle necessità. La
regolazione del riassorbimento di acqua avviene tramite l’ormone vasopressina o an-diure-co. Il
riassorbimento di sodio e la secrezione di potassio invece vengono regola- dall’ormone aldosterone. Alla
fine del doAo colleAore si ha l’escrezione, l’eliminazione di urina nella pelvi verso l’uretere per essere
immagazzinata nella vescica. A livello del doAo colleAore e dell’ul-ma parte del doAo distale abbiamo come
cellule epiteliali due -pi di cellule:

• cellule principali à sono coinvolte in par-colare nel riassorbimento di sodio, cloro e acqua e anche
della secrezione di potassio soggeAo a regolazione ormonale. Aldosterone per sodio e potassio,
vasopressina per quanto riguarda l’acqua.

• cellule intercalate à sono di due -pi A e B, sono coinvolte nel mantenimento dell’equilibrio acido
base sono coinvolte nei processi di riassorbimento o secrezione di H+ e bicarbonato, in questo
modo mantengono costante il pH del sangue.

Hanno funzioni completamente diverse nel riassorbimento e secrezione di sostanze.

Nel doAo colleAore ci sono anche processi di riassorbimento dell’urea in parte riassorbita nel tubulo
prossimale. Viene riassorbita sia per trasporto passivo sia per trasportatori di membrana a livello del tubo
colleAore.


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