Le fonti originali per lo studio dell’islam sono numerose e di varia provenienza.
Convenzionalmente, esse vengono suddivise in due categorie: le opere nell’arabo classico e le opere in lingue moderne come l’arabo moderno, turco, persiano, urdu, swhaili,ecc.. Fra le numerose opere in arabo classico, la fonte principale è considerata il Corano. Il Corano, dall’arabo al-qur’an, e cioè “recitare”, “leggere ad alta voce”, costituisce il testo sacro dei mussulmani. Esso contiene la rivelazione fatta da Dio a Maometto attraverso la mediazione dello spirito o angelo, che nella sura II,97 è identificato con Gabriele. Maometto è dunque il mediatore e l’annunciatore della rivelazione di Dio agli uomini. Ogni parola del Corano è parola di Dio, per cui nell’islam si pone la massima cura nella sua trasmissione. Già Maometto ne fece mettere per iscritto una parte con l’aiuto di Thabit, suo figlio adottivo. Dopo la morte di Maometto, il primo califfo AbuBakr raccolse i testi esistenti e le parti tramandate a memoria. Per evitare contrasti tra versioni differenti, il terzo califfo Utman fece preparare da un comitato redazionale un’edizione ufficiale del testo tutt’oggi valida e distrusse nel medesimo tempo tutte le altre. In tal modo la formazione del canone islamico era chiusa. Il corano è suddiviso in 114 sure che, a partire dalla seconda, si susseguono per ordine di lunghezza decrescente. Ogni sura porta un nome, che allude al tema centrale o è desunto da un termine ricorrente nel suo corpo. Tali “titoli” non fanno parte del testo rivelato, ma sono aggiunte posteriori. Il corano comincia con la sura dell’apertura che è l’unica redatta in forma di preghiera. Quando la si recita, si aggiunge il termine “amen”, cosa che non si fa per le altre sure. Ad eccezione della nona, tutte le altre sure cominciano con la formula introduttiva “Nel nome di Dio clemente e misericordioso”. A seconda del loro argomento, i commentatori mussulmani le hanno divise in tre categorie: leggi e precetti, storie e racconti ed infine esortazioni e preghiere. Per i mussulmani il Corano è una riproduzione parziale del Corano originario, custodito nei cieli, che è eterno e increato e non può essere paragonato a nessuna scrittura umana. Esso è espresso in lingua araba, e secondo la dottrina ortodossa non può essere tradotto in un’altra lingua, al fine di evitare qualsiasi modificazione del contenuto conseguente a una traduzione. Non è ammesso, ugualmente, lo studio storico-critico. Vengono poi gli Hadith (“tradizione” “narrazione”) e cioè le raccolte in più volumi di narrazioni relative a detti e fatti del profeta Maometto. L’opera di conservazione e trasmissione degli hadith, in un primo tempo affidata all’iniziativa e alla buona volontà deli singoli fedeli, divenne ben presto un compito specifico di persone che vi si consacravano e che svolgevano una funzione, parallela ma distinta, a quella di coloro che tramandavano a memoria il Corano. Gli hadith sono divisi in due parti: la lista di trasmettitori e cioè una lunga catena di nomi di persone attraverso le quali la tradizione viene fatta risalire fino al Profeta e il testo vero e proprio che riporta quanto detto o compiuto da lui. Accanto a un nucleo antico di hadith a sfondo biografico, che aggiungevano particolari sulla vita di Maometto destinati, al pari dei vangeli apocrifi cristiani relativi all’infanzia di Gesù, ad integrare le scarne notizie biografiche riferite dal Corano, col tempo si andarono moltiplicando gli hadith più strettamente giuridici, che non a caso si produssero prima di tutto nelle regioni orientali dell’impero di recente conquista. Solo molto più tardi, durante l’imperversare delle dispute teologiche, comparvero i primi hadith dogmatici. Ogni movimento e ogni dinastia producevano hadith a loro favorevoli e denigratori dei propri avversari, né era raro trovare in alcuni di essi valutazioni attribuite al Profeta su fatti e teorie completamente sconosciuti ai suoi tempi. Si pose quindi ben presto il problema dell’autenticità di questi testi e alcuni dotti sottoposero ad attenta analisi centinaia di migliaia di hadith dividendoli per argomento e attendibilità e riunendo quelli più sicuri in apposite raccolte che hanno costituito la base della giurisprudenza islamica per i secoli successivi. Il criterio seguito fu genealogico: sulla base di tavole apposite si stabiliva se davvero fosse stato possibile che le persone, che si erano tramandate il detto profetico, avessero incontrato Maometto e quindi se esisteva la possibilità che esso risalisse effettivamente al Profeta. Furono cosi compilate le raccolte degli Hadith ritenuti genuini: le più importanti sono sei compilate nel IX secolo d.C. Godono poi di ampia stima altre raccolte come il Musnad mentre fra le più apprezzate ritroviamo le due raccolte chiamate al-Sahih (“Gli incontestabili”) compilate da al-Bukhari e Muslim. Il tradizionale punto di vista è che almeno gli hadith compilati da al-Bukhari e Muslim siano racconti validi risalenti ai contemporanei di Maometto e che la vita e la dottrina ortodossa islamica debbano essere basate sul Corano e su questi hadith. Esistono anche alcuni hadith detti “santi” perché riportano non parole del Profeta ma di Dio stesso: essi costituiscono l’unico caso di rivelazione extra-coranica dell’islam. Alcuni islamici modernisti hanno rifiutato completamente gli hadith in quanto rappresenterebbero uno stadio della storia islamica assai posteriore al tempo di Maometto. Oltre al Corano e agli hadith le fonti fondamentali per lo studio dell’islam includono le biografie di Maometto e di altri leader mussulmani, opere storiche sullo sviluppo dell’islam in varie parti del mondo, scritti giuridici e teologici, commentari del corano( che riflettono spesso stadi successivi dello sviluppo del pensiero e della pratica islamica), poesie e altre opere letterarie, un’ampia gamma di manuali di devozione e di pellegrinaggio, opere mistiche e filosofiche e infine scritti di origine settaria.