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MARX

Il confronto con la filosofia hegeliana


Il pensiero di Marx si pone in diretta continuità con la filosofia dialettica di Hegel. Si rende perciò
necessario dare qualche informazione su aspetti del sistema hegeliano che abbiamo soltanto potuto
intravedere.

1. L’eticità
Ricordo che la filosofia dello Spirito oggettivo si articola in tre sfere, caratterizzate da livelli di
concretezza crescenti e collegate in uno sviluppo dialettico: il diritto, la moralità e l’eticità.
Mentre i rapporti fra diritto e moralità (ossia fra legalità esteriore e libera scelta della coscienza
individuale) sono normalmente indagati dalla filosofia morale (per es. di Kant), la nozione di eticità è
tipicamente hegeliana. Come sempre non è facile indicarne la specificità: segnalo solo qualche aspetto.
Diritto e moralità (usualmente contrapposti come esteriorità e interiorità) sono da Hegel connessi
dialetticamente, cioè sono compresi come i due lati astratti della sostanza concreta, che Hegel chiama
Sittlichkeit, termine che in italiano è tradotto con eticità, dove Sitten corrisponde al latino mores, ad
indicare l’universalità reale, esistente nel tempo, delle istituzioni, tradizioni, regole (i mores appunto) che
costituiscono, come detto sopra, l’elemento sostanziale in cui gli individui realizzano concretamente la
propria libertà.
Una considerazione: tutti noi dalla nascita siamo inseriti in un tessuto di rapporti di tipo spirituale (cioè
non semplicemente fisico), in una situazione di contesto che preesiste a noi, che non dipende da noi ma è
appunto “oggettiva”. Questi rapporti mediano gli aspetti naturali della vita (c’è modo e modo di nascere,
di nutrirsi, di morire ecc. a seconda delle epoche e delle culture in cui ci si trova a vivere) e li inseriscono
in differenti contesti spirituali (forse noi diremmo culturali), che sono la famiglia (dove in modi diversi a
seconda dei tempi la crescita fisica diventa educazione, ossia formazione spirituale), la società civile (il
mondo del lavoro, l’appartenenza a una classe sociale ecc.), infine lo stato (realtà organica che realizza
consapevolmente, attraverso le leggi e l’azione delle classi dirigenti, il Bene che per la moralità
individuale era solo un astratto dovere).

La sostanza e gli individui


E’ necessario precisare il rapporto che c’è fra quella che viene qui chiamata sostanza etica e gli individui
che la vivono. Può essere utile riportare qualche riga di Hegel.
“La sostanza (etica), che si sa liberamente, in cui il dover essere è altresì essere ( = la libertà trova la sua
realizzazione concreta, a seconda di come i tempi lo esigono e lo permettono), ha la sua realtà come
spirito di un popolo. La scissione astratta di questo spirito è l’isolamento in persone, della cui
indipendenza esso costituisce l’intima potenza dominatrice. Ma la persona, come intelligenza pensante, sa
la sostanza come sua essenza propria, quale suo scopo finale assoluto e d’altra parte, mediante la sua
attività, la produce. Così compie il suo dovere (…) e, in questa necessità (delle leggi e dei costumi), la
persona ha sé stessa e la sua libertà reale (…) La disposizione d’animo degli individui è il loro sapere la
sostanza e l’identità di tutti i loro interessi col tutto” (Enc. §§ 514-515).
Qui è espresso il modo speculativo (razionale) di pensare il rapporto fra il tutto e le parti: la
configurazione assunta in un dato momento storico dallo spirito di un popolo (dunque l’eticità di quel
popolo in quell’epoca) è la sostanza che, come volontà razionale universale, determina gli individui che
ne fanno parte (come accidenti della sostanza) ad essere ciò che sono; questi ultimi a loro volta, nella loro
coscienza, sono consapevoli dell’eticità del proprio tempo e con la loro attività contribuiscono a produrla.
Altra sarebbe la concezione intellettualistica-astratta di questo rapporto: la totalità verrebbe intesa soltanto
come la somma delle parti e verrebbe assegnata la prevalenza agli interessi individuali sulla comunità,
come se gli individui potessero esistere prima e senza di essa. Questo è per esempio il modo di pensare il
rapporto fra individuo e stato nel contrattualismo moderno (Hobbes, Locke, Beccaria e tanti altri), che
Hegel rifiuta decisamente.
Riportiamo le tre articolazioni dell’eticità, con maggiore attenzione a quelle che interessano il nostro
argomento.

1.1. La famiglia
Solo un accenno. E’ lo spirito etico nella sua immediatezza, contiene il momento naturale (procreazione,
nascita ecc.) della vita dell’individuo, ma con le sue istituzioni (matrimonio, patrimonio familiare e
educazione dei figli) oltrepassa questa dimensione naturale traducendola in rapporti etici (spirituali). Per
esempio l’educazione consiste nel negare l’immediatezza della libertà naturale dei figli, per “elevarli,
dall’immediatezza naturale, in cui essi si trovano originariamente, fino all’autonomia e alla personalità
libera” (Hegel è contrario alla pedagogia del gioco, che “prende l’elemento infantile per qualcosa che
abbia già valore in sé”: l’individuo deve progredire).

1.2. La società civile


Molto più importante per il nostro argomento, questa classica analisi di Hegel mette a fuoco una
caratteristica fondamentale del mondo moderno. Nell’eticità antica, quando si è sviluppato il senso
dell’appartenenza coi conflitti che portava con sé (la polis greca), le due potenze che si contendevano la
vita dell’individuo erano la famiglia e lo stato (si ricorderà forse la tragedia di Antigone menzionata nella
Fenomenologia), ora invece questi due opposti sono mediati da un’altra sfera della vita spirituale, quella
in cui gli individui, consapevoli della propria libertà, agiscono come soggetti indipendenti nella
realizzazione propri interessi particolari e la sostanza etica perde la propria unità, pluralizzandosi nel
gioco dei differenti bisogni, interessi, attività individuali. Questa dimensione della vita in cui si manifesta
l’individualismo tipico dell’età moderna è chiamata buergerliche Gesellschaft, ossia società borghese, ma
noi siamo soliti tradurre società civile.
Hegel la caratterizza come “una connessione universale e mediatrice di estremi indipendenti e dei loro
interessi particolari”. Si tratta, come si capisce, del moderno mondo del lavoro e della produzione, un
contesto complessivo in cui ciascuno opera per i propri interessi economici e sociali e dove “il fine
egoistico, condizionato in tal modo dall’universalità, fonda un sistema di dipendenza onnilaterale, e su ciò
si fondano la sussistenza e il benessere del singolo e la sua esistenza giuridica, intrecciata con la
sussistenza, il benessere e il diritto di tutti” (Fil. del diritto § 183).
Creazione dell’intelletto moderno, la società civile è appunto detta “lo stato dell’intelletto”, in cui le
componenti hanno la precedenza sul tutto e dunque gli individui, come “persone private, hanno per loro
fine il proprio interesse”. Nella società civile,il cittadino è bourgeois (non citoyen).

E’ bene ricordare le articolazioni della società civile.

1) Il sistema dei bisogni


“La particolarità delle persone comprende dapprima i loro bisogni. La possibilità del soddisfacimento di
essi è qui posta nel complesso sociale, che è la ricchezza in generale”. Il soddisfacimento di questi bisogni
ha luogo attraverso il possesso di oggetti ed è perciò “mediato dalla produzione, che sempre si rinnova,
dei beni di scambio per opera del proprio lavoro” (Enc. § 524).
Hegel mostra qui la consapevolezza che i bisogni sociali (quelli che si soddisfano facendo acquisti) sono
indotti e non naturali, e tendono a moltiplicarsi sempre di più, trascinando con sé una sempre più
articolata divisione del lavoro: “l’intelletto mette distinzioni fra essi (bisogni) e per tal via moltiplica
indefinitamente tanto essi quanto i mezzi per soddisfarli e rende entrambi - bisogni e mezzi – sempre più
astratti. Questo frazionamento del contenuto dà luogo alla divisione del lavoro”.
“Il lavoro, che diventa così, al tempo stesso, più astratto, ha come conseguenza, da una parte la facilità del
lavoro e l’accrescimento della produzione; dall’altra, la limitazione a una sola abilità e quindi la
dipendenza incondizionata dal complesso sociale. L’abilità stessa diventa, in tal modo, meccanica; e ne
viene la possibilità di sostituire al lavoro umano la macchina” (op. cit. §§ 525-526).
Bisogni e lavoro sono dunque due aspetti decisivi dell’analisi hegeliana della società moderna. L’altro è la
ricchezza collettiva e la sua divisione.

Su questo, una prima considerazione.


La divisione della ricchezza generale in “masse particolari che hanno propri modi di lavoro, di bisogni, di
mezzi, di interessi (…) costituisce la differenza delle classi”. Dobbiamo a Hegel la nozione moderna di
classi sociali, ben diverse dai ceti in cui si divideva la società dell’antico regime. Infatti non vi si
appartiene per nascita: “gli individui partecipano a queste classi secondo il talento naturale, la capacità,
l’arbitrio e il caso. In questa appartenenza a siffatta sfera determinata e fissa, essi hanno la loro esistenza
reale come particolare, e in questa esistenza hanno la loro eticità come onestà, il loro riconoscimento e il
loro onore” (op. cit. § 527).
Meno attuale è la descrizione che Hegel fa delle tre classi che potevano rappresentare la società della sua
epoca:
• la classe sostanziale o naturale, in pratica gli addetti al settore primario, la cui eticità si fonda
sulla fede e sulla fiducia;
• la classe riflessa comprendente gli addetti dell’industria e del commercio, che si occupano
direttamente dell’incremento e della circolazione della ricchezza, che collocano la loro eticità
nell’opinione, l’abilità, l’intelletto;
• la classe pensante o universale, che ha per sua occupazione gli interessi generali e quindi
corrisponde alla burocrazia che opera al servizio dello stato.

2) L’amministrazione della giustizia


Oltre alla divisione in classi determinata dal lavoro e dalla distribuzione della ricchezza, ci sono ulteriori
livelli di aggregazione che sono forme di unione fra gli individui, preliminari allo stato e sussistenti al suo
interno. Una di queste è l’amministrazione della giustizia, cioè l’esecuzione del diritto nella società
attraverso la legislazione e i tribunali.

3) La “polizia” e le corporazioni
E’ piuttosto fuorviante l’abitudine di tradurre Polizei con “polizia”. In realtà la parola fa riferimento
certamente all’ordine pubblico, che la società garantisce, ma anche a quelle che chiameremmo le
politiche economiche e sociali.
Al riguardo, è particolarmente importante la diagnosi delle contraddizioni del sistema produttivo di
mercato (quello che sarà detto il capitalismo).
Hegel rileva in particolare una contraddizione di fondo, quella fra concentrazione della ricchezza e
aumento della povertà. Egli constata, come abbiamo già visto, che nel moderno sistema produttivo
crescono indefinitamente (una crescita che non ha fine: la “cattiva infinità” dell’intelletto) sia i bisogni sia
la differenziazione del lavoro. In questo modo “si accrescono da un lato, l’accumulazione delle ricchezze
– il profitto che si ricava dall’aumento dei bisogni e del lavoro – e, dall’altro lato, tanto la
singolarizzazione e limitatezza del lavoro particolare, quanto, con ciò, la dipendenza e lo stato di bisogno
della classe legata a questo lavoro.”
“Il fatto che una grande massa di individui scenda sotto la misura d’una certa modalità di sussistenza (…)
e quindi il degrado di costoro fino alla perdita del sentimento del diritto, della rettitudine e dell’onore di
sussistere grazie alla propria attività e al proprio lavoro, conducono al generarsi della plebe”. Questo reca
“come contropartita, una maggiore facilità di concentrare in poche mani ricchezze sproporzionate”.
“La povertà è una situazione che lascia agli individui i bisogni della società civile e che, sottraendo loro
allo stesso tempo i mezzi d’acquisto (…) li rende più o meno privi di tutti i vantaggi della società, privi
della capacità di acquistare abilità e cultura in generale, e li priva anche dell’amministrazione della
giustizia, della cura della salute, spesso persino del conforto della religione, ecc”.

Questa diagnosi del pauperismo moderno appare sorprendentemente avanzata, e potrebbe essere
sottoscritta anche da Marx (che fin dalla giovinezza era ottimo conoscitore dell’opera di Hegel).
La società civile, secondo Hegel, è incapace di per sé di risolvere il problema dell’impoverimento:
entrambi i possibili rimedi, in contrasto fra loro (politiche di assistenza pubblica o affidarsi al libero
mercato) hanno conseguenze negative (rispettivamente l’assistenzialismo e la sovrapproduzione). La
verità è che “nonostante l’eccesso di ricchezza, la società civile non è ricca abbastanza, vale a dire: la
società civile non possiede abbastanza per ovviare all’eccesso di povertà e al generarsi della plebe” (Filos.
del diritto, §§ 241, 243, 244, 245).
Infine, nelle corporazioni che organizzano il lavoro industriale (in parte corrispondenti ai nostri
sindacati), è vista la forma di organizzazione sociale e l’”onore” (professionale) del ceto industriale.

1.3. Lo stato
Uno snodo fondamentale della filosofia pratica di Hegel (quella che stiamo esponendo) è il seguente: le
contraddizioni dello sviluppo sociale non possono essere risolte al livello della società civile, in cui si
producono: esse trovano la loro sintesi nello stato, che unifica e fa esistere concretamente i sistemi di
relazioni precedentemente studiati, che solo nello stato hanno il loro fondamento “primo” e il loro fine.
Lo stato per Hegel, con i suoi poteri costituzionali e l’attività del governo, costituisce la più alta
realizzazione della razionalità etica, in un determinato momento storico.
Le espressioni sono come è noto un po’ enfatiche. Ne riportiamo alcune.
“Lo stato è la realtà dell’Idea etica. Esso è lo spirito etico in quanto volontà sostanziale, evidente a sé
stessa, volontà che si pensa e si sa, e che porta a compimento ciò che sa (…) Nell’autocoscienza del
singolo, lo stato ha invece la propria esistenza mediata”. “Lo stato è il Razionale in sé e per sé”.

Il rapporto fra il tutto e i singoli


A differenza di quanto accade nella società civile, nello stato questo rapporto si colloca al livello della
razionalità, ed è chiaramente delineato: “questa unità sostanziale (lo stato) è autofinalità assoluta nella
quale la Libertà perviene al suo diritto supremo: analogamente, questo fine ultimo ha il supremo diritto
nei confronti dei singoli. I singoli, a loro volta, hanno il dovere supremo di essere membri dello stato”
(Op. cit. § 258). Solo nello stato i cittadini esistono come persone, cioè come soggetti di diritti, e solo lo
stato promuove il loro bene, proteggendo la famiglia e guidando (con le leggi e l’azione del governo) la
società civile.
Appare particolarmente rilevante (e attuale) quanto segue, sui rapporti fra stato e società.
“Se lo stato viene scambiato per la società civile, e se quindi la sua destinazione viene posta nella
sicurezza e nella protezione della proprietà e della libertà personale, allora l’interesse dei singoli in
quanto tali diviene il fine ultimo per cui essi sono uniti, e, a un tempo, il fatto di essere membro dello
stato finisce col dipendere dal capriccio individuale. Lo stato ha invece un rapporto completamente
diverso con l’individuo. Lo stato, infatti, è Spirito oggettivo ( = concretizzato storicamente) e l’individuo
stesso ha oggettività, verità ed eticità solo in quanto è un membro dello stato” (ibid.)
Solo nello stato moderno si è realizzata una sintesi efficace fra lo sviluppo della libera soggettività
individuale e l’appartenenza alla sostanza etica universale (cioè alla comunità, al popolo). “Il principio
degli stati moderni ha questa immane forza e profondità: esso fa sì che il principio della soggettività si
compia fino all’estremo autonomo della particolarità personale, e, a un tempo, lo riconduce nell’unità
sostanziale”.

Solo alcuni accenni alle articolazioni della dottrina dello stato.

1) Il diritto interno
Le determinazioni della libertà oggettiva e della volontà razionale consapevole, che costituiscono la
sostanza dello stato, si esprimono nelle leggi. In particolare, l’organizzazione del potere dello stato come
unità è la costituzione.
A questo proposito, la domanda: Chi deve fare la costituzione? è priva si senso. Infatti presupporrebbe
che ci siano individui senza alcuna forma di organizzazione politica, a cui qualcuno “aggiungerebbe” una
costituzione, pensata astrattamente. In realtà una costituzione (intesa nel senso lato di organizzazione
statale) esprime un certo livello di sviluppo raggiunto dallo spirito di un popolo, dalla sua
autocomprensione, e non ne può essere separata. “Ciò che si chiama fare una costituzione non è mai, a
causa di tale inseparabilità, accaduto nella storia (…) una costituzione si è soltanto svolta dallo spirito
(…) ed insieme con lui ha percorso i gradi di formazione e i cambiamenti, necessari in virtù del concetto”
(Enc. § 540). “Di conseguenza, ogni popolo ha la costituzione che gli è adeguata e conveniente”.
La forma costituzionale presa in considerazione come la più idonea all’esercizio razionale della sovranità
nel mondo moderno è un tipo di monarchia in cui si compenetrino tre poteri: del principe, dell’assemblea
rappresentativa e del governo, esprimenti ciascuno un lato del concetto: l’individualità dello stato (il
principe), la particolarità degli interessi presenti nella società (rappresentati dalle assemblee dei ceti) e
l’universalità del bene comune (di spettanza del governo, nella varietà delle sue attività e funzioni,
includenti in parte quella giudiziaria e quella legislativa).

2) Il diritto esterno
In questa sezione (e nella parte immediatamente precedente: “La sovranità verso l’esterno”) Hegel
esamina la questione dibattuta fin dall’epoca illuminista del diritto internazionale e delle relazioni fra gli
stati.
Ricordiamo che Kant aveva affrontato questo tema in un famoso scritto, Per la pace perpetua (1795), in
cui formulava un progetto di ampio respiro, che è detto cosmopolitico e oggi appare “europeista”, di pace
e collaborazione fra gli stati europei per l’uscita dal ciclo di guerre prima dinastiche e poi rivoluzionarie
che si erano susseguite nel settecento. Il progetto kantiano si basa in particolare su alcuni articoli: 1) gli
stati europei devono darsi delle costituzioni repubblicane basate sul contratto fra cittadini e stato, che
garantiscano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini; 2) gli stati, per non danneggiarsi reciprocamente,
devono costituire una federazione di popoli “in cui ciascuno possa essere assicurato del suo diritto”; 3)
ogni straniero ha il diritto di visita , ossia il diritto a non essere trattato ostilmente quando si reca in un
altro stato, in virtù del diritto al possesso comune della superficie della Terra.
Hegel differisce da questa visione sotto molti aspetti.
- Ogni stato è un’individualità e come tale, di fronte agli altri è autonomo, come un individuo di fronte
ad altri individui e “questa autonomia è la prima libertà e il supremo onore di un popolo”. La relazione
fra gli stati appare dunque come la relazione di un Altro a un Altro, ossia come una relazione negativa, in
cui consiste l’esistenza propria dello stato. In altre parole, nessun popolo rinuncia alla propria sovranità e
indipendenza, neanche per entrare in federazione con altri.
- Nei confronti dello stato come sostanza etica e della sua sussistenza, “l’interesse e il diritto dei singoli
sono posti come un momento dileguante”. Il riconoscimento di questo rapporto con lo stato costituisce “il
dovere sostanziale dei singoli: il dovere di conservare questa individualità sostanziale (l’indipendenza e
sovranità dello stato) mediante l’esposizione al pericolo e il sacrificio della loro proprietà e della loro
vita”.
- Questo passaggio prelude alla giustificazione speculativa della guerra. “E’ necessario che il finito (la
proprietà e la vita) venga posto come qualcosa di accidentale, perché è questo il concetto del finito (…)
Ora la guerra è una situazione nella quale la vanità delle cose e dei beni temporali – vanità che negli altri
casi suole essere un modo di dire edificante – diventa una cosa seria”. Mediante la guerra “la salute etica
dei popoli viene mantenuta nella sua indifferenza contro il consolidarsi delle determinatezze finite, e
come il movimento dei venti preserva il mare dalla putredine cui sarebbe ridotto da una bonaccia
duratura, così la guerra preserva i popoli dalla putredine cui sarebbero ridotti da una pace duratura o
addirittura perpetua”. Considerazione eraclitea (oltre che anti-kantiana), un po’ fastidiosa per la nostra
sensibilità. Poi, si capisce, questo vale in generale: “le guerre reali hanno bisogno di una giustificazione
ulteriore” (Op. cit. §§ 321-324).

3) La storia del mondo


Gli stati, si è detto, sono degli individui in rapporto fra loro. Così gli spiriti nazionali (p. es. francese,
inglese ecc.), in quanto individui esistenti, sono fra loro in rapporto dialettico, comprendente tutto quello
che appartiene alla dialettica fra entità finite: passioni, interessi, fini, violenza, torto. Ma, come dovremmo
avere afferrato, dal continuo dileguare dei finiti nella loro dialettica, si genera l’Infinito, il Tutto. “A
partire da questa dialettica, lo Spirito universale, lo Spirito del mondo, si produce come illimitato, in
quanto esercita sugli spiriti nazionali il proprio diritto – e il suo diritto è il supremo fra tutti i diritti” La
storia del mondo è il tribunale del mondo (diceva Schiller).
La storia è dunque lo sviluppo dei momenti della Ragione, che come autocoscienza etica dei popoli è
Spirito. “la storia del mondo è l’esplicazione e la realizzazione dello Spirito universale”.
In questo svolgimento dello Spirito del mondo, gli stati, i popoli e gli individui si presentano ciascuno nel
suo principio determinato e particolare. Essi sono quindi strumenti e membri inconsapevoli del cammino
dello Spirito, e “mentre queste singole figure trapassano, lo Spirito invece prepara ed elabora a sé stesso il
passaggio nel suo stadio superiore prossimo”.
La storia è dunque “la configurazione dello Spirito nella forma dell’accadere”. In questo processo di
sviluppo dello Spirito, ciò che “accade” è l’emergere di volta in volta di un determinato popolo, col
proprio principio spirituale, che in quel dato momento, e per una sola volta nella storia, è il principio (e il
popolo) dominante. Per esempio, la Francia napoleonica nel primo ottocento incarna questa funzione di
popolo cosmico-storico e ha raggiunto un diritto assoluto sugli altri popoli, essendo pervenuta alla guida
della storia mondiale, per poi, come tutte le cose finite, essere superata e “tramontare”.
La stessa funzione e lo stesso destino hanno gli individui cosmico-storici (nell’esempio, Napoleone), che
perseguendo la realizzazione dei propri progetti, promuovono il cammino (e soprattutto le accelerazioni)
dello Spirito del mondo, e questo scopo “è nascosto a loro stessi, e non è loro oggetto e fine”. Per
esprimere questa “eterogeneità dei fini”, Hegel parlerà di “astuzia della ragione”, che si serve degli
individui per proseguire il proprio cammino, lasciandoli poi alla sorte (tragica) del finito, con l’unica
ricompensa della gloria.

1.4. Il corso della storia


Come si è detto, gli spiriti nazionali, che animano l’eticità dei differenti stati, sono i momenti finiti e gli
esecutori dello Spirito del mondo. Attraverso il sorgere e il tramontare di essi, si realizza il cammino dello
Spirito del mondo, ossia la storia. Essendo lo Spirito essenzialmente autocoscienza (realizzantesi
nell’autocomprensione che ogni epoca della civiltà ha di sé: politica, cultura, religione, pensiero…), il suo
progredire consiste nell’attività di liberarsi sempre di più dalle forme dell’immediatezza naturale e di
pervenire alla piena coscienza di sé stesso e (cioè) della libertà.
Le forme di stato che scandiscono questa acquisizione progressiva della libertà sono quattro:
1. Il regno orientale, in cui lo spirito ha la figura della Sostanza. Il governo è la teocrazia, il signore
è sommo sacerdote e dio. In questo Tutto, la personalità individuale tramonta senza diritti, la
natura è divina, la storia è poesia.
2. Il regno greco, dell’eticità antica, che si basa sull’unità sostanziale di finito e infinito. Qui si
manifesta il principio della libertà individuale, ma ancora mantenuto come ideale. Le decisioni
spettano alla comunità e la particolarità del lavoro non ha ancora raggiunto la libertà, ma è affidata
agli schiavi.
3. Il regno romano, in cui la comunità etica si è disgregata e gli individui sono uguagliati sotto il
diritto come persone giuridiche private, sottoposti all’arbitrio dell’imperatore.
4. Il regno germanico, in cui si realizza nelle forme moderne la riconciliazione della soggettività
libera e della comunità etica. La contrapposizione presente nell’epoca medievale fra il principio
soggettivo di libertà mondana incarnato dai barbari germani e il principio oggettivo della Verità
eterna ancora invischiato nella ritualità esteriore della chiesa cattolica, è superata con la Riforma
protestante. Ora, e questo vale in generale per lo stato moderno, si è realizzata la conciliazione e la
compenetrazione fra l’elemento mondano, che riconosce la sua libertà nella razionalità della legge,
e l’elemento spirituale, che non è più confinato nell’Aldilà separato della rappresentazione, ma
concorre all’unità dello stato (come la chiesa luterana).

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