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CAPITOLO 11

LE SOCIETA’ DI PERSONE
LE SOCIETA’ PERSONALI E L’INDIVIDUAZIONE DELLA DISCIPLINA
Le società personali sono disciplinate con una normazione in gran parte comune: il
legislatore ha dettato una serie di disposizioni per la società semplice, rendendole
applicabili con una norma di rinvio, l’art. 2293 c.c., alla società in nome collettivo; mentre,
tutte le norme peculiari dettate per la società in nome collettivo, sono dichiarate
applicabili alla società in accomandita semplice, in quanto compatibili con le norme
specifiche dettate per disciplinare tale tipo di società. Occorre distinguere tra norme che,
non essendo derogate dalle norme particolari sulla società in nome collettivo e sulla
società in accomandita semplice, costituiscono la disciplina di tutte le società personali e
norme che, invece, costituiscono la disciplina specifica delle società semplici, essendone
esclusa esplicitamente o implicitamente l’applicazione alle altre società personali.
LA SOCIETA’ SEMPLICE
La società semplice assumere il codice civile una posizione preminente dal punto di vista
normativo, dal momento che la sua disciplina si estende anche alla società in nome
collettivo e alla società in accomandita semplice; mentre insignificante è la concreta
utilizzazione del modello. E’ semplice la società che non presenta elementi di
identificazione ulteriori rispetto a quelli contenuti nella norma che definisce la società
come contratto, e quindi l'art. 2247. Il criterio per la qualificazione del rapporto come
società semplice ha contenuto negativo, nel senso che una società è regolata dalle norme
sulla società semplice quando non ha ad oggetto un'attività commerciale e quando le parti
non abbiano adottato le forme di una delle società commerciali.
LE ATTIVITA’ CHE POSSONO COSTITUIRE L’OGGETTO SOCIALE
Le categorie di attività ipotizzabili quale oggetto della società semplice sono:
1. quella agricola, la quale può considerarsi l'attività di elezione della società semplice.
In concreto l' ambito di utilizzazione di tale società per l'esercizio di attività agricola
risulta ridotto, dove si tenga conto, da un lato, che le due forme più importanti di
contratti a struttura associativa per l'esercizio dell'attività agricola erano
normativamente sottratte alla disciplina della società semplice e sottoposte ad una
regolamentazione ad hoc o agli usi; dall'altro, che lo schema societario non è fruibile
nelle fattispecie in pratica più ricorrenti, come quella dei condomini di un fondo
rustico che concedono in affitto i beni di cui sono proprietari. La legislazione speciale
in materia agricola favorisce la scelta di forme societarie o associative diverse dalla
società semplice. Ne consegue l'ipotesi più frequente ovvero quella dei coeredi i
quali continuano l'esercizio delle imprese agricola del loro dante causa;
2. ai sensi dell'art. 8, comma 2, n. 3, d.p.r. 31 Marzo 1975, n. 136, una seconda possibile
forma di utilizzazione della società semplice è quella delle società di revisione;
3. una terza categoria di attività è stata quella delle attività professionali. L'entrata in
vigore del d.lgs. 2 Febbraio 2001, n. 96, non ha più consentito un' affermazione così
netta, almeno per quanto concerne la società di avvocati, dal momento che individua
una disciplina suppletiva quella delle società in nome collettivo. Ma la disciplina
dettata dalla l. n. 183/2011, art 10, ha aperto in linea generale all' utilizzazione di tale
modello per l'esercizio in forma associata delle attività professionali;
4. una quarta categoria comprende tutte quelle attività che una volta erano
considerate lato sensu civili. È stato rilevato che il genere dell’impresa agraria non si
identifica solo con quello delle imprese non commerciali: vi sono delle imprese che
non sono agrarie, ne commerciali che una parte della dottrina ha voluto classificare
civili e che possono formare oggetto di società semplice, come ad esempio le società
esercenti l'attività di riscossione delle imprese o dei fitti di immobili urbani l’attività
di vigilanza notturna.
LA COSTITUZIONE
La costituzione della società semplice e caratterizzata dalla massima semplicità formale
e sostanziale, ma richiede un contenuto minimo dell’atto costitutivo, limitandosi a
stabilire nell’art. 2251 che “il contratto non è soggetto a forme speciali, Salve quelle
richieste dalla natura dei beni conferiti”. La forma scritta è, quindi, indispensabile solo
quando vengano conferiti dai soci in proprietà o in godimento ultranovennale beni
immobili o altri diritti reali immobiliari. I beni conferiti dei soci entrano a far parte del
patrimonio della società. La semplicità sostanziale l'assenza di prescrizioni analitiche in
ordine al contenuto dell'atto costitutivo inducono ad affermare la sufficienza dei
requisiti generalmente stabiliti per ogni tipo di contratto, e quindi i soggetti, oggetto e
causa.
A. I soggetti devono essere almeno due, e i problemi aperti sono:
a1) se sia applicabile anche alla società semplice la norma dell'art. 2294, che
disciplina la partecipazione degli incapaci alla società in nome collettivo. Il
dibattito si è svolto tra chi, ravvisando la ratio dell’art. 2294, ritiene la norma in
esame applicabile anche all' incapace che voglia diventare socio di una società
semplice, e chi al contrario, non si estendono agli imprenditori individuali non
commerciali, conclude per l' inapplicabilità di essi a chi voglia diventare socio di
una società semplice;
a2) nel secondo problema via il quesito se possano divenire socie di società
semplice altre società di capitali e di persone.
B. L'oggetto deve avere i requisiti richiesti dall'art. 1346 e non può contemplare
attività di natura commerciale.
C. La causa è definita dall'art. 2247 per tutte le società lucrative.
D. Il fondo sociale è lo strumento di attivazione dell’oggetto sociale. L'art. 2253
stabilisce che “se i conferimenti non sono determinati, si presume che i soci siano
obbligati a conferire, in parti uguali fra loro, quanto è necessario per il
conseguimento dell'oggetto sociale”.
LA PUBBLICITA’
L’art. 8, l. 29 dicembre 1993, n. 580 stabilisce che “sono iscritti in sezioni speciali del
registro delle imprese le società semplici” e che “l'iscrizione nelle sezioni speciali ha
funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia, oltre agli effetti previsti dalle
leggi speciali”. La pubblicità notizia a differenza della pubblicità dichiarativa, non ha di
per sé lo scopo di rendere opponibile ai terzi determinate situazioni, ma ciò non significa
che l'iscrizione nelle sezioni speciali del registro delle imprese non possa inquadrarsi fra i
mezzi idonei a portare a conoscenza dei terzi determinati fatti. Ha importanza essenziale
non tanto l'uso dell' uno o dell' altro mezzo di pubblicità, quanto la idoneità nel caso
concreto del mezzo a raggiungere lo scopo notificativo; se vi e idoneità obiettiva del mezzo
pubblicitario, l'atto pubblicato si ritiene opponibile a qualunque terzo, anche se ignaro.
L’ORGANIZZAZIONE INTERNA E LA GESTIONE
Il legislatore nel disciplinare le società personali, ha privilegiato il momento della gestione
rispetto a quello della formazione della volontà collettiva: non esistono organi sociali in
senso proprio, ai quali sia istituzionalmente attribuita dalla legge una sfera di competenze,
ma esistono solo i soci ai quali la legge stessa attribuisce naturalmente il potere di
decidere amministrando. La dottrina posto la possibilità di una collegialità pattizia, nel
senso che il contratto potrebbe prevedere l'esistenza di un assemblea e di un consiglio di
amministrazione con conseguente adozione del metodo maggioritario e dell’osservanza
delle regole relative alla convocazione dell'assemblea è all'ordine del giorno. Il legislatore
ha fatto dei soci naturali amministratori della società anche per bilanciare la loro
responsabilità illimitata nei confronti dei terzi e ha dettato una disciplina del
funzionamento del sistema delineato.
AMMINISTRAZIONE E GESTIONE. AMMINISTRAZIONE DISGIUNTA E CONGIUNTA
I modi di amministrare le società personali sono due:
1. amministrazione disgiuntiva, regolata dall'art. 2257 c.c., il quale dispone: “la
gestione dell’impresa si svolge nel rispetto della disposizione di cui all'articolo 2086
e spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni
necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale. Salvo diversa pattuizione,
l'amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli
altri. Se l'amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, ciascun socio
amministratore ha diritto di opporsi all'operazione che un altro voglia compiere,
prima che sia compiuta. La maggioranza dei soci, determinata secondo la parte
attribuita a ciascun socio negli utili, decide sull'opposizione”.
2. Amministrazione congiuntiva, regolata dall'art. 2258 c.c. che dispone: “se
l'amministrazione spetta congiuntamente a più soci, è necessario il consenso di
tutti i soci amministratori per il compimento delle operazioni sociali. Se è
convenuto che per l'amministrazione o per determinati atti sia necessario il
consenso della maggioranza, questa si determina a norma dell'ultimo comma
dell'articolo 2258. Nei casi preveduti da questo articolo, i singoli amministratori
non possono comprare da soli alcun atto, salvo che vi sia urgenza di evitare un
danno alla società”.
Qualunque dei due modi di amministrare si scelga, due sono gli schemi che all'interno di
ciascuno di essi possono darsi:
1. quello in cui tutti i soci, disgiuntamente o congiuntamente, siano
amministratori. Quando il contratto sociale nulla disponga in ordine alle
indicazioni normative, per cui è d'obbligo l'adozione del sistema disgiuntivo
affidato a tutti i soci, ovvero quando il contratto sociale prescriva tout court il
sistema congiuntivo senza ulteriori specificazioni, lasciando presumere che
tutti i soci vogliono amministrare la società;
2. quelli in cui, invece, l'amministrazione sia affidata solo ad alcuni soci, avendo
gli altri espressamente rinunciato. E ciò avviene quando esista un regolamento
contrattuale che preveda l'affidamento dell'amministrazione soltanto ad alcuni
soci.
Da quest'ultimo punto di vista si possono verificare due situazioni: quella
dell'amministrazione disgiuntiva o congiuntiva secca, e cioè affidata a tutti i soci, e quella
dell' affidamento dell’amministrazione, disgiuntivamente o congiuntamente, soltanto ad
alcuni soci. In alternativa a questi schemi una parte della dottrina ritiene possibile
l'affidamento dell'amministrazione a non soci, chiamati amministratori estranei.
In ordine all'amministrazione disgiuntiva sono titolari naturali del potere di
amministrazione i singoli soci disgiuntivamente l'uno dall'altro instaurando in tal modo un
collegamento fra potere di direzione il rischio di impresa. Il concreto esercizio di tale
potere nell’amministrazione disgiuntiva significa che ciascun socio è legittimato ad
intraprendere da solo in nome della società tutte le operazioni che ritenga utili all'
interesse della società senza necessità di informarne preventivamente gli altri soci e di
portarle a termine, a meno che il compimento dell'operazione stessa non venga
paralizzato dal tempestivo esercizio del diritto di opposizione che ogni altro socio può
esercitare prima che l'operazione intrapresa sia conclusa.
In ordine all' amministrazione congiuntiva, oltre alla possibilità che l'amministrazione sia
affidata a tutti o solo ad alcuni dei soci, è possibile prevedere che le decisioni vengano
adottate non secondo la regola legale dell' unanimità, ma secondo la regola pattizia della
maggioranza.
GLI AMMINISTRATORI ESTRANEI
In realtà, si continua a discutere in dottrina se una simile ipotesi sia verificabile o meno.
Alcuni autorevoli autori affermano che è ammissibile la presenza di amministratori
estranei, a patto che non siano anche rappresentanti della società. Altri invece
propendono per una soluzione affermativa più ampia. In tal caso, però viene escluso che
possa pattuirsi anche l’esenzione, per tutti i soci, della responsabilità limitata e solidale.
Se infatti ciò avvenisse, la società semplice si trasformerebbe in una vera e propria società
a responsabilità limitata.
POTERI, DIRITTI E OBBLIGHI DEGLI AMMINISTRATORI
Nella società semplice i diritti e gli obblighi degli amministratori si basano sulle norme
sul mandato. Dunque, gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società
per l’adempimento degli obblighi che sono ad essi imposti dalla legge e dal contratto
sociale. La responsabilità si estende però agli amministratori che dimostrino di essere
esenti da colpa. Ricordiamo inoltre che la responsabilità degli amministratori è sempre
solidale. E ciò vale anche nel caso di gestione disgiunta della società. In capo a ciascuno di
essi è quindi configurabile una sorta di obbligo di controllo dell’operato degli altri
amministratori, che può essere esercitato anche mediante il potere di veto, di cui abbiamo
già parlato. In altri termini, se l’amministratore ritiene che un altro amministratore stia
per porre in essere dei comportamenti che potrebbero arrecare dei pregiudizi alla società,
ha il potere di opporsi, naturalmente prima che questi sino compiuti. Per liberarsi della
sua responsabilità, l’unica cosa che possono fare gli amministratore è fornire la prova di
aver vigilato e di aver gestito l’impresa in modo corretto e in modo diligente.
Con riferimento ai poteri degli amministratori, bisogna prima parlare della
rappresentanza nelle società semplici. Il rappresentante della società è colui che ha il
potere di esprimere la volontà sociale all’esterno, agendo così in nome della società. Nelle
società semplici la rappresentanza spetta a ogni amministratore, salvo che sia
diversamente previsto nel contratto sociale. Per quanto invece concerne le modalità di
esercizio del potere di rappresentanza, si intende per tale la medesima regola che vige per
l’amministrazione. Se dunque il contratto sociale non dice nulla al riguardo, la
rappresentanza sarà disgiuntiva se l’amministrazione è disgiuntiva. Sarà invece
congiuntiva nel caso di cui anche l’amministrazione sia congiuntiva. Come anticipato,
però, il contratto sociale può prevedere diversamente. È dunque possibile che si possa
stimare l’esistenza di un’amministrazione congiunta ma con rappresentanza disgiunta. Il
potere di rappresentanza si distingue facilmente da quello di gestione. Il potere di
gestione consiste infatti nel diritto ad amministrare l’impresa e a compiere tutti gli atti
volti al perseguimento dello scopo sociale. Di contro, il potere di rappresentanza consiste
nella facoltà di agire, nei confronti di terzi, in nome della società. Si tratta di una
caratteristica naturale della qualità di amministratore. Dunque, se il contratto non
contiene particolari disposizioni in tema di amministrazione, la gestione e la
rappresentanza spettano a tutti i soci in via disgiuntiva. Se invece la direzione è affidata in
via congiuntiva a tutti o più soci, anche il potere di rappresentanza sarà esercitato
congiuntamente. Per quanto infine attiene la rappresentanza processuale, tale risulta
essere connessa in modo stretto a quella negoziale. Come conseguenza, ogni
amministratore che risulta essere dotato di rappresentanza, può agire ed essere
convenuto in giudizio per la società.
LA RESPONSABILITA’ DEGLI AMMINISTRATORI
A norma dell’art. 2260, 2° comma, gli amministratori «sono solidalmente responsabili»
verso la società per l’adempimento degli obblighi ad essi imposti dalla legge e dal
contratto sociale. Tuttavia, la responsabilità non si estende a quelli che dimostrano di
essere esenti da colpa. Da questa norma si ricavano tre principi:
1. la responsabilità degli amministratori si atteggia nei confronti della società e non
dei singoli soci: è causata da quei fatti dannosi che colpiscono il socio solo in via
riflessa in quanto colpiscono la collettività;
2. la solidarietà fra gli amministratori opera oltre che in regime di amministrazione
congiuntiva, anche in regime di amministrazione disgiuntiva;
3. ciascun amministratore può esimersi da responsabilità dimostrando di essere
immune da colpa.
La responsabilità, inoltre, si estende anche agli amministratori di fatto, ovvero a quegli
amministratori che, sebbene non investiti formalmente dell’incarico, hanno in realtà
svolto le relative funzioni.
L’ESTENZIONE DEL RAPPORTO DI AMMINISTRAZIONE
Se si eccettua l'ipotesi della revoca l'estinzione del rapporto di amministrazione non è
regolata in modo organico, analogamente a quanto avviene per la nomina. I casi di
cessazione del rapporto di amministrazione sono:
A. l'esclusione del socio amministratore della società. La cessazione del rapporto di
amministrazione conseguente all' esclusione dalla società del socio
amministratore e soluzione obbligata e coerente solo per chi ritiene la qualità di
socio presupposto naturale e indispensabile per l'esercizio delle funzioni
amministrative;
B. la revoca. Essa costituisce l'unica ipotesi di cessazione espressamente regolata
dalla legge dall’art. 2259 il quale stabilisce che la “revoca dell'amministratore
nominato con il contratto sociale non ha effetto se non ricorre una giusta causa.
L'amministratore nominato con atto separato e revocabile secondo le norme sul
mandato. La revoca per giusta causa può in ogni caso essere chiesta giudizialmente
da ciascun socio”.
Interpretazione plausibile della norma può essere divisa in due parti, revoca ad opera
della collettività dei soci e revoca da parte dell'autorità giudiziaria, e consente due
deduzioni: 1) per quanto attiene alla revoca da parte della collettività dei soci, e se
possibile solo nei confronti degli amministratori che siano stati nominati con il contratto
sociale o con atto separato; 2) mentre deve registrarsi permanere del divario le opinioni
sul perché del diverso trattamento tra amministratore nominato con il contratto sociale,
revocabile solo se ricorra una giusta causa, e amministratore nominato con atto
separato, revocabile secondo le norme sul mandato, deve aggiungersi che per il secondo
il rinvio e all'articolo 1726, onde la necessità del consenso unanime dei soci, così come
questo è indispensabile per la nomina; 3) più impegnativi sono i problemi sollevati dalla
revoca giudiziaria: si dibatte in questo caso sul concetto di giusta causa, premesso che la
giusta causa è ogni evento, anche non imputabile all' amministratore, che rende
impossibile il naturale svolgimento del rapporto di gestione, e qui si può aggiungere che
la valutazione di ciò che sia e ciò che non sia giusta causa eri messa necessariamente all'
apprezzamento del giudice e che non sussiste mai giusta causa ove risulti rispettato
l'obbligo di diligenza.
POTERI DI CONTROLLO ATTRIBUITI AI SOCI ESCLUSI DALL’AMMINISTRAZIONE
L'articolo 2261 attribuisce ai soci che non partecipano all'amministrazione una serie di
poteri di controllo sull’amministrazione della società, e sono:
a) il diritto di ottenere dagli amministratori notizie dello svolgimento degli affari
sociali;
b) il diritto di consultare i documenti relativi all'amministrazione;
c) il diritto di ottenere il rendiconto quando gli affari per cui fu costituita la società
sono stati compiuti ovvero, se la durata della società è ultrannale, al termine di
ogni anno.
LA QUALITA’ DI SOCIO
Viene definita qualità di socio, la posizione di membro della società, produttiva di una
serie di interessi, variamente tutelati dall'ordinamento giuridico nei confronti della società
stessa.
I MODI DI ACQUISTO. TRASFERIMENTO INTER VIVOS E MORTIS CAUSA DELLA
PARTECIPAZIONE SOCIALE
L'acquisto della partecipazione sociale può avvenire:
a) o per effetto dell'adesione originaria al contratto di società in virtù dell' assunzione
dell'obbligo del conferimento;
b) o per effetto dell'acquisto inter vivos di una quota di partecipazione. Anche se il
principio ispiratore della materia è quello della non libera trasferibilità della quota,
soprattutto in coerenza con l’intuitus personae che caratterizza la costituzione
delle società personali, la pratica insegna che la quota viene considerata cedibile,
ma l'efficacia della cessione è subordinata al consenso di tutti gli altri soci, e tale
consenso può essere non solo tacito ma prestato dopo che sia intervenuto tra le
parti il contratto di cessione;
c) o ancora, per effetto della successione mortis causa, sempre che esista una
clausola di continuazione della società con gli eredi del socio defunto ovvero l'
accoglimento da parte degli eredi medesimi della proposta di subentrare in società
in luogo del de cuius loro rivolta dei soci superstiti.
PARTECIPAZIONE SOCIALE: USUFRUTTO, PEGNO, MISURE CAUTELARI,
CONTITOLARITA’
La soluzione dei problemi relativi all' ammissibilità della costituzione di usufrutto e pegno
sulle quote sociali è strettamente legata alla soluzione del problema del trasferimento:
evolutosi il pensiero di autori e giudici verso l' ammissibilità del trasferimento, analogo
atteggiamento si ha avuto in ordine ai diritti reali limitati; anche in questo caso,
l'ammissibilità della loro costituzione è subordinata al consenso di tutti gli altri soci.
Possiamo dividere le situazioni soggettive in tre categorie:
a) quelle il cui esercizio spetta sicuramente al socio, nelle quali va incluso il diritto di
recesso, con cui si dispone della stessa qualità di socio;
b) quelle il cui esercizio spetta sicuramente all' usufruttuario o al creditore
pignoratizio, nelle quali vanno inclusi il diritto agli utili con la specificazione che,
salvo patto contrario, usufruttuario e creditore pignoratizio dovranno imputare
agli utili prima alle spese e agli interessi e poi al capitale, il diritto di voto per una
sorta di applicazione analogica dell'art. 2352, e il diritto di amministrare, a
condizione che si ritengano ammissibili gli amministratori estranei;
c) quelli che, per loro natura, possono essere esercitati dal socio e dall' usufruttuario,
in cui si fanno rientrare i diritti di controllo spettanti ai soci non amministratori e il
diritto alla quota di liquidazione.
Per quanto riguarda gli obblighi si adottano soluzioni differenti per il pegno e per l'
usufrutto: nel primo caso esso grava sul socio e nel secondo sull’usufruttuario. A quali
misure cautelari la quota sia assoggettabile, l'opinione comune tende a far rientrare tra
gli atti conservativi sia il sequestro conservativo, si all' espropriazione e il pignoramento
delle forme del pignoramento presso terzi. Nel caso in cui della quota siano contitolari
più persone l'alternativa è la mutazione della disciplina contenuta per la contitolarità di
azioni nell’art. 2347, ovvero applicazione della disciplina che regola la contitolarità dei
diritti reali.
OBBLIGHI CONNESSI ALLA PARTECIPAZIONE SOCIALE
Per quanto concerne gli obblighi vi è l'obbligo del conferimento, sancito dall'art. 2253 il
quale stabilisce che il socio è obbligato ad eseguire conferimenti determinati nel contratto
sociale. Se i conferimenti non sono determinati, si presume che i soci siano obbligati a
conferire, in parti uguali fra loro, quanto necessario per il conseguimento dell'oggetto
sociale. All'effetto del passaggio dei beni nel patrimonio della società, è connessa
l'impossibilità per il socio stesso di servirsi delle cose appartenenti al patrimonio sociale
per fini estranei a quelli della società, come stabilito dall' articolo 2256. Per quanto
concerne gli obblighi non sanciti normativamente vi è l'obbligo di collaborazione, da
ricollegarsi ai profili soggettivi dell’esercizio comune dell'attività economica: esercizio in
comune significa anche obbligo di collaborazione al perseguimento dello scopo comune e
all'esercizio dell'attività.
I DIRITTI DEL SOCIO
Accanto al diritto di amministrare, il socio e il titolare di altri situazioni giuridiche attive
che possono essere distinte in due categorie:
A. quella amministrative o sociali o di amministrazione lato sensu, che possono
essere individuate in: diritto di esprimere il proprio parere; diritto di opporsi,
quando l'amministrazione spetta disgiuntamente a più soci, all'operazione che
altro socio voglia compiere, prima che sia compiuta; diritto di chiedere
giudizialmente la revoca del socio o dei social ministra tori quando ricorre una
giusta causa; il diritto di opporsi alla propria esclusione; diritti di controllo spettanti
ai soci non amministratori;
B. quelle di carattere patrimoniale o economico, che spettano indistintamente a tutti
i soci, amministratori e no: il diritto agli utili, i quali sono percepibili dopo
l'approvazione del rendiconto in misura proporzionale ai conferimenti; il diritto
alla liquidazione della quota, nell’ipotesi di scioglimento del rapporto sociale
limitatamente ad un socio; il diritto alla quota di liquidazione, all'atto
dell'estinzione della società dovendo ricordarsi che ai soli soci che hanno conferito
beni in godimento aspetta il diritto alla restituzione.
GLI UTILI
Per utile deve intendersi quello derivante dall’attività economica esercitata dalla società
e che solo i guadagni effettivamente così realizzati possono essere destinati alla
ripartizione periodica ai soci. L’art. 2262 prevede il diritto del socio di società personale
alla divisione periodica degli utili: diritto che è immediatamente esigibile per effetto
dell’approvazione del rendiconto annuale. Non sono ammissibili, sia i patti che
stabiliscono devoluzioni dell’utile contrastanti con la causa del contratto sociale, con i
quali uno o più soci vengono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite, patto
leonino, né possono ritenersi ammissibili rinunce preliminari del socio agli utili per
destinarli ad altri scopi preventivamente individuati. Gli artt. 2263 e 2264 riguardano i
criteri per determinare la partecipazione dei soci ad utili e perdite e da esse si ricavano
regole e principi:
1) come regola generale il principio per cui la disciplina legale ha carattere
suppletivo, in quanto l’applicazione di tale norma è condizionata all’assenza di
pattuizioni contrattuali in tema di ripartizione degli utili e delle perdite;
2) come principio legale inderogabile, il divieto del patto leonino;
3) come principio suppletivo, quello per cui solo quando manchino pattuizioni
contrattuali, intervengono le presunzioni poste dall’art. 2263, e cioè: se il valore
dei conferimenti è determinato nel contratto, vige il principio della proporzionalità,
nel senso che le parti spettanti ai soci nei guadagni e nelle perdite si presumono
proporzionali ai conferimenti; se manca ogni determinazione contrattuale del
valore dei conferimenti, scatta la presunzione di uguaglianza, ovvero la
partecipazione ad utili e perdite si presume uguale per tutti i soci; presunzione di
uguaglianza tra partecipazione ai guadagni e partecipazione alle perdite, ove il
contratto determini solo la parte di ciascuno nei guadagni;
4) come deroga al principio espresso precedentemente, che “la determinazione della
parte di ciascun socio nei guadagni e nelle perdite può essere rimessa ad un terzo,
la cui decisione può essere impugnata ai sensi dell’art. 1349 c.c., salvo che dal socio
il quale abbia volontariamente eseguito la decisione stessa.
SOCIO D’OPERA: la norma contenuta nell’art. 2263 non risolve i problemi interpretativi
che la figura del socio d’opera ha suscitato. E questa incertezza si riflette nelle posizioni
della dottrina che si è occupata dei criteri che il giudice deve seguire ai fini della
determinazione della quota di utile spettante al socio d’opera. Il giudice può applicare la
norma solo in quanto il valore del conferimento del socio d’opera non sia determinato e
lo siano invece quelli dei soci capitalisti, che nel caso in cui nessun conferimento sia
determinato la norma dovrebbe essere sostituita dal criterio di uguaglianza stabilito dal
comma 1 dello stesso; e comunque, il potere del giudice è poi limitato all’accertamento,
in concreto, del valore rivestito dal conferimento de socio d’opera.
I RAPPORTI DELLLA SOCIETA’ CON I TERZI
Il discorso dei rapporti della società con i terzi può essere svolto considerando il tema da
due punti di vista:
1) quello della rappresentanza, e cioè sei soggetti che hanno il potere di spendere il
nome della società e quindi di impegnarla nei confronti dei terzi;
2) quello della responsabilità per le obbligazioni sociali, che coinvolge
indirettamente anche il discorso sui rapporti con i creditori sociali e i creditori
particolari del socio.
LA RAPPRESENTANZA SOCIALE
L’art. 2266 stabilisce che “la società acquista i diritti e assume le obbligazioni per mezzo
dei soci che ne hanno la rappresentanza e sta in giudizio nella persona dei medesimi. In
mancanza di diversa disposizione del contratto, la rappresentanza spetta a ciascun socio
amministratore e si estende a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale. Le
modificazioni e l’estinzione dei poteri di rappresentanza sono regolate dall’art. 1396”.
Questa disposizione pone le condizioni in presenza delle quali una posizione soggettiva
attiva o passiva acquisita da un socio può essere qualificata come diritto o come
obbligazione sociale, e quindi come diritto destinato a far parte del patrimonio sociale o
come obbligazione della quale il patrimonio sociale e i singoli soci illimitatamente
responsabili possono essere chiamati a rispondere. La condizione posta è che il diritto sia
stato acquistato e l’obbligazione assunta da un socio che abbia la rappresentanza della
società. A questo punto bisogna fare una distinzione:
A. le situazioni che possono verificarsi con stretto riguardo alla persona
dell’investito, sono:
a1) se il contratto sociale nulla dispone in ordine alla rappresentanza, questa
spetterà a ciascun socio amministratore. La scelta del sistema di amministrazione
incide sull’esercizio del potere rappresentativo, per cui a seconda che il sistema di
amministrazione sia quello disgiuntivo o congiuntivo, l’esercizio del potere
rappresentativo spetterà disgiuntamente o congiuntamente ai soci
amministratori;
a2) quando il contratto contiene disposizioni esplicite in ordine alla
rappresentanza, si tratterà valutarne l’ammissibilità soprattutto con riguardo alla
persona dell’investito. E se nessun dubbio può esservi sull’ammissibilità di clausole
che contemplino l’affidamento del potere rappresentativo solo ad alcuni dei soci
amministratori, dubbi sorgono invece per le clausole che prevedano l’affidamento
della rappresentanza ad estranei;
B. le situazioni che possono verificarsi con riguardo al “contenuto” e all’estensione
dei poteri rappresentativi sono: se il contratto nulla dispone, la rappresentanza si
estende al compimento di tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale, facendosi
in tal modo coincidere potere di amministrazione e potere di rappresentanza; e
tale soluzione dovrà adottarsi anche per l’ipotesi in cui esistano limiti al solo potere
di amministrazione, che si estenderanno naturalmente al potere rappresentativo.
Se invece il contratto detta disposizioni limitatrici del contenuto, si tratterà di
valutarne l’ammissibilità.
Circa l’opponibilità delle modificazione o dell’estensione dei poteri di rappresentanza, il
problema si pone solo nel caso in cui il contratto detti norme in ordine al potere
rappresentativo: le limitazioni saranno sempre opponibili a terzi, anche se questi non le
conoscessero, ed incomberà perciò sui terzi medesimi l’onere di accertare, sulla base del
contratto, il potere e il contenuto dei poteri di colui che agisce in nome della società;
mentre per le modificazioni e l’estinzione, incomberà sulla società l’onere di portare
questi eventi a conoscenza dei terzi con mezzi idonei ovvero, di provare che i terzi le
conoscessero, per l’inopponibilità degli eventi stessi. Anche nel campo della
rappresentanza sociale, è necessaria la contemplatio domini, per cui se il rappresentante
non spende il nome della società o non spende il nome dell’altro o degli altri soci, il
negozio così concluso spiega effetto solo nei confronti del rappresentante. La
rappresentanza va tenuta distinta dall’amministrazione concettualmente:
rappresentante è colui che ha il potere di manifestare ai terzi la volontà della società e
questa acquista diritti e assume obbligazioni per mezzo dei soci che rivestano tale qualità;
amministratore è colui che, nei limiti della competenze legali e statutarie, gestisce gli
affari della società.
IL PROBLEMA DELLA RESPONSABILITA’ E L’AUTONOMIA PATRIMONIALE DELLA
SOCIETA’
Con il termine di autonomia patrimoniale riferito alle società si indica l’insensibilità
reciproca tra il patrimonio della società e i patrimoni dei singoli soci, nel senso che i
creditori sociali possono far valere le loro pretese solo sul patrimonio sociale e mai sul
patrimonio dei singoli soci, mentre i creditori particolari dei soci possono agire solo sui
beni personali dei soci. Questa insensibilità, e quindi l’autonomia patrimoniale perfetta,
si raggiunge solo nelle società di capitali e nelle società cooperative: in questi casi la
responsabilità per le obbligazioni sociali grava solo sul patrimonio sociale, il socio risponde
soltanto nei limiti di quanto ha conferito e il creditore particolare del socio non potrà mai
aggredire il patrimonio sociale, ma solo ed esclusivamente i beni personali del socio. Di
contro, la forma più attenuata di autonomia patrimoniale si ha proprio nella società
semplice, perché lo stesso patrimonio sociale è esposto agli attacchi dei creditori
particolari dei soci, i quali possono chiedere “in ogni tempo la liquidazione della quota”
del socio debitore.
LA RESPONSABILITA’ PER LE OBBLIGAZIONI SOCIALI
L’art. 2267 dispone che “i creditori della società possono far valere i loro diritti sul
patrimonio sociale. Per le obbligazioni sociali rispondono inoltre personalmente e
illimitatamente i soci che hanno agito in nome e per conto della società e gli altri soci”.
1. Per obbligazioni sociali, devono intendersi le obbligazioni assunte dalla società per
mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza e quindi le obbligazioni nascenti da
contratto o “da ogni altro fatto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento
giuridico”; e la società risponde anche della obbligazioni nascenti da “fatto illecito”;
2. Responsabilità illimitata dei soci significa che questi rispondono oltre i limiti della
quota conferita e quindi con tutti i propri beni;
3. La solidarietà si pone tra i soci e non tra i soci e la società.
I creditori sociali possono far valere le loro pretese sul patrimonio sociale, che è destinato
principalmente alla soddisfazione delle loro pretese, con esclusione di ogni pretesa dei
creditori particolari dei soci, i quali, oltre a poter far valere i loro diritti sugli utili spettanti
al socio e a poter compiere atti conservativi sulla quota che al socio medesimo spetterà
nella liquidazione, possono chiedere la liquidazione della quota dei loro debitori, solo a
condizione che gli altri beni di costoro siano insufficienti a soddisfare le obbligazioni. Gli
stessi creditori sociali possono rivolgersi per la soddisfazione dei loro crediti anche nei
confronti dei soci, i quali rispondono illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni
sociali. La legge opera, a questo proposito, una distinzione tra i soci che hanno agito in
nome e per conto della società, soci agenti, e gli altri soci, disponendo per i primi la
inderogabilità della responsabilità illimitata e solidale e per i secondi la derogabilità di tale
disposizione. In ordine ai soci agenti, essi non potranno mai far valere gli effetti dei patti
medesimi nei confronti dei terzi. In ordine agli altri soci, questi potranno opporre ai terzi
ogni tipo di patto limitativo della responsabilità, a condizione di averli resi edotti con mezzi
idonei. La responsabilità del socio per le obbligazioni sociali è una responsabilità
sussidiaria. Il creditore sociale ben può agire contro il socio senza aver preventivamente
esperito alcuna azione contro il patrimonio sociale, ma il socio compulsato può paralizzare
tale azione, dimostrando che esistono beni sociali sui quali il creditore può “agevolmente
soddisfarsi”: la preventiva escussione del patrimonio sociale, quindi, forma oggetto di una
mera eccezione del socio convenuto e non si pone come condizione di procedibilità
dell’azione contro quest’ultimo. Se per nessuno dei soci esiste patto limitativo della
responsabilità personale e solidale, il regime sarà in tutto analogo a quello della società in
nome collettivo; ove per alcuni soci viga il patto di esclusione della responsabilità e
l’amministrazione e la rappresentanza siano conferite a tutti gli altri soci per cui tale patto
non vige, il regime della responsabilità sarà analogo a quello della società in accomandita
semplice. In tutti gli altri casi vige un regime di responsabilità originario. Due cose sono
indiscutibili: la prima sta in ciò che il patrimonio sociale costituisce la garanzia esclusiva
per i creditori sociali e non subisce, se non limitatamente, il concorso dei creditori
particolari dei soci; e la seconda sta in ciò che in nessun caso può restare esclusa la
responsabilità personale di tutti i soci.
LA RESPONSABILITA’ DEI SOCI NEI CONFRONTI DEI PROPRI CREDITORI PERSONALI
Due sono le norme che regolano la materia, gli artt. 2270 e 2271: la prima riguarda la
tutela del creditore particolare nei confronti del socio suo debitore, mentre la seconda
vieta la compensazione tra il debito che il terzo ha verso la società e il credito che egli ha
verso il socio. Messe insieme, consentono di affermare che il patrimonio sociale è un
patrimonio autonomo, vincolato a quella specifica destinazione che è l’esercizio
dell’impresa sociale, sensibile alle pretese dei creditori sociali ed insensibile alle pretese
dei creditori particolari le cui regioni si ricollegano ad affari personali dei singoli soci. L’art.
2270 detta tre regole:
1. Far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore, che è regola coerente col
principio secondo il quale il socio non può far valere alcun diritto sui beni della
stessa, ma solo sugli utili di esercizio e sulla quota di liquidazione. Ciò significa
compire atti conservativi ed esecutivi, ma non equivale a dire che il creditore possa
in qualche modo influire sulla loro distribuzione;
2. Compiere atti conservativi sulla quota spettante a quest’ultimo nella
liquidazione: ammesso da tutti il sequestro conservativo si discute se la quota di
liquidazione sia suscettibile anche di espropriazione e pignoramento;
3. Ottenere la liquidazione della quota del sui debitore “se gli altri beni di questi
sono insufficienti a soddisfare i sui crediti. Questa disposizione attenua i rigorosi
principi affermati nel primo comma e rende meno intensa nella società semplice
l’autonomia patrimoniale.
A salvaguardia del patrimonio sociale, nella società semplice, vi sono due regole:
1. Il creditore particolare ha l’onere di provare che “gli altri beni del debitore sono
insufficienti a soddisfare i suoi crediti”;
2. Il creditore personale non potrà agire direttamente sui beni della società, potendo
soltanto ottenere una somma di denaro corrispondente al valore della quota.
LE MODIFICAZIONI SOGGETTIVE DEL CONTRATTO
Per modificazioni soggettive del contratto, si intendono le modificazioni del contratto che
riguardano le persone dei soci. La manifestazione più significativa di tali modificazioni è lo
scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio. Il socio può conservare tale
qualità fino all’estinzione della società, ma può cessare di essere tale anche prima di tale
momento, oltre che per la morte, anche per cause dipendenti dalle sua volontà, e quindi
il recesso, o dalla volontà della società, nel caso dell’esclusione, ovvero ancor indipendenti
e dall’una e dall’altra, nel caso dell’esclusione di diritto.
LA MORTE DEL SOCIO
La disciplina di questo evento naturale nelle società di persone contiene una deroga al
regime ordinario delle successioni mortis causa, motivata anche dall’intuitus personae che
presiede alla costituzione della società. Gli eredi non subentrano di diritto nel rapporto
sociale. L’art. 2284 pone l’inammissibilità mortis causa della posizione di socio,
disponendo che in caso di morte di uno dei soci, salvo contraria disposizione del
contratto sociale, gli eredi hanno solo diritto a ricevere la liquidazione della quota del
loro dante causa. Dalla morte del socio possono derivare delle conseguenze:
A. Se nulla prevede il contratto sociale, le strade alternative sono tre: 1) liquidare la
quota agli eredi del socio defunto; 2) sciogliere la società con deliberazione
adottata col consenso di tutti i soci; 3) invitare gli eredi ad entrare in società,
subentrando nella stessa posizione del socio defunto, per effetto dell’accettazione
di una proposta loro rivolta dai soci superstiti e quindi in seguito alla stipulazione
di un atto inter vivos;
B. In relazione alla possibilità di prevedere nel contratto patti in deroga alla disciplina
legale, si sono ipotizzati veri tipi di clausole limitative del potere di scelta. Le
clausole che hanno interessato maggiormente la dottrina e la giurisprudenza sono
quelle che prevedono la continuazione della società con gli eredi del socio defunto,
che si raggruppano in 3 categorie:
1) Le clausole di continuazione facoltativa, che obbligano i soci a continuare la
società con gli eredi, i quali hanno il diritto ma non l’obbligo di aderire al
contratto sociale; e l’ingresso degli eredi non avviene iure successionis ma in
seguito ad un’autonoma manifestazione di volontà;
2) Le clausole di continuazione obbligatoria, con le quali si prevede l’obbligo degli
eredi di entrare in società e l’obbligo dei vecchi soci di continuare con essi il
rapporto sociale;
3) Le clausole di continuazione automatica, in forza delle quali il chiamato
all’eredità consegue la qualità di socio.
IL RECESSO DEI SOCI
Il recesso è una dichiarazione unilaterale di volontà, con la quale il socio dichiara di voler
sciogliere il rapporto contrattuale che lo lega alla società. L’art. 2285 prevede tre casi:
1) Quando la società è stata contratta a tempo indeterminato ovvero la sua
durata è stata commisurata alla vita di uno dei soci;
2) Quando sussiste una “giusta causa”;
3) Nei casi previsti dal contratto sociale.
Nei primi due casi si parla di “recesso legale”, mentre nel terzi caso si parla di “recesso
convenzionale”.
RECESSO LEGALE. Si tratta di spiegare brevemente due casi: a) la fattispecie legale di
“società contratta a tempo indeterminato” si verifica se nel contratto sociale è stata
espressamente prevista una durata indeterminata o non è stato inserito alcun termine di
durata; b) la fattispecie legale di “società commisurata alla vita di uno dei soci” è quella
per la quale è prevista una durata coincidente con la vita di uno qualsiasi dei soci, cui suole
assimilarsi la società contratta per un periodo corrispondente ad un periodo superiore alla
durata media della vita di un uomo.
Può considerarsi un’ipotesi di recesso legale anche il recesso per giusta causa. Il diritto di
recesso non è sopprimibile, né limitabile, né rinunciabile e dev’essere esercitato
personalmente dal socio o da un suo legale rappresentante.
RECESSO CONVENSIONALE. Il secondo comma dell’art. 2285 consente il recesso anche
“nei casi previsti dal contratto sociale”. La dichiarazione di recesso non è assoggettata a
particolari forme. Essa può essere espressa, ovvero secondo l’unanime giurisprudenziale,
anche tacita, cioè desumibile da fatti assolutamente incompatibili con la volontà di
rimanere in società, e nel primo caso può essere scritta o anche verbale. L’art. 2285,
comma 3, stabilisce che “nei casi previsti nel primo comma, il recesso deve essere
comunicato agli altri soci con un preavviso di almeno tre mesi”. Questa norma che si
applica a tutte le ipotesi di recesso e impone solo per quelle ad nutum il preavviso di tre
mesi, il recesso, consistendo in una dichiarazione unilaterale recettizia, produce i suoi
effetti solo dopo che i destinatari ne abbiano avuto conoscenza. La regola legale sta a
significare che mentre per il recesso ad nutum l’estinzione del rapporto fra recedente e
società si verifica allo spirare del termine di preavviso, mentre negli altri casi il recesso ha
efficacia immediata.
L’ESCLUSIONE DEL SOCIO. L’ESCLUSIONE FACOLTATIVA
L’esclusione è vista prevalentemente come una sorta di risoluzione parziale del contratto
di società e produce i suoi effetti immediatamente nei confronti delle persone dei soci. In
linea di principio, i casi di esclusione trovano la loro fonte nella legge. L’esclusione può
essere facoltativa o di diritto. L’esclusione detta facoltativa, che avviene o per
deliberazione della maggioranza dei soci o in seguito alla pronuncia del tribunale, se vi è
in una società con solo due soci, si chiama così proprio perché adottare o richiedere il
provvedimento è in facoltà e non in obbligo degli altri soci. L’art. 2286, prevede i casi in
cui esso può entrare in gioco. Il primo motivo è costituito dalle “gravi inadempienze delle
obbligazioni che derivano al socio dalla legge o dal contratto sociale”. Le inadempienze
devono essere gravi, in coerenza con quanto stabilisce l’art. 1455 c.c., che non consente
la risoluzione del contratto se l’inadempimento è di scarsa importanza. Il secondo motivo
riguarda la persona del socio, nel senso che questo può essere escluso ove sia colpito da
provvedimento di interdizione, legale e giudiziale, e di inabilitazione. Una terza categoria
comprende le cause di esclusione che si riconnettono alla impossibilità sopravvenuta
della prestazione: 1) la sopravvenuta inidoneità del socio a svolgere l’opera conferita; 2)
il perimento della cosa conferita in godimento dovuto a cause non imputabili agli
amministratori; 3) il perimento della cosa conferita in proprietà se questo è avvenuto
prima che la proprietà sia acquistata dalla società.
IL PROCEDIEMENTO DI ESCLUSIONE E L’OPPOSIZIONE GIUDIZIALE
Il procedimento che conduce all’estromissione del socio è regolato con riguardo alla sola
ipotesi dell’esclusione facoltativa e si snoda attraverso le seguenti fasi:
1) Deliberazione della maggioranza dei soci; non occorre una deliberazione in senso
tecnico essendo necessario il consenso della maggioranza dei soci calcolata per
teste e non per quote;
2) Comunicazione al socio escluso, con la precisazione che è sufficiente qualsiasi atto
o fatto idonei a portare a conoscenza dell’interessato la decisione adottata dagli
altri soci.
A norma dell’art. 2287 entro trenta giorni dalla data della comunicazione “il socio escluso
può fare opposizione al tribunale”. La legittimazione attiva spetta al socio escluso e quella
passiva è radicata in capo alla società. Quando l’esclusione risulti illegittima e deliberata
in modo discriminatorio e quando possa essere fonte di gravi pregiudizi per il socio
escluso, diversi da quelli tipici dell’effetto espulsivo, inoltre, il tribunale può disporre la
sospensione dei relativi effetti.
L’ESCLUSIONE DI DIRITTO
L’esclusione di diritto si caratterizza rispetto alla esclusione facoltativa perché consegue
quasi automaticamente al verificarsi del fatto che la legge indica come generatore,
indipendentemente da ogni valutazione discrezionale degli altri soci, per cui non occorre
alcuna decisione di questi ultimi. L’art. 2288 prevede che “è escluso di diritto il socio che
sia dichiarato fallito e il socio nei cui confronti il creditore particolare abbia ottenuto la
liquidazione della quota.
LA LIQUIDAZIONE DELLA QUOTA AL SOCIO CESSATO
L’art. 2298 regola la materia.
A. Il comma 1 della legge stabilisce che “nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie
limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una
domma di denaro, che rappresenti il valore della quota”. Dall’avverbio “soltanto”,
si desume pienamente che il socio uscente non può pretendere la restituzione dei
beni che egli abbia eventualmente conferito in natura. Il socio cessato o gli eredi
del socio defunto non acquisiscono diritti sul patrimonio sociale, ma diventano
titolari di un diritto di credito alla liquidazione della quota.
B. Il comma 2 recita “ la liquidazione della quota è fatta in base alla situazione
patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento”, può essere
interpretato nel senso che il socio cessante ha diritto alla liquidazione della quota
in proporzione all’attivo sociale e sopporta le conseguenze delle operazioni in corso
al momento dello scioglimento del vincolo.
C. La norma in esame non precisa se l’obbligo della liquidazione della quota gravi sulla
società o sui soci è anche vero che la mutuazione e la sempre migliore delineazione
del concetto di soggettività, fanno chiaramente perdere la bilancia in pro della tesi
che considera la società obbligata a liquidare.
D. Il comma 4 stabilisce che la quota dev’essere liquidata entro sei mesi dal giorno
in cui si verifica lo scioglimento del rapporto, con la conseguenza che la mancata
liquidazione entro tale termine comporta l’applicazione del principio della
rivalutazione del debito della società nei confronti del socio cessato.
LA RESPONSABILITA’ DEL SOCIO CESSATO
L’art. 2290 stabilisce che “nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un
socio, questi o i suoi eredi sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al
giorno in cui si verifica lo scioglimento. Lo scioglimento dev’essere portato a conoscenza
dei terzi con mezzi idonei; in mancanza, non è opponibile ai terzi che lo hanno senza colpa
ignorato. La responsabilità del socio cessato non è diversa da quella preesistente allo
scioglimento, sia con riguardo al contenuto, sia con riguardo all’esistenza delle condizioni
in presenza delle quali la responsabilità potrà essere fatta valere. Il mancato
adempimento degli oneri pubblicitari comporta che il socio cessato verrà dai terzi ritenuto
responsabile anche per le obbligazioni sociali sorte dopo lo scioglimento del vincolo
sociale, a meno che non provi che i terzi conoscevano l’avvenuto scioglimento del vincolo
particolare o, comunque, avrebbero potuto e dovuto conoscerlo usando l’ordinaria
diligenza.
L’ESTINZIONE E LA PROROGA DELLA SOCIETA’
L’estinzione della società avviene inseguito al compiersi di una fattispecie a formazione
successiva composta di due fasi distinte: il verificarsi di una causa di scioglimento e
l’esaurirsi del procedimento di liquidazione. L’art. 2272 stabilisce che la società si scioglie
per il decorso del termine, per il conseguimento dell’oggetto sociale o per la sopravvenuta
impossibilità di conseguirlo, per la volontà dei soci, per venir meno della pluralità dei soci
se questa non si ricostituisce entro sei mei e per le altre cause eventualmente previste nel
contratto sociale. Tutte le cause di scioglimento operano di diritto, nel senso che operano
senza che sia necessario un previo accertamento con valore costitutivo, vuoi negoziale,
vuoi giudiziale. Il verificarsi di una causa di scioglimento non produce la morte della
società ma solo una serie di effetti preliminari e funzionali al momento estintivo: implica
il mutamento dello scopo della società, perché allo scopo di esercizio dell’attività
d’impresa si sostituisce quello di liquidare il patrimonio e comporta il divieto per gli
amministratori di intraprendere nuovi affari. Al verificarsi di una causa di scioglimento, la
società entra in stato di liquidazione, il quale implica il dissolvimento di un patrimonio
autonomo. Per quanto più in particolare riguarda il procedimento formale di liquidazione
esso comporta la nomina dei liquidatori, che sostituiscono gli amministratori nella
gestione liquidativa del patrimonio sociale e si compone di quattro fasi, e cioè la redazione
dell’inventario, la monetizzazione dell’attivo, il pagamento delle passività sociali e la
redazione del bilancio finale di liquidazione e del piano di riparto. Compito dei liquidatori
è un facere teso a realizzare la funzione stessa del procedimento. A questi poteri, che essi
possono esercitare anche disgiuntamente, si affiancano sia il potere di rappresentanza
sostanziale e processuale della società, sia i doveri e gli obblighi come quelli di prendere
in consegna i beni sociali redigendo l’inventario, di non intraprendere nuove operazioni,
di non ripartire tra i soci i beni sociali finchè non siano stati pagati i creditori sociali, di
restituire ai soci i beni conferiti in godimento. Estinti i debiti sociali, occorre ripartire
l’attivo residuo fra i soci. L’approvazione del rendiconto finale libera i liquidatori di fronte
ai soci e segna la fine della liquidazione. Nei limiti in cui la si ammetta, la liquidazione è
revocabile con la eliminazione della causa di scioglimento da adottarsi con il consenso di
tutti i soci. La fissazione di un termine di durata della società non è indispensabile. Nel
caso in cui il contratto sociale contenga tale elemento, nulla esclude che prima della
scadenza i soci possano fissare un altro termine di durata, prorogando espressamente la
società. La disciplina positiva prevede anche la proroga tacita, la quale si ha “quando,
decorso il tempo per cui fu contratta, i soci continuano a compire le operazioni sociali”.

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