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Moda

Hermès: la ripartenza inizia dalle persone. La


formula? Sicurezza sanitaria ed economica per
i lavoratori
Un look della collezione a/i 2020 di Hermès ispirato agli astucci dei nuovi rossetti, lanciati poco
prima del lockdown
"I dipendenti sono il bene più prezioso" spiega Francesca di Carrobio, amministratore delegato di
Hermès Italie, che illustra la strategia della maison simbolo del lusso più duraturo. Garantendo
nessun ritardo nei pagamenti ai fornitori, molti presenti in Italia, rinunciando agli aiuti statali e
non modificando i piani a lunga durata

DI SERENA TIBALDI14 Maggio 2020

A questo punto dell’emergenza Coronavirus, appare chiaro che per i brand è vitale non solo salvare
i fatturati, anche perché per il 2020 c’è poco da fare, quanto mantenere integra la propria identità. È
cioè essenziale che i consumatori continuino a percepirli così come facevano pre-pandemia, e se
è vero che la regola vale per tutti, non si può negare che ci siano dei nomi per i quali il meccanismo
è ancora più importante.

Per esempio, pochissimi hanno lo stesso potere evocativo di Hermès, la stessa presa sul pubblico, la
stessa capacità comunicativa. La maison francese incarna universalmente il lusso più alto, “quieto”
e duraturo, fuori dalle meccaniche dei trend, e per questo ancora più desiderabile. Un equilibrio che,
com’è accaduto a tutti, ha rischiato d’essere messo in discussione negli ultimi mesi, e sulla cui
conservazione s’è lavorato sin dalle prime avvisaglie della pandemia. Con una particolarità: per
farlo, spiega Francesca di Carrobio, amministratore delegato di Hermès Italie, s’è partito da chi ci
lavora.

Che cosa intende?


Intendo dire che i dipendenti sono il bene più prezioso d’Hermès: sono loro letteralmente a creare il
marchio di stagione in stagione, quindi è stato normale partire da lì per salvaguardarci.

Francesca di Carrobio, amministratore delegato di Hermès Italie

Come avete fatto?


Da un punto di vista strettamente sanitario, abbiamo distribuito mascherine protettive a tutti prima
che diventassero obbligatorie, lasciando al singolo la decisione se usarle o meno, abbiamo
aumentato le sanificazioni e gli ordini di gel disinfettante. A metà febbraio, quando ci siamo resi
conto che il traffico nelle città era drammaticamente calato, abbiamo ridotto gli orari di lavoro,
diradando la presenza nei luoghi di lavoro dei dipendenti, fino al lockdown del 9 marzo. In più
abbiamo avviato un programma di sostegno medico per chi si fosse ammalato, garantendo
assistenza e privacy.

Ha fatto molto parlare la vostra decisione di non accedere ad alcun tipo di aiuto statale,
continuando a corrispondere gli stipendi di tutti.
Chi ne aveva ha consumato le ferie arretrate del 2019, e in cambio la maison s’è impegnata a pagare
gli stipendi regolarmente (l’unico altro marchio ad avere preso una simile decisione è stato Chanel,
ndr). Lo stesso trattamento lo abbiamo applicato ai nostri fornitori, saldando gli ordini fatti nelle
stesse tempistiche pattuite prima dell’epidemia. È una questione di eco-sistema. Le faccio l’esempio
dell’Italia: qui Hermès produce tutte le sue scarpe, e lo fa sia negli stabilimenti di proprietà, che
anche attraverso diversi laboratori e piccole imprese. Se noi non versiamo le cifre stabilite nei tempi
giusti, loro non potranno acquistare le materie per produrre ciò di cui noi abbiamo bisogno. Alla
fine non è stata una decisione così difficile: si trattava di andare avanti.

Un look della collezione p/e 2020

Il vostro è un brand globale: vi siete confrontati sulla crisi nei diversi Paesi?
Certo. Anzi, è stato molto utile potersi avvalere dell’esperienza della filiale cinese, visto che loro ci
sono passati prima di tutti. Il quartier generale aveva organizzato una riunione telematica ogni
giorno con l’Asia proprio per monitorare la situazione, e non appena l’Italia è entrata in quarantena
sono stata “buttata dentro” anch’io. È stato grazie a quelle conversazioni che ci siamo mossi in
tempo: sono stati loro a suggerirmi di procurare le mascherine anche se non erano ancora
obbligatorie, o di organizzare le sanificazioni a prescindere da ciò che si diceva. Poi, man mano che
i diversi Paesi “chiudevano”, si aggiungevano partecipanti: alla fine è diventata una enorme tavola
rotonda.

Quando avete preso coscienza della gravità della situazione?


Direi a fine gennaio, quando eravamo a Parigi per acquistare le collezioni. Era sembrato strano che
non fosse arrivato nessuno dalla Cina, e dopo qualche giorno, quando ci è stato comunicato che gli
aeroporti lì erano stati chiusi, per di più durante il Capodanno cinese (quest’anno celebrato il 25
gennaio, ndr), abbiamo capito che c’era da preoccuparsi. Nelle settimane successive ci siamo messi
in moto per supportare chi era in prima linea: abbiamo organizzato una raccolta di ore
lavorative tra i nostri dipendenti, che hanno donato lo stipendio corrispettivo al tempo “donato”
all’Ospedale Sacco di Milano e al Gemelli di Roma.

Come è cambiata la vostra strategia con la pandemia?


In realtà noi non funzioniamo con i tempi “normali” della moda, Hermès mira alla lunga distanza.
Ci saranno sì degli slittamenti a causa della chiusura degli stabilimenti, ma di base i piani non
cambiano. Semplicemente, gli acquisti delle pre-collezioni, tradizionalmente a maggio li faremo a
giugno, da remoto: stiamo studiando un sistema di proiezioni in 3D per capire il meglio possibile
come sono i diversi pezzi. Contemporaneamente stiamo spingendo ancora di più sullo shopping
online: lo sappiamo che chi entra in un negozio di Hermès per comprare qualcosa lo fa per vivere
un’esperienza, un momento da godersi, che si tratti di un regalo, di una spesa pianificata da tempo o
dell’impulso del momento: ecco, stiamo lavorando per innestare l’e-store in questo rito.

La particolarità dei rossetti di Hermès è che sono "ricaricabili". L'astuccio va cioè acquistato una
sola volta, al costo di 62 euro, per poi essere riutilizzato quanto si vuole
Questa primavera Hermès ha lanciato i rossetti, il primo prodotto di make-up mai creato: un
momento piuttosto importante, immagino. Com’è andata?
Il lancio c’è stato come da programma prima del lockdown, quando però già c’era l’allarme:
temevamo che le clienti non si presentassero in negozio per paura di uscire, ma sono arrivate tutte,
con la mascherina, senza fare una piega. Tra l'altro, è risaputo che le vendite dei rossetti in tempo di
crisi subiscano sempre un’impennata, perché sono il modo più veloce di “combattere” i momenti
più cupi. Direi che siamo arrivati al momento giusto.

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