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A questo punto dell’emergenza Coronavirus, appare chiaro che per i brand è vitale non solo salvare
i fatturati, anche perché per il 2020 c’è poco da fare, quanto mantenere integra la propria identità. È
cioè essenziale che i consumatori continuino a percepirli così come facevano pre-pandemia, e se
è vero che la regola vale per tutti, non si può negare che ci siano dei nomi per i quali il meccanismo
è ancora più importante.
Per esempio, pochissimi hanno lo stesso potere evocativo di Hermès, la stessa presa sul pubblico, la
stessa capacità comunicativa. La maison francese incarna universalmente il lusso più alto, “quieto”
e duraturo, fuori dalle meccaniche dei trend, e per questo ancora più desiderabile. Un equilibrio che,
com’è accaduto a tutti, ha rischiato d’essere messo in discussione negli ultimi mesi, e sulla cui
conservazione s’è lavorato sin dalle prime avvisaglie della pandemia. Con una particolarità: per
farlo, spiega Francesca di Carrobio, amministratore delegato di Hermès Italie, s’è partito da chi ci
lavora.
Ha fatto molto parlare la vostra decisione di non accedere ad alcun tipo di aiuto statale,
continuando a corrispondere gli stipendi di tutti.
Chi ne aveva ha consumato le ferie arretrate del 2019, e in cambio la maison s’è impegnata a pagare
gli stipendi regolarmente (l’unico altro marchio ad avere preso una simile decisione è stato Chanel,
ndr). Lo stesso trattamento lo abbiamo applicato ai nostri fornitori, saldando gli ordini fatti nelle
stesse tempistiche pattuite prima dell’epidemia. È una questione di eco-sistema. Le faccio l’esempio
dell’Italia: qui Hermès produce tutte le sue scarpe, e lo fa sia negli stabilimenti di proprietà, che
anche attraverso diversi laboratori e piccole imprese. Se noi non versiamo le cifre stabilite nei tempi
giusti, loro non potranno acquistare le materie per produrre ciò di cui noi abbiamo bisogno. Alla
fine non è stata una decisione così difficile: si trattava di andare avanti.
Il vostro è un brand globale: vi siete confrontati sulla crisi nei diversi Paesi?
Certo. Anzi, è stato molto utile potersi avvalere dell’esperienza della filiale cinese, visto che loro ci
sono passati prima di tutti. Il quartier generale aveva organizzato una riunione telematica ogni
giorno con l’Asia proprio per monitorare la situazione, e non appena l’Italia è entrata in quarantena
sono stata “buttata dentro” anch’io. È stato grazie a quelle conversazioni che ci siamo mossi in
tempo: sono stati loro a suggerirmi di procurare le mascherine anche se non erano ancora
obbligatorie, o di organizzare le sanificazioni a prescindere da ciò che si diceva. Poi, man mano che
i diversi Paesi “chiudevano”, si aggiungevano partecipanti: alla fine è diventata una enorme tavola
rotonda.
La particolarità dei rossetti di Hermès è che sono "ricaricabili". L'astuccio va cioè acquistato una
sola volta, al costo di 62 euro, per poi essere riutilizzato quanto si vuole
Questa primavera Hermès ha lanciato i rossetti, il primo prodotto di make-up mai creato: un
momento piuttosto importante, immagino. Com’è andata?
Il lancio c’è stato come da programma prima del lockdown, quando però già c’era l’allarme:
temevamo che le clienti non si presentassero in negozio per paura di uscire, ma sono arrivate tutte,
con la mascherina, senza fare una piega. Tra l'altro, è risaputo che le vendite dei rossetti in tempo di
crisi subiscano sempre un’impennata, perché sono il modo più veloce di “combattere” i momenti
più cupi. Direi che siamo arrivati al momento giusto.