Ecco ora il caso di una paziente con depressione melanconica. La signora di 49 anni sposata
e con un figlio è stata ricoverata varie volte per depressione e ha subito un trattamento con
elettroshock. I rapporti col marito non sono buoni: pur continuando a convivere, da tempo
non hanno alcuna relazione affettiva e i rapporti sessuali si sono interrotti da molti anni. La
pazienta viene in analisi perché angosciata dalla probabile fine di un legame sentimentale
extraconiugale, e teme di dover affrontare la seconda parte della vita portandosi dietro un
senso profondo di distruzione e di colpa. Il figlio, cui è totalmente devota, ha deciso di
lasciare la casa. A pochi mesi dall’inizio dell’analisi la paziente scopre che il marito ha una
relazione con un’altra donna. Questa scoperta la riempie di rabbia e per questo tenta il
suicidio. Nella relazione analitica si configura ben presto una relazione sadomasochistica: la
paziente mi accusa di innumerevoli mancanze, crudeltà e omissioni. Mi vive come qualcuno
che vuole privarla dei suoi piaceri e costringerla a uno stile di vita monastico. Nel
controtransfert avverto difficoltà a sperimentare sentimenti di simpatia e di calore, mi rendo
conto che la paziente non è in grado di tollerare la colpa e deve proiettarla in me. Emerge in
lei una sorta di voce interna accusatoria, si sente colpevolizzata da un genitore che la
rimprovera di essere priva di amore e di capacità costruttiva. Questa esperienza interna
deriva dalla relazione col padre che la paziente ha vissuto come l’unico genitore degno di
stima. La madre era stata una persona isterica e primitiva, spesso aveva attacchi di collera
improvvisi, era istericamente depressa e dipendente dal marito. Spesso nei sogni compare
un oggetto superegoico contraddittorio e confondente che la esalta facendola sentire speciale
per poi attaccarla e denigrarla. Questo oggetto genera incertezza e confusione: da una parte
il Super-Io la attacca e la denigra (polo malinconico), dall’altra la esalta (polo maniacale).
Per Abraham un punto fondamentale per la genesi della struttura melanconica è il trauma
infantile. Per la paziente il trauma è stato il difficile rapporto con la madre che non l’aveva
aiutata a crescere, cui era seguito il suo rivolgersi verso il padre idealizzandolo. Il
melanconico, che si sente odiato perché proietta il suo odio all’esterno e quindi percepisce
gli altri come ostili, è inconsapevole del proprio odio e tende a pensare che le persone lo
isolino a causa della sua malattia.
Freud dice: il lutto è di regola la reazione alla perdita di una persona amata o la reazione a
qualche astrazione che ne ha preso il posto, mentre la melanconia è sempre la perdita di un
oggetto, ma mentre chi vive una situazione di lutto sa cosa ha perso, il depresso non sa cosa
ha perso. Nel lutto è il mondo che è diventato povero e vuoto, nella melanconia è l’Io stesso.
Il paziente ci rappresenta il suo Io come unitile, incapace di qualsiasi successo e moralmente
spregevole, si rimprovera, si svilisce e si aspetta di essere maltrattato e punito. Egli si
degrada di fronte a tutti e commisera i propri parenti per essere legati a una persona così
indegna. Il quadro è completato da insonnia e da rifiuto a nutrirsi, da qui il rischio del
suicidio. Nella melanconia le autoaccuse volte a colpire l’oggetto d’amore impediscono la
risoluzione del conflitto di amore e odio e nel paziente rimane un odio aggressivo nei
confronti dell’oggetto perduto.