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a cura di
GildA bArtoloni
Estratto
ROMA 2010
«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER
UNA QUESTIONE DI STILE
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Questa ricerca, nata come un’introduzione alla giornata di studio dedicata alla Lupa Capitolina, si è sviluppata
secondo linee inizialmente neppure prevedibili che, spero, potranno essere oggetto di ulteriori discussioni. Impor-
tanti suggerimenti e critiche devo ad Hanna Philipp, che desidero ringraziare per il proicuo confronto di idee.
1
PArisi PresiCCe 2000.
118 euGenio lA roCCA
scultura in bronzo sia stata realizzata con la tecnica a cera persa diretta, che prevede la copertura con
uno strato di cera modellato accuratamente a mano di un modello approssimativo in argilla. Una vol-
ta avvenuta la fusione, il bronzo è stato accuratamente riinito a freddo in tutti i minimi particolari.
È la stessa tecnica adoperata per i bronzi di Riace, una tecnica che impedisce di realizzare ulteriori
repliche da un modello, e che rende l’esemplare unico e irripetibile. Possiamo quindi essere certi
che, ad esclusione della coda, la Lupa che vediamo, ad esclusione di piccoli interventi di restauro,
non abbia subìto nel tempo integrazioni invasive, che ne abbiano modiicato l’aspetto originario.
Con l’analisi delle barre di sostegno dell’anima in argilla, che servivano anche all’ancoraggio
della scultura, è crollata anche la sua identiicazione con il gruppo della lupa con i gemelli visto da
Cicerone sul Campidoglio, colpita nel 65 a.C. da un fulmine2 e poi verosimilmente non più ricollo-
cata3. Le vistose lesioni sulle zampe non sono state causate da fulmini, ma da una mancata solidii-
cazione del bronzo. Tra l’altro, sempre da Cicerone sappiamo che l’intero gruppo – sembra dificile
il solo Romolo – fosse dorato, mentre la Lupa Capitolina non ha mai ricevuto, a quanto dicono le
indagini, una copertura d’oro.
Altra fondamentale acquisizione è che la terra di fusione rinvenuta all’interno della scultura ha
una composizione mineralogica che ne circoscrive con una certa fondatezza la provenienza entro
un’area vulcanica lungo le rive del Tevere, tra Roma e Orte. Si aggiunga che l’analisi degli isotopi
del piombo eseguita su limature di metallo prelevate sotto le zampe della Lupa, e pertinenti all’anco-
raggio sul basamento primitivo, ha stabilito che il metallo proviene dalle miniere sarde di Calabona,
a sud di Alghero. Se effettivamente antica, la Lupa troverebbe quindi la sua collocazione più idonea
in un centro del Lazio tiberino in cui erano attive fonderie specializzate nella realizzazione di scul-
ture in bronzo. Veio, iorentissima in età arcaica, e celebre per i suoi maestri fonditori, tra i quali, tra
le nebbie del suo oscuro passato, emerge Vulca, potrebbe risultare una sede ideale.
Solo l’analisi delle terre di fusione con il metodo della termoluminescenza e del radiocarbonio,
e la tecnica di fusione a cera persa col metodo diretto, effettuato in un unico getto, quindi senza
saldature tra le parti della scultura, sembrano offrire per il momento risultati divergenti rispetto alla
cronologia vulgata, al punto che Anna Maria Carruba ha ritenuto opportuno suggerire per la Lupa
una datazione in età carolingia4, tra le più vicine alla sua prima – quasi – sicura attestazione in un
tribunale nel palazzo del Laterano, entro la prima metà del IX secolo5: una proposta che, pur degna
________
2
CiC., Div. I, 20.
3
CiC., Cat. III, 19.
4
CArrubA 2006, p. 36: «[…] l’analisi stilistica e lo studio degli eventi che hanno favorito la ripresa in Euro-
pa della scultura in bronzo ci indicano l’età carolingia quale la più probabile, la più consona alla realizzazione
di un tale capolavoro».
5
CArrubA 2006, p. 13. Si veda anche: erler 1972, pp. 8 ss., 16 ss.; hAskell, Penny 1984, p. 354 ss., n.
54; MiCheli 1985, p. 54 ss.; GrAMACCini 1996, p. 95. L’informazione, invero, è tratta dal Chronicon di Bene-
detto, monaco dell’abbazia di S. Andrea sul Soratte, vissuto verso la ine del X secolo (la sua opera fu scritta
tra il 972 e il 1000 ca.: zuCChetti 1920, p. VII ss.), il quale si riferisce all’istituzione di giudici e di un luogo
di giustizia nel palazzo Lateranense all’epoca di Ludovico I detto il Pio († 840), o forse di Ludovico II detto il
Giovane († 875): in palatio Lateranensi ad locum ubi dicitur a lupa (Pertz 1839, p. 712; zuCChetti 1920, p.
145, 15. La notizia è ripetuta nell’anonimo Libellus de imperatoria potestate, comunque dipendente dal testo
di Benedetto, Pertz 1839, p. 720; zuCChetti 1920, p. 199, 9). Benedetto confonde nel suo testo le vicende di
lA luPA CAPitolinA 119
della massima attenzione per quantità e qualità delle prove addotte, non reputo ancora documentata
in modo suficiente sotto il proilo stilistico. Non è fortuito, infatti, che le opere dalla Carruba avvi-
cinate alla Lupa si distribuiscano tra il IX e il XII secolo, un arco di tempo troppo lungo e stilistica-
mente non omogeneo, laddove, per rafforzare la sua tesi, sarebbe stato necessario ridurre i confronti
ai soli monumenti della prima età carolingia.
Purtroppo le analisi formali inora condotte sulla Lupa non hanno dato risultati condivisi. Già
verso la ine del XIX secolo era spuntata, contro la tradizionale attribuzione ad età tardo-arcaica,
un’autorevole opzione “medievale”6. Non aiuta a risolvere la questione la rarità, in ambito greco od
etrusco, di sculture a tutto tondo rafiguranti lupi, o cani. Si è supplito accostando alla Lupa le ben
più numerose immagini di leoni, sebbene la loro folta criniera denunci solitamente una resa assai
diversa, sia per il suo più ampio volume, sia per il sistema distributivo delle corpose ciocche di pelo.
Per questa ragione, per le innegabili dificoltà di riscontri coerenti con la Lupa, che tra l’altro spazia-
no tra differenti campi dell’arte – scultura a tutto tondo in bronzo o in pietra, scultura a rilievo, pittu-
ra per lo più vascolare – ognuno dei quali con le sue caratteristiche peculiari e con opere distribuibili
in sequenze formali di diversa durata e lunghezza7, appare necessaria una veriica congiunta delle
analisi formali e delle analisi tecniche perché, se i due sistemi non coincidono, vuol dire che qualco-
sa non quadra. Di solito, dando per scontata la solidità delle analisi tecniche, non si rilette sul fatto
che vadano anch’esse interpretate, e che offrano risposte valide solo a domande correttamente im-
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Ludovico I, il iglio e successore di Carlo Magno, con quelle di Ludovico II, iglio di Lotario, del quale, come
re d’Italia oltre che imperatore, è testimoniata la frequente presenza in Italia (zuCChetti 1920, pp. 145, note
3, 5; 200 s., nota 3). Ma due documenti dell’813 e dell’829 (Regesto di Farfa, doc. 199, a. 813, e doc. 270, a.
829), e una lettera di Leone IV, scritta nel maggio dell’853 (Monumenta Germaniae Historica, Epistolarum
tomus V, Karolini aevi III, 1899, p. 599, n. 23; duChesne 1892, p. 139, nota 66), nella quale il papa stabilisce
che, in sua assenza, omnes nobiles ad Lateranense palatium recurrant et quaerentibus ac petentibus legem et
justitiam faciant […], confermano l’esistenza di un luogo di giustizia in Laterano entro la prima metà del IX
secolo, senza una più speciica denominazione. Naturalmente è solo frutto di illazione, per quanto solidamente
argomentata, che la deinizione a lupa adottata da Benedetto si riferisca proprio alla Lupa Capitolina. La prima,
più accurata, descrizione del bronzo è inserita nel De mirabilibus urbis Romae di Magister Gregorius (vissuto,
sembra, tra la seconda metà del XII e gli inizi del XIII secolo). Il corpo della Lupa era allora depositato nel
portico del palazzo d’inverno del papa (scil. il palazzo Lateranense), mentre la sua base con le zampe fratturate
erano ancora in piazza, davanti all’entrata del palazzo dove, insieme con un ariete, l’opera fungeva da fontana
(vAlentini, zuCChetti 1946, p. 166 s. e nota 1 a p. 167). Nel XV secolo, qualche tempo prima di essere trasfe-
rita sul Campidoglio, la Lupa era da tempo collocata, con le zampe restaurate, sulla facciata del Patriarchium
lateranense (lAuer 1911, pp. 23 s., 131; zuCChetti 1920, p. 145 s., nota 8; vAlentini, zuCChetti 1946, p. 167,
nota 1). Dagli scarsi documenti a disposizione, la Lupa Capitolina sembrerebbe perciò segnalata in Laterano
solo a partire dalla prima metà del IX secolo – di qui la nuova cronologia proposta da Anna Maria Carruba –,
sebbene, a rigor di logica, portando alle estreme conseguenze un’eventuale teoria ribassista, si potrebbe anche
dubitare che la lupa del luogo di giustizia in Laterano sia quella medesima lupa vista da Magister Gregorius. Al
contrario ci sono fondati motivi per credere che quest’ultima sia effettivamente la Lupa Capitolina. Da questo
punto di vista, sarebbe più corretto dire che il bronzo capitolino sia anteriore alla ine del XII secolo, ma non
necessariamente realizzato in età carolingia.
6
brAun 1854, p. 124 ss.; Fröhner 1878, p. 288, nota 2; burCkhArdt, bode 1885, p. 163.
7
Mi riferisco al sistema di classiicazione adottato da G. Kubler (kubler 1976), spec. pp. 22 ss., 43 ss.
120 euGenio lA roCCA
postate. Né si tiene conto che i due tipi d’indagine, tecnica e formale, devono offrire soluzioni con-
vergenti per poter avere qualche eficacia per i futuri sviluppi della ricerca scientiica. Naturalmente,
perché la convergenza abbia una sua utilità, le domande devono essere poste in modo congruente, ed
evitare l’errore, divenuto frequente negli ultimi tempi, di dare maggior credito agli strumenti tecnici,
ritenuti oggettivi, rispetto all’indagine formale che, essendo basata secondo una comune opinione
tanto diffusa quanto scorretta, su parametri soggettivi, è ritenuta passibile di errori.
Una ricerca imperniata sullo stile può cadere, se fondata su basi fragili, in imprecisioni anche
macroscopiche, come insegna lo studio storiograico dell’arte antica; ma è altrettanto certo che gli
esami tecnici sono soggetti a molteplici sollecitazioni esterne che possono mutarne i risultati. In
pratica, solo una ricerca coordinata lungo il duplice binario di analisi tecniche sempre più aggiornate
e di analisi formali correttamente impostate entro una coerente griglia cronologica – senza spaziare
nei secoli come meglio conviene a dimostrazione del proprio enunciato, e tenendo bene a mente le
intrinseche differenze tra i diversi generi artistici –, potrà offrire qualche risposta adeguata all’enig-
ma posto dalla Lupa Capitolina.
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8
Rimando, per le immagini di lupi nell’arte antica, al lavoro di PArisi PresiCCe 2000, pp. 17-51.
9
Scarso rilievo, ai ini di un confronto stilistico, ha la stele felsinea del Museo Civico di Bologna, dalla
Certosa, sulla quale è rappresentata una lupa che allatta un bambino, comunemente datata verso la ine del V
secolo a.C.: Mostra dell’Etruria padana 1960, p. 210 s., n. 720, tav. XXIV; PArisi PresiCCe 2000, p. 19, ig. 2.
lA luPA CAPitolinA 121
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10
herrMAnn 1979, pp. 33 s., 91 ss., L 1, L 2, tavv. 31-32.
11
GAbelMAnn 1965, pp. 18, 19, 22 ss., 30, 35, 61, 81, 107, 111, n. 2, tavv. 1, 2-3; 32, 1; Floren 1987, p. 129,
tav. 7, 4 (con bibl. prec. a nota 50).
12
GAbelMAnn 1965, pp. 73 s., 117, n. 79, tav. 15.
13
GAbelMAnn 1965, pp. 53, 78, 114, n. 38, tav. 6, 2.
14
Ad esempio il leoncino di bronzo da Olimpia (GAbelMAnn 1965, pp. 72, 116, n. 68 a, tav. 12), un altro,
sempre di bronzo, nel Museo Nazionale di Atene (GAbelMAnn 1965, p. 117, n. 68 f, tav. 13, 3), un terzo nella
Bibliothèque Nationale di Parigi (GAbelMAnn 1965, p. 117, n. 69 e, tav. 13, 1).
15
Per una bibliograia sul tema dei leoni in ambiente greco-romano, si veda todisCo 1996, p. 96 s., note 34-
49 (a p. 96 ss. un’ottima sintesi sullo stato della questione circa la rappresentazione di leoni funerari in ambito
municipale).
16
CAskey 1925, p. 15 ss., n. 10, con igg.; GAbelMAnn 1965, pp. 40, 48 ss., 53, 56, 66 s., 78, 91, 113, n. 29,
tav. 5; CoMstoCk, verMeule 1976, p. 9 s., n. 15, con igg.
122 euGenio lA roCCA
VI secolo a.C. (Figg. 2, 21), a ile parallele desinenti a uncino come nel leone da Sardi nel Museo
di Manisa17, a linguette triangolari sovrapposte come in alcuni leoni dal Didymeion18, a rombi della
stessa misura come nel leone da Mileto al Louvre19 o nel frammento di leone a Smirne20, a iammelle
vibranti come in una coppia di leoni a Delo21. Malgrado le difformità, è comune in essi il rendimento
disegnativo e una generale tendenza verso l’appiattimento della criniera, non tale tuttavia da annul-
larne il volume. I leoni di ambiente etrusco non si scostano da codeste formule. Maniere analoghe
si riscontrano già nei leoni araldicamente applicati sulla supericie del cippo di Settimello, ora nel
Museo Archeologico di Firenze22, o nel leoncino di bronzo a San Pietroburgo (Fig. 3)23, nei quali
l’ordinamento ritmico dei ciufi della criniera non è effettivamente a scapito della loro volumetria.
________
17
GAbelMAnn 1965, pp. 84, 119, n. 108, tav. 21, 2-3.
18
GAbelMAnn 1965, pp. 85, 87 s., 119 s., n. 115, tav. 22, 1-2.
19
GAbelMAnn 1965, pp. 90 ss., 120 s., n. 127, tav. 26.
20
GAbelMAnn 1965, pp. 94, 121, n. 134, tav. 28, 2-3.
21
GAbelMAnn 1965, pp. 97 ss., 122, n. 148 a, b, tav. 29.
22
brown 1960, p. 136 s., tav. XLVIII f.
23
brown 1960, p. 139, tav. XLIX b; Etruschi 2008, p. 228, n. 89 e ig. a p. 145. Caratteristiche simili mostra
una protome leonina etrusca in bronzo nella collezione Fleischman: Passion for Antiquities 1994, p. 154 s., n.
68 (s. hAynes).
lA luPA CAPitolinA 123
Nella Lupa Capitolina è tuttavia la rigorosa soluzione formale dello schiacciamento in piano del
vello congiunta alla sua inissima tessitura ornamentale, simile alla trama di un tappeto, a non avere
confronti precisi. Non uno solo dei leoni greci o etruschi di età arcaica, malgrado analoghe tendenze
verso un appiattimento e una stilizzazione della criniera, mostra una simile logica compositiva con-
dotta alle sue estreme conseguenze.
Per comprendere meglio il fenomeno, può essere d’aiuto l’esame di uno dei pochissimi felini di
grande formato in bronzo giunto ino a noi, anche se frammentario. È un leone nel Museo di Istanbul,
di provenienza cipriota24, nel quale la consistenza plastica del vello, i cui ciufi sono distribuiti se-
condo uno schema regolare, è solo in parte assorbita dallo schiacciamento in supericie (Fig. 4). Esso
condivide con alcuni leoni di pietra una maggiore compressione della criniera che ne riduce, ma non
ne cancella la plasticità. Rispetto alla Lupa Capitolina, oltre che il volume più corposo della criniera,
palesa nella sintassi decorativa una certa povertà di stesura. Tangenze di linguaggio non mancano,
ma non v’è coincidenza stilistica con i ben più rafinati modi di esecuzione del bronzo capitolino.
Nessun riscontro diretto e inequivocabile con la Lupa, quindi, sebbene le cause della sua incom-
parabilità siano dovute, come credo, al pressoché totale naufragio della bronzistica greca ed etrusca
di grande formato. Non saranno le poche opere superstiti a consentire di superare il vuoto cognitivo
________
24
devAMbez 1937, p. 21 ss., tav. VI; bol 1978, p. 85, tavv. 71, in basso a sin. e 72, in alto a sin.
124 euGenio lA roCCA
Fig. 4. istAnbul, Museo Archeologico. Leone in Fig. 5. oliMPiA, Museo. Frammento dell’orecchio
bronzo da Cipro (da bol 1978). del Toro degli Eretriesi, opera di Philesios (da bol
1978).
che circonda i grandi capolavori in bronzo superstiti i quali, accostati di solito ad opere prodotte in
pietra o in terracotta, e realizzate perciò con tecniche dissimili, appaiono al momento rade isole di
un arcipelago.
Eppure, basta un rapido esame degli scarsi frammenti di sculture in bronzo provenienti dai grandi
santuari greci per rendersi conto di quanto è andato perduto. Finissima tessitura a carattere ornamen-
tale e debole rilievo plastico sono ricorrenti nei frammenti di capigliature in bronzo rinvenute ad
Olimpia25, nelle quali è particolarmente felice la resa analitica a cesello, oppure, per restare nell’am-
bito dell’animalistica, nei frammenti delle ciocche di pelo che bordano l’orecchio del Toro degli Ere-
triesi, opera di Philesios (Fig. 5), databile nella fase di passaggio tra l’età arcaica e quella classica26.
Testimonianze consistenti di questo schiacciamento in supericie restano ancora nell’esecuzione “a
calotta” delle chiome degli atleti di età severa e della prima età classica, conosciute nella maggioranza
dei casi attraverso copie di età romana: ad esempio il Discobolo di Mirone27 o il Doriforo di Poli-
________
25
bol 1978, pp. 12 ss., 102 ss., nn. 3 a-41, 43-101, tavv. 6-18.
26
eCkstein 1969, p. 50 s.; bol 1978, pp. 31 s., 77, 112, n. 134 b, tavv. 24, 26. Interessante il confronto tra
il modo di realizzazione delle ciocche di pelo del toro, come petali striati di una margherita, con quelle del
“collare” dei leoni di Persepoli (Fig. 8), e della criniera della Chimera di Arezzo: sPrenGer, bArtoloni, hirMer
1977, tav. 207; niCosiA, diAnA 1992.
27
zAnker 1974, tav. 73, 1.
lA luPA CAPitolinA 125
cleto28 o, meglio ancora, l’enigmatico Eracle (?) in bronzo da Tarso ad Istanbul29, con la sua ricciuta
capigliatura a chiocciole di varia misura, adeguatamente pressate sulla calotta cranica. Si ha l’impres-
sione che, ino alle soglie del classico, gli artisti greci avessero timore di indebolire la compattezza
dell’immagine nel suo insieme con un’accentuazione troppo vivace e plastica della capigliatura.
Ma c’è un altro canale di confronti, inora poco valutato, che merita di essere preso in considera-
zione per taluni risultati che ne possono derivare. È noto che la Grecia ha saputo recepire e far pro-
prie, con maestria e grande libertà espressiva, talune componenti essenziali del linguaggio artistico
medio-orientale. L’inlusso, mediato dalla Ionia, non è riducibile ai soli schemi igurativi – quelli
stessi che hanno condotto alla formazione della cultura “orientalizzante” –, ma anche a determinati
stilemi che, come è chiaramente intuibile, con quei medesimi schemi costituivano un corpo unita-
rio, dificili da estrapolare ed eventualmente da riiutare nella loro interezza. È altrettanto noto che
l’iconograia dei leoni in età arcaica deve molto ai modelli assiri – per via diretta o mediati attraverso
Urartu, la Siria e, in seguito, la Persia – e, in seconda istanza, a quelli egiziani30.
Ora, la caratteristica conformazione “compressa” della pelliccia della Lupa Capitolina e il
suo modo di stilizzazione ornamentale sembrano basate su una normativa arcaica di derivazione
medio-orientale, come aveva già intuito, con l’acume che lo contraddistingueva, Otto Brendel31.
Con analitica precisione e con una cura dei minimi dettagli, il tutto incapsulato entro un’elaborata
composizione esornativa che è essa stessa tra le principali componenti artistiche della cultura
igurativa medio-orientale, sono deinite sia le complesse acconciature dei sovrani e dei dignitari
di corte assiri32, sia la trama delle criniere e delle code dei loro cavalli33 oppure, in chiave più
corposa, ma sempre con la disposizione delle ciocche secondo schemi decorativi, delle folte cri-
niere dei leoni a tutto tondo guardiani degli accessi ai palazzi34, e dei leoni a rilievo nelle scene
________
28
Si veda, ad esempio, la bella copia in bronzo della testa dalla Villa dei Papiri ad Ercolano: steuben 1973,
tavv. 1-7.
29
devAMbez 1937, p. 35 ss., tavv. VIII-XII. Anche se di produzione romana, come credo verosimile, e di
tendenza eclettica, l’acconciatura della chioma trova i suoi riscontri più signiicativi con sculture ioniche della
seconda metà del V secolo a.C., come la testa maschile barbuta da Pachino a Siracusa, forse pertinente ad una
stele funeraria (ross hollowAy 1975, p. 37 ss.; AA.vv. 1990, p. 168 s., n. 6; Greci in Occidente 1996, pp. 419
con ig. [e. de Miro], 705, n. 187 [e. C. PortAle]), o il frammento di una stele funeraria di Samo sul quale un
giovane con i capelli ricciuti, che regge una cassetta contenente bende arrotolate, consegna una delle bende ad
una igura virile seduta (zAnker 1966, p. 16 ss., tav. 5, 1-4; PFuhl, Möbius 1977, p. 25, n. 54, tav. 14).
30
GAbelMAnn 1965, passim.
31
brendel 1978, pp. 252, 465, nota 22.
32
Si veda, ad esempio, la testa di re Assurnasirpal su un rilievo della Sala del Trono nel Palazzo Nord-Oc-
cidentale di Nimrud: bArnett 1960, tav. 29, oppure le teste pubblicate in PArrot 1961, igg. 14, 15, 20-23, 24,
27, 28, 36, 41-43, 77. Soluzioni di incredibile complessità di trama si riscontrano anche in alcune acconciature
tardo-hittite, nelle quali si afiancano trecce, riccioli ad S con le estremità ad uncino, e più semplici riccioli ad
uncino: AkurGAl 1949, p. 21 ss., tavv. XIX-XXIII.
33
bArnett 1960, tavv. 57-59 (dal Palazzo di Assurbanipal a Ninive).
34
Ad es. il leone di Nimrud al British Museum, datato al IX secolo a.C.: PArrot 1961, ig. 31. Anche in
questo caso, si riscontrano interessanti soluzioni graiche anche nella rafigurazione delle criniere di leoni tardo-
hittiti, con differenti gradi di stilizzazione: AkurGAl 1949, p. 39 ss., igg. 25-26, 35, 40, 41-43, 47, tavv. XXIV
b, XXVII-XXXVI.
126 euGenio lA roCCA
Fig. 7. PersePoli. Rilievo della rampa d’accesso al tachara (o Palazzo di Dario). Leone che ag-
gredisce un toro: dettaglio della protome del toro (da herzFeld 1941).
(Fig. 7)41, inine nelle scene di lotta tra l’eroe assimilato al sovrano e un toro rampante42, il pelame
degli animali si distribuisce sulla fronte, a contorno del muso, sul dorso e sul petto, a ile regolari
come un prezioso ornato. Sono forme di stilizzazione caratteristiche dell’arte persiana, adottate
sia per l’acconciatura delle folte chiome e delle barbe dei sovrani e dei dignitari (Fig. 6), sia per
la rappresentazione delle pellicce degli animali. Criteri stilistici simili, con qualche difformità
dovuta alla materia, e quindi alla tecnica, differenti, sono alla base dell’elaborazione dei leogrii e
dei tori alati in ceramica policroma che decoravano l’apadāna e il palazzo di Susa43.
________
41
I rilievi adornavano le rampe d’accesso ai principali ediici monumentali del complesso palaziale di Per-
sepoli: herzFeld 1941, p. 251 s., tav. LXII (tachara, o Palazzo di Dario); sChMidt 1953, tavv. 16 B, 17 A, 19,
20, 45 A, 61 (apadāna); 62, 66, 69 (tripylon, o Sala del Consiglio); 132 B, 133 B, 135 E, 152, 153 A (tachara, o
Palazzo di Dario); 159, 161 B, 166, 168 A, 169 A (hadish, o Palazzo di Serse); 203 D (Palazzo H); GhirshMAn
1964, igg. 211 (apadāna); 214 (tripylon, o Sala del Consiglio); 240 (tachara, o Palazzo di Dario); 260 (hadish,
o Palazzo di Serse).
42
sChMidt 1953, tavv. 117, 144; GhirshMAn 1964, ig. 253.
43
bArnett 1960, tavv. XI-XII (toro alato), XIV-XV (leogrii); GhirshMAn 1964, p. 140, igg. 191, 192. La
composizione della pelliccia sul collo dei leogrii e l’incorniciatura con ricci desinenti a chiocciola dei musi dei
leoni alati sono quanto di più simile sia inora conservato in rapporto alla Lupa Capitolina.
128 euGenio lA roCCA
Due episemata di scudi in bronzo della ine del VI secolo a.C., provenienti verosimilmente dalla
Caria, ed ora nel Badisches Landesmuseum di Karlsruhe (Figg. 9, 10)44, documentano con una certa
chiarezza i modi in cui questo linguaggio è recepito e fatto proprio dagli artisti greci della costa ioni-
ca. Sono rafigurati due arieti in procinto di accucciarsi, con la testa rivolta all’indietro. Il vello sulla
testa, sul collo e sulla coda è rafigurato con un sistema regolare, a sequenza ripetitiva, di ciocche
desinenti a spirale, anch’esse come pressate sul corpo, ognuna di esse lavorata a punzone e poi dei-
nita a cesello, ma senza striature sulle superici. Un leggero effetto di luce e ombra è magistralmente
ottenuto giocando sulla depressione, appena avvertita, tra ciocca e ciocca. Malgrado alcune diffe-
renze nella lavorazione dei due arieti, che sembrano essere opera di maestri di diversa generazione,
la derivazione del tracciato delle pellicce – nonché del taglio decorativo degli occhi, con una triplice
ampia linea curva sovraorbitale – da modelli achemenidi è palese.
Questo gusto per il decorativismo, inteso come esplicita componente stilistica e non come esterio-
re elemento esornativo, è uno degli fattori qualiicanti della cultura igurativa greca di età arcaica.
________
44
thiMMe 1986, p. 168 ss., nn. 59-60, igg. alle pp. 170-171; PhiliPP 2004, pp. 115 s., 410, Anhang L, tav.
113, 1.
lA luPA CAPitolinA 129
Che sia stata la cultura igurativa ionica il canale d’ingresso di determinati stilemi dell’arte ache-
menide è logica conseguenza della situazione politica della Grecia asiatica prima delle guerre persiane.
Oltre che gli episemata, e in mancanza di opere d’arte a tutto tondo che meglio denuncino l’emulazione
dai modi stilizzati, e ripetitivi, delle acconciature achemenidi, un eccellente confronto può essere impo-
stato con una produzione tardo-arcaica, forse magno-greca, di elmi di tipo “calcidese” con paragnatidi
di differente morfologia (per lo più non igurata a bordo aguzzo, o igurata a testa di ariete) e di frontali
di cavalli in bronzo (prometopidia) sui quali è rappresentato il volto di un guerriero con elmo calcidese
e paragnatidi – anche in questo caso del tipo a testa di ariete o con i bordi aguzzi –, tirate sulle guance.
In ambedue i casi, a parziale imitazione di una fronte maschile, tra la carenatura incurvata della calotta
dell’elmo e le ampie arcate sopracciliari, si protendono ile regolari di ciocche stilizzate e compresse,
attentamente cesellate con una ine striatura, e con un terminale a chiocciola45. Emergono per qualità e
________
45
kunze 1967, pp. 167 s., 175 ss., 185 ss. (per le caratteristiche della lavorazione delle ciocche e per la
possibile produzione di codesti manufatti in Magna Grecia). Kunze rileva correttamente la «Stilisierung des
Haares, die dessen natürliche Form in ein strenges System bringt», e la maestria della «hohen, disziplinierten
Zeichenkunst» (kunze 1967, pp. 167, 174). Per un aggiornamento sugli elmi di tipo calcidese: Antike Helme
1988, p. 137 ss. (H. PFluG).
130 euGenio lA roCCA
stato di conservazione del decoro ornamentale un elmo con paragnatidi a testa di ariete dallo Stadio di
Olimpia (Figg. 11, 12)46, due prometopidia con paragnatidi a testa di ariete da una tomba principesca
rinvenuta nei primi decenni dell’Ottocento a Ruvo di Puglia47, ed un terzo, più frammentario, ma proba-
bilmente di più ine lavorazione, con paragnatidi non igurate a bordo aguzzo, dallo Stadio di Olimpia
(igg. 13-15)48. Questi manufatti risentono, più che del plastico modo di lavorazione dei riccioli sulla
fronte di kouroi della fase di passaggio tra il terzo e il quarto venticinquennio del VI secolo a.C., come
proposto da Emil Kunze49, del lezioso e cesellato fare ornamentale delle ciocche frontali dei dignitari
medi e persiani sui rilievi di Susa e di Persepoli (Fig. 6), o del modo in cui è ricamato il vello sulle proto-
mi di toro (Figg. 7, 17), spogliato di qualunque matrice naturalistica a favore di un gioco d’ornato: fasce
regolari di pelo descritto con linee a tremolo da cui pendono i ricci a chiocciola come fossero gioielli.
L’elaboratissima capigliatura del Cavaliere Rampin50, simile ad un intreccio di ili di perline
desinenti a chiocciole che sembrano sbocciare come rosette, quelle a riccioli calamistrati del Cava-
________
46
kunze 1967, pp. 161 ss., n. III. 2, inv. B 4446, tavv. 90-92, 1, igg. 56-58. Sulla descrizione ed analisi del moti-
vo: kunze 1967, pp. 167 s., 175 ss.; kunze 1994, pp. 33, 48. Elenco di seguito, senza alcuna pretesa di completezza,
una serie di elmi di tipo calcidese nei quali si riscontra, con particolare evidenza, un analogo motivo igurato: da
Olimpia, inv. B 5174 (kunze 1994, p. 41 ss., n. IV. 1, tavv. 3; 4, 1-2; ig. 55); da Olimpia, inv. M 74 (kunze 1994, p.
53 ss., n. V. 6, tavv. 11, 2; 12; igg. 62, 63 a-c); da Locri, nel Museo Nazionale di Napoli, inv. 5737 (kunze 1967, p.
162, n. III. a, tav. 93, 2; igg. 59-60; BA 37-38, 1996, p. 156, ig. 1 [L. Melillo FAenzA]); da Metaponto, nel City Art
Museum di St. Louis, inv. 282. 49 (il sontuoso cimiero a corpo di ariete con grande verosimiglianza non è pertinente
all’elmo: kunze 1967, p. 163, n. III. b, igg. 61-64; lo Porto 1977-79, pp. 171 ss. [analisi della tomba], 181 ss.,
tav. LXVII; PhiliPP 2004, p. 409 s., Anhang K, tav. 112, 2) (Fig. 18); nel British Museum, inv. 2830, dalla tomba
principesca di Ruvo, nella quale erano deposti anche i due prometopidia del Museo Nazionale di Napoli (kunze
1967, p. 163, n. III. c, igg. 65-67; MontAnAro 2007, p. 454, n. 103.7, igg. 347-348); nel Museo Archeologico
di Vibo Valenzia, dal deposito votivo, ancora inedito, rinvenuto in contrada Scrimbia, nel quale dovrebbe essere
presente un certo numero di esemplari (Magna Grecia 1992, p. 215; Greci in Occidente 1996, p. 642, n. 83 IV [C.
sAbbione]); nel Museo Archeologico Nazionale di Metaponto, dalla tomba 11 di Pisticci-Matina Soprano (bottini
1993, p. 135 s., n. 1 [C. lACerrA]). Dalla tomba principesca di Ruvo proviene anche un elmo corinzio già indossato
dal defunto, e con un motivo analogo (MontAnAro 2007, p. 450 s., n. 103.1, ig. 343, tav. XXXII). Un esemplare
di elmo calcidese dallo Stadio di Olimpia, con paragnatidi a testa di ariete, presenta il motivo dei ricci secondo un
disegno differente, altrettanto ornamentale, ottenuto con un’incisione inissima (kunze 1967, p. 161, tavv. 88-89).
Un altro sempre da Olimpia, inv. B 6900, con paragnatidi del tipo a falcetto, ha riccioli più corposamente elaborati,
con una ittissima striatura (kunze 1994, p. 32 ss., n. II. 21, tavv. 1, 2, igg. 42-50). Inine sul frammento di un terzo
elmo ad Olimpia, inv. B 7801, i riccioli sono solo grafiti sulla parete del frontale (kunze 1994, p. 54 ss., n. V. 7, tav.
11, 3). Il sistema decorativo a riccioli degli elmi calcidesi tardo-arcaici compare talvolta su elmi più tardi, ad es. su
un elmo di derivazione dal tipo calcidese da una tomba capuana nel British Museum (kunze 1967, p. 176 e nota 47)
e sull’elmo apulo-corinzio dalla tomba Campanale-Stragapede di Ruvo, nel Museo Archeologico di Bari (Antike
Helme 1988, p. 112 s., ig. 8 [A. bottini]; MontAnAro 2007, p. 347, n. 45.10, ig. 227, tav. XXI).
47
kunze 1967, p. 184 ss., igg. 70-71; CAssAno 1996, p. 124, nn. 11-12, tav. XCV; MontAnAro 2007, p. 460,
n. 103.16, ig. 353, tav. XXXVI.
48
kunze 1967, p. 184 ss., tavv. 96-97.
49
Così kunze 1967, p. 167, con riferimento al kouros di Kroisos, al kouros di Calcide ed a quello di Keos,
nei quali domina il plasticismo formale delle ciocche.
50
PAyne, younG 1950, p. 4 ss., igg. 1 D-E; Floren 1987, p. 278 e nota 9, tav. 22, 2; eAverly 1995, spec. p.
73 ss., cat. 1, tav. 1 (con bibl. prec.); triAnti 1998, p. 183 s., tavv. 192-193; Pollini 2003, passim, igg. 10-13.
lA luPA CAPitolinA 131
________
51
Floren 1987, p. 279 e nota 12; eAverly 1995, pp. 20 s., 81 ss., cat. 3, tavv. 7-8 (con bibl. prec.); Pollini
2003, pp. 24, 25 s., 28, 30, igg. 14-17.
52
Pollini 2003, passim, igg. 1-9.
53
PAyne, younG 1950, p. 27 s., tavv. 40-41; 42, 1; 43, 2; Floren 1987, p. 338 e nota 40; triAnti 1998, p.
94, tavv. 80-84.
54
Ranuccio Bianchi Bandinelli, pur ammirando le qualità formali del Cavaliere Rampin, osservava nell’arte
arcaica dell’età dei Pisistratidi una pericolosa condiscendenza «in frivole eleganze e in calligraiche rafinatez-
ze», sventata immediatamente dopo dall’emergere di una «semplicità» che sarebbe divenuta l’elemento portan-
te della cultura igurativa di età severa e classica: EAA III, 1960, s.v. «Greca, Arte», p. 1019.
132 euGenio lA roCCA
Fig. 14. oliMPiA, Museo. Prometopidion in bronzo Fig. 15. oliMPiA, Museo. Prometopidion in bronzo
inv. B 4800. Dettaglio della decorazione del fron- inv. B 4800. Disegno ricostruttivo della decorazio-
tale (da kunze 1967). ne del frontale (da kunze 1967).
lA luPA CAPitolinA 133
________
56
Si vedano le note 39-42.
57
I frammenti superstiti di grandi bronzi greci presentano caratteristiche analoghe di lavorazione, ma l’evi-
denza plastica è assai superiore: si vedano, ad esempio, due frammenti bronzei di Olimpia che preservano l’uno
alcune ciocche, l’altro i peli del pube di una statua virile con simile arricciatura a chiocciola e ine lavoro di
cesello: kArusos 1961, p. 80, n. 5; bol 1978, pp. 25 s., 55, 109, nn. 93-95, 96, tav. 17.
58
Si veda infra.
lA luPA CAPitolinA 135
Fig. 19. Atene, Museo dell’Acropoli. Kore inv. 682: dettaglio dell’ac-
conciatura dei capelli (da triAnti 1998).
carolingi59, e con il vello dorsale di leoni stilofori romanici60. Anche in questo caso, la linea vettoria-
le sembra condurre verso il medio-oriente. Con analogo rigore, anche se con un motivo differente,
sono eseguite le criniere dorsali dei tori persiani, con una banda regolare composta dallo stesso moti-
vo del collarino (Fig. 7). Non c’è ragione, però, di saltare di pié pari i prototipi greci che dalla cultura
orientalizzante sono stati inluenzati. Nel leone a Boston, da Perachora61, le ciocche compongono un
disegno a treccia (Figg. 2, 21) la cui logica ornamentale, anche se lo schema è un po’ diverso, prelu-
de con largo anticipo ai modi di legatura dei ciufi di pelo sul dorso della Lupa. La stessa bronzistica
greca può vantare una vivacissima tradizione nella tessitura delle chiome62 o del pelame di animali
con un eficace carattere ornamentale che nel tempo, per il suo più spinto naturalismo, si distanzia
dai modelli medio-orientali. La criniera dorsale è diffusa, se non abituale, negli esemplari in pietra,
greci63 – con sensibili differenze di lunghezza – ed etrusco-italici di età ellenistica64, meno consueta,
ma non assente, in quelli romani65. L’accentuato naturalismo delle opere d’arte greche posteriori
all’età classica impedisce purtroppo di determinare confronti diretti.
________
59
CArrubA 2006, p. 39, igg. 35, 36.
60
CArrubA 2006, p. 42, igg. 39-40, 42, 43.
61
Si veda nota 16.
62
Si vedano, ad esempio, il frammento di treccia bronzea rinvenuto ad Olimpia (bol 1978, pp. 23, 35, 109,
n. 88, tav. 16); il complesso e solo apparente disordine delle chiome dell’Amazzone tipo Sosikles (steuben
1973, tavv. 48-51); l’agitata elaborazione della luente capigliatura del Satiro di Mazara (PetriAGGi 2003, igure
alle pp. 8-10; 23; 46; 65; 95; 97; 103, 4; 104, 5; 109, 14; 115; 117-119; PetriAGGi 2005, spec. igure alle pp.
154-157; 190-191; 194; 210, 19).
63
willeMsen 1959, tavv. 44, 3; 47, 2-48, 3; 49, 2-50, 2; 51, 1, 2, 3; 55, 2; 56, 4; 57, 1, 2; 62, 2; 63, 1, 2; 64, 2.
64
MArini CAlvAni 1980, p. 8. La criniera dorsale è presente anche su uno dei leoni venosini: todisCo 1996,
p. 23 s., III Bb 1, tavv. VIII-IX. Sulle origini del motivo: CAMPoreAle 1965, p. 1 ss., tav. 1.
65
MArini CAlvAni 1980, p. 8, ig. 3.
136 euGenio lA roCCA
Fig. 20. roMA, Musei Capitolini. Lupa Capitoli- Fig. 21. boston, Museum of Fine Arts. Leone
na: dettaglio del vello sul dorso (foto Musei Ca- da Perachora: dettaglio della criniera (da CAskey
pitolini). 1925).
________
66
Interessanti precedenti sono già gli sguardi allucinati di alcuni grii su protomi che decoravano calderoni
orientalizzanti: herrMAnn 1979, pp. 30, 83 s., 87, 122, 134, 148, 152, 160, nota 29, G 60, tavv. 26; 27, 1 (metà
circa del VII secolo a.C.).
67
heMelrijk 1984, pp. 14, n. 4, tavv. 2, 14, 32-35, 135, 143, 150, 164, igg. 44-45, 58-59, 62, 65 (Pittore
dell’Aquila); 23 s., tavv. 7, 15, 54-56, 129, 142, 143, 146, 151, 158, igg. 45, 49, 55, 60, 61, 63 (Pittore di
Busiride).
68
heMelrijk 1984, p. 32 s., tavv. 9, 16, 74 a-b, 75-76, 152, ig. 61 (Pittore dell’Aquila).
lA luPA CAPitolinA 137
lupa sia proprio su un’hydria ceretana anch’essa al Louvre, con rafigurazione di caccia ad una lupa
che si slancia feroce contro gli aggressori per difendere i suoi cuccioli (Fig. 24)69, né che i paragoni
conducano verso quell’ambiente etrusco meridionale dove la Lupa Capitolina, secondo la comune
opinione, fu realizzata70.
Malgrado il numero esiguo di confronti nell’ambito della cultura igurativa greca e/o etrusca, mi
sembra che in essa la Lupa trovi il suo più idoneo sostrato culturale, piuttosto che in quella romana, caro-
lingia, ottoniana e romanica. In effetti la produzione animalistica alto- e basso-medievale ha tenuto bene
________
69
heMelrijk 1984, p. 40 s., tavv. 6 c, 7 a, 17, 86-87, 88 b, 132, 137, 153, 161, 167, ig. 61 (Pittore dell’Aquila).
70
Vorrei attirare l’attenzione anche sulle somiglianze che il taglio degli occhi con la pupilla grande e sgrana-
ta della Lupa condivide, con le debite distanze, con gli occhi dell’Apollo di Veio (sPrenGer, bArtoloni, hirMer
1977, tav. 118). È un taglio a mandorla desunto dalla scultura greca arcaica (un ottimo esempio è offerto dalla
testa del Cavaliere Rampin), ma parzialmente revisionato nella sua conformazione, meno regolare, più allun-
gata verso le tempie, con la palpebra inferiore poco incurvata e la palpebra superiore, al contrario, fortemente
arcuata al centro. Da esso dipende l’espressione come sovreccitata dello sguardo. Le altre statue acroteriali del
Portonaccio presentano un taglio degli occhi più ammorbidito.
138 euGenio lA roCCA
________
71
Si veda infra e la nota 86. Mi sembra nel complesso meno cogente il confronto con i leoni sui sarcofagi
romani, di solito rappresentati secondo una maggiore aderenza al naturale: stroszeCk 1998.
72
Mende 1999, p. 111 ss., n. II. 70; künzl 2002, p. 1 ss., igg. 4-5 (foto dell’originale), 12-25 (foto della
fedelissima copia eseguita nel 2000, nel Römisch-Germanisches Museum di Mainz). Sul programma igurativo
di Carlo Magno: GrAMACCini 1995, p. 130 ss.; GrAMACCini 1996, p. 52 s.
73
Si vedano, ad esempio, i cani molossi nel Cortile Ottagono dei Musei Vaticani (AndreAe 2001, p. 119 ss.,
tavv. 96, 97, ig. 80), oppure quelli nella Galleria degli Ufizi a Firenze (MAnsuelli 1958, p. 77 s., nn. 48, 49).
E. Künzl (künzl 2002, p. 16 ss.) ha con precisione deinito le differenze nella struttura anatomica tra l’Orsa, la
Lupa e i cani rappresentati nell’arte antica.
lA luPA CAPitolinA 139
________
74
rebeCChi 1984, pp. 329 s., 344, R. 13, igg. 347, 348; GrAMACCini 1996, p. 83 s.; PoesChke, hirMer 1998,
p. 70, tav. 17.
75
brAunFels 1965, p. 195 s., igg. 21 (Annenkapelle), 22 (Karlskapelle), 24 (Hubertuskapelle), 25 (Wolfstür).
Per le protomi di quest’ultimo portale si è voluto vedere un modello proprio nell’Orsa (sChnitzler 1950, p. XII
s.; Mende 1981, p. 17 e cat. n. 1; Mende 1994, p. 23 s.), che è, tuttavia, di un naturalismo assai più evidenziato.
76
GrodeCki et Al. 1974, pp. 15, 303, igg. 13, 314.
140 euGenio lA roCCA
1166, o i leoni stilofori di alcune chiese romaniche, o lavori persino più tardi, come il Leone e il
Grifo di Perugia, databili al 1274. Ma un’analisi formale non può essere condotta spostandosi da un
secolo all’altro come meglio conviene. Se la Lupa è carolingia, i confronti devono essere condotti
con opere carolingie, se romanica con opere di età romanica.
Comunque sia, nessuno dei monumenti in bronzo afiancati alla Lupa ne condivide in pieno i
caratteri formali, ma al più alcuni elementi tipologici. Il Leone di Braunschweig77, ritto sulle quattro
zampe e di pieno proilo, con la sua folta criniera di notevole consistenza plastica, con la deinizione
anatomica del muso e del corpo povera, ridotta all’essenziale, ha, simile alla Lupa, solo la postura
araldica del corpo, che comunque è di tradizione antica, come mostra, per fare un esempio, il leonci-
no etrusco di bronzo nel museo di Baltimora78. A parte la loro recenziorità, che già di per sé dovrebbe
dissuadere da un confronto, il Grifo e il Leone di Perugia non mostrano alcuna attinenza stilistica
con la Lupa79.
di Cefalù84. La iliazione dei leoni islamici da prototipi sasanidi, a loro volta derivati dalla cultura
artistica persiana, è verosimile. Dalla tradizione sasanide85, mediata dall’Islam, potrebbe essersi svi-
luppato il gusto verso una più accentuata ornamentazione delle criniere dei leoni secondo diversi
schemi decorativi lontani da qualunque naturalismo descrittivo.
Ma il riferimento ai leoni funerari romani non è del tutto assente86. L’adozione stessa di possenti
leoni romani, ancorché rielaborati, per il protiro del Duomo di Modena, o la ripresa, ad esempio nei
leoni campionesi del pontile nel Duomo di Modena, del motivo della lotta con un uomo armato, che
sembra essere una cosciente iliazione da modelli romani provinciali87, denunciano una ripresa di
motivi e talora stilemi desunti dai leoni funerari romani per lo più di produzione municipale o pro-
vinciale. In questi il modello urbano è recepito, talora con notevoli risultati, secondo differenti gradi
di allontanamento dal naturalismo della tradizione colta, con parallela riduzione di volume della
criniera e impostazione esornativa delle ciocche88. Mentre la criniera del leone nel Museo Civico di
Imola (Fig. 26)89, con le sue ciocche appiattite, distribuite secondo un modulo regolare e ripetitivo,
sembra erosa da un intenso chiaroscuro che intende surrogare, con sapiente gioco ottico, l’effettiva
carenza di spessore volumetrico, nel leone funerario ora nel Museo del Sannio a Benevento90, in
quello della chiesa di S. Agostino a Trani (Fig. 27)91, nel leone accovacciato della fontana di Piazza
Castello a Venosa92, nel leone funerario di Sibiu93, o ancora in quello di Turnu Severin (Fig. 28)94,
________
84
deér 1959, p. 50 ss., igg. 25-27, 30-32; AndAloro 1995, pp. 25 s. (M. AndAloro); 33 ss., 39 ss., n. 2,
igg. 2.1, 2.2, 2.6 (E. bAssAn).
85
GhirshMAn 1962, pp. 209, igg. 248-251 (piatto da Sari nell’Iran Bastan Museum di Teheran); 306, ig.
404 (brocca nella Bibliothèque Nationale a Parigi); hArPer 1978, pp. 33 s., n. 3 (piatto da Sari nell’Iran Bastan
Museum di Teheran); 38 s., n. 6 (piatto nel Cleveland Museum of Art); Trésors de l’ancien Iran 1966, p. 121,
n. 677, tav. 71 (piatto d’argento dorato con rafigurazione di Eracle che consegna le spoglie del cinghiale di
Erimanto al re Euristeo nascosto in un pithos. Il piatto è ora nella collezione Ortiz: In Pursuit of the Absolute
1994, n. 243). Il modo di stilizzare la criniera dei leoni, a riccioli uncinati, potrebbe essere stato inluenzato,
come suppone Geza de Francovich, da tessuti della Persia nord-orientale, nei quali il motivo, con forte valenza
decorativa, è piuttosto comune (de FrAnCoviCh 1963, p. 162, ig. 107). Sembra comunque innegabile una deri-
vazione, sia pure indiretta, dalla rafigurazione dei leoni sasanidi.
86
Manca, che io sappia, uno studio approfondito che ponga a confronto i leoni romani con quelli romanici.
Rimando, a tal proposito, ai lavori di Luigi Todisco, e in particolare: todisCo 1996, p. 96 ss., spec. p. 107 ss.
(per le caratteristiche peculiari dei leoni municipali e provinciali); todisCo 1994b, p. 141 ss., igg. 1-8, 14-17,
18 (su un leone romano rielaborato in età medievale); todisCo 1994c, pp. 389 ss., 402 ss. (con il raffronto tra
esemplari leonini applicati al campanile di Meli: alcuni [igg. 3-5, 6-8 alle pp. 379 e 381] romani, uno [igg.
13-15 a p. 388] di età medievale).
87
rebeCChi 1984, p. 329 s., igg. 321 (leone del pontile), 322 (gruppo del leone che assale un gladiatore trace
nel Museo Denon di Chalon-sur-Saône).
88
Altri esempi di leoni funerari con rendimento «graico-linearistico»: todisCo 1994a, p. 106. Inoltre: MA-
rini CAlvAni 1980, p. 8, igg. 2-3; p. 9, igg. 10, 11.
89
MAnsuelli 1956, pp. 67 s., n. 3 e 79 ss., tavv. 34, 1-2; 35, 1-3.
90
MArini CAlvAni 1980, p. 9, ig. 12.
91
todisCo 1994a, p. 99 ss., igg. 2-5.
92
todisCo 1996, p. 33 s., III B e 1, tavv. XXI, XXIV in basso a destra, XXV.
93
Ferri 1933, p. 279, ig. 347.
94
Ferri 1933, p. 279 s., ig. 349.
142 euGenio lA roCCA
Fig. 26. iMolA, Museo Civico. Leone funerario ro- Fig. 27. trAni, S. Agostino. Leone funerario ro-
mano (da MAnsuelli 1956). mano (da todisCo 1994a).
l’accento plastico è ancora insistito, sebbene la criniera sia spesso ridotta ad un gioco graico, ino a
trasformarsi, nell’esemplare di Turnu Severin, in una massa di eleganti ghirigori, simili a vaporosi
cirri che si sovrappongono artiiciosamente.
Da questa eclettica congerie di esemplari nei quali, ad una tipologia riducibile a pochi schemi co-
muni, si contrappongono differenze stilistiche talora signiicative, dipendono determinati dettagli di
molti leoni stilofori: del protiro del Duomo di Ferrara (ca. 1135)95, della basilica di S. Nicola a Bari
(post 1132)96 o quelli antelamici di Parma – del pontile nel Duomo (ca. 1178) e del fonte battesimale
nel battistero (ca. 1196-1220) (Fig. 29)97, forse anche della cattedra episcopale (ca. 1200)98 – e di
Fidenza (ca. 1200-1220)99. Il sostrato ornamentale della loro pelliccia, con la disposizione ritmica
dei ciufi di pelo sulla criniera, ma anche lungo il dorso – e talvolta riconoscibile anche sul bordo
interno delle zampe posteriori (Fig. 29): soluzione che nell’arte classica ha pochissimi riscontri pun-
tuali in opere a tutto tondo100 –, per quanto magistralmente realizzato, appare pur sempre derivato
________
95
PoesChke, hirMer 1998, p. 89 s., tav. 54, ig. 43.
96
todisCo 1994b, p. 152, igg. 14-17.
97
QuintAvAlle 1990, p. 355, n. 19 a-d, igg. alle pp. 250-253 (leoni del pontile); p. 131, ig. 115 (fonte
battesimale del battistero); PoesChke, hirMer 1998, p. 125, ig. 78 (leoni del pontile); p. 133, tav. 127 (fonte
battesimale del battistero).
98
QuintAvAlle 1990, p. 153, igg. 148-149; p. 370 s., n. 31 e ig. a p. 310; PoesChke, hirMer 1998, p. 125 s.,
tav. 111. È probabile che i due leoni, pur coevi con la cattedra episcopale, avessero in origine una differente dispo-
sizione.
99
PoesChke, hirMer 1998, p. 119, tav. 101. I leoni del protiro del Duomo di Parma, chiamati in causa dalla
Carruba (CArrubA 2006, p. 42, igg. 39, 40, 42), sono pertinenti al nuovo ingresso monumentale realizzato
da Giambono da Bissone nel 1281, e sono, quindi, ancora più tardi e poco utili per un confronto con la Lupa
Capitolina.
100
Il motivo è riscontrabile nell’interessantissimo, e poco studiato, leone di Dimitsana, datato intorno al 470
a.C. ca. (willeMsen 1959, p. 41, tav. 40). In alcuni casi i leoni di età classica mostrano pelame sul bordo delle
cosce posteriori, come nel leone di Cheronea (willeMsen 1959, pp. 49, 52, tavv. 58-59), ma più comunemente
lA luPA CAPitolinA 143
Fig. 28. turnu severin, Museo. Leone funerario romano (da Ferri
1933).
dai modelli di età classica101, emulati con ben differente sensibilità. Come in questi, non viene mai
meno quel senso di solidità plastica delle singole ciocche di pelo, sebbene il tracciato della criniera
possa indirizzarsi verso un ornato a schema ripetitivo. In essi non trapela mai, tuttavia, quello spe-
ciico modo di stilizzazione ornamentale priva di spessore plastico che connota la Lupa Capitolina.
Quando si passa ad un esame analitico dei bronzi superstiti di età romanica che possono essere
avvicinati alla Lupa Capitolina, per lo più acquamanili a forma di leone (Fig. 30) o battenti a testa
leonina (Fig. 31)102, si osserva in essi una sempliicazione delle forme (non dipendente solo dal
diverso modo di lavorazione dei manufatti il cui spessore metallico, perlomeno nel caso degli acqua-
manili, doveva essere relativamente sottile), e un rendimento graico nei dettagli, analogo a quello
________
– per quanto anch’esso raro – nella zona di attacco delle cosce posteriori al tronco (willeMsen 1959, pp. 51 ss.,
61, tav. 57, 2 [nel Museo Nazionale di Atene]; p. 53 s., tav. 63, 1, 2 [a Minneapolis, da Atene, e nel Museo del
Pireo]). Il motivo è invece costitutivo delle immagini di leoni su sarcofagi romani, dove il vello è normalmente
visibile lungo le zampe anteriori, sotto il ventre e lungo l’intero bordo delle zampe posteriori: stroszeCk 1998,
tavv. 22-71.
101
Mancano ancora, purtroppo, accurate riproduzioni dei leoni funerari romani in tutti i loro dettagli. Si
veda comunque, malgrado il suo maggiore naturalismo, il vello sul dorso del leone di Sassa (L’Aquila): MArini
CAlvAni 1980, p. 8, ig. 3.
102
Zeit der Staufer 1977, p. 497, n. 647, ig. 453 (leone accucciato come contenitore di incenso, Germania set-
tentrionale, 1200 ca.); p. 500, n. 654, ig. 459 (acquamanile a forma di leone che divora un uomo, Maastricht [?],
metà del XII secolo); p. 500, n. 655, ig. 461 (acquamanile a forma di leone che divora un uomo e manico a forma
di drago, Bassa Sassonia, seconda metà del XII secolo); n. 657, ig. 463 (acquamanile a forma di leone seduto con
due draghi, Germania settentrionale [Lubecca?], 1200 ca.); p. 501, n. 658, ig. 464 (acquamanile con candeliere a
forma di leone sulla cui groppa siede, su un albero, una regina, Bassa Sassonia, inizi del XIII secolo); p. 503, n. 662,
ig. 468 (acquamanile a forma di leone in lotta con Sansone, Germania settentrionale, XIII secolo); n. 690, ig. 491
(battente a testa leonina, Germania settentrionale [Lubecca?], intorno al 1200); p. 519 s., n. 691, ig. 492 (battente a
testa leonina, Sassonia [?], 1220-30 ca.); p. 520 s., n. 693, ig. 493 (battente a testa leonina, Wimpfen [?], 1170-1180
ca.); p. 525, n. 703, ig. 502 (candeliere a forma di Sansone in groppa ad un leone, Germania settentrionale, prima
metà del XIII secolo).
144 euGenio lA roCCA
dei leoni stilofori. È simile l’accentuato decorativismo dei ciufi di pelo, spesso desinenti a ricciolo,
e la loro disposizione secondo patterns regolari, ma in nessun caso a scapito dell’effetto plastico, che
è preminente. In un acquamanile e in alcuni reliquiari a testa umana dello stesso periodo (Fig. 32)103
si riscontra, nei modi di trattazione della capigliatura e della barba, un appiattimento più sensibile
dei volumi, ma, come appare evidente, lo schematismo insistito, poco naturalistico, di tali manufatti,
specialmente nella stereometrica costruzione del volto e nell’insistita simmetria delle parti, rende il
confronto con la Lupa privo di eficacia.
Le differenze stilistiche tra i leoni romanici e la Lupa potrebbero essere sintetizzate riconoscendo
nella struttura di quest’ultima la volontà di anteporre la solidità volumetrica dell’insieme alla pla-
sticità dei dettagli, secondo una soluzione di profonda coerenza, di matrice ancora arcaica, mentre
in quelli, organicamente meno coerenti e, in determinati casi, di struttura più povera e sempliicata,
prevale comunque l’accentuazione plastica, anche in quei dettagli, come la pelliccia, ad imposta-
zione graica e ornamentale. Il confronto con l’acquamanile nel Rijksmuseum di Amsterdam (Fig.
30) che ha, nella postura araldica del corpo, con il muso rivolto verso lo spettatore, qualche vaga
somiglianza con la Lupa, è utile a documentare in maniera più precisa l’effettiva distanza stilistica
e cronologica tra i due bronzi.
________
103
Zeit der Staufer 1977, p. 498, n. 648, ig. 454 (acquamanile a forma di busto di uomo barbato con clamide
e corona di edera, Aachen, 1215 ca.); p. 522, n. 696, ig. 496 (reliquiario a testa virile, Aachen [?], 1170 ca.); p.
522 s., n. 697, ig. 497 (reliquiario a testa virile, Bassa Sassonia, terzo venticinquennio del XII secolo).
lA luPA CAPitolinA 145
Fig. 31. koPenhAGen, Danmarks Nationalmuseet. Fig. 32. düsseldorF, Lambertikirche. Reliquiario
Battente in bronzo a testa leonina (da Zeit der Stau- in bronzo dorato a testa virile (da Zeit der Staufer
fer 1977). 1977).
In quanto agli occhi torvi della Lupa, nulla trapela di simile nei leoni romanici, e neppure nei
cani che reggono i telamoni e le guance del trono vescovile nel Duomo di Parma (Fig. 33)104, del
1200 ca., così differenti sono i modi di concepire l’espressività del loro sguardo, malgrado la mar-
cata contrazione dell’arcata sopracciliare.
________
104
PoesChke, hirMer 1998, p. 125 s., tav. 111.
146 euGenio lA roCCA
euGenio lA roCCA
________
105
CArCoPino 1925, p. 15.
lA luPA CAPitolinA 147
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