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POLIIDROSSIALCANOATI 

PHA 

1. Il mercato delle materie plastiche  

1.1 Le plastiche tradizionali derivate dal petrolio  


Fin dal lontano 1950 le materie plastiche costituiscono una storia di successo a livello 
globale. La produzione industriale, su scala globale, è continuata a crescere per oltre 50 
anni, da 1.5 milioni di tonnellate nel 1950, fino a 288 milioni di tonnellate nel 2012.  
La crisi economica, ha influito duramente sulla crescita della produzione annuale di 
materie plastiche, determinandone un consistente calo a livello mondiale. 
In questo panorama occorre osservare come l’area a maggior potenziale di crescita 
siano i paesi asiatici in via di sviluppo (escluso il Giappone) dove il consumo corrente 
pro-capite plastica si aggira intorno ai 20 kg/anno. La Cina rimane il produttore leader 
a livello mondiale con il 29 % del mercato, mentre l’Europa raggiunge il 18 % della 
produzione globale eguagliando quasi i paesi facenti parte del “North American Free 
Trade Agreement” (NAFTA), cioè Stati Uniti, Canada e Messico. 
 
Produzione mondiale materie plastiche 2017. 
 

1.2 Problema 
L’ingente quantitativo di materie plastiche prodotte a livello globale, presenta problemi 
di natura ambientale legati alle opzioni di fine vita di questi materiali.  
Negli ultimi anni sono aumentati gli sforzi da parte dei paesi produttori, ed in 
particolare dell’Europa, nel potenziare le forme di riciclo, come alternativa, rispetto allo 
smaltimento in discarica, considerando anche il valore di mercato residuo, 
rappresentato dalle materie plastiche destinabili al riciclaggio.  
 
Negli ultimi anni, la disponibilità sempre più limitata dei carburanti fossili, l’aumento 
del prezzo del petrolio, i cambiamenti climatici in atto e la sensibilizzazione della 
coscienza ambientale delle popolazioni stanno influenzando le politiche dei governi, le 
industrie e la scienza, a cercare alternative al petrolio ed ai suoi derivati​. 
 
Ad oggi l’85% delle plastiche prodotte è di origine petrolchimica, tuttavia le plastiche 
bio-based e le bioplastiche stanno conquistando sempre maggiori quote di mercato. 
Pur essendo le bioplastiche più costose delle plastiche tradizionali, negli ultimi anni il 
loro mercato è diventato sempre più competitivo in termini di costi, supportato anche 
sul piano legislativo tramite l’introduzione di standard e schemi di certificazione ed in 
alcuni paesi si è arrivati fino al divieto di utilizzo delle plastiche tradizionali per talune 
applicazioni, come i sacchetti per la spesa usa e getta. 
 

1.3 Le plastiche bio-based e le bioplastiche  


Per plastiche bio-based si intendono quei materiali o prodotti, biodegradabili e non, 
sintetizzati impiegando monomeri bio-derivati; possono essere ottenute attraverso due 
vie principali:   
● Utilizzando polimeri naturali (biopolimeri) che possono essere in parte 
modificati. 
● Sintetizzando monomeri bio-based attraverso processi di fermentazione (come 
nel caso dell’acido lattico) o sintesi chimica tradizionale e polimerizzando questi 
monomeri in un secondo passaggio.  
 
Il termine biodegradabile si riferisce al 
processo chimico durante il quale i 
microrganismi presenti nell’ambiente 
trasformano i materiali in sostanze naturali 
come acqua, anidride carbonica e biomassa. Il 
processo di biodegradazione è influenzato 
dalle condizioni ambientali (es. luogo e 
temperatura), dal materiale e dall’applicazione. Questo vuol dire che non tutti i polimeri 
biobased sono anche biodegradabili. 
Con il termine bioplastiche, invece, 
sono definiti quei materiali ottenibili 
essenzialmente a partire da biopolimeri 
derivanti da sintesi microbica: è il caso 
dei poliidrossialcanoati (PHA) 
sintetizzati sia da microrganismi di tipo 
“wild type” (presenti in natura), sia da 
microrganismi ingegnerizzati.  
 
Proprio la diffusione di quest’ultimi, 
come risulta dal grafico, è piuttosto 
limitata se confrontata con la diffusione 
delle altre plastiche bio-based. 
Questo fatto è dovuto soprattutto ai costi di produzione elevati dei PHA, determinati da 
un processo di produzione articolato su più fasi che necessita, a valle della 
fermentazione microbica, di una estrazione del polimero dalla biomassa e di una 
purificazione, necessarie a causa della natura intracellulare di questo biopolimero ma 
anche ​al fatto che i prodotti petrolchimici dominano il settore, rendendoli molto più 
economici da produrre. 
 

2. Poliidrossialcanoati 
 
I poliidrossialcanoati (PHA) sono macromolecole sintetizzate da più di 100 generi di 
batteri (ad esempio Bacillus, Rhodococcus, Rhodospirillum, Pseudomonas, 
Alcaligenes/Ralstonia, Azotobacter, Rhizobium). 
Quando le cellule batteriche sono temporaneamente prive di uno o più elementi 
nutritivi, come azoto (N), zolfo (S), fosforo (P), magnesio (Mg) oppure ossigeno (O), il loro 
metabolismo non funziona normalmente ed entrano in uno stato di stress. In tale 
circostanza la cellula può accumulare delle riserve nutritive: fosforo in forma di 
polifosfato e carbonio nelle forme di 
poliidrossialcanoato oppure di glicogeno.  
Il PHA viene stoccato sotto forma di granuli, la 
cui dimensione e numero per cellula varia 
nelle diverse specie batteriche. Questi granuli 
sono formati da oltre il 97% di PHA, 1-2% di 
proteine e 0,5% di lipidi.  
I batteri, in mancanza di fonte di carbonio 
extracellulare, mobilitano e utilizzano queste 
riserve come substrati carboniosi ed energetici.  
I PHA sono composti chiave nella regolazione dei processi metabolici intracellulari, 
come ad esempio nella motilità cellulare e nella distribuzione delle riserve di carbonio 
nelle diverse vie metaboliche. Più recentemente al polimero sono state attribuite 
ulteriori importanti funzioni, quali la protezione delle cellule contro stress ambientali, 
come shock osmotico, irraggiamento UV, disidratazione, stress termico o ossidativo. 
Questi polimeri sono anche coinvolti nel processo della sporulazione e di riproduzione, 
nel controllo dell’escrezione degli esopolisaccaridi e in alcune specie diazotrophiche, 
nel flusso di energia durante la fissazione di azoto.  
 
I PHA possono essere suddivisi in due gruppi, in funzione del numero di atomi di 
carbonio che costituisce l’unità monomerica: i PHAscl (short chain lenght) sono 
costituiti da 3-5 atomi di C, mentre i PHAmcl (medium chain lenght) da 6-15 atomi di C. 
Solo pochi batteri sono in grado di sintetizzare entrambe le tipologie di PHA. I PHAscl 
hanno un alto grado di cristallinità, mentre PHAmcl sono elastomeri a bassa cristallinità 
e presentano una bassa temperatura di fusione. 
Si pone l'attenzione anche sui gruppi funzionali ai lati della catena principale quali 
alogeni, carbonili, epossi, metilesteri, ecc, poiché insieme alla lunghezza della catena 
influenzano le proprietà della bioplastica quali cristallinità, temperatura di fusione e 
temperatura di transizione vetrosa. 
 
 
 
Formula generale per unità ripetitiva dei PHA 
 
 
 
 
Tra tutti i PHA conosciuti il Poli(3-idrossibutirrato) (PHB) è il più studiato. Si tratta di un 
omopolimero, composto quindi soltanto da monomeri di 3-idrossibutirrato (3HB). 
Questo materiale presenta un elevato grado di cristallinità ma una limitata lavorabilità 
dovuta alla bassa differenza tra la temperatura di decomposizione (circa 270° C) e il 
punto di fusione elevato (circa 180°C). 

2.1 Scoperta e produttori 


Il poliidrossibutirrato (PHB) era stato individuato nel 1926 da Lemoigne all’Istituto 
Pasteur come costituente del microrganismo Bacillus Megaterium. 
Un forte interesse di tipo tecnologico a questi polimeri nacque negli anni settanta in 
funzione della possibilità di disporre di materiali polimerici sostitutivi delle poliolefine, 
sia in relazione alla crisi petrolifera, che faceva ritenere prossima la fine delle scorte, sia 
in relazione alla crescente avversione di gruppi ecologisti e dell’opinione pubblica nei 
confronti di prodotti ritenuti fonte di inquinamento ambientale. Superato il timore 
dell’esaurimento delle scorte, rimase invece aperto e sempre più marcato il problema 
dell’inquinamento. Si cercavano cioè polimeri in grado di sostituire quelli di origine 
petrolchimica dal punto di vista delle proprietà e impieghi, senza presentare il 
collaterale problema ecologico: cioè polimeri biodegradabili. 
 
La maggior parte dei produttori di PHA attualmente sul mercato, sono aziende di 
dimensioni contenute, con capacità produttive ridotte, intorno alle 1.000-20.000 t/y , 
che non possono contare sull’economia di scala, come ad esempio accade nel caso di 
unità di produzione del polietilene di potenzialità pari a 300.000 t/y.  
Il primo brevetto depositato riguardante la produzione di PHA, risale al 1959, quando la 
W.R. Grace & Co. di New York iniziò a produrre il PHB a scopo commerciale, tuttavia la 
compagnia chiuse dopo poco tempo, a causa della ridotta efficienza di produzione ed 
alla mancanza di un idoneo processo di purificazione. 
Nel 1970 la ICI iniziò a commercializzare il copolimero PHBV, sotto il nome 
commerciale di Biopol®; nel 1996 la tecnologia di produzione fu venduta a Monsanto ed 
in seguito a Metabolix.  
L’azienda Procter & Gamble in collaborazione con Kaneka Corporation, l’Università 
Cinese di Tsinga ed il Riken Institute Giapponese svilupparono un ampio spettro di 
applicazioni del PHB e del PHBV (Nodax®) sotto forma di fibre, tessuto non tessuto, 
dispersioni acquose e prodotti usa e getta, tuttavia la tecnologia Nodax® fu venduta nel 
1993. 
Recentemente la Kaneka Corporation, presso la città di Takasago in Giappone, ha 
iniziato la produzione del copolimero PHBH di origine vegetale, con capacità produttiva 
dichiarata di 10.000 t y -1 . Sempre in Giappone la Mitsubishi Gas Chemical produce 
PHB attraverso la fermentazione del metanolo con il nome commerciale di BioGreen®.  
L’azienda tedesca Biomer Inc. produce PHB per applicazioni speciali su scala 
commerciale. Nel 1993 questa azienda acquistò la tecnologia ed i ceppi microbici dalla 
ditta Austriaca Petrochemia Danubia, registrando il marchio commerciale Biomer® nel 
1995.  
In Brasile, uno dei maggiori produttori mondiali di canna da zucchero, la PHB Industrial 
S.A. impiega lo zucchero di canna per produrre il PHB. 
 
 
 
 
 
Principali produttori di PHA a livello mondiale. 
 
 
 
 

2.2 Caratteristiche 
Le principali caratteristiche dei poli-idrossialcanoati si possono riassumere in 
sette punti: 
1. ​termoplasticità​: possono essere lavorati con varie tipologie di 
attrezzature sfruttando i cambiamenti di proprietà fisico-meccaniche in 
relazione alla temperatura. 
2. biodegradabilità​: caratteristica tipica dei composti polimerici di origine 
biologica che generalmente vengono sintetizzati per poi, all’occorrenza, 
essere di nuovo degradati dall'azione di specifici enzimi microbici; tale 
caratteristica li rende particolarmente interessanti anche dal punto di 
vista ambientale poiché, grazie alla loro biodegradabilità non 
contribuiscono all’aumento di volume delle discariche, a differenza delle 
plastiche convenzionali. 
3. biocompatibilità​: possibili applicazioni in campo medico per la 
preparazione di protesi o dispositivi chirurgici. 
4. bilanciamento del carbonio:​ la combustione degli idrocarburi (petrolio) 
crea un’enorme quantità di anidride carbonica che, diffondendosi 
nell’atmosfera, il ciclo del carbonio non riesce a riassorbire. Invece 
impiegando i PHA e la loro naturale degradazione da parte della 
microflora presente nel terreno, il ciclo verrebbe chiuso; inoltre i 
biopolimeri provengono da fonti rinnovabili e non dipendono dalla 
disponibilità di materie prime fossili. 
5. fragilità ed elasticità​: sono entrambe proprietà importanti dei materiali; la 
tendenza a rompersi facilmente e la facilità di deformarsi sotto l'azione di 
una forza applicata e di riacquistare la sua forma originale al venir meno 
dell’azione imposta, sono proprietà di grande interesse applicativo. 
6. progettabilità molecolare:​ grazie alle tecniche del DNA ricombinante è 
possibile far produrre i poli-idrossialcanoati anche a batteri che non 
presentano gli enzimi chiave (β-ketothiolase e PHA- 14 sintetasi), ma che 
magari sono naturalmente in grado di utilizzare come fonte di carbonio 
materiali a basso costo. 
7. scarsa permeabilità ai gas:​ in generale la permeabilità all’ossigeno e la 
permeabilità nei confronti degli altri gas sono strettamente legate; i 
materiali tradizionali presentano un rapporto fisso tra la permeabilità 
all’ossigeno e quella all’anidride carbonica; questa relazione si osserva 
anche nei biopolimeri, anche se alcuni di essi tendono a essere più 
permeabili all’anidride carbonica rispetto ai materiali tradizionali. 
 

2.3 Possibili applicazioni dei PHA  


Le caratteristiche e la diversità monomerica del polimero, hanno permesso lo sviluppo 
di varie applicazioni, tra cui plastiche biodegradabili ed ecocompatibili per l’imballaggio, 
fibre, protesi mediche , vettori per il rilascio controllato dei farmaci. 
Ma hanno comunque finora trovato prevalentemente applicazioni di nicchia, a causa del 
loro alto prezzo e degli aspetti legislativi. 

2.3.1 PHA come materiali da imballaggio 


I PHA sono stati inizialmente utilizzati negli articoli di uso quotidiano, come bottiglie di 
shampoo e materiali da imballaggio (Weiner 1997; Germania). Poi sono stati impiegati 
anche come borse per la spesa, contenitori di cosmetici e di alimenti, articoli monouso 
(come rasoi, utensili, pannolini, prodotti per l'igiene femminile) nonché indumenti 
medici chirurgici, tappezzeria, moquette e vaschette utilizzate negli articoli 
termoformati. 

2.3.2 PHA come dispositivi medici  


Nel corso degli ultimi vent’anni, il PHA e i suoi derivati sono stati utilizzati per 
sviluppare dispositivi medici, tra cui suture, elementi di fissaggio di sutura, dispositivi di 
riparazione del menisco, piastre ossee e sistemi di placcatura ossea, maglie chirurgiche, 
dispositivi di riparazione della cartilagine articolare, dispositivi di riparazione dei 
tendini, valvole venose, legamenti e innesti tendinei, impianti oculari di cellule. 

2.3.3 PHA come vettore di farmaci  


Alla fine degli anni ottanta, il PHA attirò l’attenzione dei ricercatori come potenziale 
vettore di farmaci, in particolare per il trasporto e la somministrazione del farmaco 
direttamente alla “zona” interessata. Tuttavia, il rilascio del farmaco è di difficile 
controllo a causa della facilità con la quale il polimero si degrada nel nostro organismo. 
Più recentemente è stato dimostrato che dall’unione di PHA con una specifica proteina , 
è possibile stabilire legami anche con farmaci idrofobici.  

2.3.4 PHA come farmaci 


Negli animali e negli esseri umani avviene la produzione di derivati del monomero 3HB, 
principalmente come sali di sodio dell'acido 3-idrossibutirrico e come 
3-idrossibutirrato-metil-estere (3HBME). È stato osservato che quest’ultimo può 
migliorare la comunicazione intercellulare tra neuroni, aumentando così 
l'apprendimento e la memoria. Inoltre, i prodotti di degradazione del 3HB diminuiscono 
l’apoptosi naturale delle cellule neurali.  
 

2.3.5 Altre applicazione 


I PHA vengono usi in altri campi quali reti e corde per la pesca industriale e in filamenti 
di una miscela di​ PLA/PHA per lo stampaggio 3D. Questa è una miscela speciale la cui 
ricetta unisce al classico PLA (acido polilattico) il PHA . Il risultato è un materiale di alta 
qualità, che, rispetto al classico filamento PLA, è meno fragile e più resistente sia 
durante la lavorazione che dopo il raffreddamento.  
Se estrusi sotto forma di fibre, potrebbero essere inoltre impiegati per la produzione di 
filtri per sigarette oppure nel settore dell’arredamento o in quello dell’automotive 
 

2.4 Biosintesi dei PHA 


 
Come è stato accennato in precedenza, esistono molte specie batteriche in grado di 
sintetizzare PHA seguendo specifiche vie di biosintesi. Tutte le informazioni necessarie 
per ottenere le proteine e gli enzimi sono codificate all’interno del genoma del 
microrganismo in questione. 
Sono stati gli studi effettuati prendendo come specie batterica ​Alcaligenes eutrophus​, un 
microrganismo capace di accumulare quantità molto considerevoli di PHB, con 
percentuali intorno al 70-80% del proprio peso secco. In seguito a modificazioni nella 
somministrazione di almeno un elemento nutritivo chiave (come per esempio l’azoto 
oppure la fonte carboniosa stessa), è stato messo in evidenza che l’acetil-CoA, ottenuto 
alla fine del catabolismo del glucosio, rappresenta il primo intermedio necessario alla 
sintesi del PHB. La sintesi del polimero avviene mediante l’azione di tre enzimi specifici, 
i quali sono stati identificati all’interno delle cellule di ​A.eutrophus​. 
La prima reazione prevede di condensare due molecole di acetil-CoA per fornirne una 
di acetoacetil-CoA, il quale viene poi ridotto per via enzimatica a idrossibutirril-CoA, 
inserito successivamente all’interno di una 
cascata di reazioni di polimerizzazione a 
stadi per fornire poli-idrossibutirrato.  
I complessi proteici coinvolti nei tre stadi 
sono: 
● 3-chetotiolasi 
● acetoacetil-CoA riduttasi  
● PHA-sintasi.  
 
 
 
 
 

2.4.1 Tecniche fermentative 


I principali scarti e sottoprodotti industriali, utili al recupero della fonte di carbonio per 
la produzione di PHA, possono essere suddivisi in diverse categorie:  
 
1. Melasso dalla produzione di zucchero.  
2. Materiale contente amido.  
3. Materiale contenente cellulosa ed emicellulosa. 
4. Siero di latte proveniente dall’industria casearia.  
5. Glicerolo, oli e acidi grassi. 
6. Substrati gassosi. 
7. Acque reflue.  
 
Le tecniche fermentative sono principalmente tre: "batch", "feed-batch" e in continuo. 
La coltura in "batch" è utilizzata nella fase di arricchimento in PHAproduttori, quando si 
utilizza una biomassa mista. Mentre in coltura pura tale strategia fermentativa viene 
implementata in modo che si raggiunga una buona concentrazione cellulare, nella fase 
di crescita e successivamente, in seguito all’esaurimento di un particolare 
macronutriente, si abbia accumulo di PHA. La scelta su quale macronutriente debba 
essere in difetto dipende dal ceppo batterico utilizzato, inoltre non vengono raggiunte 
concentrazioni cellulari elevate.  
La coltura "feed-batch" prevede una prima fase identica alla coltura "batch", fino 
all’ultima parte della fase esponenziale di crescita, a quel punto viene introdotto del 
substrato fresco in modo da garantire una velocità di crescita desiderata e evitare la 
produzione di sottoprodotti. Tale tecnica viene utilizzata quando la produzione di PHA 
non è associata alla fase di crescita e presenta valori di densità cellulare migliori che in 
coltura "batch".  
I processi sviluppati in continuo hanno un notevole interesse commerciale in quanto 
presentano produttività più alte che negli altri sistemi, sopratutto quando vengono 
utilizzati batteri con un elevata velocità di crescita. In ambito di ricerca solo l’8 % delle 
colture si sono svolte in continuo, questo perché la prima fase di studio prevede 
l’ottenimento di informazioni sulla fattibilità e l’ottimizzazione delle condizioni di 
crescita. 
 

2.4.2 Recupero PHA 


Il processo di recupero dalle cellule batteriche è articolato in 3 fasi:  
1. Pretrattamento della massa cellulare  
2. Estrazione del polimero dalla massa cellulare  
3. Purificazione del polimero ottenuto 
 
L’applicazione di questi tre passaggi punta ad aumentare la concentrazione e la purezza 
del prodotto finale.  
 
La scelta del metodo di estrazione 
dipende da:  
• Ceppo batterico usato 
• Tipo e quantità di PHA generato dalla 
cellula  
• Livello di purezza da ottenere  
• Eventuale disponibilità dei prodotti 
chimici  
• Valore ottimale del peso molecolare 
 
I metodi per il recupero dei PHA sono 
raggruppabili in 4 categorie 
1)​ Estrazione con solvente 
Tale procedura è basata sul fatto che i 
PHA sono insolubili in acqua ma solubili in 
alcuni solventi organici: i clorurati quali il 
cloroformio, l'1,2 – diclorometano e il 
cloruro di metile e in alcuni composti 
ciclici quali propilene e etilene. Il cloroformio è senz'altro il solvente maggiormente 
utilizzato per l'estrazione di scl- e mcl- PHA poiché garantisce sia purezza che recupero 
elevati.  
Quest'ultimo, precipitato, è quindi separato dalla miscela per centrifugazione o 
filtrazione.  
I composti clorurati non sono enviromental friendly, pertanto l'uso di solventi green 
riciclabili ed ecosostenibili sta acquisendo sempre maggiore importanza. Tale metodo è 
costoso e la separazione del polimero può essere difficoltosa tuttavia il solvente non 
degrada il PHA che ha un elevato peso molecolare e la sua composizione rimane 
pressoché costante.  
 

 
 
 
 
2) ​Estrazione tramite digestione 
 
La digestione permette l’estrazione dei granuli di PHA attraverso la digestione o 
disgregazione della membrana cellulare 
Possono essere usati composti chimici di varia natura: ipoclorito di sodio, surfattanti, 
composti acidi e alcalini.  
L'ipoclorito degrada selettivamente la cellula mentre i PHA resistenti all'attacco del 
composto possono poi essere agevolmente separati. Il processo è esotermico pertanto 
bisogna controllare la temperatura dell'ambiente di reazione e provvedere anche ad un 
opportuno sistema di raffreddamento.  
Il vantaggio nell'utilizzare l'ipoclorito risiede nel fatto che la cellula non deve essere 
asciugata prima del trattamento e questo comporta un risparmio di tempo ed energia e 
riduce il costo del processo downstream. 
La purezza del polimero al termine dell'estrazione raggiunge il 99% tuttavia il PHA non è 
completamente insolubile nella soluzione ed è stata osservata una riduzione del peso 
molecolare anche del 50% in alcuni casi.  
L'uso di composti acidi o alcalini quali l'idrossido di sodio (NaOH) può costituire una 
valida alternativa ai composti clorurati. L’idrossido causa la saponificazione dei lipidi 
presenti nella parete cellulare del microrganismo aumentando la permeabilità della 
membrana e aiutando il rilascio delle proteine e del materiale non-PHA. Esso è un 
metodo poco costoso e green che garantisce elevata purezza e un buon recupero del 
polimero 
 
3)​ Rottura cellulare con enzimi 
Alcuni tipi di enzimi come proteasi, nucleasi e lipasi esercitano una forte azione 
idrolitica sulle proteine e altri polimeri della parete cellulare ma possono aver effetto, 
anche se minore, sui PHA. Tale metodo garantisce un recupero elevato ma ha anche un 
costo non trascurabile.  
 
4) ​Rottura meccanica 
La disintegrazione della parte della cellula non-PHA può essere ottenuta sfruttando 
pressione elevata, ultrasuoni e pale meccaniche in rotazione. Tali metodi sono però 
difficilmente applicabili su scala industriale e non garantiscono un recupero 
consistente.  
 
Vi sono poi altri metodi meno utilizzati quali l'impiego di un fluido supercritico come la 
CO2 in combinazione con l'uso di NaOH. Nella seguente tabella sono riportati vantaggi e 
svantaggi dei vari metodi. 

2.5 Percorso di riciclaggio ottimale 


 
I percorsi di riciclaggio meccanico e chimico per PHA non sono stati esplorati a fondo a 
causa dei suoi alti costi di produzione e delle basse quantità in circolazione. 
Analogamente agli altri biopolimeri, il PHA dovrebbe essere prima riutilizzato e poi 
riciclato meccanicamente fino al deterioramento delle sue proprietà. 
PHA di basso grado ha quindi due opzioni di riciclaggio, pirolisi o biodegradazione. 
Sebbene la pirolisi porti alla generazione di acido trans / cis-crotonico (CA) che è di per 
sé un prodotto a valore aggiunto, il PHA a fine vita dovrebbe invece essere 
biodegradato. 
Questo perché PHA biodegradato consente un'economia circolare della produzione di 
PHA. I prodotti di degradazione CO2 e acqua vengono assimilati in piante che 
potrebbero essere utilizzate in fermentazione per la produzione di PHA.  
In termini di biodegradazione, il PHA si degrada in ambienti compositi, del suolo e 
marini e si degrada anche in alcuni animali. Il percorso ideale sarebbe utilizzare PHA di 
fine vita come ingrediente aggiuntivo per mangimi per animali che ospitano i 
microrganismi corretti.  
Il poliidrossibutirrato, il monomero più comune del PHA, ha dimostrato di avere attività 
antimicrobica contro i patogeni nocivi.  
Il riciclaggio biologico riduce la necessità di antibiotici e diminuisce il costo dei mangimi 
animali poiché proteine, lipidi e minerali dei degradatori batterici del PHA saranno 
utilizzati come nutrimento negli animali.  
 

2.6 Impatto ambientale  


 
In qualità di sostituto "verde" delle plastiche a base petrolchimica, il processo 
complessivo di biosintesi di PHA deve essere sufficientemente rispettoso dell'ambiente 
e causare impatti meno negativi sull'ambiente. 
Sono stati condotti diversi studi LCA sui PHA. Questi studi differiscono l'uno dall’altro in 
diverse caratteristiche e condizioni di analisi. La maggior parte di essi si concentra solo 
sulle emissioni di gas serra e sui requisiti energetici. 
 
Non sorprende che le conclusioni di questi studi siano talvolta contraddittorie: i risultati 
dipendono da specifiche condizioni di processo, e le emissioni del ciclo di vita sono 
fortemente legate alla scelta della materia prima.  
 
 
I risultati del GWP, ossia​ il contributo all'effetto serra di un gas serra relativamente 
all'effetto della CO​2​ , mostrano un range che va da -4 a 6,9 kg CO2eq/kg PHA, quelli 
della domanda energetica invece vanno da 2,5 a 158 MJ/kg PHA. 
Secondo l’associazione European Bioplastics le emissioni gassose ad effetto serra di 1 kg 
di polipropilene (PP) sono pari a 2,0 kg CO2 eq., mentre il fabbisogno energetico è di 
73,4 MJ/kg.  
Pertanto, non è chiaro se i PHA presentino un chiaro vantaggio ambientale rispetto ai 
polimeri a base fossile.  
In ogni caso, tutti gli articoli consultati affermano che i PHA potrebbero contribuire alla 
sostenibilità, alla mitigazione dei cambiamenti climatici e farebbero aumentare la 
consapevolezza ambientale. Le attuali ricerche dimostrano che l'uso di materie prime a 
basso costo nella produzione e di solventi più ecologici per l'estrazione di PHA 
potrebbero contribuire sia agli obiettivi climatici sia alla riduzione dei costi. 

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