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ISBN 88-7105-122-X
Copyright © 2001 Edizioni Glossa Sri - 20121 Milano
Via dei Cavalieri del S. Sepolcro, 3
te!. 02/877.609 - fax 02/72.003.162
E-mail: informazioni@glossaeditrice.it
http:/www.glossaeditrice.it
INDICE
PROLOGO
PAROLA - SCRTITURA
V
Indice
COMPIERE LE SCRI'ITURE
VI
Indice
VII
Indice
VIII
INTRODUZIONE
lntroduction, Cerf, Paris, 1982, 209 (tr. it., in Iniziazione alla pratica della
teologia. Introduzione, voi. 1, Queriniana, Brescia 1986,. 224).
IX
A. BERTULETII
X
Introduzione
XI
A. BERTULEm
XII
Introduzione
XIII
A. BERTULETil
XIV
Introduzione
xv
A. BERTULETTI
XVI
Introduzione
16 Ihid., 328.
17 In., 7béologie biblique, in Initiation à la pratique de la théologie.
Introduction. cit., 199-201 (tr. it., 212-216).
XVII
A. BERTULETTI
Che Dio abbia creato con la sua parola o che abbia aperto il mar
Rosso per richiuderlo sul Faraone, queste due asserzioni si con-
giungono. La volontà di collegare l'Esodo alla creazione è leg-
gibile nel modo stesso di comporre il racconto, almeno nella
fonte sacerdotale: la seconda azione, che separa le acque dalle
acque, partecipa della prima. Il narratore, da parte sua, è quasi a
eguale distanza dalle due, in ogni caso non è testimone di nes-
suna. Ma l'audacia di raccontare la creazione fonda quella di
raccontare l'Esodo. Ciò vale per tutte le figure bibliche: tutte
sono appoggiate sull'inizio 19.
XVIII
Introduzione
"Rapporto di ciò che passa a ciò che non passa" potrebbe es-
sere, ma non è un altro modo di dire il rapporto del mondo al
suo al di là. Ciò che passa è anche ciò che si passa, o si è
passato, passaggio il cui lato negativo è riempito dalla lettera
come segno non interscambiabile, irreversibile. Ciò che non
passa non è in un mondo parallelo: è il termine, la fine, il te/os
di ciò che si è passatoio.
È così che le figure intervengono nel racconto, di cui tratten-
gono il movimento: grazie a esse il raccontato non passa ma si
mantiene nel passare. ·Grazie all'elemento stabile della figura, il
nuovo non sarà solo conosciuto, ma riconosciuto, in quel "ri-
conoscimento" che è piacere [... ) "di più in più lo stesso" 11 .
20 Jbid.' 62.
21 In., L'un et /'autre Testament, 2. Accomplir les Écritures, cit., 227 (cfr.
supra, 227).
22 Jbid., 228 (cfr. supra, 228).
XIX
A. BERTULETII
xx
Introduzione
XXI
A. BERTULETII
XXII
Introduzione
bero potuto farlo tranne loro e si accorda che altri hanno com-
piuto questo passo in spirito 28 •
XXIII
A. BERTULETII
XXIV
Introduzione
xxv
A. BERTULETII
supra, XLI).
XXVI
Introduzione
Che Gesù sia il centro dei due Testamenti, ciò risulta dal Credo,
la professione di fede universale dei credenti, e il Credo la
prende dalle Scritture [.. .l. Il Credo assume una forma narrativa.
Non è dunque sufficiente situare Gesù solamente e subito tra la
natura umana e la natura divina ("egli è Dio e uomo"). Situare
Gesù non in termini di natura, ma per rapporto alla totalità della
storia ("sotto Ponzio Pilato") non è un'opzione, ma un'obbliga-
zione imposta al discorso della fede. Aggiungiamo che senza
questa condizione, l'affermazione della fede susciterebbe un'in-
terrogazione che sarebbe destinata a restare senza risposta 42 .
XXVII
A. BERTULETTI
Si può dire che Gesù è il Figlio di Dio solo se esiste una linea
affidabile che riempie ogni spazio-tempo, da tutti gli uomini a
Gesù e tra Gesù e tutti gli uomini. Il processo del senso depo-
sitato nelle Scritture predispone quel pleroma, il quale diviene
effettivo nella ripresa di Gesù. Per cogliere la singolarità di Gesù,
si deve esplicitare il senso di questa reciprocità, fino a scoprire
che il suo fondamento risiede nell'origine stessa.
Il regime del compimento è caratterizzato in un testo di
Beauchamp che conclude il saggio sulla figura, di cui ora è
possibile apprezzare l'interesse:
XXVIII
Introduzione
,, Jhid., 55.
XXIX
A. BERTULETTI
xxx
Introduzione
XXXI
A. BERTULEITI
XXXII
Introduzione
XXXIII
A. BERTULETII
XXXIV
PREMESSA ALL'EDIZIONE ITALIANA
xxxv
P. BEAUCHAMP
XXXVI
PREFAZIONE
XXXVII
P. BEAl'CHAMP
XXXVIII
Prefazione
XXXIX
P. BEAUCHAMP
XL
Prefazione
XLI
P. BEAUCHAMP
XLII
Prefazione
ahituati a vederle ad ogni passo nei nostri libri· (Colloquio con M. de Saci, in
B. PASCAL, Pensieri. opuscoli, lettere, Rusconi, Milano 1997', p. 313). Questa
pacifica opinione non rende interamente giustizia né alle letture di Pascal, né
alla sua novità. Al di là dell'inadeguatezza delle conoscenze di Pascal (do-
vuta al suo ritardo su Richard Simon), al di là del carattere ancora unilaterale
della sua teologia. siamo toccati da due fatti: egli ha colto la dottrina nella
necessità di comunicarla e l'ha vista comunicahile dal punto di vista del
rapporto dei due Testamenti.
- Audacemente Luca anticipa questa seconda fase con l'episodio in cui
il Risorto compie egli stesso, per due discepoli. la rilettura di Mosè. dei
Profeti e di tutte le Scritture (Le 24,27; cfr. v. 44s.). Questo procedimento
si accorda con quello che lo ha portato a tacere le apparizioni in Galilea:
risalire più indietro nel tempo, per andare più lontano nello spazio.
XLIII
P. BEAUCHAMP
XLIV
PROLOGO
Parola - Scrittura
CAPITOLO PRIMO
1. Il verbo e la carne
1.1. Raccontare
3
P. BEAUCHAMP
4
Questo si chiama parlare
5
P. BEAUCHAMP
6
Questo si chiama parlare
1 In ebraico, ·mare dei Giunchi· o delle ·Canne•; mar ·Rosso· nella LXX,
nei libri greci dell'Antico Testamento (lMac 4,9; Sap 10,18) e nel Nuovo
Testamento. Adottiamo la denominazione entrata nella memoria collettiva.
7
P. BEAUCHAMP
8
Questo si chiama parlare
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P. BEAUCHAMP
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Questo si chiama parlare
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P. BEAUCHAMP
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Questo si chiama parlare
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Questo si chiama parlare
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Questo si chiama parlare
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2. Corpo e corpo
Ogni parola è ascoltata o cerca ascolto. Se il corpo inizia,
inizia da un altro corpo, e se si risveglia in lui la riconoscenza, la
rivolge a qualcuno. Quanto al desiderio, le sue due modalità di
base, fame e sesso, sono i due grandi pilastri della relazione ad
altri, com·~ pure della parola. Insomma, il plurale - corpo e
corpo - è talmente essenziale a tutte queste tappe del nostro
percorso che anche il lettore meglio disposto ha potuto spazien-
tirsi di non averlo ancora incontrato. Ogni inizio (anche quello
della nostra favola) è distacco, erosione, astrazione. Se si può
trattare separatamente dell'individuo, della costellazione fami-
liare, della comunità culturale, dell'umanità, è perché c'è sepa-
razione. Fra queste entità ci sono soglie da varcare. Sono piene,
discontinue, e non possono comunicare senza crisi, ovvero
senza che sia messa in gioco la libertà, dispiegabile solo gio-
cando il suo più grande gioco: vita e morte. Vedremo del resto
con quale precisione sono tracciati nella Bibbia i paletti che
segnalano ciascuno di questi dislivelli, tutti manifestazioni pri-
vilegiate dell'origine. Il limite di cui abbiamo parlato (per un
superamento di nascita o di morte) è presente fra queste entità.
A ciascuna di queste soglie, la parola è la porta. L'umanità, come
l'uomo, ha un inizio e una fine di cui critica, in cuor suo, le
rappresentazioni.
Già in se stessa la nozione di origine esprime senza sforzo
l'alterità. Secondo l'etimologia l'assoluto è il distaccato. Per sua
stessa definizione l'origine si espande, ha natura genitiva ('ori-
18
Questo si chiama parlare
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P. BEAUCHAMP
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Questo si chiama parlare
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P. BEAUCHAMP
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Questo si chiama parlare
23
P. HEAUCHAMP
e ciò fa parte della sua leggerezza che libera il corpo. Tutto ciò
che svela questa leggerezza conforta, e il riso è questo conforto,
questa liberazione nel comprendere che la parola non contiene
nulla. È dire la sua relazione all'assoluto, definibile come ciò che
non può essere contenuto e come libero.
Una simile esperienza è ben capace di scatenare l'esplo-
sione della risata. A livello di linguaggio, il contrasto fra la
fragilità e gli innumerevoli rischi del supporto acustico da una
parte, e la gravità dell'atto di parola dall'altra, nel tradirsi pro-
voca un fremito di piacere al nostro sistema nervoso. Piacere,
perché errori, assonanze e dissonanze stabiliscono, mentre
operano la transazione dei significati, la solidità del senso for-
nendo la prova della sua indipendenza. Si allentano così le viti
con le quali crediamo di catturare il senso nei segni e rendiamo
le nostre lingue impastate e legnose, ogni volta appunto che il
senso è il soggetto del nostro discorso (si tratti di religione o di
morale, perfino i filosofi non ne sono indenni). Ma riusciremo a
penetrare più in profondità nel segreto del riso? Sarà utile, per
questo, sbarazzarci dell'idea che si tratti di un rifugio, una co-
perta gettata sulle tristezze del mondo. Il riso dice piuttosto ciò
che le tristezze nascondono, riconoscendo il teatro della rap-
presentazione. Non è il riso che nasconde il dolore; al contra-
rio, riesce a farlo confessare: il dolore nasconde qualcosa. Vi
troviamo un tornaconto: non tutto è sincero nelle lacrime, non
tutto è dramma nel grido. Il peso della tragedia fa reggere in
piedi e tiene unite famiglie intere. Mi vergogno di ridere
quando un uomo cade, eppure egli è più vero a terra, quando
tocca il luogo della sua nascita, dei suoi amori, della sua morte,
la sua finitezza. La pressione con cui teniamo a distanza la
nostra finitezza è così costante che se si arresta perdiamo l'e-
quilibrio.
24
Questo si chiama parlare
Cassuto, sono due varianti dello stesso nome e la finale -i nei nomi femminili
è corrente in ugaritico (A Commentary on the Book of Genesis, Jernsalem
1964 (1949], p. 276).
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Questo si chiama parlare
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P. BEAUCHAMP
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Questo si chiama parlare
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P. BEAUCHAMP
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Questo si chiama parlare
8 Nella forma attuale del racconto, il dono della Legge precede il Sinai:
Es 15,25. Poco dopo, una tappa è già chiamata Oreb (Es 17,6), altro nome del
Sinai. Poiché si tratta di una roccia, la tradizione rabbinica ha letto che una
roccia .. accompagnava· Israele (lCor 10,4). L'episodio del Sinai propriamente
detto non ha mantenuto il tema del legislatore provocato dalla ribellione
(cfr. solamente F..s 20,20).
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P. 13EAUCHAMP
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Questo si chiama parlare
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P. BEAUCHAMP
3. Nozze e compimento
Il racconto è orientato dal desiderio. Narra un progredire
verso un bene. L'abbiamo seguito come racconto di una genesi
dell'uomo, ma il racconto in sé è travaglio del desiderio, i vo-
caboli sono un cammino, il racconto è genesi dell'uomo. In
questo senso, il racconto appella al proprio compimento, av-
vento dell'uomo. La linea del corpo, seguita fin qui, ci conduce
ora alla tappa in cui l'essere umano lascia il suo inizio (padre e
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Questo si chiama parlare
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P. BEAlJCHAMP
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Questo si chiama parlare
lineatura nostra), e ciò che avviene perché "ci è data quasi in compenso la
facoltà di comprendere narrazioni altrui con quella pacata esattezza• (di cui
essi patiscono la mancanza), F. KAFKA, Diari, Mondadori, Milano 1959, voi.
1°, pp. 172-173.
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P. BEAUCHA.'VIP
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CAPITOLO SECONDO
La scrittura è da sempre
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P. BEAUCHANIP
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La scrittura è da sempre
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1. Verbo/ili e Scrittofili
Il discorso intellettuale non può fare del tutto a meno di ogni
agio: cede a comodità semplificanti, probabilmente necessarie
in ogni tappa della scoperta. Il procedimento delle compara-
zioni binarie, o dei parallelismi (antico esercizio di retorica) è
dunque difficile da evitare quando si tratta di orale e di scritto
negli stili e nelle culture. Gli scrittofili e i verbqfili (Claude Ha-
gège) scambiano i loro argomenti1. A poco a poco però la
percezione delle differenze si fa meno rigida e lascia posto al
riconoscimento della mutua attrazione fra i due poli. Sotto que-
sto aspetto, oggi si riconosce che parola e scrittura sono colle-
gate da implicazioni non solo molto complesse, ma soprattutto
instabili lungo i secoli, e più che mai dopo il nostro. Il termine
audiovisivo lo esprime oggi con chiarezza.
La parola è fatta per l'orecchio e per lo scorrimento lineare,
irreversibile, del tempo sul nastro sonoro, un suono dopo l'altro.
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La scrittura è da sempre
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La scrittura è da sempre
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naudi, Torino 1977, pp. 222: si tratta di •piccole piastre di pietra o di legno
incise a motivi astratti, raffiguranti il corpo dell'antenato mitico o i luoghi·
della sua leggenda. È il 'sostegno' della recitazione: •l'officiante, con la punta
del dito, segue le figure al ritmo di quanto va declamando".
58
La scrittura è da sempre
conta sulla dita o, più ricco, il segno della croce tracciato sul
corpo come supporto della confessione di fede trinitaria. Non si
sarebbe potuto recitare poemi interi in questo modo?
In una stessa epoca, tutto avanza con un passo concordato. I
filosofi, con Derrida, ci parlano di ..scrittura prima· 8 . Prima di
qualsiasi testo, già un testo; prima di ogni parola, un testo; prima
di ogni nascita, un testo. Sull'embrione vengono (a un livello,
precisiamolo, del tutto diverso dal programma genetico) a iscri-
versi le parole dei suoi genitori prima che egli stesso parli. Alla
nascita il suo corpo è già un testo: per questa tappa, gli psica-
nalisti scoprono la funzione decisiva del nome proprio 9 . Già
pronunciato sul corpo prima che esso appaia, il nome agisce
come una sorta di perno fra il registro della parola e quello della
scrittura. Parola fissata su un supporto fisico per non abbando-
narlo più, il nome deriva da una volontà storica che interviene
fuori sistema. Il corpo sfugge così alla similitudine dei corpi, e la
parola sfugge alla circolazione indifferente, allo scambio indefi-
nito dei vocaboli. Il nome esalta tutto il fluire delle parole che
hanno riguardato il bambino, le porta allo stato di testo, cioè di
documento mirato, affidabile, autorizzato e autorizzante a es-
sere. Così si giunge ad articolare Uomo e quest'uomo, con un'al-
leanza che non saprebbe esistere senza documento.
Ma il corpo umano non è marcato degli stessi segni se nasce
in un'epoca o in un'altra. Sotto quale stella, si dice, nascerà?
Questa domanda situa ogni neonato nell'attimo che è il suo
fra tutti i secoli e, in questo attimo, la parola umana ha avuto
la sua forma propria. Ora, per misurare la specificità di questa
forma lungo la scala dei secoli, non abbiamo altro mezzo che lo
scritto, per quanto insufficiente possa essere. L'innovazione di
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La scrittura è da sempre
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peuples, Armand Colin, 1963; F. VIAN, Les Origines de Thèbes. Cadmos et les
Spartes (Études et Commentaires, 48), Klincksieck, 1963;). BÉRARD, Écriture
préalphabétique et alphabétique en Italie et dans !es pays égéens, ·Minos.
Investigaciones y materiales para el estudio de los textos paleocretenses· 2
(1962) 65-83. Erodoto (V, 58) è il primo ad aver attribuito l'alfabeto a Cadmo
il Fenicio. In seguito Plinio il Vecchio, Lucano (si creditur), Tacito (quippe
fama est - Cadmo l'aveva ricevuto dall'Egitto). Ma Omero, Esiodo, Eschilo,
Pindaro ignorano un Cadmo fenicio: Omero non parla che una volta sola
della scrittura (Iliade VI, 168-169) e Eschilo la fa risalire a Prometeo. Vedi).
DE ROMILLY, le role de ['Écriture dans la Grèce ancienne, •Corps Écrit• 1 (1982)
26-37.
13 Hist. Nat., VII, 57.
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La scrittura è da sempre
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19 Quindici righe; fine del VII sec. a.C.: A. LEMAIRE, Inscriptions hébrai-
ques, I, Les Ostraca, Cerf, Paris 1977.
t.
20 Ostrakon di Lakish, n. 3, di ventuno righe. A. LEMAIRE, cit., p. 101.
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29 Movimento in senso inverso: due preti nestoriani, alla fine del XIII
secolo, originari di Pechino o dintorni, partono per Gerusalemme; uno di
loro è inviato in missione dalla Persia fino a Parigi e in Guascogna (Opere
postume di P. PELuOT, Recherches sur /es chrétiens d'Asie Centrale et d'Ex-
trème-Orient, Imprimerie nationale, 1973, p. 237-289).
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- Scrivere? ... ·Certamente, qui c'è un atto- 43. Scrivere: •... dare
il posto di uno spazio impossibile- 44 . ·Non un'inclinazione .. ,
carissima Felice, non un'inclinazione, ma io stesso- 45, risponde
Kafka a una fidanzata che gli aveva detto di riconoscere la sua
·inclinazione per la letteratura•.
- ·Tutte le lingue sono legate da un patto di famiglia ... la
libertà, la particolarità intima di ciascuna conferma questa al-
leanza·46. Come le lingue, anche le letterature del mondo.
- Non certo in ogni opera, ma l'avvenire dell'uomo non può
non disegnarsi all'interno dello spazio letterario. In altri termini,
I'·impossibile· vi si costruisce e vi si prefigura.
Non c'è bisogno qui di rivendicazione, né di modestia, poi-
ché questo appello e questo credito sono qui e bastano a so-
stenere l'impresa delle lettere. Sono parte costitutiva della fede
nell'uomo.
La letteratura è cambiata da quando, nell'Abbrege de l'Art
Poetique François, Ronsard chiamava le muse ·figlie di Giove,
cioè di Dio- 47 . È passato molto tempo da allora, ma, a nostro
avviso, unica è l'autorità con cui si scrive ancor oggi nei libri la
risposta alla domanda se è possibile, si o no, all'uomo credere e
sperare nel suo avvenire e nel senso della sua vita.
Da parte nostra aggiungiamo una nuova affermazione che
legittima lo sviluppo attuale: essere così disposti verso la lette-
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La scrittura è da sempre
cade
la piuma
ritmica sospensione del sinistro 'H.
mai
seppur lanciato in circostanze eterne
dal fondo d'un naufragio"' 2
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La scrittura è da sempre
versalis.
'iH Ibid. Vedi anche]. DE RoMILLY, Tra&edia &reca 0970), Il Mulino, Bo-
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La scrittura è da sempre
jACOTTET, Lorns MARTINEZ e J.-CL. SCHNEIDER, ·La Revue des Belles-Lettres· 104
(1981) p. 204. ·Quando non hanno più nulla da dire, le labbra umane
rimangono atteggiate sull'ultima parola pronunciata ... • (n.d.t.).
M Tristia, cit.. ·Il tempo mi incide come una moneta e mi manca già
una parte di me stesso• (n.d.t.).
91
P. BEAUCHAMP
61 Ibid., p. 75.
62 O. MANDEL"STAM, De la nature du mot (1928), ·Action poétique. 63
0975) 134.
63 Ibid., p. 117.
64 ·Poèmes non publiés•, Tristia, p. 265.
65 Ibid., p. 271.
66 ·Poèmes•, Tristia, p. 159-161. ·Ahimè, ti banno spezzato la schiena,
mio povero bel secolo ... sorridendo agli angeli, fragile e crudele come una
belva, agile un tempo, guardi alle tue spalle le orme dei tuoi passi· (n.d.t.).
67 Ibid. ·Rinsaldare con il proprio sangue le vertebre di due secoli·
(n.d.t.).
92
La scrittura è da sempre
Questa idea non lo conduce verso i rifugi, anche se, nel suo
immaginario rutilante di immagini cristiane, risplendono visioni
di chiesa: ·Chi innalzerà la parola per mostrarla al tempo come il
prete innalza l'eucaristia, sarà un secondo Gesù» 68 . Più in se-
greto, indizi fievoli ma persistenti tradiscono quanto lo osses-
sioni questa articolazione delle due vertebre, questo legame così
fragile, fontanella dove si toccano la morte e la vita. Due verte-
bre, tema dei due Testamenti che da poeta egli rileva anche in
Villon. Nadezda Mandel'stam, sua moglie, evoca sulla tela di
Rembrandt al museo dell'Ermitage la macchia rossa che parte
dal mantello del padre per illuminare il figliol prodigo e tutto
all'intorno: essa vi ritrova, in un testo dai meandri straordinari, il
legame che collega Osip Mandel'stam alla •primigenia fusione
del mondo cristiano-giudaico., prima della susseguente dia-
spora 69 .
Il poema attraversa l'odio. Il ·secolo lupo» si prepara a ucci-
dere
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La scrittura è da sempre
così contraria" (663). Così sono talv.:olta troppe due parole. Gli
opposti richiedono una stessa linea d'incontro come loro neces-
saria per separare ciò che non può essere riconciliato, per di-
stinguere ciò che deve essere unito. JHWH è Dio, Dio come unico,
ed è l'unico che viene in questo mondo, attirato da lui, che
segna il momento della riconoscenza. L'amore e la morte non
scelgono altro luogo di coincidenza che quello che unisce Dio e
l'uomo, rappresentato da Giobbe alla fine della sua avanzata
adamitica. Il momento della riconoscenza ha luogo quando,
sull'amore di un uomo, si dirà: è di Dio, quando sulla morte
di un uomo, si dirà è l'amore di Dio, quando un uomo, preso su
di sé l'abit9 dell'odio che accusa gli uomini, lo cambierà in
gloria dell'amore di Dio che perdona e non ha mai accusato.
Pascal ha visto il carattere insuperabile di questo momento:
101
P. BEAUCHAMP
102
Compiere le scritture
CAPITOLO TERZO
105
P. BEAUCHAMP
1 ·Dormii Adam utfiat Eva; moritur Christus utfiat Ecc/esia ... ., SANT'A-
GOSTJNo, Tractatus injoannis Evangelium, IX, 10.
106
L'uomo, la donna, il serpente
mar Rosso diviene il passaggio della morte. Nei due casi l'iper-
bole giunge al medesimo termine, limite assoluto dove si veri-
fica definitivamente il simbolo. Ma questo non può restare una
tesi e conserva la sua verità solo se è sostenuto da una lettura
ogni volta nuova, che citi nuovi testimoni.
Così l'Antico Testamento fornisce la sua deposizione per il
racconto della caduta (Gn 3). Nelle tradizioni dell'itinerario del
deserto 2 si legge chiaramente l'opposizione dei verbi tentare e
credere, come la coppia nutrimento (acqua, manna, carne) e
tentazione, e il tema della Legge. Questo è precisamente il qua-
dro del nostro testo: è noto che la storia della prima coppia ha
universalizzato l'esperienza singolare di Israelej. Nella Sapienza
del Salomone greco 4 l'antico racconto è demitologizzato. Sap
1,14 epura discretamente ma confermezza l'immagine del ser-
pente: ·Le creature del mondo sono sane, in esse non c'è veleno
di morte• (Sap 1,14). Sap 2,24 precisa: ·La morte è entrata nel
mondo per invidia del diavolo•. Imputare la gelosia allo spirito
di menzogna invece che a Dio sarà per noi la chiave del testo.
Sappiamo che proprio su questo stesso punto esso conserva
qualche ambiguità, traccia della sua lontananza (Gn 3,22).
Solo il Vangelo toglie i sigilli.
Si verifica qui il principio del ritorno all'inizio: non c'è novità
senza che il più antico sia rivisitato. Le generazioni contempo-
ranee a questa novità fanno a Gn 2-3 un'eco che l'Antico Testa-
mento non gli aveva mai riservato'. Non solo la novità del Van-
gelo in se stessa illumina per il lettore cristiano l'antico testo, ma
107
P. BEAUCHAMP
della figura del re: vera immagine di Dio ma anche trappola per Israele,
fonte di conoscenza divina ma peccatore. C'è anche la speranza posta nella
stirpe della sposa del re ( Gn 3, 15). Cfr. H. CAZELLES, Il Messia della Bibbia,
Boria, Roma 1981, pp. 76-78.
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L'uomo, la donna, il serpente
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L'uomo, la donna, il selpente
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P. BEAUCHAMP
PRIMA PARTE
"Questa volta, costei..·"
12 L'h(fil di nwh (Gn 2,15) è di uso corrente per l'azione di Dio che
stabilisce il suo popolo nella Terra promessa pacificata: Dt 3,20; 12,10; 25,19;
Gs 1,13.15; 21,44; 22,4; 23,1... Nel medesimo contesto, ·prendere• (Dt 4,20;
30,4s; Gs 24,3) è piuttosto seguito da .far uscire" o ,far rientrare".
0
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L'uomo, la donna, il serpente
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P. HEAUCHA..\11'
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L'uomo, la donna, il serpente
11 ')
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L'uomo, la donna, il se!pente
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L'uomo, la donna, il serpente
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P. BEAUCHAMP
apre alla vita se con il suo sparire dalla memoria si libera l'av-
vento del desiderio, ormai privo delle rappresentazioni che lo
convocavano, e nudo. Questa determinazione della fine viene
dall'origine ed è per questo che come •JHWH Dio conduceva· i
viventi verso l'Adam, •JHWH Dio fece cadere• su di lui il sonno
(2,21).
Il torpore, notte terminale, è non-conoscenza dell'inizio.
Nelle rappresentazioni l'uomo è creato a partire dal mondo
fatto di terra. Nella realtà l'uomo (e vedremo che si tratta del-
l'umanità) è creato a partire da se stesso. Il testo insegna che è
creato su una linea di divisione fra se stesso e se stesso. La
creazione per separazione, che sarà un principio essenziale
del settenario sacerdotale, è all'opera fin dallo jahwista, in ma-
niera ancor più radicale. Ma questo punto di divisione, limite
assoluto, non è conosciuto dall'uomo. Il limite divide l'Adam
stesso, ma senza che egli lo sappia. E da questo limite scono-
sciuto esce la vita. C'è non-conoscenza ·del bene e del male· che
non è confusione dei due, ma significa non avere la padronanza
sul bene e sul male.
Dalla non-conoscenza dell'Adam deriva che egli non cono-
sce la nascita della donna e dunque non ha padronanza su di lei.
Ma questo punto terminale è anche per lui nascita, seconda
nascita. Egli diviene in effetti radicalmente altro poiché, avendo
avuto nella terra il suo inizio, è fatto egli stesso terra che sarà
l'inizio di un essere nuovo. Così l'uomo (e l'umanità) nasce
facendo nascere.
L'operazione del racconto - 'Io sono 17 stato ... ' - si conclude
con una caduta dell'ausiliare e una liberazione dei due altri
elementi: l'io e l'essere. Questo avviene più che mai nel linguag-
gio. Uno stesso filo conduttore collega l'energia negativa dell'in-
terdetto, la funzione del no nell'atto di parlare, la somma dei no
successivi, la notte del secondo inizio, l'operazione che divide
l'Adam. La somma dei no è l'ingiunzione del desiderio, che si
bene (n.d.t.).
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L'uomo, la donna, il serpente
Questa (volta)
Osso delle mie ossa e carne della mia carne
Costei
\.sarà chiamata
\. 'iSsah \,
perché
da 'is/'
/' e' /stata
'
tratta
costei!
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SECONDA PARTE
Il serpente ermeneuta
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P. BEAUCHAMP
22 Scripsit boe Moyses, scripsit et abiit ... : ·Così scrisse Mosè, così scrisse e
poi se ne andò, passò da questo mondo a te, ed ora non l'ho davanti a me.
Se ci fosse, lo fermerei, lo interrogherei. .. •, SANT'AGoSTINO, Confessioni, Libro
XI, III, 5.
2·1 L'arte mesopotamica conosce il motivo dei due serpenti ritti, che
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L'uomo, la donna, il se11Jente
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P. BEAUCHAMP
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L'uomo, la donna, il serpente
del I secolo d.C. o inizio del II) - § 12-17 - attribuisce la tentazione dell'uomo
alla vendetta del demonio, decaduto per aver rifiutato l'omaggio a Adamo
immagine di Dio: è la gelosia. Il tema sarà diffuso dalla Haggadà.
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P. BEAUCHAMP
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L'uomo, la donna, il serpente
·non sono ciò che sono· diJago 27 .Jago però non è l'unico aiuto
alla gelosia: Otello ne ha trovato un altro che lo tocca ben più in
profondità. Il padre stesso di Desdemona, ferito dall'abbandono
della figlia innamorata, in poche parole insinua il germe del
sospetto che suo genero raccoglierà: ·Ha ingannato suo padre;
potrà ingannare anche te• 28 . La gelosia si trasmette qui su due
generazioni. Padre del sospetto di Otello, padre della morte di
sua figlia, il vecchio si vendica d'aver perso la figlia offrendo al
genero un motivo per ucciderla. Ed è la sua ultima parola ... La
gelosia si situa precisamente nel luogo in cui si dona la vita,
dove passa per trasmissione. È là come per designare il suo
contrario, il 'credere' in cui ha origine la vita.
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P. BEAUCHAMP
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L'uomo, la donna, il serpente
che Dio ha messo l'uomo nel giardino e gli ha dato tutti gli
alberi, ha qualche buona ragione per non dirlo. Passa sotto
silenzio i doni di Dio.
Il dono, sempre anteriore alla legge, impedisce che nel co-
mandamento ci sia completa oscurità e non-conoscenza. Con la
scusa di esaltare la nostra differenza rispetto all'assoluto esalte-
remmo noi stessi se ci credessimo capaci di superare tale osta-
colo. L'oscurità però è solo incompleta, riceviamo pure una
qualche conoscenza dell'amore. Ma attraverso i precedenti
doni di Dio la conoscenza si rivolge a ciò che Dio vuole. Tutti
i frutti "seducenti da vedere e buoni da mangiare· (2,9) condivi-
dono queste proprietà con il frutto che la donna vedrà, ma ne
differiscono in quanto non danno la perfetta conoscenza. Con i
doni di questo passato la volontà di Dio è conosciuta solo in
maniera imperfetta e questa imperfezione si trasforma in desi-
derio di ciò che Dio vuole per il futuro. Non era possibile che i
primi esseri umani non desiderassero più del dono ricevuto:
avrebbero dovuto cessare di essere umani. Non era loro possi-
bile non andare oltre i segni, dato che i segni sono quel che
sono e l'uomo è quel che è, quale Dio lo ha fatto. E non era
nemmeno possibile che questo dono desiderato fosse altra cosa
che Dio nella sua pienezza di conoscenza e di vita. Era loro
impossibile, come era impossibile a Dio rivelare la totalità del
suo amore. Tutto il loro desiderio non poteva che andare verso
il centro del giardino, verso l'Uno.
Era loro impossibile non desiderare più di quanto avevano
ricevuto perché l'essenza del desiderio è costituita così, e il
desiderio fa l'uomo.
Lo statuto di un dono anteriore al comandamento che rivela
imperfettamente l'amore e, per questo scarto di conoscenza,
permette la vibrazione del desiderio, è lo statuto di ciò che
chiamiamo il segno. Il segno, come la legge, è irriducibile alla
spiegazione, e tuttavia fa spazio alla conoscenza. Deve essere
interpretato ed è necessario per l'interpretazione della legge.
Con il dono Dio ha significato la sua grazia, la distanza fra la
grazia e il dono è stata messa in atto dalla legge. Se il segno
contenesse tutta la verità non ci sarebbe posto per il momento
143
P. BEAUCHAMP
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L'uomo, la donna, il serpente
dele, sincero, paziente, forte, attira ogni volta in forza del fascino
proprio a ciascuna virtù. Queste virtù si dispiegano nella molte-
plicità dei segni e figure. L'atto di obbedienza, al contrario, spro-
fonda nell'assenza di immagine e risponde all'unicità dell'ori-
gine. Si ripete lungo il racconto, ma la sua funzione non è
ripetitiva, poiché consiste nel far sopportare al soggetto la ten-
sione dell'imprevedibile: il soggetto sa che deve essere buono,
prudente, generoso ... ma non sa se deve fare questo o quello 29 .
Da questo punto di vista è nella notte. Proprio nell'assenza di
immagine in realtà l'uomo si prova immagine di Dio, e non
invece conformandosi a ciascuna delle immagini in cui, rispetti-
vamente, brillano le virtù.
La seconda ragione per cui parliamo qui di obbedienza è
molto semplice. L'interdetta enunciato in Gn 2 non deriva da
un articolo della legge morale del decalogo. Tutto qui riveste la
singolarità di una relazione, di un luogo e di un momento; non è
possibile tradurlo in termini che valgano sempre per tutti gli
uomini. Senza dubbio tutti i comandamenti, compresi quelli
dei diversi precetti morali, richiedono obbedienza. Ma il coman-
damento il cui solo supporto è che bisogna obbedire a colui che
parla occupa un posto a parte. Esso è come il centro del giar-
dino, con il suo albero (o i suoi due alberi) in mezzo a tutti gli
alberi, anch'essi ·belli da vedere e buoni da mangiare•. Deve
ogni volta essere enunciato fra un Io e un Tu ben individuati.
In questo senso appartiene al racconto: l'unicità mantenuta dal
racconto diventa il fondamento della generalità delle leggi. Que-
sto accoppiamento dell'unicità e dell'universalità si ritroverà nel
decalogo. All'interdetto dell'Eden che separa un solo punto
nello spazio corrisponde !'interdetto del sabato che separa un
solo giorno nel tempo della settimana: anch'esso, unico per
145
P. HEAUCHAMP
questo nel decalogo, non ha valore per tutti gli uomini ma solo
per quelli che mette da parte. Non è pronunciato da Elohim, ma
dallo JHWH dell'uscita dall'Egitto e del Sinai, l'Elohim di un parti-
colare rappresentante dell'umanità nel corso della sua storia.
Così le leggi morali si basano sull'immagine delle virtù mol-
teplici e particolari, mentre l'obbedienza nella sua purezza con-
viene all'uomo immagine del Dio unico e senza immagine. Essa è
reale solo in quanto situata nel racconto in cui l'unicità di questo
Dio compie il suo cammino attraverso gli uomini. L'obbedienza
risalta così sull'ambiguità dell'essere-simile e lo salva dall'essere
doppio. Bisogna riconoscere che, a dispetto della disparità ori-
ginaria dei segmenti del racconto (a dispetto quindi dei suoi
inizi), l'unificazione dei grandi temi ha qui il sopravvento. Dalla
domanda 'l'uomo è come l'animale?' a un'altra: 'l'uomo è come
Dio?', il passaggio è pacifico. L'uomo conquista la propria iden-
tità grazie a un dibattito con la sua immagine. Non ce n'è altra,
all'infuori di quella dell'animale o quella di Dio. L'immagine di
Dio vissuta nella gelosia rende l'uomo immagine dell'animale.
Gn 1 a questo riguardo non esula da queste categorie: l'uomo è
immagine di Dio ·per dominare su tutti i viventi ... •.
Possiamo confermarlo: il serpente è detto astuto ma questo
termine ( 'arnm) significa anche nudo. L'omonimia è forse solo
apparente: non c'è una connivenza fra due sensi? L'astuto non si
lascia prendere, e non si prende neanche il serpente poiché è
nudo, non ha piume, né pelo, né zampe. Il suo morso invece vi
prende. Il gioco di parole permette però di introdurre l'episodio
della tentazione. ·L'uomo e la donna erano nudi· ( 'arnmmfm),
ma senza vergogna, abbiamo letto in 2,25. Subito dopo (3, 1)
entra in scena il serpente nudo, 'an1m. C'è un rapporto di im-
magine fra l'umano e il serpente, ma questa immagine non è
conosciuta. Dopo la colpa, invece di conoscere Dio, l'uomo e la
donna conoscono... di essere nudi, ma questa conoscenza li
avvicina solo al serpente che sa. Poiché hanno voluto essere
come Dio, sono divenuti 'arnmmfm come il serpente. Ora
hanno conosciuto (nel senso, come si dice, biblico) il serpente
e hanno toccato in lui la loro immagine come termine della loro
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L'uomo, la donna, il setpente
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P. BEAUCHAMP
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P. REAUCHAMP
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L'uomo, la donna, il serpente
libera dalle sue reti. Quando l'uno è così precipitato verso l'altro,
la bellezza diviene squallore, la vergogna dell'uno è cancellata
dall'altro, la somiglianza scompare per far posto alla comunione.
Toccare è anche mangiare ...
Questo aspetto di fluidità deve però essere compensato, al-
trimenti la circolazione si perderebbe in insignificanza. La com-
pensazione è arrecata dal marchio del nome unico. In un tempo
e un luogo dati, e solo allora, è apparsa l'accelerazione del
movimento dei segni e simboli verso il loro centro invisibile. Il
nome di Gesù è il marchio associato a questo centro: nessun
altro uomo se non lui è stato chiamato il serpente che guarisce.
A condizione cli essere assicurata sulla roccia di un Nome, la
fluidità dei simboli non differisce dall'esercizio libero del lin-
guaggio. Si può anche dire che è il linguaggio.
Naturalmente, per l'uomo d'oggi, parlar.franco ha un signi-
ficato molto diverso. Egli intende con ciò semplicemente il di-
ritto di protestare contro le sentenze di JH\VH e contro !'interdetto
stesso. Questa protesta è salutare, nella misura in cui rifiuta
prima cli tutto la chiusura di un testo che resta mitico e, in
secondo luogo, un discorso derivato da una degenerazione
del testo nelle memorie. Questo cedimento però è anche asso-
lutamente inevitabile: solo una ripresa costante lo può contra-
stare. È naturale che il testo sia ricevuto altrimenti che come una
sfida e piuttosto come un contenuto allo stato bruto, un non-
testo. Tutto porta a questa inerzia.
I lettori avveduti azzardano una risposta più sottile, o anche
solamente una serie di domande. Per scegliere un esempio fra
mille, H.R. Jauss si chiede con finezza ma anche con insistenza
quale sia lo statuto di questa conoscenza illegittimamente con-
quistata da Adamo ed Eva5 2 . Non lo seguiamo quando stacca
151
P. BEAUCHAMP
sarehhe stato quello di non voler essere come Dio" (ibid.). Su questo punto,
vedi sopra a p. 143. La stessa lettura di jauss e Bloch in M. BAL, Femmes
imaginaires. L'Ancien testament au risque d'une narratologie critique,
Utrecht-Paris 1986, pp. 214-245. Evidentemente, si ottengono risultati diffe-
renti a secondo che si situi Gn 2-3 nella coerenza dell'insieme hihlico o nella
storia della sua diffusione in ambiente sia giudaico sia cristiano. La seconda
linea di ricerca rimane necessaria.
152
CAPITOLO QUARTO
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I'. BEAlJCHAMP
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Il Cantico dei Cantici
<li R.J. Trn·R:--:Av, Quand Dieu parie aux hommes le langages de ramour.
Études sur le Cantique des Cantiques, Gabalcla, Paris 1982.
' Il ·nome· paragonato a un profumo: Qo 7,1.
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I'. BEAlJCHAMP
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Il Cantico dei Cantici
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I'. BEAlJCHAMP
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Il Cantico dei Cantici
9 MEsrnoN:-;1c, cit., p. 21: 'Il Canto dei Canti è l'organizzazione del suo
stesso racconto•.
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I'. BEAUCHAMP
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Il Cantico dei Cantici
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P. BEA! ;cHAMP
Temi
PROLOGO - CT 1, 1-4
L'amata desidera e loda l'amore del Re che la fa entrare nella
sua camera: le fanciulle amano l'amato, attratte dal suo Nome.
1,5-2,7
L'amata ha la pelle nera perché è stata mandata fuori dai suoi
fratelli, figli di sua madre, a custodire le vigne. Ella chiede al
pastore amato dove sarà a mezzogiorno. Ritorno del tema
regale. I due si lodano l'un l'altra, e cantano il loro amore.
Ella racconta che lui l'ha fatta rientrare nella cella del vino per
l'amore. Ella è malata d'amore e lui, adesso, dorme. Non
svegliate l'amore, figlie di Gerusalemme!
2,8-17
Parla da sola, racconta che l'amato è venuto di corsa da lei per
incitarla a uscire. Una voce chiama alla caccia alle volpi pre-
datrici, mentre loro due sono appena insieme, l'uno dell'altra.
Lo spinge a fuggire prima del mattino, di corsa sulle montagne.
3,1-5
Ella racconta che, al risveglio, non ha trovato l'amato; lo
cerca, chiede alle guardie nella città e, superate le guardie,
lo trova. Lo fa entrare in casa di sua madre e adesso egli
dorme. Non svegliate l'amore, figlie di Gerusalemme!
3,6-11
Chi sale dal deserto? Il corteo regale di Salomone, che porta
la corona dello sposo, impostagli da sua madre.
4,1-5,1
Sei bella! L'amato loda la bellezza dell'amata (4,1-5), da cui
andrà prima del mattino. Chiamandola 'sorella fidanzata', la
invita a venire dal Libano e la paragona a un giardino. Ella lo
fa entrare nel suo giardino ed egli entra. Gli invitati sono
pregati di gioire del banchetto di nozze (5,ls).
162
Il Cantico dei Cantici
5,2-8
Sul giaciglio dove il suo cuore veglia, la notte, l'amata sente
l'amato che insiste per entrare, hagnato di rugiada. Poiché è
svestita, tarda a rispondere. Egli picchia alla porta ed ella si
slancia. Ma lui è scomparso. Lo cerca, chiede alle guardie,
che la maltrattano. Affida un messaggio per lui alle figlie di
Gerusalemme, se lo trovano: è malata d'amore.
5,9-6,3
Le figlie di Gerusalemme chiedono la descrizione dell'amato,
lei la fornisce (5,10-16). Chiedono dove sia. Risponde che
adesso coglie i gigli nel suo giardino e (come se durante la
descrizione fosse tornato) essi sono l'uno dell'altra.
6,4-10
Sei bella! L'amato loda la hellezza dell'amata, hella come Ge-
rusalemme. Paragonata a tutte le donne del suo corteo regale,
ella è unica. Fra le figlie di sua madre, è unica. Chi è costei?
6,11-7,11
L'amata è uscita nel giardino. Il coro la richiama e la descrive
per l'amato come una figlia di principe destinata a un re.
Dopo, egli dice il suo desiderio di lei, e lei si dice sua.
7,12-8,4
L'amata invita l'amato a andare nei villaggi per la notte, e a
uscire il mattino nelle vigne per l'amore. Perché non sei mio
fratello! Ma ti farò entrare in casa di mia madre per l'amore. E
adesso egli dorme: figlie di Gerusalemme, non svegliate l'a-
more.
~EPILOGO - 8,5-7
Chi sale dal deserto? Lei e lui. Lei dice che lo ha svegliato, in
casa di sua madre (di lui). Sigilla con me l'alleanza. L'amore è
più forte della morte.
ÀGG!l:'VTE - 8,8-14
I fratelli vogliono custodire la loro sorella, piccola. Ella è
cresciuta e dice a chi è destinata.
- Salomone fa custodire la sua vigna ma "la mia vigna è
davanti a me·., dice l'amato.
L'amata chiede all'amato di correre sulle montagne.
163
I'. BEAUCJ-IAMP
Il È il soggetto di
G. CAsAus, H. Grn.Lw!TZER, R. DE Pt'HY, Un cbant d'a-
mour insolite. Le Cantique des Cantiques, Desclée De Brouwer, Paris 1984.
Secondo noi la simbolica del Cantico è nuziale, molto più di quanto lo
ammettano certe pagine di questo studio.
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Il Cantico dei Cantici
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P. BEAUCHAMP
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Il Cantico dei Cantici
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P. BEAUCHAMP
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Il Cantico dei Cantici
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I'. HEACCHAMP
proco, rispetto. Essere 'al posto di', fuori dalla rivalità, è il ri-
spetto. L'amore della sposa non sarà nulla senza questo rina-
scere del legame con sua madre. La vita dell'amore risiede nella
pluralità delle sue dimensioni, incrociando lo spazio e il tempo:
il Cantico non canta solo l'amore di una coppia 14 . L'amata di-
viene una cosa sola con la madre al tempo stesso che con l'a-
mato, per mezzo della parola. L'insistenza sul ritorno al luogo
della madre ci conduce oltre la coppia e ci offre la chiave del
compimento.
La casa resta, ma la "camera dove mia madre mi ha conce-
pita• è una cosa che la memoria non può affatto ricostituire
come se fosse un restauro. Può solo renderle onore. Su questa
linea il ritorno all'inizio, contrariamente a ogni attesa, garantisce
che il desiderio si è liberato dalle rappresentazioni dell'inizio
che lo bloccavano. Uno spazio è creato per lo spirito. La camera
nuziale dove l'amante vuole introdurre l'amato è infine il suo
stesso corpo, ma come simbolo - cioè divenuto luogo-verità,
con il riserbo in cui si ri-ferisce al corpo scomparso della madre
e attraverso di lei, in de-ferenza, si riceve come pura vita. Il
legame dei due corpi successivi nell'uno originale sfocia nella
parola. L'unità dei due corpi nella loro separazione è anche
vittoria su una dualità che lasciava il passato fuori dal presente:
la parola si esercita in questa vittoria per mezzo del racconto.
Così Maria, visitata dallo Sposo, si affretta verso sua madre Eli-
sabetta (che avrebbe l'età giusta per esserlo) e, sotto l'impulso
dello Spirito, canta il racconto del compimento, dalle prime
generazioni fino al presente in cui una madre e una figlia par-
toriranno quasi insieme.
Nel frattempo l'ingresso marziale del re Salomone nella sua
maestà, seguito da una scorta armata (3,6-10), produce uno
spostamento: il nome proprio orienta di colpo la scena a un
riferimento o meglio a un emblema storico. Con una sovrappo-
sizione onirica, il lettore si chiederà se sta assistendo alle nozze
170
Il Cantico dei Cantici
a una fila di donne. Gesù presiede a fianco di sua madre (Venezia, Sacrestia
di Santa Maria della Salute).
171
P. BEAUCHAMP
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Il Cantico dei Cantici
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P. BEAUCHAMP
174
Il Cantico dei Cantici
5. Lo scioglimento
Nell'epilogo le formule cambiano (8,5-7), e alcuni vi ve-
dranno solo il piacere della variazione. La condensazione di
questi cambiamenti però, insieme al sopraggiungere di temi
175
P. flEAUCHAMP
in un solo altro caso (Sai 7, 15) questo senso, conosciuto in siriaco e in araho.
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Il Cantico dei Cantici
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P. BEAUCHAMP
sveglia sotto il melo dove sua madre l'ha concepito, poi gene-
rato. Gli dice così che egli è oggi per lei ciò che uno sposo
scomparso è stato per la madre di lui. Naturalmente, nell'or-
dine delle cose, il concepimento di lei (3,4) richiede un padre,
ma nell'ordine delle parole l'immagine della camera materna
non lo richiede. Qui, al contrario, il melo - richiamo di un
tema già decodificato in 2,3 - quasi lo impone. Il registro
dell'intimità, inoltre, è sostituito da quello dello spazio non
solo aperto, ma segnato. Un paesaggio divenuto racconto
con la lettura dei suoi luoghi-detti, come ogni terra, non è
certo più un deserto, è già un testo e il Cantico non si è fatto
scrupolo di applicare la toponimia della terra santa al corpo
dell'amata (cfr. 7,5s.). L'alhero non è dunque solamente un
luogo. ma un momento iscritto su un luogo, che attende il
suo lettore, quello che si lancerà verso il sole che l'omhra netta
segnala, come la lettera sulla pagina. L'alhero è fine ciel deserto
non solo per i suoi frutti e la sua freschezza, ma come punto
cardinale che orienta, come sigillo dell'unico. Impossibile fis-
sare il momento del concepimento senza commemorare e ono-
rare il padre che ha generato, il padre invisihile, scomparso.
Ordinandosi intorno a lui, il sogno della fase precedente fa
posto al risveglio, in piena luce.
Già la "corona,. evocava il padre, che ora si manifesta nel-
l'albero unico. Ogni volta in due tempi: il riferimento a una
corona scomparsa è la condizione perché la corona visihile
sia istituita come segno. Così per l'albero, che è unico solo
perché si è distinto dalla sua doppia apparizione. Nell'econo-
mia della coppia del Cantico è un elemento importante l'ampia
e maestosa invisibilità di un solo padre, di cui quello dello
sposo non è che un simbolo. Doppio passaggio per i medesimi
segni, doppia lettura del lihro, le cui lettere non sono mante-
nute che per permettere questa ripresa e lasciare accesso all'U-
nico.
178
Il Cantico dei Cantici
~
8,5 CHI è COSTEI CHE SALE DAI. DESERTO,
non svegliate! ...
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P. BEAUCHAMP
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Il Cantico dei Cantici
55. D. Lvs, cit., distingue fra un senso 'naturalista' inaccettabile (•ne ... que•) e
un senso "naturalista" sano. B. ARMINJON, La Cantate de l'Amour. Lecture
suivie du Cantique des Cantiques, Desclée De Brouwer, Paris 1983, distin-
gue l'interpretazione •profana e naturalista· da quella ·letteralista· (l'amore
con il matrimonio) e sceglie l'interpretazione allegorica.
19 È l'opinione di R.J. TouRNAY, cit.; un riassunto a opera di J. BRIÈRE:
·Come non essere scandalizzati, fin dalle prime righe del libro? Osea (. .. )
riceve l'ordine di prendere una prostituta come moglie e non dice di no. Fa
forse finta di non volere, in modo da aver almeno l'aria di non fare di buon
grado una cosa vergognosa? Affatto. Eccolo gioioso nell'eseguire, come un
uomo che ( ... ) rimpiangerebbe di aver a lungo atteso a un genere di vita
181
P. HEAUCHA~ll'
pieno cli pudore. ( ... ) ,\lo.'iL' i1wiato al Faraone risponde a Dio: 'trovane un
altro' <. .. ) Osea <...) non corruga atbtto la frontl'. non si vede il pallore
testimoniare la sua trislc'zza. né k SUL' guance arrossire per attestare la ver-
gogna: è partito pL'r il lupanarL·. lllL'ttl' nel suo letto una creatura cli vizio·
(Prologo al commL·ntario di Osea. Patrofo!!,ia latina 2'i. coli. 816-817). Sulla
soluzione adottata da (~l'rolamo. P. Jw. L 'Exéf!.èse de sai11t.fér6me d'après son
commentaire s11r fçaié. 1::tudes augustiniennes. 198'i. rileva ·imprecisione•
ovvero .. fluttuazione di accl'nt<»" ~: .. estremamente malagevole .. vedere se
ammette la .. realtù del matrimonio del profeta• (p. 261. n. 269 e pp. 284-
28'i). Teresa d"A,·ila. in mezzo a commentari datati, ragiona con più schiet-
tezza sul Cantico: certL' cose aHehhero potuto essere dette diversamente (se
pudieran decirpor otm <'Sfilo>' .. che Dio m'aiuti! ( ... )Siamo come gli esseri
velenosi che cambiano in ,·eleno d(i che mangiano'" LWl'ditaciones sohre los
Cantares. Ohras. Il. pag. 'i88).
11 .. La veri1;1 dell":1111ore proclamato dal Cantico dL'i Cantici non puèi
essere separata dal ·linguaggio del corpo"·· G1mx\:-.;1 l'.\01.0 II. Ossen•atore
Romano, 12 giugno 1984. citato da A.-M. l'ru.rnr11, E.xéf!.èse et Histoire. Tirer
du nouveau de là11cie11 . .. '.\ouvelle Revue Théologie .. 1 IO ( 1988) 662, n. 33.
182
Il Cantico dei Cantici
D. Lvs, cit., p. 51: .. JI senso naturale del testo ha una portata teologica· e ·non
c'è chiave alla pretesa allegoria del Cantico·. il senso è ·sessuale e sacro•, ma
non nel senso delle ierogamie pagane.
183
P. BEAUCHAMP
Chi ha mai udito nulla di simile, chi ha visto cose come queste?
Nasce forse un paese in un giorno,
un popolo è generato forse in una sola volta
che appena incinta Sion ha partorito i suoi figli? (Js 66,8).
intertestamentaires, Gallimard, Paris 1987, pp. 214-242: Inno E, III 6-9. Certi
tratti annunciano Ap 12,1-6.13-18.
184
Il Cantico dei Cantici
2' Os 1-3 è stato attribuito all'epoca della caduta del Regno del Nord
(722), ma ciò è vero solo per un nucleo. L'insieme ha subito l'influenza della
grande letteratura esilica (dopo il 587).
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Il (,{111/ico dei Cantici
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Il Cantico dei Cantici
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CAPITOLO QUINTO
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Il racconto fondatore
1. La novità di ieri
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Il racconto fondatore
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1961, pp. 81-156; Autour de l'Exode, Gabalda, Paris 1987, pp. 9-52: ·Le
Pentateuque comme Torah· - stato della questione e argomenti - sostenuti
da esempi - per uno studio delle istituzioni, p. 13.
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Il racconto fondatore
mente opposte: "a stento esiste fra loro [oggi] un terreno d'in-
contro• In un saggio purtroppo molto breve egli suggerisce la
coerenza, anteriore allo stadio scritto, di tre grandi cicli di rac-
conti, al livello del rapporto alle modalità elementari della vita
(Lebenselemente). Westermann ritiene così di -superare di una
misura le tendenze contrarie· 12 •
2. Forschungsmudigkeit
Nel 1938, nell'introduzione al suo saggio sull'Esateuco 13, von
Rad parlava di una •stasi nella ricerca· (Forscbungsmudigkeit) in
questo campo. Cinquant'anni dopo dovremmo dire la stessa
cosa o peggio, visti gli attacchi mossi da ogni parte a Noth e a
von Rad? Negli anni settanta, cento anni dopo la grande opera di
Wellhausen, la ricerca ne prendeva maggiormente le distanze.
Oggi non c'è una sola soluzione giudicata chiarificatrice da nu-
merosi esegeti di fama, sulla quale altri studiosi altrettanto degni
di credito non abbiano avanzato dubbi. Esponendo a grandi
linee questi dibattiti, poco conosciuti dai non addetti ai lavori,
possiamo constatare nelle posizioni tradizionali alcune brecce
che consentono nuove prospettive.
Innanzitutto non si prende realmente sul serio il personaggio
del redattore o, in altri termini, la tappa ultima e definitiva della
composizione del Pentateuco. Questa omissione si ripete del
resto quasi ogni volta che si tenta di scomporre un testo, breve
o molto lungo che sia, o un insieme di testi. Le risorse di inge-
gnosità dispensate in questa operazione si esauriscono troppo
spesso quando si tratta di comprendere e di valorizzare il mon-
taggio che essa tuttavia presuppone. Il problema antropologico
consiste nel come situare, nella storia delle culture, questa pra-
tica del montaggio che appare così strana ai nostri occhi. Quali
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I'. BEAl:CHAMI'
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Il racconto fòndatore
zione. Ora, invece cli ravvivare dal punto cli vista dello storico
questa possihilità poco sfruttata ma felicemente inaugurata da
Noth, Rendtorff studia, da un punto di vista molto più stretta-
mente letterario, non tanto una vera e propria ·forma' o un tema,
quanto piuttosto un formulario isolato: lo schema della pro-
messa fatta ai patriarchi. In realtà, la coerenza di un tema non
può essere apprezzata sulla base di semplici criteri di vocaho-
lario e di formule.
Cos'è la promessa? La domanda deriva da una semantica
generale, radicata in una antropologia. Ripartire da qui accre-
scerehhe la sensibilità all"attrazione reciproca esercitata neces-
sariamente dai concetti di heneclizione, promessa. figlio, terra,
discendenza, protezione dai nemici ... Se è vero che "un ciclo
non nasce da un"adclizione di piccole unità>· 1 ~, tuttavia nozioni
come queste non potevano nemmeno restare a lungo isolate.
Non si nega qui la vitalità dell"insieme, ma è inverosimile sup-
porre tanta povertà prima dello stato finale. La critica non può
sopravvivere che a condizione di rimediare a una carenza an-
tropologica troppo frequente. Oltre la realtà dei vocaholi e
quella delle tracce storiche, far sentire quella dell'uomo.
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Il racconto fondatore
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!'. BEAlJCHAMP
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Il raccollfo fondatore
Scripture, Philadelphia 1979. segna una data importante per la sua insistenza
sulla ·storia del canone'. Dello stesso, Il libro dell'Esodo: commentario cri-
tico-teologico. Piemme, Casale Monferrato 1995. po1ta una felice innova-
zione prendendo in considerazione le letture neotestamentarie del Penta-
teuco. Informazioni sui dibattiti recenti di ermeneutica in H.G. RFH:\Ttow.
Prohlems <!/ Bihlica/ Theology i11 the 2d" Centwy. Londra 1986.
22 Aveva scritto: ..... i libri sacri delle nazioni infedeli (. .. ) hanno pur tra
loro alcun che di comune. sì nello stile e sì nello spirito. Solo la Bibbia non si
rassomiglia a che altro, ed è. come a dire. un monumento staccato da tutti gli
altri", Genio del Cristianesimo, Milano 1879. voi. 1°. parte II. libro VI, cap. 1°.
Una volta aperta l'era dell'archeologia, questa convinzione non è più soste-
nibile.
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Il racconto fondatore
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2'' Esposizione dei dati in P. Rl'ls. I.a Notion d'al/ia11ce dans /'A.11cie11
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Il racconto .fbndatore
Dopo altri, egli ricorda non a torto che lo stile jahwista non è
unificato. Ci lascia tuttavia ancora in sospeso fra un marcato
agnosticismo sulla storia letteraria del Pentateuco e la dimostra-
zione di una coerenza ultima sulla quale egli stesso non si im-
pegna, ma che considera abbozzata da R. Alter 28 o da altri, fra
cui le critiche strutturaliste. Il suo libro - o il suo manifesto? -
attira l'attenzione per la franchezza con cui esprime il suo scon-
tento. L'esegesi aveva bisogno di maggior libertà. Come scrive
un critico estremamente esigente. a proposito della speranza di
poter giungere a descrivere con certezza le tappe della reda-
zione del Pentateuco: ..sulle piste dcl deserto, si può sognare
la 'Terra promessa'. Ma la 'Terra promessa', dopo un secolo di
ricerche, non è ancora all'orizzonte . 29 . Non sempre lo si era
detto abbastanza, i manuali anzi danno piuttosto !"impressione
contraria.
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Il racconto fondatore
·11 "... the generai accuracy of the hiographical details·, Tbe jews. Tbeir
History, Culture and Religion, New York 1950, p. 6. Paragonare con l'e-
stremo opposto in M. Norn, Storia d'Israele, Paideia, Brescia 1975, p. 154:
·Se è così non possediamo più, a parte quanto detto sopra, nessun fonda-
mento per delle affermazioni storicamente sicure circa il luogo, l'epoca, le
premesse e le circostanze della vita dei patriarchi come figure umane· (ibid.,
p. 108 dell'edizione tedesca, Gottingen 1950, immutato nell'edizione del
1960). La questione è quella del passaggio dallo scavo archeologico alla
veridicità di un testo. La frase di Albright non nega ma rischia di far dimen-
ticare che la nascita miracolosa di Isacco, che non è un •particolare biogra-
fico• ma l'essenziale, sfugge completamente all'ordine di conoscenza in cui
egli si situa. Lo stesso Alhright ammette del resto che •non si sa fino a che
punto dobbiamo adottare l'ordine tradizionale degli eventi• (ibid.) e racco-
manda l'opera di Noth (Tbe Biblica/ Period /rom Abraham to Ezra, New
York 1963, p. VIII).
·12 P. GmERT, La Langue Marche des patriarches, ·Lumière et Vie" 188
0988), ·Pour un bon usage de l'histoire des patriarches•, p. 40.
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I'. BEAl ;cHA."11'
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·1·1 M. BACJITIN, Esthétique de la création verbale (v. sopra, n. 1), con una
prefazione di T. Todorov.
1' Op. cit., p. 359.
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36 Ibid., p. 362.
37 Jbid., p. 348.
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Il racconto fondatore
il N. FRYE, The Great Code. The Bible and Literature, New York e Lon-
dra 1981; trad. fr. Le Grand Code. La Bible et la Littérature, Seui!, Paris 1984,
prefazione di T. Todorov; trad. it. Il grande Codice. La Bibbia e la letteratura,
Einaudi, Torino 1986.
•> Jbid., traci. it., p. 94.
' 6 Jbid., prefazione di Todorov alla trad. fr., p. 10.
'" Ibid., prefazione e.li Todorov alla trac.l. fr., p. 18.
·iH Jbid., trac.l. it., p. 117.
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Il racconto fondatore
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7.1. Situazione
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Il racconto fondatore
pressione di inserire una zona vuota fra le due finalità del dimo-
strare e dell'edificare. È necessario interrogarsi oggi su come si
'dimostrano' i dogmi: l'argomento detto di 'convenienza' non è
stato sempre essenziale in teologia? Ora, la convenienza (non
nel senso di decoro, ma di giusto e libero accordo interno fra i
dati) definisce abbastanza bene lo spazio in cui si muove l'ese-
gesi tipologica. Fra 'dimostrare' e 'edificare', partecipe dell'uno e
dell'altro, si situa l'atto di iniziare, cui è indispensabile l'esegesi
tipologica. Salvo a dire che la liturgia abbia solo la funzione di
intrattenere la virtù e la pietà.
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7.2. Principi
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Il racconto fondatore
300). È evidente che, per poterne parlare, bisogna pure che l'inconscio sia
emerso in superficie nel fenomeno. Lo stesso ). Guillet espone qualche
criterio di verifica. Attendiamo oggi che la 'semiologia' (il termine è di ori-
gine medica) investighi questi sintomi. Essa permetterebbe senza dubbio di
riformulare ciò che). Guillet esprime con una certa esitazione: ·Forse tuttavia
il criterio della coscienza avrebbe un senso· (ibid.).
<>.l S. FRECO, L'uomo Mosè e la religione monoteistica ( 1939), Boringhieri,
Torino 1977, p. 142.
64 P. W. ScHMIDT, Der l!rsprung der Gottesidee, dodici volumi a partire
dal 1916.
65 S. FREL:fl, cit., p. 130: progresso morale accompagnato da un senti-
mento di orgoglio: •per ogni progresso siffatto gli uomini si sentono orgo-
gliosi e innalzati•.
66 Ibid., p. 142.
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siano legate a certe forme dello sviluppo sociale. Ecco la difficoltà: ci pro-
curano ancora un godimento artistico e, per certi riguardi, servono di norma
(. .. ). Il fascino che le loro opere d'arte esercitano su di noi non è contrastato
dallo scarso progresso della società in cui sono fiorite. Ne è piuttosto il
risultato; è inseparabile dal pensiero che lo stato di immaturità sociale in
cui quest'arte è nata, in cui solo poteva nascere, non tornerà mai .. , Jntroduc-
tion générale à la critique de l'économie politique (1857), in <Euvres (La
Pléiade), t. I, Gallimard, Paris 1965, p. 266.
69 P. BEAt:CHAMP, L'Uno e l'altro Testamento. Saggio di lettura, cit., p. 199.
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CAPITOLO SESTO
Da Abramo a Giuseppe
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Da Abramo a Giuseppe
dans le cycle dejacoh. Gahalda, Paris 1975, t. I, pp. 48-64: per Kilian (1966).
l'episodio è stato ·<inserito dallo jahwista a questo punto per ragioni circo-
stanziali· (p. 54). Von Rad vi aveva visto una messa in pericolo, da parte di
Ahramo infedele, della promessa di una posterità. H.W. Wolff: Ahramo attira
sulle nazioni maledizione invece che benedizione, per sua colpa. È notevole
che queste due letture sorvolino su una dimensione antropologica: il ruolo
della donna nell'origine del popolo e nella promessa.
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...Isacco la fece entrare nella sua tenda. Aveva avuto Sara per
madre; si prese in moglie Rebecca e l'amò. Isacco trovò conforto
dopo la morte della madre (Gn 24,67).
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2. Elezione, gelosia
Gn 12, ma questa volta nei primi versetti, sarà ancora la
chiave di lettura per un altro tema narrativo, il rapporto tra fra-
telli. Si può parlare di un rapporto politico, poiché gli attori del
dramma rappresentano molto spesso nazioni o tribù. La forza
narrativa del tema consiste nel fatto che la benedizione di Dio è
(lo dicevamo sopra) di natura complessa. È data certo all'Unico,
ad Abramo, ma agisce solo all'interno di una relazione, notevol-
mente ricca: Abramo infatti è benedetto senza condizioni e gli
altri lo sono a condizione di benedire Abramo, sono maledetti
invece se lo disprezzano. Abramo è collegato così alla storia
universale, appena percorsa per undici capitoli. Il momento
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esce la parola creatrice, che libera sia dalla potenza della pri-
mogenitura sia dall'umiliazione della sterilità. Nascere dal Pa-
dre di tutto ciò che esiste non è possibile senza che siano
spostate le altre nascite. Senza dubbio la sposa egiziana di
Giuseppe è la più straniera che ci sia, ma la cesura che la
separa da lui non è più profonda di quella che recide la carne
del primo uomo. A Giuseppe spetta riconoscere in lei questa
specie di parentela. Come l'amato del Cantico, può chiamare
questa fidanzata ·sorella mia·" Ma non come Abramo (in semi-
figura, semi-menzogna) diceva di Sara che era sua sorella. Il
figlio di Israele e l'Egiziana si congiungono ·nel luogo dove ..
ciascuno di loro ·era stato concepito·" Ma ·chi è costui che sale
dal deserto? .. (Ct 3,6), ..chi è costei, come l'aurora?.. (Ct 6,10),
..chi è costei, appoggiata al suo amato? . (Ct 8,5). In questo
spazio vuotato, in questa fine della notte, le identità si dicono
di nuovo con altri nomi. L'appello prodigioso verso la nascita
era un appello a nascere insieme: tutti insieme, umanità im-
mersa nelle acque dell'inizio. Questo non può essere letto
senza che si ecceda dal testo - testo scritto solo allo scopo
di trovare la sua origine a lui sconosciuta.
Non è sempre necessario ricorrere a lunghe spiegazioni per
far sentire cosa le figure della Genesi apportano al mysterion
cristiano e ne ricevono. Le nascite nella sterilità designano un'o-
rigine più assoluta rispetto agli inizi della carne: è l'annuncio di
una nascita sorprendente come la creazione del mondo. Ele-
zione di un Unico perché, respinto dai suoi, serva da elemento
di unione fra i suoi e i Gentili. Sapienza che accompagna l'uomo
in tutto il suo cammino omicida per capovolgerne la direzione,
offrendogli il perdono (50,20). Manifestazione di Dio come Dio,
cioè come amore diverso dalle forme particolari, nuziale o fra-
terna, che attraversa. Infine movimento narrativo che, a questo
titolo, sposta tutte le figure verso l'oriente di altro da loro, altro
che è promessa. Movimento che va dalla creazione alla crea-
zione. L'atto di raccontare è abitato da questa attesa, che la fine
del Libro della Genesi mette nella penombra dell'attesa, e che il
Libro dell'Esodo coglierà in piena crisi.
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Da Abramo a Giuseppe
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Da Abramo a Giuseppe
prova che il tatto gli fornisce. Alcun rapporto tra questa imma-
gine di Isacco e quella ch'egli offriva un tempo, accompa-
gnando suo padre sulla montagna. Concordano più facilmente
l'impulsività ingorda di Esaù nell'episodio del piatto di lenticchie
e l'appetito di Isacco per la cacciagione. In opposizione all'uni-
verso di Rebecca-Giacobbe, l'universo di Isacco-Esaù è quello
della volontà che decide, dell'irrazionale paterno, anzi dell'arbi-
trario. È così che l'immaginazione si rappresenta l'imprevedibile
Dio dell'elezione, di fronte al Dio universale. Appunto, l'episo-
dio della benedizione rubata mette in scena il conflitto fra questi
due aspetti dcl Dio di Israele.
Il progetto della donna, Rebecca, ha per movente una pro-
testa contro l'ingiustizia, contro la scelta cieca dell'elezione.
Prima che Giacobbe sembri a sua madre il miglior eletto possi-
bile, il volto di questo adolescente che riflette le distese calme e
le superfici trasparenti è piuttosto la negazione anticipata di ogni
idea di elezione, idea rifiutata dalla bellezza che rende tutto
uguale. Prima di preferire uno dei suoi figli, Rebecca ha detto
innanzitutto: .. Perché?" (25,22hb) - Perché questi due si oppon-
gono? Checché ne sia delle sue preferenze, la sua macchina-
zione consiste nel mettere in scena questo straordinario fantoc-
cio che è i due fratelli insieme, Giacobbe per la realtà e Esaù per
l'apparenza. Ma l'apparenza è nulla, soprattutto quando inganna
non l'occhio, ma perfino l'orecchio ... sono Esaù, il tuo figlio
primogenito .., dice Giacobbe e lo ripete due volte (27,19.24).
Come nel caso di Sara che si dice sorella di Abramo, le parole
non possono volare a lungo al di sopra del suolo. Mordono
nella carne. L'universale che Giacobbe rappresenta qui non
può vincere la partita senza far propria la violenza di Esaù.
Giacobbe tranquillo accanto alle tende diventerà un Esaù vio-
lento e nomade, pur restando Giacobbe. Ciò che la madre vuole
e costruisce, è un essere-insieme dei due figli. Lei che li ha
generati nel medesimo giorno comprende tuttavia che un fra-
tricidio la priverebbe di ..due in un solo giorno., come dice
(27,45). In effetti, è stato appena posto proprio il germe di un
fratricidio: Esaù ucciso nella perdita della sua elezione, Gia-
cobbe ricercato dall'odio assassino dello spodestato. A tale infe-
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CAPITOLO SETTIMO
L'uscita dall'Egitto
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L'uscita dal! 'Egitto
Qenita Obab (Nm 10,29; Gdc 1,16; 4,11), il cui gruppo faciliterà
la traversata del deserto e parteciperà alla promessa. Sarà anche
rimproverato a Mosè di aver sposato una Kussita (Nm 12,1) - in
un racconto che prende le parti di Mosè, non di coloro che
protestano. Che si tratti di Obab o soprattutto di Jetro, viene
ostentata la grande portata di queste alleanze esogene. La loca-
lizzazione del roveto ardente all'Oreb è direttamente collegata al
vagabondare di Mosè dietro al "gregge di suo suocero Jetro,
sacerdote di Madian.. e questo Madianita sarà l'ispiratore di
una delle prime strutture del governo di Mosè (Es 18). In questa
circostanza Mosè gli farà il racconto dell'uscita dall'Egitto, cui
corrisponderà la benedizione del Dio di Israele da parte di Jetro
e la celebrazione comune di un atto di culto. Il tutto suscita tanto
più interesse in quanto è inquadrato in un racconto di riconci-
liazione purtroppo mutilo: Jetro riconduceva a Mosè la figlia che
gli aveva dato in moglie, Zippora! Ora il preludio a questo ma-
trimonio (con un nome diverso per il suocero) è un incontro
presso un pozzo, con una modalità molto vicina allo stile pa-
triarcale di Gn 29 (Giacobbe e Rachele). Zippora chiama Mosè
·un Egiziano.. (2, 19).
Tramite le sue spose Mosè è associato al non-Israele. Per le
circostanze della sua nascita la sua persona aderisce totalmente
all'Egitto. Nella prospettiva di una lettura tipologica il tratto è
tanto più pertinente in quanto è schematizzato, al di là dei dati
positivi. Che un Apiru abbia avuto un ruolo importante in Egitto
era un'eventualità già abbastanza verosimile per i destinatari
immediati del Libro, ma bisognava risalire fino all'inizio, descri-
vere una natività di Mosè, perché questo significava dire molto
di più sulla finalità di un destino che sarebbe stato oggetto di
meditazione nei secoli a venire. Due uomini per una donna, due
spose per un padre, due nazioni per una madre: questo schema
della Genesi si ricompone in altro modo qui con le due madri
per Mosè. Una madre di Israele che gli dona la sua carne, il suo
latte, la sua preveggente tenerezza; una madre principessa d'E-
gitto che gli dona la sua lingua, il suo amore anch'essa, e niente
meno che il suo nome! Così Mosè è il primo che ·dei due popoli
ne fa uno" e, soprattutto, il racconto è segnato in maniera inde-
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I'. BEAUCHAMP
lebile (poiché è al suo inizio) dal fatto che il primo fra tutti i
salvati dell'Esodo è stato salvato ... da un'Egiziana. Aggiungiamo
che, se esiste un'indicazione tipologica del fatto che, dei due
popoli, Dio vuole fare uno solo, essa proviene innanzitutto da
una donna, la giovane sorella di Mosè, tramite fra l'Egiziana e
l'Israelita. Ciò non fa che accrescere lo strappo che seguirà, e
aggravarlo, ma il preambolo resta scritto.
Il più potente fra tutti i legami tra Genesi e Esodo lo si deve
alla sintesi geniale del redattore, o piuttosto del compilatore
sacerdotale. Senza dubbio l'apporto di questa fonte merita di
essere esaminato a parte, ma troppo spesso è stato considerato,
nella letteratura, come un'aggiunta estrinseca e di circostanza,
mentre al contrario è il primo in ordine di tempo fra tutti gli atti
di interpretazione del racconto fondatore. Fra l'inizio della Ge-
nesi e quello dell'Esodo gli si deve un aggancio che chiede a sua
volta di essere interpretato: non si concede al primo sguardo. In
Gn 1,26-28 Dio vuole fare l'uomo a sua immagine affidandogli il
mandato di dominare sugli altri viventi (v. 26). Sarà così a im-
magine della regalità divina. L'esplicitazione di questo progetto
segue uno svolgimento logico. Creato "maschio e femmina•
l'uomo si moltiplica e, moltiplicandosi, riempie la terra. Una
volta riempita la sottomette, e con essa i suoi abitanti non
umani. Tutto ciò dispiega il contenuto delle parole "immagine
di Dio· e ne fornisce il senso. Una lettura pregiudicata dal tema
del lavoro che trasforma il mondo "come Dio lo crea· ha fatto
troppo spesso trascurare il modello cui si ispira questo pro-
gramma: l'occupazione di un paese grazie a una vittoria sui
suoi primi occupanti. L'autore si interessa più immediatamente
al tema della violenza che a quello della trasformazione del
mondo. (Sappiamo, del resto, che il dominio sull'avversario è
un'antica componente degli effetti della benedizione: riferendo-
visi il redattore compie qui un atto di interpretazione).
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L 'uscita dal! 'Egitto
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I'. BEAUCHAMP
:1 Benedizioni paterne: 9.26s. {j); 27 (j); 28,1-4 (P); 48,8-20 (E?); 49,28
(P). La tendenza di P è quella di attrihuire direttamente a Dio la benedizione
che renderà fecondo il figlio: Gn 1.28; 5,2; 9,1; 25.11: 35.9-13. Ma le attrihu-
zioni ·documentarie' non sono sicure per ciascun caso.
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L'uscita dal/ 'Egitto
Ecco una cosa che Abramo non avrebbe potuto dire, e che
situa Mosè in rapporto a lui, e quindi situa l'Esodo in rapporto
alla Genesi. Le parole di Dio, in un'altra maniera, introducono
fra Mosè e il popolo una divisione, quella stessa richiesta dalla
funzione di mediatore. Dopo aver parlato a Mosè della sua
decisione di far sparire Israele, Dio aggiunge: "Ma di te farò
una grande nazione· (Es 32,10). Anche questa parola è di grande
portata in una lettura tipologica. Indica in effetti una struttura
secondo la quale una stessa differenza viene a separare Mosè e
Israele da una parte, Mosè e l'Egitto dall'altra. La 'struttura' è qui
uno schema che supera la realtà vissuta (questa parità di diffe-
renze non rientra nei fatti dell'Esodo) ma che ne traccia l'eccesso
possibile, se la realtà si sviluppa in questa direzione fino al suo
termine. In forma attenuata (molto lontana dalla prospettiva di
una distruzione del popolo) la divisione resta la stessa quando
Giosuè e la sua famiglia progettano di separarsi da Israele, in Gs
24,15. Introdotto fin dai preludi narrativi della vita di Mosè (Es
2,14), posto poco prima del racconto delle dieci piaghe (5,21), il
conflitto fra Mosè e il popolo rinascerà lungo tutta la storia.
Mosè è costituito differente dai due popoli, da Israele come
dall'Egitto. Questo statuto di differenza è necessario perché sia
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'' Sap 11, 16: .. si è castigati da quelle stesse cose per cui si è peccato". Cfr.
12.23; 16, l; 18,'I ... Il tema è tutt'altro che banale: il cosmo risponde con la
morte a un progetto di morte ('i,20): Sap 17 mostra come la malvagità ·si
condanni da sé" (v. 10) rinchiusa "in una prigione senza chiave .. (v. 1'i) ...
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L'uscita dall'Egitto
0
Sul grande schermo dell'Apocalisse il motivo assume dimensioni co-
smiche. Il Dragone sta per divorare (12,4) il frutto della donna in travaglio:
con i suoi 'angeli' è dato come la posterità del serpente di Gn 3 (v. 9). Ma la
donna, come un tempo Israele, fugge nel deserto dove riceve ·le due ali
della grande aquila· (v. 14). Questa ripresa di fa 19,4 ( .. Vi ho portato su ali di
aquila ... • fino al Sinai) contrappone il dragone e l'uccello in uno schema
comune alla salvezza di Israele e alla salvezza della Chiesa.
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vati nella figura inaugurale di Mosè. Il segno più espressivo sta nel
fatto che al centro della notte di Pasqua tutti i figli muoiono, che
siano d'Egitto o di Israele. Non nell'immediatezza empirica ciel
racconto, ma nella realtà simbolica, emergente con l'arrivo di uno
..sterminatore· che, lui, non fa differenza. Come se Dio, con un
primo gesto, gli consegnasse tutto e discernesse i salvati solo in un
secondo tempo. Tutti affondano nel medesimo, per sortire a un
esito differente. Anche qui è parossismo, poiché la prova del
medesimo comincia molto presto e ricomincia in diverse forme.
Mosè fa dei miracoli; anche l'Egitto ha i suoi operatori di prodigi.
Lo eguagliano per due volte (7,11.22), falliscono la terza (8,14) e
solo la quarta volta sono vittime del potere cli Mosè (9,11). L'av-
vertimento al lettore porta lontano: fino a quando potrà essere
rinviato, un giorno, il momento della decisione? Secondo la
Sapienza di Salomone, che riprende il racconto dell'Esodo, que-
sto momento sarà nascosto agli sguardi dalla morte stessa. Altra
risorsa narrativa: lo stesso flagello cade, uno solo sfugge ai suoi
effetti. Prima della morte dei primogeniti, era già il caso per la
piaga ciel bestiame (9,4-6), la grandine (9,26), le tenebre (10,23).
Ogni volta, la mano di Dio separa gli inseparabili.
La prova ciel medesimo è amplificata dall'episodio dell'attra-
versamento del mare, come se il lettore non avesse avuto il
tempo di assaporarla, sia pure dopo numerose repliche. La
crede finita, è dunque il momento di raddoppiarla. Un narratore
magistrale stimola la libera immaginazione del lettore. Israele è
fuggito! Sì, ma verso il mare e viene raggiunto. Con un prodigio,
il mare si apre per lui. - Sì, ma si apre anche per il nemico ed
eccoli in mezzo all'acqua insieme, al tempo stesso che in mezzo
alla notte. Si può credere che sia stato necessario attendere a
lungo dopo la confezione di questa pagina, perché dei lettori vi
intendessero altro che il suo senso immediato e la sua antica
realtà? Questa pagina ha effettivamente sorretto, lungo la storia
biblica, quelli che il loro nemico spingeva in mezzo alla morte.
O quelli che vedevano buoni e cattivi scendere insieme indistin-
tamente nella medesima fossa. L'eccesso del racconto ha dovuto
essere percepito molto presto.
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sodo, quello della notte pasquale, ovvero alla nascita del figlio
attraverso il sangue. Quanto alla scena stessa, osserviamo il
condensarsi di tre relazioni: uomo-terra (alla quale Mosè fa ri-
torno), padre-figlio, sposo e sposa, e lo spostamento del sangue
(quello del figlio), per mano della donna, dalle parti genitali del
figlio a quelle del padre e, verbalmente, fra la sposa e lo sposo
chiamato . sposo di sangue•. JHWH interviene come l'avversario
all'interno di una triplice giuntura: uomo-terra, uomo-donna,
padre-figlio (il tema del fratello - Aronne/Mosè - è molto più
estrinseco). La volontà omicida di JHWH significa il suo contrario:
tu muori se ti unisci in stato di confusione, ti ucciderò prima -
dice il Dio che crea separando.
Ciò non toglie che quello che vuole farci vivere ci mette nella
prova del medesimo, con tutta l'apparenza della morte. Guado
di Penuel, ritorno di Mosè (cfr. 4,19), attraversamento del mare:
ogni volta è il passaggio della linea del morire-nascere. La vita si
traveste qui sotto l'apparenza del suo contrario assoluto forse
per liberarsi da ogni apparenza? Ma allora, quale tipo di prefi-
gurazione dobbiamo riconoscere che, in questa lotta, possa pre-
parare la notte di Pasqua? Vi troviamo come un avvertimento o,
se si preferisce, una conferma. Non solamente l'Egitto sarà ag-
gredito quella notte, ma anche Israele. Israele sarà certo strap-
pato all'Egitto, ma sarà strappato anche a se stesso. La sua cattiva
unione all'Egitto sarà recisa nel sangue, ma se è vero che Israele
sarà allora separato anche da se stesso, ciò avverrà in vista della
vita. Dunque di un vero essere-insieme. Qualcosa nel racconto
(la sua 'latenza') appella verso ciò che esso non dice ancora:
sciolto dalla sua cattiva unione con se stesso, Israele è chiamato
a nascere al vero essere-insieme con l'Egitto. Non ne sarà un
giorno lo .. sposo di sangue ..? Del resto, il racconto mostra con
forza fin dal preludio (2,11-14) che, della cattiva unione voluta
dall'Egitto, Israele è complice e se ne nutre. La sua guarigione
dovrebbe dunque sanare l'Egitto e reintrodurlo nella benedi-
zione: il Faraone stesso sembra presentirlo (12,32: .. invocate an-
che su di me la benedizione .. ).
Il segno più chiaro che nella notte pasquale Israele è confi-
gurato alla morte dell'Egitto perdendo anche lui i suoi primoge-
niti, è l'effusione del sangue dell'agnello: il rituale inserito nella
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popolo l'eroismo. Visto molto bene nel Targum del Pentateuco: ·I figli di
Israele si formarono in quattro partiti: uno diceva 'Gettiamoci a mare!' L'altro
diceva: 'Torniamo in Egitto!' Uno diceva: 'Allineiamo contro di loro le for-
mazioni di battaglia!' e l'altro diceva: 'Gridiamo contro di loro per gettare fra
loro la confusione'•.
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... si sentiva euforico ogni volta che vedeva quel Maestro, che
c'era qualcosa nella voce e nel gesto di quel Maestro, ecc. -
queste son tutte chiacchiere da comari e a questo modo, lungi
dal diventare discepoli, si finisce per bestemmiare Iddio. (. .. )
nessun locandiere non meno di un professore di filosofia po-
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CAPITOLO 0TrAvo
PRIMA PARTE
La ripresa sacerdotale
Fin dalla prima pagina della Bibbia, nel racconto della crea-
zione detto 'sacerdotale', si contano materialmente i giorni, da
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uno a sette. Si potrebbe dire che sono giorni contati, anche nel
senso in cui l'espressione suggerisce una scadenza, un'attesa 3. Il
computo è orientato verso la sua fine: fino a quando si dovrà
attenderla? Al sesto giorno, la fine dell'opera di Dio; al settimo,
ciò che la supera 4 . Dio crea separando e l'atto di separazione
fonda il numero. Gli astri, a causa della loro regolarità, sono i
rappresentanti del numero nel cosmo: "regolano• (Gn 1,18) sot-
toponendo al loro ritmo "feste, giorni, anni· (Gn 1,14). Questa
misurazione ha il potere di ordinare la Bibbia intera sotto la sua
legge: grazie a questa legge, il Libro potrà dire tutto il cosmo e
tutte le nazioni, ben oltre Israele. Fino alla morte di Mosè, il cui
racconto viene a concludere la Torà, il tempo è contato. La fonte
sacerdotale distingue così cinque fasi del diluvio secondo il mese
e il giorno del mese. Stesso grado di precisione per la scelta del-
l'agnello pasquale, la fuga dall'Egitto, l'arrivo al deserto di Sin (Es
16,1), l'erezione del tabernacolo (Es 40,1-17), il computo dei figli
di Israele (Nm 1,2), la partenza dal Sinai, la morte di Aronne e
perfino, oltre il Pentateuco, l'arrivo in Terra promessa (Gs 4,19).
Tanta pignoleria può dare al lettore l'impressione che l'oriz-
zonte si restringa. Sta di fatto che, dopo Wellhausen, lo stile del
documento sacerdotale è stato bistrattato dagli esegeti critici che
dovrebbero forse prendere maggiormente le distanze dalla
prima impressione. La datazione è ispirata dalla necessità di
rivendicare l'appartenenza degli eventi della storia della sai-
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Riprese del racconto fondato1·e
vezza alla storia universale, alla storia del mondo. Fuori di que-
sta è impensabile il disegno di Dio ampio e radicale quanto la
sua creazione. Si tratta dunque piuttosto della volontà di allar-
gare l'orizzonte, pur facendo risaltare ciò che ogni evento in
quanto tale ha di particolare.
Il paragone fra due diverse formulazioni della scienza di Sa-
lomone può illuminarci sulle condizioni in cui fu prodotto un
testo come Gn l, e quelli che ne derivano. Secondo lRe 5,13 il
re ha parlato delle piante e degli animali. È l'orizzonte botanico e
zoologico del giardino (o del parco) dell'Eden, come lo descrive
il documento jahwista, spesso attribuito agli inizi della monar-
chia. Vegetali, frutti, bestie, un serpente ... Molto tempo dopo,
colui che ha scritto ad Alessandria sotto il nome di Salomone
attribuisce alla sua scienza l'ampiezza di un'enciclopedia: in par-
ticolare, aggiunge alle conoscenze del grande re ciò che egli sa su
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2. Tentazione
Ogni legge, anche la più santa, provoca tale turbamento nel
tessuto umano di cui pure assicura la vita, ponendo una sepa-
razione senza la quale non ci sarebbe né inizio né fine. La verità
e la vita non sono nell'inizio, dice la legge. Il sabato è dunque il
tempo del desiderio, che separa dall'inizio. Per questo il giudai-
smo chiama il sabato 'fidanzata', e così il sabato separa dai
genitori. È il tempo del figlio, se la legge lo sottrae al rischio
di cadere sotto la schiavitù del padre. Se ...
Ma come ogni legge il sabato permette una sfasatura fra il
desiderio e lo slancio impulsivo verso l'opera immaginata, per
purificare il desiderio. Questa pausa mantiene la supremazia del-
l'autorità del padre. Il figlio allora si vendica a propria insaputa
appassionandosi al sabato, per identificarsi in esso alla vetustà del
padre. L'assenza di legge fa morire, ma chi uscirà indenne dalla
legge? La verità e la vita non sono né nell'inizio né nella fine,
dice il sabato. Ma quale sabato può sopportare questo duplice
rifiuto con forza sufficiente perché passi la verità del desiderio?
Come sempre, la tradizione ebraica ci fornisce un aiuto insosti-
tuibile insegnando che un solo sabato ben osservato farebbe
arrivare il Messia. Questo sabato sarebbe puro presente.
L'ambiguità del sabato si ripercuote sulla linea di separa-
zione che esso traccia all'interno del gruppo umano.
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riera fra due figli, fra Israele e le Nazioni. Nella storia si introduce
allora l'equilihrio instabile della legge percepita come predomi-
nio geloso del padre sul figlio. Ciò che si introduce nella storia vi
si trasmette attraverso la relazione padre-figlio, che si ripercuote
in inimicizia fra i figli. Uno di loro si trova riportato indietro
verso il suo inizio, identificandosi all'arresto del padre che lo
immobilizza. L'altro, il pagano, fugge in avanti. Quale grazia è
necessaria perché il primo figlio non condanni il secondo! Gli
è così difficile riconoscere in lui la propria immagine capo-
volta ...
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Riprese del racconto fondatore
un albero solo fra tutti e un giorno solo fra tutti (come chiara
allusione). In particolare, il dono del solo nutrimento vegetale in
Gn l,29s. è carico di tacite conseguenze: la parola divina pone i
viventi fuori da ogni violenza.
Per lo jahwista la legge è la trappola utilizzata dal serpente e
la caduta è immediata, raccontata come chiave di tutte quelle
che seguiranno. Il sacerdotale sembra più sensibile alla stratifi-
cazione delle fasi della trasgressione umana, conformemente
alla sua logica classificatrice. La sua riflessione considera dallo
stesso punto di vista la legge, il peccato, il divenire comune
degli uomini. Ciò risulta dal primo enunciato legislativo situato
dopo il diluvio e che concerne tutti i figli di Noè, dunque tutti i
figli di Adamo: legittimazione di un rapporto di violenza con il
mondo animale, limite posto a questa violenza, valore simbolico
(politico) attribuito al nuovo statuto (Gn 9,1-7).
Sarebbe stato strano che la legge del sabato non incontrasse
mai, nel suo divenire, questa legge che contiene e incanala la
violenza, poiché entrambe derivano dal racconto sacerdotale
della creazione. Durante le guerre dei Maccabei Israele nel
giorno di sabato è messo davanti all'alternativa di non reagire
all'aggressore e lasciarsi uccidere, o di combattere per sopravvi-
vere. La prima soluzione è adottata e praticata una sola volta,
poi giudicata troppo onerosa (lMac 2,29-41). Così, messo alla
prova dell'iperbole o dell'eccesso, il sabato mostra una certa
precarietà, che non contraddice il regime intermediario della
Legge. Per la sua stessa posizione la legge sacerdotale di Gn 9
comporta certo una domanda implicita: l'uomo sarà sempre
sottomesso a questo regime, doloroso e dunque instabile per
la contraddizione stessa che allea la violenza e il suo conteni-
mento? Il genere letterario di questi capitoli non permette una
risposta, ma i profeti avevano già risposto annunciando insieme
l'alleanza pacifica con gli animali e la fine delle guerre (Os 2,20;
Js 11...). Quanto al sabato, il suo carattere intermediario si
esprime con chiarezza nella Legge, prima nella sua stesura e
poi nei suoi sviluppi. Come in Gn 9,1-7 il sabato resta al di
qua di una scelta definitiva: la libertà, accordata allo schiavo
nel giorno di sabato, gli è ripresa l'indomani e la schiavitù rico-
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3. L'evento universale
Modello di tutto il racconto che seguirà a partire dalla stessa
fonte, lungo tutta la Bibbia, la prima settimana designa in anti-
cipo che questo racconto ha una fine. La logica del testo vuole
che un racconto che si inaugura con la creazione si concluda, se
deve concludersi, con un evento della stessa ampiezza. La forma
dell'eptamerone - successione di un tempo suddiviso - pone
nella creazione lo strappo della storia, ma la storia è simultanea-
mente sospinta dall'energia e dalle promesse della creazione. La
creazione è anche l'avvenire della storia.
La cosa più preziosa che il sabato introduce nel concetto di
creazione, nell'universalità evocata da questo concetto, è la di-
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SECONDA PARTE
Il Deuteronomio
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Mosè C. ..), Mosè parlò come.tHWII gli comandava di fare(. .. ) Mosè si mise a
promulgare questa Legge•. Esperienza immediata; origine invisihile della
parola; qualificazione della parola come Legge. L'analisi retorica di questi
versetti è stata insegnata da N. Lohfink all'istituto Bihlico di Roma nel 1968.
11 Dt 1,9.16.18: 2,34; 3,8.12.18.21.23.
12 Oggi è talvolta in contrasto esplicito con il passato: Dt 5,3; 8, 18; 11,2;
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1. La conquista vicina
Prima che venga enunciata la Legge propriamente detta, a
partire da Dt 4 (soprattutto dopo il v. 5), il materiale narrativo è
essenzialmente parallelo al Libro dei Numeri nell'itinerario che
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Riprese del racconto fondatore
esso traccia 13 (fonte jahwista) dopo il Sinai (la parte che descrive
il popolo in formazione di marcia quasi liturgica proviene dalla
fonte P). Dt 1-3 si concentra sulla fine di questo itinerario: presa
di contatto con coloro che occupano prima di Israele la Terra
promessa o i suoi immediati dintorni. Il Sinai (Oreb), o prima
Legge, è preceduto dall'uscita dall'Egitto. Moab, il luogo della
'deuteronomia' (seconda Legge), è preceduto non dall'ingresso
in Canaan, ma da scontri che ne sono come la ripetizione ge-
nerale. Innanzitutto dunque per il suo contenuto il Deuterono-
mio è l'opposto di un 'racconto d'inizio' poiché ci fa assistere
alla fine dell'epopea di Israele. In confronto all'immensa leg-
genda dell'Esodo che serve da preambolo alla prima Legge, la
seconda non ha conservato della traversata del deserto che
un'appendice narrativa molto modesta. Ciò invita a guardarla
più da vicino.
Impressiona il contrasto di questi brevi racconti con i rac-
conti dell'inizio. Piccole prodezze, se le si giudica a partire dai
grandi miracoli dell'Esodo. Non ci sarà questa volta una colonna
di fuoco la notte né una colonna di nube di giorno, poiché
l'uscita dal deserto coinvolge il cosmo meno che l'uscita dall'E-
gitto. Tale è chiaramente il punto di vista di questi capitoli, la cui
originalità è di distinguere due età della storia. Al posto della
colonna, in testa al popolo cammina il racconto dell'Esodo e dei
suoi miracoli, e ciò che lo fa camminare è la fede in questi
racconti. A dire il vero, secondo Dt 1,19-32 è piuttosto la man-
canza di questa fede che, fino in fondo, avrà impedito al popolo
di camminare. Ma il testo propone una fede trasformata, che
abbandona la semplice ripetizione per volgersi verso un Esodo
che ha valore solo a condizione che la sua figura si adempia
1:l In Dt 1-3 ·non c'è materiale narrativo che non abbia il suo parallelo in
Nm• e ·nessun dato geografico ( ... ) che non abbia il suo parallelo, il suo
seguito o la sua ripresa in Gs, in Gdc•, L. PERLllT, Deuteronomium 1-3 in
Streit der exegetischen Methoden, in Das Deuteronomium. Entstehung, Ge-
stalt und Botschaft (Colloquium Biblicum), Leuven University Press, Lovanio
1985, p. 158. Più di ogni altro testo (narrativo), questi capitoli costituiscono il
legame fra l'interno e l'esterno del Pentateuco.
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P. BEAUCHA.MP
JiiWH vostro Dio, che cammina alla vostra testa comhatterà per
mi, come ha fatto in Egitto sotto i vostri occhi. Tu l'hai visto
anche nel deserto: JHWH tuo Dio ti sosteneva come un uomo
sostiene suo figlio, lungo la strada che voi avete seguito jìno a
questo luogo. Ma in questa impresa, nessuno fra di mi credette
in JHWH vostro Dio (Dt 1,30-32) H.
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" Stessa formula in 2,24s.: ·Ho consegnato nelle tue mani Sicon ( ... )
comincia a entrare in possesso e ingaggia con lui il comhattimento. In questo
giorno io comincio a spargere terrore e paura di te sul volto dei popoli ... • Un
tratto appena percepihile indicherà la differenza tra passaggio del mar Rosso
e passaggio del Giordano: ·Da quando la pianta dei piedi dei sacerdoti che
portano l'arca C.. ) si poserà nelle acque· (Gs 3,13), esse saranno separate. A
Israele tocca ·cominciare·, nel visihile.
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Riprese del racconto fondatore
2. Il secondo Decalogo
La Legge della pianura di Moab si presenta come una riedi-
zione della Legge dell'Oreb (Sinai). In un testo costmito se-
condo il modello del racconto-discorso e con l'insistente invito
"ricordati>., la prima Legge stessa si colloca all'interno del conte-
nuto narrativo come uno degli episodi del racconto. Ciò costi-
tuisce un grande cambiamento di prospettiva rispetto a una
formula semplice, veicolata del resto dallo stesso Deuterono-
mio, nella quale il racconto precede l'obbligazione perché Dio
dona sempre prima di chiedere. Così la formula semplice - "Io
sono JHWH tuo Dio che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto» +
(uno o più precetti) - viene destabilizzata dalla ripetizione della
Legge. Invece che 'racconto dei benefici + Legge', troviamo
'racconto dei benefici e della prima Legge + seconda Legge'. Il
dato di fatto della ripetizione è espresso senza ambiguità con Dt
28,69: .. L'alleanza ... al paese di Moab oltre l'alleanza ... all'Oreb».
Il problema posto da questa "alleanza oltre l'alleanza» (ebr.:
haberft... millebad ha-berft) è al cuore di tutta la ricerca condotta
nella presente opera: si tratta di una ripetizione o di una novità?
Ci siamo familiarizzati con lo schema del compimento: la ripeti-
zione dell'inizio è necessaria perché gli sia ritirato il prestigio
dell'unicità (è la sua 'caduta'), nel tempo stesso in cui l'unicità
- che appartiene solamente all'origine - si libera nell'impossibi-
lità di una seconda ripetizione dell'inizio (o ripetizione della
ripetizione). La seconda è finale. Ciò che è completamente
"oggi» è completamente nuovo, completamente ..d'origine-. Ora
il nuovo si verifica non tanto perché non trasmette nulla del
passato, quanto perché non si interrompe per essere ricomin-
ciato. È il test per gli atti che si vogliono radicali: chi vuole rifare
tutto dal nulla ha diritto a un solo tentativo. La storia biblica è più
pmdente, e sembra che il Deuteronomio non tagli tutti i ponti,
ma si conceda qualche esitazione fra la ripetizione e la novità. La
storia biblica è piuttosto quella delle ripetizioni in cammino
verso la novità, annunciata dall'andamento del cammino. Il
nuovo non vi è visibile allo stato puro ma solamente a chi guarda
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25-31; 35-40) attraverso gli occhi di Dio, quando nulla era an-
cora realizzato sulla terra.
Era già accaduto che un solo individuo giocasse un ruolo
cardine nella storia di Israele: era il caso di Abramo. Ma la morte
di Abramo non ha segnato il destino d'Israele. Con Mosè, per la
prima volta, la morte di uno solo manterrà il suo effetto su tutta
la storia del popolo. Non solo il narratore non si nasconde più,
ma la sua morte viene in primo piano. Morte di uno solo di
fronte al popolo che sopravvive: questo è il vero scioglimento
di tutto il Pentateuco, e lo si deve al Deuteronomio. Non è di
poco conto che così tutta la Torà assuma lo statuto di Testa-
mento. Questo Testamento incombe sulle generazioni future,
e la voce di Mosè istruisce il loro processo; prendendo a testi-
moni contro di loro il cielo e la terra (4,26; 31,28), essa le con-
voca.
3. Amore e commento
La meditazione che segue la promulgazione del decalogo
mescola il ricordo dei benefici di Dio e il ricordo della Legge.
Legge e racconto non sono più eterogenei. Se il momento della
Legge si è integrato al racconto come un episodio al suo interno,
la serie di eventi delle peregrinazioni d'Israele diventa una parte
della Legge poiché l'oblio del passato è una colpa e l'obbligo di
'ricordarsi' è reiterato fra i comandamenti .. Del resto, una legge
che spalanca le porte della memoria si distanzia da un ritualismo
iniziatico che cercherebbe di mantenere i segreti. Si osserva che
il Deuteronomio mantiene il sacrificio cruento, ma lo fa passare
in secondo piano, e pone quindi l'accento sull'offerta dei frutti
della terra, accompagnata da un'anamnesi. Il sacrificio cruento
implica una ritenuta prelevata sulla rivelazione e una messa in
scacco della parola. Al contrario, la parola narrativa risale senza
ostacoli lungo la •storia di questo pane• fino al suo inizio.
L'importanza accordata alla relazione padre-figlio è in linea
con questa trasformazione. Il comandamento del 'ricordo' non è
altro che la fedeltà al racconto trasmesso dai padri. L'anamnesi
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