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Flavio Cannistrà

& il team dell’Italian Center for Brief & Single Session Therapy

TERAPIE
BREVI
Un’introduzione
a principi e pratiche
Italian Center for Brief &
Single Session Therapy srls




I nostri progetti:


Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve
Sistemico-Strategica
www.istitutoicnos.it

info@istitutoicnos.it


Terapia a Seduta Singola (pagina dedicata)
www.terapiasedutasingola.it

www.singlesessiontherapies.com

info@terapiasedutasingola.it

Terapia Breve Centrata sulla Soluzione (pagina dedicata)


www.terapiacentratasullasoluzione.it
INDICE
Introduzione

Storia della Terapia Breve

Principi di Terapia Breve

Pratica della Terapia Breve

3 casi di Terapia Breve

Faq

Conclusioni

Appendice A

Bibliografia

Contatti
Introduzione

Oggi è importante parlare di Terapie Brevi, soprattutto da un punto di vista pratico.

Parliamo di una serie di approcci che affondano le loro radici fin negli arbori della psicoanalisi, che
sono partiti dall’idea di aiutare le persone in meno tempo possibile (spesso sotto le 10 sedute) e che
oggi contano alcune decine di indirizzi diversi. Molti, vero?

E infatti in questo ebook, pur dando una panoramica generale sulle Terapie Brevi, parleremo in
particolare di quelle psicoterapie che possiamo far rientrare in quell’orientamento definito da noi (e
non solo) “sistemico-strategico”. Più avanti vedremo meglio cosa sono e come funzionano, ma
per ora torniamo alla nostra frase di apertura: oggi è importante parlare di Terapie Brevi. Perché?
Per almeno tre motivi: l’efficacia, l’efficienza e il momento storico che stiamo vivendo.

L’efficacia delle Terapie Brevi

Le Terapie Brevi hanno mostrato, a circa un secolo dalle loro prime espressioni, di essere degli
approcci efficaci (Cannistrà & Piccirilli, 2018; EBTA, 2018; Pietrabissa et al., 2016; Santisteban et
al., 2006). La meta a cui altre forme di terapia sembravano essere arrivate prima (come la ricerca
sperimentale), è stata e sta venendo sempre di più raggiunta copiosamente da diversi tipi di Terapie
Brevi.

Oggi ci sono i dati per dire che le Terapie Brevi, in particolare quelle di cui parleremo in questo
ebook, sono efficaci almeno quanto altri approcci “navigati” (e, fate attenzione, “navigati” dal punto
di vista della ricerca, perché dal punto di vista storico molte di queste Terapie Brevi sono nate con o
addirittura prima diversi approcci più noti – vedi il capitolo sulla storia delle Terapie Brevi), con tanto
di studi empirici, trial clinici randomizzati (RCT), review sistematiche e meta-analisi.

E questo vale per qualunque tipo di disturbo psicopatologico, problematica personale e


interpersonale, e setting di lavoro (individuale, di coppia, familiare; con adulti, bambini, adolescenti,
anziani; in ambito clinico, di consulenza ecc.).

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L’efficienza delle Terapie Brevi

Qualcuno, in realtà, potrebbe dire che il risultato “le Terapie Brevi sono efficaci” è un dato scontato.

Fin dal 1936 Rosenzweig iniziò a dire che le “tutte le terapie sono ugualmente efficaci”. Questo fu
poi noto come il “verdetto di Dodo” o “paradosso dell’equivalenza”, a cui afferisce una tradizione di
studi che ha conosciuto diversi momenti di interesse e che proprio negli ultimissimi anni sta
riacquistando vigore, con nuove e importanti prove (per una rassegna si veda Wampold & Imel,
2015) che ci stanno mostrando come tutti gli approcci, per quanto apparentemente diversi tra loro,
sono efficaci. È il movimento dei “fattori comuni”, che identifica appunto in dei “fattori comuni a
tutte le terapie” il motivo principale del successo.

La questione è sicuramente da approfondire nel dettaglio, ma se tutti gli approcci sono efficaci la
partita si gioca allora su un altro piano: quello dell’efficienza.

La domanda più importante sembra essere sempre meno “Questa terapia aiuta la persona a
risolvere il problema?” (perché la risposta sarà, almeno per gli orientamenti principali, “Sì”) e sembra
essere sempre più: “In quanto tempo questa terapia aiuterà la persona a risolvere il problema?”.

Le Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche sembrano aver risposto ampiamente a questa


domanda, riuscendo a risolvere la maggior parte dei problemi e disturbi, anche quelli più insidiosi al
di sotto delle 10 sedute, quasi mai oltre le 20, e spesso anche solo tra 3-5 sedute (EBTA, 2018).

Non è strano. Nel nostro caso, e in quello dei nostri collaboratori, dei docenti e degli studenti della
nostra Scuola, è esperienza comune. Ma lo è anche per le migliaia di terapeuti brevi presenti in tutto
il mondo, che ogni anno continuano a vedere pazienti, scrivere articoli e fare ricerca con questi
risultati.

Il momento storico attuale

L’ultimo motivo di questa volutamente sintetica lista, per il quale le Terapie Brevi sono importanti
oggi, va a cogliere lo spirito del tempo che viviamo oggi.

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I sistemi sanitari sono in crisi: nel settore pubblico italiano le liste di attesa sono enormi
(Adkronos, 2018) e per ricevere un appuntamento per attacchi di panico possono passare anche 14
mesi (Notiziediprato.it, 2014). Nel privato convenzionato spesso si trovano discorsi simili e in
generale non tutti possono permettersi una terapia che duri anni o che preveda 1-2 incontri a
settimana per un lungo o indefinito periodo di tempo.

Potremmo anche pensare che sia importante prendersi del tempo per sé, per andare dallo
psicologo, per scoprire le cause profonde o gli intrecci del passato. Ma dobbiamo essere realisti e
tenere presente il presente: le persone oggi vogliono stare bene e vogliono farlo il più
velocemente possibile. Costringerle in un rigido modo di fare psicoterapia significa perderle in
partenza. Paradossalmente, peraltro, come vedremo le Terapie Brevi nacquero proprio dal lavoro nei
contesti più problematici e disagiati, dove da sempre occorreva dare risposte in tempi brevi.

In poche parole, insomma, le Terapie Brevi oltre a essere efficaci rispondono al sentito bisogno di
stare bene il prima possibile, che non è un capriccio: è semplicemente una richiesta sensata e a cui,
da anni, le Terapie Brevi hanno dato risposta con successo. Questo non vuol dire negare la realtà
che, per certe persone, potranno servire più di “pochi incontri”. Significa, però, studiare e lavorare
affinché questi siano sempre il minor numero possibile.

Cosa troverai in questo ebook

Questo ebook di poche pagine vuole essere un’introduzione veloce e pratica alle Terapie Brevi.

È pensato per le psicologhe e gli psicologi che vogliano capire meglio questi approcci e che
vogliano iniziare a integrarne i principi nella propria pratica.

Sia individualmente che con l’Italian Center for Brief & Single Session Therapy ci occupiamo di
Terapia Breve da più di vent’anni, arrivando a formare colleghi in tutta Italia, a tenere conferenze
all’estero, a fare ricerca, a lavorare con il servizio pubblico, a ricevere pazienti nei nostri studi privati
e a formare gli psicoterapeuti di domani nella nostra Scuola di Specializzazione in Psicoterapia
Breve Sistemico-Strategica.

L’ebook è una notevole sintesi che speriamo possa darti alcuni spunti pratici. Troverai anche una
bibliografia di base se vorrai approfondire gli argomenti trattati. Naturalmente, come qualunque libro
(soprattutto per uno di così poche pagine), non intende sostituirsi alla tua formazione professionale

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e l’invito è sempre quello di formarti negli adeguati contesti formativi. E naturalmente sei la/il
benvenuta/o nei nostri corsi di formazione o ai nostri Open Day, che da sempre hanno un taglio
fortemente pratico, per unire il sapere al saper fare.


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Storia della Terapia Breve

Dalla psicoanalisi ai primi dissidenti

Il primo terapeuta breve fu Sigmund Freud. Sono documentati almeno quattro casi di successo
durati poche sedute e tre di questi furono addirittura di una singola seduta (D’Alia, 2018). Peraltro, le
prime terapie di Freud duravano da qualche incontro a pochi mesi (Hoyt, 2009): fu con la
necessità di ampliare il complesso teorico per spiegare meglio i casi che non rientravano nelle
formulazioni iniziali che la psicoanalisi allungò i suoi tempi, fino a diventare sfortunatamente nota
per essere un approccio con una durata tra le 237 e le 971 sedute (de Maat, 2013).

Ma già all’epoca di Freud, alcuni psicoanalisti si domandarono – e domandarono al loro Maestro –


se non si potesse fare qualcosa per abbassare la durata dell’analisi.

Fu il caso di Sandor Ferenczi e Otto Rank, due psicoanalisti della prima ora che sostennero che
un terapeuta più attivo, cioè che non si limitasse ad ascoltare in silenzio le libere associazioni del
paziente, avrebbe portato la terapia ad essere più efficace ed efficiente.

Nel loro Lo sviluppo della psicoanalisi (1922), i due criticarono i colleghi “del lettino”, scrivendo: “Voi
riflettete troppo. Non vi occupate abbastanza del paziente che si trova in carne e ossa nel vostro
studio. Sostituite la terapia con la teoria. Ciò che conta davvero è quello che il paziente vive e
sperimenta concretamente con voi, e non sapere se si tratta di un transfert, di un acting-out, di
un’abreazione o dell’intellettualizzazione, ma voi preferite servirvi dei pazienti per analizzare le
ragioni che vi spingono a fare questo mestiere piuttosto che alleviare la loro sofferenza!
Semplificate, abbreviate, non state a guardarvi l’ombelico!”

Inutile dire che gli psicoanalisti, Freud in testa, non la presero bene.

Tuttavia, un impatto ancora maggiore arrivò da un altro psicoanalista, Franz Alexander, che
assieme a Thomas French pubblicarono un libro (1946) in cui criticavano l’ingiustificato
prolungamento della psicoanalisi. Suggerirono anche loro un ruolo più attivo da parte del terapeuta
e introdussero il costrutto di “esperienza emozionale correttiva”, un’esperienza che il terapeuta
può far vivere al paziente durante la seduta (principalmente interagendo con lui in un modo

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diverso da quello delle principali figure di attaccamento) o al di fuori di essa (suggerendogli delle
cose da fare tra una seduta e l’altra). Esperienza che produrrà appunto un’emozione capace di
correggere gli effetti di quella patogena o, in altri termini, di sbloccare il problema del paziente.

Durante e dopo le due Guerre Mondiali

La vera svolta per iniziare a parlare di Terapie Brevi si ebbe però in concomitanza alla Prima e,
soprattutto, alla Seconda Guerra Mondiale.

Migliaia di soldati tornavano dal fronte con sintomatologie che oggi verrebbero per lo più ascritte nel
Disturbo da Stress Post-Traumatico. Negli Stati Uniti, in soli tre anni di guerra, 930.000 soldati
furono ricoverati nei reparti di psichiatria: nel 1942 gli psichiatri militari statunitensi erano 45; nel
1945 salirono a 1800 (Megglé, 1990). Alcuni decenni prima Freud aveva portato le sue teorie in
America, ma adesso la psicoanalisi si rivelava un metodo troppo lungo: non si potevano
aspettare anni e neppure mesi prima che i soldati potessero tornare al fronte. Questo fu un grande
sprone a studiare tecniche di intervento più efficienti.

Nei decenni successivi l’interesse non diminuì. Sempre negli Stati Uniti, in cui le classi sociali
economicamente svantaggiate non hanno un’assistenza sanitaria adeguata (o non l’avevano
affatto), negli anni ’50-’60 ci si rese sempre più conto che era proprio da lì che venivano la
maggior parte delle persone con disturbi mentali, specialmente quelli più severi.

Nel 1963, il National Mental Health Act creò degli istituti di igiene mentale per gli indigenti. Immagina
però che medici o psicologi illustri, o anche coloro che semplicemente per ottenere il loro titolo
avevano fatto il lungo (e costoso!) percorso di studi, non accettavano facilmente di andare a
lavorare nei peggiori sobborghi del Paese. Si aprì pertanto la possibilità agli assistenti sociali e ad
altre figure sanitarie di intervenire in questi ambiti, capaci di apportare contributi e innovazioni nel
campo e farne ripensare i principi base.

Così, in questo modo le Terapie Brevi partirono davvero dal basso, o meglio, dai bassifondi, e
non da studi privati aperti soprattutto a persone abbienti. La conseguenza fu la necessità di
elaborare soluzioni efficaci per casi davvero difficili. Si ricordi che uno dei manifesti degli studi in
Terapia Breve può essere considerato Verso una teoria della schizofrenia, di Bateson e il gruppo di
Palo Alto.

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Le diverse Terapie Brevi

A questo punto potremmo tracciare un primo bivio.



Da un lato esisteva la psicoanalisi, con tutte le sue diramazioni, cioè approcci che spesso
duravano molti anni. Dall’altro iniziarono a svilupparsi una serie di terapie che duravano
generalmente meno tempo. Questo raggruppamento mette insieme tanti tipi di terapie, da quelle
Cognitive e/o Comportamentali all’Analisi Transazionale, fino alla Terapia della Gestalt (Megglé,
1990) ed è forse troppo generica, basandosi più su una distinzione “psicoanalisi vs altre terapie che
durano meno”.

Possiamo allora tracciare un secondo bivio: da un lato le terapie più brevi della psicoanalisi tout
court, e dall’altro quelle il cui scopo manifesto fu quello di studiare dei metodi per abbreviare
la durata della terapia.

Questo è un passaggio di non poco conto. Come sostiene Migone (2005), nessuna terapia ha
intenzione di essere lunga. Ma come spiegò Jay Haley (si veda Hoyt, 2009), si diede l’etichetta
“terapie brevi” a quell’insieme di studi volti a capire come ridurre la durata della terapia stessa.

Potremmo dire che le cose andarono così: di fronte alla lunga durata della psicoanalisi (e alle
necessità sociali descritte sopra), qualcuno incominciò a domandarsi: “Una terapia, per essere
efficace, deve necessariamente durate tanto tempo? È possibile identificare dei principi (teorici) e
degli interventi (pratici) che riducano la durata della terapia, senza ridurne l’efficacia?”.

La risposta fu “Sì”.

Le Terapie Brevi psicodinamiche e quelle strategiche

Quindi abbiamo finora due bivi: di fronte al primo abbiamo a destra le terapie psicoanalitiche e a
sinistra “le altre”, molte delle quali più brevi della psicoanalisi, ma che potrebbero comunque
richiedere qualche anno o numerose sedute. Prendiamo la strada a sinistra, “le terapie più brevi
della psicoanalisi”, e ci troviamo di nuovo a un bivio: a destra abbiamo gli autori che hanno
intenzionalmente studiato come ridurre attivamente la durata della terapia, e a sinistra “gli altri”,

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quelli che appunto hanno ideato approcci che risultano più brevi dell’analisi, ma il cui scopo
principale non era quello di ridurre i tempi. Questa volta andiamo a destra, verso le terapie di chi ha
intenzionalmente studiato come ridurne i tempi, e ci troviamo nell’ambito delle Terapie Brevi by
design1 , cioè progettate appositamente per essere brevi.

Per capirci: la terapia Cognitivo-Comportamentale dura tipicamente meno della psicoanalisi, ma


generalmente non si pensa ad essa quando si parla di “Terapie Brevi”.

A questo punto stiamo percorrendo la strada delle Terapie Brevi by design, e possiamo tracciare un
ultimo bivio2: a destra abbiamo le Terapie Brevi “Psicodinamiche” e a sinistra le Terapie Brevi
“Sistemico-Strategiche”.

Le Terapie Brevi Psicodinamiche vedono nomi quali Davanloo, Sifneos o Malan e terapie come la
Terapia breve con provocazione d’ansia o la Psicoterapia psicodinamica breve. Come dice l’etichetta
stessa, queste terapie partono da principi teorici psicodinamici e psicoanalitici (conflitto inconscio
irrisolto, transfert e controtransfert, causa scatenante, insight ecc.) per mettere a punto dei metodi
che abbrevino la durata della terapia. Generalmente si tratta di terapie che durano tra le 20 e le 60
sedute.

Le Terapie Sistemico-Strategiche sono quelle che hanno un debito più o meno evidente e
riconosciuto nell’opera di Milton H. Erickson. “Più o meno evidente e riconosciuto” significa che,
con il passare dei decenni, alcune di queste possono essersi distanziate anche sensibilmente
dall’opera di Erickson, ma l’eredità teorica e pratica rimane evidentemente rintracciabile. Tra gli
autori più noti abbiamo Jay Haley (Terapia Strategica Familiare), Paul Watzlawick (Terapia Strategica
modello MRI), Steve de Shazer (Terapia Breve Centrata sulla Soluzione), Moshe Talmon, Michael
Hoyt e Robert Rosenbaum (Terapia a Seduta Singola) e in Italia Giorgio Nardone (Terapia Breve
Strategica), benché la lista sia davvero lunga.

L’etichetta “Sistemico-Strategiche” parte dalle due grandi matrici a cui sono debitrici: da un lato
l’approccio sistemico, in particolare così come originato negli studi di Bateson e della Scuola di
Palo Alto; e dall’altro dalla definizione che Jay Haley (1973) diede per primo all’approccio
strategico: «non è una concezione o una terapia particolare, ma un nome per quei tipi di intervento
terapeutico nei quali lo psicoterapeuta si assume la responsabilità di influenzare direttamente le

1 Il termine è ripreso da Budman & Gurman, 1988.


2Queste distinzioni sono arbitrarie e hanno solo lo scopo di dare una delle possibili classificazioni. Altre classificazioni dicono
che una terapia è breve se dura massimo 10-20 sedute, o se fa parte di una certa epistemologia, ecc. Come sempre,
cambiando prospettiva cambia la realtà.
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persone», riferendosi al modo di lavorare di Milton Erickson (il quale non definì mai un approccio,
non usò mai l’etichetta strategica, né fu mai un capo scuola)3.

Molte di queste terapie hanno dato grande prova di sé. Si pensi alla Terapia Breve Centrata sulla
Soluzione, che ha 11 meta-analisi che ne confermano l’efficacia (EBTA, 2018), o alla più “giovane”
Terapia a Seduta Singola, che negli ultimi 30 anni ha prodotto decine di ricerche e almeno 4 review
sistematiche (Cannistrà & Pietrabissa, 2018). Inoltre, sono le più brevi in assoluto, stabilendosi
spesso al di sotto delle 10 sedute, con una media che va dalle 3 alle 7, e per le quali spesso basta
un singolo incontro (Hoyt et al., 2018).

La Terapia a Seduta Singola, la Terapia Breve Centrata sulla Soluzione, la Terapia Strategica e la
Terapia Strategica Familiare sono anche i metodi che studiamo con l’Italian Center for Brief and
Single Session Therapy, e che insegniamo nei corsi dell’Istituto ICNOS e nella nostra Scuola di
Specializzazione in Psicoterapia Breve Sistemico-Strategica.

3 Personalmente non amo le etichette troppo stringenti. Così come Erickson parlava del suo metodo semplicemente
definendolo “psicoterapia”, io preferisco parlare di “Terapie Brevi” in generale. Tuttavia, mi rendo conto che in questa sede
l’etichetta “Sistemico-Strategiche” è fondamentale, poiché non mi rifaccio alle Terapie Brevi Psicodinamiche in alcun modo.

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Principi di Terapia Breve

Lo scopo di questo ebook non è quello di fare una disamina di tutti gli approcci. Vuole essere invece
una sintesi che ti permetta di apprendere dei principi e delle pratiche di base, che magari potrai
spendere già nella tua pratica professionale di psicologo.

Ovviamente per fare questo dobbiamo fare una grande opera induttiva, traendo alcuni punti
particolari dall’analisi generale delle varie Terapie Brevi Sistemico-Strategiche. Certi saranno più
sentiti da alcune di esse, altri meno. Lo scopo è solo quello di darti un’idea, che però risulta
fondamentale. Infatti, l’impostazione epistemologica, la forma mentis, l’atteggiamento o, come altre
volte lo abbiamo chiamato, il mindset con cui approcci alla terapia è fondamentale, anche più delle
tecniche. Se ritieni che in poche sedute non si possa ottenere un vero cambiamento, sarà
sicuramente così.

Pertanto, senza pretesa di esaustività, vediamo ora alcuni principi che accomunano le Terapie Brevi
Sistemico-Strategiche e che possono tornarti utili per la tua pratica, cominciando però con una
visione personale.

1. L’approccio multiteorico

Questo non è un punto in comune alle Terapie Brevi, benché nel loro settore sia stato evidenziato da
uno dei più grandi esperti di Terapia Breve, Michael F. Hoyt (2009).

Ci troviamo in un periodo in cui tutte le terapie principali hanno mostrato la propria efficacia
(Wampold & Imel, 2015). Inoltre, siamo inondati da terapie (ne esistono più di 500, Lilienfeld et al.,
2012), il che ci fa dubitare della possibilità che esista una taglia unica, una terapia che vada bene
per tutto e per tutti. Non è un concetto nuovo, poiché già negli anni ’90 (ma anche prima) si giunse a
una simile conclusione e si proposero diversi approcci integrati o eclettici: il risultato però fu
deludente (Wampold & Imel, 2015). Non puoi semplicemente integrare insieme teorie e tecniche
diverse. È come voler prendere le ruote di un camion (perché sono belle resistenti), il motore di una
Ferrari (perché “spinge” parecchio) e la struttura di una station wagon (perché ha più spazio) e

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pensare di aver inventato la macchina perfetta, adatta a qualunque terreno, capace di andare a
velocità pazzesche e pensata per tutta la famiglia!

L’approccio multiteorico prevede invece di studiare differenti tipi di terapie e di essere


competente in tutte: in questo modo non metterai insieme diversi principi e pratiche in un
polpettone informe, ma saprai invece spostarti da un approccio a un altro (da un tipo di terapia a un
altro) a seconda di chi avrai di fronte, del suo problema e/o della fase della terapia in cui si trova. In
sintesi, impari diversi modelli e di volta in volta utilizzi quello più adatto alla persona/
situazione che hai di fronte.

Apprendere più terapie è tanto facile allo stesso modo in cui imparare più lingue diventa via via più
facile man mano che ne apprendi una nuova. Anzi, lo è anche di più, se fatto in modo ragionato. Ad
esempio, nella nostra Scuola di Specializzazione le terapie che insegniamo hanno un background
teorico/pratico simile, appartenendo tutte all’etichetta “Sistemico-Strategiche”.

Esattamente come i principi teorici e pratici che leggerai in questo ebook sono comuni, con le
dovute differenze, ai quattro approcci sopra elencati (e ad altri ancora), allo stesso modo una volta
appreso uno di essi gli altri saranno via via sempre più accessibili.

Apprendimento

Non forzare il paziente in un approccio, sii flessibile e apprendi a passare da un modello all’altro a
seconda della necessità. Come disse de Shazer, “se quello che stai facendo non funziona, fa
qualcosa di diverso”.

2. Il terapeuta attivo

Un principio comune a tutte le Terapie Brevi è senz’altro la posizione attiva del terapeuta (Haley,
1973). Il paziente non viene steso su un lettino. Non ci si limita a farlo parlare ascoltandolo in
silenzio per la maggior parte della seduta. Né si attende passivamente che arrivi a un insight.

Il terapeuta è una figura attiva. Propone nuovi significati, prescrive tecniche da mettere in atto
durante e fuori la seduta, utilizza strategie comunicative che aiutino la persona a vedere e agire in
modi nuovi e differenti (Nardone & Milanese, 2018; Nardone & Watzlawick, 1990).

Se vuoi essere un terapeuta breve, sceglierai di metterti attivamente in gioco.

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Apprendimento

Sii attiva/o. Mettiti nell’ottica di essere una/un terapeuta attivamente presente durante tutta la
terapia, con una strategia precisa che aiuti la persona a uscire dal proprio labirinto.

3. Il momento presente

Il focus nelle Terapie Brevi è il presente. Tutti i problemi hanno origine nel passato – che sia un
giorno o trent’anni fa – ma trovare le cause certe, semmai sia possibile, non porta praticamente mai
alla soluzione del problema (Watzlawick, 2007).

Il problema si risolve facendo (fare) qualcosa nel presente. Più specificatamente, aiutando la
persona a cambiare dei comportamenti e delle percezioni attuali, che la bloccano e che possono
dare origine alla sintomatologia più svariata. Raramente in Terapia Breve si va a indagare la storia
passata della persona, se non per le basi di una corretta indagine anamnestica.

Se la tua gomma è a terra per via di un chiodo, non devi domandarti dove, come, quando e perché
l’hai preso: lo devi estrarre, devi riparare la ruota e devi rimetterti in moto.

Apprendimento

Sii concentrato sul momento presente, su ciò che sta accadendo ora nella vita del paziente, su
come funziona adesso il suo problema: lo scopo sarà quello di capire cosa funziona (risorse da
utilizzare) e cosa va invece bloccato.

4. Suggerisci delle strategie

Benché non sia un passaggio obbligatorio, è una prassi comune, nelle Terapie Brevi, suggerire
delle strategie, dei compiti, delle prescrizioni da seguire al di fuori della seduta. Questo perché
se vedi una persona una volta a settimana per un’ora, quella avrà altre 167 ore da trascorrere al di
fuori del tuo studio e all’interno della propria vita (e spesso, in Terapia Breve, l’appuntamento è ogni
quindici giorni, proprio per darle il tempo di mettere in pratica quanto stabilito e vederne gli effetti).

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Le persone hanno i problemi al di fuori dello studio dello psicoterapeuta ed è lì che devi aiutarle ad
affrontarli e superarli.

Apprendimento

Entra nell’ottica di suggerire alla persona delle cose da fare per affrontare e risolvere il problema
nella vita di tutti i giorni. Le Terapie Brevi notoriamente hanno a disposizione un gran numero di
tecniche per questo scopo.

5. Non etichettare

Le Terapie Brevi Sistemico-Strategiche hanno spesso come matrice epistemologica4 le idee del
costruttivismo radicale (von Glasersfeld, 1995) e/o del costruzionismo sociale (Gergen, 2006). Una
delle numerose implicazioni che ne deriva è il non inserire della persona in un’etichetta
diagnostica nosografica, designata come “realtà ontologica”.

Evitiamo di pensare in termini di “sto vedendo un’anoressica” o “un ossessivo-compulsivo”:


preferiamo pensare di star vedendo “Martina” o “Emanuele”.

Le implicazioni di questa scelta sono molte e trattarle qui è davvero impossibile. Sottolineiamo,
comunque, che non vengono rifiutate le classiche etichette diagnostiche: semplicemente si
mantiene un approccio non-normativo, che eviti di dare una definizione di “normale vs patologico”.

Anziché incastrare le persone in etichette arbitrarie patologizzanti, si preferisce semmai parlare in


termini di “funzionalità”, mettendo al centro le loro caratteristiche e le loro risorse. Si cerca il co-
costruire il percorso terapeutico più adatto per quella persona, piuttosto che farla rientrare in criteri
diagnostici suggeriti da un dato manuale o di forzarla nei percorsi terapeutici indicati da una certa
terapia per quel certo disturbo.

Apprendimento

Metti la persona al centro: sii interessata/o a capire chi è lei e qual è il problema secondo il suo
punto di vista. Le etichette diagnostiche tradizionali sono importanti per la ricerca e la
comunicazione scientifica, ma non farle diventare delle “realtà di fatto” esistenti al di fuori dei
manuali che le insegnano.

4L’epistemologia è lo studio dei fondamenti, della validità e dei limiti della conoscenza scientifica. Più in generale, è quella
branca della filosofia che si interessa di studiare come conosciamo, specificatamente nell’ambito delle scienze.

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6. Non correre

Molto spesso, quando si parla di psicoterapia nei percorsi accademici canonici, si fa riferimento
soprattutto a idee psicodinamiche e/o cognitivo-comportamentali. Queste portano in sé alcune
idee, una delle quali è che serva molto tempo per risolvere i problemi, tanto che a volte si dice che
le Terapie Brevi vadano bene solo per problemi minori.

Come hai visto, le Terapie Brevi nacquero invece proprio per dare soluzioni in tempi brevi, da un
lato, e per affrontare problemi in contesti davvero disagiati (guerre, povertà, criminalità ecc.): non si
può davvero dire che vadano bene solo per problemi semplici e peraltro la ricerca ormai ci ha detto
che non è così.

Fare Terapia Breve non vuol dire “correre”: con alcune persone (prima ancora che con alcuni
“problemi”) potresti aver bisogno di 10, 20, 30 sedute. Se vedrai un progresso costante andrà bene
così. Tuttavia, l’approccio che adotterai sarà quello di capire come metterci meno tempo possibile.
Questo è ciò che permette di ottenere risultati che, di media, fanno attestare le Terapie Brevi al di
sotto delle 10 sedute – in molti casi anche una singola seduta.

Apprendimento

Di fronte a ogni persona poniti sempre in questa mentalità: “E’ possibile aiutare le persone anche in
poche sedute. Cosa mi permetterà di far sì che questo possa essere possibile anche per questo
nuovo cliente?”

7. Parti dal semplice

Un’altra idea spesso trasmessa nei contesti accademici, dove appunto l’impostazione di base più
diffusa è quella psicodinamica o cognitivo-comportamentale5, è che per risolvere un problema il
terapeuta debba andare a fare un complesso lavoro di riorganizzazione delle funzioni cognitive ed

5 Ci teniamo a precisare che non è nel nostro interesse criticare un approccio o un altro: crediamo, anzi, che l’unione faccia la
forza. Perciò, quando sottolineiamo la presenza di determinati approcci all’interno di certe istituzioni, lo facciamo solo per
spiegare che sia normale uscire dall’Università con una certa forma mentis, legata a quegli approcci, piuttosto che con un’altra.
Non è raro che quando spieghiamo che un problema possa essere risolto in poche sedute qualche studente o neolaureato ci
dica: “Ma non è quello che dicono all’Università.” È comprensibile che ogni docente trasmetta il suo punto di vista, così come
noi trasmettiamo il nostro nei nostri lavori.
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emotive del paziente, prendendo in considerazione gli “schemi cognitivi”, i “modelli operativi
interni”, la “meta-cognizione”, gli “stili di attaccamento” ecc.

Devi tenere sempre presente che tutti questi sono costrutti teorici, non è la Verità: sono spiegazioni
che alcuni autori hanno dato rispetto a ciò che hanno osservato e rispetto a ciò che ritengono si
debba fare per ottenere un cambiamento e la risoluzione del problema. Altri autori, quindi, hanno
dato altre spiegazioni.

Potremmo dire che gli Autori di Terapia Breve partono da osservazioni di stampo più
fenomenologico: evitano di impiegare complessi costrutti teorici sul funzionamento della mente e
preferiscono un approccio pragmatico. Si conosce il sistema (individuo, coppia, famiglia…)
cambiandolo e lo si osserva nel modo più acritico possibile, basandosi il più possibile su ciò che si
osserva e non su presupposti teorici apriori.

Questo fa sì che anziché costruire un’impalcatura teorica complessa, su cui poi andare a
operare, si parte dai comportamenti attuali che la persona mette in atto, con l’obiettivo primario
di bloccare quelli disfunzionali e incrementare quelli funzionali.

Questo non deve far pensare a una terapia semplicistica. Come detto, le Terapie Brevi affondando le
proprie fondamenta nelle epistemologie del costruttivismo radicale, della cibernetica di secondo
ordine e del costruzionismo sociale, nella filosofia analitica di Wittgenstein, nell’approccio sistemico
della Scuola di Palo Alto, nella pragmatica della comunicazione umana e nell’analisi del dialogo, fino
agli studi della teoria dei giochi e dei tipi logici, e ancora più lontano. Non pretendiamo che sia tutto
spiegabile in un ebook, ma speriamo di averti dato un’idea di come tale semplicità sia il frutto di
studi complessi.

Apprendimento

Parti dal semplice: mettiti nell’ottica di dover individuare ciò che non funziona, per bloccarlo, e ciò
che funziona, per amplificarlo.

Ci sono molti altri principi che riguardano le Terapie Brevi Sistemico-Strategiche. Come hai visto,
quest’ultime sono nate intorno agli anni ’60 e puoi immaginare come l’impianto teorico ed
epistemologico sia vasto e articolato.

Benché i nostri corsi e la nostra Scuola siano incentrati soprattutto sulla pratica (insegnarti come
saper fare la Terapia Breve), al loro interno troverai anche approfondimenti sugli aspetti teorico-
18
epistemologici. Altri approfondimenti li puoi trovare direttamente sul nostro sito www.istitutoicnos.it,
negli articoli del blog, oltre che nelle nostre pubblicazioni scientifiche.

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Pratica della Terapia Breve

Così come per la teoria, anche la pratica delle Terapie Brevi cambia da approccio ad approccio.

Ad esempio, la Terapia a Seduta Singola è un metodo fortemente centrato sul far individuare e
utilizzare alla persona le sue risorse, per permetterle, da un lato, di rendersi conto di come possa
risolvere da sé anche complicati problemi e, dall’altro, di trovare ed elaborare con il terapeuta delle
strategie risolutive.

La Terapia Breve Centrata sulla Soluzione, d’altro canto, è un approccio prettamente dialogico: il
cambiamento avviene soprattutto grazie a particolari tipi di domande fatte durante la seduta, che
portano la persona a identificare scenari senza il problema e a riuscire quasi automaticamente a
realizzarli, spesso senza alcuna prescrizione da parte del terapeuta.

La Terapia Strategica, invece, adotta una serie di strategie, sia comunicative sia prescrittive
(compiti o tecniche da applicare fuori la seduta), volte per lo più a bloccare e sostituire le percezioni
e i comportamenti disfunzionali che mantengono il problema, e a portare la persona a raggiungerne
di nuovi più funzionali.

Infine, la Terapia Strategica Famigliare, può tenere anche in considerazione le gerarchie all’interno
della famiglia o della coppia, e mira a ristabilire degli equilibri più funzionali.

Come vedi, possono esserci differenze notevoli nel modo di lavorare di ciascun approccio, sebbene,
come detto, la matrice rimane comune. Questo ci mostra anche come un approccio multiteorico sia
la scelta più adatta: al di là del problema presentato (che sia una Bulimia Nervosa o un Disturbo da
Stress Post-Traumatico, un Disturbo da Attacchi di Panico o una crisi coniugale), ci sono persone
che apprezzano un lavoro centrato sull’individuazione delle proprie risorse e che sono in grado di
farlo magistralmente; altre troveranno grande beneficio nel delicato lavoro dialogico che le porta a
scoprire nuovi modi di essere e di comportarsi; altre ancora preferiranno seguire delle prescrizioni
suggerite dal terapeuta e un lavoro che tenga alta considerazione dei giochi comunicativi sarà
fondamentale; e in altre, infine, potrà essere utile aver presente come gestire le dinamiche famigliari
e relazionali.

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Di seguito non ti mostreremo tutte le tecniche o le pratiche di ciascun approccio (dieci libri non
basterebbero!), ma ti forniremo quelli che sono dei punti comuni più o meno a tutti quelli elencati,
più alcune tecniche trasversali, che potrai spendere da subito nella tua pratica professionale.

Se vuoi, parte di quanto scritto qui, sia da un punto di vista teorico che pratico, puoi trovarlo
sempre sul blog di www.istitutoicnos.it oltre che in quello del nostro sito dedicato alla Terapia a
Seduta Singola (www.terapiasedutasingola.it), nonché nel libro che gli abbiamo dedicato: Terapia a
Seduta Singola. Principi e pratiche (Cannistrà & Piccirilli, 2018; Giunti Editore).

1. Definisci il problema

Abbiamo detto che le Terapie Brevi si centrano sul problema così come si svolge nel presente.
Dovrai quindi fare un’attenta valutazione del problema stesso. Attenzione: non è un caso che
stiamo parlando di “problema” e non di “disturbo”. Le Terapie Brevi tendono a osservare ogni
persona nella sua unicità e quindi, come detto, a evitare di arrivare di fronte alla persona con delle
idee precostituite date magari dall’averla incasellata in un “Disturbo da Ansia delle Malattie” o in un
“alcolismo”.

La prima cosa che devi fare, quindi, è letteralmente capire come, quando, con chi e dove funziona il
problema. Se dovrai successivamente dare nuovi significati o aiutare la persona a bloccare dei
comportamenti, dovrai partire da qui.

Apprendimento

Chiedi a chi hai di fronte come funziona il suo problema, cioè cosa fa nello specifico e in che modo
è un problema per lei; chiedile anche quando si manifesta e dove: c’è chi soffre di attacchi di panico
solo in certi luoghi, o quando deve fare delle performance particolari; indaga inoltre chi è coinvolto
nel problema: una persona potrebbe chiedere ai familiari di assecondarla nei suoi rituali ossessivi,
cosa che ti sarà utile sapere per poterli bloccare.

2. Definisci l’obiettivo

Una volta capito il problema, chiarisci qual è l’obiettivo della persona. A volte è semplice, perché
magari vorrebbe semplicemente non avere più quegli attacchi di panico. Ma a volte è più
21
complesso: potresti vedere qualcuno che viene per un problema coniugale e avere l’obiettivo che
sia il partner a cambiare; oppure una persona potrebbe dirti che si sente “depressa”, ma il suo
obiettivo è di far sì che i colleghi a lavoro la stimino di più.

Definire l’obiettivo è un ottimo modo per capire dove dovete andare, nonché un ottimo modo per
stabilire una forte relazione terapeutica: non stai imponendo la terapia al paziente, la stai co-
costruendo con lui.

Inoltre, ti/vi permetterà di avere un parametro di valutazione, a cui tornare di tanto in tanto per
verificare che la terapia, o la seduta stessa, stia andando nella direzione augurata.

Apprendimento

Chiedi alla persona qual è l’obiettivo della terapia. Puoi fare domande di questo tipo: “Qual è la tua
migliore aspettativa per i nostri incontri/per l’incontro di oggi?”, “Cosa dovrebbe accadere per farti
dire: ‘Grazie dottore, ho risolto il mio problema’?”, “Da cosa ti accorgerai che la terapia sta avendo
gli esiti che ti aspettavi?”.

3. La Domanda del Miracolo

Un buon modo per identificare per bene un obiettivo è quello di porre la Domanda del Miracolo (de
Shazer, 1988): “Immagina che stanotte avvenga un miracolo, mentre stai dormendo, e che il tuo
problema si risolva completamente. Ovviamente non ne sei consapevole finché non ti svegli. A quel
punto quali saranno le differenze che noterai?”

In questo modo la persona ti descriverà uno scenario post-miracolo, senza il problema, che è
esattamente lo scenario in cui vorrebbe trovarsi, cioè l’obiettivo che vorrebbe raggiungere. Se
approfondirai abbastanza questa domanda (chiedendo ad esempio: “E cos’altro noterai? Quali altre
differenze?”) la persona, già dalla volta successiva, potrebbe tornare con dei significativi
cambiamenti.

Farsi descrivere uno scenario senza il problema, infatti, aumenta le possibilità che la persona si
renda conto di cosa può fare per iniziare a stare meglio6.

6Ancora una volta ci sentiamo in dovere di ricordare la sintesi di questo ebook. La Domanda del Miracolo, ad esempio, è una
delle tecniche più studiate negli ultimi decenni. Speriamo che la manciata di righe che le abbiamo dedicato non la svaluti ai tuoi
occhi e ti invitiamo a studiarla con profondità.
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Apprendimento

Poni la Domanda del Miracolo nelle prime fasi della terapia, per identificare gli obiettivi su cui
lavorare. Approfondiscila, aumentando le possibilità che un cambiamento sopravvenga già nel
corso dei giorni successivi.

4. Individua i comportamenti da bloccare

Per questo hai sicuramente bisogno di un po’ di studio in più e in particolare ti suggeriamo di
familiarizzare con il concetto di “tentate soluzioni disfunzionali” (Watzlawick et al, 1974 - trovi
qualche articolo al riguardo nei nostri blog).

Più in generale, un punto importante è che alcuni comportamenti messi in atto dalla persona
per affrontare o risolvere il problema, o più semplicemente in risposta ad esso, non fanno altro
che mantenerlo, peggiorarlo o crearne uno nuovo.

Il caso più evidente è quello delle persone fortemente ansiose che, con l’idea di “sfogarsi”, parlano
costantemente della propria ansia, non accorgendosi che più lo fanno, più l’ansia cresce.

Apprendimento

Chiedi alla persona cosa fa di fronte al problema. In particolare, indaga questi tre canali: parlare,
pensare, fare. Sincerati dell’utilità di ciò che sta facendo: se ti accorgi che non funziona, prova a
indicarle di fare qualcosa di diverso, o di provare a smettere di farlo per un po’ e vedere cosa
succede.

5. La tecnica del “Come peggiorare”

Una tecnica che puoi usare per individuare i comportamenti da bloccare è quella del Come
peggiorare (Nardone, 1998), in cui si chiede alla persona esattamente questo: “Se tu volessi
peggiorare la situazione, volontariamente e deliberatamente, anziché migliorarla, cosa dovresti fare
o non fare?”

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La persona tirerà fuori una serie di comportamenti che, se messi in atto, non la aiuteranno di certo:
questo le permetterà già di prendere una prima significativa consapevolezza. In più, nell’elenco
ci saranno anche cose che già sta facendo, e che a quel punto sarà più propensa a bloccare.

Spesso già solo questa tecnica permette, da un lato, di aiutarti a identificare i comportamenti da
bloccare e, dall’altro, di far sì che la persona stessa lì blocchi spontaneamente.

Apprendimento

Chiedi alla persona come potrebbe peggiorare il suo problema. Potete indagare insieme, durante la
seduta, oppure puoi darglielo come compito mentale (solo teorico: non deve mettere in atto gli
elementi della lista!) da fare cinque minuti ogni giorno fino a che non vi rivedrete.

6. Trova le eccezioni positive al problema

Ci sono situazioni in cui il problema non si presenta del tutto o in parte. Cos’è successo in
quelle situazioni? Cosa ha fatto di differente la persona? Come è riuscita a resistere? Che condizioni
hanno permesso il presentarsi di queste eccezioni positive?

Nel momento in cui identifichi ciò che la persona è riuscita a fare per bloccare o modificare il
problema, puoi avere la chance di farglielo ripetere e di amplificarlo. La Terapia Breve Centrata sulla
Soluzione, che ricordiamo essere la terapia breve con più studi sull’efficacia, basa buona parte della
sua efficacia su questo principio.

Apprendimento

Ascolta con un orecchio costruttivo ciò che dice la persona e sii pronta/o a identificare momenti e
situazioni in cui il problema non si è presentato o si è presentato in modo diverso. A quel punto
indaga meglio e cerca di capire, insieme alla persona, quali sono state le condizioni che le hanno
permesso di fare ciò, con l’obiettivo di replicarle.

7. La tecnica della “Scala” (1)

Un buon modo per identificare le risorse della persona è quello di usare la tecnica della
“Scala” (Ratner et al, 2012). Una volta descritto l’obiettivo, o anche lo scenario post-miracolo (v. la
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Domanda del Miracolo), si chiede: “Immagina di porre il tuo problema su una Scala da 0 a 10, dove
10 è il momento in cui avrai raggiunto il tuo obiettivo/il giorno dopo il miracolo, e 0 è l’esatto
opposto. Dove ti collocheresti ora?”

La persona può rispondere un valore qualsiasi, ad esempio 3. A quel punto dovrai chiederle: “Come
mai 3, e non meno?” Questa domanda permette a entrambi di identificare le risorse della persona.
Infatti, rispondendo, la persona starà spiegando i suoi punti di forza e le cose che la aiutano a non
essere in fondo alla Scala. Ad esempio, potrebbe dire: “Beh, non mi trovo a meno di 3 perché in
fondo sto continuando ad andare a lavoro e perché, anche se mi sento depresso, penso di avere
ancora delle possibilità.”

A questo punto dovrai continuare l’indagine, come un detective, partendo proprio da quello che la
persona ti ha detto per esplorarlo meglio: “E come fa ad andare a lavoro, nonostante questo
problema? Da cosa si rende conto di avere ancora delle possibilità?” e così via.

Più esplorerai il gradino su cui la persona si è posizionata, più la aiuterai a rendersi conto che ha
delle risorse. Come con il “Come peggiorare”, questa tecnica è spesso utile da sé a produrre già dei
cambiamenti.

Apprendimento

Una volta esplorato il problema, l’obiettivo e cosa non funziona, chiedi alla persona di posizionarsi
su una Scalda da 0 a 10. A quel punto esplora cosa le fa dire di essere a un certo gradino, e non a
meno.

8. La tecnica della “Scala” (2)

Una volta esplorata per bene la Scala del presente, cioè il gradino in cui la persona si mette
attualmente, puoi continuare con il gradino successivo, domandando cosa noterà/farà quando
sarà un gradino più in su e così orientando la persona al futuro.

Riprendendo l’esempio di prima, potrai domandare: “Immagina che tu nei prossimi giorni sia un
gradino più in su, a 4. Cosa noterai che ti farà dire di essere salito di un gradino? / Cosa farai
quando sarai un gradino più in su? / Cosa dovrai fare per salire di un gradino?”

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Come vedi esplori in tre modi diversi cosa la persona farà una volta che sarà un gradino più in su.

La prima domanda (“Cosa noterai che ti farà dire di essere salito di un gradino?”) è molto adatta a
chi ha percezione di poter fare poco: eviterai di creare resistenza limitandoti a chiedere cosa noterà,
non cosa farà. Se invece la persona è più attiva e propositiva, potrai chiederle cosa farà una volta
salito il gradino. Cioè le farai dire i comportamenti che si vedrà mettere in atto quando sarà un
gradino più su.

Queste due domande sono molto utili: chiedi alla persona di descrivere cose che noterà e/o farà
quando già sarà un gradino più su. Gli studi sulla Terapia Breve Centrata sulla Soluzione hanno
mostrato che fargliele descrivere è come lanciare una profezia che si autoavvera (Watzlawick et al,
1967): sarà molto più facile che le metta in atto e che si percepisca in grado di farle.

Inoltre, potrai anche fare un terzo tipo di domanda, domandando cosa dovrà fare per salire di un
gradino (e non cosa farà quando già sarà un gradino più in su). In altri termini, con le prime
domande le stai chiedendo cosa farà non appena sarà sul gradino numero 4; con la terza, le chiedi
cosa dovrà fare per salire da 3 a 4. Non tutte le persone sanno identificare delle azioni precise da
fare per salire di gradino, ma se chi hai di fronte ci riesce, potrai poi suggerirle di mettere in atto
alcuni di quei comportamenti (potrete decidere insieme quali – ma ti consigliamo di partire dai più
piccoli e lasciare poi che l’effetto domino avvenga da sé) tra una seduta e l’altra.

Apprendimento

Dopo aver esplorato il gradino su cui si situa la persona attualmente, chiedile cosa noterà/farà
quando si troverà un gradino più in su. In alternativa, chiedile cosa dovrà/potrà fare per salire di un
gradino.

Conclusioni

La pratica della Terapia Breve è molto più complessa: fa riferimento a una tradizione di studi su
come le persone cambiano e su come sia possibile aiutarle a cambiare che trae le sue origini
addirittura nelle arti retoriche elleniche e nell’arte degli strateghi militari, per poi essersi pienamente
evoluta con gli studi sugli effetti pragmatici della comunicazione dello scorso secolo, con importanti
approfondimenti teorici ed epistemologici.

Ad esempio, non abbiamo trattato delle prescrizioni paradossali e di quelle indirette (Nardone &
Watzlawick, 1990). Né abbiamo spiegato le efficaci manovre volte ad aggirare o azzerare la
resistenza. Né di come si gestiscono quelle situazioni che in effetti richiedono un lavoro delineato su

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diverse sedute. O di come si può lavorare in “terapia indiretta”, ad esempio quando il problema è di
un bambino e si vuole aiutarlo tramite la collaborazione dei genitori. Speriamo comunque di averti
dato un’idea utile e ti rimandiamo nuovamente ai nostri blog e alle nostre pubblicazioni per ulteriori
approfondimenti.

Di nuovo, le Terapie Brevi sono tutt’altro che semplici e semplicistiche, benché oggi abbiano
ricevuto un tale sviluppo che insegnarle è facile. Gli studenti della nostra Scuola di Specializzazione,
ad esempio, già durante il primo anno apprendono le basi per poter cominciare a praticare da
subito.

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3 casi di Terapia Breve

Vediamo tre casi trattati con la Terapia Breve.

Mi vedo uccidere mia moglie7 - un caso trattato con la Terapia a


Seduta Singola

Paolo viene lamentando di avere dei “pensieri ossessivi”. Dieci anni prima aveva iniziato a soffrire di
immagini intrusive, in cui si vedeva accoltellare sua moglie e i suoi figli. Al tempo, aveva preso alcuni
psicofarmaci per sei mesi e il problema era scomparso per otto anni, prima di ritornare. Non
volendo riprendere gli psicofarmaci, aveva allora letto un libro di terapia breve, in cui si suggeriva
una tecnica paradossale: andare volontariamente a ricercare le immagini intrusive anziché
scacciarle. Aveva provato e ne aveva avuto un effettivo beneficio. Tuttavia, da sei mesi le immagini
erano tornate e, con esse, un pensiero catastrofico rispetto alla sua condizione lavorativa e al futuro
della sua famiglia. Il terapeuta ascoltò attentamente la storia, cercando di identificare i punti di forza
e le eccezioni positive al problema. Osservò che per un anno e mezzo la tecnica appresa sul libro
aveva funzionato e chiese a Paolo se, secondo lui, avrebbe avuto senso provare a rimetterla in atto,
magari in una maniera più strutturata, suggerita dal terapeuta. Paolo accettò di buon grado, perché
era qualcosa che aveva già sperimentato e che riteneva utile. Così, il terapeuta gli suggerì di andare
nuovamente a cercare le immagini, ma di farlo ogni ora per cinque minuti; di settimana in settimana,
avrebbe aumentato di un’ora l’intervallo. Paolo intuì subito la potenzialità della cosa e si dimostrò
disposto ad accettarla. Per quel che riguarda il pensiero catastrofico, il terapeuta chiese a Paolo se
adottasse qualche comportamento utile e quello rispose che, in effetti, di tanto in tanto, mandava “a
quel paese” quei “pensieracci assurdi” e che la cosa lo tranquillizzava. Il terapeuta pensò che
questa fosse la cosa più semplice e risolutiva e gli chiese se pensasse fosse una buona idea
continuare a farlo ma, anche qui, in modo sistematico: ogni volta che si fosse presentato un
pensiero catastrofico lo avrebbe dovuto mandare “a quel paese”. Paolo sorrise e dichiarò che si
trattava di un’ottima idea. A questo punto il terapeuta chiese a Paolo se ritenesse di aver bisogno di
altre sedute oltre a quella prima, premettendo che la sua porta sarebbe rimasta sempre aperta per
qualunque necessità. Paolo disse che quell’incontro gli era sembrato molto produttivo e che aveva
capito che avrebbe potuto provare da solo. Il terapeuta disse che era un’ottima idea e

7Una versione ampliata di questo caso è stata già pubblicata in inglese sull’Italian Journal of Mental Health, CXLIII, 1/2019,
nell’articolo di Hoyt & Cannistrà, Single-Session Therapy: A healthful approach to effectively and efficiently solving client
problems.
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concordarono di risentirsi, giusto per aggiornarsi sugli sviluppi. Dopo due settimane, Paolo scrisse
che quasi come un miracolo le ossessioni erano sparite applicando la tecnica (che adesso aveva
ridotto a una volta ogni due ore e che da lì a poco avrebbe ridotto a una volta ogni tre) e anche le
catastrofizzazioni non venivano quasi più. Nel momento in cui scriviamo è passato quasi un anno e
mezzo, e dagli ultimi aggiornamenti né le ossessioni né i pensieri si sono mai più ripresentati.

Voglio essere un’altra persona – un caso trattato con la Terapia Breve


Centrata sulla Soluzione.

Margherita entra in studio come fosse un manichino: fa il minimo dei gesti, è vestita di bianco e di
nero, e soprattutto è completamente inespressiva. Dice che da anni vive una vita insoddisfacente:
lavora, convive, ma di fatto “non vive”; ha rinchiuso, da anni, ogni emozione in un cassetto, che non
apre mai. Il terapeuta indaga meglio il problema, finora vago, e Margherita continua con la sua
spiegazione. Sul lavoro non prende mai iniziativa, non interagisce mai con i colleghi e quando loro
interagiscono con lei si spazientisce dopo poco dicendo che ha da fare e lasciandoli di stucco. A
casa è come se il compagno fosse più un coinquilino, con cui ha interazioni per lo più legate alle
faccende pratiche. In più non si prende tempo per sé, indossa le prime cose che le capitano, non
vede quasi nessun’amica e non fa niente per sé. Il terapeuta pone la Domanda del Miracolo e
Margherita racconta un futuro senza problema in cui interagirà di più con gli altri, avrà una carriera
soddisfacente, riprenderà l’intima complicità con il partner e saprà darsi valore. Snocciolano
approfonditamente ogni aspetto di questo futuro desiderato, finché il terapeuta non reputa di averlo
approfondito abbastanza e passa a chiederle, su una Scala da 0 a 10, dove si senta attualmente.
Margherita è sicura: 2, non un gradino di più. “E perché non un gradino di meno?” chiede il
terapeuta. Margherita dapprima è sorpresa della domanda, poi dice che tutto sommato a lavoro se
la cava: precedentemente aveva un ruolo di maggior prestigio e questo vuol dire che le competenze
ce le ha. Inoltre, a lavoro è vero che non interagisce con nessuno, ma stranamente è la confidente di
tutti! Tutti i colleghi, più o meno conosciuti, vanno a parlare con lei, a confidarsi: questo le fa
pensare che non è una persona sgradevole, di primo acchito, e che qualche dote relazionale ce l’ha.
Infine, con il compagno stanno insieme ormai da 10 anni e, seppur la vita coniugale non riserva loro
grandi entusiasmi, non è nemmeno decorata di continui litigi: anche questo qualcosa vorrà dire. Il
terapeuta esplora nel dettaglio questo “scalino n°2” e poi passa a chiederle quali sarebbero i primi
piccoli segni che le direbbero che è salita al terzo. Margherita spiega che probabilmente
sorriderebbe a tutti un po’ di più: ai suoi colleghi, con cui inoltre eviterebbe di essere sgarbata; al
suo compagno, a cui proporrebbe qualche attività insieme; e a se stessa, dedicandosi qualche
piccolo desiderio. Alla fine della seduta, il terapeuta riassume questi punti, per esser sicuro di aver

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compreso bene e anche per aiutare Margherita a fissarli meglio. Infine, le chiede di notare, da qui
alla prossima volta, quelli che dovessero manifestarsi spontaneamente e che le diranno che è un
gradino più in su (tecnica del noticing). Due settimane dopo Margherita torna con i primi segni di
cambiamento: ha una graziosa camicetta colorata e soprattutto entra da subito con un sorriso; la
sua poker face è scomparsa. Dice che in quelle due settimane è diventata più consapevole del suo
atteggiamento fisico: ora ha le spalle più aperte e si sente più “propensa alla vita”. Una collega che
prima liquidava sempre è andata a confidarsi e lei, anziché ascoltarla distrattamente sbuffando
mentre era al computer, ha interrotto quel che stava facendo per guardarla e ascoltarla con
attenzione, al punto che quella l’ha successivamente invitata a prendere un caffè insieme. Inoltre,
sempre sul lavoro, durante una riunione si è fatta avanti, spiegando per filo e per segno le sue idee e
ricevendo i complimenti dal manager. E anche a casa è cambiato qualcosa: ha proposto un cinema
al suo compagno e, cogliendo un suggerimento di lui di molto tempo prima, ha iscritto entrambi a
un corso di cucina. È cambiato qualcosa. Non so cosa, non so come è possibile, ma è cambiato
qualcosa.” Quando il terapeuta le chiede a che gradino si sente adesso, Margherita risponde
decisa: tra il 4 e il 5, due gradini e mezzo più su dell’altra volta. In quella e nelle sedute successive il
lavoro continua principalmente sul far descrivere le conquiste del nuovo gradino (“Cosa ti fa dire
che sei salita a 4-5? Cosa noti? Cosa fai, che ti fa dire di essere a 4-5?”), per consolidare le nuove
scoperte e i nuovi punti di forza, e sul descrivere poi i gradini successivi, salendo man mano con i
suoi tempi. Alla quinta seduta, Margherita si dà un bel 8 e 1/2: a lavoro si è aperta la possibilità di
una promozione e ha scoperto tanti colleghi simpatici con cui interagire; col compagno si è riaccesa
la fiamma e anche quando è lui a non tirare tanto la coppia, lei si dedica del tempo per fare le cose
che le piacciono. Il terapeuta le chiede se sente di aver bisogno di continuare per raggiungere il 10.
Lei ci pensa un po’ e dice di sentirsi abbastanza sicura per poter proseguire da sola. Il terapeuta
concorda e le lascia la porta aperta, ma concorda sul fatto che finalmente in lei è sbocciato
qualcosa.

Una vita violenta8 - un caso trattato con la Terapia Strategica

Daniel, un ragazzo di trentacinque anni senza la maggior parte dei denti, maleodorante e vestito alla
meno peggio, si presenta presso una ASL dando un obiettivo preciso: non può tornare in prigione,
altrimenti si ammazza. Il problema è che, come lui stesso dice, “gli piace ammazzare di botte la
gente”. Indagando meglio il funzionamento del problema, il terapeuta si rende conto che Daniel
legge facilmente qualunque comportamento degli altri come provocatorio e minaccioso, e reagisce

8Una versione ampliata di questo caso è stata già pubblicata in inglese nel libro Creative therapy in challenging situations, a
cura di Hoyt & Bobele (2018), nel capitolo A violent life: Using Brief Therapy "Logics" to Facilitate Change ad opera di Flavio
Cannistrà.
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quasi immancabilmente aggredendo verbalmente e, spesso e volentieri, fisicamente. In più, fin
dall’età di 10 anni, il carattere all’epoca oppositivo e provocatorio di Daniel fu “tenuto a bada” con
continue prescrizioni di psicofarmaci, per cercare di stemperarne i toni. L’insieme delle cose portò
Daniel a perdersi in giri di delinquenza e droga, vivendo alla giornata. Alla fine della prima seduta il
terapeuta, riprendendo un’affermazione iniziale di Daniel, dice: “Sai, hai detto bene all’inizio del
nostro incontro: ti va proprio una m***a”. Daniel lo guarda stupido: chi è questo dottore che non gli
fa la morale dicendogli di imparare a tenere a bada il proprio caratteraccio? Assicurandosi così un
primo importante punto nella relazione terapeutica, il terapeuta chiede a Daniele di fare un compito
particolare: andare a cercare effettivamente i segnali che gli confermano che gli altri ce l’hanno con
lui; dovrà, in pratica, ispezionare accuratamente il volto delle persone, per assicurarsi che
effettivamente lo stiano provocando (tecnica della ricerca di conferme). Questa tecnica mira a far
uscire il paziente dal suo pensiero (credere che gli altri ce l’abbiano con lui) per fargli aumentare
l’esame di realtà (verificare che effettivamente gli altri non lo stanno provocando). La volta dopo
Daniel torna, sempre col suo fare borioso, ma alla domanda del terapeuta su quanti indizi di essere
stato provocato avesse colto la risposta è laconica: nemmeno uno. Questo primo importante passo
spiana la strada al resto della terapia, che sarà una “terapia breve a lungo termine”. Per un anno e
mezzo, infatti, Daniel e il terapeuta si vedranno quasi ogni settimana. Il lettore deve sapere che
questo è un numero insolitamente alto di visite per un terapeuta breve (la media del terapeuta in
questione è di 5-6 sedute, e in generale le Terapie Brevi raramente superano le 10), ma
l’atteggiamento corretto è quello di continuare anche oltre, se si vedono dei risultati. Da un lato,
infatti, il grande numero di sedute fu dovuto al contesto in cui si vedeva il paziente, la ASL, che
richiedeva obbligatoriamente una visita a settimana. Dall’altro, in un solo anno e mezzo Daniel
cambiò completamente in tutti i sensi: si trovò un lavoro, un dentista gli ricostruì i denti accettando
come compenso il fatto che Daniel facesse dei lavoretti per lui (dicendo che in fondo lo trovava “un
ragazzo simpatico”!!!), si vestì in modo accettabile e, soprattutto, non fece mai più a botte con
nessuno. Un cambiamento di personalità, prima ancora che di comportamento, notevolmente
significativo.

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FAQ
(a cura di Francesca Moccia)

1) Quali sono le basi teoriche delle Terapie Brevi Sistemico-Strategiche?

Le Terapie Brevi Sistemico-Strategiche nascono sulla base degli sviluppi costruttivistici


dell’epistemologia cibernetica e grazie alle ricerche condotte sulla comunicazione. L’assunzione di
base è che la realtà, che percepiamo e alla quale reagiamo con il nostro comportamento, è
determinata dal punto di osservazione e dagli strumenti utilizzati, nonché dal linguaggio che
utilizziamo per comunicarla. Le basi teoriche di questi approcci trovano applicazioni pragmatiche e
terapeutiche attraverso la sistematizzazione e l’affinamento delle tecniche di comunicazione.

2) E’ vero che le Terapie Brevi Sistemico-Strategiche prevedono anche l’utilizzo


dell’ipnosi?

Le Terapie Brevi Sistemico-Strategiche prevedono l’uso dell’ipnosi e della suggestione poiché si è


verificata l’efficacia clinica di queste tecniche nella risoluzione, in tempi brevi, di diverse
problematiche. Sin dagli esordi di questi approcci, con la messa a punto, ad opera di Milton
Erickson, di tecniche di intervento “ipnotiche”, si sono affinate strategie che prevedono l’uso di
comunicazioni e prescrizioni paradossali, “doppi legami terapeutici” e tecniche di “resistenza al
cambiamento”.

3) Che differenze ci sono rispetto agli altri approcci terapeutici principali?

Le Terapie Brevi Sistemico-Strategiche si differenziano da altri approcci terapeutici per diverse


ragioni, iscrivibili innanzitutto nella cornice teorica di riferimento, ossia il costruttivismo.

Seguendo questa logica, le Terapie Brevi Sistemico-Strategiche non fanno riferimento alle
classificazioni nosografiche ma, di fronte ai problemi, adottano una prospettiva operativa focalizzata
sul presente, utilizzando strategie che si fondano ogni volta sugli obiettivi che ci si pone e che si
adeguano, passo dopo passo, all’evoluzione del percorso. Quindi, ci si focalizza sul “come” si sia
strutturato un problema, ossia sulle tentate soluzioni disfunzionali, tralasciando le presunte cause ed
adattando il trattamento alla specifica situazione.

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4) E’ vero che si fanno fare dei compiti particolari?

Nelle Terapie Brevi Sistemico-Strategiche si utilizzano le “prescrizioni”, ossia delle indicazioni


operative che vanno eseguite dal paziente, o dai pazienti, nell’intervallo di tempo che intercorre tra
una seduta e la successiva. Questi “compiti” (cose da fare o da pensare) hanno inizialmente
l’obiettivo di scardinare la rigida persistenza del problema, facendo sperimentare alla persona
emozioni e comportamenti differenti. In seguito, all’interno di una fase di consolidamento delle
nuove percezioni, le prescrizioni favoriranno la strutturazione di un equilibrio funzionale al
cambiamento, garantendo l’assunzione di una posizione di autonomia e l’acquisizione di
competenze personali.

5) E’ vero che si tratta di psicoterapie brevi?

Le Terapie Brevi Sistemico-Strategiche sono per definizione interventi di risoluzione dei problemi in
tempi brevi. Queste prevedono un numero limitato di sedute, che definiscono l’efficienza
dell’intervento. Sebbene si tratti di Psicoterapie Brevi, gli studi sull’efficacia di questi approcci
dimostrano che, oltre ad eliminare i sintomi del problema presentato dalla persona, esse producono
anche un cambiamento nelle modalità con cui si percepisce e costruisce la propria “realtà”.

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Conclusioni

Questa introduzione ha voluto solo dare degli spunti ai principi e alle pratiche delle Terapie Brevi,
una sintesi frutto dei numerosi anni di studio, pratica e insegnamento di questi approcci. Pur non
potendo essere esaustiva, speriamo sia stata una guida utile.

Per qualunque domanda e ulteriore curiosità potrai sempre visitare il sito del nostro Istituto
(www.istitutoicnos.it), quello dedicato alla Terapia a Seduta Singola (www.terapiasedutasingola.it) o
quello dedicato alla Terapia Breve Centrata sulla Soluzione (www.terapiacentratasullasoluzione.it).

Speriamo di vederti anche a uno dei nostri Corsi o di iniziare con noi la nostra Scuola di
Specializzazione in Psicoterapie Brevi Sistemico-Strategiche, per entrare anche tu nel mondo delle
Terapie Brevi.


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Appendice A
(a cura di Pier Paolo D’Alia)

Vi proponiamo ora una sintesi dei quattro modelli di Terapie Brevi “Sistemico-Strategiche” che si
possono apprendere all’interno della Scuola di Specializzazione dell’Istituto ICNOS.

La Terapia a Seduta Singola (TSS)

La TSS è una metodologia applicativa attraverso la quale è possibile massimizzare l’efficacia di ogni
singolo colloquio, sia in contesti clinici che in altri spazi o settori dove lo psicologo può intervenire.

Le ricerche degli ultimi 40 anni, provenienti da tutto il mondo, ci mostrano come "un colloquio" sia
la durata più frequente all’interno delle terapie. Grazie alla TSS sarai in grado di poter gestire al
meglio anche queste occasioni “uniche”, permettendo alla persona di poter prendere da subito
quello di cui ha bisogno, per poi continuare nel suo percorso da sola.

Lo psicologo formato in TSS crea tali condizioni avendo appreso una serie di competenze tecniche
da mettere in pratica durante i vari momenti della seduta. Ad esempio, nella fase iniziale,
determinante è la definizione operativa del problema e l’individuazione di un obiettivo concreto; allo
stesso tempo l’analisi delle risorse e delle eccezioni al problema, così come il blocco delle soluzioni
disfunzionali, ne caratterizzano i momenti centrali.

La Terapia Breve Centrata sulla Soluzione (TBCS)

Uno dei concetti cardine della TBCS viene espresso perfettamente da de Shazer: il linguaggio per
arrivare alla soluzione è profondamente diverso da quello necessario per descrivere il problema.

Per questa ragione il terapeuta centrato sulla soluzione, sin dalla prima domanda durante il primo
contatto con la persona, sarà focalizzato “esclusivamente” sulla costruzione, o meglio sul co-
costruzione, della soluzione desiderata dal cliente.

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L’atteggiamento del professionista formato in tal senso sarà quindi un atteggiamento positivo,
orientato alla soluzione e di cooperazione, fiducioso che le persone abbiano al loro interno le
competenze o le risorse per superare le proprie difficoltà.

Per realizzare tutto ciò la TBCS si basa principalmente su ciò che avviene in seduta tra terapeuta e
paziente, solo in alcuni casi si affidano compiti o prescrizioni da fare a casa. Vengono quindi
ampiamente utilizzate tecniche conversazionali come la domanda del miracolo, le scale (entrambi
descritte nel paragrafo Pratica della Terapia Breve), o altre domande chiave che permetteranno alla
persona di avviarsi verso la soluzione, contando in primo luogo sulle proprie risorse.

La Terapia Strategica MRI (TS)

“Si parla di Terapia Strategica quando il terapeuta mantiene l’iniziativa in tutto quello che si verifica
nel corso della terapia ed elabora una tecnica particolare per ogni singolo problema” (Haley, 1973,
p.7).

Il terapeuta strategico non adotta il “classico” punto di vista, ovvero quello delle scienze logico-
razionali (e di molti approcci terapeutici, come la Terapia Psicodinamica, la Terapia Cognitivo-
Comportamentale ecc.), secondo cui da una causa A si arriverebbe a un effetto B grazie ad un
processo lineare-causale. Al contrario ritiene la realtà come un’esperienza del tutto personale e
singolare, frutto del nostro particolare punto di vista, che ci spinge ad agire e reagire (processo
circolare) in una direzione piuttosto che in un’altra.

Per queste ragioni all’interno di un intervento strategico il terapeuta dovrà pensare a soluzioni
personalizzate, adattando il suo punto di vista a quello del paziente ma, nello stesso tempo,
proponendone di altri, più funzionali e in linea con gli obiettivi della terapia. In questa sottile arte di
ristrutturazione si inseriscono i vari interventi e le varie tecniche derivanti da questo approccio.

Il terapeuta strategico, in seduta, presta molta attenzione alla comunicazione, in modo particolare
alla comunicazione persuasoria, per veicolare i propri messaggi in modo diretto, indiretto o, a volte,
paradossale. Allo stesso tempo sarà in grado di costruire compiti e prescrizioni “personalizzate”,
anche in questo caso con l’utilizzo o meno del paradosso, affinché la persona possa sperimentare
(più o meno consapevolmente) nuove percezioni ed esperienze. Del resto uno degli assunti di
questo approccio ci dice che non sempre la comprensione viene prima della percezione.

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La Terapia Strategica Familiare (TSF)

Oltre a definire perfettamente cosa si intende per Terapia Strategica ad Haley possiamo attribuire
anche un altro grande merito, ovvero quello di aver annesso al suddetto modello la dimensione
sociale.

Il terapeuta strategico-familiare, nell’incontrare il singolo individuo o tutti i membri di una famiglia,


agirà sempre tenendo a mente l’intero sistema, o meglio cercherà di individuare i limiti del sistema
sociale entro cui poter agire per arrivare ad una soluzione.

Come ogni approccio terapeutico di stampo costruttivista, anche la TSF non accetta visioni rigide o
predeterminate della famiglia e delle relazioni poiché ogni sistema, come il singolo individuo,
percepisce e alimenta una propria realtà. Tuttavia il professionista che vorrà formarsi in tal senso
dovrà conoscere le tappe fondamentali del ciclo di vita di una famiglia.

Come ci ricorda M. Erickson gran parte dei problemi nascono proprio quando ci sono deviazioni o
interruzioni dal normale ciclo. Questo costituirà un canovaccio, una guida per il terapeuta che si
approccia al sistema.

La TSF infine, così come nella TS, prevede l’utilizzo di prescrizioni e compiti da affidare ai vari
membri della famiglia, anche qui in un’ottica di flessibilità e adattabilità a quelle che sono le risorse
portate dalle persone.

Potrai apprendere i modelli appena descritti all’interno dei nostri corsi o iscrivendoti alla Scuola di
Specializzazione ICNOS.

Se sei particolarmente interessato alla Terapia a Seduta Singola segui i nostri Workshop nella
pagina dedicata.


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